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PERCORSI DI DIAGNOSTICA CARDIO-VASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO Macroangiopatia e Ruolo delle Metodiche Ultrasoniche IDELSON-GNOCCHI Antimo Aiello Maria Amitrano Giuseppe Armentano Vincenzo Armentano Antonio Ceriello Antonino Di Benedetto Iole Gaeta Sandro Gentile Silvia Soreca Marialuisa Zedde con il contributo educazionale incondizionato di Segreteria Organizzativa Delos Communication srl P.co Comola Ricci, 98 - 80122 Napoli Tel . 081 7142129 - Fax 081 7141472 e-mail: [email protected] PERCORSI DI DIAGNOSTICA CARDIO-VASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO 2011

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PERCORSI DI DIAGNOSTICA CARDIO-VASCOLARE NEL

PAZIENTE DIABETICO

Macroangiopatiae

Ruolo delle Metodiche Ultrasoniche

IDELSON-GNOCCHI

Antimo AielloMaria Amitrano

Giuseppe ArmentanoVincenzo ArmentanoAntonio Ceriello

Antonino Di Benedetto Iole Gaeta

Sandro Gentile Silvia Soreca

Marialuisa Zedde

con il contributo educazionale incondizionato di

Segreteria OrganizzativaDelos Communication srl

P.co Comola Ricci, 98 - 80122 NapoliTel . 081 7142129 - Fax 081 7141472

e-mail: [email protected]

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PERCORSI DI DIAGNOSTICA CARDIO-VASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO

Macroangiopatia e

Ruolo delle Metodiche Ultrasoniche

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Antimo AielloMaria Amitrano

Giuseppe ArmentanoVincenzo ArmentanoAntonio Ceriello

Antonino Di Benedetto Iole Gaeta

Sandro Gentile Silvia Soreca

Marialuisa Zedde

PERCORSI DI DIAGNOSTICA CARDIO-VASCOLARE

NEL PAZIENTE DIABETICO

Macroangiopatia e

Ruolo delle Metodiche Ultrasoniche

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IDELSON-GNOCCHI

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GRUPPO ANGIOLOGIA AMD

Coordinatore: Giuseppe Armentano

Componenti: Antimo AielloVincenzo ArmentanoAntonino Di BenedettoSandro Gentile

Esperti: Maria AmitranoAntonio CerielloJole GaetaSilvia SorecaMarialuisa Zedde

Questo volume sintetizza i contenuti dei Corsi di aggiorna-mento tenuti dal Gruppo Angiologia AMD nel 2010 e 2011

Tutti i diritti sono riservati

È VIETATA PER LEGGE LA RIPRODUZIONE IN FOTOCOPIA E IN QUALSIASI ALTRA FORMA(microfilms, compact disk, videocassetta ecc.) Ogni violazione sarà perseguitasecondo le leggi civili e penali

© 2011 AMD - Associazione Medici Diabetologi - Roma

© 2011 CASA EDITRICE IDELSON-GNOCCHI srl - Editori dal 1908Sorbona • Grasso • Morelli • Liviana Medicina • GrafiteITALIA - Via M. Pietravalle, 85 - 80131 Napoli - Tel. +39-081-5453443 pbx - Fax +39-081-54649911316 King’s Bay Drive, Crystal River FL 34429 - Tel. e Fax +1 352 794 6234 - Cell. +1 352 361 9585http://www.idelsongnocchi.it E-mail: [email protected]

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AUTORI

Antimo AielloUO Diabetologia e Endocrinologia, Campobasso

Maria Amitrano Ospedale Moscato, Avellino

Giuseppe ArmentanoCentro Diabetologico DEA, Rossano (CS)

Vincenzo ArmentanoUOC Centro Diabetologico, ASL Napoli 1

Jole GaetaServizio di Diabetologia, Procida (NA)

Marialuisa ZeddeSS Stroke Unit, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia Pa

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Silvia SorecaUOC Cardiologia, ASL Napoli 1

Antonio CerielloInsititut d’Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS), Barcelona, Spain

Sandro GentileDipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Seconda Università di Napoli

AUTORIPa

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INDICE

Prefazione alla seconda edizione IX

Diabete, Apparato Cardio-Vascolare e Incretine 1Inibitori del DPP-IV, analoghi del GLP-1 e rischio cardiovascolare 1

Diabete e malattie cardiovascolari: implicazioni dei recenti studi clinici 2Terapia basata sulle incretine: il sistema delle incretine 4Benefici potenziali per il sistema cardiovascolaredi una terapia basata sulle incretine 7Dislipidemie 8Ipertensione 8La funzione endoteliale 8Insufficienza cardiaca 8Questioni irrisolte e prospettive future 12

Patologia CerebroVascolare Ischemica 19Definizioni 19Epidemiologia 21Ruolo del diabete 22Storia Naturale 23Ruolo degli Ultrasuoni 24

Distretto extracranico 26Ispessimento medio-intimale 27Ateromatosi 29Grading delle stenosi 31Distretto intracranico 34 Pa

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INDICE

Percorsi Diagnostici 39

Cardiopatia e Diabete Mellito 51Epidemiologia 51Percorsi Diagnostici 52Test da sforzo 66

Ateriopatia degli Arti Inferiori 71Definizioni 71Stadiazione clinica 71Epidemiologia 72Storia Naturale 75Diagnosi - Screening 76ABI 79

Corretta refertazione di un esame ultrasonografico vascolare 85

AppendiceStandard italiani per la cura del diabete

mellito 2007 87

Abbreviazioni 92

Letture consigliate 93

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Prefazione alla seconda edizione

Nella storia naturale della malattia diabetica gli eventi car-dio-vascolari rappresentano la principale causa di morbilitàe di mortalità. L’elevato rischio che questi eventi si realizzinoè determinato da lesioni strutturali che si realizzano a parti-re dall’endotelio vasale nel corso del tempo ed in modoasintomatico ma in modo prevedibile, sulla base di fattori dirischio noti, molti dei quali anche modificabili. Le fasce dirischio e le caratteristiche fenotipiche dei pazienti sono glielementi su cui si fondano alberi decisionali in base ai quali èpossibile strutturare percorsi diagnostici e linee di interventopreventivo o terapeutico. Altro elemento di riflessione deveessere che le lesioni endoteliali iniziali sono precocementeinfluenzate dal livello di controllo dell’iperglicemia fin dalleprime fasi della malattia e dal momento della diagnosi.

Le armi di cui dispone il diabetologo sono molteplici esono rappresentate oltre che dall’ovvia azione di prevenzio-ne della malattia diabetica e delle sue complicanze, ancheda un trattamento appropriato, tempestivo e indirizzato alraggiungimento dei target di compenso metabolico, findalle prime fasi della malattia. Gli strumenti su cui si fon-dano queste azioni sono l’uso appropriato degli strumentiterapeutici, a cominciare dei farmaci “innovativi” e per iquali si aprono interessanti scenari applicativi resi disponi-bili dalle più recenti ricerche sui loro effetti cardio-vascola-ri e dall’uso “competente” degli strumenti di diagnosi e fol-low-up in campo cardiovascolare.

Lo scopo di questo manuale pratico è quello di fare ilpunto su una visione sistemica dell’aterosclerosi, che siesprime clinicamente a livello cerebrale, delle coronarie, deivasi epiaortici, del cuore e di ogni tratto dell’aorta e dei suoirami principali e degli arti. Ad esempio, un coronaropaticoha elevata probabilità di avere contemporaneamente lesio-ni negli altri distretti dell’intero albero vascolare, indipen-dentemente dalla loro significatività emodinamica e dalla Pa

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loro espressività clinica. In questo ambito il diabetologospesso sottostima l’espressività sistemica della malattiavascolare e concentra la propria attenzione ora su l’uno orasull’altro dei distretti vascolari. Esiste il rischio che il diabe-tologo si rivolga in modo episodico ad altri specialisti e chetenda a “fare da sé”, con il rischio di non considerare le lineeguida. Altro problema riguarda l’uso improprio e, forse, l’a-buso della diagnostica vascolare o ancora la scarsa conside-razione del fatto che i referti degli esami strumentali possa-no non rispondere al requisito di una buona qualità, man-cando di dati di valutazione irrinunciabili ed incorrendo nelrischio di essere troppo descrittivi e carenti di dati oggettivinecessari per una valutazione longitudinale.

Si pongono quindi una serie di interrogativi. Esistonometodiche BM predittive di patologie ancora asintomatiche?In quali pazienti vanno attuate? Quali sono gli esami obso-leti e quindi inutili? Quali esami richiedere e in quale tipolo-gia di pazienti, sia nel paziente asintomatico che in presen-za di quadri sintomatologici evidenti? Ed ancora, con qualeperiodicità vanno eseguiti? Quali esami sono esaustivi di unadiagnosi che necessita di una strategia terapeutica medica ochirurgica, senza che si debba inondare i Servizi diagnosticidi richieste ridondanti ed inutili? Tutti i diabetologi sonoveramente in grado di dare il giusto significato ai referti degliesami strumentali? Sanno distinguere gli elementi che carat-terizzano una refertazione corretta da una inadeguata?Conosciamo veramente le linee guida per una corretta dia-gnostica vascolare del paziente diabetico? Sono questi gliinterrogativi che questo libretto vorrebbe risolvere.

L’obiettivo è chiaro a questo punto: fornire al diabetolo-go uno strumento pratico, che sia utile per una buona curaglobale della persona con diabete, a partire dalla preven-zione degli eventi acuti, senza dimenticare il follow-up inprevenzione secondaria e senza la pretesa di diventare unTrattato. Il diabetologo resta diabetologo e non deve tra-sformarsi in un angiologo, in un angioradiologo o in altrefigure specialistiche ancora. Il diabetologo deve però pos-sedere la consapevolezza di che cosa va fatto, al momentogiusto e nel modo più corretto, contribuendo così alla

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descrizione di un percorso diagnostico terapeutico integra-to in cui ciascuno svolge il proprio ruolo e con l’umiltà diriconoscere quando uno specialista esaurisce il propriocompito e comincia quello di un’altra figura “esperta” concui intrattenere uno stretto rapporto.

Quindi il diabetologo deve ridiventare attore di una cor-retta pratica clinica contribuendo più efficacemente a ridur-re mortalità e morbilità, razionalizzando la spesa sanitaria,riducendo le liste di attesa ingolfate da esami inutili o obso-leti, consentendo di razionalizzare, forse anche economiz-zare e ricollocare risorse in modo appropriato.

Questo volumetto rappresenta la sintesi dei numerosicorsi che il Gruppo di Lavoro AMD sulla DiagnosticaVascolare ha prodotto negli ultimi tre anni per oltre 450Colleghi.

L’augurio del board di progetto e che il risultato sia utilea migliorare le competenze dei medici e la qualità della curadei diabetici.

Napoli, aprile 2011

Sandro GentilePresidente AMD

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Diabete, Apparato Cardiovascolare e Incretine

Inibitori del DPP-IV, analoghi del GLP-1 e rischio cardiovascolare

La diffusione del diabete mellito di tipo 2 è in continuoaumento.Si stima che circa il 7,8% della popolazione degliStati Uniti, ovvero quasi 24 milioni di persone, hanno il dia-bete [1]. Inoltre, si prevede che circa uno ogni tre individuinati negli Stati Uniti nel 2000 svilupperà il diabete durantela sua vita [2]. È importante sottolineare che questoaumento del tasso di diffusione del diabete non è una pre-rogativa degli Stati Uniti, ma dati simili riguardano tutto ilmondo. Si prevede che il numero totale di persone affetteda diabete in tutto il mondo passerà da 171 milioni nel2000 a 366 milioni nel 2030 [3].

L’aumento della diffusione del diabete ha enormi conse-guenze sanitarie e finanziarie, dato l’impatto di questamalattia su mortalità e morbilità [1]. Il rischio di morte cor-retto per età tra le persone con diabete è circa doppiorispetto a quello di persone senza diabete, e l’aspettativa divita è da 5 a 10 anni minore tra persone di mezza età conil diabete. Considerato il notevole onere per la salute, ilfatto che i costi di trattamento della malattia siano elevatinon può sorprendere, con un totale dei costi annui (direttie indiretti) stimati per gli Stati Uniti in circa 174 miliardidollari. Un fattore importante che contribuisce all’aumenta-ta morbilità e mortalità nei soggetti diabetici è lo sviluppodi malattie cardiovascolari (CVD). In questa review, rivol-giamo la nostra attenzione alla pericolosa intersezione didiabete e malattie cardiovascolari e discutiamo il ruolo Pa

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potenziale delle terapie a base di incretine nella prevenzio-ne e trattamento delle malattie cardiovascolari nei pazienticon diabete di tipo 2.

