procedura civile - luiso libro 1

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Procedura Civile LUISO Libro 1 CAP 1 DIRITTO SOSTANZIALE E ATTIVITA’ GIURISDIZIONALE Il diritto processuale civile ricopre l’area della tutela dei diritti, e quindi si caratterizza per essere una normativa secondaria , cioè normativa che interviene laddove la normativa primaria ha fallito il suo scopo. La tutela dei diritti può aver luogo in via giurisdizionale ma anche in via non giurisdizionale (arbitrato). Giurisdizione e tutela dei diritti sono quindi due cerchi che si sovrappongono solo parzialmente : vi è un settore comune e due settori autonomi. Di tutto ciò si occupa il diritto processuale civile. Per meglio individuare quanto detto bisogna partire da una constatazione elementare: in qualunque ordinamento esiste una normativa che disciplina i comportamenti dei consociati. E da un lato troviamo certi comportamenti che sono qualificati come doverosi; dall’altra abbiamo comportamenti che sono qualificati come possibili e rimessi alla scelta del soggetto. L’illecito è il comportamento concreto difforme dall’astratta previsione normativa : se un soggetto commette un illecito, si innesta immediatamente l’attività giurisdizionale penale volta all’accertamento dell’illecito e all’irrogazione della sanzione. L’ordinamento riconosce a determinati INTERESSI della vita il rango di SITUAZIONI SOSTANZIALI PROTETTE e, garantisce al titolare di questi interessi la soddisfazione, la realizzazione del bene della vita riconosciuto. Questo interesse è comunemente chiamato DIRITTO SOGGETTIVO O INTERESSE LEGITTIMO. La normativa sostanziale regola così la vita dei consociati, e quando l’illecito è correlato a situazioni sostanziali protette l’ordinamento prevede che, al compimento dell’illecito, seguano determinate conseguenze sempre sul piano del diritto sostanziale. Alla violazione di un dovere di comportamento subentra un diverso e ulteriore dovere di comportamento. Tuttavia il meccanismo prima o poi cessa e c troviamo nella stessa situazione che, nel settore penale, è invece immediata conseguenza dell’illecito. Ciò significa che la tutela giurisdizionale deve partire dalla realtà sostanziale e a quella deve tornare. Il processo è una macchina che deve prendere all’inizio del suo ciclo lavorativo quel frammento della realtà sostanziale interessato dall’illecito, deve operare su tale frammento, con lo scopo di reimmetterlo nella realtà sostanziale, una volta ricucito lo strappo che l’illecito ha prodotto. CAP 2 PRESUPPOSTI DELL’ATTIVITA’ GIURISDIZIONALE La tutela giurisdizionale trova il suo punto di partenza in un diritto sostanziale ove un soggetto avrebbe dovuto tenere o non tenere un certo comportamento. Questo è il presupposto comune a tutta l’attività giurisdizionale; ma per quanto attiene all’attività giurisdizionale civile, la violazione del dovere produce anche la lesione. Alla base della giurisdizione civile vi è dunque un elemento in più rispetto a quella penale:la situazione sostanziale protetta che l’ordinamento riconosce e garantisce, e che viene lesa perché non trovano attuazione quelle previsioni che l’ordinamento pone nell’interesse del titolare della situazione stessa. Ciò fa capire che al di là della giurisdizione penale le altre forme di intervento giurisdizionale sono molto simili perché tutte quante hanno in comune la seguente caratteristica: che vi è una situazione sostanziale da tutelare. Per questa ragione i principi e la struttura fondamentale della giurisdizione civile formano il supporto delle altre giurisdizioni speciali , e lo formano anche in maniera esplicita,in quanto la normativa speciale che riguarda tali giurisdizioni rinvia al c.p.c. L’attività del giudice ordinario è quindi deputata alla tutela dei diritti (art 2097 cc) ovvero “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria”. La giurisdizione ordinaria ha come funzione specifica la tutela dei diritti soggettivi . L’attività giurisdizionale opera sull’illecito, ma in funzione della tutela dell’interesse protetto. D’altro canto la tutela può avvenire anche in via non giurisdizionale: l ’arbitrato costituisce la principale forma di tutela non giurisdizionale dei diritti. CAP 3 TIPI DI TUTELA GIURISDIZIONALE – TUTELA DICHIARATIVA Le forme di intervento giurisdizionale sono strettamente collegate al bisogno di tutela della situazione sostanziale protetta. Il punto di partenza è la constatazione che c’è una situazione sostanziale lesa : e l’intervento giurisdizionale va strutturato a misura della lesione subita e in modo idoneo a garantire la soddisfazione della situazione sostanziale protetta. 1

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Procedura civile - Luiso vol. 1

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Procedura CivileLUISO Libro 1

CAP 1 DIRITTO SOSTANZIALE E ATTIVITA’ GIURISDIZIONALE

Il diritto processuale civile ricopre l’area della tutela dei diritti, e quindi si caratterizza per essere una normativa secondaria , cioè normativa che interviene laddove la normativa primaria ha fallito il suo scopo. La tutela dei diritti può aver luogo in via giurisdizionale ma anche in via non giurisdizionale (arbitrato).Giurisdizione e tutela dei diritti sono quindi due cerchi che si sovrappongono solo parzialmente : vi è un settore comune e due settori autonomi. Di tutto ciò si occupa il diritto processuale civile.Per meglio individuare quanto detto bisogna partire da una constatazione elementare: in qualunque ordinamento esiste una normativa che disciplina i comportamenti dei consociati.E da un lato troviamo certi comportamenti che sono qualificati come doverosi; dall’altra abbiamo comportamenti che sono qualificati come possibili e rimessi alla scelta del soggetto.L’illecito è il comportamento concreto difforme dall’astratta previsione normativa: se un soggetto commette un illecito, si innesta immediatamente l’attività giurisdizionale penale volta all’accertamento dell’illecito e all’irrogazione della sanzione.L’ordinamento riconosce a determinati INTERESSI della vita il rango di SITUAZIONI SOSTANZIALI PROTETTE e, garantisce al titolare di questi interessi la soddisfazione, la realizzazione del bene della vita riconosciuto. Questo interesse è comunemente chiamato DIRITTO SOGGETTIVO O INTERESSE LEGITTIMO.La normativa sostanziale regola così la vita dei consociati, e quando l’illecito è correlato a situazioni sostanziali protette l’ordinamento prevede che, al compimento dell’illecito, seguano determinate conseguenze sempre sul piano del diritto sostanziale. Alla violazione di un dovere di comportamento subentra un diverso e ulteriore dovere di comportamento.Tuttavia il meccanismo prima o poi cessa e c troviamo nella stessa situazione che, nel settore penale, è invece immediata conseguenza dell’illecito.Ciò significa che la tutela giurisdizionale deve partire dalla realtà sostanziale e a quella deve tornare. Il processo è una macchina che deve prendere all’inizio del suo ciclo lavorativo quel frammento della realtà sostanziale interessato dall’illecito, deve operare su tale frammento, con lo scopo di reimmetterlo nella realtà sostanziale, una volta ricucito lo strappo che l’illecito ha prodotto.

CAP 2 PRESUPPOSTI DELL’ATTIVITA’ GIURISDIZIONALELa tutela giurisdizionale trova il suo punto di partenza in un diritto sostanziale ove un soggetto avrebbe dovuto tenere o non tenere un certo comportamento. Questo è il presupposto comune a tutta l’attività giurisdizionale; ma per quanto attiene all’attività giurisdizionale civile, la violazione del dovere produce anche la lesione. Alla base della giurisdizione civile vi è dunque un elemento in più rispetto a quella penale:la situazione sostanziale protetta che l’ordinamento riconosce e garantisce, e che viene lesa perché non trovano attuazione quelle previsioni che l’ordinamento pone nell’interesse del titolare della situazione stessa.Ciò fa capire che al di là della giurisdizione penale le altre forme di intervento giurisdizionale sono molto simili perché tutte quante hanno in comune la seguente caratteristica: che vi è una situazione sostanziale da tutelare.Per questa ragione i principi e la struttura fondamentale della giurisdizione civile formano il supporto delle altre giurisdizioni speciali, e lo formano anche in maniera esplicita,in quanto la normativa speciale che riguarda tali giurisdizioni rinvia al c.p.c.L’attività del giudice ordinario è quindi deputata alla tutela dei diritti (art 2097 cc) ovvero “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria”. La giurisdizione ordinaria ha come funzione specifica la tutela dei diritti soggettivi. L’attività giurisdizionale opera sull’illecito, ma in funzione della tutela dell’interesse protetto. D’altro canto la tutela può avvenire anche in via non giurisdizionale: l ’arbitrato costituisce la principale forma di tutela non giurisdizionale dei diritti.

CAP 3 TIPI DI TUTELA GIURISDIZIONALE – TUTELA DICHIARATIVALe forme di intervento giurisdizionale sono strettamente collegate al bisogno di tutela della situazione sostanziale protetta. Il punto di partenza è la constatazione che c’è una situazione sostanziale lesa : e l’intervento giurisdizionale va strutturato a misura della lesione subita e in modo idoneo a garantire la soddisfazione della situazione sostanziale protetta.Le forme di intervento giurisdizionale sono essenzialmente 3: la tutela dichiarativa, la tutela esecutiva e la tutela cautelare.La prima forma di intervento è quella cui corrisponde il processo di cognizione .Accertare la situazione sostanziale, accertare la lesione, individuare gli effetti necessari per la rimozione dell’illecito e la realizzazione della situazione sostanziale, non sono 3 momenti staccati, ma un tutt'unico.La forma di intervento di cui parliamo è “la tutela dichiarativa” perché si attua nella forma dichiarativa. Comunemente viene denominata cognizione per la prevalenza del termine che denota l’attività processuale che prende più tempo.Il processo, che porta alla tutela dichiarativa è chiamato processo di cognizione, e l’attività cognitiva è strumentale a convincere il giudice della sussistenza dei presupposti per emettere un provvedimento giurisdizionale che sia idoneo a soddisfare la situazione che l’interessato assume essere stata lesa dall’illecito. La distensione temporale quantitativa della ricognizione dei presupposti dà il suo nome a questa tutela, che però deve essere denominata “dichiarativa” e non “ di cognizione”. Il provvedimento finale può assumere contenuti diversi, a seconda del tipo di tutela che è necessaria al diritto leso.a) se è sufficiente stabilire quali sono i comportamenti leciti e i comportamenti doverosi che le parti dovranno tenere , in futuro, in relazione alla situazione sostanziale , che è oggetto del processo, il contenuto del provvedimento è di mero accertamento, e con questo si stabiliscono ciò che le parti possono e debbono fare. Ma non si deve confondere l’accertamento che il giudice deve effettuare in relazione all’attuale esistenza del diritto fatto valere con l’accertamento che è contenuto nella sentenza. Quest’ultimo guarda al futuro, in quanto stabilisce i comportamenti leciti e doverosi che ciascuna parte deve tenere dopo il processo. Il provvedimento dichiarativo ha i piedi nel passato e lo sguardo nel futuro: l’accertamento dell’essere è strumentale all’accertamento del dover essere.b) Quando il diritto si trova in stato di insoddisfazione perché l’obbligato non ha tenuto il comportamento che doveva tenere,allora abbiamo un provvedimento di condanna, che ha gli stessi effetti prescrittivi del provvedimento di mero accertamento, ed in più consente anche l’esperibilità della tutela esecutiva, quindi il provvedimento di condanna è un provvedimento di mero accertamento con un particolare contenuto ed un particolare effetto.

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c) Più complessa l’individuazione delle pronunce costitutive. A questo fine è necessario fare una breve introduzione sul diritto potestativo. Il DIRITTO POTESTATIVO si caratterizza per il fatto che, la manifestazione di volontà di un soggetto è rilevante se si produca un effetto nella sfera giuridica di un altro soggetto. Tale manifestazione di volontà solitamente è uno degli elementi della fattispecie.- Il diritto potestativo si esercita stragiudizialmente quando la volontà è manifestata con un atto di diritto sostanziale. Le eventuali contestazioni che dovessero sorgere danno luogo ad una pronunzia di mero accertamento.- Altre volte invece il diritto potestativo si esercita giudizialmente , con la domanda giudiziale: l’effetto giuridico è prodotto dal provvedimento, denominato costitutivo, in quanto modifica la situazione sostanziale preesistente.Anche il provvedimento costitutivo individua quali comportamenti le parti possono e debbono tenere in futuro, in conseguenza della modificazione prodotta dal provvedimento stesso.Il provvedimento costitutivo, sulla base della situazione sostanziale preesistente e verificata la sussistenza dei presupposti per la modificazione di questa, opera la modificazione e statuisce su ciò che è lecito e su ciò che è doveroso fare in conseguenza della modificazione effettuata.Esercizio stragiudiziale: privilegia l’immediatezza rispetto alla certezza.Esercizio giudiziale: privilegia la certezza rispetto l’immediatezza.La tutela dichiarativa, dunque, realizza costantemente la tutela della situazione sostanziale protetta mediante la determinazione dei comportamenti possibili e doverosi che le parti possono o devono tenere. Talvolta le regole sono ricavate dalla realtà sostanziale preesistente ( sentenza di mero accertamento); altre volte sono ricavate dalla realtà sostanziale così come modificata dal provvedimento ( sentenza costitutiva).

CAP 4 TUTELA ESECUTIVAAccanto all’intervento giurisdizionale dichiarativo abbiamo l’intervento giurisdizionale esecutivo, si ricollega alle ipotesi in cui l’ordinamento impone ad un soggetto di tenere un comportamento funzionale alla soddisfazione, alla realizzazione di una situazione sostanziale protetta, quando la semplice attività dichiarativa in pratica non è necessaria né sufficiente per la soddisfazione della situazione sostanziale protetta.La tutela esecutiva è impartita attraverso l’attività giurisdizionale esecutiva che si articola in : esecuzione forzata diretta ed esecuzione forzata indiretta.L’esecuzione forzata diretta è disciplinata dal 3° libro del cpc e si ha tutte le volte in cui l’attività non tenuta dall’obbligato è sostituita da un’attività dell’organo giurisdizionale: Al posto dell’obbligato agisce l’organo giurisdizionale. L’esecuzione in senso proprio ha carattere sostitutivo, e da al titolare del diritto quella soddisfazione che non gli è pervenuta dalla fisiologica osservanza della norma di comportamento da parte dell’obbligato.L’attività surrogatoria dell’ufficio esecutivo è possibile finché per il creditore è indifferente che la soddisfazione del suo diritto provenga da una soggetto diverso dall’obbligato.Ma se per il titolare della situazione è importante il soggetto che detiene l’attività questo ci fa escludere l’esecuzione forzata in senso stretto.Quindi è necessario rinunciare all’esecuzione in senso stretto e ricorre a forme di esecuzione indiretta. Nell’esecuzione indiretta è previsto, a carico dell’obbligato, il prodursi di determinate conseguenze sfavorevoli come conseguenza del persistere dell’inadempimento. Tali conseguenze sfavorevoli possono variare dal limite estremo della sanzione penale detentiva al sorgere di obblighi di pagamento di somme di denaro a favore dello stato oppure del creditore, cioè conseguenze più onerose dell’adempimento stesso.

CAP 5 TUTELA CAUTELARETerza forma d’intervento giurisdizionale è la tutela cautelare. Per individuare la funzione della tutela cautelare, dobbiamo considerare che dal momento in cui si richiede l’intervento dell’organo giurisdizionale, al momento in cui questa è effettivamente impartita passa necessariamente un lasso di tempo.Nel processo di cognizione, ad es, occorre prima raccogliere tutti gli elementi per convincere il giudice che la richiesta di tutela è fondata. Nel processo di esecuzione occorre che l’ufficio esecutivo svolga l’attività sostitutiva. In questo periodo la realtà non si ferma e ciò rischia di sminuire o addirittura estinguere del tutto l’interesse di colui che ha richiesto la tutela giurisdizionale.Si rendono quindi necessari strumenti per impedire che il fluire della vita nel corso del processo possa diminuire o far scomparire l'interesse alla tutela giurisdizionale.La funzione cautelare costituisce una delle esplicazioni del principio secondo il quale “la durata del processo non deve danneggiare la parte che ha ragione”.Le caratteristiche della tutela cautelare sono soprattutto quella di dover essere concessa senza una preventiva, completa ricognizione di chi abbia ragione e di chi abbia torto. Quanto al contenuto la tutela cautelare può avere il contenuto più vario, che può andare dalla semplice custodia del bene a forme, anche di anticipazione , di quelli che potrebbero essere gli effetti del provvedimento finale.La tutela cautelare ha natura subordinata e non autonoma: essa è al servizio di altre forme di tutela giurisdizionale, in quanto ha la funzione di garantire l’effettività delle forme di tutela giurisdizionale principali.La caratteristica di non autonomia della tutela cautelare ne sottolinea la intrinseca provvisorietà: la tutela cautelare ha durata limitata all’arco temporale del processo principale cui è funzionale, poi è sostituita dalla misura giurisdizionale definitiva o di cognizione o di esecuzione.

CAP 6 PRINCIPI COSTITUZIONALIDobbiamo ora vedere le norme costituzionali che si occupano della materia giurisdizionale: infatti sono sovraordinate alle norme primarie che disciplinano la materia giurisdizionale. Pertanto prima dobbiamo affrontare i principi e le regole che scaturiscono dalle norme sovraordinate e poi affrontare i problemi posti dalle norme ordinarie.Tuttavia le norme costituzionali non disciplinano compiutamente la materia ma forniscono delle direttive, dei principi, i quali devono poi essere calati nella realtà normativa di rango primario.Quindi per stabilire la conformità alla costituzione delle norme primarie non è necessario scendere all’esame di come in concreto sono interpretate e applicate le norme, cioè qual è la concreta vita della norma nella realtà effettiva.La prima e fondamentale norma che si interessa di tutela dei è l’art 24 Cost. l’articolo si struttura in 4 diverse proposizioni; la prima stabilisce che “ tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.Ora con “ tutti” o “nessuno” si indica qualunque soggetto di diritto, senza alcun altra limitazione; mentre con “ cittadini” che si trova in altri articoli, si limita l’efficacia della regola a coloro legati allo stato dal vincolo della cittadinanza.Da un punto di vista oggettivo il legislatore ordinario non può, nel momento in cui riconosce ad un interesse della vita la dignità di situazione sostanziale protetta, impedire che essa sia tutelabile in sede giurisdizionale.Il primo principio che si trae dall’art 24 cost. può essere espresso così: laddove vi è una situazione protetta, vi deve essere la tutela giurisdizionale.

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Il discorso diventa più delicato quando la tutela giurisdizionale, pur non essendo esclusa del tutto, è in qualche modo compressa o condizionata.Il primo di essi è dato dalla c.d. autodichia degli organi costituzionali: autodichia significa “farsi giustizia da sé”.L’autodichia degli organi costituzionali si verifica innanzitutto con riferimento ai rapporti con i propri dipendenti.L’autodichia è stata finora salvata sia dalla Corte costituzionale sia dalla corte di cassazione. La seconda ipotesi che dobbiamo esaminare è il cd arbitrato obbligatorio. L’arbitrato è una forma non giurisdizionale di tutela dei diritti, che di ha quando gli interessati, di comune accordo, stabiliscono di devolvere la soluzione della controversia a uno o più soggetti (arbitri), che vengono investiti dalla volontà delle parti del potere di decidere.Nel nostro sistema esistevano ipotesi, in cui la legge stabiliva che certe controversie dovevano essere risolte da arbitri, e non potevano essere portate innanzi al giudice. La previsione di un arbitrato obbligatorio non costituisce una negazione assoluta di tutela perché l’arbitrato dà una tutela non diversa da quella che si ottiene dal giudice dello stato.Tuttavia la corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di questo affermando che l’art 24, dove usa l’espressione “agire in giudizio”, intende riferirsi alla tutela giurisdizionale.L’arbitrato è volontario non solo nell’ipotesi in cui le parti stipulano uno specifico accordo con il quale si impegnano a deferire la risoluzione della controversia agli arbitri, ma anche quando esso è previsto da una fonte eteronoma, ciascuna parte può rivolgersi al giudice, esercitando la cd declinatoria.Un’altra ipotesi, la cui legittimità costituzionale va saggiata in base all’art 24 Cost, è quella della cd giurisdizione condizionata , che si ha quando il legislatore non inibisce alle parti di rivolgersi al giudice, ma stabilisce che, prima che ciò accada, le parti debbono svolgere una certa attività: ci sono delle condizioni da adempiere prima di poter proporre la domanda al giudice. Qui la tutela è subordinata al compimento di una certa attività. Su questo punto la corte cost. ha avuto modo di intervenire spesso e si può ricavare il seguente principio: purché gli ostacoli posti non rendano eccessivamente difficile l’accesso alla giurisdizione, la giurisdizione condizionata è costituzionalmente legittima, ma solo se le condizioni da adempiere hanno la finalità di garantire un migliore svolgimento dell’attività giurisdizionale; mentre è incostituzionale il condizionamento della giurisdizione quando il legislatore vuole raggiungere uno scopo diverso da quello di consentire un migliore svolgimento dell’attività giurisdizionale stessa: es, se le parti si conciliano non c’è più bisogno dell’intervento del giudice; quindi è possibile imporre, prima di rivolgersi al giudice , di effettuare un tentativo di conciliazione.La corte ha dichiarato, viceversa, incostituzionali (es) tutte quelle norme che imponevano alle parti oneri tributari condizionanti l’accesso alla giurisdizione .Un altro importante settore, in cui la corte è ripetutamente intervenuta, riguarda la possibilità di esperire ricorsi amministrativi avverso provvedimenti della PA, ed il coordinamento di tali ricorsi con la tutela giurisdizionale. La corte ha affermato che l’interessato deve poter scegliere fra l’azione di fronte al giudice e l’utilizzazione del rimedio amministrativo. È, invece, incostituzionale rendere obbligatorio il previo esperimento del rimedio amministrativo rispetto all’azione in giudizio.L’articolo 24 quando prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela delle loro situazioni sostanziali non vuol dire soltanto che tutti possono proporre una domanda, ma che l’ordinamento deve garantire a chi ne ha bisogno, una tutela giurisdizionale effettiva.L’effettività è un principio molto importante e consente di contemperare il primo con il 2° comma dell’art 24. il diritto di difesa può trovarsi in contrasto con il diritto di azione, inteso come diritto a una tutela effettiva, sotto molteplici profili.Il contemperamento del diritto d’azione inteso come diritto all’effettività della tutela e del diritto di difesa può portare a una temporanea comprensione del diritto di difesa perché, in certe condizioni, non è possibili soddisfare tutti e due tali diritti.Altri profili in cui il principio dell’effettività consente una comprensione del diritto di difesa, sono l’efficacia del provvedimento giurisdizionale nei confronti degli aventi causa con titolo posteriore alla litispendenza ; e la possibilità di utilizzare certe forme di notificazione che non garantiscono a pieno che il destinatario venga a conoscenza dell’atto notificato.Il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale ha portato negli ultimi anni, alla generalizzazione della tutela cautelare.Una tutela cautelare idonea deve essere necessariamente prevista a sostegno di ogni forma di tutela giurisdizionale.La corte costituzionale ha affermato che il diritto all’azione e il diritto di difesa costituzionalizzano il principio, in virtù del quale la durata del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione.Ultima considerazione di carattere generale: l’art. 24, garantisce il diritto d’azione e di difesa a tutela di diritti e di’interessi legittimi, a condizione che questi siano effettivamente esistenti .Occorre però svolgere per intero l’attività cognitiva, per sapere se esiste effettivamente la situazione che si vuole tutelare, e se si ha diritto alla tutela richiesta. Tuttavia ciò si coglie nella possibilità che siano poste a carico della parte soccombente una serie di conseguenze sfavorevoli.Il soccombente condannato alle spese e ai danni, non potrebbe validamente invocare l’art 24, sostenendo di aver fatto uso del suo diritto di azione e di difesa, perché l’art 24 garantisce tutela solo a diritti esistenti.In pratica non si può non tener conto dell’illecito che nel piano del diritto sostanziale , può produrre l’esercizio di un diritto processuale, quale diritto di azione e di difesa.L’art 24, 2° co : “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Nel processo il diritto di difesa costituisce una garanzia fondamentale. Il processo è un fenomeno caratterizzato dal contraddittorio: dove non c’è contraddittorio, dove non c’è possibilità di replica ai mezzi di attacco e di difesa, non c’è processo.Il principio del contraddittorio è previsto anche dall’art. 101 cpc e costituisce il sistema migliore per giungere alla verità: se parla uno solo e l’altro deve tacere è più difficile arrivare alla verità:la verità si coglie quanto più il dialogo è aperto e quanto più ampie sono le possibilità di dire e contraddire.Anche il giudice deve garantire il principio del contraddittorio.Il principio del contraddittorio deve trovare applicazione alle iniziative officiose del giudice. Per le questioni rilevabili non di ufficio, ma solo ad iniziativa di parte, il problema non si pone; per le questioni rilevabili d’ufficio si pone la necessità che esse siano preventivamente sottoposte al contraddittorio delle parti. Quando il giudice rileva una questione d’ufficio deve sottoporla alla discussione delle parti, e deciderla dopo aver raccolto le loro argomentazioni.Il principio del contraddittorio si realizza in forme diverse. Il processo civile ha struttura e funzioni diverse, a seconda che si debba impartire una tutela dichiarativa, una tutela esecutiva o una tutela cautelare.Il processo di cognizione ha la funzione di stabilire quali debbono essere i futuri comportamenti delle parti con riferimento ad una situazione sostanziale, e si innesta su uno stato di incertezza circa l’esistenza della situazione: a questa corrisponde un contraddittorio a bilateralità perfetta di poteri fra l’attore ed il convenuto, e tra la parti e il giudice.Il processo esecutivo ha,invece, la funzione di tutelare una situazione sostanziale per la cui realizzazione è previsto dalla norma l’adempimento di un altro soggetto.Ci sono nel nostro ordinamento alcuni procedimenti speciali, in cui si ha una particolare attuazione del principio del contraddittorio.Dobbiamo premettere che vi è un nucleo di principi,che debbono comunque essere attuati: ma non esiste uno schema di attuazione di questi.Una prima distinzione deve essere fatta all’interno dei processi a cognizione piena .

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Un processo si qualifica a cognizione piena,quando le parti possono portare il loro contributo in ordine a tutte le questioni rilevanti ai fini della decisione, utilizzando tutti i mezzi che a tal fine il sistema prevede.Sono a cognizione piena il processo ordinario ed i processi speciali che sono previsti per fornire la tutela dichiarativa più adatti alle peculiarità delle stesse.In tutti i casi, le particolarità dei processi speciali a cognizione piena non impediscono comunque l'attuazione dei principi costituzionali.Oltre ai processi a cognizione piena, il nostro sistema conosce anche i processi sommari : sono sommari tutti i quei processi che non sono a cognizione piena, in quanto non prevedono una trattazione piena ed esauriente della controversia.La “limitazione” può derivare: a) dal fatto che talune questioni vengono escluse dalla trattazione;b) oppure dal fatto che non possono essere utilizzati tutti i mezzi di prova previsti dal sistema;c) oppure ancora dal fatto che l’istruttoria è effettuata in modo atipico,quindi senza seguire le regole “ordinarie”.Ora i processi sommari soggiacciono ad una regola costante: ciascuna delle parti deve poter ottenere manifestando la sua volontà, l’instaurazione di un processo a cognizione piena, il cui atto conclusivo sostituisca gli effetti prodotti dal provvedimento emesso dal processo sommario.Il terzo co. Art 24 si occupa di un profilo diverso, la difesa giudiziaria dei non abienti. L’uguaglianza delle parti di fronte al giudice non si realizza, se alcune di esse non hanno la capacità economica di procurarsi un difensore. Il legislatore ordinario ha il dovere di predisporre “appositi istituti” per assicurare la difesa di chi non può permettersi di pagare l’avvocato.Con il DPR 30/5/2002 n 115, si è data una disciplina generale all’assistenza ai non abbienti in tutti i processi.Le linee fondamentali sono: un massimo di reddito, al di sopra del quale non si ha diritto al beneficio. L’istanza è presentata dall’ordine degli avvocati che ha sede dove l’ufficio del giudice di merito. Il ricorrente deve autoattestare la sussistenza dei presupposti di natura economica, ed indicare il diritto che intende far valere, e la tutela richiesta. Il consiglio dell’ordine valuta la non infondatezza delle pretese dell’istante, e lo ammette al patrocinio. Se il consiglio dell’ordine respinge l’istanza, l’interessato può riproporla al giudice di merito.L’ammissione ha effetto per tutti i gradi del processo, se la parte ammessa è vittoriosa, se è soccombente deve proporre una nuova istanza, e sotto porsi ad una nuova valutazione di non manifesta infondatezza.Il difensore è scelto dalla parte, ed è retribuito dallo stato. Inoltre, l’ammissione determina l’esenzione dal pagamento dei tributi e delle tasse inerenti al processo, nonché la retribuzione del consulente tecnico di parte. Se la controparte rimane soccombente, ed è condannata alla spese, queste sono ovviamente versate allo stato.Occorre, poi, tener presente che sussistono altre istituzioni, di natura privata, che offrono assistenza legale: fra le principali, si possono indicare i sindacati per le controversie dei lavoratori dipendenti, ed i patronati per le controversie pensionistiche. Secondo l’art 101, la giustizia è amministrata in nome del popolo: ciò si ricollega al principio di sovranità popolare, che è accolto dall’art 1, II cost.La soggezione del giudice alla legge, prevista dall’art 101, 2 co., può essere letta in molteplici direzioni. principio di legalitàSi diceva una volta che i giudici devono amministrare la giustizia, senza speranza e senza timore; l’unica soggezione che hanno è quella alla legge. Il ns ordinamento, come gli altri ordinamenti europei e diversamente da quelli di common law, non prevede il valore vincolante del precedente giudiziale: qualunque decisione vale solo per il caso concreto come norma agendi; per i casi analoghi può avere semplicemente efficacia di precedente.La decisione, che si discosta dal precedente, non è perciò solo illegittima. Tuttavia il precedente, sia pure in modo non vincolante, ha sicuramente un’autorità, che è efficace in quanto è persuasivo.L’art 102 cost recita al 2 co: “non possono istituiti giudici straordinari o giudici speciali”. Il giudice straordinario è quello istituito e incaricato della materia post factum. Un tale meccanismo viola l’art 102, perché il giudice deve essere precostituito per la fondamentale garanzia di imparzialità rispetto all’oggetto della lite. Nel processo civile si è presentato qualche volta il problema del giudice speciale; il giudice straordinario è ormai un relitto del passato. I giudici speciali sono istituiti dalla legge prima del fatto con competenza solo su determinate materie. Sono giudici speciali quelli diversi dai magistrati ordinari, di cui all’art 102.Essi non godono di tutte le garanzie proprie della magistratura ordinaria, e propri per questo la cost ne impedisce la istituzione. L’art 102 però procede “ possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione dei cittadini idonei estranei alla magistratura”.La sezione specializzata non è un organo giudiziario a sé stante, ma fa parte di un ufficio che è tendenzialmente destinato ad esaminare tutte le materie, non solo quelle specializzate.L’art 103 cost. riguarda la giustizia amministrativa. Le situazioni sostanziali protette non sono tutte riportabili allo schema del diritto soggettivo. Vi sono anche gli interessi legittimi, che sono correlati all’esercizio dei poteri autoritativi della PA, e la cui tutela si realizza attraverso l’impugnazione del provvedimento amministrativo illegittimo, che li lede. la distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi costituisce una delle questioni più spinose, su cui è imperniato il riparto di giurisdizione fra GO e GA.Gli organi giurisdizione amministrativa hanno peraltro giurisdizione anche relativamente a taluni diritti soggettivi, sempre naturalmente nelle materie disciplinate dal diritto pubblico.L’art 111, 2 co, cost garantisce il principio del contraddittorio e prevede la garanzia della ragionevole durata del processo: il legislatore cost. ha recepito e garantito il principio dell’economia processuale.Di notevole interesse sono l’art. 111, 6 e 7 co cost., che riguardano la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e la possibilità del ricorso per cassazione per violazione di legge contro tutte le sentenze.Il 6 co della norma stabilisce: “ tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. Il giudice, nella motivazione , deve dare conto dei criteri che sono stati utilizzati per la decisione della causa. Quindi la motivazione è l’esplicazione dei criteri e delle ragioni dell’atto pubblico giurisdizionale che costituisce esercizio del potere. Con la motivazione il giudice si assume la responsabilità della sua decisione. Nel processo civile i provvedimenti che il giudice pronuncia sono: sentenze, ordinanze e decreti.Le sentenze sono i provvedimenti che concludono il processo in un certo grado del suo sviluppo e che, anche se non concludono il processo, hanno uno dei contenuti previsti dall’art 279 cpc.La sentenza una volta pronunciata, esaurisce il potere giurisdizionale del giudice che l’ha emessa, e può essere rimossa soltanto attraverso i mezzi d’impugnazione che l’ordinamento prevede.Il processo civile conosce anche altri provvedimenti minori ( l’ordinanza e il decreto), che sono destinati a risolvere questioni interne al singolo processo. L’ordinanza, dice l’art 134 cpc, deve essere “succintamente” motivata e non può essere impugnata in via autonoma rispetto alla sentenza. Le questioni risolte con ordinanza talora debbono, talvolta possono essere riesaminate dal giudice al momento dell’emanazione della sentenza.I decreti sono qualcosa di inferiore rispetto alle ordinanze, e normalmente non sono motivati.

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La dottrina definiva i decreti come atti di amministrazione, nel senso che non decidono questioni ma sviluppano in senso ordinatorio il corso del processo. La motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, assolve a due funzioni diverse, che sono però in stretta interdipendenza fra di loro : sono quelle che la dottrina identifica con il controllo extra ed endoprocessuale . La motivazione serve a consentire la verifica a chi non è parte del processo, dei modi, dei tempi, delle forme, dei criteri con i quali il giudice decide la singola controversia: è uno specchio di garanzia. 1. La motivazione serve a dare trasparenza e controllabilità ai modi dell’esercizio del potere. E quindi ha una funzione che si proietta al di fuori dello stesso processo, ed è, extra processuale.2. Ma la motivazione ha anche un contenuto e una logica diverse, che sono strettamente collegate all’art 24 della cost: l’obbligo di motivazione serve a rendere attuali, concretamente spendibili i diritti di azione e di difesa in giudizio.Il modo con cui il giudice decide la causa serve a dare attuazione a tali principi, perché il soggetto soccombente nel processo ha lo strumento per rendersi conto non solo se la decisione è giusta, ma se questa presenta errori nella risoluzione delle questioni di fatto o di diritto.Quindi la garanzia della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali serve, dal punto di vista extra processuale, come mezzo di verifica circa l’esercizio del potere.Dal punto di vista endoprocessuale, è uno strumento di tecnica del processo che consente e realizza pienamente l’attuazione della garanzia della difesa.(Comma 7) L’art 111 stabilisce anche che “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge”, cioè agli errori di diritto : il termine “legge”, infatti, va inteso nel senso di “norma di diritto”; nello stesso senso, quindi, previsto dall’art 1delle preleggi del cc.Di solito si afferma che l’art 111, 7 co,cost. introduce la c.d. garanzia costituzionale del ricorso in cassazione. Ricordiamo anche che il precedente non ha valore vincolante, ma tuttavia, l’inesistenza del vincolo al precedente non significa che non sia opportuna l’esistenza, di un giudice di vertice, che assicuri l’uniforme e ordinata interpretazione delle norme, e che svolga una funzione di nomofilachia (custodia della norma).Ma come si può raggiungere questo risultato se il precedente della cassazione non è vincolante per i giudici che si troveranno ad affrontare la stessa questione di diritto, già risolta in cassazione? 1. Anzitutto, vi è l’autorevolezza dell’organo: le sentenze della corte possono, se convincenti, indurre gli altri giudici ad adeguarsi. Il precedente in tal caso s’impone perché il giudice è convinto che la soluzione data dalla cassazione sia corretta.2. Ma, se è vero il giudice è libero di discostarsi dal precedente della cassazione, è altrettanto vero che la parte soccombente ha diritto di impugnare la sentenza “dissenziente”, e di farla annullare dalla cassazione.Ecco, quindi, che, anche nei sistemi che non prevedono il vincolo al precedente, la funzione di nomofilachia può essere svolta dal giudice di vertice.Ma il precedente della cassazione costituisce un punto di partenza su cui ragionare. La funzione principale dell’art 111, sa articola sui seguenti punti:a) consentire alla corte di cassazione di potersi pronunciare su tutte le questioni di diritto esistenti, senza che questa sia subordinata a scelte insindacabili del legislatore ordinario per ricorribilità in cassazione.b) D’altro canto, non vigendo il principio del vincolo al precedente, deve essere possibile portare dinnanzi alla corte le sentenze che si discostano dal precedente: altrimenti la nomofilachia cadrebbe nel ridicolo.c) Il sistema non sarebbe, però, completo se la nozione di “sentenza”, ai fini dell’art 111, fosse quella di “ atto che ha la forma della sentenza,” cioè quella prevista dall’art 132 cpc. Infatti, no esiste alcun principio che imponga al legislatore di prevedere che l’atto conclusivo del processo abbia la forma della sentenza. In tal caso, se si ritenesse l’art 111 applicabile solo ai provvedimenti che hanno la forma della sentenza, basterebbe che il legislatore desse al provvedimento finale la forma del decreto o dell’ordinanza, per escludere la funzione di nomofilachia della corte.Ed è per questo che, la corte ha interpretato il termine sentenza dell’art 111 in senso sostanziale: non come provvedimento che ha la forma della sentenza, ma come provvedimento che ha gli effetti caratteristici che svolge il ruolo della sentenza.Ma, la corte non riesce ad intervenire in tutti i settori dell’ordinamento. Infatti, la corte richiede che l’ordinanza e il decreto, per essere considerati sentenza in senso sostanziale debbano avere lo stesso contenuto e la stessa disciplina come una sentenza, sicché rimangono esclusi quei provvedimenti che sono idonei al giudicato. Quindi la corte, così facendo, si preclude la possibilità di esercitare la propria funzione nomofilattica: a) Nel primo esempio fatto in relazione alle norme processuali relative alla tutela cautelare.b) Nel secondo caso anche in relazione alle norme sostanziali.Concludendo, l’art 111, 7 co, ha quindi senz’altro un profilo garantista, poiché consente sempre e comunque di denunciare gli errori di diritto compiuti dal giudice di merito; ma presenta anche, profili di interesse generale, affinché sia assicurata “l’esatta osservanza e l’uniforme applicazione della legge, e l’unità del diritto oggettivo nazionale”.Infine, l’8 co, dell’art 111 cost. stabilisce che “ contro le sentenze del consiglio di stato e della corte dei conti, il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione,”poiché avverso queste sentenze non è ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, perché essi stessi esercitano funzioni di nomofilachia.L’art 113 cost ha rilevanza per il processo civile sopratutto con riferimento al 3 co, secondo il quale spetta alla legge ordinaria determinare se gli atti della PA possono essere annullati dal GO o dal GA. Il legislatore ordinario ha fatto uso talvolta di tale possibilità, attribuendo al giudice ordinario il potere di annullare gli atti della PA.

CAP 7 PRINCIPI SOVRANAZIONALI

Ma oggi dobbiamo tener conto anche dei principi e delle norme di origine sovranazionale: in primo luogo, la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ratificata dall’itali nel 1955, all’art 6 ( diritto ad un processo equo) stabilisce che “ogni persona ha diritto ad un equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, che decide […] in ordine alla controversia sui suoi diritti ed obblighi di natura civile ”. Con la ratifica della convenzione, l’italia si è impegnata ad assicurare la realizzazione delle previsioni contenute nella convenzione. Ove uno stato venga meno agli obblighi previsti nella convenzione, la corte, accertata la violazione può condannare lo stato inadempiente a rimuovere gli effetti della lesione o al risarcimento dei danni subiti dalla parte lesa.Lo stato italiano è stato ripetutamente condannato per la violazione dell’art 6, soprattutto per l’eccessiva durata dei processi.In conseguenza di ciò è stata introdotta la legge Pinto, che consente alla persona lesa di ricevere dallo stato un risarcimento equivalente a quello che l’interessato riceverebbe dalla corte, cosicché egli non ha più motivo di proporre ricorso in sede europea.

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Di tutto altro genere è la portata del diritto comunitario: sappiamo che le norme europee hanno immediata efficacia nei singoli stati membri; ma non ha una propria struttura giurisdizionale competente per le materie regolate dal diritto comunitario e per le controversie che presentino profili rilevanti per l’ordinamento europeo.Nell’unione europea sono i giudici degli stati membri a dover applicare il diritto comunitario, che prevale, ove contrastante, sul diritto interno. Ma l’interpretazione e l’applicazione delle norme comunitarie è affidata ai singoli giudici statuali; e la corte di giustizia dell’unione europea ha lo stesso compito nomofilattico, che le corti supreme hanno all’interno di ciascun ordinamento statuale.Lo strumento è costituito dal rinvio pregiudiziale: quando il giudice di uno stato si trova a dover fare applicazione di una norma comunitaria, la cui interpretazione lascia qualche dubbio, può sospendere il processo e rimettere l questione interpretativa alla corte europea che dà la soluzione del dubbio sollevato.Il rinvio pregiudiziale è obbligatorio quando il dubbio sorga innanzi alla corte suprema.Infine dal 2000 in virtù del trattato di amsterdam, gli organi comunitari hanno iniziato ad interessarsi anche del processo civile interno ai singoli stati membri: e sono stati emanati dei regolamenti, che hanno lo scopo di armonizzare i rapporti fra i vari sistemi processuali interni.Ora visto che questi regolamenti si applicano alle controversie che presentano profili di rilevanza comunitaria, non vi è dubbio che hanno una forte attrattiva per i legislatori nazionali, che tendono di fatto ad adeguarsi ai principi contenuti in questi.

CAP 8 PRINCIPI COMUNI ALLE VARIE FORME DI TUTELA (DICHIARATIVA- ESECUTIVA -CAUTELARE)Il cpc è così strutturato: - il libro primo è dedicato alle disposizioni generali;- il secondo l processo di cognizione;- il terzo all’esecuzione forzata; - il quarto ai procedimenti speciali.Il libro primo pur contenendo disposizioni applicabili a tutti i processi, è stato scritto soprattutto per il processo di cognizione, quindi per poter applicare tali principi agli altri processi, occorre adattarli alle peculiarità di quest’ultimi.Prima di esaminare la parte generale del codice occorre precisare che le norme processuali regolano dei comportamenti umani: la struttura non è diversa dalle norme sostanziali.Ma le norme processuali sono secondarie rispetto alle norme sostanziali: l’attività giurisdizionale subentra laddove la realizzazione dell’interesse non si è verificata, e spetta alle norme processuali disciplinare l’attività necessaria a ripristinare la precedente realtà eventualmente lesa.Ora una delle caratteristiche fondamentali dell’attività giurisdizionale è la seguente: il controllo sulla conformità dei concreti comportamenti alle astratte previsioni delle norme processuali non è devoluto a meccanismi extragiurisdizionali.Dal fatto che il processo non può scaricare su meccanismi esterni il controllo del rispetto delle proprie regole, discende che la normativa processuale ha un profili primario (statico) , in cui opera come le norme sostanziali, ed un profilo secondario (dinamico), con il quale determina gli strumenti che hanno la funzione di controllare che le regole relative al primo profilo siano effettivamente rispettate, e di correggere gli illeciti eventualmente verificatesi.Qualunque processo, dunque, si deve occupare di due gruppi di questioni: le questioni di merito relative alla tutela della situazione sostanziale; e le questioni di rito, relative al corretto funzionamento del processo stesso.Le questioni di rito sono normalmente pregiudiziali alle questioni di merito, ovvero ove sorga una questione di rito, la sua decisione deve essere effettuata prima che siano decise le questioni di merito. Mentre la trattazione della questioni di rito può essere svolta anche contemporaneamente alla trattazione delle questioni di merito.Non tutte le questioni di rito, però, sono uguali tra loro:vi sono questioni di rito che costituiscono requisiti indispensabili perché il giudice possa scendere all’esame di merito.E desistono, invece, questioni di rito che non incidono sulla possibilità di emettere una decisione di merito, ma sul suo contenuto, perché riguardano l’individuazione del materiale utile per decidere del merito.Le questioni di rito che condizionano l’emanazione della pronuncia di merito si chiamano PRESUPPOSTI PROCESSUALI. Ma la terminologia più corretta sarebbe “condizioni per la decisione del merito”, perché quelle di cui parliamo non sono condizioni affinché il giudice possa scendere alla decisione del merito, anche se si continua a utilizzare presupposti processuali.Questi sono a numero chiuso, individuati dal legislatore, e non sono disponibili dalle parti. Possono essere distinti in:

a) presupposti processuali che attengono all’organo giudicante : giurisdizione, competenza, e regolare costituzione del giudice;b)presupposti processuali che attengono all’oggetto della controversia: cosa giudicata, litispendenza e fenomeni assimilabili, nonché gli altri eventuali impedimenti alla decisione di merito;c) presupposti processuali che attengono alle parti: capacità, legittimazione, interesse ad agire, rappresentanza tecnica, instaurazione del contradittorio e l’integrità del contraddittorio.

Riepilogo:abbiamo detto che il processo è al servizio del diritto sostanziale: il ponte fra diritto sostanziale e processo è costituito dalla domanda giudiziale, prima, e provvedimento giurisdizionale poi. Le norme processuali disciplinano questi atti estremi nonché quelli intermedi fra il primo e l’ultimo.Il primo argomento da affrontare quindi è la domanda giudiziale che individua l’oggetto del processo, e su questo si misurano anche alcuni presupposti processuali.

CAP 9 DOMANDA GIUDIZIALE ED EFFETTI

Abbiamo già detto che la domanda giudiziale è il punto di passaggio, fra il diritto sostanziale e il processo, così come la sentenza sarà poi il ponte tra il processo e il diritto sostanziale.La proposizione della domanda avviene con l’atto introduttivo del processo, che è lo strumento con il quale si mette in moto il meccanismo processuale. L’atto introduttivo del processo deve contenere una domanda giudiziale: altrimenti non è individuato l’oggetto del processo, e non si rende possibile alcuna attività.Quindi il primo atto del processo deve necessariamente contenere la domanda: ma una domanda può essere inserita anche in altri atti del processo: quando ciò accade si ha un processo con più oggetti o meglio un processo oggettivamente “cumulato”. Si ha un processo cumulato anche quando, con un unico atto, si propongono più domande.Quando parliamo di proposizione della domanda dobbiamo tener conto che l’argomento presenta un duplice aspetto: l’atto del processo che contiene la domanda può essere variamente regolato dal legislatore, che ad es può stabilire che tale atto assuma certe forme invece che altre.Quindi ci interessa esaminare la domanda giudiziale quale trait d’union fra diritto sostanziale e processo, con la funzione di individuare la funzione del processo.

