pata magazine - feb 09

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FEBBRAIO 09 MAGAZINE

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February issue.

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Page 1: Pata Magazine - Feb 09

FEBBRAIO 09MAGAZINE

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4 CEAL FLOYERROBERTO MARONE

8 FORSE ABBIAMO ESAGERATOSANIA PUPOVAC

9 ARCANGELO SASSOLINOROBERTO MARONE

13 DESIGN DEL LUSSOISANJA PUPOVAC

14 COINCIDENZA D'IMMAGINELUCA SPAGNOLO

15 LA PILLOLA DEL GIORNO D'OGGISANJA PUPOVAC

17 VISIONAIRE 55 SURPRISESANJA PUPOVAC

18 ELMGREEN & DRAGSET IGNAZIO LUCENTI

22 YOKO ONO 4SANJA PUOPOVAC

24 STUPIDI ROMANTICONILUCA SPAGNOLO

26 YAMAMOTO DI BIANCO VESTITO DALIA GREPPI

27 PAROLE PAROLE PAROLE

IN QUESTO NUMERO

ROBERTO MARONE

28 MUSEO DI TAPPETI DI TEHERANSANJA PUPOVAC

30 SIMMETRIA ANIMALESANJA PUPOVAC

31 THOMAS RASCHKEIGNAZIO LUCENTI

36 ALTARI MESSICANIROBERTO MARONE E SANJA PUPOVAC

38 BAS JAN ADERLUCA SPAGNOLO

40 KORNER UNIONLUCA SPAGNOLO

43 MARK KHAISMAN SANJA PUPOVAC

44 ODOARDO FIORAVANTI @ DESIGN LIBRARYROBERTO MARONE

48 UNDER DISCUSSION ROBERTO MARONE

49 RUNE GUNURIUSSEN IGNAZIO LUCENTI

52 GUIXE' - MUNARI

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Ceal Floyer, dicono, è un’ar-tista che gioca con il senso degli oggetti nella perce-zione, nei luoghi comuni, e nella psicologia dello spet-tatore. Smonta e rimonta topos antropologici del buonsenso collettivo, dal tra-pano agli uccelli. Li rimette in piedi come dei rebus ai quali dare una nuova possibilità, dopo una piccola smorfia di stupore, e di formidabile leg-gerezza.Gli stormi finiscono appicci-cati o schiantati alla finestra da cui si guarda il cielo, le luci proiettano lampadine (ossimoro), mentre un cieco vede bianco e due fiam-melle ballano fuori ritmo una musica improponibile.

Una specie di pallina da flip-per che di link in link dise-gna traiettorie intellettuali no viste: una di quelle teste, forse, che se si fermasse per un secondo non riuscirebbe più a trovare il bandolo della matassa. Che sia una di quelle arti-ste che vale la pena guar-dare non c’è dubbio, che sia il talento che dicono è ancora tutto da vedere. Quello che mi è successo, andando a vedere questa sua mini antologica al Madre di Napoli, è la stessa sen-sazione che spesso si vive vedendo gli artisti anglosas-soni, ovvero la sapienza di cogliere un raffinato approc-cio all’arte contemporanea

dal quale, però, non trapela nessuna poesia. Fini e abili chirughi del linguaggio arti-stico senza fascino, senza carisma, senza empatia. Come una bellissima donna dalla quale non trapela nes-sun erotismo. A Napoli, visto che siamo in tema, si dice “E’ bell ma nun abball”.

CEAL FLOYERROBERTO MARONE

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FORSE ABBIAMO ESAGERATOSANJA PUPOVAC

Chi ha gonfiato il valore delle icone del design fino a renderle inaccessibili?

Mark Wentzel, XLounge, Eames Chair, leather and foam

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Arcangelo Sassolino usa la grammatica dell'energia. Ma non l'energia nel senso new age, proprio l'energia quella fisica, meccanica. Comprime, schiaccia, taglia, riga, segna, preme, gonfia, esplode, appende e sforza. Come esperimenti di un laboratorio universi-tario ottocentesco, fatto di macchinari e numeri, presse e dati.Sassolino poi espone sia il lavorio in initinere di questi esercizi, il metodo diciamo, sia forse in modo più enig-matico il risultato, o la

ARCANGELO SASSOLINOROBERTO MARONE

risultante, come dicono gli scienziati. Sostanzialmente in questi lavori c'è qualcosa che va oltre la pur bella curiosità nel vedere cosa succede alla materia al suo limite, ovvero il racconto secco e duro di quello spazio istin-tuale che sta fra l'azione e la reazione. L'atto di.