Diabete e malattie cardiovascolari: Implicazioni dei recentistudi clinici

Diversi studi epidemiologici hanno stabilito come il dia-bete sia un fattore di rischio importante per lo sviluppo ditutte le manifestazioni delle malattie cardiovascolari, inclu-si infarto del miocardio, ictus, malattie vascolari periferi-che, e lo scompenso cardiaco [4-6, 7], e dati recenti sug-geriscono che la percentuale di malattie cardiovascolariattribuibili al diabete è in aumento [5]. Si stima che le CVDsiano responsabili del 65% di tutte le morti nei pazienti dia-betici [1]. In una recente metanalisi comprendente quasi700.000 persone provenienti da 102 studi potenziali, il dia-bete conferisce un rischio approssimativo raddoppiato permalattia coronarica e ictus, indipendentemente da altri fat-tori di rischio convenzionali [7]. Pertanto, al fine di ridurrel’onere sanitario del diabete, è necessario vere un approc-cio aggressivo nel prevenire e curare le malattie cardiova-scolari.

L’eziologia dell’aterosclerosi accelerata e delle malattiecardiovascolari nei pazienti con diabete è probabilmentemultifattoriale [8, 9]. Un certo numero di potenziali mecca-nismi sono stati implicati in questo processo, tra cui gli

effetti diretti e indiretti di iperglicemia e AGE, disturbidella funzione endoteliale, un livello di infiammazione sub-clinica più elevato e anomalie nella trombosi e ella fibrino-lisi. Meccanismi aggiuntivi comprendono lo sviluppo di dis-lipidemia aterogenica, modificazioni nelle adipochine, e unaumento dei livelli di acidi grassi liberi. Oltre a questi mec-canismi, gli individui con diabete molto spesso raggruppa-no altri fattori di rischio strettamente legati alla resistenzaall’insulina, tra i quali ipertensione e obesità centrale. Glisforzi per abbassare il rischio cardiovascolare nei pazientihanno incluso le strategie che affrontare alcune di questealterazioni fisiopatologiche [4]. Tali strategie includonointerventi sullo stile di vita per prevenire l’obesità e l’inat-

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tività fisica, un adeguato controllo della pressione arterio-sa, il trattamento della dislipidemia aterogenica, e unappropriato trattamento con terapia antiaggregante [4].

L’importanza del controllo glicemico e il ruolo della tera-pia ipoglicemizzante nel ridurre esiti avversi nei pazientidiabetici sono aree di forte interesse. Diversi studi epide-miologici hanno dimostrato una correlazione tra uno scarsocontrollo della glicemia e un aumento del rischio di esitiavversi sia microvascolari che macrovascolari [7 , 10].

Queste osservazioni che collegano un peggior controlloglicemico ad un più elevato numero di eventi cardiovasco-lari nei pazienti diabetici ha dato recentemente spunto adiversi studi (Action to Control Cardiovascular Risk inDiabetes [ACCORD], Action in Diabetes and VascularDisease: Preterax and Diamicron MR Controlled Evaluation[ADVANCE], and Veterans Affairs Diabetes Trial [VADT]),progettato per valutare la strategia di un controllo intensi-vo dei livelli di glucosio, livelli normali o quasi normali, alfine di migliorare gli esiti cardiovascolari [11-12, 13].Anche se questi studi controllati randomizzati hanno dimo-strato una riduzione di complicanze microvascolari, questistessi studi non hanno potuto dimostrare miglioramentinella mortalità totale o nella mortalità cardiovascolare neisoggetti randomizzati in strategie di più intenso controllodel glucosio. Contrariamente, nello studio ACCORD, c’èstato un aumento inatteso del tasso di mortalità in pazien-ti assegnati al gruppo di trattamento intensivo, rispetto aipazienti che ricevono cure standard [13]. Una recentemeta-analisi su studi clinici randomizzati che confrontava-no esiti clinici in pazienti con diabete di tipo 2 che riceve-vano un controllo intensivo della glicemia rispetto a quelliche ricevevano una terapia convenzionale per il controllodel glucosio ha dimostrato che il controllo intensivo del glu-cosio ha ridotto il rischio di infarto non fatale del miocardio,ma non riduce il rischio di morte cardiovascolare o la mor-talità generale [14]. In modo rassicurante, questa meta-analisi non ha dimostrato l’aumento della mortalità osser-vato nei pazienti randomizzati verso un controllo intensivodella glicemia nello studio ACCORD.

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Anche se diversi meccanismi possono aver contribuito airisultati negativi di questi studi clinici, una importante pos-sibilità è che le conseguenze negative dell’ipoglicemia ed ilimiti delle attuali terapie anti-diabetiche abbiano compen-sato i potenziali benefici di un controllo più intensivo dellaglicemia. Nello studio ACCORD, i rischi di ipoglicemia gravesono stati tre volte superiori ei pazienti randomizzati per ilcontrollo intensivo della glicemia [13]. Allo stesso modo, inaggiunta al rischio di ipoglicemia, l’aumento di peso asso-ciato a insulina, sulfaniluree, e tiazolidinedioni (TZD), pos-sono compensare qualsiasi potenziale beneficio. Inoltre, ilTZD rosiglitazone sono stati associati ad un aumentatovolume di ritenzione e a un aumento del rischio di ospeda-lizzazione per insufficienza cardiaca [15]. Infine, il rosigli-tazone è stato collegato a un aumento del rischio di infar-to del miocardio [16].

Questi recenti fallimenti del controllo glicemico intensivonel ridurre gli eventi macrovascolari e la realizzazione di undanno potenziale con alcune delle attuali terapie diabeti-che, come il rosiglitazone, ha portato a un cambiamento diparadigma per andare “oltre al controllo della glicemia”,quando vengono sviluppate nuove terapie anti-diabetiche.Questo cambiamento di paradigma è stato sottolineato inrecenti raccomandazioni per l’industria dalla US Food andDrug Administration (FDA), le nuove terapie anti-diabeticheper il trattamento del diabete di tipo 2 non dovrebbe risul-tare in un aumento inaccettabile del rischio cardiovascola-re [17]. Terapie a base di incretine rappresentano tratta-menti in fase di sviluppo che vengono attualmente usati eche verranno messi alla prova nel contesto attuale di accre-sciuta sicurezza cardiovascolare ed efficacia. Ci sono diver-si vantaggi relativi a questa classe di farmaci che rappre-sentano una promessa potenziale, non ancora testata,nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Terapie basate sulle incretine: Il sistema delle incretineI peptidi chiamati incretine sono un gruppo di proteine

gastrointestinali secrete in risposta all’ingestione di alimen-ti che stimolano la produzione di insulina da parte delle

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beta-cellule del pancreas [18, 19]. L’effetto “incretine” siriferisce alla osservazione del fatto che il glucosio innescauna risposta secretoria di insulina molto maggiore quandoviene ingerito per via orale rispetto a quando viene sommi-nistrato per via endovenosa [20].

Questo effetto può rappresentare fino al 50% - 70%della totale secrezione di insulina dopo l’ingestione di glu-cosio. Negli esseri umani, due molecole rappresentano leincretine principali: glucose-dependant insulinotropic poly-peptide (GIP, precedentemente chiamato gastric inhibitorypolypeptide) e il glucagon-like peptide-1 (GLP-1). GIP è unpeptide di 42 aminoacidi secreto dalle celule K intestinali,soprattutto nell’intestino tenue, in risposta all’assunzioneorale di carboidrati e lipidi [18 ,19]. GIP aumenta la libera-zione di insulina glucosio-stimolata attraverso i recettoriaccoppiati alla proteina G che si trovano per lo più sulle ®-cellule nel pancreas[ 21]. Questo peptide viene rapidamen-te degradato (ha un’emivita nel plasma di 7 minuti) daparte dell’enzima dipeptidil-peptidasi IV (DPP-IV) [18].L’enzima DPP-IV è ubiquitario e si può trovare in diversitessuti possono essere trovati in diversi tessuti, tra cui lecellule endoteliali, linfociti, sistema nervoso centrale, rene,polmone e pancreas. DPP-IV ha molti substrati, compresineuropeptidi, citochine, e altri peptidi GI [18, 19].Nonostante la sua emivita relativamente breve, GIP contri-buisce in modo sostanziale l’effetto incretinico osservatonegli adulti sani. Nei pazienti con diabete di tipo 2, GIP

viene normalmente secreto, ma i suoi effetti insulinotro-pici sono notevolmente ridotti, limitando le sue potenziali-tà nel trattamento delle diabete [22]. GLP-1 è un derivatodel prodotto di trascrizione del gene proglucagone [18 , 19.È secreto in larga misura dalle cellule L del digiuno distale,dell’ileo e del colon in due principali forme biologicamenteattive, GLP-1 (7-36) amide (la forma principale negli esse-ri umani) e la glicina-extended GLP-1 (7-37). GLP-1 vienerilasciato a pochi minuti dall’assunzione del cibo, suggeren-do che rilascio così rapido viene controllato più indiretta-mente dai sistemi di segnalazione neurali ed endocrini,piuttosto che dalla stimolazione diretta delle cellule L nel

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tratto gastrointestinale. Come accade a GIP, GLP-1 vienerapidamente inattivato dalle DPPIV; l’emivita del GLP-1 cir-colante è di 1 a 2 min.

Si ritiene che gli effetti di GLP-1 siano mediati principal-mente attraverso i recettori GLP-1, che sono espressi nelpancreas endocrino (alfa e beta-cellule), nel trattogastrointestinale, nello stomaco, nel cuore, nell’ipotalamo,nei reni e nei polmoni. Il legame di GLP-1 con il suo recet-tore porta all’attivazione dell’adenil ciclasi, causando unaumento intracellulare dei livelli di AMP ciclico [18]. Anchealtre vie di segnalazione (MAP chinasi, fosfo-inositolo-fosfa-to [PIP3], e la proteina chinasi [PKB]) possono essere atti-vate [21]. GLP-1 modula i vari processi coinvolti nella l’o-meostasi del glucosio [18, 20]. Attraverso l’azione a livellodelle ®-cellule pancreatiche, GLP-1 stimola la secrezione diinsulina in maniera glucosio-dipendente, mitigando così ilpotenziale rischio di ipoglicemia. Oltre agli effetti sullasecrezione dell’insulina, GLP-1 promuove la trascrizionegenica e la biosintesi glucosio-stimolata dell’insulina.

Altri effetti mediati da GLP-1 includono l’inibizione dellasecrezione di glucagone e l’inibizione della secrezione emobilità a livello del tratto gastrointestinale, in particolareinibendo lo svuotamento gastrico. GLP-1 ha anche dimo-strato di ridurre l’appetito e l’assunzione di alimenti ed èstato correlato alla perdita di peso. Infine, il GLP-1 puòavere effetti trofici sulla beta-cellule pancreatiche [23], conconcomitante riduzione della apoptosi cellulare [24]. Inpazienti con diabete di tipo 2, la secrezione postprandialedi GLP-1 sembra essere diminuita [25], ma, soprattutto, glieffetti di GLP-1 esogeno sulla secrezione di insulina, sullasoppressione del glucagone, e sull’inibizione dello svuota-mento gastrico rimangono inalterati. Alla luce di questieffetti sulla omeostasi del glucosio, sono state sviluppateterapie a base di GLP-1 come potenziale trattamento per ipazienti con diabete di tipo 2. Come descritto in preceden-za, la breve emivita del GLP endogeno a causa della rapidadegradazione da parte dell’enzima DPP-IV ha limitato il suoutilizzo nel trattamento cronico del diabete di tipo 2, dalmomento che il peptide deve essere somministrato attra-

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verso infusione continua endovenosa o sottocutanea. Persuperare questo limite, sono stati sviluppati degli inibitoridella DPP-IV e degli agonisti del recettore GLP-1 resistentialla DPP-IV. Esempi di inibitori del DPP-IV che sono com-mercialmente disponibili includono sitagliptin, saxagliptin,e vildagliptin.

L’uso di questi agenti in genere determina un raddoppiodella presenza di GLP-1 endogeno e sono stati associati aduna riduzione dello 0,7% - 1% dell’emoglobina glicosilataemoglobina (HbA1c). Questi farmaci sono somministratiper via orale, non influiscono sul peso, e sono generalmen-te ben tollerati. Gli agonisti del recettore del GLP-1 dispo-nibili in commercio comprendono exenatide e liraglutide.L’uso di queste sostanze è stato associato ad una riduzionedello 0,8% - 1,1% del valore di HbA1c [26]. In contrastocon gli inibitori DPP-IV, questi farmaci possono essere som-ministrati a livelli farmacologici più elevati e possono por-tare a di attivazione maggiore del recettore. Inoltre, questiagenti sono stati associati ad una modesta perdita di peso(circa 3 kg in 6 mesi) [26].

Benefici potenziali per il sistema cardiovascolare di unaterapia basata sulle incretine: al di là del controllo della gli-cemia

Le terapie a base di incretine hanno diverse caratteristi-che che possono rendere questa classe di farmaci utili nellaprevenzione e il trattamento delle malattie cardiovascolaririspetto agli altri trattamenti farmacologici del diabete. Aconfronto con sulfaniluree, TZD, e insulina, tutti associati adun aumento di peso, gli inibitori di DPP-IV e gli agonisti deirecettori del GLP-1 sono o ininfluenti per quanto riguarda ilpeso o promuovono la perdita di peso, rispettivamente.

Inoltre, le terapie a base di incretine non sono statelegate a ritenzione di liquidi e/o peggioramento dell’insuffi-cienza cardiaca, un problema che è stato segnalato conTZD [15]. Inoltre, un crescente numero di articoli, ha dimo-strato una più diretta associazione tra le terapie a base diincretine e la modulazione sia dei fattori di rischio cardio-vascolare che degli stati di malattia cardiovascolare.

