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Studente Daniele De Luca s207895 PRETTY AS A SWASTIKA Comunicazione visiva nazionalsocialista e riflessioni sull’etica Relatore Elena Dellapiana Politecnico di Torino Correlatore Giaime Alonge Università di Torino

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StudenteDaniele De Lucas207895

PRETTYAS A SWASTIKAComunicazione visiva nazionalsocialistae riflessioni sull’etica

RelatoreElena DellapianaPolitecnico di Torino

CorrelatoreGiaime AlongeUniversità di Torino

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C.d.L. Designe Comunicazione Visiva

PRETTYAS A SWASTIKAComunicazione Visiva nazionalsocialista e riflessioni sull’etica

CorrelatoreGiaime AlongeUniversità di Torino

StudenteDaniele De Lucas207895

Relatore Elena DellapianaPolitecnico di Torino

A.A. 2016/2017

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Sommario

| Introduzione 7

| Contesto 16

1 Il documentario

1.1 Documento e stile documentario 42

1.2 Documentario e Zeitgeist 51

1.3 Documentario d’esplorazione 55

1.4 Aktion T4 60

1.5 Theresienstadt 63

Casi Studio

Der Sieg des Glaubens 69

Triumph des Willens 77

Olympia 106

Der Ewige Jude 129

2 Il manifesto

2.1 Arte 138

2.2 Sport 152

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2.3 Salutismo 158

Ludwig Hohlwein - approfondimento 165

Gino Boccasile - approfondimento 171

3 Il brand

3.1 Svastica, da simbolo a marchio 181

3.2 Seig Sieg! 191

3.3 Hugo Boss 193

3.4 Manuale d’uso 196

3.4 Antiqua vs Fraktur 203

Gleichschaltung - approfondimento 213

4 Conclusioni 221

| Fonti

Bibliografia 238

Sitografia 245

Videografia 251

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Introduzione

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INTRODUZIONEQuesta tesi ha lo scopo di indagare tutti gli aspetti della comunicazione visi-va del “progetto” nazio-nalsocialista degli anni ’30 fino alla fine della Seconda Guerra mondiale.

Il tentativo è quello di indi-viduare il fil rouge che tie-ne insieme i vari approcci comunicativi visuali. Non a caso l’utilizzo della pa-rola progetto si rivela utile proprio per capire come il Partito abbia proiettato tutti gli ideali del movi-mento all’elemento visual, cercando di stimolare l’e-motività, l’entusiasmo e le reazioni “di pancia” piut-tosto che una sana critica intellettuale. Obiettivo del progetto nazionalsociali-sta era quello di creare un

ambiente fatto di simboli, architettura e riti ben co-ordinati tra loro capaci di elevare il tedesco in uno stato superiore. Spunto della ricerca è sicuramente l’idea di aestheticization of politics, coniata dal filo-sofo tedesco Walter Benja-min, indicandola come la chiave del successo dei Regimi. In questa teoria, tutti gli aspetti della vita sono indicati come inna-tamente artistici, anche la politica. Con quest’ottica la politica può essere pro-posta e strutturata come una forma d’arte.

È bene cominciare con una contestualizzazione storica, come nasce il con-cept, da cosa attinge l’ide-ologia nazista, qual è lo scenario, l’intuizione di ar-chitettura come mezzo di

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comunicazione, portatrice di significati nonché conte-nitore dei grandi eventi/ri-tuali. Il rito è fondamentale per la creazione di quella che viene definita da Ge-orge Mosse una religione laica; che come in qualsi-asi altra religione la teolo-gia si esprimeva attraverso una liturgia: cerimonie, riti e simboli che rimanevano immutabili in un mondo in costante mutamento1.

Di seguito, nel capitolo il documentario, si cercherà di approfondire il signifi-cato di documentario e le varie ambiguità che tale termine porta nella tra-sposizione del reale. Come è possibile capire, in segui-to, sarà proprio questa am-biguità di fondo a spingere il Terzo Reich a sceglierlo come linguaggio per rap-

presentare al meglio lo spirito del tempo, la gran-dezza della Germania e del popolo tedesco, quel-lo che oggi chiameremo storytelling. Ma non solo, il documentario verrà utiliz-zato anche a scopo educa-tivo, si è scelto dunque di approfondire con un caso studio Der Ewige Jude, il suo carattere documen-taristico, quasi scientifico, tenta di istigare il disgu-sto e la repulsione verso la razza ebraica. L’arte di persuasione ha, anche, bi-sogno di grandi eventi che suggestionino lo spetta-tore e che questi vengano proposti e diffusi con uno sguardo altamente esteti-co. È proprio il caso della triade documentaristica di Leni Riefenstahl: Der Sieg des Glaubens (1934), Triu-mph des Willens (1935) e

1. George MOSSE, LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE MASSE, Bologna, Soc. Ed. il Mulino, 1975, p.44.

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Olympia (1938). E se al do-cumentario venne affidato il compito di raccontare il mondo nazionalsocialista, i manifesti sono portatori di messaggi più precisi e puntuali. La loro compo-sizione mirava al massimo della semplicità contenu-tistica senza pretendere nessuno sforzo cognitivo aggiuntivo. La raffigura-zione quindi è preminente in tutta la comunicazione affidata ai supporti carta-cei, da ricordare che tutte le avanguardie artistiche o di progettazione erano vi-ste come degenerate, tra-ditrici dei valori tedeschi. La mostra Entartete Kunst del ’37 a Monaco ne è la prova, preceduta dalla di-partita del Bauhaus nel ’33 subito dopo l’avvento del nazismo.

L’analisi procede, nel ca-pitolo il brand, con il sim-bolismo trasformato in un vero marchio, un collante di valori immateriali, quali: identità nazionale (coin-cidente col partito); supe-riorità della razza ariana e antisemitismo; la storia della Germania e tutti gli altri aspetti distintivi rite-nuti fondamentali dalla nefasta ideologia nazista.

In conclusione, si tenterà di capire in che modo l’e-tica dei singoli progettisti sia rilevante per l’estetica politica in generale. Come visto l’innegabile talento di Leni Riefenstahl, per quan-to riguarda i documentari, e di Ludwig Hohlwein, per quanto riguarda i mani-festi (approfondimento a fine capitolo il Manife-sto) hanno contribuito

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non poco alla creazione dell’estetica nazionalso-cialista. Scopo della tesi non è quello di verificare l’effettiva responsabilità etica, aldilà delle effetti-ve condanne giuridiche, ma aprire una riflessione su quanto sia importante per i progettisti prefigurare una serie di aspetti molto più complessi del “solo” cosa? come? e a chi? comu-nicare. L’evoluzione tec-nologica non può essere tralasciata in questa rifles-sione, in quanto è inevita-bile l’intreccio e la commi-stione con l’informazione e con la comunicazione, non solo visiva. Infatti, si

farà cenno al dibattito che ruota intorno la computer ethics. In fine, l’esempio delle recenti elezioni pre-sidenziali americane sem-brano un ottimo esempio di questo intreccio, e non solo perché è noto che una porzione dell’elettore si rifà all’estetica nazista, ma anche perché utilizza l’a-spetto emotivo (compresa la rabbia) come elemento essenziale della comuni-cazione. A ciò si aggiun-ge una sempre maggiore riflessione dei designer odierni sulle effettive re-sponsabilità prima di tutto civiche ed etiche ancor pri-ma che professionali.

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OSSESSIONE PER L’IMMAGINEL’abilità oratoria di Hitler non si era ancora manifestata. Ancor prima di diventare cancelliere del Terzo Reich, Hitler si esercitava per ore davanti allo specchio con il sottofondo delle registrazioni dei suoi discorsi al fine di miglio-rarsi e sembrare il più naturale possibile nelle movenze, nell’in-tonazione vocale e nella mimica facciale. Il suo fotografo perso-nale, Heinrich Hoffmann, scattò queste foto (alcuni poco più che fotogrammi) che ritraggono Hitler mentre si allena verso la fine degli anni ‘20. Ad Hoffmann fu ordinato di distruggere gli scatti e i negativi perché potevano minare l’aura di naturalezza dei discorsi di Hitler e, con essa, il suo magnetismo. Ma Hoffmann evidentemente non obbedì e così per la prima volta sono visibili questi scatti finora rari delle prove di Hitler oltre a quelle in cui, giovanissimo, ritrag-gono il cancelliere con calzettoni e pantaloni corti.

→ Courtesy of US National Archives

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→ Courtesy of US National Archives

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Contesto

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I “MITI” DELLA CULTURA TEDESCAIl clima culturale e ideo-logico della Germania (il VOLK) ha predisposto l’a-nimo tedesco e l’ha reso disponibile al richiamo di qualcuno che tentasse di risvegliarlo in nome della Grande Germania. I miti di cui la propaganda nazista fa uso e li estremizza sono individuati nei “miti”.

MITO della NATURA, il rapporto con la natura , i paesaggi e la terra sono sempre stati molto forti rintracciabili in tempi an-tichissimi e al tempo del nazismo non solo la natu-ra rappresentava l’agricol-tura ma anche l’estrazione

delle materie prime tanto utili all’industria.

MITO della GIOVINEZZA, la rivincita della nazione attraverso una gioventù sana e forte. La vitalità dei giovani era espressione di: forza, salute, obbedienza, audacia, conquista e do-minazione. “Questi ragazzi e queste ragazze entrano nelle nostre organizzazioni all’età di dieci anni e spes-so è la prima volta che pos-sono respirare un po’ d’aria nuova; dopo quattro anni trascorsi nel Gruppo Gio-vani passano alla Gioventù Hitleriana, dove li teniamo per altri quattro anni [...] E anche se a quel punto non sono ancora dei Nazional Socialisti al cento per cen-to, poi passano nel Corpo Ausiliari e lì vengono ulte-riormente ammorbiditi, per

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→ Ludwig Hohlwein, data incerta. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top

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sei, sette mesi... Dopodiché, qualunque coscienza di classe o di status sociale possa essergli ancora ri-masta... se ne occuperà la Wehrmacht [l’esercito tede-sco].”

--Adolf Hitler (1938).1

A partire dagli anni ‘20, il Partito Nazista considerò la gioventù tedesca un obiettivo speciale dei suoi messaggi propagandistici. Quei messaggi insisteva-no sul fatto che il Partito costituisse un movimento particolarmente adatto ai giovani, in quanto for-temente dinamico, dalla mentalità elastica e che guardava al futuro con ot-timismo. Milioni di giovani Tedeschi, inoltre, vennero conquistati dal Nazismo sia all’interno delle classi

scolastiche che attraverso le attività extracurricolari. Nel gennaio del 1933, la Gioventù Hitleriana ave-va solo 50.000 membri, ma alla fine dello stesso anno quella cifra si era incrementata fino a rag-giungere più di due milio-ni di iscritti. Entro il 1936 avrebbe poi raggiunto i 5.4 milioni, ben prima cioè che iscriversi all’organiz-zazione diventasse obbli-gatorio, nel 1939. Inoltre, le autorità tedesche proi-birono la costituzione di nuove organizzazioni gio-vanili, o sciolsero quelle già esistenti che potevano competere con la Gioven-tù Hitleriana2.

MITO della RAZZA, difesa del VOLK. Volk è una pa-rola assai più pregnante che non “popolo”, dal mo-

1. AAVV, L’INDOTTRINAMENTO DELLA GIOVENTÙ, in Enciclopedia dell’Olocausto, United State Holocaust Memorial Museum (internet), ht-tps://www.ushmm.org/wlc/it/article.php?ModuleId=10007820, consul-tato il 10 gennaio 2017.

2. Ibidem.

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→ Ludwig Hohlwein. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top

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mento che, per i pensatori tedeschi, fin dall’inizio del Romanticismo germanico, sullo scorcio del diciottesi-mo secolo, Volk denotava una serie di individui legati da una “essenza” trascen-dente, volta a volta defi-nita “natura” o “cosmo” o “mito”, ma in ogni caso tutt’uno con la più segreta natura dell’uomo e che co-stituiva la fonte della sua creatività, dei suoi senti-menti più profondi, della sua individualità, della sua comunione con gli altri membri del Volk3.

Nell’era moderna, alla componente d’odio che caratterizzava la loro ideologia, gli antisemiti aggiunsero quella politi-ca. Nell’ultima parte del Diciannovesimo secolo, partiti politici antisemiti

vennero fondati in Germa-nia, Francia e in Austria. Pubblicazioni come “Il Protocollo degli Anziani di Sion”, generarono e dif-fusero false teorie di una immaginaria cospirazio-ne internazionale ebraica. Una potente componente dell’antisemitismo politico fu il Nazionalismo, i cui se-guaci spesso accusavano falsamente gli Ebrei di non essere fedeli alla nazione.

Il “movimento voelkisch” xenofobo del Diciannove-simo secolo (Movimento Popolare o del Popolo) – formato da filosofi tede-schi, da studiosi e da artisti che consideravano lo spiri-to ebraico come estraneo a quello germanico – diffu-se l’idea che gli Ebrei non fossero autentici cittadini tedeschi. Teorici di antro-

3. Chiara SCIONTI, UNA FEDE GERMANICA: GLI IDEOLOGI DEL VOLK, in IL NAZISMO NELLA SOCIETÀ, NELLA CULTURA E NELL’ARTE (Internet), http://imaginaryboys.altervista.org/italiano/nazismo/volk.htm, 2000.

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pologia razziale fornirono la base pseduo-scientifica di quel concetto. Il Partito Nazista, fondato nel 1919 da Adolf Hitler, diede infine espressione politica alle teorie del razzismo. In par-te, il partito Nazista basò la propria popolarità pro-prio sulla diffusione della propaganda anti-ebraica. Milioni di persone compra-rono il libro di Hitler Mein Kampf (La mia battaglia) in cui si reclamava l’allonta-namento degli Ebrei dalla Germania4.

Con l’ascesa dei Nazisti al potere, nel 1933, il partito ordinò il boicottaggio eco-nomico degli Ebrei e creò una serie di leggi discri-minatorie ai loro danni. Contemporaneamente, i Nazisti organizzarono an-che diverse manifestazioni

in cui libri considerati “pe-ricolosi” venivano dati alle fiamme. Nel 1935, le Leggi di Norimberga introdusse-ro una definizione razziale degli Ebrei, basata sulla diversità di “sangue”, e or-dinarono la totale separa-zione della popolazione “ariana” da quella “non ariana”. In questo modo, quelle leggi ratificarono una visione gerarchica della società, basata sulle differenze di razza. La not-te del 9 novembre 1938, in tutta la Germania e in Austria, i Nazisti distrus-sero diverse sinagoghe e le vetrine di negozi posse-duti da cittadini ebrei (un evento conosciuto come il pogrom della Notte dei Cristalli). Tale episodio segnò il momento di pas-saggio a una nuova fase di distruzione, nella quale il

4. Ibidem.

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genocidio sarebbe diven-tato l’obiettivo centrale dell’antisemitismo nazista.

MITO PANGERMANICO, l’oppressione e la frustra-zione politica innescano un sentimento di rivincita, inoltre la fine della mo-narchia e quindi dell’unità della nazione fa perdere un senso di protezione pa-terna. Il popolo ha bisogno di una figura messianica capace di dare potere alla Germania.

Inoltre gli esponenti dei gruppi privilegiati spera-vano che il nazismo avreb-be deviato il risentimento emotivo, che li minaccia-va, verso altri obiettivi, e che contemporaneamente avrebbe aggiogato la na-zione ai loro interessi eco-nomici (Thyssen e Krupp)5.

Dal 1919 al 1932 una serie di governi di coalizione guidarono la Germania, in quello che nella storia te-desca è conosciuto come il periodo della Repub-blica di Weimar, durante il quale nessun partito fu mai in grado di raggiunge-re, da solo, la maggioranza parlamentare. Disaccor-di in materia di politica economica, così come la crescente polarizzazione dei partiti sui due versanti della Destra e della Sini-stra, impedirono la forma-zione di una coalizione in grado di governare. Così, dopo il giugno del 1930, una serie di Cancellieri ab-bandonarono uno dopo l’altro il tentativo di creare una maggioranza parla-mentare che permettesse di amministrare il paese. Invece, essi governarono

5. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976.

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con decreto presidenzia-le e senza il consenso del Parlamento, manipolando la legislazione contenuta nella Costituzione della Germania (in particolare l’Articolo 48 che regolava le situazioni di emergen-za e che era stato inserito dai politici tedeschi per difendere la democrazia in periodi di fermento po-litico). Questa struttura di governo servì comunque a stabilizzare l’economia e il sistema parlamentare, e calmò, almeno tempora-neamente, le violente pro-teste popolari.

In quel periodo di instabi-lità, il Partito Nazista emer-se da una relativa oscurità, crescendo fino ad assume-re importanza nazionale. In particolare, esso riuscì ad aumentare drastica-

mente il supporto dell’o-pinione pubblica proprio presentandosi come movi-mento di protesta contro la corruzione e l’inefficienza del “sistema” di Weimar. I suoi membri descrivevano la Repubblica come una “palude” caratterizzata, di volta in volta, o dall’insta-bilità o dall’immobilità, incapace di liberare il pae-se dall’umiliazione e dalla desolazione lasciate dalla sconfitta nella Prima Guer-ra Mondiale e dai termini fortemente punitivi del Trattato di Versailles. Gli autori della propaganda nazista promossero l’im-magine del Partito come unico movimento in Ger-mania capace di parlare a nome di tutti i Tedeschi non-Ebrei, senza distinzio-ne di classe, di religione o di regione di apparte-

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nenza. Tutti gli altri par-titi politici, agli occhi dei Nazisti, rappresentavano solo gli interessi particolari di gruppi che lavoravano unicamente per difendere tali interessi. I responsabili nazisti della propaganda fecero anche leva sul desi-

derio di ordine della popo-lazione, particolarmente sentito dopo un periodo di violento fermento civi-le. Promettendo di unire la Germania, di ridare lavoro ai sei milioni di Tedeschi che ne erano privi e di re-staurare i “tradizionali va-

lori germanici”, Hit-ler raccolse un vasto supporto popolare6.

IL FASCINO DI UN MOVIMENTO DI MASSA

Un punto fonda-mentale dell’ide-ologia nazista e della propaganda era costituito dal-la creazione di una “comunità naziona-le” (Volksgemein-schaft) che avrebbe riunito tutti i Tede-

6. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976.

→ Ludwig Hohlwein, data incerta. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top

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schi appartenenti alla raz-za “Ariana”, trascendendo le differenze di classe, di religione o di regione di appartenenza. Inoltre, il costante conflitto politico e lo scontro sociale, che avevano caratterizzato la democrazia parlamenta-re nel periodo di Weimar, non avrebbero avuto spa-zio nella nuova società Na-zional Socialista. In contra-sto con la protezione che la Costituzione di Weimar degli anni precedenti ave-va assicurato ai diritti indi-viduali, la propaganda na-zista metteva il benessere della comunità nazionale al di sopra delle preoccu-pazioni dei singoli. Tutti i Tedeschi “di razza pura”, identificati con il termine di “camerati nazionali” (Volksgenossen), erano obbligati ad aiutare coloro

che possedevano di meno e sacrificare tempo, salario e anche la propria vita per il bene comune. In teoria, né un’estrazione sociale di livello basso né una situa-zione economica modesta potevano rappresentare ostacoli all’avanzamento sociale, politico o milita-re. La propaganda nazista giocò un ruolo cruciale nello spacciare il mito del-la “comunità nazionale”, soprattutto perché i Tede-schi desideravano inten-samente realizzare l’unità e ritrovare la grandezza e l’orgoglio per il loro paese, così come rompere con il sistema sociale fortemen-te stratificato del periodo precedente. Facendo leva su quei sentimenti, la pro-paganda nazista collaborò a preparare la popolazio-ne tedesca a un futuro

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impostato dall’ideologia Nazional Socialista7.

Il forte desiderio della po-polazione di avere leader politici carismatici costi-tuisce sempre terreno fer-tile per l’uso della propa-ganda. Durante il periodo fortemente instabile della Repubblica di Weimar, i Nazisti sfruttarono questo desiderio per consolidare il proprio potere e rafforzare l’unità nazionale; essi rag-giunsero questo obiettivo attraverso la campagna, accuratamente studiata, con la quale crearono l’im-magine del capo del Parti-to Nazista, Adolf Hitler. La propaganda nazista favorì la rapida ascesa del Partito e dei suoi dirigenti prima a una posizione di potere politico e, poi, al control-

lo della nazione intera. In particolare, il materiale prodotto per le campagne elettorali a partire dagli anni ‘20 e per tutti gli anni ‘30, insieme ai materiali visivi dal forte impatto e le apparizioni pubbliche attentamente orchestra-te, collaborarono a creare il “culto del capo” intorno ad Adolf Hitler, la cui fama crebbe essenzialmente grazie ai discorsi che egli pronunciò ai grandi radu-ni di massa, alle parate e alla radio. Nel costruire il personaggio pubblico, i re-sponsabili della propagan-da Nazista dipinsero Hitler a volte come un soldato pronto all’azione, altre vol-te come un padre e, infine, persino come un messia giunto a riscattare il desti-no della Germania.

7. AAVV, UNIRE UNA NAZIONE, in Enciclopedia dell’Olocausto, United State Holocaust Memorial Museum (internet), https://www.ushmm.org/wlc/it/article.php?ModuleId=10007818, consultato il 10 gennaio 2017.

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Tecniche moderne di pro-paganda - incluse immagi-ni forti accompagnate da messaggi semplici - aiuta-rono a proiettare Hitler dal ruolo di piccolo estremista poco conosciuto (oltretut-to nato in Austria e non in Germania) a candidato principale alle elezioni pre-sidenziali tedesche. Duran-te la Prima Guerra Mondia-le il giovane Hitler, che era stato nell’esercito e aveva combattuto al fronte dal 1914 al 1918, venne forte-mente influenzato dalla propaganda usata in quel periodo. Come molti altri, Hitler credeva fermamen-te che la Germania avesse perduto quella guerra non perché sconfitta sul cam-po di battaglia, ma a causa della propaganda nemica. Egli pensava che i sempli-ci e chiari messaggi con

i quali i vincitori di quel primo conflitto mondiale (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Italia) aveva-no inondato la Germania, avessero dato coraggio alle truppe nemiche, sottraen-do contemporaneamente ai Tedeschi il desiderio e la forza di continuare a com-battere. Hitler comprende-va assai bene il potere di certi simboli, di certa ora-toria e di certe immagini, perciò creò slogan politici in grado di raggiungere le masse in modo semplice, concreto ed emotivamen-te accattivante.

Dal 1933 al 1945, la pub-blica adulazione di Adolf Hitler costituì un elemento costante della vita tede-sca: i responsabili nazisti della propaganda dipin-sero il loro capo [il Führer]

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come la personificazione della Germania e come un uomo che emanava forza da un lato e devozione cie-ca alla patria dall’altro.

I pubblici annunci, che ve-nivano trasmessi ripetu-tamente, rinforzarono poi l’immagine di Hitler come colui che avrebbe riscatta-to una Germania umiliata dai termini del Trattato di Versailles (con il quale si era conclusa la Prima Guerra Mondiale). Il culto di Adolf Hitler fu un feno-meno di massa delibera-tamente creato e coltivato dai dirigenti del Nazismo: sia i responsabili della pro-paganda che i numerosi artisti arruolati tra le loro fila disegnarono ritratti, poster e busti del Führer, che vennero poi riprodotti in grandi quantità e distri-

buiti sia nei luoghi pubblici che nelle abitazioni priva-te.

La propaganda nazista celebrava Hitler come sta-tista geniale che aveva portato stabilità al paese, creato posti di lavoro e re-staurato la grandezza della Germania. Durante gli anni in cui il Partito Nazista ri-mase al potere, i Tedeschi furono obbligati a dimo-strare pubblicamente la propria fedeltà al Führer, a volte in forme semi-rituali come, per esempio, il sa-luto Nazista o la frase “Heil Hitler!”, cioè la formula che si doveva usare quando si incontrava qualcuno per strada, ribattezzata poi “Saluto Germanico”. La fede cieca in Hitler contri-buì a rafforzare il senso di unità nazionale, mentre

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il rifiuto ad adattarsi a tali dimostrazioni di devozio-ne venne visto come evi-dente segno di dissenso, fatto questo che assumeva anche un peso particolare in una società dove qua-lunque critica esplicita al regime, e ai suoi capi, poteva portare all’arresto e alla detenzione. La pro-paganda fu uno strumen-to fondamentale sia per conquistare quella mag-gioranza di cittadini tede-schi che non sostennero immediatamente Adolf Hitler, sia per imporre il programma radicale nazi-sta che richiedeva, oltre al supporto attivo e la parte-cipazione diretta di alcu-ni, l’accettazione passiva da parte di larghi settori della popolazione. Unito all’uso del terrore come mezzo di intimidazione di

coloro che rifiutavano di obbedire, il nuovo appara-to propagandistico statale, guidato da Joseph Goeb-bels, venne utilizzato per manipolare e ingannare la popolazione tedesca e il mondo esterno. Ad ogni occasione, i responsabili della propaganda diffuse-ro il messaggio accattivan-te dell’unità nazionale e di un futuro utopistico, fa-cendo breccia nelle menti di milioni di cittadini. Allo stesso tempo, essi orga-nizzarono campagne tese a facilitare la persecuzione degli Ebrei e di altre per-sone escluse dall’ideale nazista di “Comunità Na-zionale”.

MEIN KAMPF Il Mein Kampf è ricco di ri-ferimenti e teorizzazioni sulla propaganda. Le ri-

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flessioni contenute danno l’impressione che Hitler si ritenesse un esperto delle tecniche di persuasione, enunciandone gli obietti-vi: “La propaganda deve rivolgersi alle masse”; il suo compito “non sta nella educazione scientifica dei singoli, quanto piuttosto in un rinvio della massa a determinati fatti o avve-nimenti o necessità, la cui impor-tanza solo così viene manifestata al pubbli-co”. L’insi-stenza sul tasto dell’e-motività è precisa e senza tentennamenti. Il popolo tedesco, il popolo guida, depositario di una mis-

sione universale, diventa, nell’ideologia hitleriana, una massa di esseri deboli da stupire, da convincere con la messa in scena. Ogni propaganda, per essere veramente efficace, “deve essere popolare” e, per essere popolare, “il suo livello spirituale deve esse-re posto tanto più in basso,

quanto più grande sia la massa di gente su cui si vuole agi-re”. 8 Sulla base di que-ste conside-razioni, la propagan-da diviene una sorta di

educazione religiosa che punta sui riti collettivi del-le adunate di massa e sulla raffinata capacità oratoria

→ Mein Kampf, (1926). Courtesy of the New York Public Library Digital Collection.

8. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976., p. 21.

9. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Eher-Verlag, 1926, cit., pp. 135-136.

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dei suoi capi carismatici. Il rito di massa è indispensa-bile ed è il più efficace.

“[L’uomo] ha bisogno di essere rafforzato dalla con-vinzione di essere membro e campione di una vasta comunità”9.

“Le manifestazioni di mas-sa non solo rafforzano il singolo, ma lo avvincono e contribuiscono a creare lo spirito di corpo”10.

Ma i rituali vengono, an-che, utilizzati per mostrare potere, cioè per rendere tangibile la forza, lo status e la legittimità di chi ese-gue la pratica rituale o di chi in essa viene celebra-to11.

Il congresso di Norimber-ga dunque attraverso il ri-tuale consacra il carattere assunto da Hitler in quan-to Fuhrer della Germania e nel contempo lo rende solennemente pubblico e lo socializza con le centi-naia di migliaia di persone presenti. In questo quadro emerge l’esigenza di trafe-rire in ambiente cinemato-grafico quanto accade nel-la realtà del congresso non più come semplice docu-mentazione o materiale informativo da cinegiorna-le, quanto piuttosto come prodotto in grado di vei-colare l’evento oltre l’hic et nunc: “Desiderio del no-stro Fuhrer è che le riprese non vengano fatte per gli archivi, ma siano realizzate e montate secondo crite-ri artistici. Due milioni di persone potranno riunirsi

10. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Eher-Verlag, 1926, cit., p. 394.

11. Giorgio NAVARINI, TRADIZIONE E POST-MODERNTÀ DELLA POLI-TICA RITUALE, “Rassegna Italiana Di Sociologia”, anno XXXIX, n°3, 1998, p. 309.

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a Norimberga ma sessan-ta milioni di tedeschi po-tranno essere testimoni di questo maestoso raduno, potranno partecipare e condividere l’esperienza sconvolgente di questa manifestazione”12.

I due film realizzati da R. per i congressi del 1933 -34 verranno distribuiti capillarmente in tutta la Germania, segnando dei picchi di presenze (oltre 5000 presenze al giorno all’Ufa-Palast di Berlino13)

Analizzando dal punto di vista dell’efficacia propa-gandistica la differenza tra parola detta e parola scritta, Hitler si lascia an-dare ad una digressione sull’immagine: “Maggio-ri prospettive possiede

l’immagine in tutte le sue forme, compreso i film. Qui, c’è ancora meno di lavorare con l’intelletto: basta guardare, tutt’al più leggere brevi testi: perciò molti sono più predisposti ad accogliere in sé un’e-sposizione fatta con l’im-magine che a leggere un lungo scritto. L’immagine apporta in breve tempo, quasi di colpo, chiarimen-ti e nozioni che lo scritto permette solo di ricava-re da una noiosa lettura”. Quindi l’immagine non è noiosa, è diretta, è vissuta emotivamente, coinvolge il pubblico a livello pro-fondo; può dunque essere sfruttata con profitto. Di tutte queste idee Goebbels si farà paladino, iniziando prestissimo la conquista dell’industria cinemato-grafica14.