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"Un manifesto che consente il lusso

dell'immaginazione."

DESIGN DEL LUSSO

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Di Penone abbiamo già par-lato più e più volte, sempre bene, benissimo, elogiando il suo lavoro, il suo pensiero e le sue opere. E questa volta non possiamo che continuare a ricordare la grandezza dell'Artista, pre-sentandovi questo lavoro del 1972, poco conosciuto ai più, Coincidenza d'imma-gine, una serie di calchi in gesso di frammenti di corpo umano, sui quali viene pro-

iettata la loro vera immagine che diventa inevitabilmente una texture naturale.E' un vero peccato che di Penone vengano fatte vedere sempre le stesse opere, quando in realtà ci sono molti altri lavori che potrebbero solamente far-celo apprezzare di più, e questo qui ne è una prova evidente.

LUCA SPAGNOLO

COINCIDENZA D'IMMAGINE

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LA PILLOLA DEL GIORNO DOPOSANJA PUPOVAC

Keep your rosaries out of our ovaries, Bethany Johns USA 1991-92

Gli altri paesi lo fanno già e ora anche in Italia dopo 832 secoli e più o meno 2 pre-sidenti, certi errori si potranno correggere il giorno dopo. Meglio tardi che mai.

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VISIONAIRE 55 SURPRISE SANJA PUPOVAC

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ELMGREEN & DRAGSET

Michael Elmgreen & Ingar Dragset, coppia nel lavoro e nella vita, con la serie di installazioni catalogate e numerate come power-less structures agiscono soprattutto sulla perce-zione dello spazio.Le strutture del titolo, svuotate della loro potenza, diventano vul-nerabili all’azione dei due artisti. Lo spazio fisico si arrende alla sua perce-zione e alla sua rappre-sentazione.

In questo modo è pos-sibile curvare soffitto e pavimento di una galle-ria come se fosse una sua immagine virtuale, è possibile assumere degli imbianchini che per setti-mane rinnovano continua-mente lo spazio scenico, facendo diventare evento quella che di solito è l’at-tività di manutenzione tra due mostre. Le mura di una stanza, senza potenza, si lasciano scardinare, cedono, tra-

IGNAZIO LUCENTI

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dendo la banale normalità degli angoli retti. La gravità, per una struttura senza potenza non è più un limite, può rimanere sospesa, semplicemente aggrap-pata a due palloncini. Un edificio può farsi fluido e penetrare improvvisamente nel terreno. Una serie di porte perdono di vista la loro funzionalità, si mettono a sognare di realtà impossibili e giocose, su cui s’innestano, moltipli-candosi, nuove possibilità.La messa in atto di pic-cole o grandi trasgressioni, all’interno o nell’intorno dello spazio espositivo, con tutte implicazioni che esso sottende, suggerisce per i loro progetti una let-tura impegnata.Sono questi tutti interventi che, andando al di là della semplice ricerca di un risul-tato spettacolare, riman-dano alle strutture più pro-fonde del pensiero e della società. Parlano di vincoli e della loro rottura, mostrano la possibilità di spezzare limitazioni austere e appa-rentemente funzionali, rap-presentano insomma un continuo inno al cambia-mento e alla libertà, con tutte le implicazioni morali, sociali, politiche e sessuali che questo comporta.

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Questa perpetua oscillazione, tra destra e sinistra, tra bello e ridicolo, tra serio e ludico, tra poesia e stupidità, è da sempre quella che meglio incarna lo spirito dell'arte. Dalì scrisse, “È attraverso il culo che i più grandi misteri della vita possono essere conosciuti”.