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DislipidemiaGli studi clinici con gli antagonisti del recettore GLP-1

[26] e con gli inibitori del DPPIV [27] hanno dimostratomodesti miglioramenti nel panel dei lipidi. Questi migliora-menti hanno incluso modeste riduzioni dei livelli di coleste-rolo totale, lipoproteine a bassa densità (LDL), colesterolo,trigliceridi e apolipoproteina B. È importante notare, chequeste riduzioni sono state di limitata entità, e non tutti glistudi hanno dimostrato un significativo beneficio [28]. Partedella associazione tra miglioramenti dei parametri lipidici eterapia a base di incretine, potrebbe essere relativa alla per-dita di peso associata all’uso di queste sostanze [29].

IpertensioneGli agonisti della GLP-1 sono stati implicati nella riduzio-

ne della pressione arteriosa sistolica [30, 31]. In una meta-analisi di sei studi, exenatide era associata ad una riduzio-ne da 2 a 4 mmHg della pressione sistolica (SBP) rispettoalla terapia con placebo o con insulina [31]. In questameta-analisi, la riduzione della pressione sistolica era mag-giore nei soggetti con alta pressione basale e non è risulta-ta significativa nei pazienti con la pressione del sanguebasale ad un livello normale. Allo stesso modo, liraglutide èstata associata ad una riduzione da 2 a 3 mmHg della SBPrispetto a glimepiride [30]. Anche se la perdita di peso puòcontribuire a queste riduzioni di SBP, la meta-analisi ese-guita sugli studi con exenatide ha dimostrato solo unadebole correlazione tra la riduzione della pressione sistoli-ca e la perdita di peso [31]. Allo stesso modo, le riduzionidella SBP sembrano verificarsi prima dell’insorgenza di unasignificativa perdita di peso [30]. Altre potenziali spiegazio-ni per una riduzione della SBP includono l’aumentata escre-zione di sodio [32] o un miglioramento della funzione endo-teliale [33].

La funzione endotelialeDisfunzione endoteliale vascolare è fortemente associa-

ta al diabete e all’insulino-resistenza e rappresenta manife-stazione precoce di aterosclerosi. Diversi studi hanno dimo-

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strato i potenziali benefici delle terapie a base di incretinesulla funzione endoteliale. In uno studio con un numerolimitato di pazienti con diabete di tipo 2 è stato dimostratoche GLP-1 è in grado di migliorare la vasodilatazione endo-telio-dipendente [33]. Oltre che alla reattività vascolare,GLP-1 è stata associata ad una riduzione dei marker diinfiammazione e delle molecole di adesione, fattori chepossono influenzare negativamente la funzione endoteliale.Ad esempio, il trattamento con l’agonista del recettore -peril GLP-1 exendin-4 ha ridotto l’accumulo di monociti /macrofagi nella parete arteriosa dei topi, inibendo la rispo-sta infiammatoria nei macrofagi [34]. Exendin-4 sembraregolare questa risposta infiammatoria attraverso il path-way del cAMP\PKA, che successivamente inibisce citochinepro-infiammatorie come fattore di necrosi tumorale-α e lachemoattractant protein-1 dei monociti [34]. È stato anchedimostrato che liraglutide è in grado di inibire il fattore dinecrosi tumorale-α o l’induzione mediata dall’iperglicemiadell’inibitore tipo-1 dell’attivatore del plasminogeno, dellamolecola di adesione intercellulare 1, della molecola di ade-sione delle cellule vascolari-1, dell’espressione dell’mRNA edell’espressione proteica in linee cellulari di cellule endote-liali vascolari umane [35].

I dati preliminari suggeriscono inoltre i potenziali van-taggi degli inibitori del DPPIV sulla funzione endoteliale.L’inibizione del DPP-IV da parte della Vildagliptin ha dimo-strato di ridurre la senescenza endoteliale in un modello diratto diabetico attraverso l’attivazione della proteina china-si A e attraverso l’induzione di geni antiossidanti [36].

Inoltre, uno studio non randomizzato di 32 pazienti condiabete di tipo 2 è stato dimostrato che l’uso dell’inibitoredella DPP-IV sitagliptin per 4 settimane era associato ad unaumento delle cellule progenitrici endoteliali circolanti(EPC), un risultato che si ritiene sia collegato all’up-regola-zione del fattore 1α derivato dalle cellule dello stromaattraverso l’inibizione della DPP-IV [37].Dati i potenzialieffetti protettivi a livello vascolare delle EPC e la loro ridot-ta presenza nei pazienti diabetici [38], tali effetti si posso-no tradurre in risultati positivi.

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Malattia coronarica/infarto miocardicoCome descritto in precedenza, le GLP-1 possono influen-

zare lo sviluppo dell’aterosclerosi, migliorando molti dei fat-tori di rischio cardiovascolare associati allo sviluppo dimalattia coronarica (CAD). Inoltre, le terapie basate suiGLP-1 possono avere effetti positivi nel contesto di ische-mia e infarto del miocardio. Le GLP-1 ha dimostrato diessere cardioprotettive in un modello murino di danno daischemia miocardica e riperfusione / attraverso diverse chi-nasi protettive [39].

Allo stesso modo, sia exenatide [40] che liraglutide [41],hanno dimostrato di ridurre la dimensione infartuale neimodelli di infarto miocardico acuto di modelli suini e muri-ni, rispettivamente. Oltre alla riduzione delle dimensionidell’infarto, il trattamento con exenatide prima della lega-tura dell’arteria coronarica e della successiva riperfusioneha impedito il deterioramento della funzionalità cardiacasistolica e diastolica ed è stato associato con una riduzionedei marcatori nucleari di stress ossidativo e con un’aumen-tata espressione del chinasi fosforilata Akt, che ha funzioniprotettive [40]. Nello studio on liraglutide, 7 giorni di pre-trattamento con liraglutide hanno modulato l’espressione el’attività dei geni cardioprotettivi e ha portato a un miglio-ramento della sopravvivenza dei cardiomiociti [41]. Da sot-tolineare il fatto che, in questo studio, liraglutide ha confe-rito cardioprotezione e vantaggi legati alla sopravvivenza aldi là della metformina, nonostante le due molecole si sianodimostrate equivalenti nel controllo glicemico [41].

Gli effetti delle terapie a base di incretine negli esseriumani con pregressa CAD sono stati limitati. In uno studionon-randomizzato di 10 pazienti con infarto miocardicoacuto e con una disfunzione sistolica grave del ventricolosinistro (LV) (frazione di eiezione del LV<40%), una infu-sione continua per 72 ore di GLP-1 (1.5 pmol/kg/min) ini-ziata poco dopo un efficace intervento coronarico percuta-neo è stato associato a miglioramenti significativi in termi-ni frazione di eiezione del LV (dal 29% al 39%) e in termi-ni di movimento della parete sia globale che parziale rispet-to agli 11 pazienti di controllo [42].

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Allo stesso modo, in un altro studio randomizzato, indoppio cieco, con placebo che coinvolgeva 20 pazienti conmalattia coronarica e una funzione ventricolare sinistrapreservata che dovevano essere sottoposti a bypass coro-narico (CABG), una infusione continua di GLP-1 (1.5pmol/kg/min) iniziata 12 h prima della procedura di CABGe continuata per 48 ore dopo l’intervento è stata associataad migliore controllo glicemico rispetto ai pazienti trattatiunicamente con insulina [43]. Infine, uno studio più recen-te su soggetti umani ha suggerito anche un potenzialebeneficio derivante dall’uso dell’inibitore DPP-IV sitagliptin[44]. In uno studio pilota su 14 pazienti con CAD e funzio-ne ventricolare sinistra preservata che erano in attesa dirivascolarizzazione, la sitagliptin ha migliorato la perfor-mance LV sia globale che parziale in risposta agli stress testcon dobutamina e ha mitigato il danno post-ischemicorispetto ai placebo.

Insufficienza cardiacaTerapie a base di GLP-1 hanno mostrato potenzialità

promettenti in modelli animali di insufficienza cardiaca e inun numero limitato di studi umani. Recettori per GLP-1sono presenti nel cuore, e una potenziale funzione fisiolo-gica di questo recettore è stata dimostrata in un modellomurino perturbazione dove l’eliminazione a livello geneticodel recettore GLP-1 ha dimostrato di essere associata a unfenotipo con caratteristiche di insufficienza cardiaca diasto-lica, tra cui un aumentato spessore della parete LV, unacamera LV di dimensioni inferiori, e un aumento della pres-sione LV diastolica [45]. Un’infusione continua di GLP-1 per48 ore è stata associata a miglioramenti nei livelli di assor-bimento glicemico nel miocardio e a miglioramenti nell’e-modinamica LV e sistemica in cani coscienti con cardiomio-patia dilatativa [46].

Da notare, in questo studio sulla cardiomiopatia dilatati-va nei cani, il beneficio a livello cardiaco e sull’emodinami-ca è stato visto sia usando il GLP-1 (7-36) amide sia con ilmetabolita GLP-1 (9-36) (generato dalla scissione di GLP-1(7-36) da parte del DPP-IV) [46]. Un successivo studio, in

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un modello canino simile di insufficienza cardiaca, ha dimo-strato che l’infusione per 48 ore di GLP-1 (7-36) ha stimo-lato l’assorbimento del glucosio da parte del miocardioattraverso un meccanismo mediato da una p38α MAP kina-se e dipendente dall’ossido nitrico e che l’aumentato assor-bimento aumentato non è dipende dall’adenilciclasi odall’Akt [47].

Infine, quando somministrata in modo continuativo perun periodo di 3 mesi in ratti spontaneamente ipertesi, i rattiportati all’infarto, la proteina GLP-1 (7-36) è stata associa-ta a miglioramento della sopravvivenza e collegata ad unmiglioramento della funzionalità ventricolare sinistra, aduna aumentato assorbimento del glucosio da parte del mio-cardio, e ha ridotto l’apoptosi nei miociti [48 •]. Il limitatonumero di studi disponibile su soggetti umani ha tuttaviadimostrato una potenziale promessa per quanto riguarda ipazienti con scompenso cardiaco. Come descritto in prece-denza, l’infusione continua per 72 ore di GLP-1 nei pazien-ti sopravvissuti a un infarto miocardico acuto complicato dauna grave disfunzione ventricolare sinistra è stata associa-to a significativi miglioramenti nella fazione di espulsionedel LV [42]. Allo stesso modo, in uno studio non randomiz-zato di 12 pazienti con NYHA classe III-IV HF, l’infusionecontinua di GLP-1 (2.5 pmol/kg/min) per 12 settimane hamigliorato la frazione di eiezione del LV (21% - 27%), laVO2 max, e di 6 minuti di cammino rispetto a nove pazien-ti HF in terapia standard [49]. Le conclusioni di questi studisulle popolazioni HF sono stati limitati a causa delle scarsedimensioni delle popolazione e della natura in gran partenon-randomizzata degli studi.

Questioni irrisolte e prospettive futureNonostante la crescente mole di letteratura per quanto

riguarda i potenziali benefici della terapia a base di increti-ne nella prevenzione e il trattamento delle malattie cardio-vascolari, esistono alcune limitazioni che meritano studifuturi. Aspetto ancora più rilevante, non sono ancora statieseguiti studi clinici di grandi dimensioni, randomizzato, adoppio cieco per valutare l’impatto delle terapie a base di

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incretine nella prevenzione e nel trattamento delle malattiecardiovascolari. Ad oggi, studi umani per valutare gli effet-ti sul sistema cardiovascolare sono stati di dimensioni limi-tate, per lo più non in doppio cieco, e si sono concentrati suendpoints surrogati. Spunti recenti derivati dagli studi sulcontrollo glicemico [13], sulla terapia diabetica [16], e sualtri marcatori surrogati dimostrano la necessità per glistudi clinici di vaste dimensioni di valutare sia la sicurezzache l’efficacia dei trattamenti diabetici e di definire il rap-porto rischio-beneficio. Per fortuna, alcuni di questi studicon terapie a base di incretine sono in corso o sono in fasedi progettazione. Inoltre, studi meccanicistici devono anco-ra essere completati per confrontare le differenze di poten-ziale fra le diverse disponibili terapie (GLP-1 nativo, analo-ghi del GLP-1, e inibitori del DPPIV). Ad esempio, alcunedelle azioni cardioprotettive e delle azioni vasodilatatoriedel GLP-1 sembrano essere mediate sia da GLP-1 (7-36)che dal suo metabolita GLP-1 (9-36), che si forma quandoil GLP-1 (7-36) è degradata dall’enzima DPPIV [50]. Leimplicazioni di queste scoperte sui potenziali effetti deglianaloghi dei recettori del GLP-1 e degli inibitori della DPP-IV richiedono studi futuri. Infine, data la natura ubiquitariadella DPP-IV, studi di ampie dimensioni devono essere ese-guiti per verificare che non si abbiano effetti avversi fuoritarget; ad oggi, il profilo di sicurezza appare accettabile.