12. Leni RIEFENSTAHL, WIE DER FILM VOM REICHSPARTESEIG ENT-STECH, “Der Deutsche”, n°14, 17 gennaio 1935.

13. Presenze dettagliate nei primi giorni di programmazione pubblicate in “LBB” n°95, 23 aprile 1935.

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Per la produzione e il man-tenimento del consenso il regime nazista usa delle forme di coinvolgimen-to articolate su più livelli. Goebbels enuncia chiara-mente il principio nel suo intervento al congresso di Norimberga del 1934: “può essere una buona cosa te-nere il potere riposto sulle armi. Tuttavia è preferibile e più gratificante conqui-stare il cuore del popolo e mantenerlo”.

Perciò il regime costrui-sce un forte stato sociale sostenuto da una martel-lante propaganda. Per i casi che “sfuggono al con-trollo” viene articolato un sistema di campi di con-centramento supportato da un efficiente corpo di polizia e da altre forme di repressione selvaggia. 15

Anche i cinegiornali di-vennero uno strumento fondamentale degli sforzi attuati dal Ministro della Propaganda Joseph Goeb-bels per modellare e mani-polare l’opinione pubblica durante la guerra. Per eser-citare maggiore controllo sul contenuto dei cinegior-nali dopo l’inizio del con-flitto, il regime nazista fuse le varie compagnie che producevano i reportage in una sola, la Deutsche Wochenschau (Settimana-le di Opinione Germanica). Goebbels collaborò perso-nalmente alla creazione di ogni numero dei cinegior-nali, correggendoli e per-sino riscrivendoli in parte. Tra le dodici e le diciotto ore di pellicola, filmate da professionisti e consegna-te a Berlino ogni settimana da un corriere, venivano

14. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976, p. 27.

15. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA 1933, 1934, Cagliari, CUEC, 2013, p. 29.

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poi modificate e ridotte a filmati che duravano tra i 20 e i 40 minuti. La distribu-zione dei cinegiornali ven-ne estesa notevolmente quando il numero di copie di ogni episodio salì da 400 a 2.000, e vennero anche realizzate versioni in doz-zine di altre lingue (inclusi lo svedese e l’ungherese), mentre unità mobili cine-matografiche portavano i filmati anche nelle campa-gne tedesche16.

ARCHITETTURAViene impiegata come strumento per celebrare

la grandezza e la poten-za della Germania, oltre a promuovere e celebrare il governo nazista, incarnato dal Fuhrer, la scala è quel-la monumentale. Come le rovine greche e romane, l’architettura doveva re-stare nei secoli come testi-monianza della grandezza della Nazione.

Il ruolo principale l’ha avu-to certamente Albert Spe-er, l’architetto del Fuhrer, anche se bisogna dire che il cancelliere partecipava direttamente nei progetti. Uno dei più imponenti e scenografici è di certo lo Zepellinfield di Norimber-ga, una vera e propria sce-nografia ad una scala del tutto esagerata, destinata a raccogliere la massa du-rante i raduni del partito. Lo scopo di Hitler è quello

→ Hitler e Speer, Bundesarchiv, Bild 146-1971-016-31 / CC-BY-SA 3.0→ Paris, Weltausstellung, Deutsches Haus Scherl, Bildarchiv: Frankreich 1937: Das Deutsche Haus auf der Weltausstellung in Paris

16. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976, p. 40.

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→ The Cathedral of Light above the ZeppelintribuneBundesarchiv, Bild 183-1982-1130-502 / CC-BY-SA 3.0quello che verrà definito uno dei primi esempi di architettura immateriale

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di creare un luogo capace di contenere la più grande massa possibile: è la mas-sa che ha dato il potere a Hitler e il Fuhrer sa quanto sia necessario il suo ap-poggio. A rendere il tutto più teatrale, è la tribuna, che diventa la quinta ide-ale alla massa, e il podio, una sorta di altare sacri-ficale dove si consuma il “rito” politico, sotto il simbolo del nazismo. Cre-do che, per quanto deva-stante e fuori scala, questo spazio svolgeva perfetta-mente il suo ruolo quando la massa lo affollava. 17

Ebrei e politicamente orientati a sinistra erano, in gran parte, gli esponen-ti delle correnti artistiche e architettoniche d’avan-guardia tedesche, come il Bauhaus. Fondata da Wal-

ter Gropius, la scuola Bau-haus propugnava il razio-nalismo e il funzionalismo. La sua sede era un perfetto esempio dello stile che ve-niva insegnato negli anni venti, durante la tribolata Repubblica di Weimar go-vernata dai socialdemo-cratici. Per dare un’idea della spaventosa monu-mentalità dell’edificio, ec-colo a confronto con altre costruzioni gigantesche, compreso l’attuale gratta-cielo più alto del mondo18.

“Albert Speer fu uno degli artefici del programma di trasformazione estetica del Terzo Reich: [...], nelle sue Memorie - una fonte tuttavia ambigua, per il desiderio di autoassoluzione dell’autore - ricostruisce con chiarezza il ruolo

17. Alessandro ROCCA, LA POTENZA (DEVASTANTE) DELL’ARCHITET-TURA, in Teorie e Tecniche (internet), http://teorieetecniche.blogspot.it/2012/10/la-potenza-devastante-dellarchitettura.html, consultato il 15 gennaio 2017.

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centrale che i progetti edilizi e urbanistici hanno svolto nel programma nazista. Le “architetture da megalomani”, ovvero i grandiosi progetti architettonici nella definizione post-1945 dello stesso Speer, erano state negli anni Trenta l”e paro le “parole di pietra” con cui edificare la storia.19

CONCLUSIONEAdolf Hitler non inventa nulla, il Mein Kampf con-tiene una summa di idee e tuttavia, sarebbe errato considerare oggi il pro-gramma politico nazista come un insieme di idee strampalate e fantasiose perché ricadremmo nel luogo comune di consi-

→ La cupola della Große Halle, Bundesarchiv, http://www.giornalepop.it/lestetica-nazista/

18. Sauro PENNACCHIOLI, L’ESTETICA NAZISTA, in Giornale Pop (inter-net), http://www.giornalepop.it/lestetica-nazista/ 13 settembre 2016.

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→ A model of Adolf Hitler’s plan for Berlin formulated under the direction of Albert Speer, Bundesarchiv, Bild 146III-373 / CC-BY-SA 3.0

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derare il nazismo una pa-rentesi buia nella storia dell’Europa moderna e de-mocratica e Hitler un po-vero pazzo delirante.

Come si è visto, l’astuzia della propaganda nazista risiede nel proporre temi e suggestioni ben presen-ti nel contesto culturale e politico della Germania dell’epoca. Proporre qual-cosa di “nuovo” avrebbe

richiesto uno sforzo da parte del “pubblico” a re-cepire ed adottare nuovi modelli di comportamen-to e di pensiero. Così l’uti-lizzo di vecchie ideologie, rinvigorite e brutalizzate hanno trovato maggiore sostegno e adesione, era compito dell’estetica rac-coglierle e renderle sedu-centi.

19. Gian Piero PIRETTO, MEMORIE DI PIETRA - I MONUMENTI DELLE DITTATURE, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p.272.

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Il documentario

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1. Adriano APRÀ, IL DOCUMENTARIO, Enciclopedia del Cinema in Treccani.it, http://www.treccani.it/enciclopedia/documentario_(Enci-clopedia-del-Cinema)/ consultato il 31 dicembre 2016.

1.1DOCUMENTOE STILE DOCUMENTARIONell’uso comune, per do-cumentario si intende un film, di qualsiasi lunghez-za, girato senza esplicite fi-nalità di finzione, e perciò, in generale, senza una sce-neggiatura che pianifichi le riprese, ma anzi con dispo-nibilità verso gli accadi-menti, e senza attori. Non a caso, nei paesi anglo-sassoni si impiega sempre più spesso il termine non-fiction. Alla base del docu-mentario c’è un rapporto ontologico con la realtà filmata, che si pretende re-stituita sullo schermo così come si è manifestata da-vanti alla macchina da presa, senza mediazioni. Il

film è il documento di tale realtà, la prova che le cose si sono svolte così come le vediamo proiettate. Il cine-ma di finzione rappresenta invece una realtà media-ta, manipolata dal regista per esprimere ciò che ha immaginato. È una realtà messa in scena. Nel docu-mentario la macchina da presa è al servizio della realtà che le sta di fronte; nel film di finzione la real-tà viene rielaborata per la macchina da presa. Nel film di finzione il patto im-plicito dello spettatore con lo schermo è: so bene che ciò che vedo rappresenta-to non è vero, benché ve-rosimile, e tuttavia ci cre-do; nel documentario dirà piuttosto: ciò che vedo è vero, e non solo verosimi-le, e per questo ci credo. L’effetto magico di illusio-

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ne di realtà che il cinema di finzione normalmente produce viene, per così dire, sospeso nel docu-mentario, dove si eviden-zia l’effetto probatorio1.

Rintracciare la prima oc-correnza della parola “do-

cumentario” come defini-zione di genere è difficile, ma la leggenda – nata a

sua volta negli anni tren-ta –vuole che il termine fi-guri per la prima volta nel 1926 in un articolo di John Grierson sul film Moana di Robert Flaherty2. Egli parla di «valore documentario» del film, per poi teorizzare il genere in vari saggi scrit-

ti nel 1932-34 su «Cine-ma Quarterly». Essi sono

2. Olivier LUGON, LO STILE DOCUMENTARIO IN FOTOGRAFIA DA AU-GUST SANDER A WALKER EVANS 1920-1945, Milano, Electa, 2008. Pag. 15

→ Immagine tratte da MOANA, Flaherty, 1926

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3. Adriano Aprà, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta-to il 31 dicembre 2016.

stati raccolti e rielaborati assieme ad altri in un libro considerato, a torto o a ragione, un classico: Forsyth Hardy (a cura di), Grierson on Documen-tary, London 1946 (nuova ed.: London-Boston 1966; tr. it. a cura di Fernaldo Di Giammatteo: Grierson, Do-cumentario e realtà, Roma 1950; una critica alla teo-ria e alla pratica produtti-va di Grierson, e insieme una acuta riflessione sul documentario, si trova in Brian Winston, Claiming the Real. The Documen-tary Film Revised, London 1995)3. Grierson, all’inizio degli anni Trenta, elabora un vero e proprio manife-sto del documentario in esso erano contenuti alcu-ni punti essenziali che rias-sumevano i principi teorici ed estetici di questo ge-

nere cinematografico. Nel citato manifesto, si diceva, tra l’altro:

• Noi crediamo che dalla capacità, che il cinema pos-siede, di guardarsi intorno, di osservare e di seleziona-re gli avvenimenti della vita ‘vera’ si possa ricavare una nuova e vitale forma d’arte. I film girati nei teatri di posa ignorano quasi totalmente la possibilità di portare lo schermo nel mondo reale. Fotografano avvenimenti ri-costruiti su sfondi artificiali.

• Noi crediamo che l’attore ‘originale’ (o autentico) e la scena ‘originale’ (o autenti-ca) costituiscano la guida migliore per interpretare cinematograficamente il mondo moderno, offrano al cinema una più abbondan-te riserva di materiale e gli

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forniscano la possibilità di interpretare, traendoli dal mondo della realtà, avve-nimenti più complessi e sor-prendenti di quelli immagi-nati per i teatri di posa, o di quelli che i tecnici dei teatri di posa possano ricostruire.

• Noi crediamo che la ma-teria e i soggetti trovati sul ‘posto’ siano più belli (più reali in senso filosofico) di tutto ciò che nasce dalla recitazione. Il gesto spon-taneo ha sullo schermo un singolare valore. Il cinema possiede la straordinaria capacità di ‘ravvivare’ i movimenti creati dalla tra-dizione o consunti dal tem-po. Il rettangolo arbitrario dello schermo rivela e po-tenzia i movimenti, dando loro la massima efficacia nello spazio e nel tempo. Si aggiunga che il d. può otte-

nere un approfondimento della realtà e ricavarne ef-fetti che la meccanicità del teatro di posa e le squisite interpretazioni degli attori scaltriti neppure si sogna-no.

Attorno a tali linee teori-che si è, di fatto, sviluppato questo genere caratteriz-zato, in modo particolare, per i suoi intenti educativi, didattici, scientifici, antro-pologici, di informazione e anche propagandistici; genere che ha avuto i suoi massimi rappresentanti in autori come Robert Flaher-

→ SORTIE DES USINES, Lumière, 1895

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4. Carlo TAGLIABUE, DOCUMENTARIO, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it, consultato il 2 gennaio 2017.

ty, Alberto Cavalcanti, Wal-ter Ruttmann, Joris Ivens e molti altri, tra i quali si possono ricordare ancora Frédéric Rossif, Jean Rou-ch e l’italiano Folco Quilici; genere con il quale si sono cimentati anche registi co-nosciuti soprattutto per le loro opere di fiction4.

Va notato tuttavia che Grierson ritiene il valore documentario di Moa-na secondario rispetto al suo valore estetico, po-nendo con ciò il dilem-ma proprio del genere. La messa in scena, congenita al cinema di finzione nar-rativo con attori, non è, né può essere, estranea al documentario. Per quan-to reale e non manipolato sia il profilmico (ciò che la macchina da presa ripren-de), esso, fin dai tempi dei

Lumière, non può evitare di essere inquadrato, e con ciò stesso selezionato e orientato, anche se è stato detto che l’inquadratura di un documentario è una finestra aperta sul mondo più che una cornice che lo racchiude e lo sinte-tizza. Inoltre, per quanto breve sia il film, come nei piani-sequenza di un mi-nuto dei Lumière, il fatto stesso che ci sia un inizio e una fine implica inevi-tabilmente un embrione di narrazione, un’evolu-zione del profilmico mar-cata da un prima e da un dopo. La manipolazione spazio-temporale viene accentuata da tutte le tec-niche che hanno caratte-rizzato lo sviluppo del lin-guaggio cinematografico, soprattutto dal montaggio e dalle altre operazioni di

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post-produzione successi-ve alle riprese. Con l’intro-duzione del sonoro, che pure incrementa con la presa diretta l’impressione di realtà, non va dimenti-cata la mediazione del mi-crofono e del missaggio, e poi, in proiezione, quella di amplificatori e altoparlan-ti. La realtà, in altre parole, è sempre, nel documenta-rio come nel film di finzio-ne, una realtà registrata, quindi mediata, “impura”. Ma l’innocenza, per così dire, con cui lo spettatore assiste alla proiezione (o, in televisione, alla trasmis-sione) di un documentario lo rende facilmente ingan-nabile, quando si vuol far passare subdolamente per documento, prova incon-futabile di verità, ciò che è realta truccata: è quanto ha sempre fatto la propa-

ganda, con i cinegiornali e i telegiornali, e con la pub-blicità. È invece piuttosto un problema di interpreta-zione critica che di volontà dell’autore il fatto che si sia insistito più del dovuto sul realismo dei documen-tari. Flaherty, considerato il padre del genere, realiz-za film, anche assai bel-li, con strutture narrative precise, anche se dissimili da quelle tipiche del film di finzione, e interpretati da attori, anche se non pro-fessionisti, chiamati a rive-stire i panni di personaggi più che a essere se stes-si5. L’idea di “documento” è ovviamente più antica. Nella letteratura specia-lizzata compare fin dal XIX secolo. Legato al valore scientifico o archivistico delle immagini, il significa-to del termine fino a quel

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5. Adriano APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-pra.it, http://www.adrianoapra.it/?sdocumentario&paged=7 consultato il 31 dicembre 2016.

6. Olivier LUGON, LO STILE DOCUMENTARIO IN FOTOGRAFIA DA AUGUST SANDER A WALKER EVANS 1920-1945, Milano, Electa, 2008. Pag. 15

momento rimanda all’ap-porto di informazioni, te-stimonianze o prove. Nella letteratura artistica figura solo come contrario della parola “arte” e le due cate-gorie si escludono a vicen-da. Prima degli anni venti, insomma, il documentario non solo non costituisce un genere estetico ma ne è addirittura la negazione. Ad un tratto, invece, intor-no al 1930, questi due poli fino ad allora inconciliabili si trovano deliberatamen-te associati in numerosi progetti di fotografi anima-ti da ambizioni artistiche6.

Con queste premesse, for-te di una legittimazione artistica e formale, questo stile fece presto ad affer-marsi come mezzo adatto alla propaganda del regi-me nazionalsocialista. Più

in generale, nei regimi dit-tatoriali il documentario si piega in maniera più diret-ta e univoca alle esigenze propagandistiche. In URSS, le esperienze avanguardi-stiche del muto e dei primi anni del sonoro vengono criticate in campo docu-mentaristico forse più che nel cinema di finzione. Si lascia mano abbastanza libera al globetrotter Ivens per Pesn’ o gerojach/Komsomol (1932, mm, Il canto dei fiumi); ma Vertov ha enormi difficoltà, di cui risente Tri pesni o Lenine (1934, Tre canti su Lenin), fino a essere ridotto a opere impersonali o al silenzio, destino che lo accomuna alla Sub. Fra i nuovi nomi si distingue Roman Karmen, che gira materiali durante la guerra di Spagna, poi montati

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dalla Sub (Ispanija, 1939, Spagna), e in Cina (V Ki-taje, 1941, In Cina). La Cina, come la Spagna (He-art of Spain, 1937, cm di Hurwitz e Strand; Spanish Earth), attira cineasti stra-nieri, fra cui Leyda, Lerner, Meyers e Ben Maddow (China Strikes Back, 1937) e Ivens (The 400 Millions). In Giappone, Tatakau Hei-tai (1939, Soldati al fronte) di Fumio Kamei viene proibito e distrutto dalle autorità. In Italia l’approc-cio propagandistico del documentario è in genere più morbido, e meno ef-ficace. Fra gli esempi mi-gliori, Dall’acquitrino alle giornate di Littoria (1934, cm, pr. LUCE), Il cammino degli eroi (1936), sulla guerra d’Africa, e Milizie della civiltà (1941, cm), sulla costruzione dell’E 42

(l’odierno quartiere Eur di Roma), di D’Errico, La battaglia dello Jonio (1940, cm prodotto dal Centro Cinematografico della Marina promosso da De Robertis) e Mine in vista (1940, cm) di De Robertis. Il caso tedesco si manifesta lo straordinario talento di Leni Riefenstahl con Triu-mph des Willens (1935) e Olympia (1938), in due parti: Fest der Völker (Olimpia) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olimpia). Nel dopoguer-ra la regista ha puntiglio-samente e inutilmen-te respinto le accuse di connivenza col regime, rivendicando la propria indipendenza artistica; la sua resta tuttavia un’este-tica del «fascino fascista» (Susan Sontag), anche

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se di grande, e moderna, elaborazione tecnica e formale. Altrettanto ricer-cato, ai limiti dell’avan-guardismo, e perciò poco gradito al regime, è Das Stahltier (1935) di Willie Zielke (autore del prologo di Olympia), sulla storia delle ferrovie. Ignobile per il modo in cui orienta la propria tesi antisemita con montaggio, commento e ricostruzioni è Der ewige Jude (1940) di Fritz Hippler. Un altro veicolo della propaganda nazista, oltre al cinegiornale “Deutsche Wochenschau”, sono i “Kulturfilme” (film educa-tivi), riassemblati critica-mente anni dopo in Deu-t s c h l a n d b i l d e r ( 1 9 8 3 ) di Hartmut Bitomsky e Heiner Mühlenbrock. Ol-tretutto, la guerra offre al documentario un terreno

propizio. Vi si combinano urgenza dell’informazione, spettacolarità degli eventi e sfida estetica del colto sul vivo. Dopo le prove ge-nerali della guerra d’Africa e della guerra di Spagna, la Seconda guerra mondiale vede l’impiego strategico e altamente organizzato di cineasti al fronte (molto più di quanto era potuto avvenire nella Prima). In Germania la propaganda è pesante e sfacciatamen-te menzognera (Feuer-taufe, 1940, di Hans Ber-tram; Feldzug in Polen, 1940, e Sieg im Westen, 1941, di Hippler, tutti con largo uso di repertorio)7.

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7. Adriano APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta-to il 31/12/16

1.2DOCUMENTARIO E ZEITGEISTSull’uso propagandistico del cinema già Hitler ave-va fatto alcuni accenni nel Mein kampf. Già da tem-po il futuro Fuhrer aveva intuito il formidabile po-tenziale del cinema come mezzo di propaganda. Il Mein Kampf è ricco di ri-ferimenti e teorizzazioni sulla propaganda. Le ri-flessioni contenute danno l’impressione che Hitler si ritenesse un esperto delle tecniche di persuasione, enunciandone gli obietti-vi: “La propaganda deve rivolgersi alle masse”; il suo compito “non sta nella educazione scientifica dei singoli, quanto piuttosto in un rinvio della massa a

determinati fatti o avveni-menti o necessità, la cui importanza solo così vine manifestata al pubblico”. L’insistenza sul tasto dell’e-motività è precisa e senza tentennamenti. Il popolo tedesco, il popolo guida, depositario di una mis-sione universale, diventa, nell’ideologia hitleriana, una massa di esseri deboli da stupire, da convince-re con la messa in scena. Ogni propaganda, per es-sere veramente efficace, “deve essere popolare” e, per essere popolare, “il suo livello spirituale deve essere posto tanto più in basso, quanto più grande sia la massa di gente su cui si vuole agire”. 8

Sulla base di queste consi-derazioni, la propaganda diviene una sorta di edu-

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8. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Venezia, Bien-nale di Venezia, 1976, p. 21

9. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Franz Eher Nachfolger, cit., pp. 135-136

10. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Franz Eher Nachfolger, cit., p. 394

cazione religiosa che pun-ta sui riti collettivi delle adunate di massa e sulla raffinata capacità oratoria dei suoi capi carismatici. Il rito di massa è indispensa-bile ed è il più efficace.

“[L’uomo] ha bisogno di essere rafforzato dalla con-vinzione di essere membro e campione di una vasta comunità”9.

“Le manifestazioni di mas-sa non solo rafforzano il singolo, ma lo avvincono e contribuiscono a creare lo spirito di corpo”10.

Ma i rituali vengono, an-che, utilizzati per mostrare potere, cioè per rendere tangibile la forza, lo status e la legittimità di chi ese-gue la pratica rituale o di chi in essa viene celebra-

to11. Il congresso di Norim-berga dunque attraverso il rituale consacra il carattere assunto da Hitler in quan-to Fuhrer della Germania e nel contempo lo rende solennemente pubblico e lo socializza con le centi-naia di migliaia di persone presenti. In questo quadro emerge l’esigenza di trafe-rire in ambiente cinemato-grafico quanto accade nel-la realtà del congresso non più come semplice docu-mentazione o materiale informativo da cinegiorna-le, quanto piuttosto come prodotto in grado di vei-colare l’evento oltre l’hic et nunc: “Desiderio del no-stro Fuhrer è che le riprese non vengano fatte per gli archivi, ma siano realizzate e montate secondo crite-ri artistici. Due milioni di persone potranno riunirsi

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11. Gianmarco NAVARINI, TRADIZIONE E POST-MODERNITÀ DELLA POLITICA RITUALE, “Rassegna italiana di sociologia”, anno XXXIX, n°3, 1998, p. 309

12. Leni RIEFENSTAHL, WIE DER FILM VOM REICHSPARTESEIG ENT-STECH, “Der Deutsche”, n°14, 17 gennaio 1935

13. Presenze dettagliate nei primi giorni di programmazione pubblica-te in “LBB” n°95, 23 aprile 1935

a Norimberga ma sessan-ta milioni di tedeschi po-tranno essere testimoni di questo maestoso raduno, potranno partecipare e condividere l’esperienza sconvolgente di questa manifestazione”12.

I due film realizzati da Leni Riefenstahl per i congres-si del 1933 -34 verranno distribuiti capillarmente in tutta la Germania, se-gnando dei picchi di pre-senze (oltre 5000 presen-ze al giorno all’Ufa-Palast di Berlino13). Analizzando dal punto di vista dell’effi-cacia propagandistica la differenza tra parola detta e parola scritta, Hitler si lascia andare ad una di-gressione sull’immagine: “Maggiori prospettive pos-siede l’immagine in tutte le sue forme, compreso i

film. Qui, c’è ancora meno di lavorare con l’intelletto: basta guardare, tutt’al più leggere brevi testi: perciò molti sono più predisposti ad accogliere in sé un’e-sposizione fatta con l’im-magine che a leggere un lungo scritto. L’immagine apporta in breve tempo, quasi di colpo, chiarimen-ti e nozioni che lo scritto permette solo di ricava-re da una noiosa lettura”. Quindi l’immagine non è noiosa, è diretta, è vissuta emotivamente, coinvolge il pubblico a livello pro-fondo; può dunque essere sfruttata con profitto. Di tutte queste idee Goebbels si farà paladino, iniziando prestissimo la conquista dell’industria cinemato-grafica14.

Per la produzione e il man-

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14. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Venezia, Bien-nale di Venezia, 1976, p. 27

tenimento del consenso il regime nazista usa delle forme di coinvolgimen-to articolate su più livelli. Goebbels enuncia chiara-mente il principio nel suo intervento al congresso di Norimberga del 1934: “può essere una buona cosa te-nere il potere riposto sulle armi. Tuttavia è preferibile e più gratificante conqui-stare il cuore del popolo e mantenerlo”. Perciò il regime costruisce un forte stato sociale sostenuto da una martellante propa-ganda. Per i casi che “sfug-gono al controllo” viene articolato un sistema di campi di concentramento supportato da un efficien-te corpo di polizia e da altre forme di repressione selvaggia. L’incontro col giovane Goebbels a metà anni venti porta a svilup-

pare sempre più queste tecniche di produzione del consenso giungendo a elaborare strategie in cui i mass media interagiscono con i rituali di massa. Que-ste modalità andranno via via perfezionandosi negli anni e segneranno la pro-paganda politica anche nei decenni successivi fino ai giorni nostri.15

1.3DOCUMENTARIO D’ESPLORAZIONELa possibilità offerta dal nuovo mezzo di abolire le distanze, portando, ri-prodotti, luoghi lontani in casa nostra, viene sfrutta-ta da subito, a cominciare dai Lumière, a fini non solo documentari ma ben pre-sto anche pubblicitari, per

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15. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA 1933, 1934, 2013, pg 29

promuovere il turismo. Ri-cordiamo, per fare un solo esempio, gli Hale’s Tours (riprese viste, come dal fi-nestrino, da finte carrozze ferroviarie in ambienti fie-ristici), promossi fra il 1905 e il 1912 dallo statunitense George C. Hale. A sua volta, il ricco banchiere parigino Albert Kahn promuove negli anni ’10 e ’20 “Les Archives de la planète”, commissionando vedu-te (tuttora conservate) di varie parti del mondo per un utopico catalogo enci-clopedico-geografico. Altri cineasti che negli anni ’10 si dedicano a documentari esotici sono l’italiano Luca Comerio (i cui materiali verranno creativamente riutilizzati da Yervant Gia-nikian e Angela Ricci Luc-chi in Dal Polo all’Equato-re, 1986) e il belga Alfred

Machin, specialista di film animalisti16.

Ci fu un aspetto del nazio-nal-socialismo che andò oltre quelli che erano gli interessi volti a creare un grande reich millenario e che assunse contorni oc-culti, macabri, circondati da un alone di mistero, tali da alimentare, anco-ra di più, i lati oscuri del già oscuro mondo della svastica. Questi tenebrosi aspetti, queste voci che si intrecciano intorno all’ide-ologia nazional-socialista, ebbero la loro origine nelle fasi iniziali del movimento, quando, in una Germania devastata dalla sconfitta nella grande guerra, co-loro che sarebbero dive-nuti, qualche anno dopo, i gerarchi del III reich, si ritrovarono a contatto

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16. Antonio APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta-to il 31 dicembre 2016.

17. AA.VV, I LATI OSCURI DEL NAZISMO, in StoriaXXISecolo (internet), http://www.storiaxxisecolo.it/nazismo/nazismo14.htm consultato il 31 dicembre 2016.

con personaggi e sette di natura occulta, predicanti strane teorie ed illustranti convulsi presagi, che scon-finavano nel mondo del paranormale e che preve-devano l’avvento di una razza ariana superiore e dominatrice, trascinata da un suo illustre figlio e de-stinata a decidere i destini del mondo17. Essi sarebbe-ro sapienti depositari della conoscenza originaria.

