orgia intellettuale | numero 7 | maggio – giugno 2014

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MAGGIO — GIUGNO 2014 Numero 7 (r)Esistenza Copernicana A PAGINA 6 » Libertà di espressione e Mauro Rostagno A PAGINA 8 » Riflessioni sull'attuale situazione in Palestina ALLE PAGINE 32, 34 » Testi vincitori del concorso Frascari

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Page 1: Orgia Intellettuale | numero 7 | maggio – giugno 2014

MAGGIO —GIUGNO 2014 Numero 7

(r)Esistenza Copernicana

A PAGINA 6 »

Libertà di espressione

e Mauro Rostagno

A PAGINA 8 »

Riflessioni sull'attuale

situazione in Palestina

ALLE PAGINE 32, 34 »

Testi vincitori del

concorso Frascari

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orgia intellettuale

orgiaintellettuale.info facebook.com/orgiaintellettuale [email protected]

C arissimi Lettori, questo numero di Orgia sarà per alcuni il primo fra una serie di ultimi, per altri invece sarà l’ultimo numero in assoluto. L’ultimo giornale di Orgia che avrete la fortuna di tenere fra le mani.

Un numero ricco di articoli, fotografie e disegni provenienti dai vostri amici e compagni. Una piccola parte di sé che ogni redattore decide di rendere pubblica. Sperando che lasci qualcosa ai lettori.

Un numero leggero che vi permetta di chiudere in bellezza questo ultimo anno, perciò noi redattori lo affidiamo a voi sperando vi diletti, ma più di tutto sperando vi faccia riflettere un minimo. Sperando che durante questi mesi estivi voi possiate divertirvi, ma più di tutto sperando che possiate raggiungere una consapevolezza nuova che vi permetta di "uscire dalla vostra bolla personale".

Vorremmo congratularci con tutti i partecipanti della prima edizione del concorso letterario intitolato alla professoressa Monica Frascari, e soprattutto ai due vincitori. Abbiamo deciso di pubblicare, alla fine di questo giornale, i testi vincitori. Complimenti!

Inoltre vorremmo ringraziare vivamente la gentilissima professoressa Incorvaia che, per ancora un altro anno, si è dimostrata disponibile a farci da docente referente e a revisionare i nostri articoli.

Come la suggestiva copertina del nostro disegnatore, anche noi vi auguriamo delle buone, anzi ottime, vacanze!

— Stefano Rossi e Selma Inane per la redazione

Numero 7MAGGIO — GIUGNO 2014

ORGIA INTELLETTUALE

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Chiara Gamberini

ORGIA INTELLETTUALE

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In questo numero

CaporedattoriIlaria LedonneLorenzo Bergonzoni

RedazioneArcangelo MassariChiara GamberiniDaria VaccariEmanuele VicinelliIlaria LedonneLorenzo BergonzoniSelma InaneStefano Rossi

Una questione di abitudini

Zitto, devi stare, non parlare e vedrai che andrà tutto bene. Ecco però l'assurdo: quando tutti si sono abituati al silenzio, quando ormai ci si convince che parlare e protestare, alla fine, non è fondamentale, si rimane assordati se qualcuno grida.

pagina 6 »

Le parole sono importanti

Troppo spesso usiamo le parole a cuor leggero, così, senza pensare. Ma altrettanto spesso non ci rendiamo conto di come la nostra scelta influenzi l'esito del discorso, o incida sul significato del messaggio che vogliamo fare. La lettera di un nostro lettore parla proprio di come la scelta delle parole possa condurre alla manipolazione delle informazioni, riferendosi in particolare alla guerra palestinese. pagina 8 »

Random Music Pills

Rubrica musicale con recensioni, analisi ed opinioni personali su "The Sound of Silence" di Simon e Garfunkel e sull'album "Tracy Chapman" dell'omonima autrice. pagine 22, 28 »