YOKO ONO

SANJA PUPOVAC

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STUPIDI ROMANTICONILUCA SPAGNOLO

Non mi interessa sapere se il writing sia arte o meno, so solo che di tutte le storie dei recenti movimenti artistici quella del writing è tra le mie preferite per quell'aura di romanticismo che la avvolge.I treni, i treni su tutto. Ragazzini negli anni '70 che vedevano i loro nomi pas-sare sopra le teste e i corpi della città, ma dieci volte più veloci.E in quel momento si sen-tivano re, non avrebbero desiderato niente di più.Solo il loro nome scritto

come hanno imparato a scuola, con caratteri sem-plicissmi, senza troppe pretese, solo il segno della propria presenza.Dalla stazione degradata del Bronx fino alla società più perbenista e sicura-mente più abbiente di Man-hattan (dove il tutto è nato).Poi tutto prende la piega che l'evoluzione detta, le lettere iniziano a prendere forme diverse dal solito, i primi riccioli, le prime frecce, la corona, i numeri scritti in romano, qualcuno ci aggiunge la faccina di

un coniglietto, si creano le prime crew (e tutto ora sembra così ovvio e logico, ma considerate che prima d'allora tutto ciò non esi-steva).E' grazie a gente come Taki 183, Phase 2, Lee 163D!, CoCo 144, Spon, The II Crusher, Volcon, Duke e cento altri che oggi esiste il writing per come lo cono-sciamo.Passare dalla semplice firma, al pezzo con le let-tere arrotondate, con l'om-bretta, gli spessori, non è un passo semplice, è forse

solo la naturale conse-guenza, ma in quegli anni quei ragazzini, perchè non avevano più di 18 anni, hanno messo i loro sogni sul treno e li hanno fatti sfilare per la città. E' una cosa che ti fa stare bene anche quando sei sdraiato nel letto e sai che da qual-che parte qualcuno ti sta vedendo passare. Questo si che mi interessa.

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YAMAMOTO DI BIANCO VESTITODALIA GREPPI

Uno scrigno di carta. Uno spazio invaso da bianco, silenzio e leggerezza. Nel cuore della Parigi ‘Couture', troppo spesso bling-bling (come usano dire i francesi), finalmente uno spazio inte-ressante: un negozio intimo e discreto (nonché sorpren-dente), che si priva delle vetrine lasciandosi rive-stire di shojigami, immensi origami di carta (shoji, appunto): leggera e sottile architettura che filtra la luce e lo sguardo. All'interno, tutto è candore e silenzio: solo cinque figure, colo-rate e scultoree creazioni, ci accolgono levitando in un dondolio accentuato dalla luce che le disegna,

avvolgendole. Uniche note di colore in una sinfonia di soli bianchi. Infine, una scala sinuosa scivola su e giù, dischiudendo davanti agli occhi la vera ragion d'essere di questo spazio onirico. Sopra e sotto ci si allontana dalla raffinata poesia architettonica del piano terra, ma in fondo, fa parte del gioco.

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PAROLE, PAROLE PAROLE...ROBERTO MARONE

EDITORIALE

Non so se sia una mia fis-sazione, ma la parola “reto-rica”, che per secoli è stata una parola il cui significato era qualcosa di nobile, è diventata col tempo un termine svilente. Come se oramai sentiamo puzza di eccesso, e bolliamo come retorico, qualsiasi espres-sione comunicativa nella quale vediamo uno strasbor-dare di significato. Qualsiasi discorso nel cui linguaggio ci sembra scorgere un uso spropositato e gratuito di elementi ipersignificanti. Parole, parole, parole, sol-tanto parole...diceva Mina

ad Alberto Lupo.Ci sembra falso, vacuo, e poco autentico, lucido ma triste come una decorazione natalizia, sotto la quale la retorica nasconde conte-nuti facilotti, a basso prezzo. Scontato, in tutti e due i sensi.Nel mondo delle imma-gini, ovvio, la faccenda è più complessa. Nel senso che l’alfabeto visivo per sua natura si compone di parole meno riconoscibili come retoriche, meno decifrabili. Eppure, alla fine, succede che vedi Alfredo Jaar, ed è più o meno la stessa sensa-zione di sentir parlare Rosy Bindi.Non è un caso infatti che la stragrande maggioranza di campioni di retoricismo lavorano in quei territori cul-turali limitrofi alla comunica-zione pret a porter. Il sociale, l’ambiente, il sentimentale, lo spirituale, nei quali finirci è un attimo.