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Ma le parti non sono libere di individuare l’oggetto del processo, vi è un contenuto minimo della domanda, che risponde a precise esigenze pubblicistiche. Secondo opinione molto diffusa, con la domanda si deve chiedere l’accertamento di un diritto, e non si può ricorre al giudice al solo fine di ottenere l’accertamento di singole questioni.Da un altro punto di vista, possiamo dire che la domanda deve avere ad oggetto la richiesta di risolvere la controversia, dettando le regole di condotta concrete che sostituiscano le norme generali ed astratte: non può avere ad oggetto solo l’accertamento di una questione, senza che queste regole siano determinate.Esaminiamo gli elementi dell’OGGETTO:A) i diritti assoluti in genere, ivi compresi i diritti reali e quelli che hanno ad oggetto un bene determinato, si identificano sulla base di tre elementi: il titolare del diritto, il bene che ne costituisce l’oggetto e il tipo di utilità garantito dall’ordinamento. I diritti appartenenti a questa categoria si denominano autoindividuati. Per individuare il diritto non c’è bisogno di stabilire in virtù di quale fattispecie esse è sorto. Un diritto rimane identico quando è acquisito per compravendita, donazione, usucapione, successione ereditaria, etc. Il diritto è sempre il medesimo anche se cambia la fattispecie costitutiva: nel digesto si affermava che “,non si può essere proprietari dello stesso bene più di una volta”.Al moltiplicarsi dei titoli di acquisto il diritto rimane unico, ciò che conta infatti è l’attuale esistenza del diritto di proprietà sul bene. Mentre se muta l’utilità garantita muta anche il diritto.B) il discorso è diverso per i diritti di credito aventi ad oggetto una prestazione ripetibile dove gli elementi identificatori sono l’oggetto e la fattispecie costitutiva del diritto.I diritti di questo tipo si chiamano anche eteroindividuati, perché hanno bisogno della loro fattispecie acquisitiva per essere individuati.Ma sorge un problema delicato quando la diversità del fatto comporta anche una modificazione della fattispecie: a prima vista diremo che siamo in presenza di due diritti diversi. Tuttavia quando la relazione fra i due diritti è tale che l’esistenza dell’uno esclude l’esistenza dell’altro, essi sono un diritto solo.Ma questi non devono essere confusi con le ipotesi in cui vi è un vero concorso di più diritti: qui i diritti sono effettivamente diversi, e tra loro collegati solo per il fatto che l’estinzione dell’uno comporta l’estinzione dell’altro.Un’altra ipotesi di diritti concorrenti è data dalle azioni petitorie e da quelle possessorie.C) l’identificazione dei diritti potestativi è molto controversa. Nell’annullamento per es possiamo ipotizzare i casi di dolo a, b e c, ciascuno dei quali sufficiente ad integrare la fattispecie di annullamento. Ma abbiamo possibili soluzioni, nessuna delle quali prevalente:prima alternativa: il diritto potestativo è identificato da ciascun episodio storico concreto sufficiente ad integrare il motivo di annullamento.Seconda alternativa: il diritto potestativo è identificato dal motivo giuridico (dolo, errore o violenza). L’annullamento del contratto può essere prodotto da tre diritti potestativi.Terza alternativa: il diritto potestativo si identifica per l’effetto giuridico che produce (l’annullamento) e non per ciò che lo fonda. Il diritto è unico ed è il diritto all’annullamento.In sostanza, per evitare il moltiplicarsi dei processi, occorre costruire un oggetto molto ampio; ma il giudicato che deriva da un processo con un oggetto ampio produce anche una preclusione ampia, e quindi rischia di condurre ad una decisione “ingiusta”, perché i fatti non dedotti sono preclusi, e non potranno mai essere esaminati da alcun altro giudice.La domanda giudiziale, oltre all’individuazione del diritto deve contenere l’individuazione della lesione perché è l’illecito che costituisce la specifica occasione dell’intervento giurisdizionale ed è sulla lesione prodotta dall’illecito che si misura la tutela richiesta.Chi propone la domanda giudiziale, quindi, non può limitarsi a chiedere tout court la tutela giurisdizionale di una propria situazione sostanziale protetta, ma deve anche individuare quale comportamento la controparte doveva tenere, e non ha tenuto.Infine, ultimo elemento, è l’individuazione della tutela richiesta, cioè gli effetti che si chiede al giudice di produrre. Tali effetti debbono essere in astratto previsti dall’ordinamento.Da qui possiamo distinguere gli effetti della domanda giudiziale in 3 categorie: gli effetti meramente procedimentali; gli effetti processuali in senso stretto; gli effetti processuali in senso stretto; gli effetti cd sostanziali.Gli EFFETTI meramente procedimentali non sono propriamente effetti della domanda, ma dell’atto che la contiene, e sono costituiti dal potere di compiere l’atto immediatamente successivo.Il primo e fondamentale effetto processuale in senso stretto dell’atto introduttivo è la litispendenza, ad essa possono essere ricondotte:- la litispendenza in senso proprio;- la irretrattabilità della domanda che non può essere ritirata senza il consenso della controparte costituita; - la pertpetuatio iurisdictionis;- la possibilità di successione processuale.Gli effetti processuali in senso stretto si ricollegano al fatto che il processo è pendente e riguardano il rito.Gli effetti sostanziali della domanda incidono invece sul contenuto di merito della pronuncia, vanno distinti in due categorie. Nella prima rientrano le ipotesi in cui è rilevante la proposizione della domanda.La conseguenza è la seguente: gli effetti sostanziali si producono solo per il fatto che la domanda è proposta, ed è irrilevante che il processo giunga ad una decisione di merito.In realtà, non è necessario neppure che il processo sia avviato. È sufficiente notificare la citazione alla controparte, senza neppure iscrivere la causa a ruolo.Più complessi sono gli effetti sostanziali che rientrano nella seconda categoria: e che presuppongono l’accoglimento della domanda, cioè se sarà riconosciuto esistente il diritto che è fatto valere nel processo.Gli effetti sostanziali che rientrano nella seconda categoria hanno in comune il seguente fondamento. Come sappiamo il processo ha una durata; e passa necessariamente un certo periodo di tempo dall’accoglimento al momento di impartire tutela e, può accadere che nel corso del processo si verifichino fatti che pregiudicano l’interesse di colui che ha proposto la domanda.Questo fenomeno deve essere ostacolato, perché contrasta con il diritto di azione. Colui che è costretto a rivolgersi al giudice non deve subire un pregiudizio per il fatto di aver avuto bisogno della tutela giurisdizionale. Devono cioè essere “sterilizzati” i danni conseguenti alla durata del processo, e in questo caso subentra la terza forma di tutela cautelare, che ha la funzione appunto di conservare l’interesse della parte alla tutela, che sarà concessa al termine del processo.Gli effetti sostanziali della domanda servono ad evitare pregiudizi: le norme sostanziali per così dire di diritto comune, sono disapplicate, e sono applicate norme sostanziali speciali, quando l’applicazione delle norme comuni arrecano un pregiudizio alla parte che avrà ragione.Quindi l’effetto sostanziale della domanda consiste nel non applicare la norma che pregiudica la parte che ha ragione, previsto dall’art 2945 cc.L’effetto appena illustrato è l’effetto sospensivo che si perde se non si giunge ad una sentenza di merito, e deve, quindi, essere ricollegato all’accoglimento della domanda.Altra ipotesi di effetti sostanziali della domanda è prevista dall’art 111 cpc in materia di successione nel diritto controverso: qui gli effetti sostanziali della domanda sono utilizzati per risolvere il conflitto fra la parte che ha ragione ed un terzo avente causa dalla parte soccombente.

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CAP 10 GIURISDIZIONE [1° presupposto processuale]La giurisdizione del giudice ordinario trova 3 limiti: in relazione alla persona del convenuto, nei confronti degli altri poteri pubblici; nei confronti degli organi giurisdizionali speciali.Nel nostro sistema non esistono limiti per l’attore, visto che l’art 24 cost, afferma “che tutti possono agire in giudizio”.Mentre esiste un limite con riferimento al convenuto. L’art 3 della L 218/1995, sul diritto internazionale, utilizza come criterio di collegamento principale il domicilio o la residenza in italia del convenuto.Vi è poi un limite nei confronti degli altri poteri pubblici, come limite al potere giurisdizionale nei confronti della PA, ma gli stessi principi valgono anche nei confronti degli altri poteri dello stato.Il limite in questione non va confuso con quello che riguarda l’individuazione del giudice che ha giurisdizione per controllare l’attività della PA, per decidere delle controversie relative all’esercizio del potere amministrativo.Vi è infine il limite verso le giurisdizioni speciali. Il criterio generale è fornito dall’art 1 cpc: la giurisdizione ordinaria si espande fino ai confini estremi dell’attività giurisdizionale”. In pratica quella ordinaria ha portata generale e residuale, laddove non sia stabilito diversamente.- Il primo e fondamentale settore in cui vi è carenza di giurisdizione del giudice ordinario riguarda la legittimità costituzionale delle norme primarie, il cui sindacato è sottratto al giudice ordinario ed è attribuito alla corte costituzionale.- Vi sono poi diversi altri giudici speciali, con i quali il giudice ordinario spartisce la giurisdizione, normalmente in ragione della materia.- Un’altra fetta di potere giurisdizionale è sottratta al giudice ordinario non più in relazione alla materia, ma con riferimento a certe questioni relative alle controversie, ch’egli deve decidere.Per es: il rinvio alla corte di giustizia dell’unione europea è facoltativo, quando la questione sorge davanti un giudice il cui provvedimento è impugnabile; e diventa necessario quando sorge davanti a un giudice di ultima istanza. Un’altra questione importante da esaminare riguarda il modo con cui vengono individuate le condizioni che conferiscono la giurisdizione al giudice ordinario. La norma di solito non individua nominativamente i soggetti cui è destinata.Ora talvolta la fattispecie è composta da un fatto compiuto, non suscettibile di ripetersi nel tempo o da un fatto storico che dura nel tempo.Quando la fattispecie del presupposto processuale è costituita da un fatto suscettibile di mutamento nel tempo,se il fatto sussiste all’inizio del processo, ma viene meno nel corso dello stesso, verrebbe meno anche la possibilità di emettere la pronuncia di merito.Per evitare inconvenienti, l’art 5 cpc, stabilisce che la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda.Quando la giurisdizione e la competenza si determinano sulla base di una situazione che si evolve nel tempo l’ordinamento blocca la norma ed il fatto rilevanti per la sussistenza della giurisdizione e della competenza al momento della proposizione della domanda. Un’ulteriore questione riguarda la disponibilità convenzionale delle regole della giurisdizione, e cioè se le parti possono istituire regole sulla giurisdizione diverse da quelle previste dall’ordinamento.Un principio fondamentale del processo è che le norma processuali sono, in via di principio e salvo previsione contraria inderogabili dalla volontà delle parti. Le parti non possono disapplicare una norma vigente oppure introdurre una nuova norma.Il mezzo attraverso il quale nel processo di cognizione si controlla il rispetto delle norme processuali, è la rilevazione della questione.“rilevare la questione” significa che le questioni relative al rispetto delle norme processuali divengono oggetto di trattazione e decisione, come le questioni di merito.Quando la rilevazione proviene dalle parti prende il nome di “eccezione”: termine ambiguo perché usato anche per un altro strumento processuale che riguarda il merito.Qui invece si tratta di una questione di rito, cioè relativa al processo.La rilevazione è sempre possibile per le parti e talvolta può essere effettuata anche d’ufficio dal giudice: che può rilevare la insussistenza delle condizioni per poter passare alla decisione di merito.La tecnica della rilevazione è utilizzabile solo nei processi di cognizione che hanno funzione e struttura dichiarativa: negli altri processi il controllo del rispetto delle norme processuali avviene mediante l’instaurazione di un processo di cognizione volto a decidere se il comportamento processuale tenuto è secundum oppure contra ius.Per quanto riguarda le questioni di giurisdizione dell’art 37 cpc si ricava che il difetto di giurisdizione è rilevabile dal convenuto; ma non è rilevabile dall’attore, perché non è stato l’attore a scegliere il giudice, della cui giurisdizione si discute. Nel processo civile vige il PRINCIPIO DI AUTORESPONSABILITÀ di cui una regola è “nessun soggetto è legittimato a far valere i vizi del processo a cui egli ha dato causa”. Quindi, quando l’art 37 cpc stabilisce che il difetto è rilevabile anche d’ufficio, intende comunque escludere il soggetto che ha dato causa al vizio di cui si lamenta. Se il giudice, invece, nega la propria giurisdizione, l’attore è titolare di una situazione processuale protetta e quindi può fare riesaminare la questione da un altro giudice.Il convenuto può impugnare la sentenza se il giudice afferma la propria giurisdizione e, se il giudice nega la propria giurisdizione, il convenuto può impugnare la sentenza solo se non ha chiesto lui al giudice di dichiararsi carente di giurisdizione. In ambo i casi il convenuto non può impugnare la sentenza che accoglie la sua richiesta (non ha diritto di lamentarsi colui che ha avuto ciò che ha chiesto). Un’altra precisazione riguarda la dizione “in qualunque stato e grado del procedimento”, a tale espressione vanno sottointese le parole “per la prima volta” (art 37):infatti secondo recenti sentenze della cassazione è rilevabile dalle parti e dal giudice solo nel processo di primo grado e, solo dalle parti, con gli atti introduttivi del giudizio di appello. Il risultato cui giunge la cassazione può anche essere de iure condendo (in merito al diritto che dovrebbe essere formulato) apprezzabile, ma è de iure conditio ( secondo la normativa esistente) errato, perchè l’art 37 è chiaro nel ritenere non soggetto a preclusione il rilievo del difetto di giurisdizione anche nei confronti dei giudici speciali.Una volta rilevata la questione di giurisdizione, il giudice deve affrontarla e deciderla con una sentenza. Se il giudice afferma la propria giurisdizione e il convenuto, soccombente sul punto, non ripropone la questione in sede d’impugnazione, la decisone sulla giurisdizione passa in giudicato, ed il giudicato ne impedisce l’ulteriore rilevazione nel successivo svolgimento del processo.Questo principio vale anche per tutti gli altri presupposti processuali rilevabili in ogni stato e grado del processo.La loro rilevabilità cessa di fronte al formarsi del giudicato sulla questione, una volta che è stata rilevata e decisa.L’idea su cui si basa la teoria della decisione implicita non è accettabile oltre tutto perché, se fosse fondata, significherebbe abolire la categoria delle questioni di rito rilevabili in ogni stato e grado del processo. Ogni decisione di merito significherebbe, implicitamente ma necessariamente, che sussistono tutti i presupposti processuali positivi e che non esiste alcun presupposto processuale negativo. Un po’ troppo. Il difetto di giurisdizione nei confronti del convenuto ha una disciplina diversa. Le ipotesi sono tre: quando la controversia abbia ad oggetto beni immobili situati all’estero; quando il convenuto è contumace, cioè non si è costituito nel processo ; quando la giurisdizione è esclusa per effetto di una norma internazionale. Se il convenuto si è costituito, la questione è rilevabile solo dal convenuto in qualunque stato e grado del processo, purché egli non abbia accettato espressamente o tacitamente la giurisdizione italiana. Sa ha accettazione quando il

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convenuto manifesta la volontà di accettare la giurisdizione italiana, mentre è tacita quando il convenuto si costituisce e si difende nel merito senza sollevare l’eccezione di carenza di giurisdizione.Se invece il convenuto si costituisce e si difende nel merito ma contesta anche la giurisdizione, non si ha accettazione tacita. La rilevazione della questione di giurisdizione investe il giudice del dovere di decidere la questione stessa; nel nostro sistema si parte dal principio che il giudice una volta investito dalla domanda ha il potere di valutare tutti i presupposti compresi quelli che lo riguardano. A tale principio si fa eccezione solo per quanto riguarda la ricusazione.Il potere che viene posto in contestazione è il potere di decidere nel merito, ma il potere di accertare l’esistenza dei presupposti processuali rimane del giudice per il solo fatto di essere stato investito della domanda; quindi il potere di decidere nel merito è condizionato alla sussistenza dei presupposti processuali; mentre il potere di valutare se si ha il potere di decidere ( in rito nel merito) è svincolato dalla sussistenza dei presupposti processuali. Se il giudice ritiene di non avere giurisdizione, lo dichiara con sentenza. Le conseguenze del difetto di giurisdizione sono diverse a seconda che si tratti di un difetto di giurisdizione assoluto o relativo.Ora i limiti della giurisdizione si individuano in tre direzioni: il convenuto gli altri poteri pubblici, i giudici speciali. Ebbene, i primi due limiti comportano un difetto assoluto di giurisdizione.Il terzo limite, invece, integra un difetto di giurisdizione relativo, perché la carenza di giurisdizione del giudice ordinario comporta che, nell’ordinamento, esiste un altro giudice che può fornire la tutela richiesta.Quindi mentre nel primo caso il giudice adito si limita a dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, nel secondo caso deve anche indicare qual è il giudice che è fornito di giurisdizione per quella controversia: innesca così il meccanismo di sanatoria del difetto di giurisdizione . Ai sensi dell’art 59, L 69/2009, se la domanda è riproposta innanzi al giudice fornito di giurisdizione, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice fosse stato adito fin dall’inizio. Occorre quindi tener conto dei possibili termini di decadenza.Se il processo è riassunto, le parti sono ovviamente vincolate all’indicazione del giudice munito di giurisdizione, essendovi una sentenza passata in giudicato che dichiara che la giurisdizione spetta a quel giudice, mentre se la causa è riproposta il giudice è vincolato alla sentenza che dichiara la sua giurisdizione solo se questa è pronunciata dalle sezioni unite della corte di cassazione: altrimenti egli può rilevare di non essere munito di giurisdizione, e con ordinanza rimette la questione davanti alle sezioni unite della corte di cassazione.Se la domanda non è riproposta tempestivamente, gli effetti sostanziali e processuali della prima domanda si perdono, ma anche se non è idonea a causa della tardività, a salvare la prima litispendenza, è perfettamente idonea ad aprirne una nuova. Per la sola giurisdizione esiste inoltre il REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE disciplinato dall’art 41, I cpc, che è il mezzo con cui il potere di decidere è sottratto al giudice adito e rimesso alla corte di cassazione. Il regolamento è un mezzo preventivo perché previene la decisione del giudice sul punto; mentre l’impugnazione è un posterius rispetto alla decisione del giudice, ove si chiede ad un altro giudice di modificare la decisione emessa; col regolamento, invece, si sottrae al giudice adito il potere di decidere della questione di giurisdizione.L’art 41 cpc stabilisce che ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della cassazione di risolvere la questione di giurisdizione: quindi di decidere se vi è o no giurisdizione.La prima questione da esaminare riguarda l’espressione “ finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado.” La corte infatti interpreta la norma come comprensiva di ogni sentenza pronunciata in primo grado, sia di merito sia di rito.Quando il regolamento non è più proponibile, la questione di giurisdizione può essere coltivata attraverso i normali mezzi di impugnazione.La parte quindi può ugualmente investire la corte della questione, proponendo appello avverso sentenza di primo grado, e ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello.La finalità che il legislatore vuole raggiungere attraverso il regolamento di giurisdizione è quella di dare alle parti la possibilità di avere subito una pronuncia definitiva sulla giurisdizione.Questo perché la cassazione è l’organo vertice per la giurisdizione, e le sue decisioni statuiscono in modo definitivo sulla giurisdizione.Il regolamento quindi consente di ottenere subito una pronuncia vincolante sulla giurisdizione, senza correre il rischio di sentirsi dire dalla cassazione, che si è scelto il giudice sbagliato , ed occorre iniziare da capo innanzi ad un altro giudice. La proposizione del regolamento di giurisdizione determina una sospensione discrezionale: il processo di merito è sospeso, tranne che il giudice adito valuti il regolamento manifestamente infondato.La possibilità di procedere verso la decisione di merito nonostante la proposizione del ricorso abbia sottratto al giudice il potere di decidere della questione fa sorgere il problema di stabilire cosa accade se la sentenza di merito viene emessa e magari passa in giudicato prima che la cassazione abbia deciso il regolamento.Nulla quaestio se la cassazione afferma la giurisdizione del giudice che ha emesso la sentenza di merito; se, invece, la giurisdizione è negata, occorre coordinare le due sentenze.E quindi se la cassazione nega la giurisdizione, viene meno un presupposto necessario per la sentenza di merito, che è caducata in virtù dello stesso principio, di cui fa applicazione l’art 336 cpc.Si fa riferimento all’art 336 come applicazione analogica della eadem ratio (stessa ragione). Oltre al regolamento di giurisdizione proposto dalla parte, si ha anche il regolamento proposto da un soggetto estraneo al processo: la PA che non è parte in causa. Questa può chiedere alla corte che sia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice onorario: si tratta di rivendicazione dell’esercizio di poteri di amministrazione attiva, attribuiti alla PA dalla legge, non il controllo degli atti della PA.Quando si chiede di esercitare un potere che spetta invece alla PA si ha un difetto assoluto di giurisdizione, e la PA ha il potere di sollevare il regolamento di giurisdizione.Le questioni di giurisdizione sono rilevabili in ogni stato e grado del processo finché non si sia formato il giudicato dopodichè il regolamento di giurisdizione ( strumento interno al processo) non può più essere proposto, ma la PA può sollevare il conflitto di attribuzione (strumento esterno al processo).

CAP 11 COMPETENZ APER MATERIA E PER VALORE [2° presupposto processuale]

La competenza è definita come la ripartizione interna del potere appartenente a ciascun settore giurisdizionale. Naturalmente problemi di competenza si pongono quando vi sono più uffici giurisdizionali competenti in prima istanza. La ripartizione di potere può essere: orizzontale oppure verticale. Problemi di competenza in senso orizzontale si hanno quando il tipo di ufficio competente in prima istanza è uno solo, ma vi sono più uffici giurisdizionali distribuiti sul territorio.Per la giurisdizione ordinaria, è necessarie anche una distinzione verticale, perché i giudici ordinari competenti in primo grado sono 2: il giudice di pace e il tribunale. Occorre, quindi, stabilire il tipo di ufficio competente, ed a quale spetta la competenza.Vi sono poi altri organi che hanno competenza solo per l’impugnazione: la corte d’appello e la corte di cassazione.L’appello avverso le sentenze del giudice di pace è di competenza del tribunale, che è l’unico organo giurisdizionale ordinario, che assolve funzioni di primo e secondo grado, in materia civile.

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Il giudice di pace è un organo monocratico onorario. Il tribunale è organo collegiale formato da 3 soggetti. La corte d’appello è sempre organo collegiale, formato da 3 soggetti. La cassazione, invece, normalmente decida nella composizione di 5 consiglieri; quando decide a sezioni unite è composta da 9 consiglieri.Le regole di competenza non hanno solo una portata organizzatoria, ma anche una portata garantista, verso l’attuazione di un principio costituzionale.I criteri per stabilire la competenza sono 3: 2 in senso verticale , per individuare se competente è l’ufficio del giudice di pace o del tribunale; ed uno in senso orizzontale, per individuare quale dei più uffici giurisdizionali del tipo individuato è competente a decidere della controversia.L’ordine dei criteri di competenza è quindi il seguente: prima quello verticale, per individuare il tipo di ufficio, e successivamente, quello orizzontale, per individuare quale ufficio, del tipo individuato attraverso il criterio verticale, è competente per territorio.I due criteri verticali sono: il criterio della materia e il del valore (da 7 a 17 cpc). Il criterio orizzontale è uno: quello per territorio (da 18 a 30 cpc).Iniziamo dai criteri verticali. Il criterio per materia si utilizza con precedenza rispetto al criterio per valore. Dapprima si vede se esiste un criterio di competenza per materia e se non sussiste si passa al secondo criterio, quello per valore, che è residuale rispetto al primo.Il giudice di pace è competente per: le cause relative ad apposizioni di termini e osservanza delle distanze; le cause relative alla misura e modalità d’uso dei servizi di condominio delle case; le cause relative a rapporti tra proprietari di immobili adibiti a civile abitazione in materia di emissioni di fumo o di calore, esalazioni,…; per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali.Il tribunale è competente in materia di stato e capacità delle persone, in materia di diritto onorifici, per la querela di falso; in materia di imposte e tasse quando non abbia giurisdizione il giudice tributario.Bisogna poi tener presente che il tribunale ha ereditato le competenze per materia del pretore, in base all’art 1 D.Lgs 51/1998.( es cause locative, del lavoro ) La competenza per materia si determina sulla base delle affermazioni dell’attore (domanda).Esiste infatti un principio generale in virtù del quale un presupposto processuale si determina dalla domanda allorché rilevanti siano l’esistenza e/o il modo di essere della situazione sostanziale dedotta in giudizio, o più in generale fatti rilevanti anche per il merito.È quindi ragionevole che ci si accontenti dell’affermazione dell’attore: perché egli si impegna anche ai fini del merito e, se ha affermato qualcosa che il giudice poi accerta inesistente, l’attore “paga” con la soccombenza nel merito.Al contrario, se il presupposto processuale è integrato da fatti che non sono rilevanti anche per il merito e sorge questione sulla sussistenza del presupposto processuale, occorre che sia accertata l’esistenza di questi fatti, e il giudice non può accontentarsi di quanto racconta l’attore, perché le affermazioni dell’attore non sono rilevanti per l’accoglimento della domanda. Se sussiste una competenza per materia, si procede all’individuazione di una competenza territoriale. Se la competenza per materia no è prevista per quella controversia, opera il criterio residuale del valore.Contro tale criterio sono state sollevate diverse critiche, perché il valore della controversia non è un criterio razionale per determinare la competenza.Ma vediamo:il giudice di pace è competente per valore per le cause relative a beni mobili(art 7 cpc) di valore non superiore a 5,000.00€.bisogna approfondire “ cause relative a beni mobili”: cioè cause relative a diritti reali su beni mobili o immobili, rimangono quindi comprese tutte le cause in cui il bene immobile appare non come oggetto di diritto reale, ma come punto di riferimento di un diritto diverso. Dunque per tutte le cause fino a 5,000.00€, tranne per quelle che abbiano ad oggetto un diritto reale su un bene immobile, per certe controversie la competenza sale a 20,000.000€.Il tribunale è competente per tutte le cause relative a diritti reali su beni immobili, recuperando la competenza che manca al giudice di pace; per le cause relative ai beni mobili di valore superiore ai 5,000.00 €, e secondo l’art 9 cpc, il tribunale è competente per ogni causa di valore indeterminabile. È possibile che il valore della causa non possa essere determinato, quindi sia indeterminabile. In questo caso è necessaria una norma di chiusura che individui l’ufficio competente in prima istanza: nel caso concreto, il tribunale, (indeterminato significa che in concreto non è determinato ma in astratto è determinabile). Ora è necessario stabilire come si determina il valore della causa ai fini della competenza. A ciò sono dedicati gli artt. 10-15 cpc. Per mezzo di questi si attribuisce valore alla causa, e poi si vede sa tale causa rientra nella competenza del giudice di pace o del tribunale.Il criterio fondamentale per la determinazione del valore è enunciato dall’art 10: “il valore della causa ai fini della competenza si determina dalla domanda.” Non è rilevante cioè che il giudice accerterà, ma è rilevante ciò che è stato domandato. Quid disputatum (ciò che l’attore chiede), quid decisum (ciò che il giudice riconosce che è dovuto).Può darsi che nel corso del processo l’attore modifichi la sua domanda aumentando o diminuendo le sue richieste. La modificazione è possibile fino al momento del passaggio della causa dalla fase istruttoria alla fase decisoria, ossia fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.Se la modifica è in aumento e l’aumento fa superare il limite massimo di competenza del giudice adito, il giudice diviene incompetente, e la causa deve essere rimessa al giudice superiore.Si discute se la modifica in diminuzione (quando cioè si riduce la domanda) sia rilevante ai fini della competenza oppure no.Vi sono diverse opinioni, ma tutte sono d’accordo nel dire che le diminuzioni della domanda incidono sul merito, ma non sulla competenza.L’art 10 stabilisce che la competenza si determina dalla domanda come questa eventualmente si evolve nel corso del processo. E se le modificazioni in aumento sono rilevanti dovrebbero essere rilevanti anche quelle in diminuzione.Il secondo comma dell’art 10 disciplina il fenomeno della sommatoria fra domande che ha luogo quando, con un unico atto, una parte propone una pluralità di domande contro una stessa controparte. Non si opera la sommatoria nelle seguenti ipotesi:a) le domande di una parte contro l’altra non si sommano tra loro;b) le domande proposte, anche con un unico atto, contro soggetti non si sommano;c) le domande proposte da una parte nei confronti della controparte con un atto non si sommano alle domande proposte con un altro atto vs la stessa controparte;d) ove vi sia ragione di connessione, più cause proposte in distinti processi possono essere riunite in un processo unico. Anche in tale ipotesi le domande non si sommano, perché sono state proposte con atti diversi.e) Può darsi che più domande siano proposte con un unico atto nei confronti di uno stesso soggetto, ma non in modo incondizionato. Si ha cumulo incondizionato,quando più domande sono proposte in modo tale, che l’esito dell’una non condizioni l’esame dell’altra.Il cumulo è incondizionato anche quando l’esito dell’una incide sull’esito dell’altra domanda; è condizionato se l’esito dell’una incide sull’esame dell’altra. Il condizionamento può avere luogo in 3 modi diversi.Il primo modo di condizionamento è l’alternatività: l’attore chiedere questo o quello. L’attore può esprimere una preferenza è il giudice che accoglie la domanda che per prima è matura per la decisione.Il secondo modo è il cumulo condizionato in senso proprio: l’attore propone in via principale una domanda, e nel caso sia rigettata, ne propone un’altra.

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Il terzo modo è il cumulo condizionato in senso improprio: in caso di accoglimento di una domanda si chiede di esaminare anche l’altra. La differenza con la precedente è che se le due domande sono proposte incondizionatamente cumulate, il giudice esamina la prima che è pregiudiziale e, se la rigetta, rigetta anche la seconda; se invece le domande sono cumulate in via condizionata impropria, il giudice esamina la prima e se la rigetta, non esamina la seconda.In tema di competenza le domande non si sommano mentre in caso di cumulo improprio deve essere effettuata la somma fra le due domande, perché ambedue possono essere accolte.f) Le due domande proposte nello stesso atto dallo stesso soggetto nei confronti della stessa controparte, sono una soggetta alla competenza per materia e l’altra soggetta alla competenza per valore. In tal caso le due domande non si sommano.Un’eccezione all’art 10 è contenuta nell’art 11 che prevede che “ se è chiesto da più persona o contro più persone l’adempimento per quote di una obbligazione il valore della causa si determina dall’intera obbligazione.” Si tratta de eccezione perché qui fa difetto l’unicità dei soggetti.Va precisato che questo articolo si applica nel caso di inadempimento pro quota, quindi non si applica alle obbligazioni solidali o a quelle divisibili.L’art 12 cpc contiene 2 disposizioni, la prima stabilisce che “il valore delle cause relative all’esistenza, validità o risoluzione, di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte di rapporto che è in contestazione.”Il rapporto giuridico obbligatorio è quella figura di diritto sostanziale che ha funzione di unificare fra loro una pluralità di effetti giuridici, per dare loro una disciplina unitaria e coerente. Il rapporto giuridico obbligatorio in se per sé non garantisce alcun bene della vita.Inoltre l’art 12 nelle cause relative all’esistenza, validità e risoluzione di un rapporto obbligatorio istituisce un criterio di semplificazione per determinare il valore della causa ai fini della competenza.In relazione al rapporto giuridico obbligatorio, per quanto riguarda la competenza, possono accadere 2 cose: può essere dedotto in giudizio uno dei diritti che nascono dal rapporto, in tal caso il legislatore fa riferimento a quella parte del rapporto che è in contestazione.Può darsi che non sia dedotto un singolo effetto, ma anche che sia chiesto l’accertamento dell’esistenza o inesistenza del rapporto in sé. In tal caso, il criterio semplificatore non funziona e il valore va determinato sulla base dell’intero rapporto.Resta ancora da stabilire come si calcola il valore dei beni da dividere, dell’obbligazione da adempiere. A questo fine gli art 14 e 15 cpc stabiliscono come si determina il valore di una somma di denaro, bene mobile o immobile: in un primo momento si individua ciò che è rilevante per calcolare il valore: poi si calcola il valore di ciò che è stato individuato come rilevante per la competenza.Art 14 caso in cui è controversa 1 somma di denaro o diritto su bene mobile:somma di denaro: questa può essere o quantificata o non quantificata dall’attore, la somma è quantificata quando l’attore precisa l’importo, non è quantificata quando l’attore rinvia all’esito dell’istruttoria la determinazione della somma.Se la somma è quantificata, il valore si determina in base alla richiesta; se invece non è quantificata la causa si presume di competenza del giudice adito, quindi rientri nel massimo della sua competenza.L’irrilevanza delle contestazioni del convenuto, per la competenza, deriva dal fatto che, sulla somma di denaro rileva per merito, poiché contestando effettua difesa rilevante. Se l’attore quantifica in corso di causa si possono avere 3 ipotesi. La prima è che l’attore indichi una somma di denaro compresa fra il minimo e il massimo della competenza del giudice.La seconda possibilità è che la somma indicata superi il massimo , in tal caso il giudice deve dichiararsi incompetente.Oppure, quando la somma indicata è minore del minimo del giudice adito, e questa non rileva. Ora quando la domanda non è quantificata inizialmente, né in corso di causa, e l’attore chiede ciò che è giusto, si applica l’art 14, che fissa il valore fra i limiti del giudice adito. Quindi il giudice non può superare il su massimo e la decisione forma giudicato sull’oggetto del processo, e la differenza non può essere richiesta in un altro processo.Diritti su beni mobili: se l’attore quantifica il valore del bene, la competenza si stima sulla somma indicata, se invece non quantifica la causa si presume competenza del giudice.Se si arriva a decisione senza che l’attore abbia attribuito un valore al bene, il valore rimane fissato nei limiti di competenza. La sentenza che attribuisce la proprietà del bene mobile non trova ostacoli nel limite massimo di competenza del giudice.In conclusione:per le somme di denaro, il valore è rilevante ai fini del merito; per i beni mobili il valore non è rilevante ai fini del merito.Proprio perché per i beni mobili il valore non è rilevante la contestazione, che il convenuto fa, è rilevante ai fini della competenza del giudice adito.Se il convenuto contesta il valore del bene, il giudice decide da quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione.Invece per quanto riguarda la determinazione del valore delle cause relative a diritti reali su beni immobili, si applica l’art 15; che disciplina la competenza e istituisce una valutazione automatica del valore del bene attraverso il reddito dominicale, e rendita catastale dei fabbricati.È evidente il vantaggio dell’art 15 che in automatico individua il giudice competente.Se il bene non è accatastato il giudice decide sulla base degli atti, e se neanche da qui riesce la causa ha valore indeterminabile.

CAP 12 COMPETENZA PER TERRITORIO

Per competenza territoriale dobbiamo distinguere tre fori: quelli disciplinati dagli artt. 18-19 cpc, che sono il foro generale delle persone fisiche e degli altri soggetti che non sono persone fisiche; il foro facoltativo, art 20 cpc, per le cause di obbligazione; e i fori degli artt 21-22-23-24 cpc.Ma prima dobbiamo stabilire come si regolano tra loro questi 3 tipi di competenza territoriale.Il foro generale si applica dove non vi siano altre previsioni di competenza territoriali. Esso dà una regola di carattere residuale, applicabile a tutte le controversie per le quali non vi sia una regolamentazione diversa.Il foro facoltativo ha la caratteristica di aggiungersi al foro generale: i criteri del foro facoltativo si cumulano con quelli del foro generale. Quindi si ha una pluralità di fori concorrenti, in quanto trovano applicazione più criteri di determinazione della competenza.Il foro esclusivo si chiama così proprio perché esclude il foro generale: se la competenza è attribuita in base agli artt 21 e ss, l’unico foro competente è quello indicato da quella norma.Non si deve confondere il foro esclusivo con quello inderogabile. La inderogabilità convenzionale della competenza territoriale non ha niente a che vedere con il fatto che si tratti di foro generale, facoltativo o esclusivo.L’espressione “foro esclusivo” indica soltanto una competenza territoriale, esistendo la quale non si applicano le disposizioni relative al foro generale.Riassumendo: il foro generale si utilizza ove non vi siano diverse previsioni; il foro facoltativo è quello che si aggiunge al foro generale; il foro esclusivo esclude la partecipazione del foro generale.La disciplina del foro generale: stabilisce l’art 18 cpc che, salvo che la legge disponga altrimenti, è competente il giudice del luogo in cui il convenuto a residenza o domicilio e, se questo è sconosciuto, quello del luogo dove dimora. Se il convenuto non ha né residenza né domicilio in italia, e la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo ove l’attore ha la propria residenza.

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Gli stessi criteri valgono sostanzialmente per l’art 19 che, per i soggetti diversi dalla persone fisiche, stabilisce che è competente il giudice del luogo ove la persona giuridica ha la sede ed inoltre il giudice del luogo dove la p.g. ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio. Per sede si intende sia quella legale che quella effettiva. Se questa però non ha sede in italia, oppure la sede non è conosciuta, si applica l’art 18, è competente il giudice del luogo ove l’attore ha la propria residenza.Foro facoltativo per le obbligazioni: cioè l’attore ha scelta tra l’applicazione degli artt 18 - 19 e l’art 20 cpc, quest’ultimo prevede la competenza del foro sia del luogo in cui è sorta l’obbligazione sia del luogo in cui deve essere eseguita. Foro esclusivo: ( art 21cpc) in proposito occorre precisare che la competenza per le domande aventi ad oggetto diritti reali su beni immobili non comprende le domande che riguardano i diritti reali.Un cenno va fatto anche al foro della PA previsto dall’art 25 : la PA è difesa in giudizio da un corpo di impiegati ad hoc che si chiama Avvocatura dello Stato. Gli uffici di questa non dislocato sul territorio in modo capillare, ma si trovano presso ogni sede di corte d’appello. L’art 25 cpc stabilisce che ove sia in causa, coma attore- convenuto – o come chiamato, un’amministrazione statale, la competenza territoriale è del tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello, nel cui territorio si trova il giudice che sarebbe competente ordinariamente.Esaminiamo ora la derogabilità ad opera delle parti delle regole di competenza : l’accordo delle parti può derogare soltanto alla competenza territoriale, non anche alla competenza per materia e per valore.La inderogabilità della competenza per valore e per materia significa che il giudice adito non è vincolato ad applicare i criteri di competenza individuati dalla parti con accordo, ma deve applicare i criteri di competenza stabiliti dalle norme.L’unica deroga possibile è quella relativa alla competenza territoriale, salve le ipotesi di competenza territoriale inderogabile, previste dall’art 28 cpc, che individua una serie di casi, di cui i più importanti previsti dall'art 70 cpc. Quest’art è la norma che regola le ipotesi in cui un PM deve obbligatoriamente essere avvertito della pendenza del processo civile, in quanto oggetto del processo sono diritti indisponibili, quelli per i quali non ha efficacia la volontà negoziale delle parti.Vi è un’altra peculiarità: il foro territoriale è inderogabile, perché le parti non vadano a scegliersi l’ufficio giudiziario che magari ha una giurisprudenza più favorevole.Escluse le ipotesi di competenza territoriale inderogabile, in tutti gli altri casi le parti posso derogare convenzionalmente la competenza, attraverso un accordo delle parti preventivo rispetto all’instaurazione della controversia. Le caratteristiche: prima di tutto l’accordo deve riferirsi a controversie determinate, e quindi non è valido l’accordo con cui 2 soggetti individuano un certo foro territoriale per tutte le controversie che dovessero sorgere fra loro. Inoltre l’accordo deve risultare da atto scritto. L’effetto dell’accordo è di istituire la competenza del giudice individuato dalle parti. Perché l’accordo abbia l’effetto di attribuire al giudice individuato dalle parti una competenza esclusiva, occorre che le parti stabiliscano espressamente che l’unico giudice competente è quello da loro individuato.In relazione a molti tribunali sono previste sezioni distaccate, che però si considerano articolazioni dell’unico ufficio e non uffici giudiziari autonomi.Per tanto una volta individuato il tribunale competente, ed appurato che la controversia non è fra quelle che debbono essere trattate solo nella sede centrale, occorre applicare di nuovo le norme sulla competenza territoriale, per stabilire presso quale articolazione dell’ufficio la causa debba essere proposta.

CAP 13 RILEVAZIONE E DECISIONE DELLE QUESTIONI DI COMOETENZA

Dopo i profili “statici” occorre passare ad esaminare i profili “dinamici”, che riguardano la rilevazione delle questioni di competenza. L’art 38 cpc introduce diverse regole a seconda che si tratta di competenza per materia, territorio inderogabile e valore; oppure competenza territoriale derogabile.- Per quanto riguarda le prime, l’incompetenza è rilevabile, dal giudice, non oltre l’udienza di cui all’art 183 cpc. Ovviamente questa regola, scritta per il processo di cognizione ordinario dinanzi al tribunale, va adattata ai processi di cognizione di rito speciale, a quelli esecutivi e ai processi speciali.L’art 38 cpc sembra contrastare con l’art 14 cpc ma vi è coordinamento perché il 38 presuppone che il valore della causa sia numericamente determinato. Sulla base dell’art 14 ciò può avvenire perché l’attore se si tratta di somma di denaro, la quantifica; se invece di bene mobile si arriva ad attribuirgli valore. Quando si è giunti ad esprimere in termini numerici il valore della causa, il giudice può rilevare d’ufficio la propria competenza per valore.Tra le due norme c’è quindi consecuzione: prima si applica l’art 14poi il 38; e se non si arriva a determinare in cifre il valore della causa, l’art 38 cpc non si applica perché la causa si presume di competenza del giudice adito.- L’incompetenza territoriale deve essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche se sia derogabile, dove rilevi una clausola di deroga alla competenza stipulata da un consumatore.- Il convenuto può rilevare l’incompetenza per materia, valore e territorio solo nella comparsa di risposta tempestivamente depositata.L’art 38 cpc preclude il potere di eccezione del convenuto prime che si precluda il concorrente potere di rilevazione del giudice: alla prima udienza l’eccezione di incompetenza proposta dal convenuto ha lo stesso regime dell’eccezione di incompetenza proposta dall’attore.Il convenuto, infine, quando eccepisce l’incompetenza territoriale del giudice adito deve anche individuare il giudice a sua avviso competente. Se manca l’indicazione del giudice l’eccezione si ha come non proposta.L’indicazione del giudice competente serve ad innescare un possibile meccanismo di accordo endoprocessuale, che risolve in via breve la questione di competenza. Se le altre parti accettano la indicazione del convenuto che ha sollevato l’eccezione, si realizza un altro accordo sulla competenza.Il primo tipo di accordo è quello previsto dagli art 28-29 cpc e si realizza prima della proposizione della domanda; nel secondo caso le parti aderiscono ed accettano la proposta del convenuto. Se ciò accade, il giudice adito chiude il processo con un provvedimento meramente ordinatorio.L’accordo sulla competenza rimane vincolante per le parti se la causa è riassunta entro tre mesi dall’ordinanza di cancellazione. L’accordo endoprocessuale ha effetti limitati che lo differenziano dall’accordo previsto dall’art 29 che è vincolante indefinitivamente. Se la riassunzione non avviene entro 3 mesi l’accordo perde efficacia e tutto ricomincia dall’inizio, come se niente fosse accaduto. Il sistema di composizione delle questioni di competenza (art 38) non funzione nel caso in cui le altre parti non aderiscono all’indicazione del giudice competente, effettuata dal convenuto insieme con la proposizione della relativa eccezione. In tale ipotesi il giudice deve decidere la questione di competenza.Ciò non significa che il giudice deve decidere subito della questione di competenza, anzi, prima devono essere accertati tutti i presupposto processuali e poi potrà essere affrontato il merito.

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- Per decidere delle questioni di competenza il giudice può trovarsi nella necessità di compiere attività istruttoria, difatti, i presupposti processuali hanno una loro fattispecie astratta ed occorre quindi accertare che sia effettivamente venuta ad esistenza la fattispecie concreta corrispondente a quella astratta. In taluni casi la fattispecie concreta è realizzata da un fatto che accade all’interno del processo.In altri casi, invece la fattispecie concreta è realizzata da un fatto che è esterno al processo, cioè un fatto extraprocessuale e che è irrilevante ai fini del merito.Per la sola competenza invece, l’art 38, prevede che l’istruttoria abbia luogo con la tecnica delle “sommarie informazioni”. Che si caratterizza per essere un’istruttoria deformalizzata, in cui sono utilizzabili anche prove atipiche, oppure prove tipiche, ma atipicamente assunte.- Il giudice decide delle questioni di competenza talvolta con ordinanza , talvolta con sentenza : usa l’ordinanza quando decide della sola questione di competenza; usa la sentenza se, insieme alla questione di competenza, decide altre questioni che, ai sensi dell’art 279 cpc, debbono essere decise con sentenza.Poiché gli effetti dell’ordinanza e della sentenza che decidono la questione di competenza sono identici, si userà il termine “provvedimento”.Il provvedimento può essere di duplice contenuto: il giudice può dichiararsi competente oppure incompetente.Se il giudice dichiara la propria incompetenza, il provvedimento non può riguardare anche il merito e quindi è necessariamente un ordinanza. Se, invece, il giudice si dichiara competente il provvedimento può avere anche la decisione di merito.Riassumendo: i provvedimenti con cui il giudice nega la sua competenza sono necessariamente di sola competenza, e quindi sono ordinanze; quelle con cui afferma la sua competenza possono essere miste ( cioè di competenza e di merito), e allora sono sentenze, ma anche di sola competenza, e allora di nuovo sono ordinanze. - Diverso è il meccanismo che si applica quando si tratta di risolvere le questioni attinenti alla ripartizione degli affari fra le varie strutture del tribunale.Proposta la domanda presso una di tali strutture, sia la controparte che il giudice possono rilevare, entro l’udienza di cui all’art 183 cpc, l’errore compiuto dall’attore. Se il giudice ritiene la questione non manifestamente infondata, rimette il fascicolo al presidente del tribunale, che individua con decreto la struttura, presso la quale la causa deve essere trattata.