Madrid

Fotografie e ricordi di uno scambio scolastico in Spagna. Dettagli di due città meravigliose: Madrid e Toledo.

pagina 12 »

Attualità Copernicana

Lettera di un anonimo lettore — pagina 37 »

Attualità

Una questione di abitudini — pagina 6 »

Le parole sono importanti — pagina 8 »

Cultura » Poesie

Pensieri e parole — pagina 10 »

Cultura » Fotografia

Madrid — pagina 12 »

Cultura » Film

300 - L'alba di un Impero — pagina 24 »

Transcendence — pagina 25 »

The Amazing Spider-Man 2 - Il potere di Electro — pagina 26 »

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COME LEGGERE I CODICI QR

Novità abbastanza recente sono i codici QR, quei simpatici quadrettoni che compaiono ogni tanto in qualche articolo. Ogni codice QR rappresenta un link a un contenuto internet: un video, un sito, un'immagine, ecc. Li utilizzeremo spesso nei nuovi numeri.Se hai un cellulare abbastanza recente puoi, passando il telefono sul codice, visitare questo link direttamente sul telefono. Mentre alcuni (pochi) telefoni hanno questa funzione "di serie", su altri è necessario installare

un applicazione di terze parti per leggere i codici. Se hai un iPhone, la redazione consiglia l'applicazione gratuita "Scan" scaricabile dall'App Store. Installala da lì. Se hai un cellulare Android puoi utilizzare QR Droid scaricabile da Google Play.Ricordiamo che è necessario essere collegati ad internet. Apri l'applicazione scaricata e passa il telefono sul codice! Sotto al QR troverai anche un link visitabile da computer.

Hanno contribuito a questo numeroImpaginazioneDaria VaccariStefano Rossi

Disegni ed altri elementi graficiChiara GamberiniSelma InaneTeresa Mazzanti

Disegno di copertina Lorenzo Bergonzoni

Disegno di ultima paginaChiara Gamberini

TestataLucrezia Zanardi

Docente referenteProf.ssa Anna Maria Incorvaia

Cultura » Musica

Random Music Pills [The Sound of Silence] — pagina 22 »

Random Music Pills [Tracy Chapman] — pagina 28 »

Cultura » Fumetti

Manga Kissa — pagina 20 »

Funny Corner: sezione di svago e divertimento

Labirinti — pagine 9, 36 »

Sudoku — pagina 23 »

Altro » Concorso letterario Frascari

Luoghi comuni che fanno provincia - pagina 32 »

L'orologio - pagina 34 »

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attualità

S e io ti dico libertà di espressione, tu a cosa pensi? Potresti dirmi molte cose, potremmo continuare

a parlarne per ore e ore. Potresti dirmi che la libertà di stampa e di espressione al momento qui in Italia c'è, e ci deve essere, perché è un diritto di ognuno di noi poter dire la propria, ed essere tutelati in questo. Potresti dirmi che qui in Italia, al limite, abbiamo il problema dell'informazione faziosa e di parte, ma a parte questo non ci sono significativi attacchi alla libertà di informazione.

Non è vero, non è sempre così. Esistono situazioni nelle quali parlare è fortemente sconsigliato – no, meglio, non si deve fare proprio. Zitto, devi stare, non parlare e vedrai che andrà tutto bene. Ecco però l'assurdo: quando tutti si sono abituati al silenzio, quando ormai ci si convince che parlare e protestare,

alla fine, non è fondamentale, si rimane assordati se qualcuno grida. Quel qualcuno nella storia d'Italia in realtà sono state molte persone, ma ce n'è una che, per fatti di cronaca, in questo periodo è ricomparsa sui telegiornali: Mauro Rostagno.

Mauro in realtà è morto nel 1988, ma il processo che doveva stabilire chi fossero i suoi assassini solo pochi giorni fa ha condannato all'ergastolo Vito Mazzara e Vincenzo Virga, ritenuti rispettivamente l'esecutore e il mandante dell'omicidio; processo che, per nascere, ha dovuto attendere ben 23 anni dalla sua morte.