Oppure, più sottilmente, può essere retorico anche l’uso di elementi visivi a cui nel tempo abbiamo finito per dare troppa importanza (il quadrato, tanto per fare un esempio). E finisce a volte persino per esserlo l’approccio, se ha nel suo Dna un eccesso di citazio-nismo ( Chia o Cuoghi, per dire).In definitiva, forse, tendiamo sempre più a storcere il naso davanti a un uso gratuito di elementi a cui non siamo più in grado di affidare un senso, ritraendoci in un desiderio di puntualità senza il quale ci è difficile riconoscere qual-cosa di autentico. Forse non è nemmeno un problema di asciuttezza, silenzio, o rigore (altrimenti non andremmo tutti pazzi per Cattelan o Eliasson), perché probabil-mente non vogliamo nem-meno sentire parlare piano, ma semplicemente sentir parlare meno.

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MUSEO DI TEHERANSANJA PUPOVAC

Nel 1976 a Tehran, Farah Diba Pahlavi, l'ultima regina dell'Iran, disegna un Museo di Tappeti. Il museo ospita tappeti persiani datati dal XVIIIesimo secolo al giorno d'oggi. L'allestimento anche è di quegli anni lì, ormai consumato e triste. Ma anche le ragazze all'in-gresso sono di quegli anni lì, anche loro fin troppo tristi. Ci sono (solo) i tappeti, per la maggiorparte appesi come finestre. Ogni tap-peto diventa un esercizio,

una fatica immane, un ten-tativo di ricostruire un luogo che avrebbe potuto ispirare i maestri a disegnare situa-zioni idiliache, un luogo così distante da quello che oggi è l'Iran. Finisci per chiederti, come mai non hanno cen-surato tutta quella bellezza.

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SIMMETRIA ANIMALESANJA PUPOVAC

I polipi presentano simmetria radiale. La simmetria animale è una caratteristica comune a tutti gli eumetazoi. Questi esseri viventi sono infatti caratterizzati da particolari proprietà di simmetria.Animali organizzati su più piani di simmetria, i radiati, comprendono due soli phyla: cnidari e ctenofori, dal corpo divisibile da diversi piani che si intersecano in un asse verticale passante per la bocca detto asse di simmetria attorno al quale ruotano le varie sezioni del corpo (antimeri). Il corpo, quindi, è come se si irradiasse da quest'asse centrale ed è in grado di rispondere in egual modo agli stimoli provenienti da qualsiasi direzione.

Ci voleva una spiegazione biologica per giustificare una bellezza come questa; un lampadario di vetro a forma di polipo si trova al museo oceonografico di Monaco.

Lampadario vetro - Constant Roux (Oceanographic museum of Monaco)

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THOMAS RASCHKEIGNAZIO LUCENTI

Thomas Raschke da anni realizza riproduzioni di oggetti quotidiani (pentole, sedie, tavoli, ecc.) come se fossero wireframe generati da un programma di model-lazione 3D. In questa semplice inven-zione stilistica si cela una riflessione insieme com-plessa e profonda sul dise-gno e in generale sulla rap-presentazione.

Ogni opera di Raschke è un piccolo saggio in forma di scultura sul rapporto tra mondo fisico e immagine, o per dirla con Maldonado tra "reale e virtuale ", sul processo semiotico di rico-noscimento delle icone,

sulla psicologia della per-cezione e sulla virtualità. In quell'insieme sintetico di linee fatte di fil-di-ferro si può leggere la storia di tutte le astrazioni che sono state messe a punto dall'Uomo per modellare la realtà e che alcuni fanno coincidere con lo stesso processo di ominazione. La produzione d'immagini, che è più o meno la prima invenzione tecnologica umana, infatti, è passata attraverso una serie di scoperte e di astra-zioni logiche successive che ne hanno perfezionato le caratteristiche, anticipando e promuovendo il progresso tecnico e scientifico. Dap-prima si è trattato di stabi-