CAP 14 REGOLAMENTO DI COMPETENZA

Ora contro i provvedimenti che decidono la competenza vi è uno speciale mezzo d’impugnazione, il regolamento di competenza. Questi segue i principi generali dei mezzi d’impugnazione (art 324 cpc).Al contrario degli altri mezzi d’impugnazione, i presupposti del regolamento attengono al contenuto del provvedimento stesso.Bisogna però precisare che, con il regolamento di competenza si debbono far valere anche i profili dinamici della competenza.Il regolamento assume due configurazioni diverse, a seconda che il provvedimento da impugnare abbia deciso solo della competenza o anche del merito.Se il provvedimento (ordinanza) ha deciso solo della competenza, si ha il regolamento necessario; se il provvedimento (sentenza) ha deciso anche nel merito, si ha il regolamento facoltativo.Necessario, vuol dire che è l’unico mezzo per ridiscutere della questione di competenza.Facoltativo, invece, significa concorrente con altri mezzi d’impugnazione, nel senso che la questione di competenza può essere ridiscussa anche con l’appello o il ricorso in cassazione.- Dato il concorso tra i normali mezzi d’impugnazione e il regolamento facoltativo , bisogna vedere come si coordinano tra di loro i 2 strumenti.Anzitutto dobbiamo precisare che la questione di competenza può essere ridiscussa con un mezzo ordinario, a condizione che sia impugnato anche il merito; non è ammissibile impugnare ordinariamente la sola questione di competenza. Occorre, precisare che la cassazione intende per “merito” qualunque questione anche di rito, diversa dalla competenza. 1. Vediamo ora la prima regola di coordinamento: se il regolamento di competenza è proposto prima della impugnazione ordinaria, i termini per proporre l’impugnazione ordinaria si sospendono in attesa che sia deciso il regolamento.Se la sentenza che decide il regolamento conferma la competenza del primo giudice, i termini riprendono e può essere proposta l’impugnazione ordinaria. Se, invece, in sede di regolamento si dichiara che il primo giudice non è competente, allora i termini non decorrono più perché la sentenza ha travolto la pronuncia di merito.Il processo può essere riassunto davanti al giudice indicato come competente dalla sentenza di regolamento. 2. La seconda regola di coordinamento è la seguente: se prima viene proposta l’impugnazione ordinaria, le altre parti possono comunque proporre il regolamento di competenza. Dall’altro lato il convenuto, finché non viene impugnato dall’attore il capo di merito, non ha interesse ad impugnare la questione di competenza, perché la vittoria sul merito gli dà una tutela maggiore di quella che gli avrebbe dato la vittoria sulla competenza.Concludendo, al convenuto si impone una scelta di strategia processuale: se è forte nel merito lascia passare in giudicato la questione di rito e si difende solo nel merito, in sede d’impugnazione; se è debole nel merito coltiva la questione di competenza, perché in sede d’impugnazione la sentenza di merito non può più “ripescare” la questione di competenza, in quanto la sentenza è passata in giudicato. Poiché la proposizione dell’impugnazione ordinaria non toglie alle altre parti la facoltà di proporre l’istanza di regolamento, il convenuto vittorioso sul merito può scegliere se riproporre la questione di competenza davanti al giudice adito o utilizzare il regolamento di competenza. Se sceglie la via del regolamento, il processo relativo all’impugnazione ordinaria è sospeso in attesa della decisione del regolamento. In quest’ultimo caso, gli esiti si sono già visti. - La differenza fra il regolamento di competenza e l’appello è di per sé evidente, in quanto sono diversi l’atto con cui si propone l’impugnazione, il giudice e il processo. Però un concorso fra regolamento di competenza e mezzi d’impugnazione ordinari può avvenire anche per la sentenza emessa in grado d’appello o in unico grado: la concorrenza ha luogo fra ricorso ordinario ex art 360 cpc e regolamento di competenza, poiché le somiglianze sono notevoli. Ora vi sono 2 differenze tra il ricorso ordinario e il regolamento di competenza: 1. il termine per proporre il regolamento è di 30 gg dalla comunicazione del provvedimento da impugnare; per il ricorso in cassazione il termine è di 60 gg dalla notificazione della sentenza o , sei mesi dalla pubblicazione della stessa.2. La seconda differenza: per il ricordo ordinario è necessario conferire mandato speciale ad un legale iscritto ad uno speciale albo, nell’albo dei patrocinanti di fronte ai giudici superiori. Invece il regolamento può essere proposto dallo stesso legale che ha rappresentato la parte di fronte al giudice che ha emesso la sentenza impugnata.Dati gli elementi comuni fra istanza di regolamento e ricorso ordinario, è possibile che fra tali due atti si verifichi una conversione: l’istanza di regolamento, erroneamente proposta può convertirsi in ricorso ordinario; il ricorso ordinario erroneamente proposto può convertirsi in istanza di regolamento.La conversione è possibile quando l’atto errato ha tutti i requisiti dell’atto giusto.

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Con riferimento all’istanza di regolamento ed al ricorso ordinario, la conversione è possibile quando l’istanza è proposta da un avvocato, munito di mandato speciale e iscritto all’albo delle giurisdizioni superiori; e viceversa la conversione dà ricorso ordinario a istanza di regolamento è possibile, quando il ricorso è notificato nei termini, entro i quali deve essere proposto il regolamento.- Come si svolge il regolamento di competenza: si propone alla corte di cassazione, in termine peculiare, 30 gg dalla comunicazione della sentenza che ah pronunciato sulla competenza o dalla notifica dell’impugnazione ordinaria della controparte nei casi di soccombenza virtuale sulla competenza.La comunicazione della sentenza consiste nell’avviso che il cancelliere fa, ai legali delle parti, dell’avvenuta pubblicazione della sentenza da parte del giudice. Il ricorso è notificato alla o alle controparti, e depositato nella cancelleria. Le altre parti possono costituirsi di fronte alla corte depositando i loro atti, dopo di che la corte decide in camera di consiglio, qual è il giudice competente.Si forma così il giudicato sulla questione di competenza. La corte “statuisce sulla competenza”, indicando il giudice competente. La pronuncia della corte è vincolante per tutti i giudici nell’ordinamento.Il giudice indicato come competente non può ribellarsi. La questione di competenza è definitivamente chiusa. Per vedere cosa significa - “riassunzione” della causa, dobbiamo affrontare il problema della sanatoria dei vizi dei presupposti processuali. La carenza di un presupposto processuale e quindi l’impossibilità di pronunciare nel merito, può derivare da una situazione in cui non è possibile rimediare al vizio, oppure da una situazione in cui è possibile sanare il presupposto viziato. I vizi possono essere suddistinti in 2 categorie: vizi sanabili e vizi insanabili: un vizio è sanabile quando è possibile acquistare al processo quale quid la cui carenza determina il vizio in questione. Quindi non sono sanabili i vizi dei presupposti processuali, quando il requisito carente può venire ad esistenza solo in virtù di un soggetto diverso da colui che ha proposto la domanda.Quando siamo in presenza di un vizio insanabile di un presupposto processuale,non ci sono alternative: poiché il processo non può giungere ad una decisione di merito, esso deve essere chiuso in rito. Al contrario, il vizio del presupposto processuale sanabile può essere sanato attraverso un’attività di colui che ha proposto la domanda.Il nostro ordinamento prevede, ove si accerti la carenza di un presupposto processuale sanabile, che il giudice non possa chiudere immediatamente il processo con una pronuncia di rito, ma debba dare la disposizioni idonee per acquisire al processo ciò che manca. Se l’attività necessaria è correttamente compiuta, il vizio si sana, ed il processo è in grado di giungere alla decisione di merito. La chiusura del rito quindi avviene in presenza di presupposti insanabili oppure insanati . - Due considerazioni si impongono ai processi sanati: poiché il processo è nato viziato, ed è stato sanato in itere, un qualche tempo +è trascorso tra proposizione della domanda giudiziale ed il momento in cui si è avuta la sanatoria. Inoltre, per la stessa ragione, alcuni atti sono stati compiuti tra la proposizione della domanda ed il momento in cui si è avuta la sanatoria.Iniziando dal primo dei due problemi, dobbiamo richiamare quanto detto a proposito degli effetti della domanda. Il diverso modo con cui opera 1. la sanatoria consiste in ciò, che talvolta la sanatoria del vizio ha efficacia retroattiva, in quanto gli effetti della domanda si considerano prodotti dal momento in cui è stata proposta la domanda stessa: la sanatoria opera ex tunc.2. In altre ipotesi gli effetti della domanda si considerano prodotti dal momento in cui si verifica la sanatoria: in tal caso la sanatoria ha efficacia ex nunc.La scelta se attribuire l’efficacia retroattiva o meno alla sanatoria è effettuata dal legislatore volta per volta sulla base di valutazioni di opportunità e di un bilanciamento di interessi.Riassumendo: se il presupposto processuale è sanabile e viene sanato, il processo acquisisce ciò che gli mancava per giungere alla pronuncia di merito. Talvolta la sanatoria ha effetto retroattivo al momento della proposizione della domanda stessa; talaltra gli effetti della domanda si producono dal momento in cui si verifica la sanatoria.Affrontiamo il secondo problema: che ne è degli atti medio tempore ? la sanatoria del vizio opera soltanto sulla possibilità di pronunciare nel merito e se gli atti vengono convalidati a posteriori la sanatoria avrebbe un effetto retroattivo diverso da quello visto finora.Per quanto riguarda la competenza, l’art 50 stabilisce che, se il processo viene riassunto nei termini davanti al giudice dichiarato competente, esso continua davanti al nuovo giudice.Tale espressione significa che la sanatoria ha efficacia retroattiva e quindi gli effetti della domanda si producono dal momento in cui la domanda è stata proposta e al giudice incompetente.- Riassunzione : se il processo non è riassunto nel termine indicato, esso si estingue. Ciò vuol dire che tutti gli atti compiuti perdono effetti, tranne l’ordinanza della cassazione, che sopravvive all’estinzione, per l’ipotesi in cui, estinto il processo, la domanda sia riproposta. Se la domanda è riproposta gli effetti decorrono dalla riproposizione. Qui sta la differenza sostanziale tra riassunzione e riproposizione della domanda: nella riassunzione il processo prosegue e gli effetti si riportano alla prima domanda e non all’atto di riassunzione. Se il processo si estingue e la domanda viene riproposta, gli effetti della prima domanda si perdono, e si producono effetti nuovi a decorrere dalla riproposizione della domanda.

CAP 15 PROSECUZIONE DEL PROCESSOAbbiamo visto cosa accade quando è impugnato il provvedimento sulla competenza. Ora affrontiamo l’ipotesi in cui il provvedimento sulla competenza non sia impugnato. Bisogna distinguere l’ipotesi in cui il provvedimento non impugnato Abbaia affermato la competenza del giudice adito, dall’ipotesi in cui il provvedimento non impugnato abbia negato la competenza del giudice adito.1. Nel primo caso la mancata impugnazione del provvedimento determina il formarsi del giudicato e l’impossibilità di sollevare di nuovo la questione della competenza.2. Più complicate sono le cose quando il giudice adito si sia dichiarato incompetente e l’ordinanza non sia stata impugnata.Il giudice, nel dichiararsi incompetente, non può limitarsi a ciò ma deve anche indicare il giudice competente.L’art 50 cpc comprende tali ipotesi, perchè prevede la possibilità di riassumere la causa non soltanto dopo un’ordinanza di regolamento ma anche dopo una “ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito”. In entrambi i casi il processo continua di fronte al nuovo giudice.Un problema particolare si pone quando la riassunzione avviene sulla base di un’ordinanza non della cassazione, ma di un altro giudice, e da qui si pone il problema che: fermo che la parte “negativa” del provvedimento è ovviamente vincolante perché ciascun giudice è giudice della propria competenza, ci si chiede che efficacia abbia la parte positiva dell’ordinanza di incompetenza, cioè quella in cui si dichiara la competenza di un altro giudice.La questione è disciplinata dagli artt 44-45 cpc : il primo distingue le ipotesi di incompetenza per valore e territorio derogabile dall’ipotesi di incompetenza per materia e territorio inderogabile.Ne primo caso la pronuncia di incompetenza è vincolante non solo per la parte negativa, ma anche per quella positiva. Il giudice indicato come competente non può rilevare la propria incompetenza per valore e territorio derogabile. L’art 44 stabilisce che l’ordinanza rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice indicato, salvo che si tratti di incompetenza per materie e territorio inderogabile. Se si

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tratta di incompetenza per valore e territorio derogabile l’ordinanza d’incompetenza assume efficacia vincolante sia in senso negativo che positivo.Se, invece, l’incompetenza è stata dichiarata per ragioni di materia o territorio inderogabile e la causa viene riassunta davanti al giudice indicato come competente, tale giudice può a sua volta rilevare la propria incompetenza ma sempre e solo per ragioni di materia e territorio inderogabile, e deve emettere un’ordinanza di rimessione degli atti alla cassazione perché decida sul conflitto di competenza.Sarà la corte che, in sede di regolamento di competenza, emetterà la pronuncia che statuirà definitivamente sulla competenza.Se dopo una pronuncia di incompetenza non impugnata, la causa non è riassunti nei termini di cui all’art 50, il processo si estingue. Il fenomeno è identico a quello che si ha se il processo si estingue dopo il regolamento di competenza e comporta, in primis¸ la perdita degli effetti della domanda.Pertanto se il processo si estingue per mancata riassunzione dopo l’ordinanza d’incompetenza, non soltanto si perdono gli effetti della domanda, ma la causa può anche essere riproposta allo stesso giudice che si è dichiarato incompetente; questi può sollevare la questione, o il convenuto eccepirne la incompetenza; il giudice deve decidere la questione in maniera del tutto libera e non condizionata dalla sua precedente pronuncia, e magari può arrivare ad un risultato diversi, affermando la propria competenza.

CAP 16 REGOLARE COSTITUZIONE DEL GIUDICE – ASTENSIONE E RICUSAZIONE [3° presupposto processuale]

Vediamo ora il 3° presupposto processuale attinente all’ufficio, cioè la regolare costituzione del giudice: l’art 158 cpc si limita a stabilire che la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice è insanabile e deve essere rilevata d’ufficio, salva la previsione dell’art 161cpc. La disposizione è molto scarna, quindi bisogna basarsi sull’esperienza pratica che si è avuta e si può fare una elencazione.La prima e fondamentale ipotesi riguarda le questioni relative all’investitura del potere giurisdizionale, cioè alla qualità di giudice del soggetto che emette il provvedimento.Non rientrano fra le questioni, relative ai vizi sulla regolare costituzione del giudice, quelle sulla validità dell’atto di nomina, perché rientrano nella giurisdizione del GA).- Rientrano nella fattispecie che stiamo esaminando le questioni relative all’assegnazione del magistrato all’ufficio, ma solo se il processo è condotto da un magistrato assegnato a quell’ufficio. (magistrati onorari diverso da professionali)- Attiene alla regolare costituzione del giudice la questione relativa alla composizione numerica dell’organo giudicante, se questo è collegiale. Naturalmente il giudice collegiale dev'essere composto da un certo numero di magistrati, i quali devono essere nominati e assegnati a quell’ufficio.Il punto più delicato deriva dall’applicazione del principio di unitarietà della fase decisoria. La fase decisoria viene dopo la fase di trattazione di causa, che termina con l’udienza di precisazione delle conclusioni. In base al principio di unitarietà della fase decisoria, i giudici, a cui è affidata la causa, non possono essere sostituiti.Se, per qualche ragione, è impossibile portare a termine la fase decisoria con gli stessi giudici con cui è stata iniziata, bisogna ripetere la fase stessa, e ripercorrere tutta la fase successiva.L’eventuale modificazione che si abbia nei soggetti componenti l’organo giudicante in questa fase, comporta un vizio relativo alla regolare costituzione del giudice. - Mentre non costituisce vizio relativo alla regolare costituzione del giudice, le questioni relative all’assegnazione della causa a un certo giudice all’interno dello stesso ufficio.- L’art 158 cpc stabilisce che “ la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice è insanabile e dev’essere rilevata d’ufficio”: quindi, il vizio è rilevabile in ogni stato e grado del processo anche d’ufficio, in accordo con la regola generale dei vizi dei presupposti processuali, anche se trova un ostacolo nella formazione del giudicato.Tuttavia, nel caso della regolare costituzione del giudice, incontriamo un ulteriore fenomeno. Quando diciamo che una questione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, affermiamo che una volta che la sentenza definitiva sia passata in giudicato, la questione non è più rilevabile, perché non c’è più processo, ma alcuni vizi sopravvivono al giudicato, cioè possono essere fatti valere al di fuori del processo in cui si sono verificati: ciò accade per alcuni dei vizi relativi alla regolare costituzione del giudice.Essi ricadono nell’art 161 cpc e costituiscono ipotesi di sentenza inesistente, differente dalla sentenza nulla per la possibilità che l’inesistenza sia rilevata anche al di fuori del processo in cui la pronunzia è formata.- Affrontiamo ora un altro argomento.Una delle caratteristiche della giurisdizione è l’imparzialità del giudice, cioè l’equidistanza di questi dagli interessi in conflitto. L’imparzialità deve essere assicurata sotto un profilo soggettivo o personale o sotto un profilo oggettivo o funzionale. Per assicurare l’imparzialità del giudice sotto il profilo funzionale si fa riferimento all’art 102 cost. Per assicurare imparzialità sotto il profilo personale l’ordinamento prevede l’istituto dell’astensione e ricusazione, disciplinato dagli artt 51 ss cpc.Le ipotesi di astensione e ricusazione sono riunite in 5 gruppi, e sono elencate nell’art 51 cpc; esse riguardano i casi in cui :

1) il giudice ha interesse nella causa o in altra vertenza su identica questione di diritto;2) Il giudice o il coniuge sono parenti fino al 4° grado, o il giudice è legato da vincoli di affiliazione, o convivente o

commensale abituale di una delle parti o dei difensori;3) Il giudice o il coniuge hanno causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o

dei difensori;4) Il giudice ha dato consiglio o prestato patrocino nella causa o vi ha deposto come testimone, oppure ne ha

conosciuto come magistrato in altro grado del processo, o vi ha svolto le funzioni di arbitro o di consulente tecnico;5) Il giudice è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; amministratore o gerente di

un ente, di un’associazione, anche non riconosciuta, di un comitato, di una società che ha interesse in causa.In tutte queste ipotesi il giudice ha l’obbligo di astenersi, comunicando al capo d’ufficio la sussistenza di uno dei casi esaminati. Il capo dell’ufficio nominerà un altro giudice che sostituirà quello astenutosi.È poi prevista una facoltà di astensione in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza, ma il capo dell’ufficio può anche negarla se ritiene che tali gravi ragioni non sussistano.Nelle stesse ipotesi in cui si ha astensione obbligatoria, ciascuna delle parti può ricusare il giudice che deve astenersi, e che non si è astenuto.La ricusazione è proposta nei modi e nei termini previsti dall’art 52 cpc, produce la sospensione del processo, è decisa dal presidente del tribunale, se è ricusato un giudice di pace, e dal collegio se è ricusato un giudice di tribunale, di corte d’appello o di cassazione.Il rigetto in rito o in merito della ricusazione può comportare una sanzione pecuniaria. L’accoglimento produce la sostituzione del giudice, e la nullità degli atti da lui compiuti.L’art 53 cpc definisce il provvedimento come “non impugnabile”, e la giurisprudenza si attiene a tale definizione.

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Ma la cassazione ora afferma che il provvedimento, che rigetta la ricusazione, confluisce nella sentenza finale, e che il mancato riconoscimento del difetto di imparzialità del giudice si converte in motivo d’impugnazione della stessa.Anche per quanto riguarda l’effetto sospensivo della proposizione dell’istanza di ricusazione, previsto dall’art 52 , la giurisprudenza afferma che il giudice deve valutare la ammissibilità della ricusazione, e non sospendere il processo se la ritiene inammissibile.È ovvio che il procedimento di ricusazione va avanti ugualmente, anche se il giudice non sospende il processo, ma che, se essa è accolta gli atti compiuti sono invalidi.

CAP 17 PUBBLICO MINISTERO

Il processo civile normalmente ha ad oggetto situazioni sostanziali disponibili.Si può dire che in relazione ai diritti disponibili, non vi è effetto di provvedimento giurisdizionale che le parti non possano consensualmente produrre coni loro atti di volontà negoziale, così il ricorso alla giurisdizione diviene necessario solo dove le parti non trovino un accordo fra loro.Ma il diritto sostanziale conosce anche diritti indisponibili, rispetto ai quali non sussiste un potere negoziale dei loro titolari, ora il giudice normalmente viene messo a conoscenza dei fatti rilevanti solo attraverso le allegazioni operate dalle parti. Pertanto quando si tratta di diritti indisponibili, può dirsi che fra le parti sussista un contrasto effettivo, ma può anche darsi che ciò non accada, in quanto le parti vogliono lo stesso effetto, che può essere prodotto solo da una sentenza. Ciò può indurre le parti ad allegare in giudizio solo i fatti favorevoli al risultato che ambedue vogliono raggiungere.Inoltre, a prescindere da eventuali accordi delle parti, finalizzati ad ottenere un risultato conseguibile solo con il processo, occorre garantire che eventuali omissioni difensive di una delle parti non conducano il giudice ad emettere una sentenza contra ius, in quanto fondata su una realtà sostanziale diversa da quella effettivamente esistente.In conclusione, dove si abbia a che fare co diritti indisponibili, è necessario prevedere un meccanismo che garantisca la completezza del quadro dei fatti allegati e provati in giudizio.A ciò si provvede con gli artt 69-74, che affidano al PM il potere-dovere di attivarsi per gli scopi appena visti. Il pm ha compiti fondamentali nel processo penale, ma ha un ruolo anche nel processo civile.- In primo luogo dobbiamo considerare i casi in cui il pm addirittura ha il potere di iniziare il processo, deducendo in giudizio la situazione sostanziale bisognosa di tutela giurisdizionale.L’art 69 prevede questo “ nei casi stabiliti dalla legge”. Si tratta di situazioni sostanziali indisponibili in cui l’interesse pubblico prevale sulla scelta delle parti di non chiedere la tutela giurisdizionale del proprio diritto.- In secondo luogo, dobbiamo considerare i casi in cui il pm deve essere messo a conoscenza della pendenza del processo perché possa intervenire e spendervi i poteri attribuitigli dalla legge. Ciò accade nelle ipotesi previste dall’art 70 cpc, ed inoltre il pm partecipa sempre al processo di cassazione.- Come si svolge il processo: se il pm propone la domanda ovviamente partecipa al processo come attore ; se, invece, ricorrono le ipotesi dell’art 70, la partecipazione del pm si realizza attraverso la comunicazione degli atti, che è disposta dal giudice di fronte al quale pende la causa, e spetterà poi al pm valutare se prendere parte attiva al processo o disinteressarsene.Una volta che il pm decide di prendere parte al processo, i poteri che ha sono diversi a seconda che si tratti di causa che egli avrebbe potuto proporre, o d’intervento in una causa che egli non poteva proporre. Nel primo caso ( art 72) egli ha gli stessi poteri delle altre parti e li esercita nelle forme previste per le altre parti. Nel secondo caso (art 72) egli può “produrre documenti, dedurre prove, prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti”, cioè attività istruttoria; ma può anche allegare in giudizio fatti non dedotti dalle parti.A proposito dei processi d’impugnazione, occorre distinguere a seconda che il pm abbia o meno il potere di proporre un’autonoma impugnazione. Se la risposta è positiva, al processo di impugnazione deve partecipare il pm presso il giudice a quo.E, invece, il pm non ha il potere di impugnare , al processo di impugnazione partecipa il pm esistente presso l’organo giurisdizionale competente per la fase d’impugnazione.Ora ai sensi dell’art 158 cpc la nullità derivante da vizi relativi all’intervento del pm è insanabile e deve essere rilevata d’ufficio. A ciò consegue che la mancata comunicazione degli atti al pm determina il vizio di un presupposto processuale, che può essere colto perla prima volta anche il sede di impugnazione.Se il vizio non è colto durante la pendenza del processo, l’ordinamento prevede un rimedio straordinario, la revocazione ex art 397 cpc: stabilisce che, nelle cause in cui è obbligatorio l’intervento del pm, le sentenze possono da lui essere impugnate per evocazione quando egli non è stato sentito, cioè quando non gli sono stati comunicati gli atti.

CAP 18 LA COSA GIUDICATA [4° presupposto processuale] – LIMITI OGGETTIVI

La cosa giudicata fa parte del gruppo di presupposti processuali attinenti all’oggetto della controversia.I tre argomenti da affrontare in tema di giudicato riguardano i limiti oggettivi, soggettivi e temporali: in altri termini che cosa statuisce la sentenza, nei confronti di chi, e fino a quando.Limiti oggettivi-> cosa dice la sentenza.Limiti soggettivi-> nei confronti di chi.Limiti temporali-> fino a quando.Innanzitutto bisogna chiarire che non è corretto dire “effetti della cosa giudicata”,anzi si dovrebbe dire “ effetti della sentenza passata in giudicato”, perché è una qualità che consiste nella stabilità degli effetti della sentenza.- Ora l’art 324 cpc dà la definizione della cosa giudicata formale: “si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né al regolamento di competenza, né ad appello, ne al ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai n 4-5 dell’art 395”.Questi mezzi d’impugnazione vengono anche definiti mezzi d’impugnazione ordinari, perché l’impossibilità di una loro utilizzazione determina il passaggio in giudicato della sentenza.Contrapposti a questi vi sono i mezzi straordinari, che sono suscettibili di essere utilizzati anche contro sentenze passate in giudicato formale, e che sono : la revocazione per i motivi di cui a n 1-2-3-6 dell’art 395 cpc e l’opposizione di terzo ( art 404 cpc). Tuttavia, si possono individuare mezzi d’impugnazione ordinaria come quelli spendibili contro i vizi palesi della sentenza, ed i mezza d’impugnazione straordinari come quelli spendibili contro i vizi occulti.Così il termine per proporre il mezzo d’impugnazione ordinario ha un dies a quo certo ( pubblicazione della sentenza), mentre quello per l’impugnazione straordinaria a un dies a quo incerto (la scoperta del vizio).

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Pertanto, possiamo concludere nel senso che si dice passata in giudicato la sentenza che, non essendo sottoponibile ai mezzi d’impugnazione ordinari, ha una certa stabilità e l’esperienza dimostra che i mezzi d’impugnazione straordinari raramente sono utilizzabili, e quindi la sentenza passata in giudicato formale è effettivamente stabile.La seconda questione preliminare, che dobbiamo affrontare, riguarda il contenuto della pronuncia. La sentenza può essere di rito o di merito.Nel primo caso (rito) essa ha ad oggetto il processo, ed afferma o nega la possibilità di pronunciare nel merito a causa dell’esistenza/inesistenza di un presupposto processuale. La sentenza di rito , non produce effetti sul terreno del diritto sostanziale, perché enuncia regole di comportamento appunto processuali e non sostanziali.Dobbiamo quindi introdurre un ulteriore distinzione fra cosa giudicata formale, che riguarda tutte le pronunce, e cosa giudicata sostanziale, che consiste negli effetti delle pronunce di merito , cioè delle sentenze che pronunciano sulla situazione sostanziale dedotta in giudizio.- Bisogna distinguere fra giudicato interno e esterno. Si definisce interno quello formatosi nello stesso processo; esterno quello formatosi in un processo diverso.Questa distinzione è rilevante:a) in primo luogo, in ordine al potere di rilevazione del giudicato stesso. Prima si affermava che solo il giudicato interno può essere rilevato anche ex officio; mentre quello esterno aveva il regime dell’eccezione rilevabile solo dalla parte. Di recente la cassazione ha ritenuto rilevabile anche d’ufficio pure il giudicato esterno. Quindi ora questa distinzione riguarda solo quella parte della dottrina, che ritiene proponibile solo dalla parte l’eccezione di giudicato esterno.b) In secondo luogo, la distinzione fra giudicato interno ed esterno riguarda la stessa efficacia della sentenza al di fuori del processo in cui è stata emessa. L’opinione dominante è nel senso che la sentenza di rito non abbia effetti al di fuori del processo in cui si è formata: la sentenza di rito passata in giudicato formale non ha effetti neppure nel successivo processo quando dovesse sorgere la stessa questione.Dobbiamo, infine, chiarire cos’è l’oggetto del giudicato sostanziale. Anzitutto diciamo che gli effetti delle pronunce giurisdizionali devono per definizione avere influenza sul piano di diritto sostanziale, perché altrimenti verrebbe meno la funzione stessa della giurisdizione.Se ora richiamiamo la funzione della tutela dichiarativa diviene semplice concludere che il giudicato consiste appunto nella determinazione autoritativa e per ciò vincolante di tali regole.Tutela dichiarativa: determinare in modo vincolante le regole di condotta di due o più soggetti con riferimento ad una situazione sostanziale protetta).- L’aver ribadito che la pronuncia consiste nella statuizione autoritativa circa il modo di essere della realtà sostanziale, ci consente di individuare la correlazione fra oggetto della domanda e oggetto della pronuncia.Tendenzialmente, ciò che è oggetto della domanda diventa anche oggetto della sentenza, per cui possiamo parlare dell’oggetto della domanda, oggetto del processo e oggetto della decisione come di 3 aspetti di un unico fenomeno.Le 3 nozioni tendenzialmente coincidono: ciò che la domanda individua diviene oggetto del processo; ciò che è oggetto del processo diviene oggetto della decisione e quindi del giudicato. “Tendenzialmente”, perché può accadere che vi sia una non coincidenza fra l’oggetto della domanda e l’oggetto della decisione. Questa può essere fisiologica o patologica, a seconda che avvenga secundum ius, cioè non dipende da errori del giudice, nell’ipotesi di domande alternative o condizionate, cioè quando il giudice affronta la seconda domanda, e la decide, a seconda dell’esito della prima.Lo scarto fra oggetto del processo e oggetto della sentenza può dipendere anche da errori del giudice, che possono verificarsi sia nel senso che il giudice non decide di domande che doveva decidere, sia ne senso che decide di domande che non sono state proposte.In questa ipotesi ciò che rileva è il quid decisum (oggetto della sentenza), e non il quid disputatum (oggetto della domanda). Nel nostro ordinamento il giudicato si forma sulla pronuncia del giudice e non sulla richiesta della parte. Generalmente fra i due elementi c’è coincidenza; ma ove non vi fosse, dobbiamo far riferimento a ciò che ha deciso il giudice e non ha ciò che hanno domandato le parti.- Per affrontare problemi posti dall’ambito della cosa giudicata, dobbiamo presupporre che ci sia una sentenza passata in giudicato e che in un secondo processo ci si chieda se tale sentenza abbia efficacia oppure no.Ora, posto che oggetto della sentenza è la statuizione circa il modo di essere di una situazione sostanziale, possiamo constatare che i rapporti fra l’oggetto della prima decisione e l’oggetto del secondo processo sono 3: una relazione di identità, una di dipendenza, una di pregiudizialità.L’identità si verifica quando l’oggetto del secondo processo coincide con l’oggetto della decisione passata in giudicato.Più complesso è spiegare la relazione di dipendenza e di pregiudizialità.Bisogna partire dalla seguente constatazione: sappiamo che la norma quando prevede il verificarsi di un effetto giuridico, descrive una fattispecie alla cui presenza l’effetto si verifica.L’ordinamento però non necessariamente individua come elementi della fattispecie dei meri fatti storici, ma può, e spesso fa, prevedere che uno o più elementi della fattispecie siano costituiti dall’esistenza, inesistenza o modo di essere di un’altro effetto giuridico.Si ha pregiudizialità quando l’oggetto della sentenza è la situazione pregiudiziale e l’oggetto del secondo processo è la situazione dipendente.Si ha dipendenza quando l’oggetto della sentenza è la situazione dipendente e l’oggetto del 2° processo è la situazione pregiudiziale.I rapporti ipotizzabili fra l’oggetto della sentenza e l’oggetto del secondo processo rientrano in questi 3 tipi: l’oggetto del secondo processo è o uguale, o dipendente, o pregiudiziale rispetto all’oggetto della prima sentenza.Iniziamo dal rapporto d’identità, che si ha quando l’oggetto del secondo processo è identico all’oggetto della prima sentenza. Perché si abbia un rapporto d’identità è necessario che la situazione sostanziale oggetto della prima sentenza coincide con la situazione sostanziale oggetto del secondo processo.Ciò non è sufficiente: infatti, debbono coincidere anche la lesione del diritto ed il tipo di tutela richiesta.Per il rapporto di pregiudizialità- dipendenza , è necessario preliminarmente stabilire come mai la sentenza, che ha ad oggetto la situazione pregiudiziale o dipendente, possa produrre effetti in un processo, del quale è oggetto rispettivamente la situazione dipendente o quella pregiudiziale. Nelle ipotesi di pregiudizialità, si tratta di vedere se l’effetto della sentenza si espande verso il basso, cioè in direzione della situazione dipendente; nelle ipotesi di dipendenza, si tratta di vedere se l’effetto della sentenza si espande verso l’alto, cioè in direzione della situazione pregiudiziale.La soluzione, pacifica, viene data dall’art 2909 cc, che stabilisce che l’accertamento contenuto nella sentenza passata ingiudicato fa stato ad ogni effetto.Passiamo ora al caso, in cui l’oggetto della prima decisione è il diritto dipendente. Si tratta di stabilire se ciò che il primo giudice ha detto della situazione pregiudiziale forma giudicato; all’interno del secondo processo che ha per oggetto la situazione pregiudiziale, la configurazione di questa è bloccata dalla precedente sentenza o è liberamente discutibile. Riassumendo, mentre nelle ipotesi di pregiudizialità, dall’art 2909 cc si ricava che la sentenza sul diritto pregiudiziale si espande verso il diritto dipendente, nelle ipotesi di dipendenza dall’art 34 cpc si ricava che la sentenza sul diritto dipendente non si espande vs il diritto pregiudiziale.

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Su quest’ultimo si forma il giudicato, solo se c’è domanda; ma se c’è domanda il giudicato si forma in via diretta e non per estenzione. Nel caso di dipendenza, la soluzione appena esposta che si fonda sull’art 34, è indiscussa con riferimento alle ipotesi in cui un diritto entra a comporre la fattispecie di un altro diritto (pregiudizialità in senso tecnico).Il problema che si pone è se la stessa disciplina si applica anche alla pregiudizialità in senso logico, cioè quelle ipotesi in cui viene dedotto in giudizio uno degli effetti di un rapporto giuridico.Al problema su esposto sono state date 2 soluzioni diverse. Per taluni vale lo stesso criterio che si applica per la pregiudizialità in senso tecnico.Altri giungono ad una diversa soluzione: rilevano che la pregiudizialità in senso logico si innesta su uno modo di essere della realtà sostanziale diverso da quello della pregiudizialità in senso tecnico.Il rapporto diritto pregiudiziale- diritto dipendente non ha niente a che vedere con la relazione tra il singolo effetto e il rapporto giuridico da cui questo scaturisce.L’utilità non nasce dal rapporto in se, ma dai singoli effetti del rapporto. Nella pregiudizialità tecnica abbiamo un diritto dipendente e un diritto pregiudiziale. Il diritto pregiudiziale è una vera e propria situazione sostanziale attributiva di un bene della vita, tant’è vero che essa ha un suo valore anche a prescindere dall’esistenza del diritto dipendente. Il criterio da usare quindi per la pregiudizialità logica è quello del antecedente logico necessario. Se il giudice, per decidere dell’effetto dedotto in giudizio, si è dovuto occupare dell’esistenza e qualificazione del rapporto a cui tale diritto appartiene, allora ciò che il giudice ha stabilito del rapporto forma giudicato ove venga in discussione, in un successivo processo, un altro diritto che appartiene allo stesso rapporto.

Cap 19 I LIMITI SOGGETTIVI

Il problema dei limiti soggettivi si pone quando, secondo le regole sui limiti oggettivi si arriva alla conclusione che la precedente sentenza è rilevante per la decisione della seconda controversia. Se così non fosse perché ha per oggetto un diritto che non è uguale né pregiudizievole all’oggetto del secondo processo il terzo (cioè il soggetto che è parte nel secondo processo non lo era nel primo) non ha bisogno di essere difeso da un’efficacia che non lo riguarda, quindi egli è un terzo indifferente. Il problema dei limiti soggettivi sta nello stabilire se e quando la sentenza che formerebbe giudicato se le parti se le parti fossero le stesse forma giudicato anche quando le parti del secondo processo sono diverse dalle parti del primo. Quando il terzo è indifferente il problema dei limiti soggettivi non c’è perché il terzo secondo le regole sui limiti oggettivi non risente degli effetti della sentenza. Consideriamo i terzi che sono pregiudicati dalla precedente sentenza, cioè i titolari di una situazione dipendente rispetto a quella decisa nella sentenza passata in giudicato. La differenza fondamentale tra questi due tipi di terzi è che, chi è stato parte del primo processo ha avuto modo di difendersi e così di usufruire del contraddittorio ex artt 24 e 111 Cost, mentre chi non ha preso parte al precedente processo non ha potuto utilizzare queste garanzie. Il principio del contraddittorio è la prima regola che caratterizza il nostro problema. Ogni estensione soggettiva della sentenza urta contro il principio del contraddittorio proprio perché vincolare al contenuto di un provvedimento un soggetto che non ha potuto difendersi è la max violazione di tale principio. L’art 24 Cost garantisce sia il diritto di difesa che quello d’azione così questi due principi possono essere in contrasto tanto da non trovare attuazione entrambi. Quindi serve un criterio per stabilire quando estendere l’efficacia della pronuncia al terzo comprimendo il suo diritto di difesa ma realizzando il diritto di azione della parte vittoriosa nel 1° processo e quando invece negare l’efficacia delle pronuncia nei confronti del terzo in modo tale da tutelare il suo diritto di difesa e comprimere il diritto di azione della parte vittoriosa. Bisogna così distinguere due ipotesi:1) Terzo con titolo posteriore alla litispendenza. Il diritto o l’obbligo del terzo sorgono dopo l’inizio del processo al quale non è stato chiamato a partecipare e si conclude con sentenza della cui efficacia si discute nel secondo processo che ha per oggetto il dir/obbligo del terzo. Un fatto nuovo (arrivo del terzo) che è subentrato dopo non pregiudica il diritto di azione della parte che è risultata vittoriosa. Questo è stabilito da due norme, l’art 111, IV cpc che riguarda le ipotesi in cui la situazione del terzo nasce nel periodo che va dalla proposizione della domanda al passaggio in giudicato della sentenza (“la sentenza pronunciata contro le parti originarie spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare” cioè contro colui che durante il processo ha acquistato un dir/obb da una delle parti) e l’art 2909 cc che disciplina lo stesso fenomeno quando però la situazione del terzo nasce dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Però la compressione del diritto di difesa del terzo deve essere limitata a ciò che serve per garantire il diritto d’azione della parte vittoriosa. Quindi egli ha tutti i poteri di difesa se interviene nel processo ancor in corso mentre se è terminato ha a disposizione i mezzi di impugnazione utilizzabili contro la sentenza passata in giudicato, quindi ha gli stessi poteri processuali delle parti con la differenza che è lui a dover prendere l’iniziativa per esercitare i pot senza che le parti devono avvertire della pendenza del processo e dell’emanazione della sentenza;2) Terzo con titolo anteriore alla litispendenza. La situazione del terzo nasce prima che venga proposta la domanda. Così è più corretto tutelare il diritto di difesa del terzo invece che il diritto d’azione della parte vittoriosa. In questo caso c’è una situazione di incompatibilità risolta secondo il principio prior in tempore, potior in iure. Quindi se l’ipoteca è stata iscritta, cioè il diritto del creditore ipotecario è sorto, dopo la proposizione della domanda nel 1° processo allora è più ragionevole tutelare Caio quindi che la sentenza sia efficace anche verso Sempronio in quanto Caio non poteva sorvegliare su cosa faceva Tizio durante tutto il processo. Mentre se l’ipoteca è stata iscritta prima della proposizione della domanda se Caio voleva una sentenza efficace e vincolante anche verso S poteva estendere anche e lui il contraddittorio dato che la situazione di S era attuale quando Caio ha proposto la domanda.Altri criteri processuali per determinare i limiti soggettivi di efficacia della sentenza non ci sono ma si deve solo stabilire se si deve privilegiare la pretesa dell’efficacia che comporta la tutela del diritto di azione o dell’inefficacia della sentenza che comporta la tutela del diritto di difesa del terzo. Il criterio più ragionevole da utilizzare è l’anteriorità della proposizione della domanda rispetto al sorgere della situazione del terzo. Il problema affrontato si presento solo quando la sentenza è favorevole alla controparte del dante causa al contrario non c’è nessuna esigenza di tutelare né il diritto d’azione né il diritto di difesa. In certe condizioni però la sentenza è efficace cmq nei confronti del terzo la cui situazione sia sorta prima della proposizione della domanda, ciò non per motivi di diritto processuale (armonizzazione tra diritto d’azione e diritto di difesa) ma per motivi di diritto sostanziale, per il tipo speciale di struttura sostanziale che lega la situazione intercorrente fra le parti e la situazione del terzo.Fin qui abbiamo parlato di pregiudizialità istantanea ora invece ci occupiamo della pregiudizialità permanente. Si tratta di una relazione sostanziale di tipo diverso dove la situazione madre deve esistere non solo nel momento in cui nasce la situazione figlia ma deve continuare ad esistere perché continui ad esistere appunto anche la figlia. Quindi persiste il diritto dipendente affinché persista anche il diritto pregiudiziale. La situazione è opposta alla precedente perché in quella non serve che perduri il diritto principale cioè le proprietà del concedente perché perduri l’ipoteca ma è sufficiente che la proprietà del concedente sussista alla nascita dell’ipoteca, il nesso in questo caso tra situazione sostanziale pregiudiziale e situazione sostanziale dipendente è il nesso di pregiudizialità-dipendenza istantanea e le modifiche della situazione pregiudiziale dopo la nascita della situazione dipendente non influiscono. Mentre nel secondo esempio il nesso tra la situazione sostanziale pregiudiziale e quella dipendente è il nesso di pregiudizialità-dipendenza permanente. La situazione pregiudiziale deve esistere nel momento in cui sorge situazione dipendente ma deve anche continuare a persistere poiché il venir meno in un momento successivo alla nascita della situazione dipendente è rilevante e determina in venir meno della 2° situazione. L’art 1595 cc prevede in modo espresso le conseguenze appena viste in relazione alla sublocazione e prevede anche l’efficacia nei confronti del subconduttore della sentenza pronunciata fra locatore e conduttore. Non

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è la sentenza in quanto atto giurisdizionale che pregiudica il terzo ma è il modo di essere del diritto sostanziale che lo pregiudica perché l’ordinamento costruisce la sua situazione in modo tale che si adatti ad ogni momento alla situazione pregiudiziale. Ogni evento, di diritto sostanziale (negozio) o di diritto processuale (sentenza) che incide sulla situazione pregiudiziale comporta il necessario adattamento della situazione dipendente. Quindi quest’ultima è esposta a tutte le vicende che coinvolgono la situazione pregiudiziale. L’obiezione che potrebbe avanzare il terzo quando si vuole far valere nei suoi confronti la sentenza emessa non ha senso (es lamentare l’ingiustizia della sentenza , che la parte soccombente si è mal difesa, che la realtà sostanziale è diversa da quella su cui si fonda la sentenza e quindi secondo il principio del contraddittorio ha diritto di dimostrare al giudice la vera realtà). Cmq il terzo titolare di una situazione permanentemente dipendente non è senza protezione verso i comportamenti dei titolari della situazione pregiudiziale. La protezione solitamente è quella del dolo, cioè se gli atti sono compiuti con lo scopo di pregiudicare il terzo egli può farli dichiarare a sé in opponibili dimostrando che la sentenza è frutto di dolo e facendola dichiarare inefficace nei suoi confronti ex art 404 II cpc. Contro gli atti sostanziale è possibile l’azione revocatoria ex art 2091 cc così contro le sentenze è possibile l’opposizione di terzo revocatoria. La protezione del terzo può essere data anche da altri presupposti diversi dal dolo. Ma se i presupposti della tutela non ci sono la situazione del terzo si deve adeguare alle modifiche della situazione del dante causa.

Cap 20 I LIMITI TEMPORALI

Fino a quando dura il giudicato? La statuizione contenuta nella sentenza fa riferimento a un momento preciso che è diverso a seconda che si consideri la1. Quaestio facti: questa attiene alla realtà storica rilevante per la decisione. Qui è determinante l’udienza di precisazione delle conclusioni. Si fa riferimento a questa perché è l’ultimo momento utile per introdurre nel processo ulteriori elementi di fatto e il legislatore dà la possibilità di allegare nel processo tutti i fatti storici sopravvenuti durante la pendenza del processo perché la decisione sia il più possibile conforme alla realtà sostanziale. Questo è possibile anche quando nel processo ci sono meccanismi preclusivi per l’allegazione di fatti che si sono verificati prima dell’inizio del processo. Dalla precisazione delle conclusioni inizia la divaricazione tra realtà effettiva e realtà rilevante per la decisione poiché il giudice non può considerare in sede di decisione i fatti avvenuti dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni. I disaccordi tra la situazione di fatto su cui si fonda la decisione e quelle effettivamente esistente possono essere recuperate in un successivo processo. Quindi la decisione si forma basandosi sulla realtà di fatto che esiste nel momento in cui c’è stata l’udienza di precisazione delle conclusioni. Per la funzione della tutela dichiarativa è necessario introdurre una preclusione alla possibilità di ripetere processi diversi con lo stesso oggetto. Questa preclusione, in questo caso riguarda il momento di precisazione delle conclusione, è chiamata del dedotto o del deducibile, significa che nell’ambito determinato secondo le regole dei limiti oggettivi non è più possibile far valere fatti che già avevano prodotto effetti giuridici al momento della precisazioni e quindi potevano essere dedotti e fatti valere nel processo precedente che ha portato alla pronuncia passata in giudicato. La preclusione del dedotto e del deducibile opera quando nel 2° processo ha effetto la prima sentenza. Quando l’oggetto del secondo processo non è uguale o dipendente da quello del precedente processo a preclusione non si applica. L’espressione dedotto e deducibile indica ciò che è stato dedotto e ciò che poteva essere dedotto nel processo perché esisteva in quel momento. L’estinzione degli effetti della sentenza grazie all’evolversi della realtà sostanziale si verifica soprattutto per le situazioni strumentali (diritto di credito,diritti potestativi) cioè le situazioni che sono funzionali a realizzare un interesse diverso da quello in cui coesistono e che sono utili nel momento in cui si estinguono. Lo stesso avviene anche per le situazioni finali (diritto reali, diritto personali di godimento) cioè quelle situazioni che sono funzionali a realizzare lo stesso interesse in cui coesistono e che sono utili finché esistono. Diverse sono le tesi sul concetto di “deducibile” poiché secondo la dottrina maggioritaria si intende precluso ogni fatto che è venuto ad esistenza prima dell’ultimo momento utile per dedurlo, cioè entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, quindi la deducibilità è intesa in senso oggettivo mentre secondo una dottrina minoritaria ed anche la più accreditabile la deducibilità deve essere intesa in senso soggettivo cioè come concreta possibilità di allegazione di un fatto venuto ad esistenza ma anche conosciuto o cmq conoscibile dalla parte al momento della precisazione. Se così non fosse la parte non avrebbe potuto in concreto allegarlo anche se era in astratto deducibile perché esistente. Quindi per precluso si intende il fatto concretamente deducibile. Se l’effetto giuridico è prodotto da una fattispecie complessa la preclusione scatta solo se al momento della precisazione, la fattispecie si è completata e quindi si è prodotto l’effetto. Inoltre se alcuni effetti sono già venuti ad esistenza al momento della precisazione ma l’ultimo fatto è venuto ad esistenza successivamente la preclusione non avviene. Così non opera nemmeno per quanto riguarda i fatti che consistono in una situazione che dura nel tempo se questa non è maturata prima della precisazione delle conclusioni. Bisogna distinguere le sopravvenienze possibili rispetto alle sentenze di accoglimento della domanda (più corretto dire sentenza che hanno dichiarato che si è prodotto un effetto giuridico quindi che esiste un diritto) dalle sopravvenienze possibili rispetto alle sentenze di rigetto (cioè sentenza che hanno negato che si è prodotto un effetto giuridico quindi che non esiste un diritto). Se il giudice ha dichiarato che l’effetto giuridico si è prodotto ha quindi esaminato l’intera fattispecie e verificato che questa si è completata, cioè che il diritto è sorto, e che non ci sono fatti che lo hanno estinto. Quindi i fatti sopravvenuti che possono incidere sulla sentenza sono quelli modificativi ed estintivi del diritto accertato esistente che sono sopravvenuti all’udienza di precisazione. Ma anche un modifica dei fatti costitutivi del diritto può incidere sugli effetti della sentenza, ciò avviene quando i fatti componenti della fattispecie costitutiva si collocano temporalmente in un momento dopo l’udienza di precisazione in cui è fatto valere il diritto a cui la fattispecie si riferisce. In tutti i casi in cui la fattispecie costitutiva si proietta nel futuro (come nell’es) il giudice deve fare una previsione. Per consentire la riproponibilità della domanda non serve una modifica della situazione fattuale esistente in quel momento ma uno scostamento della evoluzione effettiva della situazione fattuale rispetto alla evoluzione prevista dal giudice . È importante che la situazione fattuale futura sia diversa da quella prevista dal giudice. La possibilità di una riproposizione della domanda si basa sul fatto che la prognosi del giudice non fa parte della fattispecie sostanziale ma è uno strumento processuale per consentire di pronunciare su un diritto che non è ancora nato poiché la fattispecie costituiva di questo non si è ancora completata. Se la sentenza ha negato il verificarsi dell’effetto giuridico il problema è diverso perché la sentenza di rigetto non ha una portata precettiva predeterminata come la sentenza di accoglimento. Quando il giudice dichiara inesistente un effetto giuridico bisogna domandarsi quale è il motivo del rigetto. La portata precettiva della pronuncia si determina con riferimento all’elemento della fattispecie che il giudice ha ritenuto carente. Il fatto sopravvenuto idoneo per la riapertura del discorso deve integrare l’elemento della fattispecie che il giudice ha ritenuto carente e deve così coincidere con il motivo del rigetto. Quindi la portata precettiva della sentenza (cioè la difesa che dà) è variabile perché ci sono motivi di rigetto che chiudono il discorso per sempre e altri che permettono la riapertura del discorso.Fino questo momento sono stati trattati i limiti temporali parlando dei nuovi fatti che intervengono in un panorama normativo immutato mentre ora consideriamo il problema di tali limiti nel caso in cui cambia la legge applicabile ma non i fatti.2. Quaestio iuris: attiene alle norme di cui si fa applicazione nel decidere la controversia. Qui l’ultimo momento utile per applicare il mutamento normativo è la pubblicazione della sentenza, cioè momento in cui il giudice si spoglia del potere giurisdizionale. Il giudice deve applicare l novità normative fino a quando pronuncia la sentenza. L’applicazione delle novità se il processo è nella fase decisoria avviene in modo diverso a seconda che diano o meno rilevanza a fatti diversi rispetto a quelli rilevanti secondo la norma previdente. Se danno rilevanza la causa deve tornare alla fase istruttoria in modo tale di permettere alle parti di allegare e provare i fatti resi rilevanti dalla nuova norma se invece non danno rilevanza allora è sufficiente che il giudice solleciti il contraddittorio delle parti per l’applicazione della nuova norma.

