più perfetta letizia

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designfreebies Issue 12 June 2012 Free Adobe InDesign Template PENTECOSTE DAL PALLONE A SAN FRANCESCO UNA CASA COSTRUITA SULLA ROCCIA perfettaletizia Speciale Maggio-Giugno 2013 Più L’ORA DELLA SPERANZA LA MIA VOCAZIONE PERIODICO DELLA COMUNITÀ ADVENIAT - SANTA MARIA IN ARCE QUANTO È DIFFICILE CREDERE SPERARE NEL DOLORE Aveva gli occhi di una luce delicata. Era già a tu per tu con Dio. La sentivo già oltre, mi parlava da un’altezza che io non potevo raggiungere. Solo attraverso la fede si colgono le opportunità A DIO SORELLA VALERIA!

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Periodico della Comunità Adveniat Santa Maria in Arce

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Page 1: Più Perfetta Letizia

designfreebiesIssue 12 • June 2012

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PentecosteDal Pallone a san Francesco

Una casa costrUita sUlla roccia

perfettaletiziaSpeciale Maggio-Giugno 2013

Più

L’ora deLLa speranzaLa mia vocazione

periodico deLLa comunità adveniat - santa maria in arce

quanto è difficiLe credere

sperare neL doLore

Aveva gli occhi di una luce delicata. Era già a tu per tu con Dio.La sentivo già oltre, mi parlava da un’altezza che io non potevo raggiungere.

Solo attraverso la fede si colgono le opportunità

a Diosorella valeria!

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PriMo Piano

04 Dal pallone a San Francesco! 50 anni di sacerdozio di p. augusto 06 Pentecoste L’ora della speranza.

10 Suor Elena La casa sulla roccia.

12 Lui benedice!

PEr SEMPrE con noi

13 Di parole si vive!

14 Dono di Dio per me 15 lasciami andare! 16 ciao Zia!

17 se il chicco di grano...

19 le omelie dell’addio

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Direttore editorialeP. Augusto Drago ofm

redazione Suor Elisabetta Fiaschi

Hanno collaborato a questo numeroP. Augusto DragoSuor AdaSuor ElisabettaSuor LuiginaSuor Maria GraziaMarina MarcoliniGiacomo FiaschiGiovanni Fiaschi

impaginazione e graficaGiacomo Fiaschi

Comunità Adveniat S. Maria in Arce tel e fax 075 8038396

Editorialedi Giacomo Fiaschi

Con questo numero speciale la Comunità Adveniat celebra eventi apparentemente contrastanti ma che, in realtà, sintetizzano in modo straor-dinario quel mix di eventi che forma-no il tutt’uno dell’esperienza cristia-na. Gioa e dolore si fondono in un arco-baleno di sentimenti dalle mille sfu-mature quando vengono vissuti nella dimensione della nostra Fede.L’anniversario del 50° di sacerdozio di Padre Augusto Drago è la festa, la grande festa con la quale la Comunità, riconoscente, si stringe intorno al suo Fondatore.Il ritorno alla casa del padre di Suor Elena Chiara, madre generale della Comunità, e della sorella Valeria sono due eventi che si sono susseguiti nel breve corso di un mese.Vivere contemporaneamente questi due eventi è possibile solo se illumi-nati dalla Luce della Parola di Dio.E’ per questo che abbiamo rimesso insieme riflessioni, ricordi e testi-monianze che, ci auguriamo, potran-no rappresentare in modo adeguato i sentimenti che guidano, oggi, la Comunità nel suo cammino.

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Era una mattina di tanti, tanti anni fa quando insieme ai miei amici avevamo programmato di andare a giocare a pallone. Le cose tuttavia non sono andate secondo il mio desiderio. Proprio quella mattina era segnata una santa Messa per l’anniversario di matrimonio di mio fratello e mio papà voleva a tutti i costi che io andassi a Messa. Con la testa nel “pallone” andai a quella benedetta Messa. Finita la celebrazione, entrando in sagrestia improvvisamen-te sentii forte nel cuore la chiamata a seguire Gesù mettendomi alla scuola di Francesco. Mi trovavo nella mia città natale, Enna. Iniziò così per me una nuova vita a servizio della Chiesa nella famiglia dei frati francescani conventuali. La vita mi offriva l’occasione per sperimen-tare la fede. Ci sono momenti in cui ti trovi ad un bivio: o vai di lì o vai di là. E quel momento è decisivo, perché tutto si decide davanti a quel bivio. Puoi contare solo su quella voce tenue come il rumore di un raggio di sole sull’acqua.La mia vocazione è iniziata da un pallone!

DaL PaLLonE a San FrancESco!

Solo attraverso la fede si colgono le opportu-nità. Così la mia vo-cazione è iniziata con una fede semplice di un ragazzino di 13 anni innamorato della vita e del pallone.

p. augusto drago ofm

50° anniversario dell’Ordinazione Sacerdotale

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DaL PaLLonE a San FrancESco!