Mauro era stato ucciso perché si era permesso di informare la cittadinanza sulle collusioni tra le amministrazioni locali e la mafia. Lavorava per una piccola emittente televisiva locale, Radio Tele Cine, e nei suoi servizi riportava la verità. Solo la verità, e per questo è stato ammazzato.

Oltre a denunciare pubblicamente i soprusi e la sporcizia che la mafia porta sempre con sé, seguiva il processo per l'omicidio del sindaco di un piccolo comune trapanese, Vito Lipari, processo che vede imputati Nitto Santapaola e Mariano Agate, due dei più sanguinari boss mafiosi delle cosche catanesi e trapanesi.

Un giorno Agate manda a dire a Rostagno di "dire meno minchiate" sul suo conto. Tra le righe gli ha detto di stare zitto, di smettere di interessarsi al processo, altrimenti l'avrebbe ammazzato. Rostagno zitto non c'è stato,

e il 26 settembre viene ucciso con un fucile a pompa calibro 12 e una pistola calibro 38 da due uomini nascosti a lato della strada.

In realtà quella di giornalista è solo una delle facce di Mauro, senza contare quella di militante politico, di padre, di viaggiatore, di sociologo, di sognatore, di ricercatore della Bellezza. Lascio a te cercare di capire chi fosse Rostagno, perché è un percorso che vale la pena di seguire. Alcuni suoi interventi e servizi giornalistici li puoi trovare su YouTube, ti consiglio di guardarli. E, se puoi, fai come Mauro, e come tutti quelli che in passato e oggi cercano e gridano a tutti la verità: non abituarti al silenzio. Non farlo mai. n

Attualità | di Emanuele Vicinelli

Una questionedi abitudini

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Viandante sul mare di nebbia, Caspar David Friedrich, 1818, olio su tela

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attualità

"C hi parla male pensa male e vive male". Lo diceva Nanni Moretti nel film Palombella

Rossa. Certo, ma solo se ciò avviene inconsapevolmente.

Ma che succede se lo fai volutamente, coscientemente e deliberatamente?

Parli mali, pensi male, ma forse non è poi che vivi così male. Scegli di utilizzare una parola piuttosto che un’altra, aggiungi un aggettivo, un semplice misero aggettivo e di colpo, come per magia, stravolgi il significato

del racconto. Come il peperoncino su un piatto: basta poco a cambiarne il sapore.

E un altro po’ per coprire tutti gli altri. Tanto che alla fine del pasto ti chiedi: ma cosa ho mangiato?

Quando non abbiamo altri mezzi per capire cosa succede, quando per pigrizia o per ignoranza ci limitiamo ad una sola fonte perché non ci interessa approfondire, quando sul divano, davanti a un telegiornale, distrattamente accogliamo e diamo per vero ciò che un servizio di 2 minuti e 30 secondi ci

racconta, la scelta di una parola al posto di un’altra fa la differenza.

Fa la differenza sulla nostra visione di quello spicchio di mondo, fa la differenza sul nostro senso critico e sulla nostra capacità di analisi, può addirittura minare la nostra cultura democratica.

In gergo si parla di manipolazione mediatica.

Prendiamo ad esempio ciò che avviene non di rado quando viene trattata la questione israeliano-Palestinese. Quando vengono

Attualità | di Ashraf Nassar

Le parolesono importanti

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funny corner

costruiti degli insediamenti israeliani in casa dei palestinesi, questi devono essere considerati illegali e illegittimi rispetto alla legislazione internazionale (oltre che al comune sentire), e quindi dai nostri media dovremmo ascoltare o leggere parole quali violazione dei diritti, illegittimità, illegalità, violenza, sopruso, oppressione.

Purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi avviene l’esatto contrario: ci raccontano di come gli insediamenti aumentano e vengono legittimati dalla presunta necessità di sicurezza, che ha portato e porta alla costruzione continua del muro.

E il tutto come fosse appunto normale e legittimo.

Perché mai è colui che espropria che richiede la sicurezza e non colui che è espropriato (e che dovrebbe essere tutelato)?

E perché mai chi viene allontanato dalla propria casa non può protestare e fare una manifestazione contro questa assurda situazione, essendo questa considerata dallo stato di Israele illegale

e quindi, di conseguenza, dispersa dai soldati con gas lacrimogeni, pallottole di gomma fino all’uso dei carri armati? Dai media sentiremo le seguenti parole: "Disordini provocati dai manifestanti". E nella nostra testa, distratta da un messaggio o da una notifica, penseremo: repressione necessaria e giusta!

Manipolazione mediatica."Se l’occupazione non è reato, se

l’apartheid non è reato, se distruggere le abitazioni palestinesi e cacciarne gli abitanti e occuparle con violenza non è reato, se abbattere o espiantare o bruciare gli alberi (circa 3,5 milioni fino alle ultime statistiche) non è reato, se impedire alla popolazione palestinese di girare liberamente nelle proprie città non è reato, se appropriarsi dell’acqua e rivenderla a proprio arbitrio agli espropriati non è reato, se arrestare bambini anche di 4 o 5 anni (bendandoli prima) perché hanno gridato agli occupanti di andarsene non è reato, se uccidere mediamente 2 o 3 ragazzi a settimana, magari mentre stanno giocando a pallone o mentre

manifestano pacificamente non è reato, se cacciare dalle terre abitate da secoli i contadini palestinesi non è reato, se costruire muri sulle terre altrui non è reato, se non rispettare 73 Risoluzioni dell’Onu non è reato", se tutto questo e molto altro viene fatto da un Paese considerato democratico dai media e dal mondo intero, allora mi chiedo che senso abbia la parola democrazia, la parola giustizia, la parola legalità, la parola diritto.

"Le parole sono importanti", qualcuno lo diceva.

Grazie a Patrizia Cecconi, Presidente

della Onlus "Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese" per aver scritto "Lessico deviante", un libricino di 60 pagine edito da Città del Sole che ha ispirato questo articolo. In particolare la citazione è tratta da pag. 48. [Il libro non è reperibile a Bologna se non tramite spedizione.] n

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cultura » poesie

PAROLE VUOTETu parli parli parli parlima da te non esce nienteun'accozzaglia di suoni, parole vuotee una bocca piena d'aria, asciuttaper 'impegno, lo sforzo, di direfrasi che nessun seme spargono,alcun lampo o messaggio.Discorsi aridi e innaffiati di sabbiaParole vuote che sprecano tempocosì prezioso e poco per noi.

AMORIAmori che nasconoAmori che fingonoAmori che non sono mai statiAmori che combattono e perdono

Amori che non ti aspettiAmori che non vorrestiAmori che combattono e vincono

Amore che è perché non può non essere

_Oscillavo sul limbo di una cordatra le mura di un freddo inferno sconosciutopoi sono caduta fino ad arrivare in paradiso_

PICCOLA STORIA PERFETTAInizia così: una piccola storia perfettamai stata scritta e mai stata lettasenza drammi né fisimené violenza né lacrimeSoltanto affetto senza pensieriDove si ride e sorrideal caldo insieme e viciniDove mi tieni e mi vuoie ci facciamo del bene

TU SEIPacata come un cielo senza nuvoleSpenta come le stelle nel cielo urbanoVuota come un mare senza ventoForte come il sole d'agostoFragile come un bicchiere di vetro

IN UNA FORESTA DI CALCOLISeni, coseni e tangentiRadicali, angoli e πTanti numeri sofferentie guardati come un ciecoda me che non capiscoda me che non ci riesco

Giro un angolo,attenta che è in radianti!