In conclusione le terapie a base di incretine dimostranoalcuni potenziali vantaggi rispetto ad altri trattamenti far-macoterapici per i pazienti diabetici, tra i quali minori rischidi ipoglicemia e un ridotto aumento di peso. Oltre ai bene-fici effetti sulla omeostasi del glucosio, una crescente moledi dati suggerisce potenziali benefici di questa classe di far-maci nella prevenzione e nel trattamento delle malattiecardiovascolari, una delle principali cause di morbilità emortalità nei pazienti con diabete. Mentre cerchiamo didiminuire l’impatto della malattia cardiovascolare in questapopolazione, studi futuri sono necessari per valutare lasicurezza per il sistema cardiovascolare e l’efficacia di que-sti farmaci in pazienti con diabete di tipo 2.

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Patologia CerebroVascolareIschemica

Definizioni

La patologia cerebrale presente nel diabete è di naturaesclusivamente ischemica, mentre non vi sono evidenze diuna relazione fra diabete e patologia emorragica.Nell’ischemia cerebrale si può avere una riduzione dell’ap-porto di sangue ossigenato all’intero encefalo oppure aduna porzione limitata, comunque per un tempo sufficientea provocare un danno cellulare. La prima condizione, quel-la di ipoperfusione diffusa, è conseguenza di condizionisistemiche (es. arresto cardiaco) e va oltre gli scopi diquesta trattazione. La seconda condizione, l’ischemiafocale, è determinata da un processo steno-occlusivo alivello di un singolo vaso ed interessa il tessuto cerebralea valle di tale vaso. Quest’ultima situazione è l’oggetto diquesto capitolo.

Nell’ambito della patologia cerebrovascolare ischemicaoccorre distinguere fra ictus e TIA (Transient IschemicAttack). Di recente è stata proposta una modifica alla defi-nizione di TIA. Ciò impone una conseguente precisazionedella definizione di ictus in quanto la definizione dell’unoinfluenza quella dell’altro. Inoltre saranno esposte in ordi-ne cronologico le differenti definizioni esistenti di TIA con iloro principali vantaggi e limiti.

ICTUS: è un deficit neurologico focale, associato alla dis-funzione di una specifica area cerebrale, con una sintoma-tologia di durata maggiore delle 24 ore (definizione dellaWHO) Pa

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TIA: 1. deficit neurologico o oculare focale, derivante dalla dis-

funzione di una precisa ed identificabile area cerebrale,di presunta origine vascolare e di durata inferiore alle24 ore (definizione della WHO)

2. deficit neurologico o oculare focale, relativo alla disfun-zione di un’unica specifica area cerebrale o oculare, diverosimile origine ischemica e di durata inferiore a 1ora (TIA Working Group 2002)

3. deficit neurologico focale, relativo alla disfunzione diun’unica specifica area cerebrale, oculare o del midollospinale, di verosimile origine vascolare, senza evidenzadi danno tissutale permanente e di qualsiasi durata(AHA guidelines 2009)

La definizione della WHO è relativa ad un periodo in cuinon era disponibile alcuna metodica di imaging a livellocerebrale, nè alcun trattamento specifico per tali condizio-ni. Tuttavia ha il vantaggio di essere semplice, di nonrichiedere approfondimenti strumentali e di fissare uncomodo cut off temporale.

La definizione del TIA Working Group è frutto dell’ evo-luzione delle tecnologie di imaging e dei trattamenti nonchèdi una migliore comprensione della fisiopatologia tissutale.Infatti l’utilizzo delle metodiche di risonanza magnetica haconsentito di documentare come la maggior parte dei defi-cit neurologici transitori fosse in realtà associata alla pre-senza di una lesione tissutale irreversibile e come vi fosseuna correlazione fra la durata della sintomatologia e la pro-babilità di danno tissutale. Per tale ragione è stato propo-sto un cut-off temporale di 1 ora, sebbene in circa il 30%dei pazienti con deficit inferiore a 1 ora vi sia l’evidenza diuna lesione cerebrale alla RMN con modalità DWI eseguitaprecocemente. Tale definizione riporta l’attenzione sullafisiopatologia tissutale alla quale peraltro viene attribuitaancora più importanza nella proposta della AHA. Nella defi-nizione della AHA infatti, non compare alcuna soglia tem-porale, mentre diventa fondamentale l’esclusione di undanno tissutale permanente con le metodiche di neuroima-

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ging, prevalentemente RMN. In tale contesto, dunque, ladiagnosi diventa strettamente dipendente dall’imaging,piuttosto che dalla clinica.

Va inoltre segnalato che nei dati di letteratura vi è dis-cordanza tra i vari operatori relativamente alla diagnosi diTIA effettuata su base anamnestica: circa la metà deipazienti afferiti nel dipartimento di emergenza con diagno-si di sospetto TIA, quando valutati in ambiente neurologi-co, risulta essere affetto da un’altra patologia. È pertantoimportante anche il setting in cui il paziente viene valutatoe la “confidenza” clinica e diagnostica di chi esegue laprima valutazione.

Epidemiologia

ICTUS PREVALENZA

La prevalenza aumenta con l’età, raggiungendo in studidi popolazione valori tra 4,61 e 7,33 % in soggetti di etàsuperiore a 65 anni.

Per quanto riguarda l’Italia sono disponibili i dati dellostudio Italian Longitudinal Study on Aging (ILSA), effettua-to su pazienti anziani con età compresa fra 65 e 84 anni neiquali il tasso di prevalenza è pari a 6,5% (IC95: 5,8-7,2);superiore nei maschi (7,4%; IC95: 6,3-8,5) rispetto allefemmine (5,9%; IC95: 4,9-6,9).

INCIDENZAI tassi grezzi di incidenza, sulla popolazione totale di

diverse nazioni a livello mondiale, variano da 1,3 a 4,1 per10000 abitanti.

L’incidenza, come la prevalenza, aumenta esponenzial-mente con l’aumentare dell’età, raggiungendo il massimonegli ultra ottantacinquenni. Eccetto che in quest’ultimafascia d’età, l’incidenza è più alta nei maschi che nelle fem-mine. Risulta pertanto che il 75% degli ictus colpisce l’età

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geriatrica (dai 65 anni in poi). Negli anziani di 85 anni edoltre l’incidenza è tra 20‰ e 35‰ circa, con alta prepon-deranza di ictus ischemici e prognosi peggiore in termini dimortalità rispetto ai soggetti più giovani.

I dati internazionali depongono per un aumento progres-sivo dei tassi di incidenza età specifici per ciascuna decadedi vita, risultando compresi tra 0,1 e 0,3 per 10000 peranno nei soggetti di età inferiore ai 45 anni e tra 12,0 e20,0 per 10000 per anno nei soggetti di età compresa tra i75 e gli 84 anni.

TIAIn considerazione della variabilità dei settings, non si

hanno dati epidemiologici affidabili sui TIA, essendoci unapercentuale di casi non riferiti dal paziente, come ancheuna parte di casi sotto-diagnosticati o diagnosticati inmaniera errata in ambito non neurologico.

Ruolo del Diabete

L’ictus è la seconda causa di morte nel mondo occiden-tale e la prima causa di disabilità permanente con costisociali elevatissimi. Diventa quindi fondamentale ai fini diuna efficace prevenzione l’identificazione dei pazienti adalto rischio,come quelli affetti da diabete mellito.

Il diabete agisce in due modi sul rischio cerebrovascola-re:

incrementa il rischio di eventi cerebrovascolari ad ezio-logia aterotrombotica e microangiopatica

peggiora la prognosi funzionale e quoad vitam dell’even-to acuto (in maniera analoga influisce il grado di iperglice-mia durante l’evento)

Il rischio di ictus del paziente diabetico è circa 1.5 voltemaggiore rispetto ai non diabetici di pari età e sesso. Il rap-porto M:F tende alla parità e l’età di insorgenza del primo

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evento è anticipata di una decade, essendo situata fra i 50e i 60 anni.

Storia Naturale

Il paziente con un primo evento cerebrovascolare haun profilo di rischio più elevato, sia in termini di recidivadi ictus che di eventi vascolari in altri distretti arteriosi, inparticolare del circolo coronarico. Possiamo affermare chel’avere avuto un precedente evento cerebrovascolare rap-presenta il più rilevante fattore di rischio vascolare nonmodificabile. Infatti il paziente che ha avuto un ictus haun rischio di 2-3 volte superiore, rispetto a chi non l’haavuto, di avere un evento coronarico e un rischio di 9volte superiore di avere un ulteriore ictus. Mentre unpaziente con un pregresso infarto miocardico ha unrischio di 5-7 volte superiore di avere una recidiva diinfarto miocardico e di 3-4 volte superiore di avere unictus cerebrale.

Il TIA rappresenta quindi una importante occasione perrealizzare strategie di prevenzione in particolare nei con-fronti dell’ictus. Non tutti i TIA condividono lo stesso profi-lo di rischio. Quelli caratterizzati da durata > 1 ora, presen-za di diabete e sintomi motori, configurano una categoria amaggiore rischio. Nell’ambito degli di esami strumentalieffettuati nel management in acuto, la presenza di positivi-tà lesionale alla RMN cerebrale con modalità di DWI e lapresenza di lesione vascolare (es. stenosi carotidea e/ointracranica), costituiscono ulteriori elementi di rischio.Infatti tali riscontri consentono di inquadrare l’evento comeateromasico, caratterizzato da un più elevato tasso di reci-diva.

Dal punto di vista clinico è importante stratificare ilrischio di recidiva nei pazienti con TIA, in quanto decisivonel setting e nel timing gestionale del brevissimo periodo.A tal fine è stato formulato uno score di rischio clinico, lo

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score ABCD2, utilizzabile in un setting di “primary care”. Ilcalcolo dello score è illustrato nella successiva figura:

Lo score ABCD2 definisce differenti livelli di rischio direcidiva del paziente, a 2 gg, 7 gg e 90 gg dall’evento(suc-cessiva tabella). Lo score esprime un rischio unicamenteprospettico, che decorre a partire dalla prima valutazionedel paziente (se effettuata entro i 7 gg dalla comparsa sin-tomi)

RISCHIO SCORE 2 gg 7 gg 90 gg

BASSO 0-3 1% 1.2% 3.1%

MODERATO 4-5 4.1% 5.9% 9.8%

ALTO 6-7 8.1% 11.7% 17.8%

Ruolo degli ultrasuoni

L’utilizzo delle metodiche ultrasoniche rappresenta unostrumento fondamentale e insostituibile nello studio deipazienti con patologia cerebrovascolare ischemica e/o con

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fattori di rischio per questa, come il diabete. Molte sono lesue caratteristiche “ideali”, come la non invasività, la ripe-tibilità, l’eseguibilità anche al letto del paziente, il costorelativamente basso e l’elevata dinamicità. Ciononostante atale metodica vengono attribuiti come limiti l’operatore-dipendenza e l’impossibilità di valutare le arterie intracrani-che.

Per quanto riguarda la prima, va sottolineato che essa èestendibile anche alle altre metodiche neuroradiologichenelle quali il background formativo determina la “compe-tenza” dell’operatore. A ciò va aggiunto che vi è un eleva-to grado di concordanza fra la stima della presenza e delgrading di una stenosi carotidea > 70% fra le metodicheecografiche Eco Color Doppler e quelle neuroradiologiche,come AngioTC , AngioRMN e Angiografia digitalizzata pervia ev.

Per quanto riguarda invece la possibilità delle metodicheultrasoniche di valutare le arterie intracraniche va precisa-to che grazie al TCD (Transcranial Doppler) e al TCCD(Transcranial Color-Copded Duplex sonography) è possibileeffettuare un accurato esame dei principali vasi del poligo-no del Willis. La prima metodica, il TCD, è uno studio ciecodel solo spettro di flusso dei principali vasi intracranici, sullabase della profondità, della direzione di flusso e dell’ango-lo di insonazione. La seconda metodica, il TCCD, consenteuna visualizzazione ecografica su alcuni piani di scansionepredefiniti delle strutture parenchimali e vascolari intracra-niche e dei principali reperi ossei, consentendo una precisaidentificazione dei grossi vasi arteriosi del basicranio.

Nei pazienti con patologia cerebrovascolare devonoessere esaminati sia i vasi cerebroafferenti extracranici chequelli intracranici, essendo questi ultimi quelli più frequen-temente coinvolti nella patologia ateromasica correlata conil diabete. Tali valutazioni vanno fatte qualsiasi sia la meto-dica disponibile nelle diverse realtà assistenziali.

Concordemente con lo scopo di questo vademecumsaranno di seguito indicate le informazioni principali otteni-bili con le metodiche ultrasoniche e i loro principali campidi applicazione, sia per quanto riguarda il distretto extra-

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cranico (limitandosi all’asse carotideo) che per quantoriguarda il distretto intracranico.

DISTRETTO EXTRACRANICO

I campi di valutazione ecografica del distretto carotideosono suddivisibili in: studio del complesso medio intimale(IMT), valutazione dell’ateromatosi, valutazione del gradodi stenosi (figura successiva).

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ISPESSIMENTO MEDIO-INTIMALE

La patologia aterosclerotica è un processo cronico didegenerazione della parete vasale, il cui ispessimento rap-presenta la prima alterazione in fase preclinica. Tale altera-zione è identificabile ecograficamente grazie alla misurazio-ne dello spessore medio-intimale carotideo. Nella figurasuccessiva è schematizzato il complesso medio-intimalecon le sue principali costituenti.