I superstiti di questo po-polo secondo tali dottrine esoteriche si sono rifugiati nelle lontane montagne del Tibet e nelle terre del Nord Europa. Si narra di eroi ariani dotati di facoltà paranormali, uomini per-fetti. La farneticante mis-sione che molti di questi circoli si danno è ricercare i progenitori del popolo

tedesco e riportare alla luce i segni inequivocabili dell’antico splendore.

L’antisemitismo trova le sue radici in un filone pre-ciso della storia tedesca ed europea ma si nutre anche delle teorie di questi circoli iniziatici di cui Hitler fareb-be parte di ciò abbiamo alcuni indizi non prove cer-te. certo è, che Hitler con-sapevole che questi temi non suscitavano grande consenso e per sempre cura di vietare discussioni e prese di posizione pub-bliche sull’aspetto esote-rico del suo movimento politico questa allucinan-te visione del mondo il popolo germanico avreb-be un solo nemico degli ebrei. Il popolo ebraico e l’antagonista l’avversario con cui ingaggiare l’ultima

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battaglia per il dominio dell’umanità Hitler crede di essere l’erede di questo antico sapere che vuole il ritorno l’avvento dei nuovi superuomo.

Nel giugno 1938 Hitler ordina una spedizione sulle lontane inaccessi-bili montagne del Tibet, una regione così impervie e sconosciuta che attira molti studiosi e appassio-nati.

L’idea è che vi si possono trovare gli elementi umani ed animali incontaminati nella loro purezza. Capo della missione è Ernst Schäfer, un austriaco è un giovane e brillante botani-co già protagonista di altre spedizioni. Il programma di viaggio prevede la par-tenza dall’India poi un

passaggio pieno di insidie attraverso i valichi dell’Hi-malaya e ancora l’esplora-zione delle pianure degli altipiani e delle montagne, destinazione finale Lha-sa la città del Dalai Lama, capitale del Tibet e luogo interdetto ai visitatori occi-dentali.

→ locandina di Geheminis Tibet(Secret Tibet), Hans Albert Lettow,1939

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18. Trascrizione del documentario “I TRE VOLTI DEL NAZISMO”, in RaiTV (internet), http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/Conten-tItem-612bbf4c-4822-4372-9487-9881c8f1d7d6.html consultato il 31 dicembre 2016.

Le tappe di questo viaggio sono documentate in un filmato destinato esclusivamente ad uso scientifico e mai proiettato nelle sale cinematografiche tedesche.

È un minuzioso diario di viaggio che racconta spo-stamenti e vicende dei predatori delle origini per-dute. Altri documentari vengono girati in altri luo-ghi del pianeta come ad esempio quello girato in Brasile. L’obiettivo ufficiale della missione in Brasile è quello di saldare i rappor-ti di amicizia e stabilire nuovi accordi e iniziative culturali. Questo insolito documentario diversa-mente da quello girato in

Tibet viene proiettato nel-le sale del Reich, ha toni rassicuranti da opuscolo turistico e non lascia intra-vedere nulla dei veri scopi della missione. Sei milioni di chilometri quadrati, una sconfinata foresta pluviale che circondano l’immen-so Rio delle Amazzoni e anche qui come in Tibet si praticano riti tribali an-che qui crescono potenti piante allucinogene alma-nacchi e bollettini di scien-ze esoteriche insegnano come riconoscerle e come raggiungerli18.

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→Ernst Schäfer,photo by

Ernst Krause, 1938

Bundesarchiv: Bild 135-KB-

14-083

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1.4AKTION T4Abbreviazione di “Tier-gartenstrasse 4” zona di Berlino dove era situato il quartier generale dalla “Gemeinnützige Stiftung für Heil und Anstaltspfle-ge”, l’ente pubblico per la salute e l’assistenza socia-le, progetto di soppressio-ne dei disabili tedeschi e austriaci del Terzo Reich.

Uno dei centri nevralgici del pensiero nazista fu l’eu-genetica, ovvero quell’in-sieme di metodi volti all’af-fermazione di una specie umana “perfezionata” (di razza ariana, nel caso spe-cifico). Il governo nazista non perde tempo e il 14 lu-glio del ’33 emana la Legge per la prevenzione della prole affetta da malattie ereditarie: è la cosiddetta Legge per la sterilizzazio-ne forzata dei disabili19. Sei giorni dopo (20 luglio ’33) è firmato il Concordato con il Vaticano firmato dal Nunzio Pacelli (Pio XII).

Non ci furono infatti cri-tiche all’interno della co-munità medica tedesca o internazionale perché la cultura volta al miglio-ramento biologico della popolazione era molto

19. Giancarlo RESTELLI, LO STERMINIO DEI DISABILI NEL TERZO REICH, in Restelli Storia (blog), http://restellistoria.altervista.org/pa-gine-di-storia/giorno-della-memoria/lo-sterminio-dei-disabili-nel-ter-zo-reich/ consultato il 30 gennaio 2017.

→ Autore sconosciuto1938 circa

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20. Trascrizione del documentario EUGENETICA E MALATTIA MENTA-LE. L’ANTROPOLOGIA DEGLI ORRORI, in Rai Storia (internet), http://www.raistoria.rai.it/embed/eugenetica-e-malattia-mentale-lantropolo-gia-degli-orrori/5829/default.aspx, consultato il 1 febbraio 2017.

diffusa. Anche i parenti delle persone sterilizzate non protestarono pubbli-camente. Neppure le due chiese protestarono. Le dif-ficoltà economiche della Germania negli anni Tren-ta, con il peggioramento del livello di assistenza nei manicomi e nelle case di cura, accentuano le tendenze omicide verso i disabili. Fin dal ’33 furo-no drasticamente ridotti i fondi destinati agli istituti psichiatrici in modo da far balenare l’idea negli stessi operatori ospedalieri sulla necessità di sopprimere queste vite inutili. Intanto la Germania nazista prepa-ra il terreno adatto con una “intelligente” campagna di sensibilizzazione attraver-so cui si cerca di convin-cere l’opinione pubblica tedesca che non tutte le

vite meritano di essere vis-sute. Per esempio intorno alla metà degli anni Trenta compaiono dei manifesti murali a cura del partito nazista in cui è scritto:

“Questo paziente affetto da una malattia ereditaria costa, durante la sua esi-stenza, 60.000 RM al popo-lo. Connazionale, si tratta anche dei tuoi soldi!”.

Una diabolica campagna di persuasione occulta attraverso film, cortome-traggi, radio, manifesti, opuscoli e ogni sorta di iniziativa. Alla metà degli anni trenta, nel momen-to delle sterilizzazioni di massa, sono girati due documentari: “Das Erbe” (L’eredità, 1935) - film di-dattico e dal tono scien-tifico “inconfutabile”, che

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21. Giancarlo RESTELLI, LO STERMINIO DEI DISABILI NEL TERZO REICH, in Restelli Storia (blog), http://restellistoria.altervista.org/pagine-di-storia/giorno-del-la-memoria/lo-sterminio-dei-disabili-nel-terzo-reich/ consultato il 30 gennaio 2017.

22. Alessandro MATTA, EUTHANASIEFILM: I FILM NAZISTI PRO-EUTA-NASIA SULL’ “OPERAZIONE T4”, in Cinemecum (internet), http://www.cinemecum.it/newsite/index.php?option=com_content&view=article&id=1486%3Aeuthana-siefilm-i-film-nazisti-pro-eutanasia-sull-operazione-t4-&catid=83&Itemid=338 consultato il 2 gennaio 2017.

rappresentava le impli-cazioni mediche e sociali delle tare ereditarie e che rappresentava l’idea na-zista di darwinismo e di «sopravvivenza del più for-te», le scene di selezione naturale vengono montate a contrasto con le riprese scioccanti girate negli isti-tuti psichiatrici20; “Opfer der Vergangenheit” (Vit-tima del passato, 1937) - il film metteva a confronto il popolo «sano» con sce-ne tratte dalle corsie degli istituti psichiatrici, popo-late di esseri «deformi» e «degenerati» e conclude che ciò era dovuto ad una violazione delle regole del-la selezione naturale, a cui si sarebbe dovuto porre ri-medio ripristinandole con

«metodi umani». La prima del film si tenne a Berlino, introdotta dal leader dei medici del Reich, Wagner, e successivamente proiet-tato a lungo in 5300 centri cinematografici, dislocati in tutta la Germania21.

Si stima che l’attuazione del programma “T4” ab-bia portato all’uccisione di un totale di persone compreso tra le 60.000 e le 100.00022.

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Casi studio

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DER SIEG DES GLAUBENSLeni Riefenstahl1933L’idea di fondo emerge chiaramente da quello che sin dalla prima visio-ne appare come un me-dio metraggio ben curato: rappresentare il Parteitag selezionando momenti particolarmente signifi-canti che, a prescindere dal reale svolgimento del congresso, ne esprimano il carattere e lo spirito e che riescano a evidenziare l’entusiasmo delle centi-naia di migliaia di parte-cipanti e il loro favore nei confronti di Hitler1.

Il film è diviso in sei ma-crosequenze separate da doppia dissolvenza e, in

un caso (dalla prima alla seconda), da dissolvenza incrociata. Ognuno di que-sti nuclei si caratterizza per omogeneità tematica e narrativa e, a seconda della durata, si suddivide internamente in sequenze diversamente articolate2.

Sequenze:

• L’arrivo a Norimberga

• Nuvole sopra Norimberga

• Costruzione delle tribune e risveglio

• Arrivo delle SA dalle campagne

• Arrivo dei gerarchi alla stazione

• Arrivo di Hitler

• Apertura del congresso

1. Partecipano al congresso circa 400.000 persone: tra funzionari, giova-ni della Hitlerjugend, membri della SA e SS ed altri.

2. Trascrizione del parlato in LOIPERDINGER-CULBERT, Leni Riefenstahl, the SS, and the Nazy Party Rally Films, pp.18-28

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• Saluti delle autorità nell’Altes Rathaus

• Apertura al congresso nella Luitpoldhalle

• Luitpoldarena, arrivo del Fuhrer e delle altre autorità

• Incontro con la Hitlerjugend

• Parata davanti al Fuhrer

• Commemorazioni

Ad eccezione della prima parte (seq. 1 e 2), le se-quenze sono dei blocchi tematici - narrativi che si susseguono non tempo-ralmente. In tal modo le quattro giornate di con-gresso vengono compat-tate in un’unica giornata. Più articolato lo sviluppo spaziale che rende iden-tificabili i diversi luoghi in cui si svolgono gli even-

ti del congresso. Il film è costruito con inquadra-ture che parcellizzano lo spazio e punti di vista che cambiano costantemente angolazione, prospettiva e distanza rendendo tutto molto dinamico. Il mon-taggio è serrato e mantie-ne alta l’attenzione. Risulta talvolta ostentato il rap-porto di Hitler con la folla3.

La colonna sonora è parti-colarmente curata in rap-porto alle immagini con le quali instaura relazioni di sintonia e contrappunto.

Per la prima volta la regi-sta, non nuova al montag-gio e al ritmo, si confronta con la gestione di materiali ripresi da una realtà su cui non si è potuto interve-nire, una realtà che può essere modellata solo in

3. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.43

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sede di montaggio. Per la strutturazione del testo, cura della musica, forte attenzione al ritmo, per le suggestioni d’avanguardia è dichiaratamente ispirato a Berlin. Symphonie einer Großstadt (1927) di Wal-ter Ruttmann4. Le orge di bandiere, le masse dei mi-litanti accalcati, le migliaia di braccia alzate nel saluto tedesco schiacciate dai potenti teleobiettivi appa-iono sì stilizzate, ma non astratte; decontestualizza-te e quasi irriconoscibili, ma non per perdere il loro carattere, piuttosto per farne emergere l’essenza. La rappresentazione del-le masse in Der Sieg des Glaubens verosimilmente ricalca in pieno i suggeri-menti di Béla Balàsz5, che scrive:

«Una massa di uomini […] ci mostra un’immagi-ne sovraindividuale del-la società umana. Non semplicemente la somma di singoli uomini, ma un organismo vivente a sé. Con struttura e fisionomia proprie. […] Per poter mo-strare i gesti [della massa] in modo chiaro, la massa rappresentata non deve essere priva di contorni, caoticamente amorfa. In un buon film la folla è “strutturata”, nei suoi rag-gruppamenti e movimenti, fin nei minimi particolari. […] Il buon regista potrà mostrare la fisionomia vi-vente della folla, la mimi-ca del “volto” delle masse solo servendosi di primi piani, grazie ai quali non la-scerà mai che il singolo in-dividuo scompaia o venga dimenticato. […] Con una

4. In relazione alle musiche si veda Reimar VOLKER, “Von oben sehr serwunscht”. Die Filmmusik Herbert Windts im NS-Propagandafilm, Wis-senschaftlicher Verlag, Trier 2003, PP. 49-79, 168-182

5. Pseudonimo di Hermann Bauer, teorico del cinema e sceneggiatore ungherese (Szeged, 1884-Budapest 1949). Comunista convinto, nonché ebreo, a causa del nazismo si trasferisce a Mosca, insegnerà all’Accademia cinematografica. Insieme alla Riefenstahl scrive Das blaue Licht, esordio della cineasta, in seguito i due avranno problemi di diritti d’autore.

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serie di riprese in dettaglio da elementi in primo pia-no e di sfondo ci mostrerà i singoli granelli di sabbia di cui è composto questo de-serto, in modo che anche passando al quadro totale resti presente la brulicante vita interiore dei suoi ato-mi. In siffatti primi piani percepiamo la vivida ma-teria spirituale di cui sono composte le grandi mas-se»6.

Der Sieg des Glaubens ha avuto una storia travagliata e i suoi problemi non sono causati solo da un contesto storico in evoluzione. È stato girato in tempi stretti e senza un’adeguata prepa-razione del teatro di posa in esterni. Non solo: le ca-micie brune faranno tutto il possibile per creare dif-

ficoltà, veri e propri sabo-taggi, come per lo sman-tellamento dei binari per le cineprese fatti installare dalla Riefenstahl. Il mate-riale adatto per il montag-gio sarà scarso e di medio-cre qualità. In realtà, tutta l’organizzazione dell’even-to presenta dei problemi: la troupe della Riefenstahl non ha alcuna priorità e deve scontrarsi con coreo-grafie inesistenti, fotografi che si trovano dove non dovrebbero, personaggi ingestibili che non sanno cosa fare. Non a caso, la regista era considerata un elemento estraneo e trat-tata con poco rispetto. Il ritiro dalle sale, avverrà in seguito la notte dei lunghi coltelli, in cui Ernst Röhm, colonnello generale (Stab-schef) delle SA verrà arre-stato e poi ucciso, la sua

6. Bèla BALASZ, L’UOMO INVISIBILE, a cura di Leonardo Quaresima, Torino, Lindau, 2008, pp. 181-183

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presenza accanto al Fuhrer nel documentario sarà troppo ingombrante per la promozione del partito.

Troppo “sincero”Der Sieg des Glau-bens commette un grosso errore: mostra la realtà e non la costruisce, è un film pericolosamente sincero. Bambini seduti sul ciglio di una strada salutano una colonna di camicie brune in marcia verso No-rimberga; sono piuttosto mal vestiti, alcuni sono scalzi. Un gatto grassoccio osserva il tutto da dietro un’inferriata. La colonna in marcia è rilassata e di-sordinata, con uomini che chiacchierano, entrano ed escono dai ranghi, guar-dano in cinepresa riden-

do. Questa può essere la verità, ma la propaganda non è questione di verità: i bambini dovranno esse-re sobri, ma non neces-sariamente “perfetti”. E’ come quando il politico di turno si presenta per fare il suo bel monologo con i primi due bottoni della camicia aperti: “Guardate, sono affabile e rispettabi-le”. I bambini di Triumph des Willens sono appunto sobri ma non perfetti, de-liziosi da vedersi, ben pet-tinati e vestiti. Persino le SA, corpo notoriamente ri-belle e rumoroso, sarà ri-preso in modo da non creare problemi: dall’alto, rendendone la presenza appena accennata. Ecco uno dei punti in cui i due film differiscono, grazie a una preparazione ad hoc, non il film per il congresso,

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ma il congresso per il film. D’altra parte difficilmente la propaganda offre para-goni al ribasso, in fondo è tutta questione d’apparen-za. Preferire altro a capaci-tà e lungimiranza: presun-te credibilità e autorità, un vestito elegante o la capa-cità di parlare per ore sen-za dire niente.

Confusione e difficoltà nella scansione dei tempiLeni Riefenstahl è chia-mata a filmare e non ha controllo su quanto le ac-cade di fronte: in parole povere, deve limitarsi a produrre materiale visivo. Non avendo vita facile, il risultato sarà un generale sbilanciamento tra fasi più

importanti, forzosamente ridotte, e altre di contorno, inutilmente estese. L’arrivo delle colonne di camicie brune SA a Norimberga è lunghissima, se messa a confronto con quella dell’arrivo di Hitler. Dopo la breve sequenza dell’ar-rivo di Hitler all’aeroporto, si passa a una sezione a malapena comprensibile col suo passaggio in auto tra la folla: inquadrature confuse e tremolanti, bu-chi nella folla che si muove senza controllo, fumo che confonde la visuale. I cor-doni delle SA sono ripresi mentre con difficoltà con-tengono il pubblico. Tutto questo denota una com-plessiva mancanza di con-trollo, che un film di que-sto genere non dovrebbe potersi permettere.

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Confusione nella gerarchiaSi capisce che Hitler è il centro dell’azione, ma la sua è una centralità che deve fare i conti con trop-pi “rivali”. Prima di lui sfi-lano i Göbbels e i Röhm accanto ai von Papen (uomo politico della de-stra tradizionalista, in se-guito scampato quasi mi-racolosamente alla Notte dei lunghi coltelli), oltre alle personalità interna-zionali. La sua continua vi-cinanza allo stesso Röhm può far sorgere dubbi su chi realmente abbia il co-mando. Non si capisce in modo inequivocabile chi sia la personalità di riferimento, nessun mes-saggio univoco, come nel caso di Triumph des Wil-lens. Solo allora saranno

determinate le gerarchie interne al partito e un’in-tera classe politica sarà spazzata via.

Quando viene girato Der Sieg des Glaubens, però, Röhm è quasi un pari di Hitler. Dai fotogrammi ap-pare evidente: prima ve-diamo Röhm stringere la mano a Hitler (1), per poi salire a bordo dell’auto. Da quel momento seguiranno il passaggio del corteo dei corpi paramilitari l’uno a fianco dell’altro, alla stes-sa altezza. Si tratta di una confidenza mai più con-cessa; Hitler non avrà più dei pari. Il capo delle SA Röhm sarà sostituito da un uomo di provata fedeltà, tale Viktor Lütze. Saranno lui e Himmler gli officianti del culto civile, con Hitler, nel 1934 a Norimberga;

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lo scorteranno anche du-rante la rivista del corteo, mantenendo sempre un passo indietro.

Triumph des Willens con-tribuisce a stabilire quale debba essere la gerarchia: possiamo vedere come Lütze, avvicinatosi all’auto di Hitler, prima esegua il saluto, gli stringa la mano e quindi obbedisca a un gesto preciso (foto 4). Si posiziona di fronte all’au-to e Hitler pone una mano sulla sua spalla in segno di

supremazia. Da notare che non c’è quasi contatto visi-vo fra i due7.

È vero che la regia è com-plessivamente incerta, che qualcosa, anche di clamo-roso, sfugge al controllo, ma il modello di fondo è valido tanto che, appli-cato con padronanza nel successivo Triumph des Willens, darà dei risultati straordinari.

→ Tersite Cinema.

7. AAVV, DER SIEG DES GLAUBENS (1933), inTersiteblog.it, https://ter-siteblog.wordpress.com/2014/10/12/der-sieg-des-glaubens/ consultato il 3 gennaio 2017.

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TRIUMPH DES WILLENSLeni Riefenstahl1935La macchina organizzativa che viene messa in moto per il secondo film è di dimensioni straordinarie soprattutto se considera-ta in rapporto gli standard di produzione di un docu-mentario. La preparazione del film inizia molti mesi prima e si svolge in sinto-nia con l’allestimento del sito del congresso curato da Albert Speer. ll ruolo svolto da Speer nella pro-gettazione del Parteitag-sgelände (l’area a est di Norimberga destinata ad ospitare le manifestazioni dei congressi del NSDAP), che lo porta a diventa-re di fatto lo scenografo

del film, non esclude co-munque Leni Riefenstahl dall’elaborazione degli aspetti scenografici del documentario. Infatti la regista è presente sia nelle fasi più salienti della pro-gettazione, sia in quelle di realizzazione dei lavori a Norimberga e «la prepa-razione del congresso del Partito va di pari passo con la preparazione delle ripre-se del film››.1

Per le riprese la troupe è: composta da 172 persone, fra queste 36 operatori - al-cuni di loro si muovevano sui pattini a rotelle e in di-visa per potersi spostare velocemente e camuffare nella folla - 10 tecnici, 37 addetti al controllo, 12 fo-nici, 17 tecnici luci, 26 auti-sti. Il costo di produzione è adeguato alla grandiosità

1. Leni RIEFENSTAHL, HINTER DEN KULISSEN DES REICHSPARTEI-TAG-FILMS, Monaco, Zentralverlag der NSDAP, 1935, p.31.

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della macchina produttiva e dell’impegno richiesto e ammonta, esclusi i costi di allestimento dello spa-zio del congresso, a circa 400.000 Reichsmark e, un impegno economico stra-ordinario particolarmente alto anche per la realizza-zione di un film di finzio-ne. Triumph des Willens esce come “semplice” do-cumentario della durata di 114 minuti, ossia 3109 metri di pellicola 35mm. contro i 128.000 girati.2

Triumph des Willens, no-nostante l’impegno gran-dioso nella preparazione e nelle riprese, prende cor-po essenzialmente in sede di montaggio dove l’au-trice, lavorando da sola, combina le inquadrature secondo una architettura che colloca gli elementi su

diversi livelli di importanza con l’alternanza di punti forti e deboli, e rispettan-do un ritmo che coinvolga lo spettatore. La realtà del congresso si piega alle esi-genze del montaggio tanto da venire stravolta. Nella sintesi cinematografica, la regista non si limita a se-lezionare gli avvenimenti più interessanti escluden-do quanto non ritenuto rilevante nell’economia del film, ma riorganizza lo sviluppo temporale di ciò che è accaduto a Norim-berga (il congresso si svol-ge dal 4 al 10 settembre 1934), creando una durata diegetica del Parteitag ci-nematografico diversa da quella del Parteitag reale. Parallelamente combina i diversi momenti con un ordine differente in modo da modificarne il senso e

2. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.58.

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la funzione. Non si tratta quindi di un aspetto legato alla diversa articolazione dell’intreccio in relazione alla fabula, ma proprio della costruzione di una fabula nuova rispetto alla realtà.

Attraverso la selezione de-gli eventi, la scelta delle inquadrature, la cura del-le musiche e dei rumori, il montaggio Leni Riefen-stahl costruisce un film in cui ogni momento assume una valenza doppia. Come nota Martin Loiperdinger3, È possibile individuare nel film due livelli di contenu-to: il primo manifesto e palese, il secondo latente, che emerge da una let-tura fra le righe. È come se ci fossero due film so-vrapposti: uno legato alla dimensione denotativa,

che emerge da una lettu-ra “letterale” del testo e che ci mostra dei fatti così come sarebbero accaduti a Norimberga nel settem-bre del 1934; un secondo, che emerge in filigrana dalla sfera connotativa e simbolica e, superando la realtà del congresso in sé, presenta aspetti propri dell’ideologia, dell’esteti-ca, della cultura nazional-socialista validi come mo-dello ben oltre il preciso evento storico raccontato.

Il film è articolato in 12 macrosequenze di diversa durata ed è diviso molto chiaramente in 5 atti che da un lato segnano lo svi-luppo del film in rapporto alle fasi di svolgimento dell’evento di Norimber-ga, dall’altro strutturano il testo in modo da offrire

3. Martin LOIPERDINGER, RITUALE DER MOBILMACHUNG, DER PARTEITAGSFILM THRIUMPH DES WILLENS VON LENI RIEFENSTAHL, cit., p.78.

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al materiale trattato una valenza simbolica che per-mette di far emergere l’es-senza dell’intera liturgia che si attua intorno al con-gresso. La riorganizzazione degli elementi visivi fa si che all’interno della pelli-cola rimangano solo unità fortemente significanti ot-tenendo così un concen-trato particolarmente effi-cace.

La pellicola è dunque com-posta da blocchi tematici e narrativi ben definiti sepa-rati da doppia dissolvenza (in apertura e chiusura) e in un caso, il passaggio dalla IV alla V sequenza, da dissolvenza incrociata a indicare una cesura meno netta. Ciascuna delle 12 macrosequenze ha du-rata differente a seconda dell’importanza e in taluni

casi può essere divisa in ul-teriori sottosequenze. Per-tanto possiamo individua-re complessivamente 22 nuclei tematici e narrativi a loro volta articolati in sce-ne. Ad esclusione dei due casi in cui troviamo una dissolvenza incrociata, i passaggi da una macrose-quenza all’altra, come fra le diverse sottosequenze, sono sottolineati da una cesura a livello del sonoro: interruzione e cambio del brano musicale, passaggio dalle voci alla musica o vi-ceversa. Le sequenze:

• L’arrivo a Norimberga

• In volo su Norimberga

• L’aereo di Hitler atterra

• Il corteo per le strade della città

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• Il concerto in onore di Hitler

• Da Norimberga al Parteítagsgelände

• Dalla vecchia Norimberga allo Zeltlager

• Il risveglio nello Zeltlager

• La sfilata in costume tradizionale

• I giovani dell’Arbeitsfront

• Dall”Hotel Deutscber Hof al congresso

• L’apertura del congresso

• L’intervento di Hess

• Gli interventi dei gerarchi

• Il Servizio del lavoro

• Gli Arbeitsoldaten

• Le parole di Hitler

• Lutze e gli uomini delle SA

• I giovani

• La parata della Wermacht

• Hitler e i funzionari del Partito

• Commemorazioni e rinnovo della fedeltà

• La commemorazione dei caduti

• L’omelia di Hitler sulla stabilità del Movimento

• Il rito della Blutfahne

• Le parate nel centro di Norimberga

• La chiusura del congresso

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Una tripartizione dialetticaI tre grossi blocchi con-tenutistico-narrativi che compongono il film pos-sono essere sinteticamen-te definiti “affettivo” (seqq. I-II), “politico” (seqq. III-X) e “istituzionale” (seqq. XI-XII). Nel primo avviene l’epifa-nia di Hitler, protagonista assieme alla città di No-rimberga con i suoi abitan-ti che lo accoglie festosa.

Qui i gerarchi nazisti tro-vano spazio solo margi-nalmente come semplici figure di contorno, meri elementi pro-filmici, quasi la Riefenstahl ritenesse la loro presenza un di più che potesse distrarre l’atten-zione dall’aspetto centra-

le, cioè il rapporto fra Hit-ler e la città, i suoi abitanti, i suoi monumenti. Si nota in tal senso la differen-za con il precedente Der Sieg der Glaubens in cui il Führer era attorniato dagli altri gerarchi che stavano quasi al suo stesso livello rispetto.

Il secondo blocco è dedi-cato alla dimensione po-litica in quanto conduce l’insieme dei partecipanti all’interno dello spazio de-dicato al congresso. É uno spazio che prende corpo idealmente e si definisce come “luogo altro” rispet-to alla città, tant’è che, escluse poche inquadra-ture della prima sequenza nelle quali durante la sfi-lata in costume e il corteo di auto dei gerarchi che lascia l’Hotel Deutscher

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Hof si intravede qualche strada o palazzo, in que-sto blocco Norimberga è del tutto assente. Questa caratterizzazione di “luogo altro” rispetto alla città è fortemente voluta in sede di montaggio quando si eliminano tutti i riferimenti allo spazio urbano.

É pur vero che il Parteítag-sgelände stava fuori dalla città, ma il Congresso reale si svolgeva in luoghi diversi spostando gli eventi, come si può notare nella tabella sinottica in appendice, fra gli spazi aperti della peri-feria e gli edifici del centro. La scelta dunque di con-centrare tutto il blocco al di fuori della città ha una precisa valenza simbolica.

Peraltro questa parte si distingue anche, e forse

soprattutto, per le forme che la caratterizzano: equi-librio, regolarità, ordine, perfezione formale, rigore geometrico, imponenza, razionalità contrapposti al caos, al disordine, alla confusione che avevano segnato il primo blocco. Simbolicamente lo spazio di svolgimento del con-gresso diventa lo spazio del Partito.

Il terzo blocco ha un valo-re di sintesi. Da un lato ri-porta Hitler e i partecipanti nel cuore della città, che viene da loro letteralmen-te occupato e trasformato con le geometrie regolari e meccaniche delle parate che si incontrano/scontra-no con le linee divergenti dell’architettura medioe-vale; dall’altro sanciscono l’ufficialità della vittoria

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nell’affermazione del Rei-ch. La città che simboli-camente si era aperta per ospitare il Partito nazio-nalsocialista ora se ne im-pregna e ne diventa parte integrante. Viene rappre-sentata così la nuova Ger-mania che ha preso corpo dopo l’ascesa al potere del Movimento nazionalsocia-lista e che ora si ritrova con il suo popolo e la sua gui-da per festeggiare il trionfo della volontà. Non siamo più come nella macrose-quenza di apertura in un rapporto di interazione fra Hitler e Norimberga.