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Solo Dio può istruire, ma bisogna dargliene il tempo e fare abba-stanza silenzio per sentire una voce che fa meno rumore di un raggio di sole sull’ac-qua.Jacques e Raissa Maritain

La mia formazione è avvenuta a Palermo, lì sono stato ordinato sacerdotale il 30 marzo del 1963. Dopo l’ordinazione ho trascorso due anni come vice parroco a Ragusa. Da qui poi fui mandato a Roma per studiare al Biblico dove mi specializzai in Sacra Scrittura. Poi approdai ad Assisi! Era volontà dei miei superiori che diventassi docente di Sacra Scrittura. Il mio insegnamento è durato quaranta anni! Tanti anni che hanno visto passare sotto il mio insegnamento tanti gio-vani che ora sono sacerdoti, vescovi... Ero più vicino a Francesco. Questo mi rendeva felice! Le sorprese di Dio non si esaurisco-no...Con l’andare del tempo, ho avuto in dono di accogliere l’intuizione dello Spirito di fondare una Comunità religiosa femmini-

le denominata “Comunità Adveniat Santa Maria in Arce”. La grazia del Signore non mi ha mai abban-donato e la Comunità tuttora vive per lodare il Signore attraverso il Carisma che Lui stesso ha dettato al mio cuore. La Comunità si trova a Rocca Sant’Angelo dove svolgo il mio compito di vice parroco dell’uni-tà pastorale di Petrignano, Torchiagina e Palazzo. Finito l’insegnamento all’Istituto teologico, il Vescovo di Assisi mi affida il ministero dell’esorcistato: compito difficile e impe-gnativo ma la grazia del Signore ha supplito alla mia debolezza e fragilità. Che dire di tutto? Grazie, solo grazie per tutto e per sempre. Grazie a Te mio Signore, grazie a Te!

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C’è una specie di assuefazione al male. Rischiamo di essere travolti dal grido senza voce di chi piange e soffre.

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Eclissi della speranza? Guardando il vasto panorama della vita sociale e culturale dell’uomo, e, perché no, anche la stessa esperienza cristiana, si ha la triste impressione che la Speranza, sia stata bandita dall’orizzonte del vivere umano.Si avverte un diffuso scoramento, un senso di ineluttabilità, insomma, è come se il futuro fosse stato cancellato dall’orizzonte esistenziale. Siamo travolti dalla bufera del presente.Certo, motivi ce ne sono, e tanti: sia dal punto di vista morale, sociale, culturale, sia dal punto di vista cristiano ed ecclesiale.Dove sono gli uomini di speranza? Dove i cristiani che sanno intonare il canto della speranza per un futuro migliore? Dove i veri profeti che sanno dare un senso alle sofferenze del tempo presente, le quali non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi? (Romani 8,18).No, di certo, non voglio chiudere gli occhi davanti al devastante male che, ad ogni livello, colpisce la nostra società! Quello che mi preoccupa non è tanto questo: infatti, sia pure ciclicamente la società e la stessa Chiesa, hanno sempre attraversato tempi difficili come il nostro, se non peggiori. Basti guardare la storia sia della Chiesa sia quella delle società civili. Cambia il volto del male, per questo ci trova sempre spiazzati. Il secolo scorso è stato quello del male proveniente dalle ideologie, che

hanno avuto come esito esiziale lo ster-minio dell’uomo. Tempi nei quali ci si chiedeva dove fosse finito Dio davanti a tanto male! Il nostro tempo, invece, è for-temente caratterizzato da tensioni culturali, guerre di religioni, ingiustizie e, sul piano morale, dall’autosufficienza, dal relativi-smo, dall’individualismo. C’è una specie di assuefazione al male. Rischiamo di essere travolti dal grido senza voce di chi piange e soffre. Anche in questo modo si concorre a sterminare l’uomo. Lo si defrauda dalla sua dignità, dalla sua libertà ed al contempo, lo si rende più fragile davanti agli eventi negativi della vita. Tuttavia, voglio ribadire con forza, che non è questo ciò che mi pre-occupa. E’ ben altro.Mi preoccupa il fatto di come sia venuta meno la capacità spirituale di resistere al male, così come la capacità di denunciarlo e di essere profeti di Speranza. Lo dico con forza, con tutto lo slancio del mio cuore! Non è possibile che il cristiano, il quale per sua natura dovrebbe essere uomo dello Spirito, prenda, davanti al male esistente oggi, atteggiamenti che vanno in senso opposto alla Speranza. Infatti, o si ritira nel privato della propria fede, o nell’indifferen-za che cede all’ineluttabilità delle cose, o peggio, si aggrega a quel movimento apoca-littico, che sta prendendo sciaguratamente piede nella mentalità comune che parla di prossime fini del mondo, di imminenti scia-gure, di deflagrazione dell’umanità verso il

Consolatore perfetto,Ospite dolce dell’ani-ma,dolcissimo sollievo.

Nella fatica riposo,nella calura, riparo,nel pianto conforto.

Dalla sequenza di Pen-tecoste

PEntEcoStEL’ora deLLa speranzap. augusto drago ofm

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nulla, appoggiandosi a presunti profeti o pseudo

tali, che hanno sempre nuove calamità da propa-

gandare! Giusto, come se ce ne fosse bisogno,

per mettere ancora più ansia nel cuore inquieto

dell’uomo! I seguaci di questo movimento, com-

posto non di rado da “pii” cristiani, oggi purtrop-

po, sono i più ascoltati. Forse perché il rifugiarsi

in una visione apocalittica costituisce una fuga

dalle proprie responsabilità? Senza poi contare

quelli che ricorrono ai maghi ed agli stregoni a

pagamento, solo per sentirsi rassicurati sugli esiti

del propri bisogni. Sarà mai possibile mandare

in esilio la Speranza? Proprio quella Speranza

che ci viene donata da una rinnovata Pentecoste?

L’uomo non può fare a meno di sperare per

vivere, nonostante le situazioni negative che gli

si presentano dinanzi. Egli ha bisogno di com-

prendere quella sola Speranza alla quale siamo

stati tutti chiamati, quella della nostra vocazione

(Efesini, 4,4). Abbiamo tutti bisogno di com-

prendere che continuamente siamo chiamati, in

quel ripetersi incessante del dinamismo pasquale

nella nostra vita di credenti, che è il mistero di

Pentecoste. Essa è Pasqua che entra nella storia e

la riempie di Speranza, e ci è data in aiuto a tutte

le nostre debolezze e fragilità. In questo momen-

to mi vengono in mente le parole che scrisse il

compianto Cardinale Joseph Suenens: Perché

sono un uomo di speranza?