X e Y α e βipotenusa e catetoTra assi e radiciin una foresta di calcoli (errati)

VETRI COME STELLESoffia i vento tra i capelliforte colpisce il viso

L'asfalto brillacome un cieloe le stelle son pezzi di vetro

meravigliosi sotto la lucerisplendono

tragici sotto le ruote, le suole,la pelle...vetri come stelle n

Cultura » Poesie | di Lucia Comandini

Pensieri e parole

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Chiara Gamberini

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cultura » fotografia

«M adrid è un luogo strano.Non credo che piaccia la prima volta che ci si

va. Non ha nulla di quello che ci si può aspettare dalla Spagna.

È moderna più che pittoresca senza costumi, praticamente senza cappelli di Cordoba, eccetto sulle teste degli

imbroglioni, senza castagnette e senza mistificazioni disgustose come le caverne degli zingari a Granada.Non c’è in città nessun sito di color locale per i turisti.

E pure, a conoscerla, è la città più spagnuola di tutte, la migliore, in cui vivere, la gente più simpatica, il

clima più bello in qualunque mese dell’anno e, mentre le altre grandi città simboleggiano tutte la provincia in cui si trovano, sono in sostanza andaluse, catalane, basche, aragonesi, e comunque provinciali, soltanto Madrid può darvi l’essenza. »

E. Hemingway

Cultura » Fotografia | di Selma Inane

Madrid

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cultura » fumetti

O ggi sono qua per parlarvi di un manga leggermente diverso da quello della scorsa settimana, un manga che mi ha molto

colpito, ma che è, purtroppo, anche molto raro da trovare. Il suo nome è Shingeki no Kyojin, italianizzato in "L'attacco dei Giganti". Sono usciti 10 volumi per la Planet Manga, escono molto a rilento e i primi numeri (anzi diciamo pure tutti tranne l'ultimo) sono praticamente impossibili da trovare. Tuttavia esistono sempre le scan su Internet, no? È un manga di genere horror e azione, molto consigliato, se ne parla ovunque da un anno a questa parte.

Aprendo il primo volume capiamo subito di trovarci in un mondo diverso dal nostro, il manga è infatti ambientato in un Medioevo alternativo, l'umanità è rinchiusa in tre cinte di mura alte 50 metri nel tentativo di proteggersi dai Titani (o Giganti) che vivono al di fuori di essa. Queste creature sconosciute variano da un'altezza di 3 metri ad una di 15, nessuno sa da dove provengano o quando siano apparsi, l'unica cosa certa è che divorano gli esseri umani. La storia ruota attorno ad Eren Yaeger, un bambino, che, assieme alla sorella adottiva Mikasa Akerman e al migliore amico Armin Arlet, assiste alla distruzione delle mura da parte di un titano più alto di esso, chiamato per questo Titano Colossale. Un avvenimento inaspettato che causa il tanto temuto contatto tra esseri umani e titani. Dopo la morte drammatica di una persona vicina ai tre piccoli protagonisti, essi riescono a fuggire verso il secondo muro, aiutati dai corpi di polizia speciale della

Cultura » Fumetti | di Elisa Frigato

Manga Kissa

La redazione si ritaglia questo spazio per salutare la collega Ilaria Ledonne. In redazione da ben cinque anni, è colei che originariamente ha creato questa rubrica, e l'ha mantenuta per quattro anni. Purtroppo per questo numero non ha potuto occuparsene, in quanto è in quinta ed è alle prese con il temibile Esame di stato. Per quanto saremmo onorati di lavorare con lei anche solo per un altro anno, le auguriamo buona fortuna per il suo futuro, e la ringraziamo per il suo contributo al giornale e per il tempo passato assieme.