La Consensus Conference di Mannheim ha dato laseguente definizione condivisa di ispessimento medio inti-male:

IMT is a double-line pattern visualized by echotomo-graphy on both walls of the CCAs in a longitudinal image.It is formed by two parallel lines, which consist of the lea-ding edges of two anatomical boundaries: the lumen-inti-ma and media-adventitia interfaces.

La misurazione dell’IMT viene effettuata in tre regionistandardizzate della far wall( parete lontana) carotidea, inassenza di ateromi:

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• arteria carotide comune a 1 cm dal bulbo • biforcazione carotidea • il cm prossimale della arteria carotide interna

I principali criteri interpretativi dei valori ottenuti sonorappresentati nella figura seguente:

L’ispessimento medio-intimale carotideo è stato oggettodi numerosi studi. Nei dati di letteratura è stata dimostra-ta una correlazione con i principali fattori di rischio cardio-vascolare e con lo sviluppo di eventi vascolari come infartomiocardico e ictus, indipendentemente dalla presenza dipregresso danno vascolare. Tale rischio aumenta linear-mente con l’incremento dell’IMT, correla con i livelli glice-mici post-prandiali in soggetti non diabetici e con la duratadi malattia diabetica nei pazienti che ne sono affetti.

Quindi lo spessore medio-intimale, correlando con ilrischio di sviluppare eventi vascolari, rappresenta un mar-ker pre-clinico di patologia aterosclerotica in quanto segnoiniziale di danno d’organo. Ciononostante non vi sono indi-cazioni sulla sua utilità nell’orientamento diagnostico eterapeutico, indipendentemente da altri fattori. Pertantoallo stato attuale non è stato ancora unanimemente defini-to se, nel singolo paziente, la misura dell’IMT possa essereutilizzata come fattore aggiuntivo ai tradizionali fattori dirischio.

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ATEROMATOSI

Le metodiche ultrasoniche consentono di identificare emonitorare l’ulteriore evoluzione del danno ateroscleroticoche si configura come placca carotidea.

La definizione di placca, analogamente a quella di IMT, èstata concordata e condivisa nella Consensus Conference diMannheim:

Plaque is a focal structure encroaching into the arteriallumen of at least 0.5 mm or 50% of the surrounding IMTvalue, or demonstrates a thickness > 1.5 mm as measuredfrom the media-adventitia interface to the intima-lumeninterface.

La valutazione ecografica dell’ateromatosi carotidea con-sente di definire la posizione e le dimensioni delle lesioni ate-romasiche. Fornisce inoltre informazioni relative alla sua:– ecogenicità– superficie– grado di stenosi (quest’ultimo aspetto sarà oggetto del

paragrafo successivo)Per quanto riguarda l’ecogenicità della placca, il suo

significato è ancora discusso, in quanto non vi sono orien-tamenti univoci circa la sua correlazione con la condizionecosiddetta di “placca a rischio”. La figura successiva illustrala sua classificazione. La valutazione dell’ecogenicità diplacca può essere fatta in maniera sostanzialmente quali-tativa oppure in maniera quantitativa con software dedica-ti e misura della cosiddetta GSM (Gray Scale Median), chefornisce una indicazione numerica media dei parametri di“brightness” della placca. Tale misura non rientra nell’esa-me standard e sono necessari studi più ampi per poternedefinire il ruolo come predittore di rischio di rottura oembolizzazione della placca. Un altro strumento per poterdefinire la placca dal punto di vista del rischio è l’utilizzo delmezzo di contrasto ultrasonico per effettuare studi perfu-sionali di placca, i cui risultati necessitano comunque diulteriori conferme prima di poter essere utilizzati in manie-ra più estensiva.

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Per quanto riguarda invece le caratteristiche della super-ficie e la presenza di ulcerazioni, esse sono codificatesecondo le definizioni che seguono:

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• Regolare• Irregolare (con incisure da 0.4 a 2 mm di profondità)• Irregolare ulcerata (con incisure >2 mm di profondità)

La successiva valutazione riguarda la determinazione delgrado di stenosi.

GRADING DELLA STENOSI

Un altro aspetto importante dell’utilizzo della metodicaultrasonica è il grading della stenosi carotidea ed in parti-colare il confronto e la validazione di tale grading con lealtre metodiche neuroradiologiche, invasive e non invasive.Internazionalmente esistono differenti sistemi di gradingangiografico della stenosi carotidea, fra cui quello più utiliz-zato è il NASCET, su cui sono state formulate le raccoman-dazioni delle linee guida circa i trattamenti di rivascolariz-zazione carotidea. Nella figura successiva sono mostrati idifferenti sistemi di grading in confronto con il NASCET, perevidenziare come la corrispondenza sia regolata da apposi-te formule e normogrammi.

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Il sistema di grading NASCET, che è anche quello con cuiè confrontato il grading ultrasonografico secondo le lineeguida della Consensus internazionale della AmericanAcademy of Radiology del 2003, ha il vantaggio di svinco-lare ciascun laboratorio ultrasonografico dalla validazionelocale versus angiografia.

Diventa pertanto fondamentale che la refertazione diciascun esame, ultrasonografico o radiologico, sia com-prensiva del metodo con cui è stato eseguito il gradingdella stenosi carotidea.

Qui di seguito viene riportata una semplice formula perla conversione dal grading ECST al grading NASCET:

% stenosi NASCET = (ECST o CC % stenosi - 40)/0.6

La Consensus Conference del 2003 alla quale si è fattoriferimento, ha indicato gli elementi principali ed addiziona-li per definire il grading della stenosi carotidea:– stenosi <50%– stenosi 50-69%– stenosi 70-99%

I range così definiti sono utilizzati per prendere delledecisioni terapeutiche. Per effettuare tali valutazioniviene preso in considerazione non solo il dato dello spet-tro di flusso e quindi dei parametri velocimetrici, maanche delle dimensioni dell’ateroma in B-mode e in Color-mode. Inoltre è insito nel sistema una sorta di doppiocontrollo, per cui i risultati di entrambi questi fattoridevono essere concordanti per poter essere presi in con-siderazione, e questo può essere utile nelle situazioni incui fattori emodinamici ulteriori a monte o a valle dellastenosi carotidea possono limitare l’affidabilità di talevalutazione.

Nel confronto con le altre metodiche neuroradiologichevi è un’ottima concordanza per il grading > 70%, conminore sensibilità e specificità per il range inferiore al 50-69%.

Nella tabella successiva sono evidenziati i criteri enun-ciati dalla Consensus Conference AAR 2003 citata.

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La figura successiva mostra un esempio delle misurazio-ni effettuate sullo spettro di flusso in un paziente con unastenosi carotidea > 70%.

Un’altra situazione è quella rappresentata dall’occlusio-ne carotidea. In tale situazione la diagnostica ultrasonica èconsiderata ancora più affidabile in rapporto alle altremetodiche e in tale contesto entrano in gioco, a secondadei casi, eventuali ulteriori valutazioni, quali ad esempio ilruolo della componente emodinamica con una stima dellariserva cerebrovascolare e l’associazione o meno con undato sintomatico.

DISTRETTO INTRACRANICO

La patologia ateromasica interessa tutti i distretti circo-latori, non ultimo quello intracranico. In particolar modo nelpaziente diabetico, la localizzazione intracranica è più fre-quente di quella extracranica e rende conto della maggiorparte degli eventi vascolari di tipo ischemico. Inoltre l’acce-lerazione della progressione delle lesioni aterosclerotiche èpiù evidente a livello intracranico che a livello extracranico.

La patologia steno-occlusiva intracranica a genesi atero-masica rappresenta la principale causa di ictus cerebrale

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ischemico in tutto il mondo, comprendendo anche le popola-zioni asiatiche e ispaniche. Datate stime epidemiologicheattribuivano al danno ateromasico circa il 10% degli eventicerebrali ischemici. Più di recente la migliore comprensionedella fisiopatologia dell’ictus cerebrale, un più accurato inqua-dramento eziologico nonché il miglioramento delle tecnichediagnostiche non invasive, ha consentito di modificare talidati. Inoltre studi autoptici su pazienti deceduti in ospedalehanno mostrato come non vi sia un singolo sottotipo eziologi-co di ictus che sia esente dalla presenza di ateromatosi intra-cranica, di qualsiasi entità. Tali studi documentano una eleva-ta prevalenza di ateromatosi e stenosi intracraniche (fino al60%) non solo nell’ictus a genesi classicamente aterotrombo-tica, ma anche nell’ictus da causa indeterminata. Inoltre lasintomaticità dell’ateromatosi è stata dimostrata istologica-mente dalla presenza di trombosi acuta su placca, soprattut-to nell’ictus con fenotipo radiologico ed istologico lacunare,tradizionalmente attribuito a patologia dei piccoli vasi. Taletipo di ictus in realtà appartiene ad un sottogruppo di ictus dapatologia dei grossi vasi che va sotto il nome di PAD (ParentArtery Disease). Tali ictus condividono la prognosi e la perico-losità e si manifestano con lesioni di piccole dimensioni dellasostanza bianca sottocorticale. La causa è legata all’occlusio-ne per vicinanza o embolica artero-arteriosa dell’origine deirami perforanti, come esemplificato nella figura successiva.

1 – Occlusione diretta dell’origine di una perforante daparte di ateroma dell’a. cerebrale media

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2 – Occlusione di una perforante con meccanismo di embo-lismo artero-arterioso

I dati epidemiologici documentano una maggiore fre-quenza della patologia ateromasica intracranica nei pazien-ti diabetici, nei quali rappresenta un marcatore di patolo-gia. Si caratterizza inoltre per la presenza di elevati livelliematici di lipoproteina (a), che sembra essere coinvoltanella fisiopatologia del processo di aterogenesi. In partico-lare la presenza di diabete e di elevati livelli di lipoproteina(a) correla in maniera statisticamente rilevante sia con lapresenza che con l’estensione (numero di stenosi) dellapatologia ateromasica intracranica.

Tale condizione, quando sintomatica, è peraltro caratte-rizzata dall’avere un elevatissimo rischio di recidiva ische-mica, pur con terapia medica ottimale (fino al 34% in unfollow-up di due anni).

Dal punto di vista diagnostico le metodiche neurosono-logiche hanno dimostrato di avere una sensibilità e speci-ficità sovrapponibili rispetto a quelle delle metodiche neu-roradiologiche, invasive (DSA – Angiografia digitalizzataper sottrazione di immagine) e non invasive (MRA –AngioRMN; CTA – AngioTC), in particolare per l’identifica-zione di stenosi > 50% a livello dei principali vasi del poli-gono del Willis. In tale distretto circolatorio la metodicaneurosonologica rappresenta un utilissimo strumento di

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screening, da sola o associata a metodiche neuroradiologi-che, soprattutto MRA.

Nella figura successiva è possibile vedere un esempio diTCCS con stenosi dell’a. cerebrale media, in confronto acorrispondente ricostruzione tridimensionale da CTA.

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Percorsi Diagnostici

L’utilizzo delle metodiche ultrasoniche nel contesto deipercorsi di screening e diagnosi nel paziente sintomaticoper eventi cerebrovascolari ischemici è ben caratterizzato.Non vi sono però in letteratura raccomandazioni specificherelative al paziente diabetico. Per tale ragione i percorsi quiproposti per il paziente diabetico rappresentano non tantodelle raccomandazioni inderogabili, quanto piuttosto delleproposte che mirano a definire in maniera precisa l’esten-sione sistemica della malattia e il carico aterotromboticoindividuale, volutamente omettendo l’aspetto cardiologicoche verrà trattato nel capitolo successivo. Inoltre verrannodate alcune indicazioni pratiche, che possono essere utili aldiabetologo, sugli score di rischio vascolare utilizzabili intale situazione.

Nell’impostare un percorso diagnostico bisognerà distin-guere il soggetto asintomatico da quello sintomatico dalpunto di vista vascolare (figura successiva)

Per quanto riguarda il paziente asintomatico, le indica-zioni all’esecuzione di una valutazione ultrasonografica dei

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vasi cerebroafferenti extracranici, sono quelle che rientra-no nell’ambito dei programmi di screening in base al rischiocardiovascolare individuale.

Di seguito alcuni suggerimenti all’esecuzione di unesame ultrasonografico in soggetti con diabete:

Nel paziente sintomatico la malattia aterosclerotica vastadiata in tutte le sue localizzazioni d’organo, compresaquella intracranica. In tal caso, pur in assenza di un timingben definito per tale stadiazione, è ragionevole poter pen-sare di completare lo studio dei differenti distretti vascola-ri entro 1 mese dal verificarsi dell’evento sintomatico extra-cerebrale.

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In tale contesto le successive decisioni, in termini di fol-low-up, sono correlate con i reperti identificati a livellocarotideo, essendo comunque il distretto più frequente-mente esplorato.1

Va ancora ribadito come anche il distretto vascolareintracranico, non meno di quello extracranico, dovrebberientrare tra i territori vascolari da esplorare in tale condi-zione. Infatti in particolare il paziente diabetico, presentauna maggiore frequenza di localizzazioni ateromasicheintracraniche rispetto a quelle extracraniche e con un signi-ficato prognostico sicuramente più infausto. Nello schemasuccessivo sono differenziate le differenti categorie possibi-li dei reperti ultrasonografici a livello carotideo.