Qualcosa è cambiato. Chi arrivava dall’alto come un ospite illustre accolto con fervore dalla città, dopo i cerimoniali del congres-so ha assunto il ruolo di capo indiscusso della città

e, simbolicamente, della Germania e del suo popo-lo. Ciò può essere notato dal superamento del gioco di sguardi, l’alternanza di soggettiva e oggettiva che offriva allo spettatore il pri-vilegio di guardare con gli occhi di Hitler e di trovarsi nel posto in cui Hitler guar-dava - e dalla sostituzione dei cittadini da parte dei militanti nazisti.

Sono infatti questi ultimi che ora occupano il cen-tro della città e con loro che il Führer è in rapporto. I “normali” cittadini sono semplici spettatori di un evento, non più protagoni-sti. Hitler in piedi nella sua macchina riceve l’omaggio di gerarchi e militanti in una situazione marcata-mente formale4.

4. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.63.

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La trasformazione dello spazio e del tempo e l’invenzione della realtàLa vicenda cinematogra-fica si articola nell’arco di quattro giorni. Il passag-gio fra le diverse giornate è scandito dalle scene in notturna, chiari marcatori temporali che definiscono nettamente la fine della giornata. Dell’ovvia sintesi che il film fa degli avveni-menti effettivi, la prima cosa che appare è la ridu-zione del tempo reale di sviluppo dell’evento dai suoi concreti sette giorni solamente a quattro. Ed è questo un aspetto non marginale delle scelte del-

la regista nella organizza-zione del girato. Lei infatti non si limita a selezionare gli avvenimenti più inte-ressanti escludendo quan-to non ritenuto rilevante nell’economia del film, o a utilizzare ellissi, pau-se, estensioni, o ancora a giocare sull`ordine e la frequenza. La Riefenstahl riorganizza lo sviluppo temporale di quanto ac-caduto a Norimberga dal 4 al 10 settembre 1934, concentra e accorpa gli eventi e arriva a creare un durata diegetica del Partei-tag cinematografico diver-sa da quella del Parteitag reale. I vari momenti poi assumono un ordine diffe-rente, modificano il senso e acquistano una nuova funzione. Non si tratta quindi di un aspetto legato alla diversa articolazione

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dell’intreccio, ma proprio della costruzione di una diegesi nuova, in qualche modo autonoma rispetto alla realtà del Congresso. Esempi evidenti di questo modo di procedere sono il concerto che si svolge da-vanti all’Hotel Deutscher Hof alla fine della prima giornata5 e le parate nel centro della città. Ma la Riefenstahl non si limi-ta a una riorganizzazione del tempo diegetico, in-fatti anche la collocazio-ne spaziale subisce degli adattamenti che servono sia ad accorpare per en-fatizzare le situazioni sia a produrre nuove scene. Ne abbiamo un esempio par-ticolarmente significativo a proposito della manife-stazione di apertura del congresso che nel film è ambientata nel Parteitag-

sgelände fuori dalla città con immagini filmate prin-cipalmente in edifici del centro storico. Nella quar-ta sequenza, infatti, dopo l’intervento di Hess che ri-corda Von Hindenburg ed esalta la figura del Führer in quanto garante di vit-toria, pace e giustizia, in-tervengono ministri e ge-rarchi del partito che con brevi slogan richiamano punti chiave delle politi-che o dell’ideologia del Movimento. Si presenta quindi, pur con consistenti ellissi, un unico contesto in cui parlano più persone per ricapitolare uniforme-mente le parole d’ordine del Movimento ora al go-verno della Germania. Se andiamo a osservare la realtà notiamo che quanto mostrato nella sequenza non corrisponde a quan-

5. Leni RIEFENSTAHL, MEMOIREN, Auflage (Germany) (1987), St Mar-tins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., p.27.

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to accade nel congres-so, ma il tutto è frutto di montaggio e, in taluni casi, addirittura di recitazione in studio. Infatti durante l’apertura del Parteitag abbiamo l’intervento di Hess ma non quello degli altri gerarchi che si tengo-no invece in altri momenti e luoghi. Secondo Speer, fra l`altro, diversi inter-venti, fra i quali una parte di quello dello stesso di Hess, sono stati ripetuti in studio. «Nel 1935 - ricorda l’architetto - accadde che la ripresa cinematografica di una seduta solenne del congresso del partito non riuscì bene. Accogliendo un suggerimento di Leni Riefenstahl, Hitler ordinò che le scene mal riuscite fossero ripetute in studio. In un grande teatro di posa di Berlino-johannistal pre-

parai un fondale che rap-presentava uno scorcio della sala dei congressi, con il podio e la tribuna dell’oratore, e facemmo le prove delle luci puntando-vi sopra i riflettori mentre i tecnici correvano avanti e indietro affaccendati e più a distanza Streicher, Ro-senberg e Frank andavano su e giù con i copioni, cer-cando con zelo di manda-re a memoria le loro parti. Quando Hess giunse, fu pregato di farsi riprendere per primo, e lui, proprio come se si fosse trovato davanti ai trentamila del congresso del partito, alzò la mano, assunse il tono eccitato che gli era carat-teristico e, voltosi verso il punto esatto dove Hitler avrebbe dovuto essere (ma non era), rigido e teso

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da sembrare sull’attenti esclamò:

“Mein Führer, le porgo il saluto del congresso del partito. Il congresso prosegue i suoi lavori. Parla il Führer”.

Anche gli altri tre recitaro-no la loro parte in modo molto realistico davanti al

vuoto teatro di posa, di-mostrando di essere inter-preti di notevoli capacità. Io ero seccatissimo, men-tre la signora Riefenstahl era pienamente soddisfat-ta, trovando che le scene ricostruite fossero superio-ri a quelle originali››.6

La Riefenstahl smentisce questo racconto sostenen-

→ Tersite Cinema.

6. Albert SPEER, MEMORIE DEL TERZO REICH, Berlino, Orion Publish-ing Group, 1970, cit., pp.74-75.

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do che i vent’anni trascorsi nella prigione di Spandau hanno certamente fatto confondere l’architetto. «È vero - scrive la regista - che Speer aveva ricostruito il podio del congresso nella sala di un cinema, dove fu ripreso un primo piano di Iulius Streicher, ma non di Rudolf Hess. Durante il discorso di Streicher a Norimberga, all’operatore era mancata la pellicola, e dato che Streicher come Gauleiter della Franconia doveva apparire una volta sola, si è dovuta riprende-re di nuovo una frase di pochi secondi. Duran- te questa breve scena oltre Speer, Streicher e alcuni membri della troupe, non era presente nessuno, non c’erano né Hess, né Frank, né Rosenberg, e neanche io, e in seguito non fu gira-

ta nessuna scena di Rudolf Hess››7. Questa afferma-zione, poco credibile in quanto riferita a un conte-sto in cui opera una troupe di dimensioni eccezionali con ben trentasei operato-ri, se da un lato smentisce Speer, dall’altro conferma che qualcosa è stata reci-tata in studio, il fatto poi che a essere recitato fosse proprio l’unico interven-to esplicitamente riferito alla purezza della razza ha delle ulteriori implicazioni in quanto dimostra l’im-portanza dell’argomento nell’economia del film. Pertanto Leni Riefenstahl nel cercare di contestare un’affermazione di Spe-er arriva a confermare in modo implicito la realizza-zione di specifiche scene ad hoc.

7. Leni RIEFENSTAHL,MEMOIREN, Auflage (Germany) (1987), St Mar-tins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., p.778.

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Si può quindi affermare che la Riefenstahl nel suo film costruisce un con-gresso diverso da quello svoltosi a Norimberga nel 1934 anche se nelle testi-monianze, interviste, di-chiarazioni rilasciate dopo la guerra non ha perso occasione per sostenere che nella pellicola «non ci sono scene ricostruite, “tutto è vero” ed è solo «un documentario››8.

Il suo terrore di essere ac-cusata di aver fatto un film di propaganda nazista la porta a negare anche ciò che è evidente. Eppu-re nell’intervista rilascia-ta nel 1965 ai «Cahiers du cinéma», lei stessa in qualche modo spiega il perché di questa opera di riorganizzazione delle informazioni: il problema

è di rendere «seducente›› quanto si vede e ciò si ot-tiene «drammatizzando›› e «dando ritmo». È chia-ro che riconoscere aper-tamente di aver lavorato per rendere «seducente» il congresso del Partito nazi-sta significa anche ammet-tere di aver fatto un’opera di propaganda. Nell’inter-vista la Riefenstahl a pro-posito della lavorazione, dopo aver parlato di pro-blemi di natura organizza-tiva, dice: «Ma la grande dif-ficoltà stava nel fatto che gli eventi in quanto tali si ripetevano costantemen-te nella stessa forma: non c’erano che discorsi, mar-ce e raduni. Dunque era in-finitamente più impegnati-vo di quanto non lo fosse per le Olimpiadi cogliere l’evento in maniera sedu-cente (captivante).“E più

8. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.80.

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avanti, dopo aver ribadito che si tratta di un «film-vérità», continua:

“Ho cercato di fare un film che colpisse ed eccitasse. Un film poetico e dinamico.”9

Si può certamente discute-re sulla poeticità del film, ma difficilmente se ne può negare l’energia e l’effica-cia comunicativa, la capa-cità di coinvolgere, talvolta anche emotivamente, e l’intensità delle immagini. D’altra parte la Riefenstahl nella stessa intervista so-stiene: «Ciò che è puramen-te realista, scena di vita vis-suta, ciò che è mediocre, quotidiano, questo non mi interessa. Solo l’inusuale, il particolare mi eccitano. Sono affascinata da ciò che è bello, forte, sano, da ciò

che è vivo››10. Non c’è quin-di una preoccupazione in senso realista, c’è invece la volontà di esprimere forza e potenza, grandiosità e vi-talità, perfezione ed equili-brio. Peraltro non pare che il problema della fedeltà al fatto storico si ponesse neanche per il committen-te, preoccupato di creare un evento grandioso e di forte impatto. L’esigenza di Hitler e di Goebbels era quella di ottenere un effet-to che colpisse lo spettato-re per la sua grandiosità e permettesse di collocare l’evento e pertanto le figu-re che ne sono protagoni-ste, Hitler in primis ma poi il Partito, il Reich, i gerarchi e la massa dei partecipanti in quanto espressione del popolo tedesco - al di là della dimensione storica nella sfera del mito.

9. Michel DELAHAYE, LENI AND THE WOLF: INTERVIEW WITH LENI RIEFENSTAHL, in Cahiers du Cinéma in English (New York), June 1966. Read more: http://www.filmreference.com/Films-Thr-Tur/Tri-umph-des-Willens.html#ixzz4Ysa3btyq

10. Ibidem

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La preoccupazione di sot-tolineare la natura docu-mentaria di Triumph des Willens, e quindi il suo carattere di mera ripro-duzione di fatti realmente accaduti, dopo la fine del-la guerra e la caduta del nazismo, Leni Riefenstahl - accusata di aver soste-nuto il regime attraverso i suoi film e quindi di ave-re delle responsabilità in tutto ciò che è successo in Germania fra il 1933 e il 1945 - si difende negando alcune importanti pecu-liarità del film e del suo lavoro e sostenendo, sul filo del paradosso in quan-to nega il ruolo produttivo dell’artista nel momento in cui ne rivendica i meriti e i diritti, di essersi limitata a riprendere ciò che stava davanti agli occhi di tutti. Nel filmare la realtà neces-

sariamente la si reinterpre-ta, se ne coglie un aspetto per ometterne tanti altri, si sceglie “un” punto di vi-sta. Ma c’è una differenza fra l’interpretare e il rein-ventare, e c’è soprattutto quando la reinvenzione si sovrappone alla realtà e la sostituisce creando un qualcosa di nuovo.

A questo punto la linea di demarcazione, una linea flebile e instabile, talvolta quasi invisibile, che separa il documentario dalla fi-ction si sposta dall’univer-so del reale per collocarsi in quello fittizio. È quanto accade nel film di Leni Rie-fenastahl.

Liturgia nazistaIn relazione al film la com-ponente rituale si attua al-

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meno a tre livelli: ci sono i riti del congresso politico colti nella loro dimensione documentaria e accentua-ti dalla rappresentazione cinematografica; c’è il rito che si svolge nel momento della fruizione della pelli-cola, quando gli spettatori sono chiamati, secondo le disposizioni del Führer, a “esperire” il film in base a precise modalità; e c’è anche il rito prodotto dal film stesso attraverso il lin-guaggio cinematografico per integrare e ampliare la forza della liturgia del congresso. In un film come Triumph des Willens, dove la cerimonialità dell’even-to che si racconta è di per sé ridondante, quest’ul-timo aspetto della com-ponente rituale rischia di apparire semplice arricchi-mento cinematografico di

un accadimento reale. Ma un’attenta osservazione della pellicola permette di cogliere diversi momenti in cui il rito è mero prodot-to della macchina cine-matografia. All’interno del blocco che abbiamo chia-mato “affettivo”, il rito è assente. Sono certamente presenti elementi portato-ri di una dimensione sim-bolica propri della rituali-tà nazista - basti pensare alla ripetizione di gesti e parole dal carattere “magi-co” e sacralizzante quali il braccio alzato con la mano aperta, le parole “Heil Hit-ler”, “Sieg Heil” -, come an-che comportamenti ricon-ducibili ai cerimoniali di culto del capo, ma il modo in cui vengono presentati li colloca in una dimensione non rituale. La naturalezza e l’entusiasmo, i ricorrenti

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sorrisi, il gioco di sguar-di scambiati fra Hitler e la folla caratterizzano questo momento e lo contraddi-stinguono per spontaneità e informalità privandolo in qualche modo della di-mensione cerimoniale.

L’ingresso nel secondo blocco, marcato dal cam-biamento delle forme disordinate dei tetti del centro di Norimberga con la perfetta regolarità della disposizione delle tende nel Zeltlager dei parte-cipanti, modifica questo carattere. Le stesse mo-dalità con cui il passaggio avviene assumono una valenza rituale che può sussistere solo nella di-mensione cinematogra-fica. Solo a questo livello infatti è possibile che l’av-vicendarsi di due giornate

possa avere una valenza simbolico-rituale. Subito dopo il risveglio si notano evidenti cambiamenti che progressivamente esclu-dono gli aspetti informali per collocare ogni singo-lo elemento visivo in una dimensione simbolica e cerimoniale. Dopo l’offer-ta dei doni a conclusione della sfilata dei costumi tradizionali, Hitler pas-sa in rivista un gruppo di giovani dell’Arbeitsfront. Volti statuari, disposizione in ranghi regolari, assetto militaresco caratterizzano questo gruppo che, im-mobile, tende ossequio al Führer.

Il terzo blocco ha un valo-re di sintesi. Da un lato ri-porta Hitler e i partecipanti nel cuore della città, che viene da loro letteralmen-

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te occupato e trasformato con le geometrie regolari e meccaniche delle parate che si incontrano/scontra-no con le linee divergenti dell’architettura medioe-vale; dall’altro sanciscono l’ufficialità della vittoria nell’affermazione del Rei-ch millenario. La città che simbolicamente si era aperta per ospitare il Par-tito nazionalsocialista ora se ne impregna e ne diven-ta parte integrante.

I rituali, in sintonia con la stratificazione che carat-terizza il film, si svolgono a più livelli. Uno è quello del-la realtà, dove la macchina da presa raccoglie immagi-ni che vengono combinate al tavolo di montaggio nel rispetto della sostanza di ciò che accade. L’altro è quello della finzione, dove

la macchina da presa uti-lizza immagini della realtà e le combina in modo da ottenere un senso che la realtà da sola non avrebbe saputo o potuto dare. Le modalità con cui avviene il passaggio fra il primo e il secondo atto assumono una valenza liturgica che può sussistere solo nella dimensione cinematogra-fica. Solo in questa sfera infatti è possibile che l`av-vicendarsi di due giornate - si tratta di un momento non dedicato alla rappre-sentazione del congresso ma “apparentemente” di semplice contestualizza-zione possa gravarsi del valore simbolico di un rito di passaggio, con un officiante, ruolo svolto dall’istanza narrante, dei partecipanti, gli spettatori in sala, e la caratteristica

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della ripetitività, tipica del rito, garantita dalla poten-zialmente infinita replica della proiezione del film. Il primo atto si è chiuso con le immagini di un concer-to notturno in omaggio al Führer. Il nero della notte si confonde con la dissol-venza in chiusura e con lo sfondo che segna la fine della sequenza. Contem-poraneamente si inter-rompe il ritmo allegro delle marcette e man mano che l’immagine si ricompone nella dissolvenza in aper-tura entrano le note del Preludio al terzo atto del Meistersinger di Wagner. La città semideserta dor-me ancora, come cullata dalla quieta musica extra-diegetica. La macchina da presa si sofferma a ripren-dere, da diverse angola-zioni, il borgo medioevale

dall’architettura gotica, le stradine strette, i canali, i tetti intersecati in un reti-colo labirintico disordina-to e confuso, i monumenti La città, osservata già in precedenza dall’aereo e da terra con le strade pie-ne di folla festante per l’ar-rivo di Hitler, in queste in-quadrature lente, deserte, sobrie sembra palesare la sua essenza di emblema del passato della Germa-nia. La presenza dei sim-boli del nazismo, alquanto ridotta rispetto alle orge di bandiere, svastiche e aquile presenti nelle altre parti del film, condiziona marginalmente la perce-zione dello spazio urbano permanendo sempre in secondo piano.

Intanto, alle note di Wa-gner si sovrappongono i

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rintocchi di una campana provenienti da un livello non definito, se dalla sfe-ra diegetica, a indicare il risveglio, o da quella ex-tradiegetica come com-ponente della musica di sottofondo. Le immagini sfumano e, in dissolven-za incrociata, vengono sostituite da quelle dello Zeltlager, il campo con le tende dei partecipanti al congresso. Le linee diver-genti che caratterizzano il centro storico sono sosti-tuite dai regolari paralle-lismi dell’accampamento dove domina l’ordine e il rigore geometrico. Le ten-de disposte in perfetta cor-rispondenza e simmetria, pur richiamando con le linee oblique dei loro tetti la sequenza precedente, si contrappongono all`ar-chitettura medievale. Con-

trapposizione sottolineata anche dal colore chiaro delle tende contro lo scuro degli edifici. Il modello na-zista - grandiosità, impo-nenza, ordine, razionalità, schematismo - ha preso il posto del groviglio urbano derivato dal sovrapporsi nei secoli precedenti di modelli e stili architettoni-ci: il caos diventa ordine, la confusione perfezione for-male. È l’alba di un nuovo giorno e la tendopoli lenta-mente si sveglia e si anima. Squilli di tromba e rulli di tamburo prendono il po-sto delle note della musica di Wagner e brani popolari e poiché accompagnano il risveglio dei giovani na-zisti che con entusiasmo e ostentata allegria si pre-parano per il congresso. All’interno di questo atto è uno dei rari momen-

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→ Triumph des Willens contribuisce a stabilire quale debba essere la gerarchia: possiamo vedere come Lütze, avvicinatosi all’auto di Hitler, prima esegua il saluto, gli stringa la mano e quindi obbedisca a un gesto preciso (foto 4). Si posiziona di fronte all’auto e Hitler pone una mano sulla sua spalla in segno di supremazia. Da notare che non c’è quasi contatto visivo fra i due.- Tersite Cinema

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ti caratterizzati dal tono scanzonato, per quanto ri-spettoso dei riti del Kame-radschafisgeist con giochi di combattimento, sfide e, addirittura, l’igiene intima effettuata in gruppo. Il fat-to che la fase del risveglio non avvenga nelle strade della città, ma nello spazio ideale del congresso dove ci si è spostati grazie alla dissolvenza incrociata, in-dica simbolicamente che il passaggio da un giorno all’altro è più di un sempli-ce trascorrere del tempo e rappresenta il transito da un’epoca a un’altra per la Germania nasce un nuovo giorno. Passato e presen-te dunque si alternano, sono posti in antitesi sen-za possibilità di fusione, il secondo rimpiazza del tut-to il primo, prende il suo posto. Ma la dissolvenza

incrociata, nel distinguere, per un attimo sovrappone i due elementi, li collega e in qualche modo produ-ce una contaminazione. Il nuovo sostituisce il vec-chio ma, pur senza farlo vedere ne rimane impre-gnato, tanto che nel terzo atto vecchio e nuovo non saranno più alternativi ma arriveranno a convivere per formare un insieme.

La macchina da presa gra-zie alle potenzialità del montaggio compie il pri-mo passo di un rito di pas-saggio che si completerà nella prima sequenza del terzo atto quando la città vecchia accoglie nel suo seno le forze giovani della nazione: con il terzo Reich nasce una nuova Germa-nia che mantiene al suo in-terno la propria storia. Ma

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c’è di più, la separazione che si attua nel passaggio fra il primo e il secondo atto segna la sospensio-ne della storia tedesca, il “vecchio” viene abbando-nato per lasciare spazio all’uomo nuovo nazional-socialista. Un uomo di cui bisogna rifondare l’identi-tà, perciò il secondo atto è ricchissimo di rituali il cui scopo ultimo è forma-lizzare l’identità del nuovo cittadino tedesco nazista. È in tal modo possibile ar-rivare alla riaggregazione nel terzo atto: l’uomo nuo-vo ha una sua identità, i riti l›hanno ufficializzata e ora può recuperare il suo pas-sato per procedere verso il futuro: il Reich millenario è stato fondato. La decima sequenza (“La comme-morazione dei caduti e il rinnovo della fedeltà”, se-

condo atto) è un esempio emblematico di concen-trazione rituale in quanto al suo interno si svolgono il rito per la commemora-zione dei caduti e quello per il rinnovo della fedel-tà al Partito. La sequenza inizia con una lenta e bre-ve panoramica verticale dall’alto verso il basso che inquadra una maestosa aquila del Reich in pietra collocata su una altrettan-to maestosa e imponente svastica, e attraverso una dissolvenza incrociata si passa nella Luitpoldarena dove Hitler, Himmler e Lut-ze, i capi rispettivamente delle SS e delle SA, si ap-prestano a commemora-re i caduti. È la sequenza più imponente e austera del film. L’immensa are-na, inquadrata dall’alto in campo lunghissimo, è

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occupata da centinaia di migliaia di membri delle SS e SA che, raggruppati in file lineari, formano degli immensi poligoni regolari. La componente umana è disposta con cura archi-tettonica come un «orna-mento di massa […], un enorme fregio composto da centinaia di migliaia di particelle›› che completa-no la geometria razionale dell`ambiente. Sul model-lo dell’architettura greca, dove il tempio doveva pre-sentarsi come un insieme simmetrico e armonioso, un solido geometrico per-fettamente proporzionato in cui le singole compo-nenti non dovevano emer-gere a rischio di rompere l’equilibrio complessivo, seguendo una struttura modulare nella scena si

curano la disposizione dei partecipanti al congresso che, perdendo la loro iden-tità individuale e diventan-do pura forma, esprimono l’essenza della comunità popolare prostrata davan-ti al Führer. Non un corpo si muove, non un ogget-to è fuori posto. Alle due estremità dell’arena, così ornata da questi poligoni umani, da un lato si staglia alta e immensa tribuna in pietra sovrastata da tre drappi con la svastica lun-ghi decine di metri, dall’al-tro lato un monumento commemorativo, al centro un grande corridoio attra-versato dalle uniche figure umane che, nell’inquadra-tura in campo lungo, man-tengono caratteristiche fisiche definite: il Führer e i due capi delle SS e SA.

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La forma del documen-tario con la pretesa di raccontare il mondo cosi com’è colpisce con la forza dell’evidenza mascheran-do la mistificazione della messa in scena. Il cinema in tal senso completa e rifinisce il processo inizia-to nel congresso perché, come nota Benjamin, per-mette alla moltitudine di vedere in volto se stessa, di vedersi rappresentata come protagonista, ma pur sempre unicamente come massa: «Alla violen-za esercitata sulle masse, che vengono schiacciate nel culto di un duce, corri-sponde la violenza da par-te di un’apparecchiatura, di cui esso si serve per la produzione di valori cul-tuali››.11

Se la liturgia del congresso deve sancire il potere at-traverso lo svolgimento di riti e cerimoniali il film am-plia il risultato in maniera esponenziale in quanto opera a un livello concen-trato e permette di esten-derne l’esperienza oltre lo stretto ambito temporale e fisico. Le modalità di frui-zione sono in tal senso em-blematiche, e se l’intensità dell’atmosfera è: tale da far si che lo spettatore venga in qualche modo proietta-to all’interno delle vicende e si trovi egli stesso parte integrante della massa che partecipa al congresso, le proiezioni del film nel-le grandi città tedesche si tengono in cinema trasfor-mati, sin dalla facciata, da scenografie allestite per l’occasione che richiama-no quelle di Norimberga,

11. Walter BENJAMIN, L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DELLA SUA RI-PRODUCIBILITÀ TECNICA, Torino, Einaudi, 1984, p.46.

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con fiumi di bandiere, ri-flettori, svastiche, in modo che gli spettatori si imme-desimino da subito e del tutto nell’ambiente del Parteitag. Inoltre Triumph des Willens diventa pro-dotto da diffondere non solo all`interno della Ger-mania ma anche all’estero per evidenziare l’unanimi-tà dei consensi del popolo tedesco nei confronti del Führer e di conseguenza la forza di Hitler e la compat-tezza del Terzo Reich.

Per favorire un ulteriore coinvolgimento da parte dello spettatore le faccia-te dei cinema delle gran-di città sono ricoperte da scenografie imponenti e addobbate con bandiere, ornate da immense svasti-che e gigantesche aquile e negli atri è diffusa una mu-

sica composta da marcet-te e motivi tratti dalla co-lonna sonora del film. Per la prima berlinese all’UFA Palast am Zoo, gli allesti-menti curati da Speer sono pensati per ingigantire la facciata del palazzo di altri quattro metri (51x15), sul fronte del palazzo sono al-lineate diciannove enormi bandiere con la svastica e sopra il titolo a caratteri cubitali una statua di 7,5x8 metri raffigurante un’aqui-la che ghermisce una coro-na con al centro la svasti-ca.

Leni Riefenstahl ha sem-pre dichiarato di non ave-re nessuna responsabi-lità storica, si è soltanto limitata a raccontare con sguardo estetico la realtà di quei giorni12.

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Frank Capra vide Triumph des Willens nel 1942, quan-do incaricato dal governo USA di realizzare docu-mentari propagandistici (verrà realizzata la serie Why we fight), per trarre insegnamento di quello che già all’epoca era con-siderato un modello di riferimento. Impressiona-to dalla visione, dichiarò: “non sparava colpi di fucile, non buttava bombe eppu-re come arma psicologica

funzionava perfettamente e mirava distruggere ogni opposizione, e, in tal senso, era letale […] Un massa-cro di innocenti in massa va oltre l’umana capacità di comprendere, eppure, vedendo il trionfo della volontà, chi non si fosse lasciato sopraffare dall’or-rore avrebbe dovuto preve-derlo”.13

12. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.103.

13. Frank CAPRA, IL NOME SOPRA IL TITOLO. AUTOBIOGRAFIA, Roma, Lucarini, 1989, pp.389-390.

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→ http://ru-oldmovie.livejournal.com/88658.html

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OLYMPIALeni Riefenstahl1938

Seguendo le indicazio-ni della regista, inferibili dalla sua autobiografia1, il film nacque dalla richie-sta, nell’estate del 1935, di Carl Diem10 (allora Segre-tario Generale Comitato Organizzativo dei giochi olimpici di Berlino nonché inventore del rito del tedo-foro olimpico) di realizzare un che esaltasse la poten-za espressiva degli sport e fosse capace di catturare lo spirito olimpico. Leni Riefenstahl, ebbe alcune perplessità dopo questa iniziale proposta. Dubbi di tipo estetico, ovviamen-te, che impedivano alla regista di immaginarsi un

evento così popolare, ma estremamente difficile da riprodurre e rappresentare per mezzo delle immagini in movimento. La solu-zione venne dal ricordo e dalla visione degli antichi luoghi di gara olimpici.12 Il problema di trasforma-re un concetto (lo spirito olimpico) in una serie di immagini dinamico-visi-ve-montate trova in Olym-pia la sua massima espres-sione e rappresentazione. L’altro vero problema della regista, tuttavia, rimaneva il rapporto conflittuale con Goebbels presentatosi, sin dalle sue prime ope-re hitleriane2, sottoforma di “problemi finanziari”. Bisogna, invece, sottoli-neare che le primarie ri-mostranze del Ministro, in questo caso, riguardavano la necessità di distribuire il

1. Leni RIEFENSTAHL, MEMOIREN, Auflage (Germany) (1987), St Martins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., pp. 181-188.