Perché sono certo che lo Spirito santo è all’opera,

sempre, nella Chiesa e nel mondo, che il mondo

lo sappia o no. Sono quindi un uomo di speranza

non per ragioni umane o per ottimismo naturale.

Sono un uomo di speranza

Perché credo che lo Spirito Santo è sempre

Spirito Creatore che dà, ogni mattina, a chi lo

accoglie, una misura nuova di gioia, di libertà e

di fiducia.

Sono un uomo di speranza

Perché so che lo Spirito santo non cesserà mai di

stupirci con sorprendenti ed imprevedibili inter-

venti della sua divina fantasia, tutti rivolti al mio

bene. Sperare è un dovere, non un lusso!

Sperare non è sognare: al contrario, è il mezzo

per trasformare il sogno in realtà.

Mi vengono ancora in mente le parole dell’Apo-

stolo Paolo, quanto mai attuali per noi e per la

Chiesa intera: “Siamo tribolati, ma non schiac-

ciati, siamo sconvolti, ma non disperati, persegui-

tati ma non abbandonati, colpiti ma non uccisi.

Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo

la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù

si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi

che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte

a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si

manifesti nella nostra carne mortale…Per questo

non ci scoraggiamo! (2Corinti 4,7b-11.16a).

Il Santo Padre, Benedetto XVI, nella sua lettera

enciclica “Spe salvi”, ad un certo punto ci rac-

conta l’esperienza del Cardinale Van Nguyen

Thuan, prigioniero in Vietnam per ben tredici

anni, di cui nove in totale isolamento: “Durante

tredici anni di carcere, in una situazione di dispe-

razione apparentemente totale, l’ascolto di Dio,

il poter parlargli, divenne per lui una crescente

forza di speranza, che, dopo il suo rilascio gli

consentì di diventare per gli uomini in tutto il

mondo un testimone di speranza, di quella spe-

ranza che anche nelle notti della solitudine non

tramonta” ( Spe salvi, 32). E’ possibile, dunque,

sperare ancora oggi, come sempre: per questo ci

è dato lo Spirito. Per mezzo di Lui una pioggia

di speranza scende sull’umanità intera. Questa

speranza ha un nome: Gesù Cristo, mio Signore,

morto e risorto per me. Ha una sua forza interiore

e dinamica che si chiama Spirito Santo. Ha un

approdo: il cuore del Padre che non delude mai

i suoi figli: “Se voi che siete cattivi, sapete dare

cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre

vostro del cielo, darà lo Spirito santo a quelli che

glielo chiedono” (Luca 11,13). Solo una persona

che si sente amata, può essere fiduciosa e guarda-

re con speranza il presente ed il futuro. E noi tutti

siamo amati dal Signore, tanto amati da avere

ricevuto in dono la sua stessa Vita!

Un filosofo esistenzialista ateo, J. P. Sartre, nella

sua vecchiaia scriveva: “Il nostro pianeta, oggi, è

abitato dai poveri, gli estremamente poveri, e dai

ricchi, gli estremamente ricchi. Con questa terza

guerra mondiale, che può scoppiare in qualsiasi

momento, con questo insieme miserabile che

è il nostro pianeta, la disperazione ricomincia

a tentarmi. L’dea che non faremo mai finita

con tutto ciò, l’idea che non esiste finalità, ma

solo piccoli fini per i quali combattiamo, mi fa

male…Facciamo piccole rivoluzioni, ma non

esiste un fine umano, non c’è niente che interessi

all’uomo, esiste solo il disordine…Il mondo pare

brutto, cattivo e senza speranza. Questa sarebbe

la disperazione di un vecchio che è già morto

interiormente. Ma io resisto, e so che morirò

nella speranza. Ma questa speranza dovremo

fondarla!” Era un ateo. Eppure parlava di una

speranza che non si arrende al male. Noi cristia-

ni e discepoli di Cristo, al contrario, guardiamo

il mondo a partire dalla Resurrezione di Cristo,

che è entrata nella storia e nella vita di ogni

uomo, grazie al dono della Pentecoste ed allo

Sperare non è sognare: al contrario, è il mezzo per trasformare il sogno in realtà.

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Spirito che in essa ci è stato effuso. Per mezzo

dello Spirito, dell’apparente sconfitta possiamo

sempre fare un elemento di vittoria. Siamo resi

capaci di trarre fuori il bene anche dall’abisso

del male in cui esso si trova sepolto: sì, grazie

alla Speranza diventiamo uomini e donne capaci

di non soccombere mai e di continuare a credere

che sempre c’è una possibilità di futuro nel nostro

oggi, per quanto disastroso esso possa apparire.

Questo è’ il futuro dello Spirito: c’è una storia

che continua, che deve continuare ed è il nostro

rapporto d’amore con Dio e con il mondo. I doni

di Pentecoste sono segni di futuro che danno

senso al nostro presente, qualunque esso sia.

Ogni momento ci è dato come segno, promessa e

preparazione del momento seguente, in un dina-

mismo condotto dallo Spirito, che ci trascinerà

tutti verso la pienezza, al di là del tempo.

Le parole della SperanzaFratelli e sorelle ci sono Parole di Speranza che a

Pentecoste acquistano tutto il loro rilievo esisten-

ziale. Le trascrivo, prendendole dal Libro dove

esse si trovano e che furono scritte per mezzo

dello Spirito Santo. Non hanno bisogno di com-

mento, ma solo di essere accolte.

La vostra gioia sia piena (Giovanni 15,11; 16,24).

Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate corag-

gio, io ho vinto il mondo (Giovanni 16,33).

Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede

in Dio, ed abbiate fede anche in me (Giovanni

14,1).

Voi piangerete e gemerete, ma il mondo si ral-

legrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra

tristezza di cambierà in gioia (Giovanni 16,20).

Così anche voi siete nel dolore, ma vi vedrò

ancora ed il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno

potrà togliervi la vostra gioia (Giovanni 16,22).

…Siamo saldi nella speranza della gloria di Dio.

E non solo: ci vantiamo anche delle tribolazioni,

sapendo che la tribolazione produce pazienza,

la pazienza una virtù provata e la virtù provata

la speranza. La speranza poi non delude perché

l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori

per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato

(Romani 5, 2c-5).

Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in

ogni nostra tribolazione (2Corinti 7,4).

Abramo credette, saldo nella speranza contro

ogni speranza…(Romani 4,18).

Nella speranza siamo stati salvati (Romani 8, 24).

Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in

ogni nostra tribolazione (2Corinti 4,4).

Fratello, sorella, che dire davanti a queste mera-

vigliose parole? Esse sono tutte “pentecostali”:

cioè vanno vissute alla luce del dono dello Spirito, che infonde forza e coraggio nella fatica del nostro vivere quotidiano. Sarebbe molto bello se, nel momento del bisogno, quando ti trovi in una situazione che fa vacillare la tua speranza, potessi ripeterle al tuo cuore! Avresti subito un dono di guarigione. Vieni o Spirito di speranza, e gonfia le vele della nostra navicella, portaci tu, dove il tuo soffio ci conduce! Aiutaci a non avere paura di essere da te condotti.Donaci il santo coraggio di lasciare i lidi delle nostre tristezze e delle nostre angosce, delle nostre false sicurezze, per abbracciare la “sicura” incognita del luogo dove tu ci conduci! Liberaci dalla paura di essere schiodati da tutti i nostri egoismi per poter espandere l’Amore e il fuoco di Pentecoste nella mia ed altrui storia di vita.

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Noi non possiamo cambiare il mondo, ma la passione che Tu infondi nel nostro cuore per la Parola, può aiutarci a mettere una sia pur piccola, ma significativa, pietra per la nuova costruzione di un mondo migliore. Donaci una ventata di ottimismo, perché nessuna tristezza abbia a sommergerci, e la sofferenza non abbia a travolgerci nel vortice dell’abisso.

Vorrei che…...che tutti fossimo sedotti dalla Speranza che non delude, per sedurre gli altri,...che tutti potessimo sperimentare la dolce ebbrezza dello Spirito,...che tutti potessimo vivere sotto il segno pasquale della Pentecoste,...che tutti potessimo vivere come davanti ad un roveto ardente per poter adorare la Presenza del Dio Vivente,...che tutti, nel momento del dolore e delle difficoltà, ci ricordassimo che niente è impossibile a Dio,...che tutti ci ricordassimo di far dilagare la Speranza dello Spirito nel nostro animo per potergli permettere di gridare in noi “Abbà, Padre”.E allora avverrà il miracolo di un mondo nuovo: travolti dal soffio dello Spirito, sare-mo i testimoni del nostro Dio che fa nuove tutte le cose.

Sperare non è sognare: al contrario, è il mezzo per trasformare il sogno in realtà.

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Carissima Elisabetta, sorella mia, donata dal Signore,quanto è difficile credere, sperare nel dolore, nella morte. Io in questo sono fragile, Elena invece, nonostante i momenti inevitabili di scoraggiamento, era una roccia. Aveva costruito la sua casa sulla roccia di Cristo, lo si sentiva subito stando-le vicino. La malattia l’aveva quindi resa più bella, emanava purezza.Non dimenticherò mai quello che mi ha detto a Santa Maria in Arce nei giorni dell’Imma-colata: Parlava della malattia come dono, come straordinaria ricchezza, addirittura fonte di gioia. “E’ difficile, molto diffi-cile” diceva, ”eppure è così”’. Aveva gli occhi di una luce deli-cata. Era già a tu per tu con Dio.La sentivo già oltre, mi parlava da un’altezza che io non potevo raggiungere. Stavo vicina a lei ad ascoltarla con soggezione amorosa, come si sta ai piedi di un monte santo.Un velo lucente di santità la avvolgeva. Le parole uscivano dalla sua bocca sottovoce, con naturalezza e grande sem-plicità, mentre eravamo sedute a tavola. Stava toccando gli argomenti più profondi e tremendi della vita e lo faceva tra le nostre chiacchiere a tavola, senza assumere un tono solenne, senza chiedere silenzio e attenzione.

Aveva un insegnamento grandissimo da dare e lo proponeva così, tra un boccone e l’altro, come se fosse una cosa da nulla. Ho pensato che in quel momento Elena aveva la stessa grandezza inarrivabile e umilissima di S. Francesco, quella semplicità che si coglie leggendo i racconti della sua vita in particolare della malattia e della morte. Aveva la scioltezza di

coloro che si muovono per terri-tori più scoscesi della vita e della fede con agili piedi di cerva, alle-nati alle alture. Una cerva assetata del suo Signore e da Lui saziata, una cerva vicina ormai alla fonte perenne che l’avrebbe ristorata per sempre.Ringrazio tantissimo il Signore per avermela fatta incontrare. I santi non passano mai nelle nostre vite senza lasciare un segno. Restano le loro stupende scie di luce sulla nostra strada.Elena mi ha insegnato tantissimo.