1 Questa e le successive flow-chart sono tratte, modificate, da “Vademe-cum di Diagnostica Vascolare per il Diabetologo”, Idelson Gnocchi 2009.

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Nell’ambito delle diverse categorie varierà anche ilmanagement in relazione sia alla significatività emodinami-ca della stenosi che della sintomaticità.

Esame sprovvisto di reperti patologici2

2 Come si può evidenziare in questa flow chart e nelle successive è statointrodotto fra i distretti di esame anche quello intracranico.

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Reperto di ateromatosi non emodinamica dei TSA3

3 Anche in questo caso la valutazione del circolo intracranico è inserita apieno titolo nella definizione del carico aterotrombotico, con suggerimen-to di timing differente rispetto alla precedente categoria.

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Stenosi carotidea 50%-69%4

4 Lo score di rischio di Rothwell sarà illustrato al termine di questa sezio-ne, nell’ambito della valutazione degli strumenti di quantificazione delrischio utilizzabili ed applicabili nel paziente sintomatico, a prescinderedalla presenza o meno di diabete.

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Stenosi carotidea > 70%5

5 Questa flow chart si applica ai pazienti con stenosi carotidea non preoc-clusiva e non ai pazienti con near occlusion o occlusione carotidea, il cuimanagement appare meno concorde in termini di opportunità e indicazio-ni a procedure operative.

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Near occlusion o occlusione carotidea6

6 In tale contesto diventa di fondamentale importanza la valutazione del-l’attivazione dei compensi intra- ed extracranici, tanto più nel paziente sin-tomatico. Infatti, le due differenti modalità con cui la patologia steno-occlusiva di una vaso può portare a dei sintomi, sono quella embolica equella emodinamica (e peraltro solo la prima è linearmente correlata conil grado di stenosi).Spesso vi è una variabile combinazione delle due componenti che insiemedeterminano il rischio globale del paziente, in quanto comunque una ridot-ta riserva cerebrovascolare in un territorio (e quindi una “insufficienza”emodinamica) non può che influenzare e ridurre la clearance degli embo-li in quello stesso territorio.

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A proposito dell’esame del circolo intracranico si posso-no tenere a mente alcuni pratici suggerimenti circa le situa-zioni di inderogabilità dello stesso, come quelli espressi quidi seguito.

In questa seconda parte del capitolo verranno indicatialcuni semplici strumenti di valutazione del rischio permigliorare il management ambulatoriale del paziente conpatologia cerebrovascolare. Uno di questi è lo score dirischio di Rothwell che stima sia il rischio operatorio che ilrischio di recidiva nella stenosi carotidea sintomatica. Ècomunque utile a questo proposito ricordare che cosa siintende per sintomaticità di una stenosi carotidea.

Lo score di rischio di Rothwell è illustrato nella figurasuccessiva, anch’essa modificata da “Vademecum diDiagnostica Vascolare per il Diabetologo”, Idelson Gnocchi2009.

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Un altro utile strumento che aiuta a determinare ilrischio di un paziente con patologia steno-occlusiva caroti-dea è costituito dalle apposite carte del rischio, elaboratesulla base dei dati dell’ECST, illustrate nelle pagine succes-sive. Esse sono separate per genere e rappresentano unostrumento di facile accesso e utilizzo, disponibile anche sulweb.

Scala di beneficio operatorioScala di rischio operatorio

1 per evento cerebrale piuttosto che oculare,1 per irregolarità di superficie della placca

ateromasica1 per eventi negli ultimi due mesi1 per ogni decile di stenosi da 70% a 99%,–0,5 per sesso femminile,–0,5 per malattia vascolare periferica, e–0,5 per PA sistolica >180 mmHg

Si basa sui dati dell’EGCT.Se l’NNT globale per stenosi 70%-99% e 14, essodiviene 100 in caso di meno di 4 punti, mentre divie-ne 3 in caso di 4 o più punti.

Rothwell PM, Warlow CP. Predication of benefit from carotid endar-terectomy in individual patients: risk-modelling study. Lancet 1999;353:2105-2110

NNT per prevenire un ictus ipsilaterale a 5 anni:9 per gli uomini e 36 per le donne;5 per i pazienti > 75 anni e 18 per i pazienti < 65 anni;5 per i pazienti trattati entro 14 gg e 125 per i pazien-ti trattati dopo più di 12 settimane

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Un altro utile strumento di predizione del rischio di even-ti, in un paziente con una diagnosi di TIA, è lo scoreABCD2, che è stato esposto precedentemente in questocapitolo.

Qui di seguito viene segnalato un esempio pratico dellasua applicazione.

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Cardiopatia e diabete mellito

Epidemiologia

Nel paziente diabetico di tipo 2 le malattie cardiovasco-lari presentano una maggiore incidenza, un decorso moltopiù accelerato ed una comparsa più precoce (intorno alla V-VI decade) rispetto alla popolazione generale.

Il legame tra iperglicemia e malattia cardiovascolarericonosce molteplici meccanismi, ben studiati e documen-tati in letteratura.

Da un punto di vista clinico i pazienti diabetici di tipo 2presentano un tasso di mortalità per cause cardiovasco-lari tre volte maggiore rispetto ai non diabetici, ma inrealtà l’incidenza cumulativa di coronaropatia a 10 annidipende dalla presenza di multipli fattori di rischio cardio-vascolare. Difatti i pazienti con molteplici fattori di rischioe diabete hanno la stessa incidenza di eventi cardiovasco-lari fatali e non fatali di pazienti non diabetici, ma conprecedente malattia coronarica. Pertanto è indicato stabi-lire i target terapeutici sulla base del profilo di rischio glo-bale, tenendo presenti in particolare età, sesso, dislipide-mia, ipertensione arteriosa e soprattutto durata del dia-bete.

L’approccio clinico del cardiologo nel paziente diabeti-co sarà quindi quello di elaborare un profilo di rischioglobale, la tipologia di indagini diagnostiche indicate e itarget dei fattori di rischio modificabili, tanto più bassiquanto maggiore è il rischio cardiovascolare del pazien-te. Pertanto è fondamentale una strategia di prevenzio-ne attraverso un approccio multifattoriale. Succes-sivamente l’attenzione del cardiologo dovrà spostarsi Pa

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sulla ricerca del danno d’organo subclinico, la cui pre-senza ovviamente aumenta il rischio globale e condizio-na la prognosi.

Percorsi Diagnostici

Il percorso diagnostico cardiologico nel paziente diabe-tico con accesso ambulatoriale, prevede l’acquisizione diinformazioni integrando indagini cliniche e strumentali.Nell’ambito delle indagini strumentali, l’utilizzo delle tec-niche ultrasoniche rappresentano una diagnostica disecondo livello, anche se l’ecocardiografia è uno strumen-to fondamentale nello studio del paziente sintomatico ocon alterazioni dell’obiettività clinica. L’ecocardiografiarappresenta, come indica la figura sottostante, una “fine-stra” sulla contrattilità cardiaca e per le valutazioni di fun-zionalità.

Nell’impostazione di un percorso diagnostico si potran-no prendere in considerazione le indicazioni qui di segui-to.

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Secondo linee guida un paziente diabetico con cardiopa-tia non nota deve essere routinariamente sottoposto adelettrocardiogramma, ecocardiogramma e test cardiova-scolare da sforzo secondo la seguente flow chart.

Ciascun esame ha il suo campo di utilizzo e le sue indi-cazioni, partendo dal più semplice, cioè l’elettrocardio-gramma.

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Le caratteristiche del follow-up, relativamente all’esameelettrocardiografico, sono dettagliate nello schema seguen-te, che tiene conto, sulla base delle linee guida internazio-nali, di differenti fattori.

Tale metodica presenta vantaggi e limitazioni illustraticome segue:

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I suoi principali campi di applicazione sono esposti nellafigura successiva.

Un altro ambito in cui l’elettrocardiogramma può essereutile, anche se non risolutivo da solo, è la diagnosi di car-diopatia ipertensiva. Infatti tale indagine è una metodica

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altamente specifica per la diagnosi di ipertrofia ventricola-re sinistra, anche se poco sensibile, per cui spesso è neces-saria l’integrazione con un ecocardiogramma.

I criteri maggiormente utilizzati per diagnosticare dalpunto di vista elettrocardiografico una ipertrofia ventricola-re sinistra sono illustrati nella figura sottostante.

Un altro strumento diagnostico cardiologico importanteè l’ecocardiogramma. Nel 1963 Harvey Feigenbaum pubbli-cò uno studio su JAMA che segnò il ruolo clinico fondamen-tale degli ultrasuoni in una condizione clinica specifica: l’ef-fusione pericardica. Da allora l’ecocardiografia ha avuto unruolo sempre più determinante nella diagnostica cardiaca.

Il cuore è una struttura profonda nel corpo pertanto ènecessario personalizzare le caratteristiche della sonda e ilsettaggio da utilizzare adattandoli alle caratteristiche delpaziente. Il cuore va analizzato da finestre multiple, utiliz-zando un approccio parasternale, apicale ,sottocostale esovra sternale, con proiezioni multiple come l’asse lungo el’asse corto in quattro, due o tre camere apicale.

Le possibilità applicative sono sinteticamente illustratenella figura.

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Per l’ecocardiografia, così come per qualsiasi tecnica dia-gnostica, è fondamentale stabilire le indicazioni alla suaesecuzione, cioè “quando richiedere l’esame” e le indicazio-ni relative all’eventuale follow-up, ovvero “quando ripeterel’esame”. Tali aspetti sono di fondamentale importanza nel-l’ambito della gestione del paziente ambulatoriale e deiprogrammi di screening delle complicanze di malattie cro-niche, come il diabete. Nelle due figure successive vengo-no indicati alcuni elementi utili per rispondere a questedomande.

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La diagnostica ecocardiografica consente l’identificazio-ne di specifici quadri patologici e ne consente la “stadiazio-ne” e il grading.

Questo è vero in particolare per quanto riguarda la valu-tazione dell’ipertrofia ventricolare sinistra.

L’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro correla conaltri markers di danno d’organo e il suo riscontro ha valoreprognostico negativo. I cut-off stabiliti dalle società ecocar-diografiche e dell’ipertensione arteriosa coincidono per ladefinizione di ipertrofia, mentre differiscono notevolmenteper la definizione di geometria. Ne consegue un’estremavariabilità della valutazione del danno d’organo nella popo-lazione.

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La regressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra è unindicatore di efficacia terapeutica e di migliore prognosi.

Le indicazioni all’esecuzione dell’esame ecocardiograficonel paziente che si presenta all’attenzione del diabetologosenza sintomi suggestivi di origine cardiaca, sono per alcu-ne situazioni ben codificate e per altre meno compiutamen-te definite. L’appropriatezza dello studio ecocardiograficoviene definita, nel paziente asintomatico, dalla presenza diun test di primo livello (come un elettrocardiogramma ouna radiografia del torace) diagnostico, o almeno dubbio,per la presenza di una patologia cardiaca. Nella tabella apagina 60 vengono indicate le raccomandazioni delle lineeguida internazionali nel paziente senza sintomi chiaramen-te ascrivibili a patologia cardiaca.

Tra i pazienti sintomatici, il paziente che ha anche il dia-bete presenta una maggiore incidenza di coronaropatia euna condizione in parte correlata con la coronaropatia, lacosiddetta “cardiomiopatia diabetica”. Tale condizione èresponsabile di una aumentata incidenza di scompenso car-diaco, prevalentemente diastolico. La sua diagnosi e ilmonitoraggio vengono affettuati con la combinazione diapproccio clinico ed ecocardiografico.

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Raccomandazioni sull’appropriatezza delle indicazioniall’esecuzione di ecocardiogramma

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La patogenesi dell’insufficienza cardiaca nel diabete èmultifattoriale, come evidenziato nella figura.

In tale contesto vi è spazio per i meccanismi che porta-no alla cardiomiopatia diabetica, che talora è isolata, maspesso può associarsi ai danni derivanti dalla coronaropa-tia, contribuendo a determinare un danno miocardico conuna prognosi peggiore.

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Lo scompenso cardiaco si verifica, come definito da E.Braunwald nel lontano 1997, quando un’anomalia dellafunzione cardiaca fa sì che il cuore non sia in grado di pom-pare sangue in quantità sufficienti per soddisfare i bisognimetabolici dell’organismo o possa farlo solo a spese di unaumento della pressione di riempimento. L’incapacità delcuore a soddisfare i fabbisogni tessutali può essere dovutaa un riempimento inefficace e insufficiente e/o ad un’ano-mala contrazione e successivo svuotamento. Quindi unabassa gittata non è una semplice caratteristica dello scom-penso cardiaco, ma ne è una primaria anormalità fisiopato-logica.

L’insufficienza cardiaca diastolica è infatti caratterizzatada una normale frazione di eiezione, mentre quella sistoli-ca da una ridotta frazione di eiezione.