2. Leonardo QUARESIMA, LENI RIEFENSTAHL, Firenze, Il Castoro, 1985

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→ http://poster.scancollections.com/view.php?id=423392

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film entro e non oltre i due giorni successivi la fine della manifestazione spor-tiva. Vista la consapevo-lezza della Riefenastahl di dedicare almeno un anno al lavoro di montaggio3, la proposta di Goebbels di-venne, da subito, motivo di forte contrasto. I conflit-ti, in realtà, perdurarono durante tutta la lavorazio-ne del film: solo l’interven-to diretto del Führer fece cessare i continui sabotag-gi e le scenate a lei rivolte (spesse volte in pubblico) da parte del Ministro per la Propaganda.4

Sperimentazione ed inno-vazione tecnica sono pre-senti nella storia della Rie-fenstahl sin dai tempi de La bella maledetta (Das Blaue Licht, Germania, B/N, 74’, 1932)16. Seguendo l’attra-

zione per le innovazioni, di una modernità impressio-nante, i costi dell’impresa “olimpica” si dilatarono a dismisura portando a livel-li insopportabili gli scontri tra la regista e Gobbels, vero produttore del film. Le importanti scelte este-tiche operate dalla regista per filmare il suo capola-voro. Indagare sui detta-gli dell’intera produzione, permetterà di capire gli aspetti per così dire mo-derni di Olympia. Prima di tutto, decise di filmare il più possibile tutte le disci-pline sportive. Le Olimpia-di sono un evento televi-sivo che ha una copertura quasi “circadiana”: seguire tutte le gare, tuttavia, è materialmente impossi-bile, visto lo svolgimento contemporaneo di molte gare di diverse discipline.

3. In realtà gli anni divennero due. I motivi sono racchiusi dentro i dati complessivi del progetto. 400.000 (quattrocentomila!) metri di pellicola girata (vedi La forza delle immagini (Die Macht der Bilder: Leni Riefenstahl, Germania, col. e B/N, 180’, 1994) dal 1h 55’ e 03” a 1h 55’ e 06’) ridotti, ri-spettivamente, a 3429 metri per la prima parte (Olympia) e 2722 metri per la seconda parte (Apoteosi di Olympia): la sola visione del girato terminò nel gennaio del 1937. Un lavoro titanico, in moviola, di 10 ore di lavoro

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Per dare un esempio le Olimpiadi di Berlino 1936 furono ben 136 le discipli-ne sportive presenti. Ma con il montaggio si pos-sono infrangere le regole della dimensione spazio/temporale. La Riefenstahl coinvolse una trentina di operatori alcuni decisivi

per le innovazioni tecni-che. Spiccano, su tutti, Walter Frentz (specialista

della macchina da presa a mano e inventore di quella a catapulta per riprendere i corridori dei 100 mm, così come oggi la conoscia-mo5) e Guzzi Lantschner, intervistati, insieme alla regista, nel documentario di Ray Müller del 1993. Ad Hans Ertl si deve, invece, il

prototipo della macchina da presa subacquea6 per le riprese della scena dei

→ The Kobal Collection/www.kobal-collection.com

giornaliero (sabato, domenica e festività comprese) con una equipe di 22 fidati collaboratori (vedi Leonardo Quaresima, op. cit., pag. 79) tra cui spic-ca un’altra donna, Erna Peters, assistente della Riefenstahl sin da La bella Maledetta (Das blaue Licht, Germania, B/N, ’74, 1932). I tempi del lavoro di montaggio dei singoli episodi del film sono i seguenti: due mesi per il Prologo, cinque mesi per la Parte I e due mesi per la Parte II (vedi Taylor Downing, op. cit., pag. 387)

4. Leni RIEFENSTAHL, MEMOIREN, Auflage (Germany) (1987), St Martins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., p. 222.

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tuffi. Tutti e tre gli operato-ri venivano dalla fucina del regista Fanck, cosi come la Riefenstahl. Tutti que-sti mezzi e la tendenza a sperimentare (prototipi di macchine da ripresa, pel-licole speciali: la regista arrivò ad utilizzare tre dif-ferenti emulsioni prodot-te da Agfa, Kodak e Perutz) danno l’idea della totale autonomia della regista nel gestire il progetto. Ma, soprattutto, incorniciano perfettamente le cause delle spese sostenute dal III Reich per il film. Il dato di 2.350.000 Reichmark, il film era ben saldamente nelle mani del Governo tedesco e che, dunque, era un progetto, a tutti gli effetti, di propaganda. Il film, oltretutto, venne pro-dotto dalla Olympia Film GmbH (casa di produzione

costituita all’uopo dalla Riefenstahl nel dicembre 193522 e messa in liquida-zione il 6 dicembre 193923) e ottenne il finanziamen-to non ufficiale (oggi si direbbe “occulto”) dalla Film Credit Bank, banca sotto il controllo del Mini-stero della Propaganda7. E nonostante le continue lamentele di Goebbels, il III Reich finì per avere dei profitti dalla distribuzione del film che, infatti, otten-ne un guadagno di circa 115.000 RM. Il film doveva varcare i confini nazionale ed europei ed era, dun-que, necessario che non venisse presentato come un film di propaganda: per questo Goebbels de-cise di non far figurare i finanziamenti ufficiali. Ma il tour nordamericano del film, fu un fiasco totale so-

5. Vedi dichiarazionedi Leni Riefenstahl in La forza delle immagini (Die Macht der Bilder: Leni Riefenstahl, Germania, col. e B/N, 180’, 1994) dal 1h 38’ e 53” a 1h 39’ e 07. Nel frammento indicato, si vede la macchina da pre-sa in azione, la stessa tecnica usata oggi durante le riprese televisive.’

6. Taylor DOWNING, OLYMPIA, ebook, British Film Institute, 2002, p.398.

7. Ibidem, p. 380.

8. Leonardo QUARESIMA, LENI RIEFENSTAHL, Firenze, Il Castoro, 1985,

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→ The Kobal Collection/www.kobal-collection.com

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prattutto per merito della comunità ebraica e della lega anti-nazista america-na che fecero di tutto (e ci riuscirono) per boicotta-re le mire di vendita della pellicola alle Majors hol-lywoodiane da parte della regista. Olympia vinse il premio Coppa Mussolini alla mostra del cinema di Venezia del 1938 come miglior film ed ebbe recen-sioni entusiastiche in tutto il mondo. Il mito Riefena-stahl si consolidò defini-tivamente con questa im-presa ciclopica. Nel bene e, in seguito, nel male. Il film venne, comunque, distribuito in tutta Europa (ma non in URSS), Cina, India, Giappone e Austra-lia. Vennero prodotte tre versioni in lingua: tedesco, inglese e italiano. “Altre co-pie furono sottotitolate in

16 lingue diverse”.8 Gianni Rondolino, così sintetizza questa opera, frutto di un “lavoro immane”: “Nel do-cumentare i giochi olimpici attraverso le diverse gare, nel presentare gli atleti provenienti da diversi pae-si, nel cogliere il clima del-le Olimpiadi come evento pubblico, nel soffermarsi sugli aspetti più illuminanti dello sport, ella ha saputo mostrare contemporanea-mente lo svolgersi dei gio-chi e il loro significato sim-bolico: da un lato l’aspetto documentaristico di un film che rimane come testo fon-damentale per la compren-sione di quell’evento mon-diale; dall’altro il carattere poetico di uno stile che va al di là dei fatti, ne supera i confini e ce ne dà un’inter-pretazione simbolica, quasi trasfigurata.”9

p.90.

9. Gianni RONDOLINO, LENI RIEFENSTAHL, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Dizionario dei registi del cinema mondiale, Vol II, Einaudi, Torino, 2007, pp. 508-509.

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Il film è, inoltre, una minie-ra infinita di aneddoti sulle soluzioni, molto creative, trovate da Riefenstahl e dai suoi operatori per ri-prendere in tutti i modi possibili le gare.

Il tour americano:“era carina come una svastica”Dopo le entusiastiche re-censioni del film in tutta Europa, Leni Riefenstahl decise di intraprendere un viaggio negli States con l’intento di persuadere i grandi produttori hollywo-odiani a distribuire il suo film nel nuovo mondo. Le città visitate dalla regista furono: New York, Chicago, Detroit, San Francisco, Los

Angeles e, naturalmente, Hollywood. Il viaggio, to-talmente finanziato dal Mi-nistero della Propaganda, durò circa due mesi, dal novembre 1938 a gennaio 193910 durante i quali la regista fece di tutto per in-graziarsi le simpatie degli americani fallendo, però, miseramente. In compa-gnia della Riefenstahl c’e-rano due uomini: Ernst Jäger e Walter Klingeberg. Entrambi facevano parte del team per specifiche ragioni. Jäger, oltre ad es-sere amico di vecchia data della Riefenstahl sin dagli anni ‘20, aveva buone co-noscenze e buone relazio-ni all’interno dell’establi-shment hollywoodiana. E conosceva molto bene il cinema di Leni Riefenstahl: si era dimostrato, infatti, molto brillante, scrivendo

10. Cooper C. Graham, molto precisamente e dettagliatamente ci de-scrive la visita americana della regista, parla di un periodo che va dal 4 novembre 1938 al13 gennaio 1939. Le stesse date sono riportate nell’au-tobiografia della Riefenstahl. Cooper C. GRAHAM, ‘OLYMPIA’ IN AMERICA, 1938: Leni Riefenstahl, Hollywood, and the Kristallnacht,, Historical Jour-nal of Film, Radio and Television, Volume 13, Issue 4, Indiana university Press, Indianapolis, 1993 pag.433-450.

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per lei (ghost-writer) il libro del making of de Il Trionfo della volontà. Il vero in-tento del viaggio di Jäger, tuttavia, fu chiaro alla regi-sta l’ultimo giorno di per-manenza. L’amico di vec-chia data, infatti, decise di rimanere in USA come esule fino agli anni ’50 e di sfruttare le sue conoscen-ze sulla vita privata della Riefenstahl per farsi pub-blicità11. Walter Klingeberg fu il Direttore del Diparti-mento dello Sport del Co-mitato Organizzativo delle Olimpiadi di Berlino. Aveva un’ottima conoscenza del contesto culturale ameri-cano, avendo studiato a Berkeley (parlava con ac-cento americano).

Secondo il testo di Cooper C. Graham, infine, ci sono buoni indizi circa l’appar-

tenenza di Klingeberg ai servizi segreti.12

Nonostante questi impor-tanti accompagnatori, il viaggio dette, sin dai primi momenti, l’impressione di non portare a nulla di concreto e, soprattutto, di buono. Cinque giorni dopo l’arrivo della Riefenstahl a New York, ebbe luogo, in Germania, la funesta e orri-bile Notte dei Cristalli (Kri-stallnacht avvenuta nella notte tra il 9 e il 10 novem-bre). La vasta eco dell’epi-sodio marchiò a fuoco la regista e il suo tentativo di realizzare il suo sogno americano naufragò inevi-tabilmente. Sin da subito, a causa dell’episodio del primo pogrom antisemita nazista, svariati gruppi di intellettuali, legati al cine-ma, ma non solo, organiz-

11. Ernst JÄGER, “HOW LENI RIEFENSTAHL BECAME HITLER’S GIR-LFRIEND” The Hollywood Tribune, (in 11 parti: dal 28 aprile 1939 al 17 luglio 1939)

12. La forza delle immagini (Die Macht der Bilder: Leni Riefenstahl, Ger-mania, col. e B/N, 180’, 1994) dal 2h 02’ e 49” a 2h 02’ e 54”, la voce fuori campo (presumibilmente il regista Ray Müller) afferma che la notizia della notte dei cristalli raggiunge Leni Riefenstahl quando ancora si trova sulla nave per New York.

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zarono diverse forme di boicottaggio acquistando spazi pubblicitari sui gior-nali e alcuni raduni per im-pedire ad Olympia di avere delle proiezioni ufficiali e pubbliche. Nonostante ciò, tuttavia, molti gior-nalisti ed addetti ai lavori ebbero modo di visionare la pellicola e di scrivere recensioni entusiastiche. Henry McLemore sull’Hol-lywood Citizen News si espose dicendo che “Non è propaganda, ma una se-rie di riprese magnifiche del più grande meeting di atleti nella storia del mon-do … se non verrà mostra-to alla gioventù di questo Paese, sarà la gioventù a perdere.”13. Ecco, inve-ce, che cosa scrisse il Los Angeles Times nella sua recensione del film del 17 dicembre del 1938: “Anche

se non può essere distribu-ito in America, secondo i piani attuali, a causa delle polemiche anti-naziste, il film sulle XI Olimpiadi, pro-dotto da Leni Riefenstahl, qui in visita, ha avuto una proiezione privata questa settimana a Los Angeles, e si è rivelato essere molto più di una semplice crona-ca della rinomata compe-tizione mondiale, ma un trionfo della macchina da presa e un poema epico per lo schermo.”36 Ma fu-rono, soprattutto, le pro-iezioni private con i Big di Hollywood a fare la storia di questo viaggio. Il primo fu Luis B. Mayer che espres-se l’intenzione di vedere il film ma non all’interno de-gli MGM’s Studios. Ricevu-ta questa piccola/grande richiesta, Leni Riefenstahl declinò l’invito e anche

13. Henry MCLEMORE, “HENRY GOES TO BAT ON BERLIN OLYMPIC FILM – NO PROPAGANDA”, Hollywood Citizen News, 17 December 1938.

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questa occasione sfumò. L’altro importante incontro avvenne l’8 dicembre 1938 con Walt Disney, evento di cui ha parlato il Prof. Gian-ni Rondolino14. Tra le ipo-tesi che avanza Rondolino nell’intervista, possiamo indicarne almeno una che sembra essere molto plau-sibile. C’erano, all’appa-renza, dei motivi distribu-tivi nella scelta di Disney di accettare l’ipotesi di incontrare la cineasta te-desca: Biancaneve e i sette nani (Snow White and the Seven Dwarfs, USA, col., ’80, 1937), infatti, era ap-pena uscito in America e la possibilità di distribuirlo in Germania poteva far gola al regista americano. Quel-lo che di certo sappiamo è che l’incontro durò tre ore durante le quali la Riefen-stahl fece un giro comple-

to degli Studios ed ebbe l’opportunità di vedere, in anteprima, gli schizzi de L’apprendista stregone (The Sorcerer’s Apprenti-ce), famosissimo episodio di Fantasia (Id., USA, col., ‘112, 1940) . Da quanto ri-ferisce la regista nella sua autobiografia, Disney vole-va vedere tutte due le parti di Olympia ma, dopo aver-ci pensato bene, pensò che i proiezionisti, molto sindacalizzati, avrebbero fatto uscire la notizia e che questa avrebbe ottenuto l’effetto di portare al boi-cottaggio dei film della Di-sney15. Il 14 dicembre 1938, venne la grande occasio-ne. La Riefenstahl aveva portato con sé ben tre ver-sioni in 35 mm del film di cui una con il montaggio in cui erano state tagliate tutte le scene in cui era raf-

14. Cooper C. GRAHAM, LENI RIEFENSTAHL AND OLYMPIA, Laham (USA), Scarecrow Press, 1986, p.443.

15. Ibidem, p.252.

16. Ibidem, p.235.

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figurato Hitler.16 Quest’ul-tima versione permise alla regista di proiettare la pellicola presso la sala ci-nematografica privata del

California Club. 140 perso-ne, tra cui alcuni giornali-sti e molti atleti presenti a Berlino, ebbero modo di vedere le due parti del film.

William May Garland, orga-nizzatore della proiezione, durante un breve discorso introduttivo, però, invitò i presenti a non diffondere

la notizia che tale proie-zione veniva fatta presso il California Club. Infine un’altra proiezione avven-ne in grande stile a New

→ http://www.leninimports.com/leni_riefenstahl.html

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York, ma solo dopo la par-tenza della Riefenstahl. Il 9 marzo del 1940 venne, infatti, proiettata la prima

parte di Olympia presso l’EightySixth Street Thea-ter di Yorkville. La seconda

parte del film venne pro-iettata, invece, il 30 marzo dello stesso anno. Il viag-gio americano della regi-

sta è utile per capire come mai tanti registi d’oltreo-ceano abbiano, nel corso

→ http://www.barbadillo.it/58492-artefatti-olympia-leni-riefenstahl-nelleros-della-sospensione-onirica-del-corpo/

17. “She was pretty as a swastika” è un’espressione usata da Walter WIN-CHELL, giornalista del DAILY MIRROR di New York per descrivere una Ri-efenstahl intenta a farsi notare durante una serata al Stork Club e a El Mo-rocco, locali molto alla moda della New York di allora. In Walter Winchell (9 November 1938), Walter Winchell on Broadway, Daily Mirror, pag. 6.

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degli anni, considerato Olympia un “testo filmico” importante da studiare e, in alcuni casi, da imitare. Ma per gli americani Leni Riefenstahl era pur sempre una nazista: ecco perché l’inventore del gossip, Wal-ter Winchell usò l’espres-sione “era carina come una svastica” 17. Questa percezione di allora si è poi sommata al proces-so di denazificazione che sembra abbia prodotto un autentico oblio.

Modernità e apoteosi esteticaPer comprendere a fondo gli apporti di innovazione, originalità e, soprattut-to, di modernità del film è fondamentale ricorda-re che Olympia fu il vero

primo film delle Olimpia-di18. Quando nel 1932 Los Angeles ospitò i giochi olimpici, nessun magna-te di Hollywood intravide l’opportunità di girare un film: non ci sarebbero stati neanche i costi di trasfer-ta! Solo una piccola trou-pe degli Universal Studios fece delle misere riprese, in campo lungo, degli eventi sportivi. Vennero anche re-alizzate le prime interviste, sonore, della storia olim-pica. Nulla di più. Eppure i giochi olimpici sono da sempre uno degli spetta-coli più seguiti al mondo. Non esiste, a meno di ritro-vamenti improvvisi ed ina-spettati, alcun film della X Olimpiade di Los Angeles del 1932. Il cinema sonoro, inoltre, era stato inventa-to, proprio da Hollywood, nel 1927 per aumentare i

18. Il primo film ufficiale, secondo gli storici, tuttavia, fu quello per le Olimpiadi di Parigi del 1924 Les Jeux olympiques, Paris 1924: un poderoso lungometraggio di 162’ con la regia di Jean de Rovera. Da come viene descritto da Downing, il documentario, seppur di durata elevata, sembra molto rudimentale. Venne prodotto in due versioni: una con sottotitoli in francese e una con quelli in inglese. Il film presenta tutti le principali disci-pline e gare. Per ogni sport, vengono mostrate le finali seguite dal nome del vincitore che, ancora affannato, viene ripreso in primo piano. Vedi Taylor Downing, op. cit., pag. 375.

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profitti e stupisce davve-ro questa assenza assor-dante. Ci volle una tede-sca per far comprendere le potenzialità espressive e di business dell’evento planetario per eccellenza ai produttori americani. La lezione è servita: ogni Olimpiade, oggigiorno, ha una copertura mediatica mondiale con miliardi di spettatori e grandi investi-menti economici da parte di potenti multinazionali19.

Dopo questa breve pre-messa storica e prima di indagare le questioni estetiche sul film, è bene accennare la definizione di Moderno. Che cosa si in-tende con questo concet-to? Sono possibili due ac-cezioni, entrambe coerenti con la poetica di Olympia. L’aggettivo, infatti, può ri-

mandare sia al significato di un qualcosa che appar-tiene o si riferisce al nostro tempo o ai tempi più vicini a noi, sia anche al concet-to enfatico del “moderno”, quello, cioè di un’apertura al nuovo, oltre ogni limite naturale o tradizionale, di un dominio tecnico illimi-tato della natura, come ad esempio la costruzione di enormi navi da crociera, ferrovie, imprese titaniche, come fu, appunto la lavo-razione di Olympia.

Quest’ultima accezione è coerente con le posizioni di un filosofo e sociologo polacco, Zygmunt Bau-man che con il suo testo sull’Olocausto ha posto le basi del dibattito sul-la modernità e sulle sue caratteristiche fondanti.20 Quello che mi ha colpito

19. Massimiliano STUDER, OLYMPIA (1938): O DELLA MODERNITÀ DI UN CAPOLAVORO, in Forma Cinema (internet), http://www.formacine-ma.it/attachments/article/218/OLYMPIA%20O%20DELLA%20MODERNI-T%C3%80%20DI%20UN%20CAPOLAVORO.pdf, 2012.

20. Zygmunt BAUMAN, MODERNITÀ E OLOCAUSTO (Modernity and the Holocaust, Oxford, Basil Blackwell, 1989), il Mulino, Bologna, 1992.

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del testo di Bauman è la tesi che l’Olocausto è una delle esperienze più mo-derne del Novecento e che molte delle caratteristiche della “Soluzione Finale” non sono sparite ma, anzi, vivono nella nostra quo-tidianità anche se non le sappiamo riconoscere.

Trasferendo le tesi del so-ciologo polacco sulle scel-te organizzative, tecniche ed estetiche della Riefen-stahl per Olympia, è dove-roso rinvenire nella regista questa caratteristica della modernità appena descrit-ta. Burocrazia, efficienza organizzativa, tecnologia avanzata e perseguimento incondizionato e instan-cabile verso l’obiettivo sono le caratteristiche del progetto Olympia. È inne-gabile. “Leni Riefenstahl

riesce a non perdere mai lo sguardo generale del progetto, grazie al suo leg-gendario senso di organiz-zazione e all’instancabile lavoro dei suoi devoti col-laboratori.”21. Queste sono le parole usate da Ray Müller, nel documentario del ’94, come commento alle immagini in bianco e nero che mostrano una grande parete dove vengo-no catalogati, in maniera burocraticamente scrupo-losa, tutti i 400.000 metri di pellicola del film. Ma sono anche le caratteristiche del pensiero moderno e della prassi nazista. Facen-do uno sforzo intellettuale in più, però, è possibile af-fermare che sono elemen-ti della società contempo-ranea e che il cinema, visto come prodotto culturale, si è appropriato di alcune

21. in LA FORZA DELLE IMMAGINI (Die Macht der Bilder: Leni Riefen-stahl, Germania, col. e B/N, 180’, 1994) dal 1h 49’ e 47” a 1h 49’ e 58”

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di queste caratteristiche. Proseguendo nel ragiona-mento, si può asserire che Olympia è diventato il pro-totipo ovvero il film chiave per comprendere la cine-matografia contempora-nea che, pur non avendo più raggiunto le vette del-la poetica della Riefen-stahl, ad essa ha sempre guardato come modello, ammirandone i fasti pur evitando, in tutti i modi, di dichiarare il proprio de-bito intellettuale, pratico (ovvero organizzativo) ed estetico.22

L’evento sportivo per ec-cellenza è realtà allo stato puro e, di conseguenza, molto difficile da control-lare come ha sottolineato, in maniera estremamente autorevole, Taylor Dowing: “Tutti i migliori piani di la-

voro vanno in malora. Le più dettagliate preparazio-ni sono travolte da eventi inaspettati. Nulla va come da programma. Ogni cosa cambia.”23

In fondo anche per Olym-pia furono poche le occa-sioni di distribuzione e di visione da parte di pochi addetti ai lavori. Ciò non toglie, tuttavia, che i gran-di di Hollywood ebbero modo di sapere che un film di propaganda nazista fosse un evento visivo fuori dal comune e che avesse avuto un impatto incre-dibile sugli spettatori che ebbero modo di vederlo su grande schermo.

Olympia è un’impresa tecnica di complessità straordinaria, in cui Leni Riefenstahl e la sua trou-

22. Massimiliano STUDER, OLYMPIA (1938): O DELLA MODERNITÀ DI UN CAPOLAVORO, in Forma Cinema (internet), http://www.formacine-ma.it/attachments/article/218/OLYMPIA%20O%20DELLA%20MODERNI-T%C3%80%20DI%20UN%20CAPOLAVORO.pdf, 2012.

23. Taylor DOWNING, OLYMPIA, ebook, British Film Institute, 2002, p.374.

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pe si spinsero oltre i limiti tecnologici del tempo per mostrare i Giochi da ogni

possibile angolazione. Tra le tante invenzioni, di gran-

de rilievo furono le riprese delle azioni ricostruite (le scene notturne di salto

con l’asta) e le interpola-zioni di diverse sequenze

→ Jesse Owens, http://www.leninimports.com/leni_riefenstahl.html

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riprese durante gli allena-menti, soprattutto nella maratona, per la quale la Riefenstahl diede agli at-leti in allenamento piccole macchine da presa per fil-mare le loro stesse gambe, utilizzando poi quelle ri-prese in fase di montaggio per creare un’esperienza sempre più soggettiva del-la fatica della corsa. Le di-ciotto parole pronunciate da Hitler all’inaugurazione dei Giochi rappresentano gli unici suoni sincroni del film. Alcuni commentatori del film hanno rilevato una desessualizzazione del corpo, ad esempio nella danza delle sacerdotesse del tempio24.

La più studiata scena del film rimane quella dei tuffi maschili. Cosa rende que-sto frammento del film così

unico e così osannato? For-se la sua capacità di essere fuori dallo spazio/tempo e di essere un esempio ecce-zionale di quanto la forma cinematografica possa es-sere considerata una vera e propria lingua universale ovvero comprensibile da chiunque. Un’ottima cor-nice teorica per introdurre l’analisi della scena dei tuf-fi di Olympia ci viene dal più autorevole studioso tedesco di cinema prehit-leriano, Siegfrid Kracauer

“Come tanti visi e tanti og-getti, particolari architetto-nici isolati vengono spesso ripresi stagliati dentro il cielo. Questa tecnica di ri-presa, tipica non soltanto di Triumph des Willens, sembra svolgere la funzio-ne di allontanare gli og-getti e gli avvenimenti dal

24. Bill KROHN, OLYMPIA; in Enciclopedia del Cinema-Treccani (inter-net), http://www.treccani.it/enciclopedia/olympia_(Enciclopedia-del-Ci-nema)/, 2004.

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→ http://alphahistory.com/nazigermany/leni-riefenstahl/

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loro contesto per trasferirli in uno spazio strano e sco-nosciuto. Ma le dimensioni di questo spazio restano assolutamente Olimpiadi di Berlino (1936) Olimpiadi di Pechino (2008) indefini-te. Non è privo di rilevanza simbolica il fatto che i line-amenti di Hitler appaiono spesso davanti alle nubi.”25

Questa acuta e illuminan-te intuizione estetica di Kracauer trova nella sce-na danzante dei tuffi una mirabile rappresentazio-ne filmica di cui è davve-ro difficile effettuare una descrizione precisa, vista l’impossibilità di rendere per iscritto le incredibili evoluzioni plastiche dei corpi degli atleti rese an-cor più dinamiche dalla visione dei fotogrammi

montati del film. Impossi-bile cimentarsi in un’ana-lisi dettagliata della scena, fatta di movimenti di atle-ti perfettamente allenati, muscoli in tensione, visi concentrati, riprese che indugiano sull’evoluzio-ne del gesto atletico dalla pedana del trampolino fino al fondo della piscina (straordinario il lavoro di Hans Ertl!) senza stacchi o effetti ottici, uso del ral-lenty o dell’avanzamen-to indietro della pellicola (l’atleta esce dall’acqua e ritorna sul trampolino)26 Ma è la parte finale della scena a fare da prepoten-te protagonista di tutto il film. La scelta della Riefen-stahl di riprendere gli atleti dal basso, incorniciando-li in un cielo plumbeo e a-spazialtemporale, e di

25. Siegfried KRACAUER, DA CALIGARI A HITLER. UNA STORIA PSICO-LOGICA DEL CINEMA TEDESCO. Nuova edizione italiana a cura di Leonar-do Quaresima, Edizioni Lindau, Torino, 2001, Appendice 1, Conflitto con la realtà pag.374.

26. Massimiliano STUDER, OLYMPIA (1938): O DELLA MODERNITÀ DI UN CAPOLAVORO, in Forma Cinema (internet), http://www.formacine-ma.it/attachments/article/218/OLYMPIA%20O%20DELLA%20MODERNI-T%C3%80%20DI%20UN%20CAPOLAVORO.pdf, 2012.

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montare prima il tuffo di un atleta che si lancia dal trampolino da sinistra ver-so destra e poi quello di un altro che effettua un movi-mento uguale e contrario, permette all’occhio dello spettatore di percepire un autentico incrociarsi di corpi che volteggiano in uno spazio “strano e sco-nosciuto”, per usare le pa-role di Kracauer, che rende senza tempo e senza luogo questo sintagma.