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città. A causa di questo attacco l'umanità ha perso un terzo del poco territorio che possiede, e in più se il titano Colossale dovesse riattaccare sarebbero guai seri per l'intera popolazione. Vi è quindi un periodo di ansia e paura, periodo in cui il piccolo Eren decide, assieme ai due fedeli compagni, di diventare un soldato per combattere le creature da lui tanto odiate. Si passa quindi al giorno del diploma del ragazzo, ben cinque anni dopo, in cui per la prima volta si ritrova faccia a faccia con dei veri e propri titani con l'intento di ucciderli. La storia si riempirà sempre più di misteri (chi sono in realtà i titani? Esiste un modo per sconfiggerli? Da dove sono comparsi e perché all'improvviso ne è apparso uno più alto di 50 metri?), drammatiche morti, nuovi compagni, nuove avventure, promesse e inganni. Non mancano nemmeno le risate, non a caso questo manga ha raggiunto risultati molto alti, classificandosi al secondo posto dopo One Piece nella classifica giapponese di vendite.

Spostandoci nel campo della "pignoleria", c'è una cosa che non mi piace per niente di questo manga, ovvero i disegni. Sono veramente tirati via ed è davvero un peccato, alcuni dicono che sia fatto apposta per rendere il tutto più drammatico, altri attribuiscono semplicemente la colpa all'incapacità del mangaka. Sono rimasta molto soddisfatta, invece, della versione

anime, è davvero ben fatta e finalmente i disegni rendono bene la storia, quindi ve la consiglio caldamente, anche partire direttamente da quella è consigliato. Che aspettate a gettarvi al di là delle mura all'attacco dei giganti? Insomma, ho finito anche per questa volta, alla prossima! n

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cultura » musica

Cultura » Musica | di Lorenzo Bergonzoni

Testo originaleHello darkness, my old friendI've come to talk with you againBecause a vision softly creepingLeft its seeds while I was sleepingAnd the vision that was planted in my brainStill remainsWithin the sound of silence

In restless dreams I walked aloneNarrow streets of cobblestone'Neath* the halo of a street lampI turned my collar to the cold and dampWhen my eyes were stabbed by the flash of a neon lightThat split the nightAnd touched the sound of silence

And in the naked light I sawTen thousand people, maybe morePeople talking without speakingPeople hearing without listeningPeople writing songs that voices never shareAnd no one daredDisturb the sound of silence

"Fools", said I, "You do not knowSilence like a cancer growsHear my words that I might teach youTake my arms that I might reach you"But my words, like silent raindrops fellAnd echoedIn the wells of silence

And the people bowed and prayedTo the neon god they madeAnd the sign flashed out its warningIn the words that it was formingAnd the sign said, "The words of the prophetsare written on the subway wallsAnd tenement halls"And whispered in the sounds of silence

Testo tradottoSalve oscurità, mia vecchia amica Sono venuto a parlarti ancora Perchè una visione, strisciando leggera,Ha lasciato i suoi semi mentre dormivo E la visione che è stata piantata nel mio cervello Ancora persiste Nel suono del silenzio

Nei sogni agitati io camminavo solo Attraverso strade strette e ciottolose Sotto l'alone della luce dei lampioni Sollevando il bavero contro il freddo e l'umidità Quando i miei occhi furono pugnalati dal flash di una luce al neon Che spezzò la notte E toccò il suono del silenzio

E nella nuda luce vidi Diecimila persone, o forse più Persone che parlavano senza emettere suoni Persone che ascoltavano senza udire Persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantatoE nessuno osava Disturbare il suono del silenzio

"Stupidi" io dissi, "voi non sapete Che il silenzio cresce come un cancro Ascoltate le mie parole perché io possa insegnarvi, Aggrappatevi alle mie braccia perché io possa raggiungervi" Ma le mie parole caddero come gocce di pioggia, E riecheggiarono Nei pozzi del silenzio

E la gente si inchinava e pregava Al Dio di neon che avevano creato. E l'insegna proiettò il suo avvertimento, Tra le parole che stava delineando. E l'insegna disse "Le parole dei profeti sono scritte sui muri delle metropolitane E sui muri delle case popolari." E sussurrò nel suono del silenzio.