I criteri diagnostici per l’insufficienza cardiaca diastolicasono indicati nella figura.

Nell’ambito della valutazione non invasiva ha un ruoloparticolare il dosaggio plasmatico del BNP e NT-pro BNP:se, rispettivamente, > 400 pg/mL o > 2000pg/ml la dia-gnosi di scompenso cardiaco cronico è certa.

In tale ambito il ruolo dell’ecocardiografia riguarda lavalutazione sia della funzione sistolica che di quella diasto-lica.

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Associata e complementare alla valutazione della funzio-ne sistolica è quella della cinetica segmentaria delle varieporzioni parietali del ventricolo sinistro, con una scalanumerica applicata in differenti proiezioni di esame perogni singolo segmento.

Analogamente alla funzione sistolica, anche la funzionediastolica può essere accuratamente valutata con metodicaecocardiografica, ed essa è di fondamentale importanzanella maggior parte dei pazienti ambulatoriali diabetici, inquanto il diabete, l’ipertensione arteriosa, l’ipertrofia ven-tricolare sinistra, l’obesità e la cardiopatia ischemica sonotra le cause principali di scompenso diastolico.

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Nella popolazione generale, combinando la valutazionedi flusso transmitralico, basale e durante manovra diValsalva, con la flussimetria venosa polmonare ed ilDoppler tissutale anulare, considerando la volumetria atria-le sinistra, è possibile classificare correttamente la funzio-ne diastolica in un numero significativo di soggetti.

Nella figura della pagina successiva sono evidenziati ipattern principali identificabili, insieme alla risposte allemanovre di attivazione e alla loro evoluzione temporale.

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L’ecocardiografia rappresenta pertanto uno strumentoinsostituibile per la valutazione della funzione diastolica delventricolo sinistro. L’appropriatezza di prescrizione indicatadalla linee guida, prevede il suo utilizzo in pazienti consospetta insufficienza cardiaca diastolica (prima diagnosi),nel follow-up di pazienti con nota disfunzione diastolica euna modifica nelle condizioni cliniche o dell’obiettività clini-ca, nel follow-up del pazienti con nota disfunzione diastoli-ca e per il monitoraggio dell’efficacia del trattamento.

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Test da sforzo

L’esercizio può evidenziare anomalie cardiovascolari chepossono non essere evidenti a riposo, e può pertanto esse-re utilizzato per valutare l’adeguatezza della funzione car-diaca.

Gli esercizi utilizzabili come stressors cardiovascolaripossono essere:

- isometrico (statico)- isotonico (dinamico) - di resistenza (combinazione di isometrico e isotonico). L’esercizio isotonico viene definito come una contrazio-

ne muscolare che esita in un movimento, fornisce unsovraccarico di volume al ventricolo sinistro e la rispostaè funzione diretta delle dimensioni complessive dellamassa muscolare utilizzata e dell’intensità dell’eserciziostesso.

L’esercizio isometrico è costituito da uno sforzo che nongenera movimento, imponendo al ventricolo sinistro unsovraccarico che è più di pressione che di volume. La get-tata cardiaca non cresce come cresce nell’esercizio isotoni-co a causa dell’aumentata resistenza generata dai muscoliattivi al flusso ematico.

Lo sforzo di resistenza combina questi due fenomeni.

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Si può eseguire al cicloergometro (da preferire in perso-ne con difficoltà di equilibrio) o con treadmill test.

I protocolli includono una fase di riscaldamento a bassocarico, una fase di esercizio continuativo con carichi di lavo-ro crescenti di durata adeguata e costante, una fase didefaticamento al termine dell’esercizio ed una fase di recu-pero.

Tali procedure presentano dei vantaggi e delle limitazio-ni, entrambi ben conosciuti.

Le controindicazioni sono segnalate nella figura seguente:

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Nell’ECG da sforzo le modifiche di posizionamento deglielettrodi, ottimizzate per una resa migliore del tracciatodurante lo sforzo, possono simulare deviazione assialedestra, aumento dei voltaggi in sede inferiore con aspettitipo necrosi (Q) inferiore.

Pertanto queste derivazioni non possono essere utilizza-te come ECG diagnostico standard.

D’altra parte vi sono alcune situazioni in cui l’ECG non èchiaramente interpretabile:

Tutto ciò conduce al alcune limitazioni

Per interpretare un test da sforzo è necessaria una visio-ne d’insieme:1. Non utilizzare la frequenza cardiaca predetta come solo

criterio di stop e/o di adeguatezza dello sforzo2. Utilizzare la scala di Borg per valutare lo sforzo

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Riportare la capacità in METs e non in minuti, anche perparagonare protocolli diversi (METs: equivalente metaboli-co= consumo aerobico di O2 per “vivere”: 1MET=3.5mlO2/kg/min).

Gunnar Borg negli anni 50 mise a punto due diversescale la RPE e la CR10, la RPE (rating of perceived exertion)è la più utilizzata per la percezione soggettiva dello sforzo:15 numeri crescenti dal 6 al 20 messi in relazione con valo-ri di frequenza cardiaca. In teoria 6 corrisponde a 60 b/mmentre 20 a 200 b/m; il valore 16 corrisponde all’ 85%della frequenza cardiaca massimale, alla quale normalmen-te si colloca la soglia anaerobica. 3. Valutare le alterazioni del tratto ST4. Valutare la curva pressoria 5. Stimare la capacità di fare sforzo (METs)6. Valutare il motivo di un test sottomassimale 7. Frequenza cardiaca

Insufficienza cronotropa (CR)Recupero di frequenza cardiaca (HRR)

8. Aritmie9. Sintomi

La capacità di fare uno sforzo espressa in METS ha valo-re prognostico. Essa è inversamente proporzionale alrischio relativo di morte in soggetti con vari fattori dirischio come i diabetici, i fumatori, gli obesi, gli ipertesi.Anche la presenza di battiti ectopici ventricolari durantesforzo ha un valore prognostico negativo. Inoltre è impor-tante valutare la rapidità del recupero, dopo la cessazionedell’esercizio, della pressione arteriosa e della frequenzacardiaca, perché questo dato correla con la prognosi e lamortalità.

Vi sono dei chiari elementi che indicano quando il testdeve essere interrotto. In particolare vi sono delle indica-zioni assolute

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e delle indicazioni relative

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Arteriopatia degli arti inferiori

Definizioni

L’arteriopatia obliterante degli arti inferiori può averediverse eziologie,ma la più comune è l’aterotrombosi chedetermina una alterazione della struttura e della funzionedelle arterie che irrorano gli arti inferiori.

L’espressione “arteriopatia obliterante degli arti inferiori”sarà quindi utilizzata come equivalente di patologia atero-sclerotica. Seguiranno indicazioni pratiche relative alloscreening e alla diagnostica, con particolare riferimento allemetodiche ultrasoniche. Le indicazioni allo screening per ilpaziente diabetico asintomatico sono codificale dalle lineeguida, mentre il percorso diagnostico dei pazienti sintoma-tici per arteriopatia non differisce in relazione alla presen-za o meno di diabete.

Stadiazione clinica

La classificazione più comune è quella di Leriche eFontaine, sotto riportata.

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Epidemiologia

L’arteriopatia obliterante degli arti inferiori rientra tra lepiù comuni complicanze macrovascolari nel paziente diabe-tico. La sua presenza si associa ad un incremento del rischiovascolare pluridistrettuale ( coronarico e cerebrovascolare)e ad un aumento della mortalità per cause vascolari.

La letteratura e le linee guida hanno consentito di defi-nire in maniera abbastanza precisa il profilo del paziente arischio di arteriopatia obliterante, il che rende tale sottopo-polazione ben identificabile per poter essere sottoposta aesami di screening.

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Tra i fattori di rischio vascolare per arteriopatia oblite-rante, citati nello schema qui sopra, il fumo di sigarettarappresenta uno dei più importanti fattori eziologici,aumentando il rischio di arteriopatia obliterante di 2-6volte.

Il diabete rappresenta un altro fattore di rischio rilevan-te, incrementando la prevalenza di arteriopatia obliterantedi 2-4 volte. Inoltre nel Framingham Heart Study, il diabe-te ha mostrato di aumentare il rischio di claudicatio inter-mittens di 3.5 volte negli uomini e 8.6 volte nelle donne. Ilrischio è inoltre proporzionale alla severità e alla durata deldiabete.

L’arteriopatia obliterante cronica del paziente diabeticopresenta delle caratteristiche in larga parte differentirispetto a quella del non diabetico, sia in termini epidemio-logici che per la localizzazione preferenziale delle lesionivascolari. Una sintesi schematica di tali caratteristiche edifferenze è esposta nella figura successiva.

L’identificazione di una arteriopatia obliterante a caricodegli arti inferiori è di per sé una indicazione stringente aricercare altre localizzazioni della patologia aterosclerotica

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negli altri distretti vascolari, come quello coronarico e quel-lo carotideo-intracranico, oltre che a livello addominale, aprescindere dalla sintomaticità o meno di tale interessa-mento, come indica lo studio REACH7.

L’associazione con le altre localizzazioni della patologiaaterosclerotica è indicata nella figura della pagina successi-va e rappresenta un elemento determinante per definire ilrischio vascolare globale del paziente, premessa necessariaper impostare il trattamento e il follow-up individualizzati.

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Storia Naturale

La storia naturale del paziente con arteriopatia oblite-rante è caratterizzata da due elementi: un aumento delrischio cardio-e cerebrovascolare (outcome globale, com-prensivo di mortalità e morbilità generali e vascolari) e ildestino dell’arto o degli arti interessati. In particolare neipazienti diabetici, la progressione della malattia che ha uncarattere di maggiore gravità, si associa ad un maggiortasso di amputazioni.

Pertanto tutti gli studi sull’andamento dell’arteriopatiaobliterante considerano entrambi questi elementi, perché ilsecondo ha una sua ricaduta notevolissima sulla disabilitàe quindi sulla qualità di vita del paziente.

Nello schema successivo8 sono esemplificati questiaspetti.

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Diagnosi - Screening

La valutazione del paziente, per escludere o confermarela presenza di una arteriopatia obliterante, prevede un per-corso di tipo clinico-strumentale, in cui la prima tappa èsenz’altro l’esame clinico (anche nel paziente asintomati-co). Lo screening strumentale si avvale della metodicaultrasonica in una sua applicazione peculiare ed accessibileanche all’operatore senza esperienza in ambito ecografico.Stiamo parlando della determinazione dell’indice ABI(Ankle-Brachial Pressure Index), di facile esecuzione dopoadeguato training. Solo successivamente a tale determina-zione, e in relazione ad essa, sarà possibile proseguire nelpercorso con una diagnostica ultrasonografica di secondolivello, cioè un Eco Color Doppler delle arterie degli artiinferiori e dell’asse aorto-iliaco.

Tutte le linee guida relative alla gestione del pazientediabetico e quelle relative al management dell’arteriopatiaobliterante degli arti inferiori (American Heart Association2006, TASC II) danno indicazioni concordi relativamente atale percorso, che rappresenta la metodologia di screeningda effettuare annualmente nel paziente asintomatico.

Il percorso diagnostico del paziente sintomatico perclaudicatio o per dolore a riposo o con lesioni trofiche, nondifferisce in relazione alla presenza o meno di diabete. Inquesta breve trattazione sarà preso in considerazione nellospecifico il percorso di screening e sarà descritta la moda-lità di esecuzione dell’ABI e il suo significato nell’ambito delpercorso segnalato.

La prima tappa dello screening è sempre quella anam-nestica, seguita dall’esame obiettivo, come sottolineatodalle linee guida:

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Sono così identificati i soggetti da sottoporre a screeninge le sue modalità al fine di identificare precocemente talepatologia ,quando ancora in fase pre-sintomatica.

In tale ottica le raccomandazioni delle linee guida sonoconcordi nell’indicare nell’ambito dello screening, la misu-razione dell’ABI immediatamente successivo all’anamnesi eall’esame obiettivo.

Le adeguate misure terapeutiche mirano a ridurre ilrischio vascolare globale, mentre l’esecuzione a completa-mento di indagini diagnostiche mirano ad identificare l’inte-ressamento di altri distretti vascolari.

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Proseguendo con le raccomandazioni, sempre in relazio-ne al soggetto asintomatico, le linee guida definiscono inmaniera chiara le procedure da applicare ai soggetti cherientrano nel sottogruppo a rischio di arteriopatia obliteran-te, in relazione al risultato dell’ABI.

Le linee guida indicano che anche nel soggetto sintoma-tico con sospetto di arteriopatia obliterante (classe IIa e bdi Fontaine e Leriche) si deve seguire l’iter diagnostico cheprevede anamnesi, esame obiettivo e determinazionedell’ABI come momenti iniziali e imprescindibili per la deci-sione del successivo percorso.

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ABI

La misurazione dell’ABI, cioè il rapporto della pressionesistolica tra l’arteria tibiale anteriore-posteriore alla cavigliae l’arteria brachiale , rappresenta uno strumento di scree-ning irrinunciabile per la presenza di arteriopatia obliteran-te, come sottolineano le raccomandazioni delle linee guidainternazionali.