Non la dimenticherò mai, non dimenticherò mai le sue parole. La tengo dentro di me come una pietra viva di quella casa che il Signore sta costruendo nel mio cuore e la pongo sopra all’altra pietra viva che sostiene il muro che si sta innalzando: mio padre, che mi ha mostrato con quale profumo di bontà limpidezza può morire un uomo.Tengo Elena vicino a lui, nel sacrario del mio cuore, dove ci sono gli affetti e gli esempi di vita più preziosi. Immagino

Suor ELEnaLa caSa SuLLa rocciamarina marcoLini

Lettera a suor eLisabetta

Uno scrigno pieno di gemme e oro, ricordi meravigliosi, sof-ferenze condivise, gioie emo-zionanti, parole che incidono, lacrime e paure, incoraggia-mento e sostegno, tutto questo e molto di più.

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una cerva assetata deL suo signore

Persone che non portano con sé nella morte l’amore che ci hanno donato in vita e l’esempio fulgido, ma che li lasciano a noi, moltiplicati per cento, mille.

quanto possa essere grande il tuo dolo-re, Elisabetta cara, quanto grande il vuoto che senti. Eppure, quando sono persone così speciali a lasciarci, la loro eredità è talmente grande che ci sentiamo ancora ricchi. Persone che non portano con sé nella morte l’amore che ci hanno donato in vita e l’esempio

fulgido, ma che li lasciano a noi, molti-plicati per cento, mille.Apri le braccia, Elisabetta, e senti che sono cariche, pesanti di ricchezze che Elena ti ha lasciato.Uno scrigno pieno di gemme e oro, ricordi meravigliosi, sofferenze con-divise, gioie emozionanti, parole che

incidono, lacrime e paure, incoraggia-mento e sostegno, tutto questo e molto di più.

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Lui bEnEDicE!suor maria grazia

Dalle finestre lo vediamo camminare tra le colonne del chio-stro.Ben si intuisce dal suo andamento, la testa leggermente inclinata verso il basso e il suo sguardo ricco di pensiero: benedice! Ha appena celebrato la messa: lui benedice.Il nostro padre Augusto è sacerdote, che sa benedire e ama benedire.Il nostro padre Augusto è padre, quando sull’altare ci guarda una per una per offrirci a Dio.Dall’altare, il suo dono particolare di leggere i cuori e guarda-re oltre, lo rende ancora più sacerdote cha fa offerta gradita.Dall’ambone, ogni Parola spezzata è esortazione, conforto e ancora sa di benedizione .Quando cerchiamo da te padre Augusto, parole che guidano il nostro cammino, sono gli occhi di un padre che benedice che noi elemosiniamo. E tu ci correggi sempre con quella dolcezza che sa diventare autoritaria perché in essa vibra il suono dello Spirito santo.Non sono eccessive le mie parole. Sono parole di una figlia che si è messa in ascolto; che abbracciando il Carisma che il Signore ci ha donato attraverso di te, ha cercato di conoscerlo anche nei tuoi gesti, nelle tue preghiere…nella tua umiltà.

Quante raddrizzate ci ha dato la tua umiltà! Più delle parole.Uomo umile hai reso il sacrificio dell’altare quotidiano e perenne.Di questi 50 anni di sacerdozio i frutti li vediamo e li gustiamo, anche se molti non li conosciamo, perché nascosti e custoditi dalla Sapienza divina. Ma basta starti vicino per comprendere chi sei padre Augusto, sacerdote che benedice.Come vorrei che il nostro grazie ti fosse sempre davanti e diventasse per te consolazione!Vorrei, nostro caro padre, che tu sentissi sempre riconoscenza filiale attraverso il nostro donare, il nostro offrire, il nostro -così come sempre ci esorti - crescere nel Signore .Il Dio buono e misericordioso ci aiuti a darti questa gioia, e ogni volta che sgorga da te benedizione verso…, questa, come pioggia abbondante possa ricadere su di te e irrigare la tua vita!!

Uomo umile hai reso il sacrificio dell’al-tare quotidiano e perenne.

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Tua sorella e madre

Neppure la morte ci separerà

Ricordo che da poco Elena ci aveva consegnato una fotocopia di un testo intitolato proprio così “Di parole si vive”. Era un testo molto intenso e profondo… eppure così semplice. Si trattava di un elenco di parole di incoraggiamento, di stima verso l’altro, di amicizia, di amore vero, di altruismo… e terminava con di parole si vive!Pensare a cosa scrivere di Elena non è stato facile per me!Tanti sono i ricordi che affiorano alla mia mente e al mio cuore, ma ho deciso di scrivere qualcosa sulla falsariga di questo testo Di parole si vive e offrire a voi cari fratelli e sorelle che ci seguite sul giornalino quelle che sono le ultime parole di Elena per me!All’inizio mi sono chiesta se facevo bene… certi profumi se esposti all’aria perdono della loro fragranza. Poi ho sentito nel cuore che anche se il profumo si disperde, qualcosa rimane! E allora ecco il mio:

Di parole si vive

Neppure la morte ci separerà. Eli, sei il mio orgoglio. Ti voglio tanto bene. Aiutami a lasciarti. Sei la mia regina danzante. Che non venga mai meno il tuo cammino di santità!Tu puoi altro! Offro tutto a Dio. Tu sei chiamata ad altro! Risplenda la tua fede! Risplenda il tuo amore per me. Tu sei il mio orgoglio. Desidero questo, tu puoi. Come divento santa senza il tuo contributo? Tua sorella e madre.

Ciao Elena! Grazie per questo dono grande che sei tu per me! Dal cielo dove ora vivi, continua a pensare a me con orgoglio! Ce la metterò tutta! Prega per me, non lasciarmi!