La sequenza finale del-la scena dei tuffi, sembra quasi riprendere lo stile visivo del cinema astratto: non sono più corpi quelli che scorrono sullo scher-mo ma piccole sagome nere e indistinguibili che volteggiano nell’aria, quasi fossero macchine o uccelli,

come a disegnare delle ge-ometrie perfette e armo-niose. Le scelte effettuate dalla cineasta tedesca, per questa sequenza, sia in fase di ripresa sia in fase di montaggio sono la summa di quanto argomentato fino ad ora. Le insolite ri-prese (un operatore, addi-rittura, si è posizionato in cima ad una scala, posta a sua volta, sul trampolino per riprendere gli atleti) e il loro susseguirsi in maniera dinamico-visivo consento-no allo spettatore di inter-pretare un fenomeno fisico (il gesto atletico) come una danza di oggetti inanimati. Lo sport olimpionico, così neo-classicamente pre-sentato (l’antica Grecia, le discipline sportive esaltate nel loro significato este-tico), diventa, grazie alla

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tecnica e alla sua capacità moderna di manipolare il reale, un elemento di ri-flessione estetica. Il cine-ma come autentica lingua capace di comunicare e

di rappresentare concetti astratti. Un passaggio ob-bligato, da sempre, per i ci-neasti del mondo e di tutte le epoche.27

→ http://www.leninimports.com/leni_riefenstahl.html

27. Massimiliano STUDER, OLYMPIA (1938): O DELLA MODERNITÀ DI UN CAPOLAVORO, in Forma Cinema (internet), http://www.formacine-ma.it/attachments/article/218/OLYMPIA%20O%20DELLA%20MODERNI-T%C3%80%20DI%20UN%20CAPOLAVORO.pdf, 2012.

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DER EWIGE JUDEFritz Hippler1940L’ebreo errante di Fritz Hippler del 1940 nasce come documentario vol-to a sostenere, in modo molto violento, le istanze anti-semitiche del partito nazionalsocialista e con l’intenzione di ribaltare il messaggio dell’omonimo film inglese del 1934, in cui si sosteneva che gli ebrei sono vittime perseguitate ingiustamente nel corso dei secoli1.

Nel 1937, il Ministero del-la Propaganda presentò a Monaco una mostra dallo stesso titolo, proprio per evidenziare lo scopo “cul-turale-educativo” ne seguì un libro di 265 fotografie,

ognuna enunciava la de-generazione della razza ebrea2. Un altro antece-dente fu la notte dei cri-stalli, nel novembre 1938, - preceduta nei mesi pre-cedenti da duri attacchi nei media da parte di Go-ebbels verso gli ebrei - fu considerata politicamente un disastro da parte dello stesso Hitler, preoccupato dell’immagine della Ger-mania a livello interna-zionale. L’ideale nazista doveva essere trasmesso sottilmente e con cautela. La propaganda dovrebbe “elucidate events of foreign policy”3.

Per correre ai ripari - visto che la brutalità portata dalla notte dei cristalli non fu accolta con molto soste-gno neanche da parte del popolo tedesco, attirando

1. Saul FRIEDLÄNDER, THE YEARS OF EXTERMINATION: NAZI GER-MANY AND THE JEWS 1939-1945, New York, HarperCollins, 2008.

2. Stephen G. FRITZ, OSTKRIEG: HITLER’S WAR OF EXTERMINATION IN THE EAST, University Press of Kentucky, 8 September 2011, p. 15.

3. Shay HAZKANI, FORBIDDEN FILMS – AN ANALYSIS OF THE NAZI PROPAGANDA FILMS THE ETERNAL JEW AND JEW SUESS AND THEIR INFLUENCE ON THE GERMAN PUBLIC, 2008, p.181.

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→ http://poster.scancollections.com/view.php?id=374068#

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le critiche di tutto il globo – era necessario agire con la promozione dell’antise-mitismo. Goebbels, allora, ordinò che ogni casa di produzione si impegnasse

a tal proposito. Nello spe-cifico Der Ewige Jude do-veva riproporre le stesse tematiche della mostra di Monaco4.

La produzione del “Film-documentario” durò più di un anno e durante questo periodo sia Goeb-bels che Hippler resero l’intero film sempre più

aggressivo e brutale, con l’obiettivo di trasmette-re meglio gli ideali su cui reggeva il regime nazista. Tuttavia, quando fu pro-

→ → https://germanfilmhistory.wordpress.com/der-ewige-jude/

4. AAVV, FILM E PROPAGANDA NAZISTA, in Figure del Potere (internet), http://figuredelpotere.altervista.org/eterno_giudeo.php#simbologia, consultato il 10 febbraio 2017.

5. Ibidem.

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iettato per la prima volta, il 28 novembre 1940, nei ci-nema tedeschi in alterna-tiva ad altri film antisemiti (“Jud Suess” e “Die Roth-

schilds”). Il partito nazista non ottenne il successo sperato, perché il popolo tedesco lo giudicò “zu of-fensiochtlich propagan-

distisch” (“troppo aperta-mente propagandistico”). Nonostante l’apparente rifiuto, il film fu pubbliciz-zato come programma

obbligatorio per l’associa-zione Hitlerjugend e per l’addestramento delle SS, della polizia e delle truppe del partito. Furono inoltre

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realizzate copie straordi-narie per alleati europei. Nessuno poteva avere opi-

nioni contrarie ed opporsi al regime, cosicché le pos-sibilità di critica diventaro-no nulle. Lo stesso regista Hippler, che all’anteprima paragonò il suo lavoro ad

“una sinfonia dello schifo e degli orrori” (“eine Sym-phonie des ekels und des

grauens”); a guerra finita lo giudicò però una “nega-zione ai diritti umani” (“ne-gation alles Humanen”)5. A tal proposito, alla fine della guerra, Hippler negò

→ https://germanfilmhistory.wordpress.com/der-ewige-jude/

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la sua affiliazione al parti-to dichiarando addirittura di essere stato Goebbels ad aver pensato al mon-taggio. Venne arrestato e condannato comunque a scontare due anni con la possibilità di poter ripren-dere l’attività6.

Il film doveva rappresen-tare le pessime condizio-ni igieniche e di vita degli ebrei nei ghetti di Lodz, Warschau, Lublin e Krakau. L’intento era far emergere il vero carattere dell’ebreo e voleva provare le sue natu-rali inclinazioni alla crimi-nalità, alla prostituzione e allo strozzinaggio. Vengo-no mostrati alcuni esempi di uomini d’affari, politici, artisti e scienziati che, as-sociati all’immagine del ratto, rappresentano il giu-deo che s’infiltra nel mon-

do occidentale e soprat-tutto in quello tedesco per aumentare il proprio pote-re. Molto sfacciatamente si fanno dei confronti visivi tra l’ebreo nel suo habitat e l’ebreo camuffato da te-desco, mettendo in guar-dia lo spettatore dalla loro capacità di mimetizzarsi7 usando abiti e accessori tipicamente nordici.

Grande era la differenza tra l’acculturato ariano che aveva come ideale la bellezza nordica ispirata a quella classica, e quella dell’ebreo-parassita che aveva come unico scopo, secondo Hitler, la distru-zione delle altre culture, rifiutando l’idealismo. L’a-stuzia del regista è visibile nelle differenti inquadra-ture. I costanti primi piani sono volti a sottolineare la

6. Bill Moyers, A Walk Through the 20th Century, intervista per la PBS, https://vimeo.com/48663731, 1983.

7. Minuto 19.51 del documentario, https://www.youtube.com/wa-tch?v=_okkDPI3c-U .

8. AAVV, FILM E PRPAGANDA NAZISTA, in Figure del Potere (internet), http://figuredelpotere.altervista.org/eterno_giudeo.php#simbologia, consultato il 10 febbraio 2017.

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perfezione del volto aria-no in contrapposizione a quello ebraico. La loro fi-sionomia ed espressione poco intelligente, le loro deformità fisiche, simbolo di interiore aridità spiri-tuale, erano indistinguibi-li. Le loro abitazioni erano sporche e rappresentava-no l’impossibilità di viver-ci per qualunque essere umano8. Il film può essere divisa in quattro aree te-matiche9:

• I ghetti polacchi

• Valutazione dei valori politici, culturali e sociali in ambito internazionale di origine ebraica

• Cerimonie religiose, l’insegnamento della religione, il culto, la macellazione rituale

• discorso Reichstag di Adolf Hitler, sfilano le truppe SA

In Der Ewige Jude con l’ausilio dell’infografica si mostra come la comu-nità ebraica sia dannosa all’economia e alla cultura tedesca. Accompagnato dal doppiaggio si spiega come nel corso dei secoli le potenti famiglie giudee abbiano invaso e depre-dato le ricchezze tedesche facendo del nomadismo una questione di scelta10, comparando le migrazio-ni della comunità a quella dei ratti11.

Quasi in conclusione, al minuto 56:44, l’ideale ani-malista del partito viene presentato come rimedio alla crudeltà inflitta sui poveri animali(!) da par-

9. Erik BARNOUW, DOCUMENTARY: A HISTORY OF THE NON-FIC-TION FILM, Oxford University Press, 1976. Versione pdf https://ia800502.us.archive.org/23/items/DocumentaryAHistoryOfTheNonFictionFilmByE-rikBarnouw1987/Documentary%20A%20History%20of%20the%20Non-Fi-ction%20Film%20By%20Erik%20Barnouw%201987.pdf

10. Minuto 14:50 del documentario.

11. Minuto 17.33 del documentario.

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te degli ebrei e delle loro malsane abitudini. Tut-ta la titolazione utilizza una font gotica. L’orrido e malsano “stile di vita” dei ghetti descritto nel film è lontanamente compara-bile a quello dei campi di

concentramento a cui sa-ranno sottoposti gli ebrei. Lì la loro vita oscillerà tra malattia, fame e lavoro for-zato, in piccole baracche che diverranno per anni le loro case12.

→ https://germanfilmhistory.wordpress.com/der-ewige-jude/

12. AAVV, FILM E PROPAGANDA NAZISTA, in Figure del Potere (internet), http://figuredelpotere.altervista.org/eterno_giudeo.php#simbologia, consultato il 10 febbraio 2017.

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Il manifesto

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2.1ARTELa propaganda nazista è spesso associata alla re-torica dei discorsi di Hitler o con i ben noti film na-zisti come il Trionfo della Volontwà (1934) di Leni Riefenstahl. Tuttavia, essa può anche assumere mol-te forme: arte, scultura e mass media visuali furono impiegati dai nazisti per vendere idee, controllare l’informazione e plasmare la pubblica opinione. Le immagini hanno un impat-to fortissimo e sono mezzi di propaganda partico-larmente efficaci perché emergono dalla pagina stampata ed attraggono l’attenzione, comunicano rapidamente l’informazio-ne, sono memorizzabili,

fanno leva sulle emozioni, e possono essere ripro-dotte facilmente e circola-re nei mass media. Hitler aveva capito il potere ed il richiamo dell’arte come un tipo di “scorciatoia” propa-gandistica. Nel Mein Kam-pf dichiarava:

“La propaganda è un’arma terribile in mani esperte…. Tutta la propaganda deve essere popolare ed il suo livello intellettuale deve essere regolato sull’intelligenza più limitata tra coloro verso cui è diretta”1

Da ex pittore, egli conosce-va bene il meccanismo lin-guistico sotteso al linguag-gio iconico. Un popolo è egemone rispetto agli altri quando impone il proprio

1. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, traduzione in Inglese di Ralph Manheim. Boston Houghton Miffin Company, 1943.

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→ Paesaggio, Adolf Hitler, 1919 circa. http://www.giornalepop.it/lestetica-nazista/

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modo di vedere la realtà e di rappresentarla.

Distribuita in modo capil-lare, la propaganda visiva giocava un ruolo impor-tante nel modellare la mentalità che rese possibi-le la Shoah promuovendo l’orgoglio e la solidarietà nazionali ma anche un profondo sentimento di antisemitismo. I respon-sabili politici Nazisti consi-deravano l’arte come uno degli elementi più impor-tanti nella costruzione del Terzo Reich, attribuendo a tutte le forme di arti visive un alto valore sociale: esse vennero sostenute dallo stato e diffuse ampiamen-te in volantini e libri, car-toline e francobolli ed eb-bero un ruolo dominante nelle cerimonie pubbliche. Come dichiarò Hitler all’a-

pertura della Casa dell’Arte Tedesca nel 1937: “Noi sia-mo quelli che hanno crea-to questo stato e da subito abbiamo fatto in modo di incoraggiare l’arte. Noi ab-biamo dato all’arte nuovi, grandi compiti.”2 L’impresa estetica era il cuore dell’i-deologia Nazista, coinvol-ta nel sogno di creare un mondo più bello, puro, igienico.

Il controllo della produzio-ne artistica ebbe dunque un ruolo centrale nella for-mazione e nella diffusione del totalitarismo Nazista. Nel 1933, appena il Nazi-smo prese il potere, Hit-ler, creò il ministero della propaganda sotto la dire-zione di Joseph Goebbels. Come Ministro della Pro-paganda, Goebbels iniziò un processo di “Sincroniz-

2. Discorso di Hitler, 18 Luglio 1937, Monaco. Molto simile la dichiara-zione di Hitler nel discorso di Norimberga del 1936: “L’Arte è il solo vero, duraturo investimento della fatica umana”. ( Berthold Hinz, Art in the Third Reich, Pantheon, 1972.intro)

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zazione“ (Gleichschaltung) della cultura, ponendo le arti in linea con gli obiet-tivi del Nazismo. Sotto il suo controllo, la Camera della Cultura del Reich controllava tutti gli aspet-ti della cultura Tedesca: la stampa, l’educazione, la musica, i film, il teatro e le

arti visive. Per assicurare l’omogeneità “razziale” e la conformità ideologica, a tutti i professionisti era

richiesta l’iscrizione al par-tito, ed era vietata la for-mazione di organizzazioni artistiche indipendenti.

Il Nazional Socialismo ri-fiutava ed attaccava tut-to ciò che aveva formato la scena artistica prima del 1933, per screditare la

cultura della Repubblica di Weimar. Quest’ultima veniva identificata con un internazionalismo e una

→ L’isola dei morti, Arnold Böcklin, 1883.

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politica progressista che esso voleva contrastare, il regime Nazista criticava l’arte moderna come in-tellettuale ed elitaria, stra-niera ed ebraica, simbolo delle forze che avevano umiliato la Germania nel dopo guerra. Artisti ebrei, stranieri e moderni, ven-nero così etichettati come “degenerati”, messi sulla lista nera ed additati come nemici dello stato, consi-derati una sfida alla salute della nazione Tedesca.

Iniziarono così gli attacchi sistematici e istituzionaliz-zati all’arte moderna. Nel primo anno fu vietato di praticare ad un gran nu-mero di artisti; professori furono cacciati dalle Acca-demie, critici d’arte censu-rati o licenziati, curatori e

direttori di musei sostituiti da membri del partito.

L’ala moderna della Gal-leria Nazionale di Berli-no e la Bauhaus vennero chiuse.

Il 10 Maggio 1933 i membri dell’Associazione Studen-tesca Tedesca Nazional Socialista organizzarono in tutto il paese dei roghi nei quali furono bruciate le opere di scrittori “non Te-deschi” ed ebrei. Artisti su-birono persecuzioni e furo-no esiliati, alcuni vennero imprigionati e persino uc-cisi a causa del contenuto e dello stile del loro lavoro, delle loro convinzioni po-litiche o della affiliazione religiosa.

Nell’estate del 1937 Goeb-bels emanò un decreto che

3. Adolf Ziegler fu il più importante pittore del Terzo Reich e il pre-ferito di Hitler. Il suo quadro “I Quattro Elementi” era esposto nel suo salotto. Fu premiato con il più alto riconoscimento del partito, il Distin-tivo d’Oro. Come Presidente della Camera delle Arti Visive del Reich fu incaricato di allestire la mostra dell’“Arte Degenerata” di Monaco. Egli espulse artisti e vietò qualsiasi attività artistica “professionale o amato-riale” ad Espressionisti come Karl Schmidt-Rottluff.

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→ Copertina del programma, Arte Degenerata, 1937.Scultura Der Neue Mensch di Otto Freundlich

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affidava a Adolf Ziegler3 e ad una commissione di cinque persone il compi-to di passare al setaccio i musei della Germania e le collezioni pubbliche, confiscando ogni ope-ra da considerarsi come “arte degenerata.” In tutto

la “Aktin Entartete Kunst” confiscò un totale di oltre

16000 opere in più di 32 musei e collezioni. 650 di esse (di 112 artisti) furono utilizzate per una mostra “educativa” voluta dallo stato, intitolata “Entarte-te Kunst”, Arte Degenera-ta. Aperta nell’Hofgarten della Residenza di Monaco

il 18 Luglio 1937, la mo-stra viaggiò venne esibita

→ Poster della mostra del 1938, autore sconosciuto.

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→ Catalogo dell’Arte Degenerata, 1937, p. 23. Da sinistra dall’alto:* Johannes Molzahn, Der Gott der Flieger, 1921, * Jean Metzinger, En Canot, 1913. * Kurt Schwitters, Merzbild, 1918–19, mixed media, 100 x 70 cm. * Johannes Molzahn, Familienbild.

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in undici diverse località tedesche ed austriache, e fu visitata, nell’arco di quattro anni, da 3 milioni di visitatori: una cifra si-curamente degna di nota. L’obiettivo della mostra era di accrescere il senso

di repulsione del pubbli-co verso l’arte moderna, incoraggiando il pubblico

a mobilitarsi in una cam-pagna di epurazione della cultura Germanica da in-fluenze e contaminazioni. Strategicamente, la Gros-se Deutsche Kunstaussel-lung (La grande mostra dell’Arte Tedesca) aprì il

giorno prima e dall’altro lato della strada, di fronte alla mostra dell’Arte Dege-

→ Goebbels in visita.

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nerata, funzionando come immagine di contrasto. Collocata nella Haus der Deutschen Kunst, casa dell’Arte Tedesca appena completata, fu la prima

di 8 mostre annuali che esponevano quello che il Terzo Reich considerava il meglio dell’arte tedesca4.

Monumentale, neoclassi-ca, con un imponente co-lonnato, la Casa dell’Arte Tedesca fu il primo impor-

tante palazzo commissio-nato dal regime Nazista. Alla cerimonia di apertura dei lavori di costruzione, nell’ottobre del 1933 Hitler lo definì il “tempio di una

nuova arte Tedesca”. Du-rante i tre giorni che pre-cedevano l’apertura della Grande Mostra annuale di Arte Tedesca, tenutasi a Monaco, drappi, stendar-di e bandiere celebravano con lo sfarzo di strava-ganti coreografie il Giorno

4. AA.VV, PROPAGANDA E ARTI VISUALINEL TERZO REICH, in Yad Vashem. The World Holocaust Remembrance Center (internet), http://www.yadvashem.org/yv/en/education/languages/italian/lesson_plans/germanys_sculptor.asp#04, consultato il 15 gennaio 2017.

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→ Entartete Kunst, Anto, 1938, 84 x 58 cm

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→ «Entartete Musik» Broschüre, Hans Severus Ziegler, Völkischer Verlag, 1939

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Monaco, 18 luglio 1937. La Casa dell’Arte Tedesca, progettata da Paul Troost, apre al pubblico con l’inaugurazione della Grande Esposizione d’Arte tedesca. Il giorno seguente, nell’attigua galleria delle Hofgartenarkaden, inizia la mostra dell’Entarteke Kunst, l’arte degenerata.

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dell’Arte Tedesca. Lo stato Nazista non badava dun-que a spese per organizza-re queste spettacolari ceri-monie: formata da enormi dorate copie di cartapesta di statue classiche, fanciul-le del Reno e guerrieri del-la foresta di Teutoburgo, la parata, che culminò con migliaia di soldati in mar-cia, celebrava così “Duemi-la anni di Cultura Tedesca”.

2.2SPORTLa quarta olimpiade in-vernale ebbe come tea-tro Garmisch (1936), nella Germania pronta a far da negativa protagonista del decennio successivo. Ven-ne introdotta per la prima volta nelle olimpiadi inver-nali la fiamma olimpica. Il

poster, mostra un mezzo busto di un atleta dalle fattezze ariana, armato di fucile e abbastanza mi-naccioso nella sua tenuta scura. Solo la pettorina con il simbolo olimpico provvede ad ammorbidire un po’ i toni. L’autore del manifesto dei giochi inver-nali era il più noto fra i ma-estri del manifesto: Ludwig Hohlwein (1874-1949).

Sempre nello stesso anno a Berlino si disputò la IX Olimpiade estiva (soltan-to dal 1940 in poi le due Olimpiadi avranno sedi di-verse), non senza il tentati-vo di boicottaggio da parte delle altre nazioni, che do-vettero comunque accet-tare la decisione positiva da parte del CIO, che aveva già stabilito la capitale te-desca nel 1931. Disegnata

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da → Johannes Boehland la Campana tedesca che vede incisa l’aquila ariana che sovrasta i cinque cer-chi e la scritta che è un ap-pello alla gioventù mon-diale. Minacciosa, tetra, come l’aria che si respirava in quel tempo. I loghi gra-fici compaiono solo dalle Olimpiadi del 1936 a Berli-no, pri-ma erano gli stessi manifesti e poster d’annun-cio a con-t r a d d i -stinguere un evento dall’altro5. Il manifesto invece ricalca il realismo eroico del na-zismo. Ci si chiede come

mai si decise di far dispu-tare i giochi nella patria di Hitler, ma la decisione venne presa dal Comitato olimpico nel 1931, quindi prima dell’ascesa al potere del dittatore e nonostante le proteste di vari paesi le olimpiadi si svolsero a Ber-lino. Si parla dell’organiz-

z a z i o n e più effi-ciente mai vista in un olimpiade m o d e r -na. Un di-s p e n d i o di mezzi di comu-nicazione senza pre-c e d e n t i , con l’uti-

lizzo di manifesti, l’uso del-la radio e della propagan-da tedesca. I tedeschi si

5. AA.VV, LE OLIMPIADI DEI LOGO, in Ufo.adv (internet), http://www.ufoadv.it/restyling/le-olimpiadi-dei-logo/ 24 luglio 2012.

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→ Ludwig Hohlwein, 1936.

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→ Ludwig Hohlwein, 1936.

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rivolgono alla Telefunken e a un’altra ditta, la Fern-seh AG, che programma-no trasmissioni, ricevute da enormi apparecchi con tubi catodici ad altissima tensione (20.000 volt), pro-iettabili anche su schermo cinematografico. Tre tele-camere vengono piazzate nello stadio olimpico e nella piscina, capaci an-che di riprese cinemato-

grafiche, ancor oggi per-fettamente visibili. Le ore di trasmissione sono ben 72 (a Roma 1960 saranno 102), ma gli apparecchi privati continuano a lati-tare. Le Poste tedesche or-ganizzano quindi gruppi di ascolto, in apposite sale, a Berlino e Potsdam, le co-siddette “sale pubbliche televisive”. L’evento, ade-guatamente pubblicizzato, viene descritto come il “co-ronamento di un sogno” da parte della propaganda del Terzo Reich; i Giochi di Berlino diventano quindi il primo evento in assoluto mai trasmesso in tv6. Il po-ster, opera dell’artista ber-linese Franz Wurbel, sem-pre minaccioso con il volto granitico di un atleta/olim-pico/ariano cinto di alloro e con un’aureola formata dai cinque cerchi. Di quin-

→ Ludwig Hohlwein,

1936.

6. Elio TRIFARI, BERLINO 1936: NASCE LA TV, in La Gazzetta dello Sport (internet) http://www.gazzetta.it/Speciali/Olimpiadi/Primo_Pia-no/2008/07_Luglio/03/Trifari_3luglio.shtml 3 luglio 2008

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→ Ludwig Hohlwein, 1936.

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ta i cavalli della quadriglia della Porta di Brandebur-go in controluce sembra si alzino minacciosi ed accolgono la scritta con un lettering classico per il paese7.

2.3SALUTISMOComprensibilmente na-scosta dalle pagine più or-ribili dei crimini degli anni di Adolf Hitler, tuttavia, nei decenni si è persa un’ini-ziativa di allora che l’istinto difficilmente accosterebbe a quel periodo: la lotta al tabagismo. Come scrivere Robert Proctor, ricercatore del dipartimento di Storia di Stanford, nel suo libro The Nazi War on Cancer, «la Germania tedesca era

governata da un élite at-tenta alla salute e votata alla conquista dell’Europa e allo sterminio di massa».

Di certo c’è che nel 1939, l’anno dell’inizio del se-condo conflitto mondiale, fu un tedesco, Franz Müll-er, a presentare il primo studio epidemiologico che postulava l’esistenza di un rapporto tra l’uso del tabacco e la comparsa di tumori. E nel 1943 una ri-cerca di Eberhard Schairer e Erich Schöniger, ricerca-tori all’università di Jena, confermò questa tesi: il tumore ai polmoni era un effetto diretto della appa-rentemente innocua siga-retta. Addirittura, ricerche tedesche coeve dimostra-rono efficacemente l’esi-

7. Paolo CAGNOTTO, OLYMPIC GRAPHICS FRA LE DUE GUERRE, in BuongiornoBrasile (internet), http://www.buongiornobrasile.com/fra-le-due-guerre/ 22 febbraio 2014.

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stenza del fumo passivo e i suoi rischi.

Come scrive Proctor, «il nazismo fu un movimento di giovani robusti e atten-ti alle condizioni di salute, preoccupati dall’influenza degli ebrei sulla cultura tedesca, dal comunismo

ma anche dagli effetti no-civi del pane bianco, delle tinture alimentari e dell’a-

mianto». Dagli anni Trenta, con l’avvento della popo-larità del fumo, aumenta-rono considerevolmente. Il merito di aver provato il collegamento tra i due dati, però, va dato a scien-

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ziati legati alla dittatura più feroce della storia8.

A dimostrazione della su-periorità, anche, scientifica della Germania, il partito mobilitò la propaganda dif-fondendo manifesti, opu-scoli e materiale infor-mativo a tutta la nazione. Tuttavia la propaganda non sortì nessun effetto significativo sul tabagi-smo, una campagna poco curata e l’atteggiamento generale di poco interesse di molti gerarchi, se non in eventi ufficiali, compro-mise la visione che Hitler aveva del tedesco robusto, forte e privo di vizi, relegati ovviamente solo alle razze inferiori.

→ Pubblicità sidro di mele scoraggia l’uso dell’alcool e della nicotina puntando sulla salute del neonato.

8. AA.VV, LA CAMPAGNA ANTIFUMO DEL TERZO REICH, in Studio, Attualità Cultura Stili di vita (internet), http://www.rivistastudio.com/in-breve/la-campagna-antifumo-del-terzo-reich/ 9 luglio 2014.

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→ Pubblicità Volkswagen smettere di fumare equivarrebbe all’acquisto di 2 milioni di vetture.

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→ Programma Aktion T4

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→ Poster in ‘Kladderadatsch’, 3 settembre 1933.Hermann Göring, il 16 agosto 1933 promulgò una legge che abolì a tutti gli effetti la vivisezione, rendendo illegale la sua pratica. Minacciò severamente chiunque avesse trattato come “oggetti inanimati” gli animali.

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A P P R O F O N D I M E N T O

Ludwig Hohlwein(1874-1949)

Manifesta un precoce talento artistico nel disegno. Inizia lo studio dell’architettura alla Technischen Hochschule di Monaco di Baviera. Termina i suoi studi alla Dresdner Akademie con Paul Wallot di cui diventa assistente. Nel 1895 esegue il suo primo disegno per il giornale dell’associazione accademica degli architetti con cui collaborerà per altre realizzazioni grafiche. Al termine della carriera universitaria, dopo diversi viaggi di studio e formazione all’estero, si stabilisce definitivamente a Monaco di Baviera per svolgere la professione di architetto. Il suo atelier è nella Gabelsbergerstrasse al numero civico 36. Esegue diversi lavori tra cui l’Hotels Continental, il Kaufhauses Hermann Tietz (oggi Hertie), e padiglioni espositivi.

Nel 1901 sposa Leonie Dörr da cui avrà due figlie Leonie e Ellen che vivono tuttora a Monaco. Nel frattempo, con diversi lavori di decorazione per case, libri, negozi, biglietti d’inviti, affina il suo talento grafico. Decora con dipinti ed acquarelli il Glaspalast di Monaco. Il suo primo manifesto è del 1906 ed è dedicato ad una manifestazione sulla caccia sua grande passione1. Tra il 1906 al 1914 la

1. Harm WULF, LUDWIG HOHLWEIN: IL RE DEL MANIFESTO, in Galleria d’arte Thule (internet), http://www.galleria.thule-italia.com/hohlwein.html

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A P P R O F O N D I M E N T Osua produzione di manifesti artistici e pubblicitari raggiunge il punto più alto.

Nessuno riesce a competere con le sue creazioni moderne, originalissime ed innovative.

Già nel 1909 il periodico Kunst und Dekoration di Darmstadt parla di lui definendolo “capostipite e maestro della grafica”. La sua fama arriva anche all’estero: il quotidiano di Lucerna titola, parlando di lui: Münchner Plakatkönig, il re di Monaco del manifesto. Molti giovani autori di grafica pubblicitaria di Berlino Lucian Bernhard, Julius Gipkens, Julius Klinger, Lucian Zabel si ispirano a quello che ormai viene definito l’Hohlweinstil2.