Le sue caratteristiche operative sono tali da non rende-re necessaria una particolare esperienza nell’uso dellemetodiche ecografiche e può essere effettuato sia da medi-ci che da infermieri e/o tecnici, dopo adeguata formazionee training.

Anche l’ABI, come l’IMT, è stato utilizzato in letteraturacome marcatore di patologia aterosclerotica.Analogamente la sua associazione con un incremento delrischio di mortalità per cause vascolari, trova facilmentespiegazione nella multidistrettualità della patologia atero-trombotica.

Per poter effettuare correttamente la misura dell’ABI visono alcune dotazioni tecniche di minima .

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Le tappe successive e i criteri interpretativi delle misureottenute ai due arti, in relazione anche alla situazione e allecomorbidità del paziente, sono illustrate di seguito.

ABI STEP BY STEP

Step 1: applicare la cuffia da sfigmomanometro di tagliaappropriate sopra il gomito (una misurazione per cia-scun braccio)

Step 2: applicare del gel per ecografia sulla superficie cuta-nea in corrispondenza della sede di decorso dell’a. bra-chiale

Step 3: accendere l’apparecchio Doppler e posizionare iltrasduttore sulla superficie cutanea con un angolo di 45-60°, puntando verso la spalla

Step 4: muovere lentamente il trasduttore secondo variedirettrici fino a udire il segnale arterioso più chiaro

Step 5: gonfiare il bracciale fino a circa 20 mmHg sopra ilpunto in cui non sono più udibili i suoni sistolici

Step 6: sgonfiare gradualmente il bracciale fino al ritornodel segnale arterioso

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Step 7: registrare la lettura pressoria

Step 8: ripetere la stessa procedura per l’a. tibiale poste-riore destra e sinistra e l’a. dorsale del piede destra esinistra, posizionando il trasduttore in corrispondenzadella zona retromalleolare interna e del dorso del piede,angolandolo a circa 45°

Il rapporto fra la più alta pressione brachiale e la più altapressione alla caviglia di ciascun arto costituisce l’ABI:

L’interpretazione del valore ottenuto può essere effet-tuata sulla base della seguente scala.

La sensibilità e la specificità dell’ABI per una diagnosi diarteriopatia sono rispettivamente 95% e 99%; si trattapertanto di uno strumento che è in grado di formulare ladiagnosi di arteriopatia obliterante nella popolazione a

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rischio e di qualificare adeguatamente il rischio cardiova-scolare del paziente. Il reperto di un risultato anormaledella misurazione dell’ABI indica che occorre seguire il per-corso diagnostico per l’arteriopatia obliterante con un ecocolor doppler completo dell’asse arterioso degli arti inferio-ri e del distretto aorto-iliaco.

La misurazione dell’ABI, presenta però alcune limitazio-ni intrinseche, legate per lo più alle caratteristiche del sin-golo paziente, che ne rendono in alcuni casi meno affidabi-le il risultato e la sua interpretazione.

Quando sono presenti circostanze come un’elevatarigidità parietale con scarsa compressibilità vasale èopportuno integrare l’esame utilizzando altri strumenti,come la pletismografia e la misura del toe-brachial insex,che presenta però caratteristiche di minore diffusionenella pratica clinica routinaria, rendendo spesso necessa-ria, oltre che più agevole, l’esecuzione di un eco colordoppler.

Il riscontro di un valore di ABI ridotto (< 0.9) ha diffe-renti risvolti, alcuni dei quali sono indicati nella figura chesegue.

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Da ciò derivano le raccomandazioni delle linee guidainternazionali, che concordano sostanzialmente con quellegià enunciate dell’AHA circa l’uso dell’ABI.

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Analogamente, nei casi in cui sia necessario misurarel’ABI dopo esercizio fisico, viene accuratamente definito iltipo di esercizio.

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Eco Color Doppler TSAElementi irrinunciabili

Fig 1. Proposta di refertazione dei TSA

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Per i criteri di grading della stenosi carotidea vedi relati-vo capitolo.

• Profilo di parete (IMT)• Localizzazione della placca• Caratterizzazione della placca

(Ecogenicità, Superficie)• Valutazione della stenosi e metodo

di valutazione (NASCET, ECST)• Angolo di incidenza • Indicazione del PSV – PDV

Carotide dx Carotide Sx

I.M.T. max CCA distale

Superficie

Ecogenicità

Diametro dell'ulcera

Localizzazione

Percentuale Stenosi Sez. Long.

Percentuale Stenosi Sez. Trasv.

PSV sulla stenosi (cm/sec)

EDV sulla stenosi (cm/sec)

Valore dell’angolo

Inversione anat. ICA/ECA

ICA valutabile per cm

Corretta refertazione di un esameultrasonografico

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Eco Color Doppler Arterioso Arti InferioriElementi irrinunciabili

Fig 2. Proposta di refertazione arti inferiori

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• Pervietà dell’asse arterioso• Presenza di ateromi e localizzazione • Stenosi emodinamiche• Occlusione (sede ed estensione)• Attivazione dei compensi• Ricanalizzazione• Aneurismi (sede, dimensione, trombosi

parietale)

Asse femoro- Asse femoro-Popliteo tibiale dx Popliteo tibiale Sx

Pervietà

Ateromatosi (ecogenicità)

Ateromatosi (sede)

Stenosi emodinamiche

Occlusione (sede)

Occlusione (lunghezza)

Attivazione dei compensi

Ricanalizzazione (sede)

Aneurisma (sede e dimensioni)

Aneurisma (parete)

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APPENDICEStandard italiani per la cura

del diabete mellito 2007

SCREENINGTutte le persone con diabete, indipendentemente dal livel-lo di rischio, devono eseguire annualmente:– esame dei polsi periferici e ricerca di soffi vascolari;– ECG basale;R A C C O M A N DA Z I O N I– determinazione dell’indice di Winsor (se normale puòessere rivalutato a distanza di 3-5 anni).(Livello della prova VI, Forza della raccomandazioneB)Nei diabetici con rischio cardiovascolare elevato è utileeseguire anche i seguenti esami strumentali (da ripetersiogni 1-3 anni, a seconda dei risultati ottenuti):– ecocolordoppler carotideo;– ecocolordoppler degli arti inferiori (se indice di Winsor

<0,9 o arterie incompressibili);– test provocativi di ischemia (ECG da sforzo o scintigra-

fia/ecografia da stress)(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)

CURA DEL PIEDEScreening e prevenzioneTutti i pazienti con diabete mellito devono essere sottopo-sti a un esame completo del piede almeno una voltaall’anno. L’ispezione dei piedi nei pazienti a elevatorischio, invece, deve essere effettuata a ogni visita. (Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B) Pa

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Al momento dello screening devono essere individuati ifattori di rischio per il piede diabetico. Il controllo succes-sivo può essere programmato in base al rischio o alla pre-senza di lesioni.(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)A tutti i diabetici deve essere garantito un programmaeducativo sul piede diabetico.(Livello della prova I, Forza della raccomandazio-ne A)Un team per la cura del piede diabetico dovrebbe include-re medici specializzati nella cura del piede diabetico, per-sonale con competenze in campo educativo e personaleaddestrato per la cura del piede diabetico (podologi e/oinfermieri addestrati).(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)È necessario prestare particolare attenzione ai soggettianziani (età >70 anni), specialmente se vivono soli, sehanno una lunga durata di malattia, problemi visivi edeconomici, in quanto a maggior rischio di lesioni al piede.(Livello della prova III, Forza della raccomandazio-ne B)È necessario organizzare percorsi assistenziali specifici perla gestione del piede diabetico nei diabetici che vivono instrutture di cura particolari (lungodegenze) o che seguonoun programma di cure domiciliari.(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)Ai pazienti con piede a rischio di lesioni devono essereprescritte calzature di qualità e plantari per ridurre i picchidi pressione a livello della superficie plantare del piede.(Livello della prova II, Forza della raccomandazio-ne B)Modalità della visitaL’esame del piede deve includere la valutazione anamne-stica di pregresse ulcere e amputazioni, l’ispezione, la pal-pazione, la valutazione della percezione della pressione(con il monofilamento di Semmes-Weinstein da 10 g) e

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della vibrazione (con diapason 128-Hz o con il biotesiome-tro).(Livello della prova I, Forza della raccomandazio-ne A)Lo screening per l’arteriopatia periferica dovrebbe preve-dere la valutazione della presenza di claudicatio, la rileva-zione dei polsi pedidii e la misurazione dell’indice cavi-glia/braccio (ABI).(Livello della prova III, Forza della raccomandazio-ne B)TrattamentoNei diabetici ad alto rischio, specie se con ulcere in atto opregresse, è necessario un approccio multidisciplinare.(Livello della prova I, Forza della raccomandazio-ne A)L’organizzazione dell’assistenza ai pazienti con una lesionedel piede dovrebbe essere strutturata su tre livelli: 1° livello (screening e diagnosi); 2° livello (medicazioni, piccola chirurgia, scarico dellelesioni neuropatiche plantari); 3° livello (procedure di rivascolarizzazione distali, chirurgi-che ed endoluminali, interventi di chirurgia ortopedica, siadi urgenza che di elezione).(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)È indicato il ricorso al ricovero ospedaliero urgente in tuttii pazienti che presentino uno dei seguenti quadri clinici:– ischemia critica;– infezione grave.(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)Entro 24 ore dalla evidenza di ulcera o infezione a caricodel piede è utile richiedere la consulenza di un team mul-tidisciplinare esperto nella cura del piede, al fine di mette-re in atto le seguenti azioni:– trattamento in urgenza delle infezioni severe (flemmo-

ne, gangrena, fascite necrotizzante)– appropriata gestione dell’ulcera, sbrigliamento, tratta-

mento chirurgico dell’osteomielite, medicazione;

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– avvio della terapia antibiotica sistemica (spesso di lungadurata) per le celluliti o le infezioni ossee;

– scarico delle lesioni;– studio e trattamento dell’insufficienza arteriosa;– studio radiologico (tradizionale e RMN), eventuale biop-

sia ossea in caso di sospetta osteomielite,– ottimizzazione del compenso glicemico.(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)Il paziente vasculopatico con ulcera deve essere indirizza-to a procedure di rivascolarizzazione distali chirurgiche edendoluminali, sia di urgenza, sia di elezione. (Livello della prova III, Forza della raccomandazio-ne B)Nel trattamento dell’ulcera neuropatica plantare, in assen-za di ischemia (TcPO2 >30 mmHg), è indicato l’uso di unapparecchio deambulatorio di scarico in gesso o fibra divetro. (Livello della prova II, Forza della raccomandazio-ne B)Nella fase acuta del piede di Charcot, in attesa della suarisoluzione e al fine di evitare le deformità, è indicato l’im-piego di un tutore rigido associato allo scarico assoluto delpiede per un periodo variabile da tre a sei mesi. (Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)Non ricorrere all’amputazione maggiore sino a che non siastata effettuata una dettagliata valutazione vascolare e siapresente una o più delle seguenti condizioni:– un dolore ischemico a riposo che non possa essere

gestito con analgesici o ricorrendo alla rivascolarizzazio-ne;

– un’infezione che metta in pericolo di vita e che nonpossa essere trattata in altro modo;

– un’ulcera che non tenda a guarire e che sia accompa-gnata da un disagio più grave di quello conseguente adun’amputazione.

(Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)

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L’ossigenoterapia iperbarica sistemica è indicata per il sal-vataggio d’arto nel trattamento delle gravi infezioni.(Livello della prova III, Forza della raccomandazio-ne C)La VAC (vacuum-assisted closure) terapia è indicata neltrattamento delle ulcere diabetiche non vascolari.(Livello della prova II, Forza della raccomandazio-ne B)Gli innesti autologhi di colture cellulari riducono i tempi diguarigione delle ulcere neuropatiche, specie se localizzatein sede dorsale. (Livello della prova II, Forza della raccomandazioneB)Nei pazienti con pregressa ulcera è indicata la prescrizionedi ortesi (calzature idonee e plantari su misura) per la pre-venzione delle recidive. (Livello della prova VI, Forza della raccomandazio-ne B)

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Abbreviazioni

ABI : Ankle Brachial Pressure Index o indice caviglia-braccio o indice di Winsor

AFC : Arteria femorale comuneAFS : Arteria femorale superficialAP : Arteria popliteaATA : Arteria tibiale anterioreATP : Arteria tibiale posterioreCEMRA: Contrast Enhanced MRACTA : AngioTCDSA : Angiografia DigitalizzataLDF : Flussimetria Laser Doppler FluxmetryCM : Microscopia capillareIMT : Intima Media Thickness, ovvero spessore medio-

intimaleCLI : Ischemia Critica di un arto Mdc : Mezzo di contrastoMRA : AngioRMNNT : Number Needed to TreatNPV : Negative Predictive ValuePAD : Parent artery disease (in ambito cerebrovascola-

re)PAD : Arteriopatia periferica (in ambito di arti inferiori e

superiori)PPV : Positive Predictive ValuePTA : Angioplastica transluminale percutaneaTCCD : Eco Color Doppler TranscranicoTIA : Attacco Ischemico TransitorioTSA : Tronchi SopraAortici

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Letture consigliate

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LETTURE CONSIGLIATEPa

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