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Il problema delicato che pone lo ius superveniens riguarda i suoi rapporti con il giudicato, infatti si deve stabilire a che condizioni e fino a che punto la norma nuova può alterare le regole di condotta contenute nella sentenza. Gli effetti giuridici sono relativi a un interesse istantaneo quando questo interesse si realizza in un momento temporale circoscritto. Ciò avviene per gli effetti costitutivi o estintivi i una situazione giuridica che si producono istantaneamente quando si completa la fattispecie costituiva o estintiva del diritto. Inoltre si verifica con riferimento al contenuto del diritto in relazione alle situazioni strumentali (crediti, diritto potestativi) che realizzano l’interesse protetto quando si estinguono con l’adempimento e il loro utilizzo. Gli effetti giuridici sono relativi a un interesse permanente quando questo si realizza in un arco temporale durevole, questo avviene in riferimento al contenuto delle situazioni finali che realizzano l’interesse protetto fino a quando esistono e perdurano nel tempo. (Quindi si ha interesse istantaneo con riferimento alla fattispecie acquisita o estintiva di qualunque diritto e con riferimento al contenuto delle situaz strumentali mentre si ha interesse permanente con riferimento al contenuto delle situaz finali). Ius superveniens irretroattivo: la nuova norma non retroattiva non entra mai in confitto con la sentenza che produce i suoi effetti verso il futuro ma sulla base della situazione normativa esistente in quel momento (A). Se la situazione normativa cambia anche gi effetti della sentenza si devono adeguare ma se la nuova norma è irretroattiva l’effetto giuridico (X) resta mq disciplinato dalla sentenza. Quindi le regole di comportamento qui contenute non entrano in conflitto con le diverse regole contenute nella nuova norma. Ciò vale sia per gli eff giuridici relativi a un int istantaneo (es1) si per quelli relativi in un int permanente (es2). Ius superveniens retroattivo: cioè l nuova norma sovrappone la sua disciplina a quella che la sentenza ha determinato secondo la normativa precedente. Qui la nuova norma entra in conflitto con la sentenza perchè coprono lo stesso periodo. Quando l’interesse giuridico disciplinato è permanente la norma retroattiva produce effetti retroattivi fino al momento in cui la norma è rilevante, cioè fino al momento A in cui la sentenza è pubblicata e più indietro la norma nuova non può andare. Mentre quando l’interesse è istantaneo la norma retroattiva sopravvenuta non trova applicazione proprio perché l’interesse istantaneo si colloca per intero prima del momento A. (Quindi la sentenza disciplina il periodo fino ad A mentre la norma retroattiva il periodo da A in poi).Alla norma retroattiva sono equiparate le sentenze di accoglimento della Corte cost che sono retroattive per definizione. Inoltre la retroattività della nuova norma non deve incontrare ostacoli di costituzionalità altrimenti la norma è incostituzionale e non si applica per il periodo compreso fra il momento A ed il momento B.

Cap 21 LA RILEVAZIONE E DECISIONE DELLE QUESTIONI RELATIVE AL GIUDICATO

Dopo aver stabilito rispetto a cosa (limiti oggettivi), rispetto a chi (limiti soggettivi) e fino a quando (limiti temporali) una sentenza ha effetto in un altro processo si deve stabilire come all’interno di questo processo si pone la questione dell’esistenza di un precedente giudicato. Il giudice può rilevare il giudicato d’ufficio per la prima volta anche in appello e in Cassazione senza limiti che non siano quelli della già avvenuta decisione della questione relativa al precedente giudicato (cioè che la questione sua già stata sollevata e decisa quindi ci sia già stato il giudicato sul giudicato). Il precedente giudicato può avere il ruolo di un presupposto processuale e altro ruolo. Se sollevata la questione il giudice decide che questa è fondata cioè che esiste un precedente in giudicato che ha effetto in quel processo le conseguenza possono essere diverse: l’oggetto del secondo processo è identico all’oggetto della precedente sentenza passata in giudicato oppure ipotesi in cui l’oggetto è diverso. Quando c’è identità dell’oggetto si applica il principio del ne bis in idem, cioè il giudice non ha potere di decidere nel merito una domanda che è già stata decisa. Quindi il secondo giudice qui emette una sentenza di rito con cui stabilisce che è inutile emettere una nuova sentenza poiché il diritto oggetto di questo processo ha già avuto una sua regolamentazione giurisdizionale con la precedente sentenza quindi quella è già suff. Questo principio integra gli effetti negativi del giudicato, così definiti perché negano il potere giurisdizionale del giudice successivo. Quando l’oggetto è diverso si verificano gli effetti positivi del giudicato, così chiamati perché il 2° giudice emette sul diverso ogg del 2° processo una sentenza di merito il cui contenuto è vincolato a quanto già deciso. Qui bisogna arrivare ad una pronuncia che statuisce anche sulla diversa situazione sostanziale oggetto del secondo processo tenendo conto quanto stabilito nella precedente sentenza. Il vincolo del giudicato riguarda quell’elemento che è già stato deciso con la prima sentenza. In questo caso il precedente giudicato non funzione come presupposto processuale ma come criterio che orienta il contenuto della decisione di merito. (Quindi il giudicato può operare in due modi diversi: se si tratta di eff negativi funziona come presupp processo escludendo così una seconda decisione mentre se sono eff positivi il precedente giudicato funziona come criterio vincolante che orienta il contenuto della decisione di merito).

Se due sentenze passate in giudicato contengono disposizioni fra loro contrastanti si ha il contrasto dei giudicati che può essere:contrasto teorico, quando le due sentenza hanno per oggetto situazioni sostanziali diverse che sono tra loro connesse per pregiudizialità- dipendenza o dipendono dallo stesso rapporto giuridico in modo da rendere possibile o l’applicazione degli effetti positivi (che però non hanno funzionato) o da permettere il cumulo processuale (in concreto però non si è realizzato). Ma le due pronunce non sono tra loro in contrasto effettivo;contrasto pratico , qui si ha un contrasto effettivo. Quando le pronunce hanno lo stesso oggetto e il ne bis in idem, cioè gli effetti negativi, non hanno impedito l’emanazione della seconda sentenza. Se le due pronunce hanno contenuto diverso bisogna trovare una soluzione perché Tizio non può essere sia figlio che non figlio di Caio. La regola per la risoluzione di tale contrasto si ha con l’interpretazione dell’art 395, n5, cpc e se n è usato in modo tempestivo questo mezzo di impugnazione prevale la sentenza successiva. Tale regola confermata anche dall’art 829, n8, cpc. Il problema non si pone solo per il giudicato di merito ma anche per le sentenza di rito che si esprimono circa l’esistenza dei presupposti processuali. Queste sentenza a volte non sono idonee a formare giudicato fuori dal processo in cui sono emesse perché si fondano su un elemento proprio di quel processo rispetto al quale l’elemento proprio del secondo processo si pone come fatto nuovo. Ci sono cmq sentenza di rito che di per se sono idonee a essere vincolanti anche nel secondo proc. Queste sono potenzialmente vincolanti anche come giudicato esterno, cioè fuori dal processo. Secondo opinione prevalente il nostro ordinamento ha fatto un scelta di diritto positivo diversa poiché ha stabilito che di solito le sentenza di rito sono valide solo come giudicato interno ex art 310 cpc che appunto esclude l’efficacia di queste sentenza fuori dal processo in cui sono emesse. A questa regola c’è l’eccezione delle pronunce della Cassazione in tema di comp ex l’art 310 cpc e in tema i giurisdizione ex l’art 382 cpc che prevede che su tali questioni la Cass statuisce indicando il giudice fornito di giurisdizione, quindi la statuizione vincolando ogni giudice dell’ord deve per forza essere efficace anche come giudicato esterno. Quindi le pronunce della Cassazione sulla giurisdizione anche essendo sentenza di rito vincolano anche come giudicato esterno. Cmq tale opinione non persuade perché l’art 310 si riferisce alle sentenza non definitive, poi con interpretazione esteso anche a quelle definitive. Una sentenza non definitiva di rito per definizione non è destinata a produrre effetti al di fuori del processo in cui è emessa poiché la sua portata è assorbita dalla pronuncia di merito mentre la pronuncia definitiva di rito può produrre i suoi effetti fuori dal processo e se i non avviene si verifica un doppio inconveniente, cioè la stessa domanda potrebbe essere riproposta all’infinito e l’impossibilità di far valere in un diverso processo la sentenza definitiva di rito causa della mancanza di un’efficacia esterna può portare a dei contrasti.

Cap 22 LA LITISPENDENZA, LA CONTINENZA E LA CONNESSIONE [5° presupposto processuale]

Litispendenza art 39 cpc

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Litispendenza vuol dire “pendenza della lite”. In senso ampio con questo termine si vuole indicare la situazione che si verifica tra la proposizione della domanda giudiziale e il passaggio in giudicato formale della sentenza che chiude il processo. In senso ristretto di indica il fenomeno in virtù del quale di fronte a uffici giudiziari diversi sono pendenti due processi che hanno stesso oggetto e per questo bisogna trovare una forma di coordinamento fra essi. Esigenze che sottostanno alla litispendenza sono di evitare che lo stesso oggetto del processo abbia una duplice fonte di disciplina (cioè che due sentenza disciplinano la stessa situazione sostanziale) e evitare attività processuali inutili secondo il principio di economia processuale. I presupposti necessari per avere litispendenza ex art 39 cpc è che una stessa causa sia proposta a giudici diversi ma tradizionalmente per affermare che una causa ha lo stesso oggetto bisogna individuare tre elementi e se nei due processi manca la coincidenza anche di uno di questi tre allora non si può parlare di litispendenza:1. Soggetti : se i sogg dei due processi non sono uguali allora non c’è litispendenza perché la diversità di soggetti porta a diverse situazioni sostanziali poiché il diritto di A è diverso da quello di B anche quando entrambi si riferiscono ad un unico bene. I soggetti servono per l’identificazione del diritto poiché ogni soggetto può far valere solo i suoi diritti quindi se i due processi hanno parti diversi allora anche l’oggetto del processo è diverso perché diversa è la situazione sostanziale che è fatta valere. Ma c’è un eccezione: l’istituto della legittimazione straordinaria con la quale si può far valere in giudizio i diritti altrui quindi è permesso a un soggetto di dedurre come oggetto del processo non un diritto che gli appartiene ma un diritto che appartiene ad altri Quindi la diversità di soggetti non è rilevante quando essendoci un’ipotesi di legittimazione straordinaria c’è identità di oggetti fra due processi, quindi anche se i soggetti sono diversi in questo caso c’è cmq litispendenza. 2. Causa petendi (ragioni della domanda): è la fattispecie costitutiva del diritto dedotto in giudizio. Bisogna ricordare i criteri di identificazione dei diritti e si deve così distinguere fra diritti auto individuati e diritti etero individuati. I primi si identificano attraverso il titolare, il tipo di utilità garantita dall’ord e il bene su cui questa utilità cade. I fatti costitutivi di questo diritto non sono rilevanti per identificarlo poiché all’aumentare dei fatti costitutivi non consegue l’aumento dei diritti. Quindi per quanto riguarda la litispendenza se di fronte a un giudice è pendente una controversia che ha per oggetto un diritto auto individuato in relazione ad una certa causa petendi e davanti ad altro giudice pende controversia relativa a stesso diritto ma sulla base da altra fattispecie costitutiva ciò non toglie che l’oggetto dei due processi sia lo stesso e quindi che fra i due processi ci sia litispendenza. Per i secondi invece la causa petendi è rilevante per l’individuazione del diritto così che al moltiplicarsi delle fattispecie costitutive segue la nascita di altrettanti diritti. Per capire se c’è o meno litispendenza si deve vedere se le fattispecie costitutive dei diritto oggetto dei due processi coincidono, se così fosse allora c’è litispendenza.3. Petitum (cosa è richiesto al giudice): è il provvedimento che si domanda, cioè il tipo di tutela chiesta al giudice in relazione alla lesione subita. La non coincidenza fra il tipo di tutela che si richiede in due processi vuol dire che fra i due processi non c’è litispendenza.

Continenza art 39 cpc II cÈ la continenza di cause, istituto che si applica a due fenomeni:Quando l’oggetto di uno dei due processi rappresenta un quid minus rispetto all’oggetto dell’altro processo, cioè è chiesto qualcosa di meno rispetto a quanto chiesto nell’altro (un processo contiene l’altro). Il quid minus può verificarsi in relazione al tipo di tutela richiesti. In questi esempi c’è continenza fra i due processi) o in relazione ai diritti dedotti in giudizio dove si ha continenza se l’oggetto di un processo è maggiore rispetto all’oggetto dell’altro processo Quanto delineato fino ad ora è la configurazione tradizionale della continenza e corrisponde al significato etimologico del termine, in questo caso è una sorta di litispendenza parziale.La giurisprudenza utilizza come strumento, per prevenire la pronuncia di due sentenze ognuna delle quali può formare giudicato sullo stesso rapporto fondamentale, la continenza nella quale non c’è identità d’oggetto come nella litispendenza ma bensì identità del rapporto fondamentale ma non dei diritti che le parti hanno fatto valere in giudizio.- Profili dinamici: come nascono e come si risolvono le questioni relative alla litispendenza e alla continenza. Entrambe sono rilevabili in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio. Per la litispendenza il meccanismo è più semplice perché l’oggetto dei due processi è lo stesso e quindi uno dei due è superfluo. La tutela richiesta può provenire indifferentemente dalla sentenza di ciascuno dei due processi. Per questo è sufficiente chiudere uno dei due processi con provvedimento di rito dichiarando la litispendenza . Dato che è indifferente quale dei due processi viene chiuso si utilizza il criterio della prevenzione, cioè continua il processo che si è instaurato per primo. Ex art 39 cpc (ultima parte) la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione, così che il processo instaurato con un atto introduttivo notificato per primo va avanti. Per i processi che nascono da un ricorso la prevenzione è calcolata considerando il primo deposito dello stesso nella cancelleria del giudice adito indipendentemente dalla successiva notificazione del ricorso alla controparte.Art 39 cpc “…giudici diversi…” si intende uffici giudiziari diversi e se gli stessi fenomeni che danno vita alla litispendenza e alla continenza si verificano fra cause pendenti davanti allo stesso ufficio giudiziario non si applica tale art ma l’art 273 cpc.Per la continenza la questione è diversa e più difficile per il fatto che non essendoci coincidenza fra gli oggetti dei due processi non sempre si può chiudere il processo instaurato successivamente. Ex art 39 II c cpc, si deve stabilire se per la causa proposta successivamente è competente il giudice della causa proposta per prima. Così che se il giudice adito per primo è competente anche per la causa successiva allora sarà il secondo giudice a dichiarare la continenza, quindi emette una ordinanza di rito a contenuto negativo. Mentre se il giudice adito per primo risulta non competente ma al contrario è il giudice adito per secondo ad essere competente per la causa proposta dinanzi al primo giudice allora sarà il giudice adito per primo a dichiarare la continenza a favore del giudice adito successivamente. Quindi si deve dire che nella continenza prosegue il giudice adito per primo a condizione che egli sia competente anche per la causa pendente davanti all’altro giudice altrimenti prosegue il giudice adito successivamente . - Ma nella continenza non è sempre è sufficiente chiudere uno dei due processi perché qui gli oggetti dei due processi sono diversi anche se magari sono parzialmente coincidenti. Così che con la sentenza che dichiara la continenza il giudice assegna un termine per trasferire la causa così chiusa davanti all’altro giudice che prosegue. La causa proposta nel processo che si chiude non deve essere riassunta davanti al giudice che prosegue quando è già per intero contenuta nella causa oggetto del processo che prosegue.- Le pronunce in tema di litispendenza e continenza sono equiparate alle ordinanze di comp e ai mezzi di impugnazione, per questo soggette all’art 42 cpc. Quando litispendenza e continenza sussistono fra cause pendenti davanti allo stesso ufficio giudiziario si applica l’art 273 cpc altrimenti quando le cause sono pendenti davanti a uffici giudiziari diversi si applica come visto l’art 39 cpc.

Connessione art 40 cpcNel caso in cui pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi ci siano più cause connesse, cioè che hanno dei punti in comune . Stesse ipotesi previste dagli artt 31-36 cpc con la differenza che questi artt presuppongono che le cause connesse siano proposte nello stesso processo mentre l’art 40 presuppone che le cause siano pendenti di fronte a uffici giudiziari diversi (anche se le cause potevano essere proposte nello stesso processo). L’art 40 cpc permette che le cause siano riunite davanti a un ufficio giudiziario, quindi la norma prevede un meccanismo con cui si può realizzare dopo il processo che poteva essere messo in atto fin dall’inizio. La funzione dell’art 40 cpc è quella di realizzare il simultaneus processus e quindi di conseguenza quella del cumulo oggettivo/soggettivo: l’economia processuale. Anche per la connessione bisogna ricordare l’esclusione dell’applicazione dell’art 40 cpc per le ipotesi in cui più cause

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connesse pendono davanti allo stesso ufficio giudiziario, quindi se le cause connesse pendono davanti a uffici giudiziari diversi si applica l’art 40 altrimenti se le cause connesse pendono davanti allo stesso ufficio giudiziario si applica l’art 274 cpc (il motivo di quanto detto è che la realizzazione del simultaneis processus fra cause pendenti davanti allo stesso ufficio giudiziario non pone problemi di competenza come succede invece nello spostamento di una causa da un ufficio giudiziario ad un altro).Art 40 II c cpc prevede le condizioni affinché possa operare la riunione e realizzazione del simultaneus processus. La connessione deve condizioni sono:- eccepita dalle parti o rilevata d’ufficio non oltre la prima udienza della causa proposta successivamente;- la riunione non deve essere effettuata se la causa proposta antecedentemente si trova in uno stato d’istruttoria avanzato che non permette la trattazione esauriente della causa che le viene riunita.Quando ci sono queste due condizioni allora opera la connessione con un’ordinanza che fissa un termine per la riassunzione (atto di prosecuzione del processo) della causa proposta dopo davanti al giudice della causa proposta prima. La riunione può avvenire anche in deroga alle regole di competenza ordinaria (artt 31-36cpc) questo per permettere la realizzazione del simultaneus processus.Art 40 cpc risolve anche problema: cumulo fra più cause assoggettate a riti processuali diversi . La norma però non riguarda tutti i casi di cumulo, infatti richiama gli artt 31-36 (no33) per le ipotesi di connessione forte o per subordinazione (modificazione della comp per motivi di connessione) mentre non richiama l’art 33 cpc, cioè il cumulo soggettivo indicato come connessione debole o per coordinazione .L’art 40 cpc III-IV-Vc si applica a tutti i casi di simultaneus processus, sia che si realizzi dall’inizio con la proposizione di più domande nell’unico processo sia che si realizzi con riunione delle più cause proposte separatamente ma riunite ex art 40cpc o art 274cpc. Ipotesi che si possono verificare:- Le cause cumulate sono soggette una al rito ordinario e l’altra a rito speciale ma quest’ultima non è una causa di lavoro o previdenziale, qui le cause sono tutte trattate con rito ordinario;- Le cause cumulate sono soggette una al rito ordinario e l’altra a rito speciale e quest’ultima è una causa di lavoro o previdenziale, qui tutte le cause sono trattate con rito speciale del lavoro. Ma il rito del lavoro prevale su quello ordinario solo se con esso è tratta una causa di lavoro o previdenziale e non le ulteriori controversie per cui si può sempre usare il rito del lavoro, se non fosse trattata una delle due ipotesi allora è il rito ordinario a prevalere;- I riti delle cause cumulate sono riti speciali diversi e nessuna di queste cause è una causa di lavoro o previdenziale, qui le cause sono trattate con il rito della causa in ragione della quale si determina la competenza, cioè quella che ha attratto l’altra. È quanto succede nell’ipotesi dell’art 31cpc dove la causa principale attrae quella accessoria. Se invece fra le due cause non c’è ne è una attraente all’altra (ipotesi artt32,34,35,36cpc) ed entrambe appartengono alla comp dello stesso giudice il rito comune è quello della causa di maggior valore;- Una delle cause cumulate è una causa di lavoro o previdenziale e l’altra è da trattare con un rito speciale. Tale ipotesi non è disciplinata in modo specifico ma è logico che tali cause debbano essere trattate con il rito del lavoro.L’art 40cpc tratta anche dei casi in cui una causa di comp del giudice di pace è connessa a una causa di comp del tribunale . La norma prevede solo le ipotesi di connessione per subordinazione e non quelle per coordinazione (qui l’omesso richiamo non ha effetto di escludere la realizzazione del simultaneus processus. L’omissione è motivata dal fatto che tale norma disciplina solo la deroga alla comp territoriale e perciò non ha senso richiamarla dato che art 40 si occupa solo di comp verticale. La possibilità di deroga alla comp verticale per il cumulo soggettivo è prevista dall’art 103cpc dove si prevede che la causa di comp del giudice inferiore connessa per oggetto o titolo una causa di comp del giudice superiore sia trattata con quest’ultima). Quando una causa di comp del giudice di pace è connessa a una causa di comp del tribunale, quest’ultima attrae la prima. Così le cause possono essere direttamente proposte al tribunale ma se così non fosse il giudice di pace pronuncia la connessione a favore del tribunale.

Cap 23 LA CAPACITA’ PROCESSUALE [6° presupposto processuale]

I presupposti processuali che attengono alle parti:la CAPACITA’, si usa un unico termine per far riferimento a due fenomeni:1. Parte in senso processuale: cioè colui che è destinatario degli atti processuali. Quindi si intende la capacità di essere parte, cioè la cap di assumere il ruolo di soggetto del processo e di essere destinatario degli effetti degli atti processuali. Qui la capacità processuale è strettamente collegata alla capacità giuridica (art1cc) così che non ha cap processuale chi non è nato, chi è morto, le persone giuridiche non sorte o estinte; 2. Parte in senso formale: cioè colui che compie atti del processo. Si intende la capacità processuale, che consiste nella capacità di compiere atti del processo e corrisponde alla capacità d’agire (art2cc). Quindi ha capacità processuale chi può compiere atti nel processo rimanendo indifferente al fatto che gli effetti si imputano a lui o ad altro soggetto. Ex art 75cpc si ha tale capacità quando si ha il libero esercizio dei diritti oggetto del processo. Quindi ha capacità processuale chiunque ha capacità d’agire sul piano sostanziale in relazione al diritto controverso. Un soggetto che è capace giuridicamente ma non ha capacità d’agire, e quindi neppure capacità processuale, in relazione a un diritto può essere destinatario degli effetti degli atti processuali ma non li può compiere.L’art 75cpc stabilisce che gli incapaci devono stare in giudizio rappresentati o assistiti o autorizzati secondo le norme che regolano le loro capacità d’agire: Rappresentanza legale : un soggetto è capace giuridicamente ma incapace di agire si ha dal pdv processuale una scissione fra la parte in senso processuale e la parte in senso formale. Quindi in un processo dove una parte è un incapace egli è destinatario degli effetti giuridici degli atti del processo (in senso processuale) mentre chi compie gli atti è il suo rappresentante legale (in senso formale). il minore può mancare di un rappresentante o il rappresentante può essere in conflitto d’interessi con il rappresentato. Qui essendoci un conflitto d’interessi si nomina un curatore speciale ex artt 78-79-89cpc che rappresenta il minore solo in quel processo. Rappresentanza volontaria : anche qui scissione tra soggetto che compie gli atti e soggetto che cui si imputano gli effetti degli atti. Differenza con la precedente rappresentanza è che il rappresentato volontario ha anche lui il potere di compiere gli atti del processo. Rappresentanza organica : chi sta in giudizio per le persone giuridiche comprese quelle di diritto pubblico (es comuni) e per i soggetti di diritto che non sono persone giuridiche (es ass non ric o soc di persone). Si differenzia dalle precedenti perché qui all’ente si imputano sia gli effetti dell’attività compiuta sia l’attività stessa. Gli atti del rappresentante organico sono quindi atti dell’ente.Autorizzazione: art 75cpc + art 182 cpc. Di solito riguarda la rappresentanza legale e organica. Chi compie gli atti processuali deve avere, se previsto, l’autorizzazione di un altro soggetto. L’autorizzazione non è un requisito cui è subordinato l’acquisto della qualità di parte ma è requisito per la regolare costituzione in giudizio e per il regolare compimento degli atti processuali. Quindi essa incide sulla possibilità che il rappresentante compia validamente gli atti processuali. Differenza del modo di operare della rappresentanza e dell’autorizzazione è che ogni soggetto che deve essere autorizzato ha l’onere di procurarsi la propria autorizzazione. In caso di rapp legale o organica l’attore ha l’onere di agire per mezzo del suo rappresentante legale o se la rapp riguarda il convenuto ha l’onere di instaurare il contradditorio verso il rappresentante legale della controparte, nel caso dell’autorizzazione l’attore deve procurarsi le autorizzazioni per lui prescritte ma non deve procurarsi anche le autorizzazioni che servono al convenuto perché di quelle se ne occupa quest’ultimo.

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L’ inosservanza dell’onere di procurarsi l’autorizzazione che serve per potersi validamente costituire in giudizio comporta l’invalidità di tutti gli atti processuali che sono stati compiuti dal soggetto non munito della prescritta autorizzazione. Le conseguenze sono diverse a seconda che siano violate le norme sulla rappresentanza o sull’autorizzazione, se ad essere violate sono le norme sulla rappresentanza ciò impedisce sempre la pronuncia di merito poiché il rispetto delle norme sulla rapp è un presupposto. Mentre per l’autorizzazione è diverso perché essa è presupposto processuale solo per l’attore (cioè di chi propone la domanda) e non anche per il convenuto, così che se manca l’autorizzazione dell’attore è invalida la domanda giudiziale che è presupposto prc per cui il processo non può giungere a una pronuncia di merito mentre se l’autorizzazione manca al convenuto questo non impedisce l’emanazione di una pronuncia di merito perché gli atti processuali compiuti dal convenuto senza autorizzazione sono invalidi ma ciò non impedisce la pronuncia di merito, il convenuto senza autorizzazione è considerato un convenuto contumace, cioè un soggetto che non compie atti.(Difetto di rappresentanza). Il difetto relativo alla cap processuale è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Il difetto di rappresentanza può essere sanato perché l’elemento che manca per integrare il presupposto può essere acquisito al processo su iniziativa di chi ha proposto la domanda. Quando il vizio è sanabile il giudice non può chiudere il processo in rito prima che sia sanato il vizio ex art 182cpc IIc, dopo aver sanato il vizio relativo alla capacità si può arrivare alla sentenza di merito. Gli atti processuali già compiuti per essere validi devono essere compiuti di nuovo a meno che ci sia la ratifica dell’interessato che si ha quando chi doveva rappresentare la parte costituendosi fa propri, quindi ratifica, gli atti compiuti dal soggetto che stava nel processo al suo posto. Quindi la ratifica presuppone un comportamento attivo dell’interessato che manifesta la volontà di far propri gli atti compiuti da un altro soggetto. Gli effetti della domanda si producono dal momento in cui è stata proposta la domanda anche se viziata poiché la sanatoria ha carattere retroattivo.(Difetto di autorizzazione). La mancanza di una prescritta autorizzazione comporta come conseguenza (già viste) l’inefficacia degli atti compiuti dalla parte non autorizzata. Se la parte non autorizzata è l’attore il vizio impedisce la decisione di merito in via indiretta poiché determina l’invalidità della domanda giudiziale mentre se la parte non autorizzata è il convenuto essa deve considerarsi contumace. Per la sanatoria l’autorizzazione può essere data in ogni momento fino a quando il giudice non ha emesso un provvedimento che abbia accertato il difetto di autorizzazione e ne abbia tratto le conseguenze. Una volta concessa l’autorizzazione integra in modo retroattivo la condizione di efficacia degli atti della parte, quindi rende efficaci anche gli atti compiuti prima che l’autorizzazione fosse concessa.

Cap 24 LA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE [7° presupposto processuale]

Anche la legittimazione ad agir (come la capacità) è un presupposto processuale, cioè una condizione perché il processo possa giungere a una decisione di merito. Non c’è una norma che disciplina in positivo la legittimazione ma la disciplina si ricava dall’art 81cpc “fuori dai casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere in un processo in nome proprio un diritto altrui”. In questo art viene enunciata l’eccezione, cioè la legittimazione straordinaria.Legittimazione ordinaria: chi agisce in giudizio deve farlo per la tutela di un diritto proprio e deve proporre la domanda nei confronti del/dei titolari dei doveri correlati a questo diritto e funzionali alla sua soddisfazione oppure si può dire che legittimato è colui nei cui confronti si produrranno gli effetti della misura giurisdizionale. Chi propone la domanda deve quindi chiedere la tutela di un suo diritto attraverso la determinazione di regole di condotta che si imputeranno a lui e al soggetto nei cui confronti egli chiede la tutela. Questi sono i legittimati ordinari. La legittimazione ad agire si determina quindi dalla domanda e il giudice deve valutare la legittimazione solo su questa e non attraverso un indagine mirata ad accertare se colui che agisce è veramente titolare del diritto. Se sulla base delle contestazioni del convenuto e dell’istruttoria il giudice si convince che l’attore non è titolare di quel diritto rigetta nel merito la domanda considerando l’attore legittimato ad agire in quanto si è affermato titolare del diritto fatto valere (anche se non lo è).Legittimazione straordinaria: alla regola generale che fonda la legittimazione ordinaria ci sono delle eccezioni che fondano invece quest’altra categoria. L’art 81cpc contiene il carattere di tassatività, cioè solo nei casi previsti espressamente dalla legge è possibile che un soggetto faccia valere in giudizio un diritto di cui egli afferma l’altrui titolarità. Alcune ipotesi:- Azione surrogatoria: art 2900cc. Il creditore per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso terzi al proprio debitore. Quindi qui il creditore agisce in nome proprio ma per la tutela di diritti altrui (debitore);- Azione del Pubblico Ministero: art 69cpc, l’organo pubblico agisce facendo valere situazioni giuridiche altrui;- Art 9 L267/2000, tu degli enti locali, “ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia.Una parte della dottrina critica la legittimazione straordinaria sostenendo che non ha senso perché il legittimato straordinario agisce in nome proprio e quindi per la tutela di un proprio interesse/diritto, per questo sarebbe sbagliato affermare che egli agisce per la tutela di un diritto altrui. Ma si dimentica così che l’oggetto di quel processo resta sempre il diritto altrui, infatti la sentenza di quel processo può avere effetti indiretti riflessi per il legittimato straordinario ma produce comunque effetti diretti ed immediati per il legittimato ordinario poiché l’oggetto del processo è un diritto del legittimato ordinario.

La legittimazione ad agire vuol dire garantire il titolare di una situazione sostanziale protetta dalle ingerenti degli altri soggetti, e riservare a questo la scelta su come e quando chiedere la tutela giurisdizionale dei propri diritti . Le ipotesi di legittimazione straordinaria sono tassative perché solo il legislatore può valutare quando l'inerzia del titolare del diritto ne chiederne la tutela pregiudica gli interessi dei terzi così da rendere giustificata la compressione del potere del titolare del diritto di scegliere se agire o meno. Quindi solo il legislatore può valutare se deve prevalere l'interesse del titolare del diritto a decidere liberamente se agire o l'interesse del terzo a fra valere il diritto altrui. Tali inconvenienti non si verificano nella legittimazione ordinaria.Legittimazione straordinaria e rappresentanza...La legittimazione straordinaria non deve essere confusa con la rappresentanza. Il rappresentante è colui che in nome e per conto del rappresentato e gli effetti dell'attività giuridica del rappresentante sono riferibili alla sfera giuridica del rappresentato. Diverso è nella legittimazione straordinaria perché chi agisce lo fa in nome proprio ma per la tutela di un diritto altrui e l'attività processuale si riferisce al legittimato straordinario. Quindi nella rappresentanza il destinatario degli effetti degli atti processuali è il rappresentato mentre nella legittimazione straordinaria è il legittimato straordinario. Le spese processuali sono liquidate a favore e carico del legittimato straordinario e nella rappresentanza del rappresentante. Mentre gli effetti di merito si imputano al legittimato ordinario come titolare della situazione sostanziale e anche nella rappresentanza tali effetti si imputano al rappresentato.Il difetto di legittimazione si può rilevare in ogni stato e grado del processo anche d'ufficio salvo il giudicato. Il difetto è insanabile perché l'attore non può far niente per procurarsi una legittimazione straordinaria che gli manca quindi una volta riscontrato comporta l'immediata chiusura in rito del processo.Si usa dire “legittimazione straordinaria” o “sostituzione processuale (art 81cpc)” in modo indifferente. È meglio utilizzare la prima espressione per identificare il fenomeno il generale e la seconda per i casi eccezionali dove il legittimato ordinario non è litisconsorte necessario.

Cap 25 L'INTERESSE AD AGIRE [8° presupposto processuale]

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Art 100cpc “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”. L’interesse ha una funzione parallela a quella della legittimazione ad agire in quanto quest’ultima serve ad evitare una decisione nel merito nel momento in cui la domanda ha per oggetto un diritto altrui mentre l’interesse serve per evitare che si arrivi all’esame del merito quando la domanda o la difesa possono essere fondate ma il loro accoglimento non produce nessun effetto utile nella sfera giuridica di chi le ha proposte quindi quest’ultimo è connesso al principio di economia processuale dato che serve ad evitare attività processuali legate a domande/difese fondate ma inutili. Quindi se domanda/difesa sono infondate e la sentenza che le accoglie sono contra ius non c’è bisogno dell’interesse ad agire, qui per evitare inutili attività processuali è sufficiente l’applicazione delle regole sostanziali. Quando invece domanda/difesa sono fondate ma inutili serve l’interesse ad agire per evitare lo svolgimento di attività processuali circa il merito mentre non si può evitare o svolgimento di un’attività di rito in quanto il giudice deve emettere una sentenza di rito dichiarando la carenza di interesse ad agire.L’interesse ad agire può mancare con riferimento:- al mezzo processuale: qui l’effetto chiesto al giudice è utile ma la parte può ottenerlo per una via diversa da quella giurisdizionale, solitamente con strumenti di diritto sostanziale, cioè utilizzando poteri di natura sostanziale (l’interesse a gire come gli altri presupposti processuali vale anche nei processi diversi da quello dichiarativo). Qui quindi manca l’interesse al mezzo pur essendo utili gli effetti richiesti.- al risultato del processo: cioè agli effetti richiesti. Qui gli effetti possono essere ottenuti solo in via giurisdizionale e quindi l’interesse al mezzo c’è però questi effetti non servono lasciano la parte che li ha chiesti nella stessa situazione di prima nonostante essa abbia diritto i ottenerli in quanto ha ragione nel merito. Quindi l’interesse ad agire è un selettore per impedire lo svolgimento di un’attività relativa al merito quando la pronuncia non serve perché non cambia cmq la situazione iniziale.Analogo discorso vale anche per l’interesse a contraddire alla domanda che non deve essere confuso con l’interesse a contestare la domanda in quanto ogni soggetto nei cui confronti è proposto una domanda ha sempre interesse a resistergli. La portata dell’interesse a contraddire si può trovare in relazione all’utilizzo di uno specifico mezzo di difesa processuale. Anche la parte che resiste alla domanda può utilizzare mezzi per i quali si può fare lo stesso discorso, cioè possono essere fondati ma non servono e per questo è inutile perdere tempo.Il difetto di interesse ad agire è rilevabile in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio, salvo il giudicato. È uno strumento di economia processuale e come tale per funzionare bene deve funzionare subito, quindi per assolvere il suo compito deve evitare il compimento dell’attività inutile. Non è utile se la carenza di interesse ad agire è colta in un momento in cui l’attività che si doveva evitare è già stata compiuta. La decisione di merito emessa in carenza dell’interesse ad agire non è invalida ma semplicemente inutile.

Cap 26 LA RAPPRESENTANZA TECNICA [9° presupposto processuale]

Rappresentanza tecnica o patrocinio in giudizio è un altro presupposto processuale disciplinata dagli artt 82 ss cpc. Bisogna distinguere tra- possibilità (diritto) della parte di essere tecnicamente rappresentata: la ratio dell’istituto è di consentire alla parte i affidare la cura dei suoi interessi un soggetto che per le sue conoscenze specialistiche e per il loro rapporto di fiducia è in grado di meglio difender gli interessi della parte. Quindi la parte non può essere costretta difendersi da sola. Questa è ricollegata al diritto di difesa dell’art 24 Cost. - obbligo della pare i essere tecnicamente rappresentata: (nella giurisdizione civile è quasi sempre così) la ratio dell’istituto è l’esigenza pubblicistica di garantire che gli atti del processo siano compiuti da soggetti che a causa della loro formazione professionale sanno come agire senza creare intralci allo svolgimento del processo. Questa è ricollegata ad esigenze pubblicistiche di corretto svolgimento del processo giurisdizionale.Dove il processo non è giurisdizionale (come l’ arbitrato ) la parte ha sempre il diritto ma mai l’obbligo della difesa tecnica. La rappresentanza tecnica può essere inserita nella categoria della rappresentanza volontaria poiché il difensore tecnico è legato alla parte da un mandato con rappresentanza dato che compie attività giuridica in nome e per conto della parte che rappresenta. Ciò si ricava dall’art 83cpc “quando un parte sta in giudizio col ministero di un difensore egli deve essere munito di procura” e la procura deriva dal contratto di mandato che lega parte e suo difensore e dall’art 84cpc “quando la parte sta in giudizio col ministero del suo difensore questo può compiere e ricevere nell’interesse della parte tutti gli atti del processo che alla legge non sono ad essa espressamente riservati”.Ma ci sono due deroghe che realizzano l’ultrattività del mandato:1. art 85cpc, revoca e rinuncia della procura . Rinuncia e revoca del mandato (art 1722cc) fanno estinguere il mandato automaticamente mentre nel nostro caso tale effetto non è immediato ma si verifica solo quando c’è stata nomina di un nuovo difensore. Così si ha una prosecuzione del mandato nonostante la revoca o la rinuncia.2. il venir meno della parte nel processo civile . Nel contratto di mandato in questo caso la morte del mandante estingue in automatico il mandato mentre nel nostro caso la morte del cliente non estingue in automatico il mandato del suo rappresentante tecnico ma tal effetto si verifica solo quando il difensore dichiara nel processo la morte del suo cliente.L’art 83 IIc cpc “la procura alle liti può essere generale o speciale, e deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata”.Procura speciale: quando il mandato è riferibile a un singolo processo che la parte vuole instaurare o che è stato instaurato contro la parte;procura generale: la parte fornisce il difensore tecnico del potere di difenderla in tutti i processi che sono e saranno proposti nei suoi confronti o che lei stessa proporrà.Dall’articolo si ricava anche una prescrizione di forma, poiché la procura può essere conferita:Per atto pubblico, quindi con un atto formato da un pubblico ufficiale.Per scrittura privata autenticata, quindi con una scrittura privata la cui sola sottoscrizione è accertata autentica da un pubblico ufficiale.Ex l’art 83 IIIc cpc la procura speciale può essere proposta anche in calce o al margine i un atto processuale e in questi casi l’autografia della sottoscrizione della parte è certificata dallo stesso difensore. Se la procura è contenuta in certi atti del processo la legge dà al difensore il potere di public ufficiale per l’autenticazione della scrittura privata sottoscritta dal suo cliente.La rappresentanza tecnica può essere necessaria o la parte può agire in giudizio di persona . La regola generale è che il soggetto deve essere difeso da un rappresentante tecnico per la ratio dell’istituto ma in particolari casi è consentito che la parte non si faccia rappresentare tecnicamente. Sono i processi di minor valore per i quali la legge consente alla parte di non farsi rappresentare tecnicamente ma di compiere direttamente lei gli atti del processo. In questo caso l’ord rinuncia all’obbligo della difesa tecnica in modo tale da on far gravare in modo eccessivo sulla parte le spese di difesa. Alcuni casi sono:-art 82 Ic cpc, avanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio di persona nelle controversie di valore non sup a 516,46euro, negli altri casi la parte su istanza può essere autorizzata con decreto del giudice a stare in giudizio i persona solo se è possibile per la natura e l’entità della causa.-in materia di processo del lavoro, art 417cpc, la parte in primo grado può stare in giudizio di persona quando il valore della causa non sup 129,11 euro.Anche quando la rappresentanza tecnica non è obbligatoria non vuol diritto che on è possibile perché è incostituzionale secondo la Corte cost il divieto di rappresentanza tecnica proprio perché questa rientra nel diritto di difesa garantito dalla Costituzione (Corte cost 1971, ha dichiarato illegittimi gli artt 707 e 708cpc perché negavano ai coniugi in sede di separazione di comparire con l’assistenza di un difensore).

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Quando la rapp tecnica è obbligatoria il difetto è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo salvo il giudicato . Se il difetto riguarda l’attore c’è il vizio di un presupp processuale che impedisce la pronuncia di merito dato che la domanda giudiziale è nulla mentre se il difetto riguarda un’altra parte si ha la contumacia della parte. Il difetto è sanabile in modo retroattivo facendo salvi gli effetti della domanda. L’art 182 IIc cpc si applica anche alla rapp tecnica quando si ha un vizio che determina la nullità della procura al difensore. Anche in questo caso il giudice dispone per la sanatoria del vizio assegnando un termine per il rilascio della procura alle liti o per la sua rinnovazione. Con questa previsione si fa in modo che la sanatoria si può applicare non solo quando la parte è difesa da un legale al quale l’incarico è stato conferito con una procura invalida ma anche quando la pare sta in giudizio personalmente quando però questo non è permesso.