La figura umana campeggia al centro delle sue composizioni, dove più che la bellezza femminile predomina l’uomo elegante, lo sportivo, il cacciatore, il viaggiatore, con tutto il contorno che ne consegue: cavalli, carrozze, bagagli. In termini più generali la sua opera esprime il modello di un elevato tenore di vota, quello della società altoborghese, ma nei suoi manifesti quel benessere viene interpretato in modo raffinato, con una rappresentazione intensa e con un gusto da haute couture3. Con l’inizio della prima

2. Harm WULF, LUDWIG HOHLWEIN: IL RE DEL MANIFESTO, in Galleria d’arte Thule (internet), http://www.galleria.thule-italia.com/hohlwein.html

3. Daniele BARONI, Maurizio VITTA, STORIA DEL DESIGN GRAFICO, Milano, Longanesi, 2003, pag. 71.

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A P P R O F O N D I M E N T OGuerra mondiale la produzione di Hohlwein si orientò verso la causa patriottica: molti manifesti vennero dedicati al sostegno dello sforzo bellico, alla mobilitazione, al soccorso dei feriti, dei mutilati e dei prigionieri di guerra. Iscritto al partito nazionalsocialista Ludwig Hohlwein produsse una gran quantità di opere di eccezionale qualità

grafica per il NSDAP e le sue organizzazioni collaterali. Apparvero negli anni trenta i famosi manifesti per le SA, le SS, l’Hitlerjugend, il BDM, il Winterhilfswerk che rappresentavano lo Zeitgeist con straordinaria efficacia. Nel dopoguerra a Ludwig Hohlwein viene imposto il processo di denazificazione ed epurazione con il divieto di lavorare a causa delle sue scelte4.

→ Und du?, 1932 34″x24″

4. Harm WULF, LUDWIG HOHLWEIN: IL RE DEL MANIFESTO, in Galleria d’arte Thule (internet), http://www.galleria.thule-italia.com/hohlwein.html

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→ Kunstgewerbehaus, Gebrueder Wollweber, 1906 Litografia 125.0 x 89.8 cm→ PKZ, 1908 Litografia 123.2 x 91.7 cm.

→ Audi Automobil-Werke, 1912 Litografia 124.8 x 91.4 cm.→ Hermann Scherrer Breechesmaker, Sporting-Tailor, 1911 Litografia 112.4 x 80 cm.

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A P P R O F O N D I M E N T O

Gino Boccasile(1901-1952)

La prima giovinezza dell’artista fu segnata da un terribile episodio: una goccia di calce viva lo colpì nell’occhio sinistro. Dopo aver manifestato una precoce attitudine per il disegno terminò gli studi presso la scuola d’Arti e Mestieri nella città natale, Bari. Alla morte del padre, decise di lasciare Bari e si trasferì a Milano. Dopo qualche difficoltà iniziale la sua abilità grafica lo aiuta ad essere assunto nello studio grafico Mauzan-Morzenti, dove inizia a disegnare anche figurini e modelli d’abiti da donna. Subito impone il suo stile personalissimo: le vetrine che espongono i suoi lavori sono affollate dalle signore che ne decretano successo e notorietà. I suoi disegni sono riprodotti su numerose riviste specializzate “Sovrana”, “l’Illustrazione”, “Fantasie d’Italia”, dettando legge nei gusti delle donne, ma anche illustrando nelle stesse, novelle e racconti.

La genialità del suo tratto, delle sue immagini, riuscivano ad attrarre il frettoloso passante e a comunicargli in un attimo il messaggio per cui erano state create. Una comunicazione visiva di

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A P P R O F O N D I M E N T Opronta presa con i personaggi che, ancora oggi, sembrano balzare, esplodere dal manifesto.

Forte di queste innate qualità e della dura gavetta fatta, inizia l’attività di grafico ed illustratore collaborando con i periodici La Donna (1932), Dea e La Lettura (1934), Bertoldo (1936), Il Milione (1938), L’Illustrazione del Medico (1939), Ecco, Settebello e Il Dramma (1939) e disegnando molte copertine di libri per gli editori Mondadori e Rizzoli. Per l’editore Mondatori illustra svariati volumi della serie Romanzi della Palma e realizza le copertine dei Romanzi di Cappa e Spada. Adesso è affermato illustratore, caricaturista e cartellonista pubblicitario autodidatta, ma la popolarità arriva con la Signorina Grandi Firme1. La ragazza che apparve sulle copertine dai toni rosa pastello della rivista Le Grandi Firme, periodico letterario fondato e diretto da Pitigrilli (Dino Segre) e trasformato in rotocalco settimanale da Cesare Zavattini (all’epoca direttore editoriale della Mondadori) dopo la vendita della testata ad Arnoldo Mondadori. Le donne disegnate da Boccasile avevano delle caratteristiche abbastanza precise. Cosce tornite erano sostenute da esilissime

1. Gino Boccasile, La signorina Grandi Firme, Milano, Longanesi, 1981.

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A P P R O F O N D I M E N T Ocaviglie. Glutei perfetti e giunonici coronavano vitini di vespa piccolissimi.

Con lo scoppio del conflitto, complice il Ministero della Guerra che lo designa grafico propagandista, la sua opera si orienta verso la propaganda bellica2. Dalle esaltanti vittorie iniziali alle prime dure sconfitte. Nel 1942, le truppe italo-tedesche sono in marcia verso Mosca. Viene pubblicata una serie di dodici cartoline a firma Boccasile che descrivono le atrocità dei bolscevichi e le sofferenze del popolo russo oppresso dal regime comunista: sono le cartoline più crude dell’intera produzione di Boccasile3.

Aderisce alla Repubblica Sociale Italiana ed ottiene un incarico presso l’ufficio propaganda. Viene nominato tenente delle SS italiane e continua incessantemente a produrre manifesti in uno studio protetto da militi armati. Boccasile non ammorbidisce le sue posizioni politiche ma anzi le radicalizza. I suoi manifesti parlano da soli: nessuna pietà per traditori e ribelli, resistenza armata all’invasore anglo-americano unico mezzo

2. Giuliano VITTORI, C’ERA UNA VOLTA IL DUCE: IL REGIME IN CAR-TOLINA, Roma, Savelli, 1975.

3. Ernesto Zucconi, REPUBBLICA SOCIALE. I MANIFESTI, Milano, No-vantico Editrice-Ritter, 2000.

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A P P R O F O N D I M E N T Oper riscattare l’onore dell’Italia infangato dal tradimento4.

Il ruolo di grafico della propaganda bellica e politica ed il grado di ufficiale delle SS gli costeranno alla fine della guerra un processo. Viene arrestato, incarcerato e processato

per collaborazionismo subendo, in seguito, l’epurazione e una sorta d’esilio editoriale. Assolto, resta emarginato per alcuni anni, molti potenziali clienti hanno paura della sua firma. Riprende la sua attività dal 1946 soprattutto con la grafica

4. Roberto Guerri, MANIFESTI ITALIANI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, Milano, Rusconi, 1982.

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A P P R O F O N D I M E N T Opubblicitaria cambiando leggermente stile. Anche dopo il Fascismo, Gino Boccasile disegnò l’Italia: fu sempre lui,

dopo aver avviato una sua agenzia di grafica, ad invadere i muri delle città e delle campagne con le pubblicità di quei giorni5. Dal Formaggino Mio alla lama Bolzano, dal Ramazzotti alle moto Bianchi, tutto era firmato Boccasile.

Morì prematuramente a Milano il 10 maggio 1952 per un attacco di bronchite e pleurite, mentre stava illustrando Il Decamerone. Della morte dell’artista si accorsero in pochi e molti addirittura si rallegrarono per quel lutto. Era uno straordinario artista del disegno ma anche un dannato che aveva scelto la parte sbagliata ed era rimasto fedele alle sue idee6.

→ Prepotenza USA, data incerta.

5. D. Villani, STORIA DEL MANIFESTO PUBBLICITARIO, Milano, Om-nia, 1964.

6. Harm WULF, LA MATITA ERETICA DI GINO BOCCASILE, in Centro studi la runa (internet), http://www.centrostudilaruna.it/ginoboccasile.html, 1 gennaio 2000.

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→ Asse Roma-Berlino-Tokyo, 1941.

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→ Arruolamento, 1944poster 70x100cm

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→ Arruolamento, 1944poster 70x100cm

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→ Arruolamento, 1944poster 70x100cm

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Il brand

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3.1SVASTICA,DA SIMBOLOA MARCHIOSvastica è una parola fem-minile che deriva dal ter-mine sanscrito maschile svastika. La prima parte della parola è composta dal prefisso sv- che signifi-ca “bene” e da asti, coniu-gazione del verbo essere. Svāsti significa quindi “sta-re bene”. Il suffisso –ka è un diminutivo, per cui sva-stica è traducibile letteral-mente come “piccola cosa che porta benessere”, un portafortuna.

Conosciuta anche come croce uncinata, ha una forma corrispondente ad una croce equilatera con

i bracci piegati ad angoli retti, ed è ancora oggi un simbolo sacro in alcune re-ligioni come l’Induismo, il Buddismo ed il Giainismo.

Nel gennaio 1980 la rivista Natural History pubblicò, sempre sull’origine della svastica, un documentario approfondito descrivendo quanto segue:

“La svastica è un potente simbolo portafortuna. Questa particolarità, la sua aura di magia, e il suo sim-bolismo affondano le radici nelle più antiche civiltà mesopotamiche e iraniche. In India, dov’è largamente usata nelle cerimonie indù e come motivo ornamen-tale, la svastica unisce il simbolismo astronomico a quello religioso. . . . La re-lazione fra la svastica e gli

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dei dei pianeti corrisponde piuttosto bene alla storia e alla diffusione del sim-bolo. C’erano le necessarie nozioni di astronomia nel luogo dove sembra che la svastica abbia avuto origi-ne [Mesopotamia]”.

Pare che Babilonia sia sta-ta la culla della svastica ma sono solo supposizio-ni perché non esistono ad oggi certezze a supporto di tale tesi. Molte croci unci-nate furono scoperte a Sa-marra, a nord di Baghdad, sul Tigri, e nel primo stadio dell’insediamento a Susa o Susan additano l’antichis-sima origine del simbolo in Mesopotamia. Tracce dell’influenza religiosa di Babilonia sono evidenti in India, come dice fra l’altro un archeologo: “La svasti-ca e la croce, comuni su

impronte e placche, erano simboli magici o religio-si sia nella Babilonia che nell’Elam del periodo prei-storico più antico, ma con-servano questo carattere anche nell’India moderna e altrove”1. Quindi, l’in-fluenza religiosa dell’an-tica Babilonia raggiunse molti popoli e nazioni, molto più estesamente e in maniera molto più effi-cace e duratura del suo po-tere politico. Nel gianismo, antica religione, fondata nel VI secolo prima di Cri-sto avente come simbolo la svastica, i quattro brac-ci rappresentano i piani dell’esistenza: mondo de-gli dei, mondo dell’uomo, mondo animale, mondo infero . Lo stesso simbolo si trova sopra la porta d’in-gresso del tempio Laksmi Marayan di Nuova Delhi, in

1. Vere CHILDE, NEW LIGHT ON THE MOST ANCIENT EAST, Londra, Routledge, 1957.

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India. E anche sopra l’in-gresso di un tempio di Bali in Indonesia. La svastica è un noto simbolo di buona

fortuna in India. Nella tra-dizione Buddhista, la sva-stica simboleggia i piedi o

le impronte del Buddha ed è spesso usato per indica-re l’inizio dei testi. Il Bud-dhismo tibetano moderno

lo usa come decorazione nell’abbigliamento. Con il diffondersi del Buddhi-

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smo è stato adottato an-che dalla iconografia della Cina e del Giappone, dove è stato usato per indicare la pluralità, l’abbondanza, la prosperità e lunga vita. Nell’area indobuddista la svastica venne conside-rata come un sigillo e la si ritrova spesso impressa sul cuore di Buddha, an-che in Tibet del resto ha valore di portafortuna e talismano. Nel Janismo è l’ emblema del loro settimo Tirthankara ( titolo usa-to per indicare uno dei 24 profeti). Esistono altri usi di tale simbolo come in Mesopotamia dove la sva-stica è stata coniata sulle monete, in Scandinavia come simbolo del martel-lo del dio Thor. Nella pri-ma arte cristiana è stata chiamata la croce gamma-dion perchè è composta

da quattro gamma ( la G nell’alfabeto greco) Si tro-va anche nell’arte Maya e Navajo. Appare sopra i pesi degli Ashanti in Africa. Si può trovare la svastica nel pavimento a mosaico della chiesa della Natività a Betleem. Nel suo libro Riguardo alla svastica Jo-erg Lechler mostra alcune rappresentazioni di svasti-che tratte da chiese della cristianità. Tra il volumi-noso materiale illustrato, si vede il cosiddetto abito del digiuno o di quaresima di Heiligengrabe, in Ger-mania, su cui l’abito di Cri-sto è coperto di svastiche. La svastica compare su una tovaglia d’altare della Chiesa di Maria zur Wiese di Soest, in Germania. Si trova pure sul monumen-to in bronzo del vescovo Bocholt a Luebeck e su

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alcune monete medievali delle diocesi cattoliche di Mainz e Halberstadt e del vescovo di Erfurt, Heinrich (1140-1150 )2. In un quadro di una chiesa di Dalby (Sve-zia meridionale) l’agnello rappresentante Gesù Cri-sto aveva la svastica anzi-ché una semplice croce. Fu pure usata la svastica nella forma della campa-na della chiesa di Utterslev, in Danimarca. I primi cristiani rigettarono l’u-so di tali simbo-li. Una volta ciò fu espresso con queste parole: “Le croci, inoltre, non le adoriamo né le deside-riamo. Voi, in realtà, che consacrate dèi di legno, adorate croci di legno for-se come parti dei vostri

dèi. Perché i vostri stessi stendardi, nonché i vostri vessilli e le bandiere dei vostri campi, che cos’altro sono se non croci indorate e abbellite? I vostri trofei di vittoria non solo imitano l’aspetto di una croce sem-plice, ma anche quello di un uomo affisso ad essa”3.

Perciò prima di essere state ingloba-te dai nazisti, le svastiche erano considerate sim-boli di buona fortuna. Come tali, le marche popolari (come la Coca-Cola) e

le squadre sportive hanno spesso usato questo sim-bolo per associarlo al loro brand. Ironicamente, essa appare persino in alcuni ritrovamenti della cultura

→ Nel 1925 la Coca Cola produsse un fortunato orologio a forma di una svastica con lo slogan “Bevi Coca Cola cinque centesimi in bottiglia.”

2. Sara BALDI, LA SVASTICA NON È STATA INVENTATA DA HITLER, in Arte e Arti(internet), http://www.artearti.net/magazine/articolo/la_sva-stica_non_e_stata_inventata_da_hitler/ , 30 Settembre 2009

3. Marco MINUCIO FELICE, L’OTTAVIO, cap. 29, The Ante-Nicene Fa-thers, Vol. 4, pag. 191

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→ Alla nascita dell’hockey su ghiaccio in Canada, alcuni team di hockey la utilizzarono come logo nel 1916 (circa).

→ La storica lavanderia “svastica” è stata per decenni un istituzione a Dublino, fondata nel 1912 in Shelbourne Road, è rimasta in attività fino alla fine del 1960.

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ebraica. Tuttavia l’utilizzo da parte dell’estrema de-stra mitteleuropea, e suc-cessivamente del Terzo Reich, ha connotati ben precisi: l’esoterismo. Oc-cultismo, Astrologia, Misti-ca esoterica e alchimia, si intrecciano per dar vita ad una trama fitta di ideali che hanno portato alla crea-zione di una vera e propria F i l o s o f i a ; ricca di sim-boli, di po-teri occulti e di rituali pagani, che s e c o n -do Hitler, avrebbero

fatto in modo di perpetua-re il reich e innalzarlo alla gloria eterna. E così Hitler e i suoi gerarchi si riuni-vano in particolari luoghi della Germania destinati a tali culti, dove si svolge-vano riti propiziatori che li avrebbero portati alla po-tenza eterna. In una Ger-mania sempre più deva-stata sia dalla guerra che

dagli ideali, una parte d e l l ’ é l i t e nazista, tra i quali Him-mler, Frank, G o e b b e l s , Goring, si ritrovavano in contatto

con alchimisti, sette, predi-catori dell’occulto, maghi e sensitivi che prevedevano l’avvento della razza aria-na dominatrice del mon-

→ Fino al 1933 questo era il logo ufficiale per la ditta ASEA di Milano.

→ Swastika Drug Company “Hilter be Damned”. 1922

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→ un membro della Red Swastika, gruppo religioso che tende ad unire Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo, 1937 circa.

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do, capeggiata dal suo più illustre figlio, avrebbe deciso le sorti dell’intero pianeta. Così Hitler sareb-be stato il dominatore del mondo alla guida della nazione tedesca, il popo-lo eletto, La razza ariana. Ma questo è uno dei tanti aspetti di questa filosofia, forse quello più conosciu-to, alla cui base si fonda il Nazismo, con la lotta per la supremazia della razza, e l’eliminazione delle raz-ze considerate inferiori. Riaffiorano così con il ter-zo Reich, le teorie di Aria-no, superate dal pensiero scientifico del 500, e dell’il-luminismo. Ora rinate a nuova luce, per rinforzare l’ideologia politica di un ti-ranno4. Diverse spedizioni furono fatte e documen-tate a tale scopo (capito-lo Il Documentario). Nel

suo libro Mein Kampf (La mia battaglia), Adolf Hitler scrisse:

“Dopo innumerevoli esperimenti, ho trovato la forma finale: una bandiera a sfondo rosso, un disco bianco e una svastica nera al centro. Dopo molte ricerche, ho deciso le corrette proporzioni tra la grandezza della bandiera e quella del disco bianco e la forma e lo spessore della svastica.”

La svastica divenne l’ico-na più riconoscibile della propaganda nazista, com-parendo sia nella bandiera a cui fa riferimento Hitler nel libro Mein Kampf sia su poster di propaganda elettorale, bracciali, me-

4. AA.VV, IL TERZO REICH, TRA OCCULTISMO ED ESOTERISMO, in Helleland (internet), http://helleland.altervista.org/blog/il-terzo-rei-ch-tra-occultismo-ed-esoterismo/?doing_wp_cron=1486297903.2266769409179687500000, 3 novembre 2012

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Sfondo rosso per indicare l’ideale sociale del movimento

Cerchio bianco simbolo di nazione

Svastica nera per significare la missione.

NSDAPLogo

→ Ipotesi di costruzione geometrica.

→ Font utilizzato: Blankenburg regular di Peter Wiegel.

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daglioni e distintivi di or-ganizzazioni militari o di altro tipo. Un simbolo po-tente, destinato a suscita-re orgoglio tra gli ariani, la svastica incuteva terrore negli ebrei e in altri sogget-ti ritenuti nemici della Ger-mania nazista5. A dispetto delle origini, la svastica è diventata così ampiamen-te associata con la Germa-nia nazista che, spesso, usi contemporanei fanno sor-gere molte polemiche.

3.2SIEG SIEG! Sigla di Schutz-Staffel («schiera di protezione»), milizia speciale tede-sca destinata a compiti di polizia durante il regi-me nazionalsocialista in Germania. Attiva dall’inizio

degli anni 1920 come formazione paramilitare di supporto al Partito nazista e dal 1925 responsabile della sicurezza personale di A. Hitler, dopo il 1933 ebbe il controllo dei più delicati gangli d e l l ’a m m i n i s t ra z i o n e interna del Reich, ivi compresa la polizia e il controspionaggio. Capo (Reichsführer) della SS fu dal 1929 H. Himmler. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale furono formate delle divisioni combattenti delle SS (Waf-fen-SS), che al termine del conflitto erano una qua-rantina.

La SS fu all’avanguardia del radicalismo nazista e partecipò attivamente alle persecuzioni contro gli Ebrei, rendendosi tri-

5. AA.VV, STORIA DELLA SVASTICA, in United States Holocaust Me-morial Museum (internet), https://www.ushmm.org/wlc/it/article.php?-ModuleId=10007453, consultato il 5 febbraio 2017

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→ Ipotesi di costruzione geometrica.

→ Logo ufficiale delle S.S. di Walter Heck, 1929.

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stemente nota per i delit-ti perpetrati nei campi di concentramento. Per tutti questi motivi il tribunale internazionale di Norim-berga definì la SS un’orga-nizzazione criminale6.

Altrettanto all’avanguar-dia, è il logo utilizzato e de-clinato in tutti le divisioni dell’organizzazione. Crea-to da Walter Heck - un il-lustratore disoccupato sal-tuariamente grafico nella Hoffstätter Company - nel 1929. Pagato solo 2.50 Rei-chmarks senza diritti di copyright. Il logo propone

due *Sôwilô o *Saewelô, simboli proto-germanici simboleggianti il sole. Tut-tavia è arricchito da un ul-teriore significato derivato dall’antico nome inglese Siegel che si avvicina mol-to alla pronuncia tedesca di Sieg, ovvero vittoria7. È dunque leggibile come “Vittoria, Vittoria”.

Scelto per il suo forte im-patto visivo, fu adottato molto rapidamente ma solo nel 1944 Heck- che nel frattempo si era arruola-to nelle stesse S.S - venne riconosciuto e ringraziato

→ Runic “SS”1 per il Deutschland Regiment

→ Runic “SS”2 per i Germania personnel

→ dal 1938 Runic “SS”3 per i membri del Der Führer Regiment.

6. AA.VV, SS, in Treccani (internet), http://www.treccani.it/enciclope-dia/ss/ consultato il 10 genaio 2017

7. Tesi supportata da Guido Von List (1848-1919), poeta e scrittore tedesco che grazie alle sue teorie esoteriche divenne uno degli ispiratori del partito nazionalsocialista.

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direttamente da Himm-ler, capo delle S.S. e fino ad allora all’oscuro della vicenda, con un lettera in cui offrì casa con giardino ovunque desiderasse, a patto che avesse moglie ed almeno due figli8.

Nonostante l’avversione per il modernismo e tutte le forma d’avanguardia, c’è da riconoscere che en-trambi i loghi con le loro declinazioni presentano certamente una sorta di razionalismo bauhausia-no tanto osteggiato uffi-cialmente.

3.3HUGO BOSSChe avesse sostenuto Hitler durante la Secon-da Guerra Mondiale fu

accertato già all’indoma-ni della fine del conflitto, ma fino ad oggi la famo-sa casa di moda tedesca aveva sempre dichiarato che Hugo Ferdinand Boss aveva appoggiato il regi-me dittatoriale solo per salvare l’azienda. Adesso un libro intitolato Hugo Boss, 1924-45, scritto dal-lo storico Roman Koester,

8. Elisabeth HINRICHS, Aileen ITTNER, Daniel ROTHER, XX - DIE SS-RUNE ALS SONDERZEICHEN AUF SCHREIBMASCHINEN, Leipzig, Institut für Buchkunst der HGB, 2009.

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docente all’Università di storia militare di Monaco e commissionato dalla stes-sa casa d’alta moda, rivela che l’allora patron del mar-chio d’abbigliamento non solo fu un fervente nazista, ma negli anni della guerra sfruttò nella sua azienda di Metzingen, nello stato del Baden-Wurttemberg, ben 180 prigionieri di guerra (140 francesi e 40

polacchi)9. È proprio gra-zie all’intervento del par-tito che Hugo Boss poté risollevarsi dalla crisi che colpì la Germania negli anni ’20 e ’30 - dichiarò la bancarotta nel 1930 - commissionando fin dalla sua adesione al partito le divise e trasformando per sempre quella che cominciò come negozio

9. Francesco TORTORA, HUGO BOSS NAZISTA, LA GRIFFE FA AM-MENDA, in Corriere (internet), http://www.corriere.it/cronache/11_set-tembre_22/tortora-ugo-boss-scuse-passato-nazista_a802813a-e504-11e0-ac8f-9ecb3bbcc6bf.shtml?refresh_ce-cp, 22 settembre 2011.

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di lingerie ereditato dai genitori.

Finita la guerra, gli fu tol-to il diritto di voto e l’ob-bligo di pagare una multa di 100,000 Reichsmarks. Così, cinque anni dopo, nel 1953, l’azienda iniziò a produrre vestiti per uomo,

settore in cui diventò lea-der nazionale e poi di se-guito uno dei marchi più prestigiosi a livello mon-diale. Nel 1985 la Hugo Boss entrò in borsa e, di seguito, nel 1993 espanse la gamma di produzione. infatti si dedicò, oltre che alla Hugo Boss casa di moda, al settore della pro-fumeria dando vita alla pri-

ma fragranza: la “Hugo”10.

3.4MANUALE D’USOPubblicato nel 1936, con successive edizioni annua-li, descrive col rigore e la precisione maniacali ogni aspetto e dettaglio dell’i-conografia del partito: loghi, caratteri, bandiere, insegne e quant’altro. La struttura burocratica del

10. Raffaele BRILLI, HUGO BOSS CASA DI MODA: VESTIVA ADOLF HIT-LER E LE SS, in The Different group (internet), http://www.thedifferent-group.com/2016/08/16/hugo-boss-casa-di-moda-hitler/, 16 agosto 2016

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partito era complessa: l’i-dentità del partito era con-trollata da un ente, l’identi-tà nazionale da un altro, lo stesso Goebbels, ministro della propaganda, non si occupava dei simboli e della grafica. Sebbene il suo ministero avesse un ufficio di design, questo si occupava principalmente del materiale di propagan-da. Lo stesso Albert Speer, l’architetto di Hitler e de-signer degli eventi del par-tito, non se ne occupava: il suo ufficio era dedicato alla spettaco-larizzazione del brand. La gestione della svastica era responsabilità di Robert

Ley, capo del Deutsche Ar-beitsfront (DAF, il fronte del lavoratori tedeschi) e del Kraft durch Freude (KdF, letteralmente forza attra-verso la gioia). Noto per es-sere un forte bevitore, l’ex redattore del quotidiano antisemita Westdeutsche Beobachter non era un de-signer o un art-director ma

si guadagnò la fiducia di Hitler grazie alla sua lealtà. Oltre all’aver co l l a b o ra to al progetto “Volkswagen”, tra i suoi “suc-cessi” può vantare l’aver ottenuto la re-sponsabilità

del manuale in questione, 550 pagine rilegate in tela rossa diventate lo stan-

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dard de-facto dell’icono-grafia nazista11.

Steven Heller (1950), auto-re tra gli altri di “The Swa-stika, a Symbol Beyond Redemption?” e di “Iron Fi-sts: Branding the 20th Cen-tury Totalitarian State”, in un’intervista rilasciata alla Cbs12 rivela di essere stato in grado di risalire ad una delle poche copie rimaste in un mercato d’antiqua-

riato di New York ($1200), sebbene ci fossero solo voci riguardo la sua esi-stenza. Oltre a ribadire l’ac-curatezza del manuale per stabilire ogni aspetto visi-vo della vita dei tedeschi, attribuisce a Hitler il forte volere e l’ossessione a sta-bilire le regole estetiche e non al partito tout-court e alla forte natura gerarchi-ca dell’organizzazione la vera ancora di salvezza per

11. Traduzione di NAZI GRAPHIC DESIGN MANUAL, in Faculty Law University of Alberta (internet), http://ualbertalaw.typepad.com/facul-ty/2011/02/nazi-graphic-design-manual.html, 10 febbraio 2011

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la salvaguardia e l’effica-cia della svastica e di tutti gli altri marchi, simboli e palette di colori da dover utilizzare. Infatti, oggi, ca-pita molto spesso che i designers si ritrovino ad aver commissionato un la-voro che a sua volta è stato commissionato preceden-temente, questa modali-tà di lavoro a rete trova la sua maggiore espressione grazie ad internet e poco

ha a che fare con la ge-rarchia nazionalsocialista che consentiva una rigida ed univoca impostazione di tutto il progetto grafico. Inoltre una tale accuratez-za dei dettagli è lontana anni luce da un qualsiasi designer di oggi. Facendo un paragone con gli stati odierni, Heller nota come alcuni governi si avvicina-no non tanto alla cura del brand istituzionale, come

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→ dal Centro di documentazione sul Nazismo, Monaco di Bavierahttps://www.ns-dokuzentrum-muenchen.de/home/

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fece il Terzo Reich, ma piuttosto ad alcune rego-le stringenti riguardo al suo utilizzo. Tuttavia viene evidenziato come un ma-nuale così complesso ed articolato a volte presenta delle disomogeneità do-vuta al numero elevato di designer (con diverso ta-lento) e dipartimenti che ne avevano in carico parti di esso12.

3.4ANTIQUAvs FRAKTURIn molti paesi europei i caratteri gotici, come la scrittura Fraktur sparirono dopo la creazione dei ca-ratteri Antiqua. Al contra-rio in Germania entrambi i caratteri coesistettero fino alla prima metà del

XX secolo. Durante questo tempo entrambi i caratte-ri assunsero in Germania connotati ideologici, il che diede luogo a lunghe ed astiose dispute su quale fosse il carattere “corret-to” da usare. Storicamente la disputa ha origine dai differenti utilizzi di questi due caratteri in alcuni testi intellettuali; per i testi lati-ni, venivano normalmente usati i caratteri Antiqua, mentre quelli Fraktur era-no usati di preferenza per i lavori scritti in tedesco. In origine questo non aveva altro significato che quello di convenzione.