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lire la connessione tra un oggetto reale e un pigmento steso su una superficie bidi-mensionale, in seguito si è resa necessaria l'invenzione dei bordi per separare le figure dallo sfondo, e infine è nata la prospettiva, vera e propria invenzione fondante dell'epoca moderna, nel fornire un mezzo straordi-nario per capire il mondo e per ri-progettarlo.Raschke ripercorrendo tutto questo, produce oggetti riconoscibili che non hanno superfici, che sono fatti di linee ma che sono situati nello spazio, che sono osservabili da tutte le direzioni ma il cui volume è quasi interamente vuoto. C'è nei suoi lavori, una ricerca di essenzialità o per così dire di economia della rappresentazione, qual è la minima quantità di linee per descrivere un oggetto nello spazio? Quanti cerchi occorrono per tracciare una sfera? Due? Quattro? Qua-ranta?

Il processo di realizzazione da questo punto di vista è significativo. Raschke non si affida al computer, non riproduce sculture di modelli digitali esistenti, ma elabora ogni linea con cognizione, cercando sempre di otte-nere una rappresentazione esatta con il minimo numero di elementi, contando esclu-sivamente su osservazione e pensiero.

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Fiori fiori di carta bambole giocattoli carta da regalo por-tafoto pizzo vergini tessuti decorazioni barbie frutta frutta secca. Quattro secoli fa (60 anni dopo la conquista degli Spagnoli) arrivano in Messico dall'India i Gesuiti. Ci riman-gono per 200 anni e incluso nel "pacchetto religione" gli fanno trovare un po' di tutto,

PRESEPI MESSICANISANJA PUPOVAC & ROBERTO MARONE

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come la raffigurazione della madonna di carnagione scura (che non è poco).La Vergine di Gradalupe appare circondata da raggi di sole mentre indossa un abito rosso con riflessi dorati e un capo blu ricoperto di stelle. Come se non bastasse, ci aggiungono gli orientali raffigu-rando gesù bambino con line-

amenti asiatici, piccoli Buddha tra le mani della vergine! La cosa più bella, o forse più dolce, è che è arrivato in Ame-rica soloil tratto folcloristico, iconico, quasi decorativo, del presepe; ci èarrivato pulito e asciugato dalla retorica cri-stiana. Niente sofferenza, senso di colpa, sangue, lacrime, dolore, povertà, pietà

esensi di perdita vari, ma solo delle madonne addobbate a festa, felicie giocose, come un carnevale della nascita. Non so se questo significhiqual-cosa rispetto alle differenze di approcci alla trascendenza, ne saprei dire se sia l'emblema di una visione della nascita più gioiosa e deproblematiz-zata, certo è che un presepe

nostrano sta a questi alta-rini come un salice sta a una palma.

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BAS JAN ADERLUCA SPAGNOLO

CASSETTOAlcuni gioielli del passato da rispolverare

Al giorno di oggi vedere video come questi fa un effetto un po' strano. Un po' contaminati dai vari Jackass e i vari emu-latori con i loro i video che spopolano su youtube. Loro un po' come Jimmi Hendrix che spacca la chitarra solo così, per spaccarla, il nostro invece ha in mente qualcosa.Il suo corpo si lascia catturare dalla forza di gravità e la rende visibile ai nostri occhi, un po' come Munari e le forme rivelatrici d'aria, si lascia cadere subendo un'accelerazione di 9,81m/sq, e noi, numeri a parte lo notiamo; cosa che invece non facciamo quando vediamo una persona ferma con i piedi ben saldati a terra per quella stessa forza che ci governa.Ma che Bas Jan Ader sia altro rispetto agli odierni fenomeni da baraccone, pare essere cosa certa e ovvia, lui è vera-

mente interessato e romantico, lui si mette di fronte a una videocamera e piange, I'm too sad to tell you, prende una barca a vela grande come quelle che si usano per insegnare i principi della vela ai bambini e (non senza una certa espe-rienza nel campo) cerca di attraversare l'Atlantico in search of the miraculous senza lasciar più traccia di se, svanendo per sempre (1975). Il video, non è un originale di Jan Ader, ma di un utente di youtube che ha fatto un riassunto veloce, ma ben esplica-tivo delle sue opere.Nel novembre 2008 è uscito un dvd del documentario girato da Rene Daalder, Here is always somewhere else sulla vita e le opere di Jan Ader.