Cap 27 L’ATTO INTRODUTTIVO

I presupposti processuali o si valutano dalla domanda che è sufficiente per stabilire la sussistenza delle condizioni per la decisione di merito si valutano da fatti extraprocessuali irrilevanti ai fini del merito. La domanda giudiziale è un contenuto che esige un contenente, cioè un atto del processo dove è inserita e mediante il quale è proposta. Svariati atti del processo sono il potenziale contenente di una domanda ma uno solo deve per forza contenere una domanda:l’atto introduttivo. Qualunque sia la forma, citazione o ricorso. Gli elementi propri della domanda sono sufficiente per individuare l’oggetto e quindi per stabilire se la decisione di merito è possibile di solito sono però insufficiente per determinare il contenuto della decisione di merito. Quindi ciò che basta per sapere se è possibile la decisione di merito non basta sempre per sapere se l’attor a ragione.Bisogna vedere quali sono e come si acquisiscono nel processo gli ulteriori elementi irrilevanti per l’oggetto ma rilevanti per determinare il contenuto della decisione di merito. Ogni ordinamento per ogni struttura processuale stabilisce i modi e i tempi per l’acquisizione degli elementi propri della trattazione della causa e ciò dipende da scelte di tecnica processuale. Quando l’atto contiene sia la domanda sia gli elementi propri della trattazione allora ha un doppio ruolo, cioè quello di atto contenente la domanda e di scrittura preparatoria alla trattazione della causa.Con riferimento alla trattazione si deve distinguere il diverso ruolo della quaestio facti e della quaestio iuris poiché i poteri del giudice e delle pari sono diversi nei due casi:- La quaestio facti spetta solo alle parti e si realizza con una specifica attività che è l’ allegazione . L’allegazione è la dichiarazione (atto di volontà) con cui le parti introducono nel processo determinati fatti in modo da vincolare il giudice a prenderli in considerazione. Trattandosi di un diritto eteroindividuato l’allegazione dei fatti è necessaria anche ai fini dell’individuazione dell’oggetto. Per i diritti autoindiviuati l’allegazione rileva solo ai fini della trattazione. L’allegazione è sempre rilevante ai fini dell’accoglimento della domanda perché altrimenti il giudice non può accoglierla. Quindi l’allegazione ha una oppia funzione, cioè quella costante i essere il primo elemento dell’iter che può portare all’accoglimento della domanda e per i diritto eteroindiviuati anche la funzione di individuare l’oggetto del processo. Il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti storici allegati ex art 112cpc che obbliga il giudice a pronunciarsi sulla domanda. Tale art contiene due disposizioni, la prima che il giudice non può pronunciare su diritti diversi da quelli individuati dalle parti e su domanda diverse da quelle proposte mentre la seconda il giudice deve esaminare tutti i fatti allegati anche per poi qualificarli magari irrilevanti. Non vuol dire che il giudice può porre fondamento della decisione solo i fatti allegati perché se un fatto emerge provato dagli atti di causa (cioè all’attività legalmente compiuta nel processo) il giudice può porlo a fondamento della decisione anche se non allegato dalla parte interessata. Questo secondo il principio di acquisizione, secondo il quale tutti gli elementi che emergono dalla trattazione della causa possono, salvo eccezioni, essere utilizzati per la decisione della causa stessa. Le parti infatti non hanno il monopolio dei fatti perché il potere dispositivo e il principio della domanda riguardano i diritti e non anche i fatti. Il giudice no può andare alla ricerca di fatti no allegati ma se gli risulta provato un fatto può porlo a fondamento della decisione. Tale principio però incontra due limiti:1. Con rif i diritto eteroindiviuati il giudice non può accogliere la domanda utilizzando un fatto provato ma non allegato dalla parte interessata che individua un diverso diritto altrimenti si violerebbe il principio della domanda.2. Si fa riferimento alle eccezioni che possono essere fatte valere solo dalla parte. Il giudice infatti non può rigettare la domanda sulla base di un’eccezione riservata al convenuto e che quest’ultimo non ha fatto valere.- Per la quaestio iuris il giudice non è vincolato alle allegazioni delle parti in quanto essa spetta solo al giudice quindi le parti nemmeno se d’accordo lo possono vincolare per l’applicazione di un certa norma ma possono solo realizzare i presupposti di fatto per l’applicazione di quella norma. Gli artt 113 e 114cpc precisano quale deve essere il metro di giudizio che il giudice utilizza al momento della decisione di merito. E rt 113 metro di giudizio sono le norme di diritto che il giudice deve seguire quando si pronuncia sulla causa, o meglio si tratta i norme di diritto sostanziale che hanno una portata diversa all’interno del processo nel senso che in genere sono regole di condotta, cioè qualificano comportamenti stabilendo ciò che si può e si deve fare mentre quando le usa il giudice al momento della decisione sono metro di giudizio. Non sempre il giudice usa norme di diritto sostanziale in quanto a volte usa anche regole di giudizio diverse, cioè usa l’ equità che nel nostro sistema ricade in due categorie diverse a seconda che sia:- Equità integrativa , è l’equità che integra una norma di diritto in quanto è tale norma che la richiama. Questa non è però una regola alternativa al giudizio di diritto ma una regola integrativa del giudizio di diritto. Qui l’equità è un elemento della fattispecie che il legislatore richiama.- Equità sostitutiva , è quella che è alternativa al giudizio di diritto, art 114cpc. In materia di diritti disponibili se vi è richiesta congiunta delle parti il giudice usa come metro di giudizio l’equità invece delle norme sostanziali.Il giudizio secondo equità non esclude l’applicazione delle norme processuali e presuppone cmq l’accertamento dei fatti allegati. Nel giudizio equitativo l’attività delle parti e del giudice è sempre disciplinata dalle norme processuali e i fatti allegati devono essere provati secondo le regole delle norme processuali sulle prove. Il giudizio di equità ha un significato diverso a seconda che sia lo strumento per far applicare dal decidente le regole vigenti in un’organizzazione (sportiva) dove di solito le parti prevedono un arbitrato che ha il vantaggio di consentire alle parti di scegliere chi decide la controversia, o le consuetudini vigenti in un gruppo non organizzato (il comm internazionale) dove secondo l’opinione prevalente il giudizio di equità è un giudizio di diritto meno rigido poiché non prescinde totalmente dalle norme di diritto e dai principio dell’ordinamento ma permette al giudicante di togliere importanza a certe prescrizioni rigide del legislatore come ad es termini i decadenza degli atti da compiere entro un certo momento, o riguarda una relazione fra due sogg che non appartengono a uno stesso gruppo. Quindi attribuendo al giudice il potere di decidere secondo equità le parti gi permettono di tener conto anche dei profili di opportunità della decisione, profili che normalmente lui non può considerare perché non può sostituirsi i diretti interessati per stabilire cosa è per loro più conveniente. L’attribuzione al giudice del potere di decidere equitativamente la controversia è un caso quasi sconosciuto mentre è molto frequente nell’arbitrato appunto perché l’arbitro è scelto dalle parti.Equità necessaria: ex art 113 IIc cpc il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede 1100 euro mentre per le cause i valore superiore i pronunzia secondo diritto ex art 113 Ic cpc. La ratio di questo consiste nel diminuire il costo complessivo del processo riducendo l’attività istruttoria quindi quando decide equitativamente non deve per forza istruire tutti i fatti controversi ma solo il fatto/fatti che ritiene più rilevanti. Il giudice deve cmq sempre rispettare le norme costituzionali e i principi informatori della materia ex Corte cost 2004 in più deve applicare la normativa comunitaria.

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Le sentenze pronunciate secondo equità sostitutiva non sono soggette ad appello ex art 339cpc ma solo al ricorso in Cassazione perché si considerano pronunciate in unico grado. Mentre le sentenze pronunciate secondo eq. integrativa sono soggette ai normali mezzi di impugnazione. Le sentenze pronunciate secondo equità necessaria sono invece soggette a un appello limitato.In ogni caso cmq il giudizio equitativo deve essere motivato , quindi il decidente deve esporre i criteri che ha seguito nella decisione e deve giustificare la scelta di questi criteri. Qui c’è un elemento in più rispetto al giudizio di diritto perché il giudice non deve giustificare perché applica le norme di diritto sostanziale mentre come abbiamo appena visto nel giudizio equitativo il giudice deve esplicitare perché sceglie quelle regole equitative e non altre.

Cap 28 LA NOTIFICAZIONE

Instaurazione del contraddittorio 10° presupposto processualeL’atto introduttivo del processo per il rispetto del principio del contraddittorio deve essere portato a conoscenza della controparte, si intende per quest’ultima colui che può compiere gli atti del processo e non colui a cui si imputano gli effetti.La notificazione è lo strumento con il quale si mette conoscenza un soggetto di un atto, art 137ss cpc. Questa compiuta da un ufficiale giudiziario su istanza di parte o su richiesta del PM o del cancelliere (art 127cpc). Per notificare un atto servono tanti esemplari dell’atto quanti sono i soggetti a cui deve essere eseguita la notificazione più uno, cioè l’originale. La notificazione avviene consegnando a ogni destinatario una copia dell’atto da notificare e attestando in calce all’originale e in calce alla copia giorno e modo di consegna. L’origine è poi restituito a chi aveva richiesto la notifica con attestazione dell’avvenuta notificazione. Se c’è disaccordo tra l’esemplare notificato e quello restituito al notificante quello che conta è l’esemplare consegnato, cioè la copia, e non quello restituito, ovvero l’originale.Termini della notificazione…La notificazione ha effetti per il notificato dal momento in cui si perfeziona, questo momento non sempre coincide con la ricezione materiale dell’atto da parte del destinatario. Non è importante il momento in cui il procedimento notificato è iniziato ma è importante solo il momento in cui è concluso (rectius, momento in cui la notif produce effetti ex lege ma a volte produce effetti prima che il suo iter si sia concluso). Può succedere che la notif debba essere compiuta dal notificante entro un certo termine, prima il termine a carico del notificante era rispettato solo se la notifica produceva effetti per il notificato entro il termine previsto ma la Corte cost ha considerato incost tale disciplina poiché non è cost legittimo porre a carico del richiedente le conseguenze che dipendono da un terzo (ufficiale giudiziario) quindi ha così ritenuto che dal notificante si può pretendere solo che faccia nel termine prescritto quanto è in suo potere. Quindi nella nostra ipotesi il termine si intende rispettato dal momento in cui il notificante ha richiesto la notifica all’ufficiale giudiziario. Gli effetti per il notificato si producono così quando la notificazione si perfeziona. Secondo il fenomeno della formazione progressiva alcuni effetti si producono prima che la fattispecie si completi ma il loro definitivo consolidamento esige il perfezionamento della fattispecie. La data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario è rilevante solo per ciò che attiene al rispetto del termine imposto al notificante mentre ad ogni altro effetto continua a valere la data di perfezionamento della stessa.Competenza…In ogni luogo c’è una sola struttura di ufficiali giudiziari che sono indifferentemente adibiti a tutti gli uffici che ci sono in quella sede. Per effettuar la notificazione c’è una comp concorrente:- l’ufficiale giudiziario addetto all’ufficio al quale l’atto da notificare si riferisce , egli può eseguire la notificazione fuori del proprio mandato solo per posta.- l’ufficiale giudiziario del luogo dove si deve eseguire la notificazione , se si tratta i uffici unici (cioè adibiti a più uffici giudiziari) la competenza si determina sulla base territoriale della sede principale del tribunale. Egli può eseguire la notificazione in tutti i modi previsti.(Problema della notificazione effettuata dall’ufficiale giudiziario incompetente: secondo l’opinione preferibile l’ufficiale giudiziario dato che può formare atti pubblici solo nel luogo in cui è autorizzato di deve ritenere che l’attestazione di aver compiuto le attività riportate nella notifica non è coperta da pubblica fede dove l’ufficiale giudiziario sia incompetente).Le forme di notificazione:- Per posta: regolata in una legge speciale. Si esegue inserendo in una busta la copia dell’atto che deve essere notificato e inviandola al destinatario con raccomandata. Se l’atto è consegnato al destinatario/al domicilio/in uno dei posti in cui può essere ricevuto allora la notificazione si considera effettuata dal momento in cui l’atto è consegnato. Invece se l’atto non è consegnato è lasciato in giacenza all’ufficio postale e la notificazione si considera effettuata al momento del ritiro dell’atto presso l’ufficio o se l’atto non viene ritirato dopo 10gn di giacenza.- A mani proprie, art 138 cpc. Avviene con la consegna della copia direttamente alla persona interessata ovunque l’ufficiale giudiziario la trovi nell’ambito della propria competenza (quindi nel territorio della sede principale del tribunale o di una sezione distaccata alla quale è addetto). Se il destinatario rifiuta di ricevere l’atto la notifica si considera effettuata.- Alla residenza o domicilio, art 139 cpc. La notifica si può effettuare nel luogo dove il destinatario ha l’abitazione, l’ufficio o esercita l’industria o il commercio. Se qui lo trova gli fa la notifica a mani proprie altrimenti ci sono più alternative:o Se trova qualcuno della famiglia, qualcuno addetto o dipendente dell’impresa consegna la copia a questo soggetto;o Se non c’è nessuno la consegna al portiere o se accetta anche al vicino di casa;o Se non trova nessuno, art 140cpc, mette un avviso sulla porta dell’ufficio o abitazione e porta l’atto alla segreteria del Comune mandando una raccomandata al destinatario per avvisarlo dove può ritirarlo. Con queste attività la notifica è effettuata poiché si perfeziona non con il ricevimento della raccomandata ma con il suo invio. Art 145cpc, simili disposizioni per le persone giuridiche.- Notificazione all’estero, per persone residenti all’estero. In questi casi bisogna prima verificare se alla fattispecie si può applicare il regolamento comunitario 29/05/2000 n.1348. Ciò accade quando la notificazione è richiesta in uno Stato membro e deve essere effettuata in un altro Stato membro, qui l’ufficiale giudiziario si rivolge direttamente al collega all’estero che provvede alla notificazione. Se il regolamento comunitario nn si può applicare ma esiste una convenzione internazionale fra Italia e Stato si applica questa. Se non ci sono nemmeno convenzioni si applica art 142cpc che però è meno garantista perché prevede attività che non assicurano l’effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario (questo tipo di notificazione deve essere ristretta nei limiti indispensabili, quando proprio non se ne può fare a meno).ex l’art la notificazione si considera effettuata dopo 20gn dal compimento delle formalità previste senza che magari il destinatario abbia avuto conoscenza dell’atto.- A soggetto di residenza, domicilio e dimora sconosciuti, se del soggetto che deve riconoscere la notificazione non si conosce residenza/domicilio/dimora e la parte che chiede la notificazione non ne può venire a conoscenza con la normale diligenza (cioè senza colpa egli non è in grado di sapere dove sono queste) allora si può ricorrere alla forma di notificazione ex art 143cpc, in base a questo art è difficile che il destinatario verrà a conoscenza dell’atto poiché si attua con l’affissione di una copia dell’atto nel comune di ultima residenza o di nascita del destinatario e un’altra copia nell’albo dell’ufficio di fronte al quale si procede. Dopo 20gn la notificazione si considera effettuata per il notificato e per il notificante come sempre si perfeziona con la richiesta all’ufficiale giudiziario. Se successivamente la controparte dimostra che invece chi

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ha chiesto la notificazione sapeva dove si trovava il notificato alla la notificazione è invalida, ecco che si verifica il contemperamento tra diritto d’azione e di difesa.Art 160cpc disciplina la nullità della notificazione dando importante solo a alcuni suoi elementi:alle disposizioni circa la persona a cui deve essere consegnata la copia, all’incertezza assoluta sulla persona cui è fatta e alla data. Quindi sono rilevanti solo le violazioni di questi elementi per la nullità.Se si tratta di vizio sanabile il giudice che lo riscontra non deve chiudere subito il processo in rito ma deve dare la disposizioni necessarie per la sanatoria del vizio, quindi ordinare all’attore la rinnovazione della notifica ovviamente senza il vizio. In questo modo il vizio si sana e il processo può giungere ad una sentenza di merito. Gli atti compiuti prima della sanatoria non sono per questo solo automaticamente sanati perché altrimenti il convenuto dovrebbe partecipare ad un processo quando sono state acquisite prove decisive in sua assenza, per questo ha diritto di ricominciare il processo. Egli ha cm anche il diritto di ratificare gli atti compiuti. Quindi gli atti compiuti prima della sanatoria si devono rifare a meno che la parte costituendosi in giudizio decide di ratificare quanto è già stato compiuto. Ex art 291cpc “la rinnovazione impedisce ogni decadenza” e quindi per gli effetti della domanda la sanatoria ha effetto retroattivo operando ex tunc dal momento i cui pende il processo. La sanatoria del vizio attinente alla notificazione rispetto agli effetti della domanda avviene sempre ex tunc dal momento della notificazione della citazione a meno che questa sia invalida.C’è una distinzione non prevista in modo esplicito dal codice ma di origine dottrinale e giurisprudenziale: distinzione tra inesistenza della notificazione e nullità. Nel primo caso non ha luogo l’effetto retroattivo della sanatoria, quindi se il vizio è di inesistenza la rinnovazione dell’atto comporta effetti ex nunc, cioè dal momento in cui viene effettuata la sanatoria (al contrario se il vizio è di nullità e viene sanato la sanatoria opera ex tunc). Si ha inesistenza quando la notificazione è fatta a persona e in luogo che non hanno nessuna relazione con il soggetto destinatario della notificazione. È inesistente anche la notificazione effettuata a un soggetto non persona fisica (persona giuridica, società di persone, associazione non riconosciuta) in luogo diverso dalla sua sede e a persone che non sono i legali rappresentanti.

Cap 29 LE DIFESE DEL CONVENUTO

Le opzioni rispetto alle attività processuali che può compiere il convenuto cono tre.Può essere che per arrivare ad una sentenza di merito sia necessario il consenso del convenuto, infatti l’accettazione del processo da parte del convenuto è un presupposto processuale. Sistema tipico del processo formulare romano. Opposto c’è il sistema che vige attualmente in Germania e in Austria e consiste nel fatto che l’inerzia del convenuto lo pregiudica agli effetti del merito, cioè in mancanza di un’attiva partecipazione del convenuto i fatti allegati dall’attore si considerano provati. A richiesta dell’attore si ha la sentenza contumaciale con cui il giudice emette un provv che accoglie allo stato la domanda proposta, questo è portato a conoscenza del convenuto e se questi si oppone entro un certo termine si riapre il processo altrimenti se non si oppone la sentenza diventa definitiva e chiude il processo. Da noi vige un sistema intermedio: l’inerzia del convenuto non impedisce l’emanazione della pronuncia di merito ma niente dice sul contenuto di questa, cioè se sarà di accoglimento della domanda o di rigetto. Nel nostro sistema l’attiva partecipazione del convenuto al processo non è né un presupposto processuale né un elemento che incide sul merito. Quindi i poteri devono essere in astratto previsti ma non è necessario che siano in concreto usati, l’importante che il convenuto sia messo in grado di esercitarli. Il giudice anche se il convenuto non si difende deve scegliere fra accogliere o rigettare la domanda, per questo il giudice deve accertare che i fatti storici allegati dall’attore siano effettivamente venuti ad esistenza (1p), accertare che questi fatti integrino la fattispecie astratta da cui nasce il diritto fatto valere dall’attore (2p), accertare l’illecito (3p) e trarre da tutto questo le conseguenze in ordine alla tutela giurisdizionale richiesta. Se il giudice riscontra che non si verificano tale condizioni deve rigettare la domanda. Invece il convenuto che non rimane inerte ma decide di prendere parte attiva al processo usando i poteri difensivi che in astratto l’ordinamento gli riconosce può svolgere una delle seguenti attività:- Semplice o mera difese, attività più elementare che il convenuto può tenere. Consiste nella contestazione della fondatezza della domanda in fatto o in diritto in relazioni ai tre punti sopra visti che il giudice deve esaminare d’ufficio anche se il convenuto non si è costituito in giudizio. Il valore delle semplici difese è diverso a seconda che le contestazioni siano di fatto o di diritto. La contestazione in fatto consiste nella negazione dei fatti allegati dall’attore. Di per sé la semplice negazione dell’esistenza dei fatti allegati dall’attore ha importanza relativa dato che non aggiunge niente a ciò che il giudice avrebbe cmq dovuto fare (es. accertare l’esistenza del contratto di mutuo). Ma mancata proposizione di mere difese può determinare la pacificità del fatto non contestato, quindi il non bisogno che esso sia oggetto di prova. Anche in questo caso la mancata proposizione di una mera difesa incide non sull’oggetto della cognizione del giudice ma sulla necessità di provare il fatto. L’utilità della mera difesa in fatto è evitare che il fatto allegato dalla controparte diventi pacifico ma anche che il convenuto quando pone in essere la contestazione non si limita a negare ma cerca di provare il contrario di quanto affermato dall’attore. La contestazione in diritto consiste nell’intervento del convenuto per convincere il giudice che l’esatta soluzione della quaestio iuris non è quella che afferma l’attore e anche le conseguenze giuridiche non sono quelle che l’attore ha affermato. Anche qui si tratta di un’attività che il giudice deve compiere anche nell’inerzia del convenuto. La difesa in diritto è compatibile con la difesa in fatto, infatti non è necessario che il convenuto per difendersi in diritto confermi la verità di quanto detto dall’attorce.Quindi con le mere difese il convenuto attua il principio del contraddittorio ma non aggiunge al processo questioni nuove.- Eccezioni, con queste il convenuto aggiunge nuovi fatti alla cognizione del giudice. l’art 2696cc riguarda la regola sull’onere della prova. Tale art stabilisce che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, cioè i fatti costitutivi. Chi dichiara l’inefficacia di questi fatti o dichiara che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti impeditivi - modificativi - estintivi su cui l’eccezione si fonda. Questo art non parla di “attore” o “convenuto” perché di regola è colui che prende l’iniziativa di instaurare il processo (attore) ad affermare l’esistenza di un suo diritto ma ci sono anche casi di inversione dove l’iniziativa processuale spetta a colui che nega l’esistenza del diritto altrui, per questo l’art prescinde dalla nozione formale e utilizza la nozione sostanziale di “soggetto che afferma” e “soggetto che nega” l’esistenza di un diritto. Inoltre l’art 2697cc prevede che ogni parte deve procurare le prove dei fatti da essa allegati, cioè ogni parte ha l’onere dell’iniziativa probatoria per arrivare a dimostrare l’esistenza dei fatti a lei favorevole: l’attore i fatti costitutivi e il convenuto le eccezioni. Quindi la prova dei fatto costitutivi dovrebbe derivare solo dai mezzi di prova acquisiti al processo su iniziativa di chi afferma l’esistenza del diritto e la prova dei fatti impeditivi - modificativi - estintivi dovrebbe derivare solo dai mezzi di prova acquisiti al processo su iniziativa di chi nega l’esistenza del diritto. Ma nel nostro sistema non è vero che l’onere della prova comporta anche l’onere dell’iniziativa probatoria. Nel nostro ordinamento vige il principio di acquisizione (che è opposto) secondo il quale quando una prova è legittimamente acquisita al processo il giudice può trarre da essa ciò che serve per provare indifferentemente tutti i fatti allegati qualunque sia il soggetto che ha preso l’iniziativa per acquisire al processo la prova in questione. Grazie all’esistenza di questo principio la regola sull’onere della prova deve definirsi una regola di giudizio che si applica quando i fatti allegati non risultano provati attraverso una qualunque delle prove acquisite, essa evita il rischio della mancata prova. Tale art si applica in presenza di un fatto affermato e non provato e non si applica invece quando il fatto è stato provato in causa qualunque soggetto abbia preso l’iniziativa. Fatti costitutivi…A proposito della struttura della fattispecie nella sua globalità che comprende i fatti costitutivi e le eccezioni bisogna considerare la ripartizione della fattispecie nei due settori dei fatti costitutivi e delle eccezioni ai fini dell’applicazione della regola dell’onere della prova. È importante

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stabilire se la mancata prova di un certo fatto essendo un fatto costitutivo comporta il rigetto della domanda o se essendo un’eccezione comporta l’accoglimento. Data la struttura della decisione con l’accoglimento avviene l’integrazione della fattispecie costitutiva e la mancanza di tutti gli elementi della fattispecie impeditiva – modificativa – estintiva così quando si ha una fattispecie in cui manca anche uno solo dei fatti costitutivi o è presente anche una sola delle eccezioni la conseguenza è il rigetto. Quindi è importante distinguere fra i fatti descritti dal legislatore quali appartengono alla prima parte della fattispecie e quali alla seconda poiché bisogna sapere quali conseguenze trarne in relazione al contenuto della decisione. La distinzione fra fatti modificativi, estintivi e fatti costitutivi è semplice perché i primi sono per definizione successivi ai secondi. Quindi tutto ciò che nel tempo si trova dopo l’integrazione della fattispecie costitutiva è un fatto mod – est e per questo è un’eccezione. Fatto impeditivo…Ex art 2697cc sono contemporanei ai fatti costitutivi. Il fatti impeditivo si ha quando alla fattispecie costitutiva si aggiunge un ulteriore fatto a cui l’ord da la prerogativa di rendere inefficaci i fatti costitutivi. La difficoltà consiste nel capire quando un fatto appartiene alla fattispecie costitutiva e quando alla fattispecie impeditiva. Il fatto costitutivo è quello che determina il sorgere di un diritto mentre il fatto impeditivo è quello che impedisce il sorgere del diritto ma la nozione di fatto giuridico è diversa dalla nozione di fatto storico e l’ordinamento può ritenere giuridicamente rilevante sia il verificarsi di un certo fatto storico sia il mancato verificarsi dello stesso, in questo es il fatti rilevante può essere o la presenza di più di 15dip considerato come fatto costitutivo con l’onere della prova a carico di chi richiede la reintegrazione o l’assenza di più di 15 dip considerato come fatto impeditivo con l’onere della prova a carico di chi si oppone alla reintegrazione. Si tratta di un problema in generale ancora aperto a cui non c’è un’unica soluzione ma vi sono una serie di criteri per decidere alcuni casi dubbi non risolti dal legislatore.1° criterio... la prima regola, la più semplice non è sempre disponibile perché rimessa alla struttura sintattica usata dal legislatore è la distinzione fra regola ed eccezione . Dalla struttura della norma si ricava che il legislatore descrive la fattispecie così: al verificarsi di fatti certi si verificano alcuni effetti, “tranne che”, “ad eccezione che” “questa disposizione non si applica quando”. Tutto ciò che segue a tale locuzione è un fatto impeditivo. Questo criterio è il più affidabile ma dipende dalla struttura dalla norma e non copre tutte le ipotesi, infatti non si può applicare se non c'è una struttura sintattica che permette di ricavare una regola e un'eccezione. 2° criterio... Altro criterio utilizzabile è quello che si trae dal brocardo (antica massima giuridica) negativa non sunt probanda. Ciò per permette di enunciare un criterio che opera come norma di chiusura e è il principio di cui il brocardo è una specificazione. Il criterio è della vicinanza alla fonte della prova, essendo incerto se un fatto appartiene alla fattispecie costitutiva o a quella impeditiva si deve scegliere come soluzione quella in virtù della quale è onerato della prova il soggetto per cui la prova è più facile, cioè il soggetto più vicino alle fonti di prova. Con il criterio della vicinanza alla prova si dovrebbe risolvere il problema del fatto impeditivo. Ma la giuri non accetta il criterio della vicinanza alla prova anche se nelle concrete soluzioni giunge spesso a conclusioni coincidenti con quelle cui porta l'applicazione del criterio. All'interno delle eccezioni bisogna considerare una distinzione che riguarda la dinamica del processo. Per il convenuto tutte le eccezioni sono uguali, cioè sono sempre fatti modificativi-impeditivi-estintivi mentre dalla parte del giudice non tutte le eccezioni sono uguali. Davanti al fatto mod-imp-est provato il giudice può fondare su esso la sua decisione senza bisogno della manifestazione di volontà del convenuto, che chieda in modo specifico di fondare la decisione su quel fatto. Altre volte invece se il convenuto non chiede al giudice di rigettare la domanda per quel fatto il giudice non può porlo a fondamento della sua decisione anche se provato.Le eccezioni sono così divise in due categorie: non essendoci eccezioni rilevabili solo d'ufficio la distinzione vale solo per il giudice. Il problema è di sapere se un'eccezione rientra nell'una o l'altra categoria, questo per poter stabilire se quando il convenuto è inerte il giudice può o meno rigettare la domanda per un'eccezione che si fonda su un fatto provato. A volte il legislatore prende posizione stabilendo che l'eccezione è rilevabile anche d'ufficio o solo dalla parte .1. Eccezioni rilevabili anche d'ufficio o in senso lato o exceptiones facti.2. Eccezioni rilevabili solo dalla parte o in senso stretto o exceptiones iuris. Il legislatore crea queso tipo di eccezioni quando vuole che l'interessato valuti l'opportunità di far valere quel certo fatto imp-mod-est, cioè quando ritiene inopportuna l'operatività automatica di quel fatto. Quindi il legislatore vuole lasciare l'effetto alla disponibilità dell'interessato. Dal punto di vista funzionale questa eccezione è vicina al diritto potestativo perché anch'essa prevede una manifestazione di volontà e quindi una valutazione di opportunità dell'interessato.Se il legislatore non qualifica in modo espresso l'eccezione come riservata alla parte o rilevabile anche d'ufficio bisogna trovare un criterio che permette di ascrivere l'eccezione all'una o all'altra categoria. Il giudice può pronunciare d’ufficio su tutte le eccezioni tranne che su quelle riservate alle parti da espressa disposizione del legislatore. La funzione dell’eccezione in senso stretto è di lasciare alla parte la scelta di avvalersi o meno dell’effetto prodotto dall’eccezione quindi questa esprime un potere dispositivo della parte ed è naturale che questo potere c’è quando lo prevede il legislatore. Questa previsione può essere anche indiretta, quando uno stesso effetto può essere fatto valere in via d’azione o in via d’eccezione e la domanda può essere proposto solo dall’interessato si tratta di un’eccezione in senso stretto poiché il sistema rimette in via generale all’interessato il potere di valutare l’opportunità di far valere quest’effetto.

Cap 30 IL PROCESSO CUMULATO. L’ACCERTAMENTO INCIDENTALE

Processo strutturalmente semplice: due parti, una domanda alla quale corrisponde un oggetto del processo e una sentenza che avrà un solo oggetto.Processo strutturalmente complesso: più di un oggetto e/o più di due parti. Ipotesi di processo oggettivamente/soggettivamente cumulato. I tre principio fondamentali alla base del proeso oggettivamente cumulato:1. Autonomia processuale delle singole cause: in questo processo ci sono più domane, più oggetti e più decisioni anche se l’atto-sentenza è formalmente unico. La sussistenza dei presupposti processuali deve essere autonomamente valutata per ogni causa cumulata. L’esistenza o meno di un presupp processo in relazione a una causa non dice nulla per quanto riguarda le altre.Solo per alcuni presupp processo (giurisdizione e competenza) il cumulo comporta variazioni alle regole ordinarie con l’uso di regole speciali per consentire la trattazione cumulata di più cause che secondo le regole ordinarie non è possibile.2. Acquisizione : l trattazione di più cause cumulate è unica e gli atti compiuti in relazione a una di esse sono utilizzabili in via di principio e salvo eccezioni anche per le altre.3. La determinazione degli elementi rilevanti per la disciplina del cumulo : l’analisi del processo cumulato ha scopo di individuare le peculiarità che si verificano quando c’è la trattazione congiunta di più cause e/o la presenza di più parti. Queste peculiarità dipendono dai nessi di diritto sostanziale esistenti fra i diversi diritto coinvolti. È il tipo i connessione che esiste fra i vari oggetti del processo che determina l’applicazione delle regole e non lo strumento con i quali è avvenuto il cumulo.Artt 34,35,36cpc. Norme collocate nella sezione che tratta della modificazione della competenza per ragioni di connessione , quindi disciplinano il cumulo per le regole speciale di comp che si possono applicare . Si considerano quindi i mutamenti i competenza che si possono avere nel momento in cui c’è la proposizione di più domanda durante il processo che permettono la trattazione e decisione congiunte delle più cause nonostante che il giudice non sia competente per tutte.Art 34cpc, limiti oggettivi del giudicato + efficacia della sentenza sulla situazione pregiudiziale rispetto a quella decisa. + implicazioni di meccanica processuale. L’ambito di applicazione della norma: “…una questione pregiudiziale che appartiene per materia valore alla comp di un giudice superiore…”. L’oggetto della previsione normativa è la questione pregiudiziale che deve consistere in un diverso ogg della domanda e

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quindi del processo perché solo ciò che è suscettibile di essere oggetto di domanda può essere attribuito alla comp di un giudice (artt7ss cpc la comp è determinata sulla base della domanda e quindi dell’ogg del processo). Bisogna togliere dall’ambito dell’art in questione tutte le questioni di rito perché non sono ricomprese nella nozione di questione pregiudiziale in quanto per def sono di comp del giudice adito così come anche le questioni di merito che riguardano i singoli elementi della fattispecie, cioè i fatti costitutivi e le eccezioni poiché anche queste sono per def di comp del giudice adito. Nell’ampia nozione di questione pregiudiziale che ricomprende ogni punto controverso che il giudice deve affrontare per decidere si trova la nozione più ristretta di questione pregiudiziale prevista dall’art34cpc, cioè una situazione sostanziale autonoma poiché solo queste situazioni possono far parte della comp di un giudice diverso da quello adito. La situazione oggetto del processo è dipendente da un’altra situazione che ne forma un elemento della fattispecie, si tratta del rapporto di pregiudizialità-dipendenza. La situazione sostanziale dedotta in giudizio ha come elemento della sua fattispecie l’esistenza o meno di un’altra situazione sostanziale. Proposito dei limiti del giudicato si distingue la pregiudizialità tecnica fra diverse situazioni sostanziali dalla pregiudizialità logica, che si ha quando è dedotto in giudizio un effetto giuridico di un rapporto, qui il giudicato sull’esistenza e qualificazione del rapporto si forma secondo la regola dell’antecedente logico necessario. Si eve così escludere dall’ipotesi dell’art 34 quelle che costituiscono pregiudizialità logia. Nelle ipotesi di pregiudizialità logica l’istituto applicabile è la continenza, art 39cpc. Quindi l’ambito di applicazione dell’art 34cpc è la pregiudizialità tecnica, come già detto in tema di limiti oggettivi del giudicato la cognizione del diritto pregiudiziale rimane semplice cognizione a meno che ci sia una domanda di parte o un’esplicita previsione di legge che stabilisce che il diritto pregiudiziale non sia solo conosciuto ma anche deciso. Quando si propone una domanda che per oggetto il diritto pregiudiziale ciò che il primo giudice ha etto di questo diritto nella motivazione della precedente sentenza non formerà il giudicato perché questa sentenza ha deciso solo del diritto dipendente e ha solo conosciuto il diritto pregiudiziale. Se al contrario c’è l volontà di legge o la domanda di parte che investe il diritto pregiudiziale questo diventa oggetto del processo e su questo si forma il giudicato. Quando il diritto pregiudiziale diventa oggetto del processo ci sono problemi di competenza: il giudice incera limiti nel momento in cui deve decidere perché fino a quando il diritto pregiudiziale rimane elemento da conoscere allora ogni giudice può conoscerlo mentre quando divt oggetto i decisione bisogna vedere se sono presenti tutti i presupp process del nuovo oggetto del processo e quindi se sono rispettate le regole di comp. I presupposti che trasformano la semplice cognizione del giudice in un’attività giurisdizionale piena con efficacia decisoria sono:- la domanda di una delle parti : questa deve essere proposta nei modi e nei tempi previsti dai singoli modelli processuali. L’attore deve proporre la domanda di accertamento incidentale alle condizioni e nei modi previsti dall’art183cpc e se la domanda è proposta anche nei confronti di un terzo egli deve essere chiamato in causa ex art 269cpc. La domanda di accertamento incidentale ex art 34cpc deve rispettare tutti i requisiti delle domande giudiziali. Solo per la comp è possibile una deroga alle regole normali. - la previsione di legge : questa deve essere coordinata con il principio della domanda ex art 112cpc. Il diritto d’azione è il diritto di scegliere se e quando far valere un proprio diritto e qui bisogna verificare se ci sono giustificazioni sufficiente per una compressione di tale diritto da parte del legislatore. La coazione a far valere il diritto contrasta con l’art 24Cost. L’art 124cc è la principale ipotesi in cui il legislatore impone l’accertamento ex lege, con efficacia di giudicato, del diritto pregiudiziale: “il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matr dell’altro coniuge; se si oppone la nullità del 1°matr tale questione deve essere preventivamente giudicata”. Tizio è sposato con Caia e questa contrae altro matr con Sempronio. Tizio può in ogni momento impugnare il matr tra C e S. Il matr è nullo ex diritto sostanziale se è valido il 1°matr, se così fosse allora 2°matr valido. Se CS si oppongono sostenendo che 1°matr è nullo e si applica art 34cpc: sono due situazioni sostanziale diverse quindi c’è un rapp di pregiudizialità tecnica, cioè domanda di parte il giudicato non si forma. Il giudice che deve decidere del matr CS e investito della mera cognizione del matr CT può decidere:1. il matr CS è nullo perchè il matr TC è valido (sulla validità del 1°matr il giudicato non si forma perché non c’è stata domanda di parte);2. Il matr CS è valido perché 1°matr è nullo (sulla nullità del 1°matr il giudicato non si forma perché non c’è stata domanda di parte).Dato che il giudicato sul matr TC non si è formato questo può essere oggetto di un 2° processo dove ciò che ha detto il primo giudice non è vincolante così che il secondo giudice può decidere liberamente. Se la sua decisione coincide con la cognizione incidentale fatta nel primo processo allora non ci sono problemi. Quando invece la decisione ha contenuto diverso dalla prima allora succede che nella prima ipotesi Caia torna nubile poiché sono annullati tutti e due i matr (matr CS annullato nel primo processo sul presupposto della validità del matr TC e il matr CT annullato nel secondo processo) e nella seconda ipotesi Caia diventa bigama con efficacia di giudicato poiché entrambi matr ritenuti validi. Dato che non c’è un contrasto pratico di giudicati perché gli oggetti delle due sentenza sono diversi teoricamente non ci sarebbe nemmeno lo strumento per risolvere il conflitto. Il problema nasce perché quando si svolge il rimo processo e si esamina l validità del primo matr tale questione non è decisa ma solo conosciuta senza vincolo di giudicato. Se avesse efficacia di giudicato anche il perché della nullità o meno del secondo matr il contrasto non ci sarebbe. Per evitare questo che l’art 124cc impone che sulla validità del primo matr si deve formare il giudicato. La riduzione del diritto d’azione che si verifica si giustifica sulla base della natura delle situazioni sostanziale che sono situaz indisponibili a rilevanza pubblicistica, si capisce così come l’ord impone una coerenza di giudicati che nelle ipotesi normali è lasciata alla volontà delle parti.Nel processocumulato i presupp process di ogni causa devono essere esaminati in modo autonomo. L’art 34cpc si trova nella sezione delle modificazioni di comp per ragioni di connessione erchè tutte le volte in cui la cognizione el giudice sul diritto pregiudiziale diventa decisione ci sono probl di comp perché tle diritto può non appartenere alla comp del giudice he è competente per il diritto dipendente. Se non ci fosse questo art il giudice in questi casi dovrebbe dichiararsi incompetente per la causa relativa al diritto pregiudiziale. Per evitare questo l’art in questione introduce una regola speciale di competenza: le cause devono rimanere unite quindi trattate dallo stesso giudice anche se ciò comporta la deroga alle norme ordinarie di competenza. Se la causa pregiudiziale è di comp di un giudice superiore (ipotesi prevista in modo espresso dall’art 34cpc) il giudice originariamente incaricato (adito) rimette tutte e due le cause (causa originaria e causa relativa al diritto preg) al giudice superiore dando alle parti un termine per formare l’atto di riassunzione che on è una domanda ma un atto di impulso processuale, per questo può essere fatto da qualunque parte. La causa continua così davanti al giudice superiore con due oggetti che devono essere entrambi decisi con efficacia i giudicato. Se la causa pregiudiziale è di competenza di un giudice inferiore il giudice originariamente adito decide anche della causa preg (ipotesi non prevista in modo espresso da art 34cpc a si ricava dalla logica della norma).Quindi principio dell’art 34cpc: le cause devono restare unite e lo spostamento avviene solo verso l’alto, cioè la comp superiore assorbe quella inferiore. Se la comp superiore è del giudice adito con la domanda relativa al diritto dipendente non c’è spostamento ma solo assorbimento della comp della causa pregiudiziale. Se la comp superiore è del giudice della causa pregiudiziale c’è lo spostamento davanti al giudice superiore delle due cause e assorbimento della comp della causa dipendente.La giurisprudenza introduce un limite questo principio: l’assorbimento da parte del giudice superiore dell comp sulla causa che sarebbe di comp del giudice inferiore avviene solo per la comp per valore e non per la comp per materia la quale è inderogabile e quindi non può subire modifiche per motivi di connessione. Una deroga alla comp per materia si può avere solo con rif alle previsioni dell’art7cpc, quindi nei rapp giudice di pace-tribunale. In relazione a questi rapporti l’art40cpc stabilisce la derogabilità senza limiti della comp del giudice di pace, quindi il simultaneus processus è sempre possibile davanti al tribunale.

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L’art 34cpc oltre alla deroga alla comp in senso verticale comporta anche una deroga alla comp territoriale. Se il giudice è territorialmente competente per la causa dipendente originariamente proposta ma non per la causa pregiudiziale egli acquista la comp territoriale derogata anche per la causa preg se questa è introdotta nel processo aperto dalla prima.

Cap 31 LA COMPENSAZIONE

Art 35cpc..Presupposti sostanziali:artt 1241ss cc. Se fra due soggetti ci sono rapporti incrociati di credito-debito per una quantità di cose fungibili (denaro) i due rapp si estinguono per le quantità corrispondenti. La compensazione presuppone che la relazione credito-debito nasca da due rapp distinti. Se la relazione nasce all’interno di un unico rapporto non si applica questa disciplina.La compensazione opera ipso iure art 1242cc ma richiede una manifestazione di volontà, cioè serve che il controcredito sia opposto in compensazione da uno dei due soggetti. L’effetto è retroattivo al momento in cui i due crediti sono venuti a coesistenza, cioè entrambi sono diventati esigibili. Se uno dei crediti si è prescritto successivamente e anche solo per un momento i due crediti sono stati coesistenti la compensazione opera cmq proprio perché opera retroattivamente, cioè in un momento antecedente a quello in cui la manifestazione di volontà è stata emessa. La compensazione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice perché è la volontà dell’interessat che deve creare il raccordo tra due crediti. Quando c’è la dichiarazione allora i due crediti si estinguono per le quantità corrispondenti.Profili di diritto processuale: bisogna capire che tipo di connessione c’è tra i due crediti opposti in compensazione.Nella connessione per pregiudizialità dipendenza l’esistenza dell’effetto pregiudiziale (X) stato ipotizzato che è elemento della fattispecie costitutiva del diritto dipendente. La connessione può avvenire a livello delle fattispecie impeditive, modificative, estintive oltre che a livello delle fattispecie costitutive.

A+B-C-D = XA + B,fattispecie costitutiva; C e D, sono un fatto impeditivo e uno estintivo. Tutti insieme disciplinano l’effetto X.- se mancano A o B o è presente C l’effetto non nasce;- se è presente D l’effetto si modifica o si estingue;- se sono presenti A e B e mancano C e D l’effetto X è presente.L’effetto X dipende non solo dalla fattispecie costitutiva ma anche dai fatti impeditivi, modificativi, estintivi dato che c’è effetto poiché la fattispecie costitutiva sia completata e non ci siano fatti impeditivi, modificativi o estintivi.Se S + T è la fattispecie costitutiva e V e Z sono i fatti impeditivi. Modificativi, estintivi dell’altro diritto si ha S+T-V-Z=Y che è lo schema dell’altro diritto. Quando c’è la volontà degli interessati di opporre un controcredito in compensazione quest’ultima opera così: l’esistenza di un diritto diventa fatto estintivo dell’altro. La connessione è bilaterale perché l’esistenza di un credito estingue l’altro. Negli esempi fatti fino adesso di pregiudizialità la situazione pregiudiziale influisce su quella dipendente ma quest’ultima non influisce sulla pregiudiziale. Nell’ipotesi di connessione per compensazione c’è una doppia connessione incrociata tra credito originario e controcredito. La compensazione è un modo di estinzione delle obbligazioni oneroso (perché per estinguere il diritto altrui spende il mio) e satisfattivo (ognuno vede estinto un proprio diritto ma anche un proprio obbligo). Quindi compensare un credito è come pagarlo con un proprio diritto invece che con il denaro.Ogni credito si presenta in due forme:- è una situazione sostanziale perfetta che il titolare può far valere come qualunque altra situazione sostanziale;- è un potenziale fatto estintivo di un diritto diverso.(Il rapporto di filiazione è un diritto ma anche un fatto costitutivo del diritto degli alimenti).La duplicità del modo di essere sul piano sostanziale dei due diritti corrisponde sul piano processuale a un duplice modo con cui ognuno può essere fatto valere: il credito è fatto valere come diritto quando nel processo è ogg di domanda giudiziale e è fatto valere come fatto estintivo del diritto altrui quando nel processo è oggetto di un’eccezione. Il titolare del credito se fa valere questo come diritto può proporre la domanda in un processo separato e autonomo o può proporla come causa riconvenzionale (art36cpc) all’interno di un unico processo. Quì il controcredito è sempre oggetto di domanda anche se questa proposta nello stesso processo: ipotesi di processo cumulato. L’art 35cpc parte dal presupposto che il controcredito sia usato come eccezione e oggetto dell’unica domanda proposta in quel processo, in questo caso il processo ha un solo oggetto, cioè il credito fatto valere dall’attore e il controcredito del convenuto ha importanza solo come fatto estintivo del credito dell’attore e non come diritto.Se un credito viene opposto in compensazione come eccezione esso è usato al solo scopo di far rigettare la domanda dell’attore poiché nel processo svolge il ruolo di fatto estintivo dell’unico diritto oggetto di quel processo, cioè quello dell’attore. Se il controcredito è oggetto di domanda questa non può essere assorbita se invece è oggetto di eccezione questa può essere assorbita. Si tratta di una distinzione fra domanda ed eccezione che spiega anche che se il controcredito è posto a base di un’eccezione esso è usato al solo fine di far respingere la domanda dell’attore e per questo può essere assorbito.Una differenza fra l’eccezione di compensazione e le altre eccezioni è l’esistenza del principio della ragione più liquida. Per rigettare la domanda non si impone un ordine logico di esame delle varie questioni di merito, soprattutto se risulta fondata un’eccezione il giudice può rigettare la domanda anche senza accertare la sussistenza dei fatti costitutivi. Inoltre se sono fatte valere più eccezioni il giudice può accogliere quella più adatta e assorbire le altre. Il principio in questione non si applica all’eccezione di compensazione poiché quest’ultima è un modo di estinzione dell’obbligazione oneroso e satisfattivo. Il convenuto con la compensazione estingue il suo debito ma utilizzando il suo contro diritto. Per questo lui ha interesse a far esaminare l’eccezione di compensazione per ultima in modo tale che il giudice utilizzi il controcredito per respingere la domanda solo dopo aver accertato l’attuale esistenza del diritto dell’attore, quindi solo dopo aver esaminato tutti gli altri argomenti difensivi utilizzati dal convenuto. Quindi l’eccezione di compensazione è assorbita ogni volta che il giudice ritiene che il credito dell’attore non è attualmente esistente per qualunque motivo.Se il giudice assorbe l’eccezione di compensazione allora non c’è nessuna pronuncia su questa e quindi il controcredito resta impregiudicato per un successivo processo. Se invece il giudice conclude che il credito originario è attualmente esistente allora deve esaminare l’eccezione di compensazione e deve stabilire se il controcredito esisteva o meno al momento della coesistenza. Con quest’eccezione il convenuto mette in gioco una quantità del suo controcredito pari al valore del credito dell’attore, così quando il giudice esamina l’eccezione qualunque cosa ritenga del controcredito il convenuto ha perso quella quantità del suo credito: se il giudice ritiene che il controcredito esiste rigetta la domanda dell’attore e in questo modo ha usato una parte del controcredito del convenuto pari all’entità del credito dell’attore, se ritiene che il controcredito non esiste allora il giudice accoglie la domanda dell’attore e il convenuto ha cmq perso la somma corrispondente a quella

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riconosciuta all’attore. Per dare un senso al rigetto dell’eccezione il convenuto non può mantenere integro il controcredito, altrimenti accogliere o rigettare dal pdv economico è la stessa cosa. Quindi quando il giudice esamina l’eccezione di compensazione il convenuto mette in gioco la quantità del suo controcredito corrispondente al credito dell’attore e la usa se riconosciuta esistente per estinguere il credito e la perde se riconosciuta inesistente proprio perché riconosciuta tale. L’art 35cpc riguarda solo quando il controcredito opposto in compensazione come eccezione è maggiore del credito originario. Quando il controcredito è uguale o minore al credito dell’attore non ci problemi perché se l’eccezione è esaminata il contro diritto si estingue totalmente se invece non è esaminata allora rimane tutto impregiudicato. Mentre se l’eccezione di compensazione è esaminata e il controcredito è maggiore si deve stabilire se la statuizione del giudice circa l’esistenza del controcredito forma giudicato sulla parte rimanente rispetto al credito originario dell’attore. L’art 35 stabilisce quando si forma il giudicato sul residuo e quando no. Quando il convenuto eccepisce in compensazione un controcredito maggiore del credito dell’attore divide il suo credito in due parti: una con valore equivalente al credito dell’attore sulla quale fonda l’eccezione e l’altra equivalente al residuo che è estranea al processo. Se l’eccezione è assorbita l’intero controcredito rimane intatto altrimenti se è esaminata il controcredito svanisce limitatamente alla parte su cui l’eccezione è stata fondata. Se l’attore contesta l’esistenza del controcredito l’ordinamento prevede che non ci sia la scissione del controcredito, questo per ragioni di economia processuale in modo da evitare una doppia istruttoria sugli stessi fatti costitutivi (una nel processo in corso e un’altra nel successivo processo con oggetto il residuo). Si ha così l’accertamento con efficacia di giudicato dell’intero controcredito sempre però subordinatamente al mancato assorbimento dell’eccezione. La divisione del controcredito comporta la possibilità di pronunce discordanti. Così che nel successivo processo sul residuo se il credito è stato contestato è efficace la precedente sentenza che nega/accerta l’esistenza del contro credito, mentre se il controcredito non è stato contestato nel processo succ sul residuo la precedente sentenza non ha influenza. Il processo successivo può avere per oggetto solo il residuo perché la parte di controcredito equivalente al credito dell’attore è stata già impiegata nel precedente processo. L’art 35cpc si occupa del problema delle pronunce discordanti sullo stesso credito con riguardo alla competenza. Quando il contro diritto è usato come eccezione e quindi è dedotto nel processo solo per la parte corrispondente al credito allora il problema non c’è perché se il giudice è competente per il credito dell’attore allora lo è anche per la quantità corrispondente del controcredito. Ma se bisogna decide con efficacia di giudicato dell’intero controcredito perché è contestato e il suo ammontare supera il credito originario allora il giudice competente per la quantità minore del credito originario non lo sia anche per la quantità maggiore del credito opposto in compensazione. Tutto questo non è un problema per il tribunale dato che non ha limiti di competenza per valore ma lo è quando si supera la soglia di competenza del giudice di pace. Il giudicato sull’intero controcredito dipende dalla contestazione dell’attore poiché se il credito non è contestato allora non ci sono problemi di competenza. Quando il controcredito opposto in compensazione e contestato dall’attore supera la competenza del giudice bisogna vedere se la domanda originaria dell’attore è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile il giudice decide della domanda dell’attore e rimette al giudice superiore la decisione sull’eccezione di compensazione: sentenza di condanna con riserva delle eccezioni. La tecnica del legislatore ha funzione di accelerare la tutela dell’attore dividendo la decisione del giudice in due: con la prima sentenza il giudice decide dell’esistenza del diritto mettendo da parte l’eccezione di compensazione che diventa invece oggetto di istruttoria con cognizione ordinaria e in modo pieno nella seconda fase del processo che termina con sentenza che decide in via definitiva del diritto fatto valere tenendo conto di quanto affermato nella prima sentenza (che il giudice della seconda fase non può modificare) e di quanto emerge dall’istruttoria sull’eccezione di compensazione. Nel caso di provvedimenti anticipatori emessi un forma di ordinanza il giudice non perde il potere/dovere di riesaminare con la sentenza quanto deciso prima con l’ordinanza. Se la domanda dell’attore è contestata e non è di veloce decisione il giudice adito rimette la causa al giudice superiore che deciderà unitariamente della domanda e dell’eccezione di compensazione.Ex l’art 35cpc quando il giudice decide la domanda rimettendo al giudice superiore l’eccezione può subordinare l’esecuzione della sentenza con cui decide del credito alla prestazione di una cauzione. Il vantaggio dell’eccezione di compensazione è per il convenuto di non essere obbligato a corrispondere all’attore una somma che egli deve recuperare in un processo separato dove farà valere il suo controdiritto. Il convenuto vuole così evitare il passaggio di denaro da lui all’attore e poi un passaggio inverso poiché possono esserci problemi se il patrimonio dell’attore non dà sufficienti garanzie e quindi il convenuto può correre il rischio di non trovare nel patrimonio dell’attore nemmeno ciò che lui ha pagato. L’interesse vero della compensazione è di evitare questo rischio. Quando il giudice emette una sentenza di condanna con riserva delle eccezioni pregiudica l’interesse del convenuto alla eccezione di compensazione, è come se il convenuto avesse deciso di far valere il suo credito in un separato processo. La cauzione serve per garantire al convenuto di recuperare almeno quello che ha pagato all’attore in virtù della sentenza di condanna con riserva delle eccezioni.