Elisabetta, per te e per tutti ormai Elicotterino, il nome che tu mi avevi dato in Comunità.

di paroLe si vive!suor eLisabetta

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Dono Di Dio PEr MESuor aDa

Ada quando io morirò scoprirai che davvero gli angeli esistono perché io lo sarò per te e mi prenderò cura di te come adesso tu ti stai prendendo cura di me

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Dono di Dio per meMille e mille volte ancora rivivrei il tempo che la Grazia di Dio ha voluto che dedicassi ad Elena.Madre, sorella, amica, confidente... e tanti e tanti altri cari aggettivi per definire ciò che Elena è stata per me.Ho vissuto ogni momento delle mie gior-nate con lei e posso testimoniare che non ha mai smesso di sorridere. Pur nella fatica della malattia era lei ad incoraggiarmi.Amava vivere nella gioia e al mattino, quando andavo in camera sua, la trovavo lieta di affrontare un nuovo giorno che, anche se carico di imprevisti, era per lei comunque dono di Dio e lo viveva senza risparmiarsi in nulla. Mi manca tantissimo e non nascondo che per me scrivere non è facile. Come il salmista dico: “le lacrime sono mio pane giorno e notte...” e ancora: “inondo di lacrime il mio giaciglio...”Gli ultimi giorni insieme a lei sono stati intensi di carezze, non finiva mai di ringra-ziarmi e mi diceva: “Ada quando io morirò scoprirai che davvero gli angeli esistono perché io lo sarò per te e mi prenderò cura di te come adesso tu ti stai prendendo cura di me”.Elena ha fatto tanto per me ed io non cam-bierei un solo giorno trascorso con lei.Sento ancora il suono della sua voce quando mi chiamava e quando cantava.Elena mi ha insegnato a vivere senza paura di sbagliare perché bisogna credere che dagli errori si imparano tante cose.Elena continua ad accompagnarmi e conso-la il mio cuore.

Elena continua ad accom-pagnarmi e consola il mio cuore

GLI ANGELI ESISTONO

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Non temere perché ti sono vicina e ti aspetto con trepidazione.

Quella sera quando giunsi a casa mi venne detto che non volevi vedermi perché eri molto stanca e avresti preferito vedermi l’indomani , ma poco dopo mi giunse dalle sorelle “ Elena vuole vederti”! Ma già ancor prima i miei piedi obbedendo a un moto del cuore avevano cominciato adirigersi verso la tua camera. C’era una luce fioca in camera, mi avvicinai al tuo letto, ti aggrappasti con una mano al mio petto , cominciasti a piangere, fu silenzio tra noi, come ci comprendevamo anche nel silenzio! Poi mi chinai per darti un bacio ma tu con la mano mi facesti segno di no: “ Lasciami andare e non mi trattenere è giunto per me il momento di sciogliere le vele… tutto è perdonato”.Ora sei là presso il tuo Signore tanto amato, tanto ricercato e mi dici: “Non temere perché ti sono vicina e ti aspetto con trep-idazione”.

LaSciaMi anDarE!Suor LuiGina

Ora sei là, presso il tuo Signore tanto amato.

TUTTO è PERDONATO

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Di recente ho sentito diverse testimonianze di persone che hanno vissuto in questi ultimi anni con mia zia Elena, chiedendo cosa ognuno di loro avesse provato nel conoscerla e cosa ognuno di loro avesse provato nel condividere gli ultimi anni della sua vita. Ho sentito chi l'ha conosciuta all'inizio del cammino della sua strada di fede, chi invece l'ha conosciuta nel mezzo del suo cammino, chi l'ha conosciuta nel periodo della sua malattia e chi è stato vicina a lei negli ultimi momenti.Tutte le persone mi hanno sempre descritto mia zia come una donna che sapeva amare il prossimo sempre, senza riserve per nessuno.Chiunque si trovasse davanti per lei era ben accetto e cercava sempre di dare una mano se richiesta, non dimenticandosi mai di regalare un sorriso e un consiglio a ciascuno di loro.Questo è quello che pensano più o meno tutte le persone a cui ho chiesto di mia zia Elena.

Poi i ricordi. Se si parla di ricordi, beh, ce ne sarebbero tanti da raccontare, però ora me ne viene in mente uno: un giorno, io avevo ancora da com-piere 5 anni, quando per un motivo grave dovetti passare un periodo a casa dei genitori di mio papà. In quel periodo non c'era che mia zia Elena che prendesse la mac-

china per dirmi "Giovanni si prende e si va a fare una girata?"Quando io e mia zia dicevamo di fare una girata era sottinteso che si partiva la mattina alle 10 e si ritornava il pomeriggio inoltrato. Ci siamo fatti certe girate e risate io e lei in questi anni che non so se mi andrà più di fare delle passeggiate ma, nel caso, forse un giorno, ci incontreremo, e un'ultima gita la rifaremo.

Ciao zia!

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ciao zia!Giovanni FiaSchi

una donna che sapeva amare il prossimo sempre, senza riserve per nessuno

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Di fronte al mistero della vita e della morte ci sono solo due sentimenti che restano come pilastri a sostegno del nostro modo di essere: la dispe-razione e la speranza. Dei due l’uno. Bisogna scegliere. Da una parte la depressione, dall’altra la redenzione.Ma non è così semplice come, detto così, potrebbe sembrare. In realtà la nostra esistenza è fatta di istanti che si succedono, uno dopo l’altro, come i passi del pellegrino di Ivan Illich, per entrare nel proprio tempo.Agostino di Ippona illustrò il tempo con una definizione descrittiva seducente: il passato non è più e il futuro non è ancora. Il presente è, dunque, il passaggio da ciò che ancora non è verso ciò che più non sarà. E’ dunque solo la dimensione interiore, spirituale e psichica, che genera un significato durevole al presente, con la capacità che l’uomo ha di proiettare il passato sullo schermo della memoria viva e il futuro su quello della memoria-speranza. La nostra religione c’insegna la speranza come la virtù teologale che, con la fede e la carità, assume il significato di qualificatrice del tempo. Il tempo diventa, nella dimensione della speranza, il veicolo di transito verso il fine ultimo del nostro esistere. Vita e morte non combattono più:

“Mors et vita duello conflixere mirando. Dux vitae mortuus regnat vivus” Il Signore della Vita, ci rammenta il Victimae Paschali, regna vivo, nella nuova dimensione della Resurrezione. Quella Resurrezione senza la quale, come ci avverte Paolo, vana sarebbe la nostra fede.Ci sostiene la fede e ci anima la speranza, dunque, di fronte al mistero della morte, di questo momentum temporis terribile che congela la nostra materialità restituendo impietosamente la polvere alla polvere.Ma il nostro credere di cristiani ci indica un’ulteriore risorsa, quel dono prezioso che affianca fede e speranza per saldare il nostro esistere all’esistere di Dio: la Carità. Quella Carità senza la quale, sempre ci avverte Paolo, non saremmo altro che bronzo risonante e cembali squillanti.

E’, questa dimensione esistenziale della Carità, la lezione più grande che Elena ha scelto di regalarmi.

Ho cercato di vivere come un pellegrino, facendo un passo dopo l’altro, entrando nel mio tempo, vivendo all’interno del mio orizzonte, che spero di raggiungere sempre con il passo, il sorprendente passo che si compie per morire.(Ivan Illich)

SE iL chicco Di Grano non MuorE...GiacoMo FiaSchi

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Dov’è o morte la tua vit-

toria? Dov’è o morte il tuo

pungiglione?

Siano rese grazie a Dio,

che ci dà la vittoria per

mezzo del Signore nostro

Gesù Cristo. (1Cor 15,55)

La morte non è l’ultima

parola della vita. L’ultima

parola della vita è la vita!

Sorella nostra Elena sei qui

coi noi, tra noi, in questa

Chiesa di santa Maria in

Arce dove hai pregato,

cantata, gioito, adorato, e

dove raccontavi a Maria,

la Mamma, le tue pene e le

tue sofferenze.

Mi pare di ascoltare la tua

voce che rallegrava tutti

e riempiva i cuori di tanta

speranza.

Se mi ami non piangere

(libera trasposizione di uno scritto di Padre Giacomo Perico)

Omelia in morte di suor ElenaSanta maria in Arce 24 marzo 2013

Sorella nostra Elena, mi sembra di sentire la tua voce che ci dice:Se voi mi amate non piangete!Se voi conosceste il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se voi poteste vedere e sentire quello che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine, e in questa luce che tutto investe e penetra, voi non piangereste se mi amate.Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,dalle sue espressioni di infinita bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.Mi è rimasto l’affetto per voi tutti: per voi, Elisabetta due volte sorella mia, per te, Giacomo fratello mio e per tutti quelli che porti nel cuore. Per te sorella Ada per essermi stata, assieme a mia sorella, la compagna della mia Croce e che mi avete aiutata quando questa si faceva sempre più pesante per me!Per voi sorelle figlie della Comunità Adveniat, una per una, che, pur con le mie debolezze ho cercato di farvi crescere nella conoscenza del Signore. Per voi care famiglie di santa Maria in Arce. Per te mia cara ed amata Luigina i cui insegnamenti, quando sei stata mia madre maestra in noviziato mi sono rimasti sempre nel cuore e che mi sei stata oltre che sorella, amica e consigliera. Per voi abitanti di Rocca sant’Angelo che ho sempre amato e portato nel cuore. Per voi tutti amici, amiche incontrati nei sentieri della mia vita terrena e che ora mi siete più cari di prima. Per voi, in modo particolare che ho avuto la grazia di avere incontrato nei corridoi di oncologia: Isabella, Alan e che mi avete riempito di gioia nel giorno del vostro matrimonio, avvenuto proprio qui in questa Chiesa! Grazie.Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli al confronto di una tenerezza che non ho mai conosciuto.Sono felice di avervi incontrato nel tempo, anche se tutto era allora così fugace e limitato.Ora l’amore che mi stringe profondamente a voi, è gioia pura e senza tramonto.Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del vostro arrivo tra noi, voi pensatemi così!Nelle vostre battaglie, nei vostri momenti di sconforto e di solitudine, pensate a questa meravigliosa casa, che è il cuore del Padre, dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.Non piangete più, se veramente mi amate!

Elisabetta, sorella mia: proprio oggi ricorre il tuo compleanno. Altri direbbero: che giorno più brutto e triste: non poteva capitarti di peggio. Ed invece tu sai che non è vero: No! Non è vero! Ricorderai questo giorno come giorno di Luce e di pace, perché,ora che sono in cielo, ti sarò più vicina che mai e busserò

al Cuore del Padre tutte le volte che vedrò dal cielo il tuo animo chiudersi alla’amore e alla vita.

A voi tutti qui presenti, e a tutte le persone che ho conosciute ed amate dite, quasi gridando: Amate la vita! Non c’è dono più grande di questo! E dentro questo amore verranno guarite tutte le ferite, le ansie e i dolori che in essa e di essa fanno parte. Per voi è ancora quaresima, ma per me non più: perciò vi precedo nel cantare con gioia e giubilo grande: Alleluia!