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CALEIDOSCOPIO DI KORNER UNION

Kalos+eidos+scopeo, dal greco, guardare una forma bella. Il caleidoscopio nasce nel 1816 con David Brew-ster, ma già conosciuto dai greci consiste solitamente in un tubo con degli specchi sul fondo, dei filtri e palline, perline che creano dei disegni sempre diversi all'interno. Su youtube ogni tanto salta fuori qualche video interes-sante, qui le palline sono state sostituite da animali. LUCA SPAGNOLO

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OSKA ARCHITECT, PRIMITIVO E/È MINIMALANDREA AZZARELLO

L’uomo primitivo inventò la ruota. L’uomo contempora-neo pensò bene di metterci il suo “compact chalet” sopra. Nel vecchio west, per esem-pio, sulle ruote avevano le carovane e tendevano a emi-grare in comitive ( appunto le carovane ) verso terreni piu’ fertili e climi miti, affinchè potessero raggiungere una condizione che gli permet-tesse di vivere.Nella moderna società, l’uomo sceglie dove posizio-nare la sua mini baita viag-giante in comune accordo con gli amici del “golf club”, pera-vere l’opportunita’ di occupare quel lembo di terra montano che altri non avevano ancora osato fendere. In questa biz-zarra panoramica dobbiamo riconoscere che in fondo c’è

un aspetto sia ludico che-romantico dietro al progetto degli OSKA Architects, ameri-cani di Seattle. Le loro Rolling Huts, sono un progetto sicu-ramente affascinante, basti pensare a quanti dei grandi architetti si siano cimentati nel tema dell’abitazione in con-testo montano. OSKA Archi-tects riescono a vaporizzare attorno al progetto quel pro-fumo di primitivo che forse si addice, e ci fa incontrare con la natura a meta’ strada. Apprez-zabile inoltre il nodo che unisce vetro e individualita’ del vivere al suo interno. Molta luce e allo stesso tempo la possibilita’di un’isolata riflessione o, perche’ no, un momento di introspe-zione personale che, forse, non appare poi cosi’ primitivo.

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Mark Khaisman dice di essere onorato e contento di vedere che la gente legga nella sua arte cose che non aveva inten-zioni di dire. Per Khaisman, il nastro adesivo da imballaggio contiene già in sè quello che

lui vuole rendere. Il medium è il messaggio e il soggetto diventa quasi insignificante.Per fare felice l'artista ukraino, io ci aggiungo altro, dico che sembra vetro, che sembra digitale, che sembra finto, che

sembra deridere l'architettura, che sembra decoro, che sem-bra non avere un messaggio se non quello del decoro e in ogni caso gli va bene, perchè in ogni caso funziona.

MARK KHAISMANIGNAZIO LUCENTI

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ODOARDO FIORAVANTI AT DESIGN LIBRARY

Dunque, come promesso, un piccolo riassunto della conferenza di Odoardo Fioravanti alla design Library.Mattiamola giù come è stata pensata da lui, lì die-tro la scrivania con i fari puntati addosso, ovvero in 3 parti: percorso, pro-getti, processi.

ROBERTO MARONE

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Percorso, ovvero gos-sip, è un po' quello che Odo è e cosa gli sta die-tro. Vita morte e miracoli, ambizioni, sogni, edu-cazione, e passaggi più o meno significativi della sua vita. In altre parole, chi è Odo. Odo fino a 10 anni fa faceva il Pr per le discoteche dando di tanto in tanto qualche esame a ingegneria ( a cui si era iscritto per una certa pro-pensione manuale alla costruzioni di oggetti)

poi, per puro caso, sco-pre la facoltà di design (un pelo più consona alla propensione di cui sopra). Alla fine, dopo un po' di sventure da neolaure-ato, finisce da Iacchetti. Conclusione: Odo ha avuto una vita da ragaz-zaccio italiano normale, di quelli svegli, alla quale ha aggiunto un bel po' di talento, e qualche colpo di fortuna misto a genio. Che non fa mai male.