Cap 32 LA CAUSA RICONVENZIONALE

Art 36cpc…“Il giudice competete per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto i giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di accezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore, altrimenti applica le disposizioni dei due artt precedenti”.La causa riconvenzionale è l’ipotesi più frequente tra le domande nuove. Si deve distinguere tra le nuove domande proposte in corso di causa che appartengono e quelle che non appartengono alla competenza del giudice adito secondo le regole ordinarie di competenza.L’art 36 si applica solo all’ipotesi in cui la causa riconvenzionale non appartiene secondo le regole ordinarie alla competenza del giudice adito. Se il controdiritto appartiene alla competenza di altro giudice esso è deducibile come causa riconvenzionale nel processo già instaurato solo se tra diritto originario e controdiritto esiste il tipo di connessione previsto da tale art. Quindi ex art 36cpc la connessione della causa riconvenzionale alla causa principale è richiesta solo se la causa riconvenzionale appartiene alla competenza di un altro giudice. Se appartiene alla competenza dello stesso giudice anche se non connessa alla domanda dell’attore è cmq proponibile all’interno dello stesso processo. La connessione per la giurisprudenza è richiesta solo se si deve fare una deroga alla competenza. Si tratta dell’applicazione dell’art 24 Cost per il principio della parità delle ari tra attore e convenuto (se l’attore può proporre più domande anche non connesse nello stesso processo lo stesso vale anche per il convenuto). L’art 104cpc riconosce al giudice la facoltà di disporre la separazione delle più cause cumulate quando lo richiedono le parti o quando la separazione è utile a fini di economia e celerità processuale. L’esistenza della connessione incide sul potere di separazione che può essere esercitato solo a certe condizioni che variano a seconda del tipo di connessione che c’è tra le cause cumulate. Se le cause non sono connesse la separazione può avvenire alle condizioni dell’art 104cpc.L’art 36cpc prevede la:- connessione per titolo, cioè la fattispecie costitutiva del di fatto valere in giudizio dall’attore. Questa si ha quando le rispettive fattispecie costitutive hanno in comune almeno uno dei fatti che lo compongono. Tale tipo di connessione si può avere anche nella pluralità di parti e dà vita al litisconsorzio facoltativo (art 103cpc).- connessione per eccezione, si intendono i fatti impeditivi - modificativi - estintivi del diritto fatto valere in giudizio dall’attore. La compensazione può dare luogo a una vera domanda. Il convenuto può usare il controcredito con il solo scopo di far rigettare la domanda dell’attore, cioè come eccezione, e in questo caso il giudice può non esaminare l’eccezione se essa è assorbita. Per la domanda di compensazione il giudice la deve cmq esaminare anche se ritiene che il credito dell’attore non esiste. Quando la ritiene fondata se il credito dell’attore è

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riconosciuto esistente il giudice accoglie entrambe le domande e condanna all’eventuale differenza. Mentre se riscontra che il diritto dell’attore non esiste rigetta la domanda e condanna l’attore al pagamento di tutto il controcredito.La compensazione è un particolare caso di incompatibilità fra diritti. Però per incompatibilità in senso proprio si intendono due diritti che sono tra loro incompatibili quando l’esistenza dell’uno osta all’esistenza dell’altro e viceversa. Per questo aspetto lo schema della connessione per incompatibilità (=incompatibilità in senso proprio) è uguale alla compensazione ma la differenza è che nella compensazione l’effetto estintivo incrociato è bilaterale così che ogni credito estingue l’altro mentre nell’incompatibilità l’efficacia impeditivi - estintiva opera in un solo senso, cioè quello stabilito dall’ord secondo i criteri di prevalenza. Il fenomeno dell’incompatibilità si verifica anche per i crediti (se un bene è danneggiato il risarcimento spetta a chi è effettivamente il proprietario). Nel conflitto tra acquirente e venditore il criterio di risoluzione è l’efficacia dell’atto di acquisto. Nel caso di due acquirenti a titolo originario dello stesso diritto di proprietà il conflitto è risolto con la prevalenza del diritto di acquisto successivo nel tempo. Per la trascrizione prevale chi trascrive per primo e tra cessionari dello stesso credito prevale chi per primo notifica l’atto di cessione al debitore. Quindi nell’incompatibilità in senso proprio si ha estinzione di un diritto e la sopravvivenza dell’altro mentre nella compensazione si ha l’estinzione di entrambi per le quantità corrispondenti.Eccezione riconvenzionale… è simile all’eccezione di compensazione perché entrambe si fondano sull’incompatibilità. Il convenuto può dedurre in giudizio il suo controdiritto in due modi: farlo valere come diritto proponendo domanda e essendo anche fatto ostativo del diritto dell’attore può usare il proprio diritto come eccezione, cioè con il solo scopo di far rigettare la domanda dell’attore senza chiederne autonomamente la tutela. La distinzione è importante perché solo l’eccezione può essere assorbita mentre la domanda no e perché le modalità e i tempi di proposizione della domanda nuova e dell’eccezione sono diversi. La differenza principale tra controdiritto usato come eccezione e quello usato come domanda è che nel primo caso si ottiene solo il rigetto della domanda dell’attore e il controdiritto non è accertato con efficacia di giudicato mentre nel secondo oltre al rigetto si ha anche la tutela del controdiritto stesso che è qui accertato con efficacia di giudicato. L’alterativa fra fondare sulla stessa realtà sostanziale una domanda o un’eccezione è possibile solo dove la realtà sostanziale è un diritto mentre quando la realtà sostanziale è un mero fatto storico può essere acquisita al processo solo come eccezione. A volte si ha la riconvenzione dell’attore. Domanda riconvenzionale… si deve distinguere la causa riconvenzionale dalla domanda riconvenzionale. La causa riconvenzionale fa riferimento al tipo di connessione descritto dall’art 36cpc che deve sussistere fra le due cause perchè la loro trattazione cumulata possa avvenire anche in deroga alle regole ordinarie di competenza, si indica così il contenuto. Mentre con domanda riconvenzionale si indica la forma dell’atto con cui si può proporre una domanda nuova durante il processo e che è caratterizzata dal fatto di essere priva della vocativo in ius, cioè dell’instaurazione del contraddittorio. Quindi questa si può usare per proporre domande nuove in corso di causa solo se il soggetto verso cui si propone la domanda ha già assunto la qualità di parte altrimenti la domanda nuova deve essere proposta con un atto che contiene la vocativo in ius, cioè la chiamata in causa del terzo.Con la causa riconvenzionale possono esserci problemi di competenza. L’art 36cpc introduce regole speciali di competenza per consentire il simultaneus processus. Se il giudice adito non è competente per la causa riconvenzionali si applicano gli artt 34 e 35cpc, quindi si ha o trattazione unitaria delle due cause davanti al giudice superiore (art34cpc) o la separazione delle cause (art 35cpc), in quest’ultimo caso la causa originaria rimane al giudice originariamente adito mentre la causa riconvenzionali va al giudice superiore competente. I criteri che determinano questa scelta sono nell’art 40, VI e VII, cpc, in quanto la deroga alla competenza riguarda solo il giudice di pace e il tribunale. Se la causa riconvenzionale è connessa per titolo o per eccezione alla causa principale e una appartiene alla competenza del tribunale mentre l’altra al giudice di pace entrambe devono essere trattate al tribunale. Se invece la causa riconvenzionale non è connessa alla causa principale ognuna sarà trattata dal giudice competente secondo le regole ordinarie.

Cap 33 IL LITISCONSORZIO NECESSARIO

Integrità del contraddittorio 11° presupposto processualeLa pluralità di parti disciplinata dall’art 102cpc si caratterizza per il fatto che la presenza nel processo di più di due soggetti è necessaria. Si tratta di un altro presupposto processuale: l’integrità del contraddittorio in presenza di un litisconsorzio necessario. L’art descrive il fenomeno ma non indica le ipotesi in cui si verifica, si limita a dire che ci può essere la necessità di un processo unitario a cui una pluralità di soggetti devono essere chiamati a partecipare. L’art però ci descrive l’effetto, cioè in alcuni casi ci deve essere una decisione necessariamente unitaria verso più soggetti, quindi un’unica pronuncia che ha effetto verso tutti. Quindi serve un processo e una sentenza unica, per il per il contraddittorio tutti devono essere messi in grado di partecipare al processo. Ci sono due ipotesi di litisconsorzio necessario ex lege: (dalla ratio di queste norme si trova il principio da applicare ad altri casi dove c‘è la stessa ratio).1) Art 784cpc, scioglimento delle comunioni. La rubrica di questa norma parla di litisconsorzio necessario. La contitolarità si verifica perché ogni contitolare ha pieno diritto su tutto il bene ma questo stesso diritto è limitato dal diritto degli altri. La divisione avviene in modo che ad ogni contitolare si assegnato in piena proprietà una porzione del bene, quindi il diritto su tutto il bene si riduce e diventa un diritto assoluto solo sulla parte di bene dato secondo la divisione. Fino a quando però tutti gli altri non hanno tolto il loro diritto dalla porzione di bene a lui assegnata il soggetto non ha un bene in esclusiva proprietà. Nel processo se si vuole una divisione si deve avere una sentenza che sia efficace nei confronti di tutti se così non si vuole allora non si vuole un divisione.2) Art 247cpc, disconoscimento di filiazione legittima. Un soggetto che è per legge padre legittimo chiede il disconoscimento. Il processo si deve svolgere nel contraddittorio del padre disconoscente, della madre e del figlio poiché tale richiesta incide anche sulla sfera giuridica della madre perché tra madre e figlio c’è un rapporto di filiazione legittima solo se il soggetto sia figlio del marito. Se così non fosse il rapp tra madre e figlio allora è una filiazione naturale. Quindi non è giuridicamente possibile che si chieda il disconoscimento della paternità senza influir sulla situazione giuridica della moglie e sul rapp di filiazione tra questa e il figlio, per questo il disconoscimento si produce solo se opera anche nei confronti del rapporto madre-figlio.Nella contitolarità la regola è che ogni titolare può avere tutti i comportamenti propri del diritto di cui è contitolare ma il competenza è cmq limitato dagli uguali poteri degli altri contitolari. Con la divisione però ogni contitolare ha sulla porzione di bene che gli è stata assegnata poteri/facoltà pieni senza limiti ma nel mentre non ha più poteri sulle porzioni assegnate agli altri. Così se la sentenza non è in grado di determinare i poteri e doveri di comportamento di tutti i contitolari allora nono può esserci divisione poiché il contitolare può continuare a comportarsi da proprietario anche sui beni che sono stati assegnati agli altri.Alla base di queste due ipotesi c’è il combinarsi del fenomeno sostanziale, cioè l’unitarietà della situazione sostanziale, e di quello processuale, ovvero gli effetti che l’attore chiede al giudice incidono necessariamente nella sfera giuridica di tutti i titolari della situazione unitaria.Parte della dottrina sostiene che il litisconsorzio necessario si h solo nei casi previsti dalla legge perché nel nostro processo c’è il principio della separazione dei ruoli secondo cui chi emette la decisione non ha il potere di individuare l’oggetto della decisione. Quindi l’attore può individuare liberamente la realtà sostanziale e chiedere il provvedimento che vuole se il giudice gli imponesse invece di agire nei confronti di soggetti diversi da quelli da lui individuati ci sarebbe violazione del principio della domanda. Per questo rimane fermo il principio secondo cui oltre i casi previsti espressamente dalla legge all’attore non può essere modificata la domanda con cui chiede la pronuncia nei confronti di certi soggetti e non di altri. Si può replicare però che la valutazione della necessità del litisconsorzio è fatta dal giudice sulla base della domanda

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proposta dall’attore e soprattutto secondo gli effetti che lui richiede. Il giudice non viola il principio della domanda se dice che se lui vuole questi effetti allora deve pronunciare nei confronti di altri soggetti. Gli effetti quindi non sono scelti dl giudice e per questo il provvedimento non comporta una modifica della domanda. L’integrazione del contraddittorio e art 102cpc è prevista nell’interesse, per permettere l’accoglimento della domanda, dell’attore, anzi sarebbe l’attore ad essere danneggiato se non fosse possibile integrare il contraddittorio perché non potrebbe ottenere ciò che vuole.Parte della dottrina sostiene che dove è dedotta in giudizio una situazione sostanziale unitaria allora automaticamente c’è il litisconsorzio, ma quanto affermato non è proprio vero perché è importante anche la tutela richiesta, ovvero bisogna vedere se la tutela richiesta esige o no un provvedimento efficace nei confronti di tutti i titolari della situazione plurisoggettiva. Quindi al diritto sostanziale della unitarietà della situaz sostanziale si deve aggiungere anche il dato di diritto processuale, se quanto richiesto non comporta l’efficacia della pronuncia nei confronti di tutti i titolari allora non c’è il litisconsorzio necessario. L’unitarietà della situazione sostanziale è un dato necessario ma non sufficiente perché se non c’è allora non può esserci litisconsorzio ma non è nemmeno detto che se c’è allora automaticamente c’è litisconsorzio.Altre ipotesi di litisconsorzio necessario oltre quelle previste ex lege:- Richiesta di costituzione di servitù coattiva su un fondo servente che è in comproprietà, qui c’è litis perché una situazione di tipo reale come questa con caratteristiche di perpetuità e opponibilità a qualunque successivo proprietario presuppone che la servitù nasca nei confronti di tutti i comproprietari. L’atto costitutivo della servitù (contratto-sentenza) deve avere effetti per tutti i comproprietari del fondo servente altrimenti essa non sorge. Il litisconsorzio necessario sussiste se l’attore ha realmente e concretamente bisogno che la sentenza produca effetti verso il terzo per raggiungere quello che vuole.- Lo scioglimento di un rapporto plurilaterale che lega più soggetti (es. contratto di società). Ogni partecipante ha diritti/obblighi nei confronti di tutti quindi se un soggetto vuole uscire dal rapporto deve interrompere dir/obb che lo legano a tutti e non solo alcuni altrimenti con qualcuno rimane ancora vincolato. Quindi serve una sentenza efficace verso tutti e perciò ex principio del contraddittorio tutti devono essere chiamati a partecipare al processo.C’è una parte di dottrina e giuri che limita il litisconsorzio alle pronunce costitutive ritenendo che la sentenza di mero accertamento non lo esige poiché non modifica la realtà sostanziale e l’accertamento di quanto esiste può essere effettuato anche nel contraddittorio di solo due parti. Tale limite però non convince perché a volte anche la sentenza di mero accertamento porta all’esigenza che fonda il litisconsorzio, cioè perché l’attore possa avere la tutela che richiede serve un provv che produca effetti verso tutte le parti della situaz sostanziale. C’è cmq qualcosa di vero nell’affermazione che collega il litisconsorzio necessario alle sentenze costitutive. A proposito dell’interesse ad agire di solito la domanda di mero accertamento fonda la sua utilità sull’incertezza prodotta dalla contestazione altrui. In questa ipotesi è sufficiente che la sentenza abbia effetti nei confronti di chi ha proposto la contestazione anche se è una situazione sostanziale unica con più soggetti.In alcuni il litisconsorzio è necessario quando la sentenza deve portare alla rimozione di un titolo che può anche essere un titolo apparente e quindi dar luogo a una sentenza di mero accertamento.Il litis necessario può avere anche un fondamento solo processuale dato dalla legittimazione straordinaria che è caratterizzata dal fatto che un sogg è autorizzato ex lege a far valere in giudizio un diritto altrui. Gli effetti delle sentenza di rito si imputano alla parte processuale intesa come destinataria degli fatti e gli effetti delle sentenza di merito si imputano ai titolari della situaz oggetto del processo, quindi nel processo condotto dal legittimato straordinario gli effetti di merito si imputano ai titolari della situaz oggetto della decisione e non al legittimato straordinario. La posizione processuale dei titolari dalla situaz sostanziale è ricavata dall’art 2900c in tema di surrogazione. Differenza fra litis che ha fondamento sostanziale e litis con fondamento processuale è che nel primo il litis c’è sempre chiunque prende l’iniziativa processuale mentre nel secondo c’è solo so l’iniziativa è presa dal legittimato straordinario (perché il legittimato ordinario non sia avvertito della pendenza del processo devono esserci buone ragioni. Ipotesi più importante si hanno nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali dove la dichiarazione di insolvenza ha come effetto lo spossessamento del debitore e la designazione di un curatore).Litisconsorzio necessario passivo, quando la domanda deve essere proposta contro più soggetti. Qui l’attore con l’atto introduttivo del processo conviene in giudizio tutti i litisconsorzi.Litisconsorzio necessario attivo, cioè più attori litisconsorti necessari. In questo caso è sufficiente che uno solo proponga la domanda contro il convenuto e nel mentre chiami gli altri litisconsorti a partecipare al processo. Ciò dal punto di vista (pdv) processuale mentre dal pdv del diritto sostanziale l’atteggiamento che gli altri litisconsorti assumono nel processo incide sul merito della causa, questi possono affiancarsi o opporsi alla domanda dell’attore, se ciò avviene bisogna decidere se serve il consenso di tutti/la maggioranza/uno solo di essi perché il giudice possa accogliere la domanda. In mancanza del consenso richiesto il giudice rigetta la domanda e se per regola i diritto sostanziale è sufficiente la volontà di uno solo l’eventuale opposizione degli altri non ostacola l’accoglimento della domanda.Il difetto dell’integrazione del contraddittorio può essere rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Tale difetto può essere sanato anche prima che venga rilevato all’intervento del litisconsorte pretermesso, tale intervento non rientra nei tipi previsti dall’art 105cpc e non soggiace ai limiti degli artt 268 e 419cpc. Quindi egli può intervenire durante tutto il processo e la sua posizione processuale non è limitata al contrario degli altri casi dove l’intervento di un terzo quando il processo è in uno stadio avanzato è soggetto a limitazioni per i poteri processuali o addirittura non può intervenire. Quindi il vizio può essere rilevato d’ufficio o su eccezione di parte . Il vizio si verifica poiché il litisconsorte non è né stato convenuto in giudizio né si è costituito in modo spontaneo, a questo punto il giudice trattandosi di vizio sanabile ne ordina la citazione che può essere effettuata da una qualunque delle parti poiché l’integrazione non comporta la proposizione di una nuova domanda. Quando la citazione è regolarmente notificata indipendentemente dalla costituzione in giudizio della parte necessaria il processo può arrivare a una decisione di merito. L’art 307cpc prevede la conseguenza della mancata integrazione del contraddittorio, cioè l’estinzione del processo (pronunciata anche d’ufficio) se la parti che devono provvedere all’integrazione non lo fanno nel termine stabilito dal giudice. Artt 354 e 383cpc prevedono il caso in cui il difetto sia pronunciato in sede di impugnazione, in questo caso il giudice dell’impugnazione che dichiara il vizio deve annullare la sentenza impugnata e rinviare la causa al giudice di primo grado.Gli effetti della sanatoria decorrono dal momento della proposizione della domanda e non da quando il vizio è stato sanato. Quindi la sanatoria opera ex tunc. L’efficacia della sentenza emessa in assenza di uno o più litisconsorti necessari ha tre possibili soluzioni: la sentenza…1. ha effetti nei confronti di tutti, qui il litisconsorte pretermesso essendo terzo può opporsi con lo strumento dell’opposizione di terzo previsto dall’art404cpc e in questo modo il terzo può ottenere l’annullamento della sentenza pronunciata in sua assenza.2. non ha effetti nei confronti di nessuno , qui si considera inefficace la sentenza. Qui quindi avendo lo stesso effetto nei confronti di tutti chiunque può riproporre la domanda e nel caso di eccezione di precedente giudicato si replica rilevando l’inefficacia della precedente sentenza.(Differenza tra queste due soluzioni è che nel secondo caso il vizio può essere fatto valere sia dalla parte che dal litisconsorte pretermesso mentre nel primo può essere fatto valere solo dal litisconsorte pretermesso con l’opposizione di terzo). Ma in entrambi casi si arriva sempre alla dichiarazione di inefficacia della sentenza.3. ha effetti solo fra le parti e non verso il litisconsorte pretermesso , questa soluzione non è accettabile perché trattandosi di litisconsorzio necessario NON è possibile che la sentenza abbia effetti solo nei confronti di qualcuno e non di altri.

Cap 34 IL LITISCONSORZIO FACOLTATIVO

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Art 103 cpc…anche qui si ha la partecipazione di più soggetti allo stesso processo. Nel litisconsorzio necessario il processo non può prescindere dalla presenza di tutti i soggetti necessari questo non si verifica nel litisconsorzio facoltativo dove invece si ha la possibilità di trattazione unitaria di più cause senza che però sia necessaria. Perché la trattazione unitaria delle più cause la legge prevede delle condizioni:- art 103cp, è necessaria una connessione per oggetto o per titolo delle cause cumulate. Qui si ha litisconsorzio facoltativo proprio. La funzione del litisconsorzio facoltativo è doppia:economia processuale e di armonizzazione delle decisioni. Questo è soprattutto chiaro nella connessione per titolo che si ha quando uno stesso fatto storico entra a comporre la fattispecie di più diritti:

A+B+C=X (fattispecie di un dir) e A+D+E=Y (fattispecie di un altro dir)Il fatto storico A è elemento comune ad entrambe.

Il litisconsorzio facoltativo è utile nella connessione per titolo perché una volta acquisita la prova del fatto comune essa è usata per decidere tutte le cause cumulate (funzione di economia processuale). Inoltre il cumulo processuale è importante perché permette di evitare un contrasto di accertamenti, cioè che in relazione a una causa il fato comune sia accertato in un modo e in relazione all’altra causa sia accertato in modo diverso (funzione di armonizzazione delle decisioni). Non si ha invece un contrasto di giudicati perché il modo di essere di un diritto non è rilevante per il modo di essere dell’altro, quindi non c’è connessione per pregiudizialità-dipendenza fra i diritti. La connessione per oggetto si ha quando le più cause hanno per oggetto lo stesso bene. Anche qui i presenta la doppia funzione del litisconsorzio È necessaria la risoluzione di identiche questioni , qui si ha il litisconsorzio facoltativo improprio. Anche qui ci sono le stesse due finalità.Tra i due tipi di litisconsorzio c’è una differenza che riguarda la deroga alla competenza. L’art 33cpc: è possibile effettuare il cumulo delle cause derogando alle regole di competenza territoriale e l’art 103cpc permette in modo implicito anche la deroga alla competenza per valore (se il cumulo viene sciolto sono rimesse al giudice inferiore le cause di competenza di quest’ultimo). Secondo la giuri però ad altri criteri non è possibile derogare, come per la competenza per materia. La deroga alla competenza è possibile solo per il litisconsorzio facoltativo proprio. Per quello improprio il cumulo è possibile solo se tutte le cause convergono davanti allo stesso ufficio giudiziario.Nel litisconsorzio facoltativo è sempre possibile che le cause cumulate si scindano successivamente. La scissione comporta:-decisione delle cause separate ad opera di uffici giudiziari diversi;-la decisione per conto dello stesso ufficio giudiziario ma con processi e sentenze separate.(nel litis necessario invece il giudice deve decidere di tutte le cause cumulate con un’unica sentenza).L’art 103cpc stabilisce quando può esserci separazione delle cause cumulate:- quando c’è l’istanza di tutte le parti;- quando è il giudice a decidere di separare le cause sulla base di un’esigenza processuale indipendentemente dalla volontà delle parti;- quando l’istruzione probatoria di una causa è completa mentre per le altre deve ancora continuare.Nel litisconsorzio facoltativo l’attività processuale che le parti svolgono circa i fatti comuni può essere usta per la decisione di tutte le cause ad eccezione degli atti che comportano l’esercizio di un potere riservato alla parte e che non si comunicano agli altri litisconsorti.Una pronuncia circa i rapporti fra litisconsorti si può avere solo se sono proposte domande interne LITISCONSORZIO UNITARIO O QUASI NECESSARIOSi tratta di un istituto non esaminato in modo esplicito dal codice ed è la figura intermedia tra litisconsorzio necessario e litisconsorzio facoltativo. È facoltativo per quanto riguarda l’instaurazione in quanto i più soggetti non sono parte necessaria del processo (come per il litis facoltativo). Se la pluralità di parti c’è allora il litis è necessario per quanto riguarda la prosecuzione, cioè la decisione deve essere necessariamente unica per tutti i litisconsorti e ciò comporta l’impossibilità della separazione.Questo litisconsorzio si ha quando ognuno degli interessati è legittimato a dedurre in giudizio da solo l’intera situazione sostanziale controversa senza che sia necessaria la partecipazione al processo degli altri. Gli effetti della decisione però si producono anche verso chi non ha partecipato al processo. Quindi non sono possibili due decisioni di merito con oggetto l’unica situazione sostanziale per evitare uno spreco di tempo e per evitare un eventuale contrasto di giudicati. Tutte le impugnazioni che non sono proposte con unico atto da parte di più soci devono essere riunite in un unico processo e decide con un’unica sentenza.Come già detto il cumulo processuale è retto da due principi, cioè l’autonomi elle singole cause per i presupp processuali e il principio di acquisizione per la trattazione e l’istruttoria di queste.Qui come per il litis necessario e a contrario di quello facoltativo invece la decisione è unica per tutti e anche gli atti che sono esercizio di un potere riservato alla parte si comunicano alle altre.Qui per definizione non sono possibili più sentenze di merito perché la decisione è necessariamente unica per tutti.

Cap 35 L’INTERVENTO VOLONTARIO

L’elemento comune ai fenomeni regolati dall’art 105cpc è che la pluralità di parti si realizza per iniziativa di un terzo che interviene nel processo di sua volontà ma i tre tipi di intervento sono diversi nei loro presupposti e nel loro svolgimento, e sono:1) Intervento principale ad excludendum, l’interventore fa valere verso tutte le parti un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Le caratteristiche del diritto del terzo perché possa avere la tutela richiesta sono tre:

I. Autonomia , si fa riferimento ai limiti soggettivi di efficacia della sentenza. Ex art 105cpc il diritto è autonomo quando il suo titolare lo può far valere in giudizio autonomamente, cioè la sentenza che sarà emanata in quel processo nel caso in cui il terzo non intervenisse non lo vedrebbe vincolato agli effetti. Quindi vuol dire gestione processuale autonoma del proprio diritto poiché l’emandata sentenza non forma giudicato nei confronti del terzo. L’autonomia si ha in due ipotesi:- Il diritto del terzo non è dipendente sul piano del diritto sostanziale da quello delle parti perché acquistato a titolo originario o perché acquistato a titolo derivativo da un quarto soggetto. Qui la pronuncia è irrilevante per il terzo poiché fa parte dei terzi indifferenti.- La situazione del terzo è dipendente sul piano del diritto sostanziale da quella oggetto del processo ma è nata prima della litispendenza quindi il terzo è titolare di una situazione sostanzialmente dipendente da quella ogg del processo ma processualmente autonoma perché la sentenza non lo vincola.Non sono titolari di un diritto autonomo i terzi con titolo anteriore alla litispendenza ma vincolati agli effetti della pronuncia altrui perché titolari di una situazione sostanziale permanentemente dipendente da quella oggetto del processo.(quindi il questo tipo di intervento la domanda è proposta dall’interventore verso entrambe le parti originarie. Il terzo se non partecipa al processo non sarebbe vincolato agli effetti della sentenza pronunciata).

II. Incompatibilità , può essere totale o parziale, infatti la tutela del terzo può non escludere in toto la tutela delle parti. Per individuare la nozione di questa caratteristica richiamiamo la causa riconvenzionale: l’incompatibilità si ha quando l’esistenza di una situazione sostanziale è fatto impeditivo o estintivo dell’altra. Qui il diritto dell’interventore è incompatibile con quello oggetto del processo quando l’esistenza del suo diritto è fatto impeditivo/estintivo del diritto fatto valere nel processo stesso. L’incompatibilità ha una dimensione trilaterale: attore – convenuto – interventore ma oggettivamente riguarda due diritti, cioè quello fatto valere dall’attore e quello fatto valere dall’interventore (mentre a proposito della causa riconvenzionale l’incompatibilità ha dimensione bilaterale: attore – convenuto).

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III. Prevalenza , è una conseguenza dell’incompatibilità e determina in che direzione opera la potenzialità impeditiva/estintiva. Sono importante due principi per risolvere il conflitto fra diritti incompatibili e tali principio sono diversi a seconda che i soggetti abbiano o no un comune dante causa, cioè che i diritti che ciascuno fa valere sono o no derivati, immediatamente o con passaggi intermedi, da un comune soggetto, dante causa di entrambi: se sono in contrasto due acquisti a titolo derivativo che hanno origine da un comune dante causa prevale quello acquistato per primo (è una soluzione tendenziale perché non sempre è così) mentre se tra gli acquisti a titolo derivato si verifica un acquisto a titolo originario a favore di qualcuno allora se i due sogg in conflitto non hanno un dante causa comune per risolvere il conflitto è indispensabile far riferimento a un acquisto a titolo originario dei soggetti o di un loro dante causa , qui è così l’ultimo acquisto a titolo originario a prevalere sui precedenti. La posizione processuale dell’interventore è autonoma da quella delle parti, cioè egli facendo valere un proprio diritto autonomo rispetto a quello delle parti può compiere tutti gli atti processuali a tutela della sua situazione sostanziale. La pronuncia nel momento in cui c’è incompatibilità fra i diritti tutela l’interventore o una delle parti. Il cumulo che deriva dall’intervento principale non è soggetto a separazione perché il terzo propone domanda nei confronti di entrambe le parti, in più la separazione non è possibile per la sussistenza del nesso di incompatibilità, in quanto separando le cause si potrebbero avere sentenze incompatibili.2) Intervento litisconsortile o adesivo autonomo, l’interventore fa valere verso alcune delle parti originarie un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto in processo medesimo. Ha gli stessi presupposti del litisconsorzio facoltativo ex art 103cpc ma si realizza in corso di causa invece che attraverso un unico atto introduttivo (stessi presupposti del litisconsorzio facoltativo iniziale dove più danneggiati dallo stesso evento dannoso potevano agire fin da subito con un unico atto introduttivo mentre se l’iniziativa è presa da uno solo gli altri possono intervenire nel processo in corso realizzando ex post la situazione di pluralità di parti). Si fa riferimento al litisconsorzio facoltativo anche per altri problemi che l’interventi pone. I poteri processuali di chi interviene sono poteri pieni in relazione alla situazione sostanziale fatta valere in via di intervento. Per gli effetti della sentenza in relazione alle varie cause bisogna dire che la pronuncia relativa a una delle domande proposte non rileva per l’altra (diverso per l’intervento 1) dove la decisione di X è rilevante per Y e viceversa). 3) Intervento adesivo dipendente, l’interventore partecipa in via adesiva al processo senza proporre una propria domanda per far valere un proprio diritto ma per sostenere le ragioni di una delle parti, quindi al fine di ottenere una sentenza favorevole a una delle parti. Il terzo interviene a sostegno delle ragioni di una delle parti perché ha un proprio interesse. Nei primi due tipi di intervento c’è un aumento dell’oggetto del processo poiché il giudice deve decidere della situazione sostanziale originariamente dedotta in giudizio e di quella dell’interventore, l’intervento principale è quindi un intervento innovativo. Nel terzo tipo di intervento invece questo non succede perché la situazione sostanziale dedotta in giudizio rimane sempre solo quella originaria e il terzo limitandosi a sostenere le ragioni di una parte non porta in giudizio una nuova situazione sostanziale, si tratta quindi di un intervento non innovativo. La situazione del terzo deve essere giuridicamente protetta in modo tale da essere condizionato dal riconoscimento che la parte, che sostiene, ottiene di una propria situazione sostanziale.L’interventore in via adesiva dipendente è colui che essendo titolare di un diritto/obbligo riceve pregiudizio dalla pronuncia emessa fra le parti del processo. Il titolare del diritto dipendente ha così interesse affinché una delle parti vinca perché se viene meno la situaz pregiudiziale in automatico viene meno anche la situazione dipendente. Quest’ultima situazione cmq non diventa oggetto del processo ma è fatta valere dal terzo solo come titolo di legittimazione ad intervenire.I poteri processuali del terzo non sono pieni dato che interviene su una situazione altrui. Infatti egli non ha i poteri che si ricollegano alla titolarità della situazione controversa ma ha poteri di allegazione e istruttori: può fare allegazioni e proporre eccezioni (anche quelle riservate alla parte), aggiungere prove a sostegno delle ragioni della parte.Profili funzionali dell’istituto… l’intervento adesivo del terzo titolare di una situazione dipendente serve se l’interventore ritiene insufficiente la difesa della parte adiuvata. Quindi l’interevento adesivo dipendente è l’azione surrogatoria applicata al processo, cioè il titolare di una situazione esposta agli effetti della sentenza altrui può surrogarsi alla parte principale se questa è inerte.Parte della dottrina sostiene che l’intervento adesivo dipendente può essere effettuato anche dal terzo che è titolare di una situazione collegata da un nesso di pregiudizialità-dipendenza istantaneo con quella oggetto del processo, qui l’interesse dell’interventore è cercare di ottenere una sentenza favorevole alla parte, di riflesso anche a lui, sottomettendosi anche agli effetti della sentenza. Quindi che è vincolata dalla pronuncia della sentenza ha interesse ad intervenire per evitare il pregiudizio di una sentenza sfavorevole alla parte adiuvata e che non è vincolato ha cmq interesse ad intervenire per cercare di ottenere una sentenza favorevole alla parte adiuvata e quindi avere un vantaggio riflesso.Per i poteri processuali dell’interventore è uguale a quanto previsto nell’intervento principale con la sola differenza che l’interventore principale oltre ai poteri sul rapp altrui ha anche poteri sul proprio rapporto mentre l’interventore adesivo dipendente questi ultimi non li ha poiché non deduce in giudizio un rapporto proprio.Per gli effetti verso l’interventore adesivo degli atti processuali compiuti dalle parti principale si rinvia alla chiamata in causa.Se è consentito al terzo di intervenire in un processo inoltrato (come nel rito ordinario) bisogna domandarsi se e quali poteri che l’interventore ha in astratto sono in concreto spendibili, questa domanda si pone perché egli interviene quando il processo si trova in uno stato avanzato del processo (questo quesito non si presenta se l’intervento del terzo è consentito solo in limine litis, come nel processo del lavoro, poiché i poteri che in astratto ha l’interventore possono senza dubbio essere usati da lui in concreto dato che la sua partecipazione al processo o avviene subito o non è più possibile). Ex l’art 268cpc l’intervento può avvenire fino all’udienza di precisazione delle conclusioni e l’interventore tranne il litisconsorte necessario pretermesso non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti alle altre parti. Bisogna distinguere tra:- Intervento innovativo, art 105 I cpc, i poteri del terzo che interviene subiscono solo in parte le preclusioni che si sono già verificate per le parti perché egli con l’intervento deduce in giudizio una propria situazione sostanziale proponendo una vera domanda. Le preclusioni colpiscono il terzo solo se lui vuole compiere atti riferibili alla situazione sostanziale dedotta in giudizio dalle parti originarie e non lo possono colpire invece se compie atti che sono riferibili alla situazione da lui dedotta in giudizio.- Intervento non innovativo, art 105 II cpc, o intervento adesivo dipendente. Il terzo in questo caso interviene con riferimento a una situazione sostanziale altrui cercando di influire sulla decisione relativa al diritto altrui, quindi i suoi atti si riferiscono necessariamente all’originario oggetto del processo. L’art 153cpc consente alla parte che dimostra di essere incorsa nelle preclusioni per causa a lei non imputabile di essere rimessa in termini. Considerando che il terzo di può rendere conto dell’opportunità del suo intervento solo quando la parte adiuvata non si difende in modo adeguato allora è chiaro che si può applicare la ratio di questo art. Quindi l’interventore adesivo dipendente che è soggetto agli effetti della sentenza può compiere atti che sono preclusi alle parti originarie, ovviamente non c’è motivo di tutelare la propria posizione prima che preclusione e decadenze si verifichino.Le condizioni necessarie per la partecipazione del terzo al processo sono il presupposto processuale per la realizzazione del cumulo soggettivo. Rispetto all’interventore devono esserci tutti i presupposti processuali relativi alla sua domanda. La presenza delle condizioni per l’intervento è una questione pregiudiziale di rito che va decisa con sentenza ex art 272cpc. Per l’accertamento di queste condizioni bisogna distinguere: caso come l’intervento ex art 105 I cpc dove il titolo di legittimazione dell’intervento coincide con la situazione sostanziale che il terzo deduce in giudizio e della quale chiede tutela, la valutazione qui avviene sulla base della domanda e il terzo si deve affermare titolare di una situaz sostanziale connessa per incomp /titolo/ogg con quella già dedotta in giudizio. E caso come l’intervento ex art 105 II cpc dove la situazione del terzo non è dedotta in giudizio ma nel processo ha il ruolo di titolo di legittimazione, se viene contestata sarà accertata autonomamente.

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Cap 36 L’INTERVENTO SU ISTANZA DI PARTE

Gli istituti regolati dagli artt 106 e 107 cpc si denominano chiamata in causa o intervento coatto (con termine coatti ci si riferisce a una partecipazione al processo su iniziativa non spontanea del terzo ma su iniziativa o di una delle parti originarie, art 106, o del giudice, art 107).Per l’intervento su istanza di parte l’art 106cpc indica due presupposti:1. Comunanza di causa, “causa comune” significa “causa connessa”, quindi si richiamano tutte le ipotesi di connessione esistenti. La genericità della terminologia è dovuta dal fatto che il legislatore non ha voluto prevedere tassativamente le ipotesi in cui si realizza la chiamata in causa del terzo. La chiamata in causa è un istituto complementare alla domanda riconvenzionale (usata solo verso chi è già parte di quel processo) per proporre domande nei confronti di chi non è parte di quel processo. Il soggetto che compie la chiamata può essere qualunque parte (attore – convenuto – terzo chiamato).Questo tipo di difesa fatta dal convenuto è chiamata in gergo forense “contestazione della legittimazione passiva”. Ma non bisogna confondere il concetto di legittimazione con quello dell’art 81cpc. Con il termine –carenza di legittimazione- si fa riferimento non al problema di decidibilità nel merito della domanda ma a un problema di accoglimento nel merito, il fenomeno deve essere così chiamato individuazione del vero obbligato. Con questo tipo di difesa il convenuto contesta la sua effettiva titolarità dell’obbligo, contesta che sul piano sostanziale non è lui l’obbligato rispetto al diritto fatto valere dall’attore e pone così un problema di fondatezza della domanda in merito. Sarebbe meglio non usare lo stesso termine per individuare due fenomeni diversi ma se si vuole cmq fare bisogna ricordarsi che ci sono due nozioni di legittimazione:-legittimazione processuale, art 81cpc, si misura sulla domanda dell’attore ed è legata a problemi di ammissibilità di una pronuncia di merito.-legittimazione sostanziale, quando il convenuto riconosce il diritto fatto valere dall’attore ma nega che questo sussista nei suoi confronti. Il convenuto afferma che sul piano del diritto sostanziale è obbligato un altro soggetto, l’accoglimento della difesa del convenuto porta a un rigetto della domanda in merito e non in rito.La prima sentenza che ha stabilito che il vero obbligato non è il primo convenuto non è vincolante rispetto al terzo preteso obbligato a causa dei limiti soggettivi di efficacia della sentenza. A questo inconveniente si ovvia rendendo vincolante per chi è indicato come il vero obbligato l’accertamento contenuto nella sentenza, questo è possibile chiamando in giudizio e quindi instaurando il contraddittorio nei suoi confronti, quello che qui avviene con la chiamata in causa.Il problema è qui l’individuazione del vero titolare. Anche se nella prassi si parla di “contestazione della legittimazione attiva” non si tratta di legittimazione in senso proprio. L’attore qualificandosi titolare del diritto è legittimato se poi però quanto lui afferma è accertato non vero e risulta non essere l’effettivo titolare del diritto allora c’è un problema di fondatezza della domanda e non di deducibilità nel merito. Anche qui l’inconveniente è dovuto dal fatto che la sentenza emessa nel precedente processo per il rispetto del principio del contraddittorio non è opponibile al terzo e l’inconveniente si elimina estendendo il contraddittorio al terzo ex art 106cpc.Chiamata non innovativa … Con la chiamata in causa il terzo assume la qualità di parte e resta vincolato dalla sentenza, non serve la proposizione di una domanda verso il terzo ma basta chiamarlo a partecipare al processo. L’oggetto del processo rimane la situazione sostanziale originaria e non si realizza il cumulo oggettivo ma il cumulo soggettivo. L’oggetto del processo è uno solo e la sentenza è opponibile al terza, si realizza così la stessa situazione dell’intervento adesivo dipendente. Nel secondo processo non si può contestare quanto stabilito con la prima sentenza. Il secondo processo è bloccato solo su una questione, cioè il convenuto del secondo processo chiamato in causa nel primo può difendersi con ogni argomento tranne sostenere che il vero obbligato è il convenuto del primo processo.La partecipazione del chiamato al processo avviene in via adesiva, cioè in relazione a una situazione sostanziale altrui (simile all’intervento adesivo dipendente). Accanto alla chiamata non innovativa può esserci una domanda da o nei confronti del terzo. La situazione sostanziale che corre fra una delle parti e il terzo può essere dedotta in giudizio e diventare oggetto di decisione se è proposta una domanda che ha per oggetto il rapporto del terzo.Chiamata innovativa … il convenuto indica il vero obbligato e l’attore invece di chiamarlo in causa solo per rendergli opponibile la sentenza lo chiama proponendo una domanda nei suoi confronti per ottenere una sentenza che ha per oggetto il rapporto sostanziale che intercorre fra l’attore e il terzo. La domanda alternativa è un modo con cui l’attore può chiedere al giudice la costituzione di una servitù ad es su un fondo o su un altro, o meglio se fin dall’inizio l’attore è incerto può proporre con un’unica citazione due domande verso entrambi i proprietari. La domanda alternativa espone l’attore a un rigetto e quindi a pagare le spese del processo a uno dei due convenuti ma gli evita l’inconveniente. Per i poteri processuali del terzo chiamato si rinvia all’intervento volontario: se la chiamata in causa è non innovativa il chiamato ha gli stessi poteri dell’interventore adesivo dipendente e invece la chiamata in causa è innovativa ha gli stessi poteri dell’interventore autonomo.Gli effetti prodotti dagli atti processuali dispositivi compiuti dalle parti principali nei confronti del partecipante in via adesiva al processo altrui, è lo stesso problema che si è presentato parlando dell’intervento adesivo dipendente. Si deve applicare il principio secondo il quale il tipo di connessione derivante dal diritto sostanziale serve per risolvere le questioni attinenti allo svolgimento del processo. La distinzione importante è fra due ipotesi:- Il partecipante in via adesiva in quanto titolare di una situaz permanentemente dipendente è esposto agli effetti degli atti di disposizione compiuti dai titolari della situazione pregiudiziale. Qui il terzo risente degli effetti di tutti gli atti processuali compiuti dalle parti principali: anche quelli di natura dispositiva , infatti gli atti dispositivi di natura sostanziale hanno verso di lui effetti mentre gli atti dispositivi di natura processuale sono per lui vincolanti.- Il partecipante in via adesiva, in quanto titolare di una situazione dipendente autonoma, non è esposto agli effetti degli atti di disposizione compiuti dai titolari della situazione pregiudiziale. Qui il terzo non può essere vincolato dagli atti di disposizione processuali delle parti principali perché non è vincolato dai loro atti di disposizione sul terreno del diritto sostanziale. Il problema emerge quando si deve stabilire cosa succede quanto un tale atto dispositivo processuale viene posto in essere, tra le varie soluzioni quella più persuasiva è quella che dà al partecipante in via adesiva una difesa da usare nel successivo processo che si svolgerà nei suoi confronti e che avrà per oggetto la sua situazione sostanziale, in quell’occasione egli potrà svincolarsi dagli effetti della sentenza allegando che essa è fondata su un atto dispositivo. Ultima questione è la posizione del terzo soggetto agli effetti della sentenza pronunciata che ha partecipato in via adesiva al processo altrui e che lamenta che l’atto dispositivo integra gli estremi del dolo e della collusione ex art 404cpc (opposizione di terzo revocatoria). Bisogna quindi trovare uno strumento di tutela per l’interventore perché non può subire lo stesso comportamento che se non fosse intervenuto lo avrebbe legittimato all’opposizione di terzo. La soluzione più opportuna è che si introduca una speciale ipotesi di inefficacia della sentenza nei suoi confronti quando egli alleghi e dimostri che l’atto dispositivo integra gli estremi del dolo o della collusione. Quindi chi ha partecipato al processo come titolare di una situazione autonoma essendo immune dagli effetti di tutti gli atti dispositivi può svincolarsi da questi dimostrando che la sentenza si è fondata su un atto dispositivo, chi invece ha partecipato come titolare di una situazione dipendente essendo immune dagli effetti dei solo atti dispositivi che integrano dolo o collusione può svincolarsi dagli effetti dimostrando che la sentenza è frutto del dolo o della collusione delle parti.2. Rapporto di garanzia, questo è l’altro tipo di chiamata in causa ex art 106cpc. È un istituto che ha origine in un fenomeno di diritto sostanziale. Un soggetto, in caso di soccombenza, ha diritto di essere tenuto, da un terzo, indenne degli effetti che su di lui la soccombenza può produrre. Il garantito può chiamare in causa il garante informandolo che nei suoi confronti è stata proposta una domanda e in caso di