Le omeLie deLL’addiop. augusto drago ofm

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Omelia in morte della nostra sorella ValeriaSanta Maria in Arce 18 aprile 2013

Fratelli e sorelle, che cosa stiamo celebrando? Uno dei tanti funerali? Un addio ad una nostra cara sorella? No, di certo! Celebriamo il “mistero della fede” per accompagnare l’ingresso della nostra sorella Valeria in cielo, nella casa del Padre, dove certamente incontrerà la nostra sorella Elena e tanti altri fratelli e sorelle della Comunità delle Famiglie di santa Maria in Arce e della Comunità rocchigiana. Ritroverà il suo caro fratello Aldo e la sorella Maria, i suoi cari genitori Matilde e Giuseppe e tanti altri amici. Tra poco, dopo la consacrazione che trasforma il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Nostro Signore, faremo questa preghiera: “annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, in attesa della tua venuta”.Come si vede, per questa preghiera utilizziamo tre verbi: annunciare, proclamare, attendere.Il messaggio di questi tre verbi riassume in qualche modo il dinamismo della nostra vita di fede, ed in particolare quella dimostrata e vissuta dalla nostra sorella Valeria in tantissimi anni di sofferenza. Secondo questo dinamismo, noi professiamo anzitutto un annuncio di morte.Ma annuncio di quale morte ? Non certamente quella riportata dai necrologi dei giornali quotidiani o dai manifesti dei muri del paese. Noi annunciamo la morte di Gesù, ossia il più grande gesto di amore della storia, perché nessuno è disposto a darela propria vita per i peccatori, e Gesù, invece, ha dato la vita per salvare noi peccatori, per renderci giusti e ridonarci l’innocenza perduta (cfr. 1Cor 15, 3). Ci ricorda S. Giovanni: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi” (1Gv 3, 16). Insieme alla morte di Cristo, però, annunciamo anche la morte di una sorella cristiana e consacrata al Signore, quella morte per cui S. Ignazio di Antiochia, scrivendo alla comunità cristiana di Roma, si era espresso in questi termini: “come è bello tramontare al mondo per risorgere nell’aurora di Dio”. In effetti, il cristiano che vive di fede tramonta al mondo in Cristo e con Lui risorge nell’aurora di Dio. Per lui, il dies mor-tis coincide con il dies natalis, il giorno della morte coincide con il giorno della nascita, ossia l’ultimo respiro della terra è il primo respiro del cielo. S. Paolo scrive ai Romani: “Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo stati dunque sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noipossiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6, 3-4).Non basta annunciare la morte, però; bisogna anche proclamare la risurrezione. Si annuncia una notizia, lieta o triste che sia, si comunica un’esperienza, ma si proclama una vittoria, in modo particolare la vittoria sul male e sulla sua più grande manifestazione che è, appunto, la morte. Il grido di gioia della Pasqua dei cristiani è: “Cristo è risorto, alleluia, alleluia”! La proclamazione della fede nella risurrezione relativ-izza tutte le proclamazioni delle ideologie umanitarie. Queste ultime, infatti, non possono costituire la salvezza, ma sono solo il materiale con il quale l’uomo si apre per accogliere la salvezza datagli in dono da Dio. Tale salvezza è Dio stesso, e Dio non è creato dai bisogni dell’uomo, ma soltanto cercato e trovato già preesistente sin da sempre nella sua abissale profondità. L’avvenire che l’uomo si crea con le sue mani non lo salverà. La tecnica e il progresso delle conoscenze scientifiche potranno migliorargli le condizioni materiali della vita, allungargli gli anni dell’esistenza,gratificargli sentimenti ed aspirazioni di felicità e di benessere, ma la loro opera si ferma davanti al muro della morte. Solo una decisione di fede dà la possibilità di valicare quel muro. E solo Dio, in fedeltà alla sua Parola, gli offre la certezza che al di la di quel muro non c’è l’abisso della dimenticanza e del nulla ma la vita eterna. Proclamare la risurrezione corrisponde a professare la fede che Gesù è Dio, che il nostro futuro non è il nulla, la dimenticanza, ma l’approdo nella vita eterna. Annunciare, proclamare, attendere. Questo terzo messaggio descrive la condizione umana: vivere è cercare Dio, ha scritto S. Agostino, morire è trovare Dio. Ma, ci chiediamo, come viviamo noi l’attesa prima del nostro incontro definitivo con Dio? Sappiamo che chi vive di avventura quando parte non sa dove va e quando arriva non sa dov’è. Il cristiano, invece, che vive di fede, sa dove va e sa anche dov’è quando arriva. Il centro della sua vita è il Regno dei cieli, che corrisponde alla misteriosa azione di Dio nella storia. La sua patria è nel cielo. La realizzazione del Regno non si basa sulle nostre forze, sui nostri progetti, sulle nostre strategie di annuncio, ma sulla fiducia totale in Dio. Il cristiano non vive nell’angoscia per i mezzi di sussistenza, ma nella fiducia in Dio, Padre provvidente e misericordioso. Quella fiducia che hanno avuto i santi e che ha permesso loro di diventare protagonisti e testimoni della bontà di Dio nel mondo. “Gratuitamente avete ricevuto, ci insegna Gesù, gratuitamentedovete dare”. Finché siamo nella vigna del Signore operiamo gratuitamente e generosamente come umili operari, che gettano semi di verità e carità. Vogliamo essere seminatori generosi ed imitare Dio nostro Padre, che non si preoccupa se il suo seme cade sulla roccia e o tra le spine. In tutti i luoghi e in tutti i tempi, infatti, c’è sempre un terreno buono sul quale il seme attecchisce e porta frutto. Ma, allo stesso tempo, vogliamo essere anche così umili da provare gioia nel fare del bene a chi non ci conosce e non sa neppure dirci grazie.Cari fratelli e sorelle, sulla tomba della nostra sorella Valeria, che ha portato a termine il pellegrinaggio di fede, speranza e carità, non vogliamo scrivere le solite parole che consolano i vivi, ma deporre la promessa di vivere e morire in semplicità, tra le inevitabili tribolazioni degli uomini e le sicure consolazioni di Dio.Amen

Le omeLie deLL’addiop. augusto drago ofm

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LA CHIESAS A N T A M A R I A I N A R C E R O C C A S A N T ’ A N G E L O