ODOARDO FIORAVANTI AT DESIGN LIBRARY

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Progetti, ovvero quello che Odo ha fatto. Be', qui le cose parlano un pò da se, e commentarli tutti non è facile. Lui li ha fatti vedere tutti, o quasi tutti, io ne scelgo 3. Il primo: cloned in China: un piccolo capo-lavoro di grafica tridimen-sionale, per rimandare al

mittente il vizio della copia, diventa alla fine una scul-tura in piena regola, con ammiccamento a un Cat-telan compreso nel prezzo. Il secondo: la sedia Snow. Forse il progetto più simile alla sua logica. Compo-stezza compositiva, rigore tecnologico, pulizia for-

male, senza dimenticare di non essere pesante e borioso, come alcuni vec-chi maestri. Mantenendo leggerezza, nella serietà. Tratto fine, tecnologia, colore e materiali: la sedia di design, quella vera. La terza: Light Style. La mini abat-jour da scrivania.Que-

sto piccolo gioiellino da scrivania, questa miniatura del classico è la dolce e rassicurante conferma che Odo è italiano. E da certe cose, come la mamma, è difficile staccarsene.

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Processi. Qui la cosa si fa complessa. La verità è che Odo appartiene in pieno alla categoria del designer quello vero, doc, ortodosso, senza tante balle. E' uno che crede ciecamente a questa disci-plina, crede nel disegnare il mondo, crede nell'idea di progetto, e, forse, persino nella idea di utilità del pro-getto. Il suo procedere è una logica che appartiene in pieno a un modus ope-randi "positivista", costrut-tivo, migliorativo. E' uno che guarda a Sambonet e al werkbund, tanto per capirci. Non c'è ad esem-pio nessuna volontà di espressione di se stesso o di rappresentazione di qualcosa, o di qualcosa "altro", ma uno sguardo preso dal mestiere, dall'og-getto, dal disegno. Una deontologia professionale che fa di lui, nel bene e nel male, una mosca bianca.

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UNDER DISCUSSION (frame da un video di Allora & Calzadilla)

"Come si diceva all'università:

la forma segue la funzione."

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RUNE GUNERIUSSEN

Nei paesaggi di Rune Gune-riussen , le algide scogliere norvegesi, i boschi innevati e le distese rocciose appaiono destabilizzate da un singolo evento magico: questi luoghi solitari sono abitati da oggetti.Organizzati in branchi, tribù o stormi, le lampade, i telefoni, le sedie, i mappamondi che

popolano le immagini di Gune-riussen, sono degli animali che hanno occupato dei territori sperduti, dove al massimo ti aspetteresti di trovare qualche spirito dispettoso o qualche altro strano essere apparte-nente a mitologie lontane. E invece ci sono loro, catturati dall’obiettivo mentre parteci-

pano a riti sociali, emigrano, si cercano un riparo, pensano, si seducono, lottano, indistur-bati, perfettamente a proprio agio nel loro ambiente natu-rale.

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GUIxé - MUNARI

DALLA CANTINA

Beh che dire? La lampada da garage ha meritato il Compasso d'oro a ignoti da parte di Munari per tutte quelle sue caratteristiche che la rendono semplicemente perfetta. Quindi chissà se Martì Guixè per questo suo nuovo progetto, "Cau", che presenterà al Salone del mobile 2008 per Danese (altra coincidenza?) abbia pensato alle parole del Maestro, che tra le varie osservazioni a questo splendido oggetto sottolineava proprio che "questo tipo di lampada può anche essere usata così com'è, per illuminare terrazze appendendola ai rami; oppure nella camera dei ragazzi per poterla spostare facilmente dove occorre. Il costo è minimo."E quindi perchè no, farla diventare una lampada domestica appendendola all'interno di un oggetto a forma di lampada da tavolo?.E ancora si potrebbe dire che Guixè, lasciando in vista solo la parte arancione, abbia riflettuto su quel colore, quell'arancione classico del quale Munari scriveva: "Nessuna concessione alla moda, qualche modello è verni-ciato in colore vivace: arancione, forse per meglio individuarla tra gli altri arnesi quando la si cerca."Forse non c'è alcun legame, nessun riferimento, ma piace pensare il contrario.

un vecchio articolo riportato alla luce

LUCA SPAGNOLO