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soccombenza egli vuole far ricadere nella sfera giuridica del garante le conseguenze negative. Il diritto verso il garante nasce dal riconoscimento che nella sfera giuridica del garantito esiste un obbligo o non esiste un diritto, la soccombenza del garantito è presupposto per l’esistenza dell’obbligo del garante, infatti si ha diritto di garanzia in quanto il garantito rimane soccombente nei confronti della controparte principale. Ipotesi di garanzia previste nel nostro ordinamento: Garanzia formale : fa riferimento agli acquisti a titolo derivativo dove il dante causa deve garantire l’avente cause del proprio titolo, cioè deve garantire che al momento del trasferimento egli era titolare di una situazione sostanziale che permette la nascita del diritto in capo all’avente causa. Ex art 1485cc “il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere dei diritti sulla cosa venduta deve chiamare il causa il venditore. Se non lo fa è condannato con sentenza passata in giudicato perde il diritto alla garanzia se il venditore prova che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda”. Il venditore può così difendersi in questo modo perché è rimasto terzo rispetto al precedente processo e come tale può dimostrare che il primo giudice ha deciso male. Anche qui è applicata la regola sui limiti soggettivi di efficacia della sentenza secondo cui questa difesa è esclusa per coloro che hanno partecipato al processo. Tale art prevede un’altra regola e cioè che se invece di rimanere soccombente in causa il compratore spontaneamente riconosce il diritto del terzo si verifica allora un’inversione dell’onere della prova, cioè non è più il venditore che deve dimostrare che c’erano ragioni sufficienti per respingere la prova del terzo ma è il compratore che deve dimostrare che non c’erano ragioni sufficienti per resistere alla pretesa del terzo in quanto questa era fondata e ogni difesa sarebbe stata uno spreco di tempo e denaro. Questa garanzia oltre a prevedere l’obbligo del garante di tener indenne il garantito sul piano del diritto sostanziale e il diritto dell’avente causa a riversare nel patrimonio del dante causa le conseguenze negative prevede anche il diritto del garantito di chiamare in causa il garante e un obbligo di quest’ultimo di assumere la difesa processuale del garantito. L’obbligo di garanzia qui ha un doppio contenuto: dal pdv logico il primo obiettivo è di tenere indenne il garantito dalle conseguenze pregiudizievoli che la sentenza può arrecargli sul piano sostanziale e se il garantito rimane soccombente il garante gli deve risarcire i danni. Ma dal pdv cronologico l’obbligo di assumere la difesa processuale del garantito è anteriore perché precede la sentenza, quindi prima di tutto il garante deve difendere processualmente il garantito e se la difesa funziona allora il garantito vince la causa e non subisce nessun danno ma se questa non funziona il garantito perde e nasce l’obbligo risarcitorio. Garanzia semplice : ipotesi di regresso. Es art 1298cc per le obbligazioni solidali e art 1950cc per la fideiussione. Ex art 1298cc “nei rapp interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, a meno che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di qualcuno di loro”. Nelle obbligazioni solidali quindi ogni concreditore può chiedere l’intero e ognuno dei condebitori solidali è obbligato per l’intero ma a chi riscuote o ha pagato si applica tale art. Se l’obbligazione è stata assunta nell’interesse di tutti ogni condebitore solidale è obbligato a rimborsare il condebitore che ha pagato della propria quota ma se invece l’obb è stata assunta solo nell’interesse di uno allora c’è un regresso per intero nei confronti di colui nel cui interesse è stata assunta l’obbligazione. Il regresso presuppone l’avvenuto pagamento della somma, infatti un sogg fino a quando non ha pagato non ha diritto di regresso perché ancora non ha subito la perdita patrimoniale e quindi non ha niente da chiedere al garante. L’applicazione rigida della regola porterebbe a una moltiplicazione di processi perché per poter agire in regresso bisogna rimanere soccombenti, pagare e poi proporre domanda. Per evitare questo intralcio l’ordinamento consente di agire in regresso anche in via subordinata, cioè chi è convenuto per il pagamento ma ha diritto di regresso nei confronti di terzi può proporre domanda di regresso all’interno dello stesso processo verso l’obbligato chiedendo al giudice che accerti il diritto di regresso e condanni il garante a tenere indenne il garantito per il verificarsi di un evento futuro. La sentenza che accoglie la domanda di regresso è condizionata ex lege all’adempimento del garantito verso il creditore. Il convenuto per il pagamento, per evitare che quando agirà in regresso avrà dei problemi, può chiamare in garanzia colui nei cui confronti ha regresso in due modi: con chiamata non innovativa o con chiamata innovativa proponendo una domanda relativa al rapporto di garanzia. Nel primo caso il rapp non è dedotto in giudizio e il garante partecipa al processo in via adesiva. La sentenza che accerta la sussistenza dell’obbligo o l’inesistenza del diritto del garantito gli sarà apponibile nel 2° processo che avrà per oggetto il rapp di garanzia e qui non potrà negare l’esistenza del credito principale. Mentre nel secondo caso il giudice se accoglie la domanda e così condanna il convenuto a pagare esamina anche il rapp di garanzia e può condannare il chiamato in causa in via condizionata.Ex art 1950cc, fideiussione. Il fideiussore ha diritto di regresso verso il debitore principale e il fideiussore convenuto in giudizio può chiamare in garanzia l’obbligato principale (si può avere la chiamata in garanzia solo da parte del fideiussore verso l’obbligato principale) ma non può avvenire il contrario perché l’obbligato principale non ha nessun diritto nei confronti del fideiussore che è garante del creditore e non del debitore.A questo tipo di garanzia manca un obbligo di difesa processuale in quanto l’obbligato in via di regresso non può assumere la lite al posto del convenuto e mancando tale obbligo non si può avere l’estromissione del garantito. Garanzia propria : la garanzia formale e la garanzia semplice sono definite –garanzia propria- perché discendono direttamente dalla previsione normativa. Solo a questa garanzia si applica l’art 32cpc che stabilisce che la domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo. Se la causa di garanzia è di competenza del giudice inferiore allora il giudice superiore la decide in deroga alla competenza. Se invece la causa di garanzia è di competenza del giudice superiore allora quello inferiore rimette entrambe le cause al giudice superiore. Con questo art il legislatore permette la realizzazione del processo simultaneo fra causa principale e causa di garanzia. Secondo la giuri però questo art non si applica alla garanzia impropria. Garanzia impropria : qui si può realizzare cmq il processo simultaneo solo però a condizione che le più domande di per sé appartengono alla competenza dello stesso ufficio giudiziario. Sempre la giuri permette la chiamata in causa in deroga alle regole di competenza anche per questa garanzia quando però è lo stesso legislatore a prevedere espressamente la possibilità di chiamare in causa il garante. Questa garanzia si ha quando discende non da una previsione di legge che disciplina il rapporto ma da una connessione estrinseca che nasce soprattutto da collegamenti negoziali. L’ipotesi tipica si ha nella vendita a catena dove ognuno è obbligato verso la controparte a valle (rivenditore - acquirente) ma può agire verso la controparte a monte (rivenditore - grossista). Se la diversità di competenza fra causa principale e causa di garanzia impropria impedisce di realizzare il simultaneus processus fra le due cause allora per evitare un contrasto teorico di giudicati resta come strumento la chiamata non innovativa del garante improprio, cioè una chiamata in causa del terzo al solo fine di opporgli la sentenza senza la deduzione in giudizio del rapp di garanzia, non dovendo il giudice decidere di questo rapporto non ci sono problemi di competenza. La decisione della causa di garanzia non può essere contemporanea alla decisione della causa principale perché prima si conclude la causa principale alla quale il garante partecipa in via adesiva e poi si svolge la causa di garanzia dove la prima sentenza farà stato.Per i poteri del chiamato in relazione alla causa principale egli ha poteri di allegazione e istruttori ma non poteri dispositivi (non può confessare). Per il momento in cui la chiamata avviene il terzo non subisce nessuna preclusione ai poteri processuali per l’avanzato svolgimento del giudizio, infatti ex art 271cpc l’udienza alla quale il garante è chiamato è per lui la prima udienza del processo.

Cap 37 L’INTERVENTO PER ORDINE DEL GIUDICE

L’art 107cpc: potere del giudice di ordinare l’intervento in causa di un terzo quando egli ritiene opportuno che il processo si svolga verso un soggetto al quale la causa è comune. Gli elementi rilevanti sono la comunanza di causa e la valutazione di opportunità. Tale istituto presenta due differenze con il litisconsorzio necessario ex art 102cpc:

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1. Nell’art102cpc la partecipazione del terzo è necessaria, quindi quando il giudice accerta la sussistenza dei presupposti non ha poteri valutativi ma deve ordinare l’integrazione del contraddittorio verso il litisconsorte necessario pretermesso mentre nell’art 107cpc anche quando è stata accertata la sussistenza dei presupposti il giudice deve valutare se è opportuno che il terzo partecipi.2. Diverse sono anche le conseguenze della mancata ottemperanza all’ordine del giudice, cioè l’omessa integrazione del contraddittorio ex art 102 c’è l’art 307cpc che dispone l’estinzione del processo mentre ex art 107 c’è l’art270cpc che prevede che se nessuna delle parti provvede alla citazione del terzo allora il giudice dispone con ordinanza non impugnabile la cancellazione della causa dal ruolo e qui non si ha estinzione immediata del processo ma questo può essere riassunto da ognuna della parti entro un anno alla cancellazione.L’intervento di questo istituto ha origine nel cpc del 1865 e non si tratta di un istituto derivato dalla legislazione francese ma è autoctono.L’art 17cpc pone il problema del rispetto del principio della domanda espresso nell’art 112cpc e che è un canone fondamentale dell’attività giurisdizionale poiché impone la separazione dei ruoli tra chi individua l’oggetto della decisione, quindi propone la domanda, e chi emette la decisione, quindi la sentenza. Ex art 107cpc il giudice deve decidere anche rispetto a un soggetto nei cui confronti non è stata proposta la domanda, quindi la chiamata del terzo potrebbe violare il principio in questione. Ma il legislatore con il termine –causa comune- usa un’espressione ampia proprio perché non vuole escludere dalla previsione normativa ipotesi in cui la chiamata del terzo sarebbe opportuna. Quindi la chiamata in causa iussu iudicis con il principio della domanda si concilia per il fatto che la chiamata da parte del giudice non assoggetta a decisione il rapporto che c’è tra una parte e il terzo, secondo il provvedimento del giudice il terzo partecipa al processo in via adesiva. Quindi il processo continua ad avere lo stesso oggetto determinato dalla domanda originaria e non si realizza un cumulo di cause. Proprio perché l’oggetto del processo non è modificato allora non c’è violazione del principio della domanda.Il potere discrezionale del giudice in relazione alla valutazione dell’opportunità ha parametri d’esercizio diversi a seconda del tipo di connessione che c’è fra la situazione oggetto del processo e quella che fa capo al terzo.La sola connessione che non permette la chiamata iussu iudicis è quella prevista dall’art 103cpc, cioè la connessione per oggetto o titolo poiché una partecipazione adesiva del terzo non ha senso dato che egli non è interessato all’esito del processo altrui.La chiamata in causa del terzo per ordine del giudice no è innovativa poiché la situazione dl terzo non è dedotta in giudizio, per questo essa non avviene con un atto di proposizione della domanda ma con un mero atto di impulso processuale. La parte chiama terzo solo perché il giudice lo ha imposto e da lui non pretende niente.Se con lo stesso atto di chiamata o con un atto successivo una delle parti originarie propone domanda contro il terzo o lui la propone contro una delle parti si ha un processo cumulato con due situazioni sostanziali. I poteri processuali del terzo chiamato dal giudice: se è dedotto in giudizio anche il rapp che lega una parte al terzo (è proposta domanda) il terzo avrà poteri pieni rispetto alla situaz sostanziale che gli fa capo, invece in relazione al rapporto che c’è tra le parti originarie e il terzo non ci sono per quest’ultimo i poteri di disposizione. Gli effetti verso il chiamato degli atti di disposizione delle parti originarie variano secondo la connessione che lega la situaz sostanziale del terzo e quella che c’è tre la parti originarie. Se il terzo titolare di una situaz dipendente, quindi cmq sarebbe soggetto agli effetti della sentenza anche se non chiamato, gli sono opponibili gli atti di disposizione processuale. Invece se il terzo è titolare di una situaz sostanziale connessa in modo istantaneo a quella che c’è fra parti principali da non essere vincolato agli atti compiuti dalle parti allora nemmeno gli atti di disposizione processuale lo possono vincolare. Il terzo chiamato non subisce le preclusione che colpiscono la parti originarie nel momento in cui lui è chiamato perché per lui è la prima udienza ex art 271cpc.

Cap 38 L’ESTROMISSIONE

È il fenomeno secondo il quale si ha una diminuzione del numero di parti al processo perché un soggetto perde la qualità di parte intendendosi come parte colui che è destinatario degli effetti degli atti processuali e non chi che compie tali atti. Quando si verifica l’estromissione all’estromesso non si possono più imputare gli effetti degli atti processuali, compresi gli effetti delle pronunce di rito (anche le spese non sono più imputabili). (Nel gergo forense si parla di estromissione anche in relazione alla pronuncia con quale si ha l’allontanamento di un soggetto del processo per motivi di rito o merito). Le figure di estromissione sono re:1) E. del garantito (art 108cpc): fa riferimento al fenomeno della garanzia e si caratterizza per la pretesa di essere tenuti indenni dagli effetti negativi della sentenza, inoltre nella garanzia formale c’è anche l’obbligo di difesa processuale. Quindi tale garanzia ha doppia portata, sia sostanziale che processuale. Quest’ultima è conseguenza della prima ma cronologicamente viene prima perché il garantito che chiama in giudizio il garante può chiedere di essere difeso processualmente e il garante che partecipa al processo può avere due comportamenti: negare l’esistenza del rapp di garanzia o ammettere l’esistenza di questo e dichiararsi pronto ad adempiere all’obbligo di difesa processuale. Nel momento in cui il garante accetta l’obbligo di garanzia il garantito può chiedere di essere estromesso dal processo. Il garantito però deve rinunciare a proporre in modo cumulativo la domanda di risarcimento lasciandola a un ulteriore processo, infatti il garantito deve scegliere se vuole la reintegrazione patrimoniale e quindi restare in giudizio o andarsene dal processo e posticipare la domanda di risarcimento. L’estromissione del garantito realizza un fenomeno di legittimazione straordinaria nella particolare forma “sostituzione processuale”. Il garante sta in giudizio in nome proprio ma per una situaz sostanziale altrui, cioè quella del garantito. La legittimazione straordinaria può riguardare oltre che i diritto anche gli obblighi altrui e questa è la nostra ipotesi. Con l’estromissione del garantito si verifica una species nel genus della legittimazione straordinaria che è indicata come sostituzione processuale perché diversamente dalla regola generale qui non c’è litisconsorzio necessario, cioè il titolare della situazione dedotta in giudizio, il legittimato ordinario, che ex regola generale è parte necessaria del processo nell’estromissione non lo è. Nell’estromissione non c’è litisconsorzio necessario perché è l’interessato che chiede di andarsene ed è lui che lascia le sue sorti processuali al garante, quindi il mancato rispetto del contraddittorio è giustificato proprio dal fatto che la richiesta di estromissione è avanzata dall’interessato. Con l’estromissione l’oggetto del processo rimane la situazione dedotta in giudizio con la domanda originaria e per questo se l’oggetto resta la situazione sostanziale che c’è tra garantito e controparte originaria gli effetti della sentenza di merito colpiscono i titolari della situazione originaria, questo ex art108 “ma la sentenza di merito pronunciata nel giudizio spiega i suoi effetti anche contro l’estromesso”, quindi il garantito perde la qualità di parte processuale ma non quella di parte sostanziale perché titolare della situazione sostanziale oggetto del processo. Dopo che il garantito è stato estromesso il garante è parte a tutti gli effetti del processo e è vero sostituto processuale nel senso che può compire atti processuali i cui effetti si imputano a lui e non all’estromesso, il garante può compiere tutti gli atti che avrebbe potuto compiere l’estromesso. Gli effetti di rito della sentenza e la condanna alle spese non riguardano più l’estromesso a differenza della rappresentanza dove gli effetti degli atti processuali e delle sentenze di rito si imputano al rappresentato qui spese sono pagate al o dal sostituto processuale. L’art 108 stabilisce che l’estromissione ha luogo se le altre parti non si oppongono (intendendo dolo la controparte originaria poiché il garante non ha motivo di opporsi dato che ha accettato di assumere la causa). Le ragioni dell’opposizione non possono essere gli atti processuali da compiere (perché è indifferente avere davanti controparte originaria o garante) né gli effetti della sentenza di merito in quanto questi si imputano all’estromesso ma un motivo può essere la condanna alle spese, perché questo nel caso è carico del garante e non del garantito e per questo la controparte potrebbe sostenere che il garante non gli garantisce sufficientemente il pagamento delle spese. Ex art 108cpc l’estromissione si pronuncia con ordinanza ma sul punto ci sono stati dubbi ma la giurisprudenza sostiene che il rifiuto all’estromissione deve essere motivato e il giudice deve sindacare la fondatezza di tali motivi. Quindi l’estromissione può realizzarsi anche quando qualcuno si oppone se il giudice ritiene l’opposizione infondata. Quindi bisogna fare una distinzione dato che il giudice valuta la fondatezza

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dell’opposizione, e cioè se non c’è opposizione il giudice pronuncia ordinanza perché non c’è controversia e quindi non c’è niente da decidere, invece se qualcuno si oppone ma l’opposizione è ritenuta infondata il giudice pronuncia sentenza poiché c’è un soccombente che ha diritto di far controllare la decisione in sede di impugnazione.2) E. dell’obbligato (art 109cpc): individua così i presupposti “se si contende a quale di più parti spetta una prestazione”. Qui siamo in presenza di una lite fra pretendenti dove è controversa la titolarità del diritto e non la sua esistenza. La lite può nascere:- per via di chiamata ex art 106cpc ad opera del convenuto o dell’attore che di fronte alla contestazione del convenuto chiama in causa colui che secondo il convenuto è il vero destinatario;. per via di intervento principale ad excludendum dell’altro pretendente ex art 105cpc;per intervento iussu iudicis ex art 107cpc quando il giudice chiama in causa il terzo pretendente e questo propone domanda verso le altre parti;. via di litisconsorzio facoltativo ex art 103cpc quando uno dei due pretendenti propone domanda di accertamento verso l’altro pretendente e domanda di adempimento nei confronti del comune obbligato.Dopo aver realizzato il processo a tre può essere che l’obbligato non ha interesse a partecipare al processo perché si ritiene obbligato alla prestazione. Ad egli interessa solo che sia stabilito a chi deve adempiere e per questo può dichiararsi pronto ad eseguire la prestazione a favore di chi ne ha diritto. Il giudice dispone così che il convenuto depositi la cosa o la somma dovuta e dopo lo estromette dal processo. Il convenuto in questo modo non rinuncia alla cosa/somma e l’inesistenza della rinuncia risolve il problema di cosa succede quando il processo non arriva ad una decisione di merito o il giudice ritiene che la prestazione non spetti a nessuno dei due contendenti. In questo caso la cosa/somma ritorna all’estromesso che non ha rinunciato.Anche qui l’estromissione determina la perdita della qualità di parte in senso processuale ma non essendoci rinuncia l’estromesso mantiene la qualità di parte in senso sostanziale e per questo è sempre destinatario degli effetti della sentenza di merito.La forma del provvedimento di estromissione è la sentenza o l’ordinanza a seconda che ci sia o meno controversia sull’esistenza dei presupposti dell’estromissione, infatti se qualcuno si oppone all’estromissione e il giudice ritiene infondata l’opposizione si ha sentenza mentre se nessuno si oppone si ha ordinanza.3) E. del dante causa (art 111cpc): (si rimanda alla successione nel diritto controverso).

Cap 39 LA SUCCESSIONE NEL PROCESSO

Artt 110 e 111cpc disciplinano due istituti con funzioni diverse chiamati entrambi successione processuale.Nell’art 110cpc ci sono problemi di rito mentre nell’art 111cpc, la successione a titolo particolare nel diritto controverso, ci sono problemi di merito, cioè fenomeni che riguardano la situazione sostanziale oggetto del processo e l’efficacia della sentenza nei confronti del terzo.La fattispecie dell’art 110cpc è “quando la parte viene meno per morte o per altra causa”. La morte si riferisce alle persone fisiche mentre –altra causa- si riferisce a fenomeni che riguardano soggetti diversi dalle persone fisiche. Tra i fenomeni che rilevano per quest’ultima espressione ci sono la fusione (due società si uniscono per crearne un terza nuova) e la scissione (una società si divide in due) della società, in entrambi i casi una società si estingue con fenomeno simile alla morte per persone fisiche (non rientrano invece nel nostro caso l’incorporazione art 2505-bis cc e nemmeno la liquidazione perché questa non comporta il venir meno della parte dato che non produce l’immediata estinzione della figura ma solo un diverso modo di essere i questa, in questo caso l’estinzione si avrà quando vengono meno tutti i rapporti giuridici che fanno capo all’ente in liquidazione). La fattispecie del nostro articolo non è la successione a titolo universale nel diritto controverso come sostiene parte della dottrina ma è semplicemente l’estinzione di una parte, cioè si estingue il soggetto che ha assunto la qualità di parte in senso processuale (nella rappresenta si regola il venir meno non dal rappresentante ma del rappresentato e nella legittimazione straordinaria si regola il venir meno del legittimato straordinario e non di quello ordinario. Quando una parte viene si crea l’inconveniente che il processo non può proseguire perché si tratta di fenomeno trilaterale: giudice – attore -convenuto, quindi la parte venuta meno deve essere sostituita. Come la situazione controversa si trasferisce o se questa non si trasferisce proprio non interessa all’art 110 il quale è preoccupato solo che sia un soggetto a cui imputare gli effetti degli atti processuali e della sentenza solo per i profili di rito che comprendono anche le spese processuali. L’art prevede la prosecuzione del processo verso o da parte del successore universale che per le persone fisiche è l’erede mentre nei fenomeni di fusione è la società che risulta dalla fusione e nella scissione sono le società alle quali è trasferito il patrimonio della società originaria. Il processo prosegue nei confronti di questo soggetto non perché si tratta di successore a titolo universale nel diritto controverso ma il legislatore ha fatto questa scelta perché il successore universale c’è sempre in ogni ipotesi di venir meno della parte (nella successione per causa di morte se non ci sono eredi per testamento o per legge il successore è lo stato, nell’incorporazione, fusione e scissione c’è l’ente incorporante, l’ente risultante dalla fusione o quelli che risultano dalla scissione. Quello che è importante non è chi subentra m che ci sia un soggetto che possa prendere il posto della parte venuta meno e che sia così destinataria degli effetti processuali, solo così il processo può giungere a una fine. Secondo alcune ipotesi è sbagliato individuare la fattispecie dell’art 110cpc nella successione a titolo universale nel diritto dedotto in giudizio e basta:1) nella successione a titolo universale nel diritto dedotto in giudizio dove però non c’è il venir meno della parte. Molti esempi ci sono soprattutto nella successione fra enti pubblici dove si ha lo scorporo dell’attività da certi enti e l’attribuzione delle funzioni pubbliche ad enti diversi. Il legislatore talvolta trasloca intere attività d un ente a un altro producendo una successione titolo universale ma lasciando cmq in vita l’ente originario. In questi casi si ha una successione universale nel diritto controverso ma contemporaneamente la non estinzione del soggetto che perde la titolarità dei diritti e degli obblighi. Quindi è vero che qui si ha una successione universale e per questo allora si dovrebbe applicare l’art 110cpc ma così non è perché non è venuta meno la parte come prevede la fattispecie di questo articolo e per questo si applica l’art111cpc.2) si ha il venir meno di una parte ma non c’è nessun tipo di successione . In questo caso non si può applicare ne l’art 110cpc perchè non c’è successione universale ne l’art 111cpc perché non c’è nemmeno una successione a titolo particolare nel diritto dedotto in giudizio. Quindi si deve preferire la lettura dell’art 110cpc che vede come presupposto di applicazione della norma il venir meno di una delle parti e non la successione a titolo universale nel diritto controverso. Questo serva anche per risolvere un altro problema che si ha quando c’è una pluralità di successori, spesso succede nella successione ereditaria. Nel cpc manca una norma simile all’art 12 della legge fallimentare dove i prevede che se ci sono più eredi del fallito il processo prosegue solo verso uno, cioè quello che gli altri o il giudice nominano come rappresentante di tutti. Quindi bisogna trovare una soluzione anche nel nostro caso e si fa sulla base dei principi. Se la ratio della norma fosse di far subentrare nel processo il successore universale allora dovrebbero subentrare solo coloro nei cui confronti si è trasferita la situazione controversa e questi possono anche non essere tutti gli eredi. Ma la ratio dell’art 110cpc è solo processuale quindi si deve avere la ricostituzione della necessaria bilateralità del processo e la soluzione è quella del litisconsorzio necessario fra più successori universali prescindere dal fatto che solo uno o alcuni siano succeduti nel diritto controverso. Il successore a titolo universale subentra come parte che è una posizione inscindibile ed indivisibile e tutti gli eredi devono proseguire il processo, per questo tutti devono essere avvertiti e se qualcuno non vuole partecipare non succede niente, egli sarà un litisconsorte contumace. Il successore prende il posto della parte venuta meno dando vita così alla successione in senso tecnico. Vero il successore rimangono tutti gli effetti giuridici favorevoli o meno che si sono prodotti nei confronti del dante causa e il processo riprende quindi dallo stesso punto in cui l’ha lasciato la parte quando è venuta meno. Inoltre possono essere compiuti altri atti nei confronti del successore come lui stesso può compierne verso la controparte.

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Confusione processuale: casi in cui il successore universale che dovrebbe subentrare è la controparte di hi è venuto meno. Tre ipotesi in cui si verifica:1. La controparte è l’unico successore universale e il diritto controverso gli si trasferisce.Qui abbiamo confusione sia sul piano processuale che su quello sostanziale perché non solo si confondono attore e convenuto ma Caio diventa anche debitore e creditore dello stesso credito. In questo caso il processo non prosegue perché non ha senso. Quindi sul piano sostanziale il diritto è estinto per confusione mentre su quello processuale Caio dovrebbe pagare le spese a se stesso e non ha senso.2. La controparte è l’unico successore universale ma il diritto controverso si trasferisce a titolo particolare, cioè a titolo di legato.Qui l’art 110cpc è l’unica ipotesi in cui non si può applicare perché lo scopo della norma è ricostruire la bilateralità nel processo e qui applicando la norma non succede quindi essa non funziona. La soluzione è allora che il processo prosegue nei confronti del legatario il quale è successore a titolo particolare e subentra così al posto del de cuius. Avviene quindi una sostituzione processuale diversa da quella prevista dall’articolo, le spese del processo maturate fino alla morte di Tizio sono a carico di Caio e quelle successive a carico della parte soccombente.3. La controparte è uno dei successori universali e succede pro quota nel diritto dedotto in giudizio. Anche qui questa non può assumere il doppio ruolo ma qui ci sono anche altri successori universali. Quindi la soluzione è che subentrano alla parte venuta meno subentrano gli altri successori universali e la parte originaria resta in giudizio per sé. Ma quando si ha la sentenza di merito il giudice deve tener conto dell’avvenuta successione dato che la controparte sul piano sostanziale è successore della parte originaria.Dal pdv processuale Caio non succede nel processo ma dal pdv sostanziale bisogna tener conto che Caio è subentrato nei diritti e negli obblighi del suo dante causa.

Cap 40 LA SUCCESSIONE NEL DIRITTO CONTROVERSO

Art 111cpcIC “Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare il processo prosegue fra le parti originarie”.IIC “Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”.In relazione al trasferimento a titolo particolare a causa di morte esistono due specie di legato:1. Legato di genere, il diritto nasce con l’apertura della successione a favore del legatario e nei confronti dell’erede. Questo è un diritto che non esisteva prima dell’apertura della successione Qui non ci può essere controversia prima dell’apertura della successione perché questo diritto prima non esisteva.2. Legato di specie, il diritto, oggetto del legato, esisteva già nel patrimonio del de cuius. Solo questo può dar vita una successione nel diritto controverso poiché sul bene poteva esserci già in corso quando è stata aperta la successione una controversia circa il diritto di proprietà fra de cuius e terzo. Quindi si ha una successione a titolo particolare nel diritto di proprietà controverso.Questa distinzione non va confusa con distinzione fra crediti e debiti su beni individuati, infatti non è una questione del tipo di diritti ma se il diritto esisteva primo o no del venir meno della parte. Non è quindi vero che i diritti su quantità i beni fungibili sono legati di genere e i diritti che hanno per oggetto beni individuati sono legati di specie.La ratio della norma in questione si trova facendo deroga alla regola sui limiti soggettivi di efficacia della sentenza la quale in teoria non è vincolante per chi on h preso parte al processo. Questa regola però danneggia la controparte vittoriosa in quando non può usare contro l’avente causa la precedente sentenza ottenuta contro il dante causa. Il rimedio è appunto una deroga cioè la sentenza non ha effetto rispetto ai terzi tranne per i successori nel diritto controverso, cioè chi è subentrato nel diritto o nell’obbligo dopo che esso era stato dedotto in giudizio. Questo è quanto prevede il IV C “la sentenza pronunciata fra le parti originarie spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare”, quindi questo comma introduce la deroga alla regola generale. Per l’estensione degli effetti della sentenza, la sentenza che pronuncia sulla situazione pregiudiziale è vincolante anche per l’avente causa. L’elemento della fattispecie della situazione dipendente di cui è titolare l’avente causa e che consiste nell’esistenza della situazione pregiudiziale, oggetto del primo processo, corrisponde a quanto ha stabilito il primo giudice. Quindi l’avente causa è vincolante all’esito del primo processo anche se non è stato chiamato a partecipare. Questa è un’eccezione al principio del contraddittorio in quanto l’art 111cpc prevede come deroga proprio che la sentenza è vincolante anche se l’avente causa non è stato avvertito della pendenza del processo. Questa è cmq l’unica deroga, infatti se l’avente causa, anche se non è stato avvertito, viene a conoscenza della pendenza del processo può intervenire volontariamente in causa. Ogni violazione di tale principio però deve essere sempre costituzionalmente giustificata, in questo caso o si tutela un soggetto o l’altro perché entrambi non si può, infatti il diritto d’azione della controparte originari è in contrasto con il diritto di difesa dell’avente causa e in questo conflitto di due tutele l’ordinamento sceglie di tutelare la posizione di chi è arrivato prima nel tempo, essendo che la successione avviene in corso di causa si preferisce tutelare la controparte originaria.L’efficacia della sentenza nei confronti del successore è il dato costante dell’art111cpc, infatti questo ha anche delle variabili, cioè delle sub-ipotesi che si verificano non sulla base del solo presupposto della successione in corso di causa ma quando la successione ha certe caratteristiche. A volte per queste ipotesi è sufficiente estendere gli effetti della sentenza nei confronti dell’avente causa e così applicando questa regola tutti gli inconvenienti vengono meno ma altre volte questo non basta perché ci sono ulteriori inconvenienti che devono essere risolti.L’estensione degli effetti della sentenza all’avente causa non è sufficiente quando la successione sul piano sostanziale ha la conseguenza di estinguere la situazione oggetto del processo ed è allegata e provata in causa. Sul piano del diritto sostanziale ci sono ipotesi in cui la successione produce l’estinzione del diritto o dell’obbligo del dante causa. Altre volte la successione invece non estingue il diritto dl dante causa. La stessa alternativa si può avere anche per le obbligazioni. Questa distinzione è importante perché se la successione non produce l’estinzione del diritto/obbligo oggetto del processo allora è sufficiente estendere l’efficacia della sentenza nei confronti del successore perché la controparte non subisca pregiudizio dall’avvenuta successione in corso di causa. Se invece la successione produce l’estinzione della situazione dedotta in giudizio il giudice deve rigettare la domanda in quanto accerta che al momento della precisazione delle conclusioni il diritto dell’attore o l’obbligo del convenuto non esistono e si sa che hai fini della decisione di merito è rilevante la situazione esistente al momento della precisazione delle conclusioni, questo produce degli inconvenienti. Ci sono inconvenienti anche quando la successione avviene al lato dell’attore, cioè del titolare del diritto. Ci sono così motivi di rigetto che danno più tutela di altri perché in alcuni casi la riproposizione della domanda è per sempre impedita invece in altri è possibile riproporre la domanda quando si sarà verificato il fatto che prima è stato motivo di rigetto. In quest’ultimo caso il successore nel riproporre la domanda non si mette in contrasto con quanto accertato nella sentenza. Quindi non ha senso estendere gli effetti della sentenza verso il cessionario quando è il contenuto della pronuncia a non dare tutela alla controparte originaria. bisogna quindi trovare un meccanismo per dare un certo contenuto alla pronuncia di merito poi estendere gli effetti della pronuncia di merito con quel contenuto nei confronti dell’avente causa. Quando la successione non estingue la situazione sostanziale oggetto del processo il contenuto della pronuncia tutela già la parte vittoriosa ed è sufficiente estendere gli effetti all’avente causa per ottenere il risultato voluto, cioè tutelare la controparte vittoriosa nei confronti dell’avente causa del soccombente. Invece essendo che nel nostro caso la successione incide sul contenuto della decisione la sentenza di merito ha un contenuto diverso perché c’è stata la successione e per questo si deve ricorrere al meccanismo appena sopra esposto perché altrimenti è inutile estendere gli effetti di una pronuncia che non è satisfattiva dell’interesse della controparte.

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Parte della dottrina prevalente sostiene che l’inconveniente a cui si v incontro in questa ipotesi è che la parte originaria inseguito alla successione perde la –legittimazione- e quindi se non ci fosse l’art 111cpc il processo si dovrebbe concludere con una sentenza di rigetto in rito per carenza di legittimazione. Questa impostazione non è però corretta in quanto non si deve confondere la legittimazione in questione con quella prevista dall’art 81cpc che è la legittimazione che costituisce un presupposto processuale ed è legata all’affermazione contenuta nella domanda relativa alla titolarità della situazione controversa. Quando invece si dice che l’alienante perde la legittimazione si intende questa con l’accezione dell’effettiva titolarità del diritto/obbligo dedotti in giudizio, quindi come legittimazione sostanziale. Quindi l successione che ha effetti estintivi della situazione dedotta in giudizio incide non sul rito m sul merito in quanto la domanda deve essere rigettata nel merito per questo bisogna incidere sul contenuto di merito della sentenza. Storicamente si sono usate varie tecniche per neutralizzare gli effetti che l’estinzione della situazione dedotta in giudizio produce sul contenuto di merito della sentenza.Il sistema più semplice ma troppo eccessivo sta nel prevedere la nullità o inefficacia degli atti di disposizione sul diritto controverso. Se l’atto è inefficace non produce effetti, quindi non provoca neppure l’estinzione della situazione dedotta in giudizio poiché il problema è risolto preventivamente. L’inconveniente che produce questo meccanismo è che basta la pendenza di un processo per bloccare la circolazione del diritto e magari poi l’atto di cessione era proprio di chi poi vince la causa. Così si è impedita la circolazione di un diritto per poi invece accertare che questo diritto esisteva veramente e per questo poteva circolare. Si tratta questo di un meccanismo adottato dal diritto romano. Ma è sbagliato perché è troppo cercare un rimedio sul piano sostanziale perché non il diritto sostanziale che crea problemi in quanto è compito del processo dare un certo contenuto alla sentenza di merito e non del diritto sostanziale. Quindi si deve trovare una soluzione per dove l’inconveniente si produce, cioè nel processo, e prima di tutto trovare la regola processuale con la cui applicazione si produce tale inconveniente. Per evitare l’inconveniente si può disapplicare la norma che prevede che la decisione si deve fondare sulla situazione esistente al momento della precisazione delle conclusioni e che il giudice deve tener conto di tutti i fatti che si sono verificati in corso di causa, questo nell’ipotesi in cui il fatto che si è verificato durante il processo e che produce l’estinzione della situazione sostanziale consiste in un atto di disposizione di una delle parti. Quindi quella regola non si applica nell’ipotesi di successione nel diritto controverso. Questa è la teoria dell’irrilevanza proprio perché le modifiche che sono conseguenti alla successione sono irrilevanti ai fini della decisione di merito. Altra versione dello stesso meccanismo è la retroattività della sentenza al momento della domanda, cioè la sentenza deve decidere sulla base della realtà sostanziale che c’era nel momento in cui è stata proposta la domanda senza tener conto degli effetti prodotti durante il processo dalla successione. L’irrilevanza è limitata alle modifiche prodotte dagli atti di disposizione, infatti non riguarda i fatti modificativi o estintivi della situazione dedotta in giudizio che non derivano da atti di disposizione controversi in capo a terzi. L’irrilevanza funziona bene quando è applicata alla successione dal lato del convenuto. Gli effetti della sentenza che accoglie la domanda si estendono al successore del convenuto in quanto l’accoglimento della domanda nei confronti di quest’ultimo non è ostacolata dal fatto che egli per un atto di disposizione ha visto estinto il proprio obbligo. L’attore può così ottenere tutela anche verso il successore del convenuto. Ma dal pdv della successione ne diritto il problema si complica perché la situazione sostanziale dell’avete causa è diversa dalla situazione sostanziale oggetto del processo. Fino a quando oggetto del processo è la situazione del dante non possono essere fatti valere nel processo verso il dante causa i fatti propri del rapporto con il cessionario perché essi sono irrilevanti rispetto all’oggetto del processo. L’obbligato non può adempiere poiché non c’è possibilità di transizione perché questa con il cessionario non chiude l lite con il cedente e la transazione con il cedente sul piano sostanziale non ha effetti verso il cessionario.Perché i fatti rilevanti solo verso la situazione dipendente diventino utilizzabili in causa necessario modificare l’oggetto del processo e quindi l’oggetto deve diventare il diritto dipendente del cessionario. Per far questo se deve applicare la teoria della rilevanza così chiamata proprio perché in base ad essa diventa rilevante la successione in quanto si muta l’oggetto del processo. Quindi se la controparte del dante causa fa valere atti modificativi/estintivi propri del diritto dell’avente causa allora l’oggetto diventa il diritto di questo. Il dante causa si trasforma così in sostituto processuale facendo valere il diritto dell’avete causa e non più il suo.La compressione del diritto di difesa dell’avente causa è costituzionalmente legittima perché serve per attuare il prevalente diritto di azione della controparte. La compressione del principio del contraddittorio deve rimanere però nei limiti necessari per raggiungere la finalità perseguita e non può eccedere rispetto allo scopo da raggiungere, cioè di non mettere la controparte per ottenere la tutela che le spetta, in condizione di dover inseguire gli aventi causa che si possono creare nel processo, quindi non deve avere l’onere di doverli chiamare nel processo. Quindi è costituzionalmente giustificato che la sentenza produca effetti nei confronti del successore senza che la controparte si obbligata ad instaurare il contraddittorio nei suoi confronti. Ma non si può impedire all’avente causa quando lui lo ritiene opportuno di partecipare spontaneamente al processo né gli può essere data una posizione giuridica minore, cioè quella di un oggetto che non ha pieni poteri. Il processo nell’ipotesi di successione del diritto controverso si articola in situazioni:1, Svolgimento del processo prima della successione. Questa riguarda lo svolgimento tra l’atto introduttivo e il momento in cui si ha la successione nel diritto controverso. Non ci sono differenze tra un normale processo e un processo in cui si verifica una successione prima che questa abbia luogo. Qui non si sa quindi se ci sarà o meno una successione nel diritto controverso.2. Svolgimento del processo dopo la successione sul piano sostanziale ma prima che il successore diventi parte in senso processuale (con l’intervento o la chiamata) il che non è detto che accada perché può essere che il processo arrivi in fondo ma l’avente causa non è mai intervenuto o non è stato chiamato. Qui la successione si è verificata ma non si sa ancora se il successore diventerà o no parte del processo. Per tutelare la controparte il dante causa che rimane nel processo deve avere poteri pieni, infatti può compiere e possono essere compiuti nei suoi confronti tutti gli atti del processo senza che la successione possa incidere sui poteri processuali del dante causa e della controparte. Anche quando l’alienante si trasforma in sostituto processuale egli ha poteri pieni. Riconoscere così alla parte originaria che resta in causa come sostituto processuale poteri limitati rispetto a quelli che avrebbe il successore vuol dire che l’art 111cpc non raggiunge il suo scopo. Alcune negano alla parte originaria i poteri che presuppongono la titolarità del diritto controverso ma qui c’è un equivoco perché quando si dice che certi atti processuali li può compiere solo il titolare del diritto controverso si afferma una cosa non corretta, infatti ciò che è importante non è la titolarità del diritto ma il potere di disposizione di questo. Quindi se il titolare del diritto in caso di sostituzione processuale è l’avente causa il potere di disporre spetta invece al dante causa.3. Svolgimento del processo quando il successore è diventato parte, cioè quando egli interviene o è chiamato nel processo. In questo modo egli diventa parte in senso processuale poiché in senso sostanziale lo era già come destinatario degli effetti di merito della sentenza della pronuncia. L’interevento e la chiamata non incontrano i limiti generalmente previsti così il successore può intervenire e la chiamata può essere fatta in qualunque momento. L’intervento del successore è una forma di intervento diversa rispetto a quelle dell’art 105cpc poiché non si sono i presupposti di nessuna delle forme previste nell’articolo. L’intervento del successore avviene ex primo comma dell’articolo, cioè si tratta di un intervento principale ad excludendum o adesivo autonomo. Con l’intervento o la chiamata si realizza l’ipotesi di litisconsorzio unitario, cioè dante e avente causa diventano parti necessarie nel processo e non si può separare la causa tra controparte e dante causa e quella tra controparte e successore perché ci potrebbe essere un contrasto di giudicati dato che entrambe le sentenze sarebbero efficaci verso il successore. Ma se non è possibile una separazione si può avere però un “dimagrimento” del processo, cioè l’estromissione del dante causa. Quando il successore è diventato parte in senso processuale gli atti processuali hanno la caratteristica dell’unitarietà tipica del litisconsorzio quasi necessario. La situazione di convivenza del dante e avente causa però non è destinata ad arrivare fino al giudicato perché non è impedito che il dante causa perda la sua qualità di parte in senso processuale con l’istituto tipico con il quale si perde la qualità di parte, appunto l’estromissione.

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4. Svolgimento del processo dopo che si è avuta l’estromissione del dante causa. Qui incontriamo la terza forma di estromissione dopo l’estromissione del garantito ex art 108cpc e l’estromissione dell’obbligato ex art109cpc. L’estromissione ha come presupposto processuale che la successione sia avvenuta in relazione all’intero oggetto della domanda. Se poi si ha un processo con più oggetti e la successione nel diritto controverso si verifica solo per uno degli oggetti ma per l’intera sua estensione allora l’estromissione è ancora possibile. L’estromissione è possibile se c’è il consenso delle altre parti, come anche per gli altri casi c’è un apparente problema in relazione a quanto prevede gli articoli riguardi al consenso, infatti ex art 108cpc le altre parti non si oppongo, ex art 109cpc non è previsto nulla in relazione al consenso e ex art 111cpc deve essere espresso consenso delle altre parti. Ma non c’è nessuna differenza tra le varie ipotesi poiché il rifiuto deve essere fondato su motivi meritevoli di tutela e accertati come tali dal giudice. il rifiuto può essere motivato dal fatto che con l’estromissione il dante causa perde la qualità di parte processuale e quindi non è più nemmeno destinatario degli effetti di rito delle pronunce tra cui la condanna alle spese. Quindi la controparte parte può opporsi rifiutando il consenso se teme di non essere sufficientemente garantita dal patrimonio del successore. L’estromissione è pronunciata con ordinanza se nessuno si oppone mentre se c’è opposizione essa è pronunciata con sentenza indipendentemente dal fatto che il giudice ritiene l’opposizione fondata o al contrario ritiene che i motivi non sono meritevoli di tutela. Dopo essersi verificata l’estromissione si torna alla situazione normale, cioè il processo si svolge come un normale processo fra attore e convenuto. Nel processo non c’è più tracce della successione e l’art 111cpc non ha più alcun ruolo. Così gli effetti della sentenza si imputano tutti al successore, quindi sia quelli di rito perché è parte processuale sia quelli di merito è parte in senso sostanziale essendo titolare del diritto/obbligo dedotti in giudizio.La tutela dell’avente causa non è limitata alla possibilità di prender parte al processo, infatti l’ordinamento prevede a favore dell’avente causa un’altra tutela, la deroga all’art 24Cost è limitata solo alla non necessità dell’instaurazione del contraddittorio verso il successore mentre per il resto egli ha una posizione processuale che è in tutto parificata a quella della parte originaria. L’art 111 IV c cpc riconosce al successore il potere di usare i mezzi di impugnazione propri delle parti, in relazione a questo dottrina e giurisprudenza sono d’accordo nel ritenere che questo potere è utilizzabile dal successore anche se non è intervenuto o non è stato chiamato nel processo. Quindi l’articolo introduce una deroga al principio secondo cui i mezzi di impugnazione propri della parte (reg di satisfattiva, ricorso per cass e revocazione) non sono utilizzabili da chi non è stato parte in senso processuale nella fase terminata con la sentenza che si impugna. Invece la deroga prevede che chi non è stato parte in senso processuale può ricorrere ai mezzi di impugnazione del terzo (opposizione ex art 404cpc). Quindi il successore nel diritto controverso può usare i mezzi di impugnazione propri delle parti (appello e ricorso in cassazione) non solo quando è diventato parte ma anche quando non lo è diventato.