L’apice in questa disputa fu raggiunto per la prima volta nell’anno 1800, un periodo nella storia della Germania in cui si tentò per la prima volta di defi-

12. Intervista da http://www.cbsnews.com/news/hitler-as-art-direc-tor-what-the-nazis-style-guide-says-about-the-power-of-design/

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nire quali valori culturali fossero comuni a tutti i tedeschi. Vi fu un grande impegno per definire i ca-noni della l e t t e ra t u ra nazionale te-desca — ad esempio per la raccolta di fiabe dei fratelli Grimm — e di creare una grammati-ca tedesca unificata13. Nel contesto di queste discus-sioni, i due caratteri tipo-grafici furono sempre più

schierati: l’Antiqua venne visto come “non–tedesco”

e fu ritenuto rappresentan-te di caratteristiche come “superficiale”, “leggero”

e “poco serio”. In alterna-tiva il Fraktur, con la sua scrittura “nera” e densa, fu identificato come portato-re delle virtù tedesche qua-li profondità e sobrietà14.

Durante il R o m a n t i -cismo, dal quale il Me-dioevo veni-va glorificato, la scrittura Fraktur ebbe

in più la (storicamente scorretta) interpretazione

13. Christina KILLIUS, DIE ANTIQUA-FRAKTUR DEBATTE UM 1800 UND IHRE HISTORISCHE HERLEITUNG. Harrassowitz Verlag, Wies-baden, 1999.

14. Silvia HARTMANN, FRAKTUR ODER ANTIQUA: DER SCHRIFTSTRE-IT VON 1881 BIS 1941. Lang, Frankfurt am Main u.a. 1998.

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→ http://retinart.net/typography/blackletter/ntrum-muenchen.de/home/

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di rappresentante del go-tico tedesco. La madre di Goethe consigliò il figlio, che utilizzava l’Antiqua, di rimanere — “per amor di Dio” — tedesco anche nel-la scrittura delle sue lettere (il quale, naturalmente, ri-prese ad usare la Fraktur).

Otto von Bismarck fu un forte sostenitore dei ca-ratteri tedeschi. Rifiutava di ricevere in dono libri te-deschi in caratteri Antiqua e li restituiva al donatore con questa frase Deutsche Bücher in lateinischen Bu-chstaben lese ich nicht! (Non leggo libri tedeschi in lettere latine! - citata da Reinecke)15.

La disputa tra l’Antiqua e la Fraktur continuò nel XX se-colo. Gli argomenti a favore della Fraktur non erano so-

lamente basati su una per-cezione storica e culturale ma anche sul fatto che la Fraktur veniva considerata più adatta per la stampa in tedesco e in altre lingue germaniche, essendo più leggibile dell’Antiqua per questo scopo. Una pubbli-cazione del 1910 di Adolf Reinecke, Die deutsche Buchstabenschrift, riven-dicava i seguenti vantaggi della scrittura tedesca:

• La scrittura tedesca è una vera scrittura per la lettura: è più leggibile, cioè le figure delle lettere sono più chiare rispetto alla scrittura latina.

• La scrittura tedesca è più compatta nella stam-pa, il che è un vantaggio per un rapido riconosci-

15. Albert KAPR, FRAKTUR, FORM UND GESCHICHTE DER GEBRO-CHENEN SCHRIFTEN. Verlag Hermann Schmidt, Mainz 1993.

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mento delle lettere men-tre si legge.

• La scrittura tedesca è maggiormente adat-ta per la lingua tedesca, così come è più adatta alle caratteristiche del tedesco rispetto alla scrit-tura latina.

• La scrittura tedesca non causa miopia ed è più salutare per gli occhi rispetto alla scrittura la-tina.

• La scrittura tedesca è più adatta allo sviluppo; la scrittura latina è incisa nella roccia.

• La scrittura tedesca può essere letta in tutto il mondo, in quanto viene

usata come scrittura or-namentale.

• La scrittura tedesca rende facile agli stranieri l’apprendimento del te-desco.

• La scrittura latina sta perdendo gradualmente la sua funzione di scrittu-ra internazionale a causa del successo del mondo anglosassone (in questo punto l’autore afferma che gli anglosassoni del Regno Unito, degli Stati Uniti e dell’Australia sono ancora abbastanza “ger-manici” per annichilire il sogno degli scriventi in latino di un “mondo a scrittura latina”).

• L’utilizzo della scrittura latina per la lingua tede-

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sca aiuta l’infestazione da parole straniere.

• La scrittura tedesca non impedisce la diffu-sione della lingua e della cultura tedesca in altri paesi.

Il 4 maggio 1911 un picco nella controversia fu rag-giunto durante un voto al Reichstag. La Verein für Altschrift (‘società per l’an-tica scrittura’) che soste-neva l’Antiqua sottopose una proposta per rendere l’Antiqua il carattere uffi-ciale (il Fraktur era stato il carattere ufficiale della fondazione dell’Impero te-desco) e di non insegnare più la Kurrent tedesca nel-le scuole. Dopo un lungo, e in alcuni momenti acce-so, dibattito la proposta fu respinta per 85 contro 82

voti15. Il carattere Fraktur ebbe un uso fortemente diffuso durante il periodo nazista. Dopo essere stato propagandato come il solo autentico esempio di scrit-tura tedesca fu vietato nel 1941 con un Schrifterlass (decreto sulla scrittura) e dichiarato Schwabacher Judenlettern (“scrittura giudaica Schwabacher”)16. Si suppone che la ragione di questo cambiamento d’idea sia stato il fatto che l’Antiqua era molto più comprensibile per i popo-li che vivevano nelle aree occupate, mentre il carat-tere Fraktur non era molto conosciuto al di fuori dei paesi di lingua tedesca. Questa ipotesi è contrad-detta dal fatto che i nazisti abbiano stampato libri, giornali e vari testi destina-ti all’estero in Antiqua per

16. Robin KINROSS, TIPOGRAFIA MODERNA, Londra, Stampa Alterna-tiva, 2005.

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molto tempo. Di conse-guenza, sarebbero stati in grado di stampare tutto il necessario alle zone occu-pate in Antiqua senza che ci fosse bisogno di cam-biare lo stile di carattere in uso nelle zone di lingua te-desca. Verosimilmente fu Adolf Hitler la causa del di-vieto. Sembra, infatti, che avesse in antipatia il font Fraktur, come dimostra la seguente dichiarazione fatta al Reichstag nel 1934:

«La vostra dichiarata intenzione di internalizzazione del gotico non si adatta a questa età di acciaio e ferro, vetro e cemento, bellezza femminile e forza maschile, di alzate di testa ed intenzioni provocatorie… Fra un centinaio d›anni la nostra lingua sarà

la lingua europea. Le nazioni dell›est, del nord e dell›ovest che vorranno comunicare con noi impareranno la nostra lingua. Il prerequisito per ciò: la scrittura denominata gotica sarà sostituita dalla scrittura fino ad ora denominata latina… »

Il decreto di Bormann del 3 gennaio 1941, inizialmen-te, proibiva l’uso dei soli caratteri gotici. L’utilizzo della Kurrent (gotico cor-sivo) fu proibito da una se-conda circolare, così come quello della Sütterlin, che era stato introdotto solo dagli anni venti. Dall’an-no accademico 1941/42 in avanti della sola Nor-malschrift (“scrittura nor-male”) fu permesso l’uso e l’insegnamento, il quale a questo punto veniva già

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insegnato assieme alla scrittura Sütterlin sotto il nome di “scrittura latina”. In ogni caso la Kurrent ri-mase ancora in uso fino al 1945 sulle insegne delle SS (nomi delle Divisioni–SS ecc.) e in alcuni altri casi17.

→ (immagine fine capitolo)

Decreto di Martin Bor-mann del 3 gennaio 1941 che impone l’Antiqua (“Normal-Schrift”) come carattere ufficiale.

“... Vi annuncio quanto segue, per ordine del Führer:

È falso considerare il cosiddetto carattere gotico come carattere tedesco. In realtà, il cosiddetto carattere gotico è costituito da lettere Schwabacher ebrei. Proprio come in seguito è venuto a

possedere i giornali, gli ebrei che vivono in Germania, possedeva anche le macchine da stampa ... e quindi avvenne l’uso comune in Germania di lettere Schwabacher ebrei.

Oggi il Führer ... ha deciso che tipo di Antiqua deve essere considerato come il tipo di carattere standard. Nel corso del tempo, tutto il materiale stampato deve essere convertito in questo tipo di carattere standard. Questo avverrà il più presto possibile in materia di libri di testo scolastici, solo lo script di serie sarà insegnato in paese e scuole primarie. L’uso di Schwabacher-ebrei lettere da parte delle autorità sarà in futuro cessate. I certificati di nomina per i

17. Adolf REINECKE, DIE DEUTSCHE BUCHSTABENSCHRIFT: IHRE ENTSTEHUNG UND ENTWICKLUNG, IHRE ZWECKMÄßIGKEIT UND VÖLKISCHE BEDEUTUNG, Leipzig, Hasert, 1910.

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funzionari, i segnali stradali e la volontà come in futuro essere prodotti solo in caratteri standard di ...

Firmato, M. Bormann»

Ironia della sorte, questo documento fu stampato con la carta intestata nazi-sta, ovvero in Fraktur.18

18. AA.VV, 1941: THE NAZIS BAN JEWISH FONTS, in alphahistory.com, http://alphahistory.com/pastpeculiar//1941-nazis-ban-jewish-fonts/ consultato il 30 dicembre 2016.

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A P P R O F O N D I M E N T O

GleichschaltungFu un processo di «normalizzazione» nazista delle Germania. La retorica del partito è entrata in ogni aspetto della vita tedesca, dal semplice disposizione dei sacchi della spazzatura agli standard di stampa e della grafica.

Come mostrato nella pubblicazione Graphics Yearbook del 1939, non publicato dall›organizzazione del partito nazionalsocialista, l›estetica nazista fu introdotta con dati di fatto. Soltanto guardando gli esempi delle stampe delle insegne delle SS o delle SA giustapposte ,come qualsiasi altra cosa, con inserti pubblicitario di varia natura. Viene presentato anche, in questo volume, i caratteri da utilizzare, quelli del Volk, bandendo quelli «moderni»1.

La banalità del male si annida in ogni atto del Terzo Reich, che rende normale l›affiliazione della cittadinanza alle volontà del regime.

1 Steven HELLER, THE NORMALIZATION OF NAZI GRAPHICS, in Printmag (internet), http://www.printmag.com/design-books/normalization-na-zi-graphics/ 6 ottobre 2016

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Conclusioni

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CONCLUSIONICome un qualsiasi brand odierno, quello del Partito nazionalsocialista punta sulla “promessa”, ovvero tutti quei valori immate-riali che risiedono nella mente delle persone a li-vello individuale e sociale. Le persone si troveranno a riporre fiducia e lealtà ver-so il marchio, la svastica. Come disse Walter Landor:

“Products are created in the factory. Brands are cre-ated in the mind.”1

La comunicazione visiva è capace di instillare nell’im-maginario collettivo com-portamenti e modi di pensare che agiscono nel lungo periodo, che vanno molto oltre i momenti di acquisto e consumo di un

determinato prodotto o servizio. L’attività di per-suasione è connaturata nel mestiere di progettista grafico, prendendo infor-mazioni e idee e forman-dole in comunicazione che coinvolga la sfera per-sonale e collettiva. Indi-pendentemente dal fatto che il nostro cliente stia vendendo un prodotto o un’ideologia, la ricerca è focalizzata nell’aiutarli a farlo. Si potrebbe soste-nere che quest’attività di rappresentanza sia equi-parabile a quella degli av-vocati: utilizzare le abilità professionali per ottenere il miglior risultato possi-bile per la committenza e non lasciare che i punti di vista personali influen-zino il risultato finale. Ep-pure, come gli avvocati, si dovrebbero affrontare

1. Approfondimento AAVV, A BRAND IS AN IMAGE, in UK Essays (internet), https://www.ukessays.com/essays/marketing/a-brand-is-an-image.php, 23 marzo 2015.

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alcune sfide etiche lungo il processo progettuale. Va da sé che l’attenzione di scelte etiche dei progettisti grafici - oggi molto spesso freelance e quindi interfac-ciati a diversissime realtà produttive e comunicative - risultano fondamentali per lo sviluppo umano e sociale. Dovrebbero perciò porsi questioni più com-plesse delle, seppur essen-ziali, questioni del Cosa comunico? Come? E a chi?.

Già nel 1964 nel Regno Unito si affrontò la que-stione che vide la pubbli-cazione del First Things First Manifesto a cura di Ken Garland, firmato da al-tri ventidue designer, in cui tra l’altro dichiara: “By far the greatest effort of those working in the advertising industry are wasted on the-

se trivial purposes, which contribute little or nothing to our national prosperity.”2

Era già chiaro, all’epoca, che il ruolo del designer non poteva limitarsi a ren-dere “pretty” ciò di cui si occupava, bisognava che ci fosse una maggiore con-sapevolezza delle respon-sabilità etiche.

Molta della letteratura con-temporanea sembrerebbe indirizzata nell’accostare l’etica alla sostenibilità. Ciò è sacrosanto ma non sufficiente a configurare la professione del progetti-sta. La questione è molto più articolata e dovrebbe prevedere e capire che punto un designer deve assumersi la responsabi-lità per le azioni del clien-te e quando un designer

2. Ken GARLAND, FIRST THINGS FIRST MANIFESTO, Londra, 1964. https://maxb.home.xs4all.nl/ftf1964.htm

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dovrebbe prendere una posizione.Forse una delle tante possibilità può esse-re quella proposta dall’AI-GA (American Institute of Graphic Arts), ovvero: es-sere un citizen-designer3. L’associazione, fondata nel 1914, propone ai suoi associati di essere cittadi-ni prima ancora di essere “solo” designer e vantan-do oltre i 25.000 membri riesce a creare una circo-larità di informazione, casi studio, pratiche e modi di fare volti ad una consape-volezza critica del design come valore culturale per la crescita collettiva. Nello specifico i punti cardine4:

• una maggiore compren-sione del valore del design e dei progettisti nel gover-no, nelle imprese, e nei me-dia.

• migliorare lo sviluppo professionale attraverso l’arricchimento delle oppor-tunità di apprendimento a tutti i livelli.

• ispirare i designer e il pubblico attraverso la con-divisione dei lavori più si-gnificativi, che aprano una discussione su questioni urgenti.

• organizzare eventi e ini-ziative per servire una vasta gamma di gruppi di interes-se.

• definire standard globali e pratiche etiche.

• rendere gli strumenti e le risorse accessibili a tutti.

Inoltre, propone la parte-cipazione attiva alle cause

3. AAVV, NY CITIZEN DESIGNER PLEDGE, in AIGA (internet), http://aigany.org/news/aigany-citizen-designer-pledge/ , consultato il 10 feb-braio 2017.

4. Sezione ABOUT del sito AIGA, http://www.aiga.org/about/ consul-tato il 10 febbraio 2017.

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politiche tramite l’iniziati-va The 2017 Citizen De-signer Pledge5 in cui si invitano tutti i designer a mettere in pratica i punti appena enunciati, e non solo, sono coinvolti i grup-pi di persone impegnati civicamente che abbia-no bisogno di supporto e/o che abbiano voglia di condividere esperienze e

strumenti utili. Anche le aziende sono invitate a partecipare, impegnan-dosi su almeno due cause civiche all’anno, metten-do a disposizione il per-sonale ed incoraggiando i dipendenti a coinvolgersi maggiormente alla vita collettiva. Indispensabile l’impegno a votare. Sulla stessa scia l’autorevole cri-

5. AAVV, NY CITIZEN DESIGNER PLEDGE, in AIGA (internet), http://aigany.org/news/aigany-citizen-designer-pledge/ , consultato il 10 feb-braio 2017.

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tico e designer Steven Hel-ler, che oltre alla pubblica-zione di Citizen Designer: Perspectives on Design Responsibility (2013), in un saggio pubblicato su Design Observer6, dichiara:

“Now is not the time to simply make clever posters with witty slogans. (Fun

yes. Productive, no.) We must believe that since design can serve people

for the better, it is our job to design alternative streams of credible information that will provide tools—to-ols for designing alterna-tive social, cultural, and political bulwarks against the social, cultural, and po-litical transformations that will soon be locked in stone if we don’t act.”

Certamente i risultati delle recenti elezioni USA hanno acuito queste riflessioni,

6. Steven HELLER, AMERICA’S BIG DESIGN PROBLEM, in DesignOb-server, http://designobserver.com/feature/americas-big-design-prob-lem/39439, 5 dicembre 2016.

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ponendo come punto cen-trale la questione di come la comunicazione visiva sia manipolativa o educa-tiva sui temi politici.

Non è certamente possibi-le fare paragoni semplici-stici con la propaganda del partito nazionalsocialista degli anni ’30-’40 – la pro-paganda si è evoluta adat-tandosi al sistema econo-mico attuale piuttosto che alla politica7; la tecnologia “a portata di tutti” ha con-sentito un contributo e una diffusione sui social media di contributi visivi (es. meme) che partono dal basso, difficilmente controllabili a livello pro-gettuale ma sicuramente contrastabili attraverso la cultura - ma certamente ci sono dei punti di contatto che riguardano la comuni-

cazione visiva da prendere in considerazione.

Per quanto riguarda il web e ciò che in esso viene condiviso/pubblicato, pa-rallelamente alle questio-ni sollevate dagli esperti di comunicazione visiva, tutto il mondo dell’ICT proprio sull’etica ha una lunga storia alle spalle di una serie di elaborazioni e reazioni relative ad accadi-menti in ambito dell’evo-luzione delle tecnologie e del modo in cui il loro uso entra e influenza la società attuale, raccolte sotto la voce Computer Ethics. Sovente, vista la rapidità di sviluppo delle tecnologie, si rendono fruibili informa-zioni e connessioni tra di esse, attività e possibilità, quindi, più rapidamente di quanto si costruiscano dei

7. Traduzione del documentario THE MYTH OF THE LIBERAL MEDIA: THE PROPAGANDA MODEL OF NEWS, intervento di Noam CHOMSKY https://www.youtube.com/watch?v=KYlyb1Bx9Ic

8. Clelia CALDESI VALERI, BENI CULTURALI E INFOSFERA, PROCES-SI, METODI, MEDIAZIONE, Tesi di Dottorato in Beni Culturali - XXVII Ciclo, Politecnico di Torino, giugno 2016.

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punti di riferimento per assorbirle ed elaborarle.

Questo processo di svi-luppo tecnologico e di elaborazione concettua-le porta a considerare la possibilità di porsi do-mande a un livello di ana-lisi antecedente, conside-rando rete e tecnologie come parti dell’ambiente in cui si vive e che verrà lasciato alle generazioni future.8

Risulta interessante citare il lavoro di Luciano Floridi9, egli afferma infatti:

«ICTs are actually creating a new informational en-vironment in which future generations will live most of their time»10 così egli leg-ge la particolare situazione in cui ci si trova oggi in rap-

porto al web e alla vastità dei dati in esso presenti, 11tanto da affermare:

«the infosphere12 will have moved from being a way to refer to the space of in-formation to being synon-ymous with reality. […] We shall be in trouble if we do not take seriously the fact that we are constructing the new environment that will be inhabited by future

9. Professor of Philosophy and Ethics of Information Luciano FLORI-DI, in Oxford Internet Institute, https://www.oii.ox.ac.uk/people/lucia-no-floridi/

10. Luciano FLORIDI, INFORMATION: A VERY SHORT INTRODUCTION, Oxford University Press, Oxford, 2010, p. 14.

11. Clelia CALDESI VALERI, BENI CULTURALI E INFOSFERA, PROCES-SI, METODI, MEDIAZIONE, Tesi di Dottorato in Beni Culturali - XXVII Ciclo, Politecnico di Torino, giugno 2016.

→ vedi nota 11

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generations»13La relazione e l’interscambio del rea-le e del virtuale è sempre più evidente e di difficile distinzione, ne consegue che anche la propaganda politica ne sia coinvolta.

La spinta virale dei demo-cratici, costruita dai soste-nitori di Bernie Sanders a colpi di “dank memes” - un contenuto mediatico vira-le intenzionalmente biz-zarro – in cui il candidato, probabilmente a sua insa-puta, è diventato, insieme a Trump, uno dei protago-nisti di questo mondo. Il più grande dei gruppi Fa-cebook a lui dedicati, Ber-nie Sanders’ Dank Meme Stash, conta 430mila iscrit-ti ed un numero incalco-labile di immagini e video potenzialmente virali , si è sgretolata dopo la vittoria

di Hillary Clinton alle pri-marie democratiche.

Mentre, con la sconfitta di Sanders, la campagna democratica abbandona-va questo mondo, sulla board /pol/ (politically in-correct) del forum 4chan la causa di Trump è stata sposata dalla corrente po-litica chiamata alt-right: una costola della destra repubblicana nata ed esi-stente solamente su in-ternet. La destra alterna-tiva è un agglomerato di concetti populisti, razzisti, xenofobi, omofobi, anti-femministi e antisemiti che veicola i suoi messaggi tramite meme virali. Il più famoso di questi protago-nisti è “Pepe the Frog”, una rana verde dagli occhi sgranati, presente nei thre-ad di 4chan da almeno 10

12. “Infosfera è un neologismo che ho coniato anni fa sulla base di “bio-sfera”, un termine che si riferisce a quella limitata regione del nostro pianeta che sostiene la vita. Denota l’intero ambiente informazionale costituito da tutte le entità informazionali (compresi, quindi, anche gli agenti informa-zionali), le loro proprietà, interazioni, processi e relazioni reciproche. È un ambiente paragonabile al, ma differente dal, ciberspazio (che è solo una delle sue sottoregioni, per così dire), in quanto comprende anche spazi di informazione offline e analogici”

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13. Luciano FLORIDI, FOUNDATIONS OF INFORMATION ETHICS, in THE HANDBOOK OF INFORMATION AND COMPUTER ETHICS, Kenneth E. Himma, Herman T. Tavani, Wiley-Interscience, Hoboken (NJ), 2008, p. 20.

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anni e diventato in questi ultimi mesi un simbolo della campagna elettora-le di Donald Trump, tanto da essere inserito dalla Anti-Defamation League tra le immagini antise-mite. Secondo il recente studio A Longitudinal Mea-surement Study of 4chan’s Politically Incorrect Forum

and its Effect on the Web14, pubblicato ad ottobre 2016, nei mesi estivi del 2016 sono state caricate 2,210,972 immagini, per la gran parte raffiguran-ti Pepe nelle più svariate forme. La spinta virale di Pepe è stata così potente che il profilo Twitter uffi-ciale di Donald Trump il 13

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ottobre 2015 ha retwittato una rana a sua immagine e somiglianza già vestita da Presidente degli Stati Uniti.

Parliamo da decenni di so-cietà dell’immagine. Pos-siamo facilmente capire come un disegno, spesso muto o accompagnato da poche basilari parole (“fe-els good man” ) possa rag-giungere milioni di perso-ne senza confini, e possa essere declinato in milioni di modi in base alla fan-tasia degli utenti. Stiamo parlando di una immedia-tezza e di una sinteticità che un articolo di giornale riguardo Trump - anche qualora fosse pubblicato sul maggiore quotidiano americano - farà fatica ad avere, rimanendo riserva-to ad un pubblico ristret-

to, probabilmente già in-tenzionato a votare per la Clinton. Inoltre, un meme sostituisce il divertimento alla difficoltà di un’analisi politica dettagliata.

Pepe è un meme ingenuo, che nasce come fumet-to nel 2005, e nel 2015 è il meme più utilizzato dell’anno su Tumblr, grazie alla sua capacità di essere facilmente adattato alle esigenze e al piacere gra-fico di ogni singolo uten-te. Anche quando diventa il simbolo dell’alt-right, Pepe non è solamente il simbolo dell’alt-right. Re-sta un meme utilizzato da chiunque, anche solo per esprimere uno stato d’ani-mo o una sensazione.

Così Trump - dopo la scon-fitta di Sanders - è rimasto

14. Luciano FLORIDI, INFORMATION: A VERY SHORT INTRODUCTION, Oxford University Press, Oxford, 2010, p.p. 17-18.

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l’unico fenomeno virale di queste elezioni americane. Gli anonimi utenti di 4chan nel giro di qualche mese hanno creato una mitolo-gia di Donald Trump senza che questo abbia speso un nichelino. Sarebbe fa-cile catalogarli sbrigativa-mente come “troll pagati dai repubblicani” per fare campagna elettorale - per usare un adagio ricorrente in Italia - ma sono in real-tà centinaia di migliaia di semplici utenti che hanno voluto dare un significato ad una campagna eletto-rale pessima da entrambe le parti. Una sorta di poli-tica attiva nell’era digitale alla quale è stato avvici-nato ogni tipo di aggettivo dispregiativo: irriverente, nazista, sessista, distrutti-va, populista. Tutto vero. Ma la destra alternativa

non esisteva nella scena politica mondiale prima della candidatura di Tru-mp, se non nella mente e nel senso di appartenenza degli utenti di 4chan. Oggi è una corrente di pensiero capace di influenzare l’ele-zione del Presidente degli Stati Uniti.

Uscendo da Facebook, Twitter e altri social “con-venzionali”, andando in giro per tutto il resto dell’in-ternet, era chiaro come la rete fosse dalla parte di Trump, c’era un hype in-credibile. Meme, gif, video, canzoni si sono moltipli-cati esponenzialmente. La vaporwave - che già da qualche anno si afferma come principale corren-te musicale ed estetica in rete - si è tinta di arancio-ne come i capelli di Trump

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ed ha trovato nel magnate una spinta ulteriore per invadere la rete, entran-do nell’immaginario cul-turale degli utenti. Certo, sulle board come 4chan ottenere dati rapidamente è difficile, i thread espira-no dopo alcuni minuti di inattività, gli utenti sono anonimi e non ci sono siti che offrono servizi di sta-tistica come per Facebo-

ok e Twitter. Ma quanti tra opinionisti ed esperti delle elezioni americane sanno cos’è la vaporwave? Quan-ti hanno seguito il fenome-no di Pepe e l’evoluzione dell’alt-right? Quanti han-no speso anche solo un paio d’ore su /pol/ per ca-pire cosa stava succeden-do? Quanto hanno inciso gli scandali informatici della Clinton sull’opinione

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dell’elettorato digitalizza-to? In particolare, questo ha portato i giovani so-stenitori di Sanders a non votare il Partito Democra-tico?

Eppure già nel periodo della Brexit queste board avevano dato segnali forti. Quando la politica parla alla pancia dell’elettora-to, bisogna sapere dove è la pancia dell’elettorato. E ascoltarla. In occasioni come questa, agli utenti di 4chan piace dire “/pol/ was right again”. Ultima-mente gliene stiamo dan-do spesso motivo15.

La propaganda politica, peraltro, è oggi per più aspetti assimilabile alla pubblicità commerciale. In primo luogo persegue le stesse finalità di persuasio-

ne, ponendosi come obiet-tivo generale quello di su-scitare un atteggiamento favorevole nei confronti di un determinato soggetto politico e come obiettivo particolare, in occasione delle campagne elettorali, quello di rafforzare o di in-durre un’intenzione e, pos-sibilmente, un comporta-mento di voto a vantaggio di un partito o di un can-didato. In secondo luogo utilizza gli stessi mezzi, in particolare la televisione, e fa ricorso ai professionisti della comunicazione pub-blicitaria. In terzo luogo, ricorre sempre più spesso alle stesse strategie co-municative, sollevando di conseguenza la questione se vendere un detersivo e promuovere l’immagine di un partito siano sostan-zialmente la stessa cosa. In

15. Carlo BRUNELLI, MEME, BOARD E VIRALITÀ: LA RETE LON-TANA DAI SOCIAL CHE HA INCORONATO TRUMP, in LaRepubblica (internet), http://www.repubblica.it/speciali/esteri/presidenzia-li-usa2016/2016/11/12/news/trump_internet_meme_virali_so-cial_4chan-151826943/, 12 novembre 2016.

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quarto luogo, la pubblicità politica, come la pubblici-tà commerciale, si inseri-sce in un insieme organiz-zato e integrato di attività di marketing che hanno lo scopo di conseguire “l’ot-timizzazione del numero di militanti, dei contributi finanziari e delle adesioni che devono affluire a un partito, a un programma o a un candidato, tramite l’attivazione di tutti i mezzi necessari per raggiungere un obiettivo fissato preli-minarmente in funzione delle aspirazioni dell’opi-nione pubblica” e, nel caso specifico del marketing elettorale,16 “ottenere che il maggior numero possibi-

le di elettori faccia rifluire i suoi voti su un partito o un progetto politico.”17

Ciò detto implica che fat-tori come politica, socio-logia, tecnologia e comu-nicazione hanno lo stesso livello di importanza quan-do si analizza la propa-ganda, e in questo caso la comunicazione visiva nella propaganda, in ogni epoca storia presa in esame. Di certo c’è che la propagan-da stabilisce - o quanto-meno rappresentare una chiave di lettura - in che genere di mondo viviamo e l’eccezionale valore del-la dottrina dominante per spiegare la realtà.18

16. Gianni LOSITO , PROPAGANDA, in Franco LEVER - Pier Cesare RI-VOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it 13 febbraio 2017.

17. Dominique David QUINTRIC SCHROEDER, IL MARKETING POLITI-CO, Torino, ERI 1979

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