Cap 41 GLI EFFETTI DELLA SENTENZA

L’ultimo comma dell’art 111cpc è il nucleo della norma in quanto questa disposizione trova sempre applicazione, si tratta dell’ efficacia della sentenza nei confronti del successore . Testualmente l’articolo dispone che la sentenza pronunciata contro il dante causa (alienante o successore universale) fa valere sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare. Con il termine “contro” non vuol dire che la sentenza ha effetti verso il successore solo se a lui sfavorevole. Infatti il legislatore intende che la sentenza favorevole anche se non ci fosse l’art 111cpc è comunque utilizzabile dal successore. Infatti la sentenza favorevole al dante causa è sempre utilizzabile dal successore per ragioni di diritto sostanziale. Quindi la sentenza favorevole al dante causa è utilizzabile dall’avente causa non solo nelle ipotesi di successione nel diritto controverso ma anche quando la successione ha luogo prima della proposizione della domanda (quindi anche per ipotesi in cui non si applica l’art111cpc). Quando il successore nel diritto controverso non ha assunto la qualità di parte in senso processuale si ha un problema che non si riscontra quando il successore è intervenuto o è stato chiamato nel processo, nell’ultimo caso la sentenza imputa i suoi effetti al successore in via immediata mentre nel primo caso l’efficacia della sentenza verso il successore si verifica a condizione che ci sia la fattispecie prevista dalla norma. In tutte le ipotesi di efficacia della sentenza nei confronti di terzi (soggetti che non sono stati parte in senso formale del processo dove il provvedimento si è formato) esiste una fattispecie cui è subordinato il prodursi dell’efficacia . Nell’art 111cpc la fattispecie, grazie alla quale gli effetti della sentenza si estendono ad un terzo, è che ci sia stata la successione nel diritto controverso. Nel caso in cui la fattispecie sia contestata si deve procedere all’accertamento della stessa nel contraddittorio di chi si afferma colpito dagli effetti del provvedimento.Quanto detto vale sia quando nella sentenza non si parla della successione nel diritto controverso sia quando nella sentenza si accerta che una successione nel diritto controverso c’è stata sempre che il successore non sia diventato parte. Se invece il successore ha partecipato al processo le questioni rilevanti per la successione sono discusse nel suo contraddittorio quindi la sentenza fa stato nei suoi confronti non ex art 111cpc ma in quanto egli come parte p destinatario individuato di questi effetti. Affermare che la sentenza è vincolante perché essa stessa accerta che si è verificata una successione nel diritto controverso è una petizione di principio. La condizione cui è subordinata l’efficacia di ogni atto è estranea alla portata precettiva dell’atto, cioè è esterna e pregiudiziale all’efficacia dell’atto in questione. Se un atto produce certi effetti a certe condizioni l’atto non può auto attestare l’esistenza di queste condizioni perché esse sono pregiudiziali rispetto all’effetto. Quindi se anche la sentenza accerta la sussistenza di una successione nel diritto controverso, l’effettiva sussistenza della successione non è accertata con efficacia vincolante per il successore che può contestare che sia vero ciò che è sostenuto nella sentenza. Quindi il terzo che non è diventato parte può sempre contestare gli effetti della sentenza sostenendo che non ci sono i presupposti di questa efficacia, anche quando essi sonno accertati nella sentenza stessa.L’art 111cpc prevede delle eccezioni all’efficacia della sentenza verso il successore richiamando le norme sull’acquisto in buona fede dei mobili (artt 1153 e 1155cc) e le norme sulla trascrizione (artt 2652-2653cc per i beni immobili e gli artt 2690-2691cc per i beni mobili registrati –analizzeremo i primi artt poiché la disciplina per i beni mobili reg è simile a quella degli immobili). L’art 1153cc prevede una fattispecie d’acquisto a titolo originario composta dall’atto astrattamente idoneo al trasferimento del diritto e dal conseguimento del possesso in buona fede. L’art 1155cc è simili e applica in tema di doppia alienazione mobiliare lo stesso principio. La questione non riguarda il tipo di beni ma il tipo di acquisto, cioè l’acquisto a titolo originario. In questo caso la sentenza è inefficace verso il successore non secondo i limiti soggettivi ma in virtù dei limiti oggettivi di efficacia della sentenza, la quale ha un oggetto che non è rilevante nella successiva controversia fra terzo e parte vittoriosa. La sentenza non è efficace nei confronti del terzo perché egli è un terzo indifferente. Alle stesse conclusioni si arriva per tutte le ipotesi di acquisto a titolo originario. Nel caso di acquisto a titolo originario l’inefficacia della sentenza deriva dall’irrilevanza della pronuncia verso il successore, cioè dal fatto che il successore per tutelare il suo diritto non deve contrastare la sentenza, la quale non ha effetto per lui secondo i limiti oggettivi.

Cap 42 LA TRASCRIZIONE DELLE DOMANDE GIUDIZIALI

La trascrizione riguarda gli atti dell’art 2643cc quando hanno per oggetto beni immobili. La funzione principale della trascrizione si trova nell’art 2644cc, cioè risolvere il conflitto tra due aventi causa dello stesso dante causa sulla base della priorità della trascrizione e non su quella dell’atto di acquisto, tra i due aventi causa prevale quindi chi ha trascritto per primo. Nel nostro sistema alla trascrizione non sono riconosciute ulteriori funzioni e con essa non si riconoscono diritti maggiori di quelli che sono già derivati dallo stesso atto che è stato trascritto. Chi acquista (acquisto fatto a non domino) da chi non è proprietario anche se trascrive l’atto continua ad aver acquistato da chi non è

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proprietario poiché la trascrizione in questo caso non dà luogo ad un acquisto efficace ma è solo uno degli elementi dell’usucapione abbreviata perché se c’è trascrizione e buona fede il tempo che serve per usucapire si dimezza, quindi non è sufficiente trascrivere un atto ma è necessario che l’acquisto sia effettuato da chi era effettivamente titolare del diritto.Collegamento tra artt 2652-2653cc e art 111cpc. Ci sono due problemi perché la trascrizione ha sempre un effetto processuale ma a certe condizioni ha anche un effetto sostanziale, quindi l’ord usa lo stesso strumento, ovvero la trascrizione, per raggiungere risultati diversi. L’effetto processuale che c’è sempre è quando la domanda è soggetta a trascrizione, la litispendenza, ai fini dell’applicazione dell’art 111cpc, si determina non secondo i criteri ordinari ma sulla base della trascrizione della domanda. Quando l’atto di acquisto del terzo è soggetto a trascrizione o ad iscrizione (l’iscrizione serve perché l’effetto si produca anche inter partes mentre la trascrizione serve solo per rendere opponibile l’atto ai terzi) e la domanda è tra quelle degli artt 2652-2653cc per sapere se l’avente causa ha acquistato prima o dopo la litispendenza, e quindi se è immune o vincolato agli effetti della sentenza non sono rilevanti i due momenti che sono determinanti secondo le regole originarie (proposizione della domanda e acquisto con atto di data certa) ma sono determinanti invece la trascrizione della domanda e la trascrizione dell’atto di acquisto, quindi si considera l’avente causa un successore nel diritto controverso se la trascrizione del suo atto d’acquisto è posteriore alla trascrizione della domanda e l’avente causa si considera un successore ante litem, quindi svincolato dagli effetti della sentenza, quando ha trascritto il suo atto d’acquisto prima della trascrizione della domanda. Secondo le norme della trascrizione quindi non è determinante il momento in cui è compiuto l’atto ma il momento in cui esso è trascritto. La trascrizione delle domande è sul piano processuale un’ulteriore applicazione del principio su cui si fonda l’art 2644cc e risolve fra un acquisto e la proposizione di una domanda. L’istituto risolve quindi il conflitto processuale tra chi propone una domanda contro un soggetto e chi acquista da questo stesso soggetto. Se non ci fosse la trascrizione né chi acquista né chi propone saprebbero se l’acquisto o la domanda sono opponibili ai terzi. Con la trascrizione si risolve un notevole inconveniente: infatti se questa non ci fosse chi propone una domanda non saprebbe se c’è un avente causa della controparte con titolo anteriore all’inizio del processo e chi acquista non saprebbe se al momento dell’acquisto c’è un processo pendente contro il suo dante causa, invece con la trascrizione l’acquirente prima di stipulare il contratto può controllare i registri immobiliari e se non si sono domande trascritte contro il dante causa può stipulare l’atto con sicurezza e nessuna gli potrà mai opporre la sentenza. Anche per l’attore la trascrizione è sinonimo di sicurezza perché quando egli trascrive la domanda e trova che non si cono trascrizioni di acquisto contro il convenuto è tranquillo perché sa che qualunque cosa sia successa prima dell’inizio del processo la sentenza sarà vincolante verso gli eventuali aventi causa del convenuto, quindi l’attore non corre il rischio dopo aver vinto la causa che qualcuno avanzi con un atto di data anteriore alla sua domanda e lo obblighi a rifare un altro processo. Quando detto per l’attore vale per ogni altro soggetto che propone una domanda (es. convenuto). Quindi gli artt 2652-2653cc permettono di stabilire la priorità tra domanda e acquisto in modo certo. Quello analizzato è un effetto processuale della domanda giudiziale perché serve a determinare l’applicazione dell’art111cpc mentre sul piano sostanziale non ha nessuna efficacia. La trascrizione non muta la situazione di diritto sostanziale in quanto se si è acquistato a non domino la trascrizione non dà niente di più di quello che si ha sul piano del diritto sostanziale. Però la trascrizione garantisce il diritto di difesa di chi ha trascritto, infatti eventuali sentenze pronunciate contro il suo dante causa non gli sono opponibili. Questo effetto costante della trascrizione delle domande è per alcune previste dagli artt 2652 e 2653cc anche l’unico effetto possibile. Quindi chi trascrive l’atto di acquisto prima della trascrizione della domanda non è un successore nel diritto controverso quindi la sentenza non ha effetti nei suoi confronti invece chi trascrive il proprio atto di acquisto dopo la trascrizione della domanda è un successore nel diritto controverso e per questo la sentenza ha effetti nei suoi confronti.Accanto a questo effetto l’ordinamento prevede un altro effetto legato alla trascrizione delle domande giudiziali, un effetto sostanziale, ciò avviene per le domande dell’art 2652cc. Le sentenze che accolgono queste domande non pregiudicano i diritti acquisiti dai terzi in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione (diff terminologica: art 2653cc diritto acquistati in base ad un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda e la sentenza ha effetto verso chi trascrive dopo. Art 2652cc le sentenze non pregiudicano i diritti di chi ha trascritto prima della trascrizione della domanda). Se il trasferimento da Caio e Sempronio è anteriore o posteriore alla domanda di Tizio contro Caio: se l’acquisto di S è anteriore alla proposizione della domanda di nullità etc di T verso C allora S è un successore ante litem e per questo la sentenza pronunciata tra T e C non è efficace nei suoi confronti, quindi essa non è vincolante per S ed egli nel successivo giudizio che lo vede convenuto può allegare e dimostrare che il contratto non è nullo etc. Il diritto sostanziale vede così Tizio prevale nei confronti di Sempronio. Tizio deve proporre una nuova domanda verso S e dimostrare ex novo che il contratto fra lui e C è nullo, annullabile o risolubile, quindi deve dimostrare quanto già dimostrato nel primo processo poiché appunto non può usare contro S gli effetti della rima sentenza. Ma e la nullità etc del contratto fra T e C è dimostrata nel contraddittorio di S allora la posizione di quest’ultimo sul piano sostanziale cede alla pretesa di Tizio. In questa situazione non c’è niente di diverso fra le domanda di nullità etc e le domanda di rivendicazione o accertamento della proprietà. L’accertamento della proprietà di T verso C non è vincolante verso S, subacquirente con titolo trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda. Se poi però il titolo ‘acquisto di Sempronio è successivo alla proposizione della domanda di nullità etc proposta da Tizio contro Caio allora S deve considerarsi successore nel diritto controverso e per questo soggetto anche agli effetti della sentenza. L’applicazione dei due brocardi pone però dei problemi in relazione alla circolazione dei diritti. Infatti quando Sempronio acquista e trascrive si garantisce solo che non sarà pronunciata un sentenza efficace nei suoi confronti senza che sia chiamato a partecipare al processo ma non si garantisce della resistenza del suo acquisto perché se veramente l’atto di acquisto di Caio è nullo etc allora Sempronio anche se con il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa perde la causa e il bene gli viene portato via. Tizio deve cmq dimostrare la sussistenza del vizio nel contraddittorio di S ma se il vizio sussiste Sempronio perde il bene. Per evitare questo inconveniente il legislatore ha introdotto deroghe ai due principi e ha svincolato, in certe condizioni e in certi limiti, l’acquisto di Sempronio dalla sorte dell’acquisto del suo ante causa. La mitigazione dei due brocardi è così avvenuta: se il subacquisto è trascritto dopo la trascrizione della domanda questo non dà nessuna tutela al subacquirente, egli diventa successore nel diritto controverso e quindi sul piano sostanziale si applicano i due principi considerati prima e sul piano processuale l’accertamento della nullità, annullamento, risoluzione è vincolante per Sempronio. Il legislatore è intervenuto arrivando alla salvezza sul piano sostanziale nell’ipotesi in cui l trascrizione del subacquisto i Sempronio sia anteriore alla trascrizione della domanda da Tizio verso Caio. Qui l’eventuale sentenza tra Te C non è vincolante per S, oltre all’inefficacia processuale il legislatore ha disposto che a certe condizioni ex art 2652cc il subacquirente diventa insensibile sul piano sostanziale nel momento in cui viene meno il titolo del suo dante causa. Risoluzione… La fattispecie più semplice è quella del n1 dell’art 2652cc, cioè solo se Sempronio ha trascritto il suo atto di acquisto da Caio prima della trascrizione della domanda di Tizio allora egli rimane immune dalla risoluzione, rescissione e da tutte le ipotesi previste nell’articolo. Così Tizio, che non può agire contro Sempronio proprio perché quest’ultimo è tutelato, può avere solo la tutela risarcitoria verso Caio e Sempronio quindi non perde il bene. Bisogna ricordare che a questo proposito non serve la buona fede di Sempronio. Revocatoria…art 2901cc. N5 dell’art 2652cc questa norma tratta dell’azione revocatoria “la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda”. Quindi qua non è sufficiente l’anteriorità della trascrizione ma serve anche la buona fede e il titolo oneroso. Se non ci sono questi presupposti allora per Tizio può dimostrar ex novo verso il subacquirente i presupposti dell’azione revocatoria. Ovviamente Tizio non può usare la prima sentenza perché questa non ha effetti verso Sempronio m si riapplica il primo brocardo: cioè se Tizio dimostra di nuovo verso il subacquirente che ci sono i presupposti per la revoca dell’atto di vendita di Caio allora il subacquirente resta soccombente e deve restituire il bene. Nullità… il n6 dell’art 2652cc tratta delle domande dirette a fra dichiarare la nullità di un contratto “se la domanda è trascritta dopo 5 anni dalla data di trascrizione dell’atto impugnato la sentenza che lo accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda”.

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Quindi qui per la salvezza del subacquirente servono la buona fede e il decorso di 5 anni tra la trascrizione dell’atto nullo e la trascrizione della domanda di nullità. Quindi l verificarsi di queste condizioni la nullità del contratto fra Tizio e Caio non è opponibile sul piano sostanziale a Sempronio, e quindi se anche Tizio riuscisse a dimostrare nel contraddittorio di Sempronio che l’atto T-C è nullo perderebbe cmq la causa poiché Sempronio allegherebbe che essendosi verificata una fattispecie di salvezza egli è cmq esonerato dall’applicazione del secondo brocardo. Le altre ipotesi dell’art 2652cc sono simili a queste viste poiché l’ordinamento presuppone sempre l’anteriorità della trascrizione del titolo di acquisto rispetto alla trascrizione della domanda, poi utilizzando in modo vario gli altri tre elementi, cioè buona fede – titolo oneroso – decorso del tempo, l’ordinamento introduce delle fattispecie di salvezza sul piano del diritto sostanziale disapplicando così i due principi.La salvezza prevista nell’articolo in questione non rappresenta un acquisto a titolo originario perché riconosce a Sempronio un titolo opponibile a Tizio ma non anche ad un eventuale estraneo (cioè chi non è coinvolto nelle vicende negoziali e nelle loro trascrizioni) che sia il vero proprietario del bene. Quindi questa fattispecie è efficace solo fra Tizio e Sempronio e non dà a quest’ultimo un titolo opponibile erga omnes proprio perché non è un acquisto a titolo originario. Mitigando l’applicazione dei due principi l’ordinamento inverte il rischio dell’insolvenza di Caio facendolo ricadere su Tizio e non su Sempronio poiché nel momento in cui le vicende circa il titolo Tizio – Caio non sono opponibili a Sempronio, Tizio non ottiene la restituzione del bene ma ha diritto di avere l’equivalente pecuniario da Caio. Fino a quando quest’ultimo è in grado di rispondere con il proprio patrimonio dell’obbligazione risarcitoria dal pdv economico non cambia nulla poiché avere il bene o il suo controvalore è la stessa cosa. La situazione cambia quando Caio è insolvente poiché in questo caso la salvezza a favore i Sempronio scarica su Tizio il danno economico di non avere né il bene né il suo equivalente economico. Tutto questo problema non si presenta quando le vicende Tizio – Caio sono opponibili a Sempronio in quanto è quest’ultimo che perde il bene. L’art 2652cc i generale ripete le norme che sono già previste per la vicende contrattale semplicemente adattandole alla circolazione dei beni immobili. Invece a volte le norme sulla trascrizione introducono fattispecie di salvezza originali perché non previste dalle norme generali.La trascrizione della domanda produce effetti fino a quando c’è litispendenza, cioè fino a quando on si ha il passaggio in giudicato formale della sentenza che decide della domanda trascritta ex art 2668cc secondo il quale la cancellazione della domanda deve avvenire dopo un provvedimento passato in giudicato. Ma questa regola crea degli inconvenienti quando il processo viene meno senza una pronuncia formale di estinzione, allora per evitare questi problemi l’art 2668-bis cc prevede che la trascrizione della domanda ha effetto per 20n dalla sua data e prima che scada questo periodo se il processo è ancora in corso la trascrizione deve essere rinnovata semplicemente facendosi vivi con la conservatoria e manifestando la volontà di tenere viva la trascrizione. Il conservatore rinnova la trascrizione sulla base della semplice presentazione della trascrizione precedente.

Cap 43 LA NULLITA’ DEGLI ATTI PROCESSUALI

Premesse:- procedimento: è un modo speciale di combinarsi degli atti e si caratterizza perché gli effetti della sequenza sono prodotti dall’atto finale e al tempo stesso gli atti sono tra loro in interazione, cioè ogni atto è presupposto dell’atto successivo e nel mentre presuppone l’atto precedente. La doppia rilevanza di presupposto e presupponente di ogni atto trova eccezion solo per l’atto iniziale e quello finale perché l’atto iniziale è presupposto di quelli successivi ma non ne presuppone altri antecedenti mentre l’atto finale presuppone tutti gli atti antecedenti e non forma presupposto di atti successivi (è come una catena di anelli). Non sempre il procedimento è una sequenza unica perchè a volte si formano sub-sequenze di atti, cioè sub-procedimenti all’interno del procedimento maggiore.- processo: è una sottospecie del procedimento caratterizzata dal principio del contraddittorio (che deve trovare attuazione nell’attività giurisdizionale) e dalla parità delle armi, cioè ogni soggetto ha poteri speculari rispetto all’altro e colui che emette l’atto finale, cioè quello produttivo degli effetti, deve tener conto delle attività compiute nel processo. L’attività giurisdizionale si struttura necessariamente come processo ex art 24Cost.- forma e volontà: ogni atto processuale secondo la teoria generale ha alcuni elementi: un soggetto che li compie, un contenuto, un volontà e una forma (cioè la manifestazione all’esterno e quindi non si intende la forma scritta o orale). Importanti sono la forma e la volontà perché l’atto processuale è normalmente un atto giuridico in senso stretto, cioè non ha le caratteristiche del negozio. Vuol dire che la volontà è la semplice volontarietà del comportamento e non la volontà dei fini, cioè non la volontà degli scopi. Inoltre i vizi della volontà, dolo –errore –violenza, che rilevano nel negozio sono invece irrilevanti per l’atto processuale. Nel diritto processuale l’indagine sulla volontarietà è semplificata dal fatto che questo accertamento è surrogato dalla forma. Se l’atto presenta tutti i requisiti formali descritti dalla norma se presume che si stato compiuto in modo consapevole. Quindi il rispetto della forma surroga l’indagine sulla volontà anche se niente esclude che in ceri casi eccezionalmente si può dimostrare che un atto è stato compiuto senza la volontà di compiere un atto processuale.Per quanto riguarda la nullità degli atti si distinguono due categorie a cui viene applicata una disciplina diversa:- nullità formale , cioè la nullità dei singoli atti del processo. L’atto è valido quando è integrata la fattispecie prevista dalla legge, cioè quando la fattispecie astratta prevista ex lege coincide con quella concreta, costituita dal concreto comportamento. Questo incide sull’efficacia dell’atto perchè l’atto valido è anche un atto efficace, cioè è un atto a cui conseguono determinati effetti. L’art 256cpc prevede una nozione di nullità e di invalidità diversa da quella di teoria generale infatti secondo questo art non sono nulli gli atti che non sono conformi al modello normativo come la teoria generale ma l’invalidità dell’atto si ha quando la nullità è espressamente prevista ex lege (quindi quando carenza o vizio sono previsti dalla legge come motivo i nullità) e quando l’atto manca dei requisiti per il raggiungimento dello scopo. C’è quindi una divergenza tra nozione di invalidità in sede di teoria generale e di quella in sede di diritto positivo, secondo la prima ogni non coincidenza tra fattispecie astratta e quella concreta è motivo di invalidità dell’atto mentre secondo il secondo la non coincidenza determina la nullità dell’atto solo alle condizioni sopra viste. Essendo diversa la nozione di invalidità del diritto positivo da quella della teoria generale bisogna rivedere anche i rapporti tra validità ed efficacia che per la teoria generale coincidono (un atto completo è valido quindi efficace e uno incompleto è invalido quindi inefficace). Tale combinazione permette di individuare 4 soluzioni:1. Ipotesi fisiologica: l’atto è valido ed efficace. Previsione normativa e regola di teoria generale coincidono poiché la fattispecie è completa, l’atto è valido e produce i suoi effetti;2. Combina la validità e l’inefficacia: l’atto è valido ma inefficace. L’inefficacia ovviamente è temporanea dato che non può esserci un atto valido ma che permanentemente è inidoneo a produrre effetti;3. L’atto è invalido ma efficace: tale combinazione deve prevedere che l’atto invalido ma efficace possa essere eliminato, quindi che ci sia la possibilità di un’impugnativa dell’atto. Non ha senso prevedere un atto invalido ma al contempo efficace ma si può invece prevedere che l’atto invalido produca momentaneamente i suoi effetti e nello stesso momento c’è la possibilità di usare uno strumento idoneo a farne accertare l’invalidità e a caducarne gli effetti. Questa combinazione si applica alla nullità del diritto processuale, questa nel diritto privato si chiama annullabilità e nel diritto processuale si chiama nullità. L’invalidità dell’atto vuol dire che esso anche se invalido produce gli effetti ma può essere impugnato ed eliminato con una pronuncia che ha carattere costitutivo perché toglie effetti che per il momento si stanno producendo. Quando si definisce un atto processuale nullo si tratta dello stesso fenomeno che nel diritto privato si chiama annullabilità e nel diritto amministrativo illegittimità. A questo fenomeno (cioè l’atto produce i suoi effetti che però possono essere rimossi) si riferisce l’art 156cpc affermando che non può essere pronunciata la nullità e parlando di “pronuncia” la norma per forza si riferisce a un atto invalido ma efficace

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poiché la pronuncia della nullità è lo strumento per eliminare gli effetti. Restano fuori dalla previsione di questo articolo i vizi extraformali e l’inesistenza dell’atto (di cui si occupa solo l’art 161cpc con riferimento alla sentenza) dato che esso e i ss articoli si occupano solo dei vizi formali e della nullità dell’atto. La nullità si ha, come visto sopra, quando c’è un’espressa previsione di legge e quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. Primo comma dell’art 156cpc: principio di tassatività delle nullità, cioè l’atto è nullo quando lo prevede la legge. Secondo comma: anche dove la nullità non sia prevista ex lege può cmq essere pronunciata quando l’atto non ha i requisiti formali indispensabili per raggiungere lo scopo e il terzo comma: corregge in senso restrittivo l’applicazione del principio al primo comma, cioè la nullità no può essere pronunciata anche se prevista dal primo comma se l’atto ha raggiunto il suo scopo. Quindi c’è stata una sanatoria della nullità, ovvero si è formata una fattispecie parallela dove all’elemento mancante o viziato dell’atto è sostituito l’elemento che produce la sanatoria e il raggiungimento dello scopo sostituisce l’elemento dell’atto il cui vizio o la cui carenza è prevista ex lege a pena di nullità ma lo scopo a cui si riferisce questo articolo è diverso dall’effetto giuridico che produce l’atto. Quindi a sanatoria per il raggiungimento dello scopo deve essere consiste nel verificarsi di un evento materiale e non di un effetto giuridico. Quindi il legislatore prevede la presenza di un certo requisito nell’atto a pena di nullità perché vuole rendere possibile il verificarsi di un evento. Questo si verifica cmq nonostante l’atto sia carente di quel squisito e così l’atto è sanato. In questo modo si ha la convalidazione oggettiva dell’atto nullo. Stesso ragionamento per secondo comma dove legislatore ha previsto un certo requisito non a pena di nullità ma l’atto manca di questo requisito e non viene ad esistenza u fatto necessario per lo svolgimento del processo, quindi l’atto è nullo anche se il legislatore non prevede e pena di nullità la presenza di quel requisito che è nel nostro caso carente o viziato. Quindi bisogna individuare di volta in volta lo scopo dell’atto e vedere se l’atto può cmq raggiungere lo scopo nonostante la carenza di quell’elemento che non è previsto a pena di nullità e in caso affermativo l’atto compiuto è nullo anche se manca la previsione della legge (se l’elemento è previsto a pena di nullità allora siamo nella previsione del primo comma). L’art 156cpc considera la nullità sotto il profilo statico mentre l’art 157cpc si occupa della nullità sotto il profilo dinamico, cioè come, da parte di chi, fino a quando e con quali effetti si può introdurre nel processo la questione di nullità di un atto. Lo strumento con cui in un processo di cognizione si introduce la questione della nullità si definisce eccezione che non deve essere confusa con l’eccezione di merito (cioè allegazione dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi), infatti qui si tratta dell’eccezione processuale, cioè di un’attività di rito che è lo strumento con il quale si solleva la questione della nullità e si obbliga il giudice a tener conto di ciò, infatti una volta che l’eccezione è stata proposta il giudice prima della pronuncia di merito deve affrontare la questione circa la nullità dell’atto. L’art 157cpc considera anche i poteri del giudice circa la nullità e comprende una regola che è rovesciata, il contrario, rispetto a quella che si ricava dall’art 112cpc. In quest’ultimo articolo si tratta delle eccezioni merito, qui il giudice può rilevare d’ufficio tutte le eccezioni tranne quelle che sono espressamente riservate alla parte, quindi dove il legislatore non si esprime il giudice può intervenire d’ufficio per porre quel fatto impeditivo – modificativo – estintivo a fondamento della sua decisione. Mentre nell’art 157cpc la regola inversa, cioè il giudice non può pronunciare d’ufficio la nullità d’ufficio, ma può farlo solo quando la legge gli conferisce espressamente questo potere. Quando la nullità non viene rilevata d’ufficio ci sono meccanismi precisi per rilevarla:

1) Può essere rilevata solo dalla parte nel cui interesse è stabilito il requisito dell’atto viziato;2) La parte interessata deve rilevare la nullità nel primo atto successivo al momento in cui è venuta a conoscenza dell’atto nullo, per questo la reazione è immediata;3) La nullità non può mai essere rilevata dalla parte che vi ha dato causa e la nullità è sanata da una rinuncia anche tacita della parte interessata.Queste regole riguardano solo la nullità relativa e non quella assoluta che invece è in genere rilevabile senza termini di scadenza e non ha effetti l’eventuale rinuncia della parte in quanto è il giudice che deve decidere e per questo non sono rilevanti i comportamenti delle parti.L’art 159cpc disciplina l’estensione della nullità e stabilisce che la nullità di un atto non comporta la nullità degli atti precedenti né di quelli successivi che sono ad esso indipendenti. La nullità dell’atto introduttivo per forza si ripercuote invece su tutti gli atti a valle, la nullità nell’assunzione di un testimone non impedisce che l’assunzione degli altri sia a tutti gli effetti valida ed efficace. Quindi ex art 159cpc la nullità degli atti del processo influisce sull’atto finale perché tutti gli atti del processo sono compiuti in funzione di quest’ultimo. Per questo sulla sentenza si ripercuotono e dalla sentenza sono assorbite tutte le nullità che si sono avute durante il processo se ovviamente si tratta di nullità insanate. Ciò da vita al fenomeno di nullità derivata della sentenza che è nulla perché dipendente da atti nulli. Ci sono due ipotesi dove un processo in cui c’è un atto nullo non produce però una sentenza nulla:1°. Quando il giudice riconosce che l’atto è nullo e quindi non ne tiene conto nella decisione;2°. Quando di fatto l’atto nullo on è utilizzato dal giudice anche se egli non ne dichiara espressamente la nullitàQuindi l’atto finale è svincolato dalla nullità quando il giudice consapevolmente o no non usa l‘atto nullo per emettere il provvedimento finale.Altro principio importante della nullità della sentenza si trova nell’art 161cpc, il principio della conversione della nullità della sentenza in motivi di impugnazione. La nullità della sentenza deve essere fatta valere con lo strumento previsto dal legislatore nei modi e nei tempi che esso stesso stabilisce. Il I comma dell’art 161cpc richiama solo l’appello e il ricorso per cassazione, deve però essere esteso anche agli altri mezzi di impugnazione, cioè regolamento di competenza, revocazione e opposizione di terzo. Il principio della conversione vale anche per il processo esecutivo. Tale principio fonda un altro principio, quello dell’onere di impugnazione che si può applicare anche al di fuori del processo verso atti di diritto sostanziale. Secondo questo principio quando l’ordinamento prevede che i vizi di un atto devono essere fatti valere in un termine stabilito e con un certo strumento essi non possono essere dedotti in via incidentale, in un sede diversa da quella prevista. Il principio dell’onere di impugnazione non si applica però quando l’atto è inesistente invece che semplicemente nullo. Al II comma l’art 161cpc specifica che “questa disposizione non si applica quando l sentenza manca della sottoscrizione del giudice”. Non vuol dire che le sentenze che non hanno tale sottoscrizione non possono essere impugnate ma semplicemente che non è necessario che siano impugnate (ma possono). Questo è confermato dall’art 354cpc che prevede l’ipotesi in cui la sentenza di primo grado appellata manchi di sottoscrizione. Ma se anche queste sentenza non sono impugnate il vizio della mancata sottoscrizione può essere fatto valere fuori dal processo. Quindi la sentenza che non ha sottoscrizione anche se non viene impugnata rimane sempre viziata in modo che il vizio può essere fatto valere anche all’esterno del processo. La differenza tra primo e secondo comma è che il vizio che deve ma non è fatto valere con i mezzi di impugnazione diventa irrilevante perché una volta che non si hanno più i mezzi di impugnazione non c’è più lo strumento per rilevarlo. Invece se la sentenza manca della sottoscrizione può essere impugnata ma se anche così non fosse ci sono altri strumenti per far valere il vizio. In ogni sede in cui è rilevante far accertare che la sentenza è inesistente si può farlo poiché bisogna solo prendere atto che gli effetti non si sono mai prodotti, si è davanti all’altra forma di invalidità, cioè l’ inesistenza, fenomeno in cui l’atto è invalido e non produce i suoi effetti e proprio per questo non c’è alcun bisogno di impugnarlo in un certo modo, entro un termine e con un certo strumento. L’art 161cpc II c è l’unica ipotesi d’inesistenza espressamente prevista dal legislatore. Dottrina e giurisprudenza sulla base di questo articolo individuano altre ipotesi d’inesistenza della sentenza a cui non si applica la regola prevista dal primo comma bensì quella del secondo comma che permette a rilevazione del vizi in ogni luogo, in ogni momento e ad opera di chiunque. Le ulteriori ipotesi sono:a) Il giudice, cioè il soggetto che emette il provvedimento. b) C’è inesistenza quando il provvedimento è emesso nei confronti di una parte inesistente, cioè che non ha capacità giuridica..

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c) C’è inesistenza quando l’oggetto della decisione è incerto o impossibile dato che non si sa su cosa ha statuito il giudice e per questo la sentenza è inefficaced) C’è inesistenza per i casi in cui la sentenza non ha i requisiti minimi indispensabili per svolgere la propria funzione.Quindi l’inesistenza può essere ricondotta a due patologie: ipotesi in cui la sentenza oltre che invalida è anche inidonea al raggiungimento dello scopo che è quello di determinare le regole di condotta dei sogg con riferimento a una situazione sostanziale protetta. Quindi se i sogg interessati sono inesistenti o non individuati (b), se le regole di condotta non sono determinate o se non è individuata la situaz sostanziale cui si riferisce (c) ciò produce un’invalidità della sentenza e ne determina l’oggettiva inoperatività. In questi casi la sentenza è inesistente indipendentemente d ogni scelta del legislatore in tema di rapp fra invalidità e inefficacia. Altre ipotesi, seconda patologia, sono quelle in cui le sentenza è oggettivamente idonea a svolgere la sua funzione ma è viziata da non essere riconducibile al modello normativo (a)Quindi la conversione delle nullità della sentenza in motivi di impugnazione presuppone che ci sia un onere dell’impugnazione e quindi non può operare dove non ci sia un mezzo di impugnazione idoneo a rilevare e dichiarare il vizio.L’inesistenza di singoli atti del processo. Si fa riferimento per questo al principio secondo cui l’atto processuale è inesistente quando non è raggiungibile al prototipo descritto dalla legge. Dall’esperienza risulta una sola ipotesi rilevante: l’inesistenza della notificazione. La nullità di questa comporta la possibilità di sanatoria con effetti ex tinc, proprio per la sua efficacia retroattiva la giuri ha introdotto la nozione d’inesistenza della notificazione che si caratterizza per il fatto che la sanatoria non è retroattiva come succede per tutti gli atti inesistenti. Per la giuri la notifica non è nulla ma inesistente nei casi in cui avviene in luogo e a persona (condizioni concorrenti) che non hanno nulla a vedere con il destinatario della notificazione. Se ci sono entrambe le condizioni la notificazione è in realtà una non notificazione.4. L’atto è invalido e inefficace: qui non è necessario esercitare un’azione di impugnativa nel termine previsto dal legislatore poiché è sufficiente provare in ogni momento, con ogni mezzo e da parte di chiunque che gli effetti non si sono prodotti. Si tratta della disciplina del diritto sostanziale, cioè il negozio nullo non produce effetti. Nel diritto processuale questo fenomeno è chiamato “inesistenza”.- Nullità extraformale , cioè la nullità conseguente alla carenza o al vizio di un presupposto processuale. Queste si distinguono da quelle formali perché quest’ultime sono rilevabili d’ufficio solo eccezionalmente mentre normalmente si rilevano solo a istanza della parte interessata invece i vizi dei presupp process si rilevano normalmente d’ufficio e con eccezione sono riservati all’iniziativa della parte, quindi è la regola opposta. Se il giudice ritiene che c’è il difetto il vizio è sanabile ex artt 102,164,167,182 e 291cpc ha il dovere di disporne la sanatoria invece se i presupp process con vizio insanabile allora il giudice chiude subito il processo con sentenza di rito. Gli effetti della sanatoria del presupp process sono: si ha la possibilità di pronunciare nel merito, gli atti di trattazione del merito compiuti prima della sanatoria devono essere compiuti ex novo tranne che per alcuni, cioè per gli atti compiuti davanti a giudice incompetente, e salva l’eventuale ratifica della parte pregiudicata dal vizio, gli effetti sostanziali della domanda a volte si producono ex tunc altre invece ex nunc, cioè dal momento in cui si verifica la sanatoria.

Cap 44 LE SPESE E I DANNI PROCESSUALI

L’attività processuale costa perché fino a quando il processo si svolge ogni parte deve anticipare le spese degli atti che essa compie, di quelli che chiede di compiere e di quelli per i quali la legge o il giudice pongono a suo carico l’anticipazione. Se la parte è ammessa al gratuito patrocinio l’anticipazione è effettuata dallo Stato. Inoltre la parte usa l’attività di un difensore tecnico che ha diritti a un compenso e a volte ci sono da pagare anche i compensi degli ausiliari del giudice o della parti (es. consulente tecnico di parte). Se le spese rimanessero definitivamente a carico della parte che le ha anticipate si violerebbe il principio secondo cui la necessità di agire o di difendersi non deve andare a danno della parte che ha ragione, se così non fosse l’attore non godrebbe più di un diritto di azione effettivo come gli garantisce l’art 24 Cost. Le stesse condizioni valgono per il convenuto che ha visto rigettare la domanda contro lui proposta, infatti la sua non sarebbe un vittoria piena se a suo carico restano definitive le spese che egli ha dovuto sostenere in quanto il suo patrimonio rimane in modo definitivo diminuito delle spese della causa. Per questo gli ordinamenti moderni prevedono a carico del soccombente il rimborso delle spese processuali a cui è rimasto esposto il vincitore, ciò è espresso dal detto “victus victori”. La stessa considerazione permette di chiarire anche i rapporti tra diritto d‘azione e diritto di difesa e responsabilità per le spese. L’art 24 Cost garantendo questo diritto attribuisce a colui che ha ragione di agire e difendersi e chi si è visto dar torto non può sottrarsi alle conseguenze in tema di spese sostenendo di aver esercitato un diritto costituzionalmente garantito perché anzi egli ha usato il diritto abusivamente poiché è stato accertato che non aveva nessuna situazione sostanziale da difendere. Quindi si ha sicuramente il diritto di avere torto ma non si può averlo gratis. L’art 91cpc prevede che al termine di ogni fase del processo il giudice liquida alla parte vincitrice le spese sostenute e le pone a carico della parte soccombente. Per parte si intende il soggetto destinatario degli effetti degli atti processuali, quindi le spese anche se hanno carattere patrimoniale seguono le regole di imputazione degli atti processuali e delle sentenze di rito e non quelli delle sentenze di merito. L’art 9 L267/2000 stabilisce che in caso di soccombenza, le spese sono a carico di chi ha promosso l’azione o il ricorso salvo che l’ente costituendosi ha aderito alle azioni e ai ricorsi promossi dall’elettore. Il principio della soccombenza può essere definito come principio di causalità, cioè le spese sono a carico della parte che ha causato nell’altra la necessità del processo. Per questo certe domande di mero accertamento, di condanna in futuro e certe domande costitutive possono non portare alla condanna del soccombente alle spese quando anche siano proposte nel solo interesse dell’attore se la controparte non ha con il comportamento preprocessuale costretto l’attore ad agire e in sede processuale non ha contrastato la domanda. Questo principio spiega anche la previsione al I c dell’art 91cpc dove si stabilisce che quando il giudice accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate successivamente alla proposta. La proposta conciliativa è costituita da una proposta, in qualunque sede maturata basta che sia provata in causa, che coincida con la portata precettiva della sentenza. Deve trattarsi di diritti disponibili se no tale proposta non ha valore. Altro principio che riguarda la condanna alle spese è il principio di globalità, cioè la soccombenza deve essere valutata globalmente con riferimento all’esito finale del processo senza che rilevi il fatto che nelle fasi precedenti la parte alla fine vittoriosa si sia vista dar torto o il fatto che all’interno della stessa fase alcune difese della parte vittoriosa siano state ritenute infondate dal giudice. il giudice di appello liquida a favore della parte vittoriosa le spese di tutti e due i gradi del giudizio senza che rilevi a chi abbia dato ragione la sentenza di primo grado, così il giudice di primo grado liquida le spese a favore del convenuto vittorioso nel merito anche se soccombente su una questione di rito. Quindi la liquidazione delle spese deve essere effettuata nella sentenza con la quale il giudice chiude il processo mentre le sentenze non definitive o parzialmente definitive lasciano aperta la questione. Al principio c’è un’apparente eccezione per le pronunce sulla competenza nonostante non ci sia la chiusura del processo e quindi il processo può proseguire con la riassunzione della causa davanti al giudice competente che potrà dar ragione alla parte che sulla questione di competenza è rimasta soccombente. La giuri argomentando la norma ritiene che si possa applicare anche alle pronunce di incompetenza. Tutto questo perché il processo di merito può dopo la concessione del provvedimento cautelare anticipatorio e dopo il rigetto dell’istanza cautelare non essere instaurato o può la causa non essere riassunta dopo la dichiarazione di incompetenza, per questo motivo bisogna liquidare le spese a favore della parte per il momento vittoriosa. Cmq in virtù del principio di globalità in ogni caso l’addebito delle spese deve essere rivisto nel momento in cui il processo continui. Quindi se la parte provvisoriamente è soccombente e quindi condannata alle spese ma nella continuazione del processo esce vittoriosa il giudice che chiude il processo deve ribaltare la precedente condanna.

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La liquidazione delle spese è effettuata d’ufficio e è un capo della sentenza, per questo può essere impugnato con i normali mezzi di impugnazione. Le spese non possono essere liquidate a favore della parte contumace perché proprio essendo tale non ha potuto compiere attività processuale. Per l’entità delle spese sono liquidate dal giudice secondo le spese vive sostenute e documentate dalla parte vittoriosa e dal compenso del legale. L’art 96 III cpc prevede che il giudice possa condannare la parte soccombente anche al pagamento a favore della parte vittoriosa di “una somma equitativamente determinata” ma il legislatore non stabilisce né i presupposti della condanna né i criteri per quantificare la somma. Per i presupposti essi sono costituiti dalla mera pronuncia delle spese ex art 91cpc, quindi niente di diverso dalla soccombenza. Quindi resta indeterminato quando sia giustificato condannare la parte soccombente al pagamento a favore della parte vittoriosa del quid pluris. Per il “quantum” il legislatore ha riconosciuto al giudice un potere arbitrario e per questo incostituzionale proprio per la mancanza di una taxatio, cioè di un massimo che il giudice non può superare.Ex art 97cpc e ci sono più soccombenti il giudice provvede alla liquidazione in proporzione al rispettivo interesse in causa e se le parti hanno un interesse comune il giudice può pronunciare una condanna solidale.Ex art 95cpc le spese del processo esecutivo sono a carico di chi subisce l’esecuzione, poiché egli con il suo inadempimento ha reso necessario il ricorso del creditore alla tutela giurisdizionale esecutiva.Se in corso di causa si avverte un fatto che determina cessazione della materia del contendere ma le parti non trovano un accordo sulle spese, il giudice deve valutare la soccombenza virtuale, cioè delibera sulla base degli atti di causa quale sarebbe stato l’esito che la lite avrebbe avuto se non fosse cessata la materia del contendere e deve liquidare le spese in conseguenza.Ex art 93cpc prevede che il difensore della parte può chiedere che il giudice pronunci la condanna alle spese direttamente a suo favore se dichiara di aver anticipato le spese vive e di non aver riscorso gli onorari, egli diventa un “adiectus solutionis causa”.Il principio victus victori non è rigido poiché l’art 92cpc introduce dei contemperamenti:- il giudice può decidere di non liquidare le spese sostenute dalla parte vincitrice se ritiene che sono eccessive o superflue;- può condannare la parte al rimborso delle spese che l’altra ha dovuto sostenere a causa della violazione del dovere di lealtà e probità ex art 88cpc;- ex art 92cpc II c il giudice ha il potere di compensare in tutto o in parte le spese quando ci sia soccombenza reciproca o ci siano altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione. Questo obbligo per il giudice è stato introdotto con la riforma del 2006. Con questo il legislatore ha voluto reagire all’indirizzo costante della Cassazione che riteneva che il giudice di merito non aveva bisogno di esplicare questi motivi e poteva così limitarsi a richiamare le parole della norma “sussistono giusti motivi per compensare le spese”. La riforma del 2009 ha rafforzato la disposizione richiedendo la sussistenza di ragioni specifiche ed eccezionali per compensare le spese dove non ci sia soccombenza reciproca;- l’art 94cpc prevede che il rappresentante della parte può per gravi motivi essere condannato alle spese di singoli atti o dell’intero processo.L’attività processuale può produrre danni a carico della parte che ha avuto ragione. Il risarcimento di questi rientra nell’attuazione del principio secondo cui chi è stato costretto ad agire o a difendersi in giudizio non deve risentire di danni dannosi, stessi principio visto per le spese processuali. Quindi anche il risarcimento dei danni dovrebbe seguire le stesse regole e essere a carico della parte soccombente secondo un criterio di responsabilità oggettiva. Ma nel nostro ordinamento il legislatore non deciso di non seguire per il risarcimento danni lo stesso criterio di resp ogg previsto per le spese e ha così previsto l’art 96cpc che contiene una duplice ipotesi risarcitoria che è legata al presupposto soggettivo di uno stato psicologico della parte soccombente: si ha risarcimento danni quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (previsione generale che si applica a tutti i processi ed a ogni tipo di soccombenza escludendo solo i casi previsti dal II c dell’art 96cpc). I presupposti quindi sono:1.Soccombenza, per motivi di rito o per motivi di merito;2. Mala fede (consapevolezza di agire o resistere contra ius) o la colpa grave (situazione di chi si sarebbe dovuto rendere conto che il proprio agire o resistere era contro ius);3. Danno che ha prodotto nella sfera giuridica di chi aveva ragione.2. e 3. devono essere provati da chi chiede la condanna risarcitoria ma non c’è bisogno che i danni siano provati nel loro ammontare dato che la liquidazione avviene d’ufficio.L’art 96cpc II comma prevede un’ipotesi specifica di danno processuale che si ha quando è soccombente nel merito la parte che ha trascritto una citazione, ottenuto un provvedimento cautelare, iscritta ipoteca giudiziale o fatto ricorso all’esecuzione forzata. In questo caso c’è una diminuzione dello steso psicologico richiesto per l’obbligo risarcitorio, infatti è sufficiente aver agito senza la normale prudenza, cioè un minus rispetto alla mala fede o colpa grave (responsabilità per colpa lieve). Qui serve che si tratti di soccombenza nel merito, cioè che sia accertata l’inesistenza del diritto per la tutela del quale la parte ha fatto ricorso a quelle forme di tutela. Se in queste ipotesi si ha invece soccombenza nel rito ci si trova nella disciplina del I comma art 96cpc e ritornano necessarie mala fede o colpa grave.La domanda per ottenere il risarcimento danni è di competenza esclusiva del giudice (non sono validi i limiti della competenza per valore) di fronte al quale pende la controversia. Essa non è una domanda nuova e per questo è proponibile per la prima volta in appello, in sede di rinvio e anche di fronte alla corte di cassazione. La scelta del legislatore di collegare la responsabilità per danni alla colpa invece che al solo dato oggettivo della soccombenza è esposto a critiche perché esso è inopportuno dato che lascia scoperte alcune arre di irresponsabilità, infatti quando non è possibile dimostrare colpa grave per i casi del I c dell’art 96 o la mancanza di normale prudenza per i casi del II comma il danno rimane a carico della parte che ha ragione invece di ricadere su chi ha prodotto il danno anche se senza colpa ma cmq volontariamente. Inoltre la scelta del legislatore produce un’illogica disparità di trattamento fra le ipotesi in cui l’effetto ingiusto prodotto dal processo integra un inadempimento contrattuale, in questo caso il risarcimento è sempre dovuto, e le ipotesi in cui integra un illecito extracontrattuale dove il risarcimento è subordinato all’aver agito senza la normale prudenza.

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