Random Music Pills [The Sound of Silence]

* 'Neath: forma arcaica di "Underneath", ossia "Sotto".

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Titolo The Sound of SilenceArtista Simon & GarfunkelAlbum Wednesday Morning, 3 AMAnno 1964

N onostante sia una canzone parecchio famosa e nonostante il numero non da poco di cover,

"The Sound of Silence" è una canzone che ho scoperto relativamente da poco, ma che mi ha preso da subito e che tuttora riascolto molto spesso e molto volentieri nonostante si distacchi moltissimo dai miei generi "usuali".

Scritta nei lontani anni '60 da Paul Simon, la canzone ha preso vita nei mesi successivi all'assassinio di John Francis Kennedy.

Il testo è semplice e conciso e narra una storia breve e senza particolari intrecci di sorta... Eppure il significato che ci sta dietro è piuttosto profondo: la canzone parla dell'incapacità dell'uomo di comunicare con altri esseri umani.

Pensiamoci bene, è un problema che ci affligge tutti, insomma, chi non ha mai avuto problemi comunicativi con una persona, chi è mai incappato in un litigio o una discussione data principalmente dal fatto che non ci si è capiti?

A me, personalmente, è capitato spesso, e forse è proprio perché ho bisogno di una grossa revisione comunicativa che questa canzone mi piace così tanto. Per questo stesso motivo voglio sottoporla

anche a voi, e chissà che non vi piaccia (o che non la conosciate già, come ho detto su questo brano mi sono svegliato parecchio tardi).

Questa volta non ho molto da dire, ma lascio alla canzone il compito di esprimersi da sola. Detto questo, buone vacanze e buona estate gente! n

6 2 9

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8 9 7 6

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Puzzle 1 (Medium, difficulty rating 0.52)

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4 7 9 8 1

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Puzzle 2 (Easy, difficulty rating 0.44)

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1 2 4 9

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Puzzle 3 (Hard, difficulty rating 0.61)

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Puzzle 4 (Hard, difficulty rating 0.62)

Generated by http://www.opensky.ca/~jdhildeb/software/sudokugen/ on Fri May 16 21:01:45 2014 GMT. Enjoy!

Difficoltà media

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Puzzle 1 (Medium, difficulty rating 0.52)

6 2 8 1 3

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Puzzle 2 (Easy, difficulty rating 0.44)

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Puzzle 3 (Hard, difficulty rating 0.61)

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Puzzle 4 (Hard, difficulty rating 0.62)

Generated by http://www.opensky.ca/~jdhildeb/software/sudokugen/ on Fri May 16 21:01:45 2014 GMT. Enjoy!

Difficoltà bassa

Difficoltà alta Difficoltà alta

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cultura » film

Genere Azione, Epico, Drammatico Regista Noam MurroCast Sullivan Stapleton, Eva Green, Rodrigo Santoro, David Wenham, Lena HeadeyDurata 103 minuti Anno 2014

TramaGrazie al sacrificio di Leonida e dei suoi 300 coraggiosi guerrieri spartani nella battaglia delle Termopili, la Grecia ha ancora un briciolo di speranza di riuscire a scacciare i terribili invasori persiani. Questa speranza viene riposta

in Temistocle (Sullivan Stapleton), valoroso soldato alla guida dell’esercito ateniese, che decide di guidare la propria flotta navale in uno scontro in mare aperto contro quella del grande Serse (Rodrigo Santoro). Temistocle si trova a fronteggiare la spietata e assetata di vendetta Artemisia (Eva Green), guerriera cruenta nonché braccio destro di Serse, che non si fa scrupoli per tentare di distruggere l’esercito ellenico.

Commento

A 7 anni di distanza (eh si, sono già 7) dal primo 300, girato da Zack Snyder, la storia dell’antica

Grecia continua con 300 – L’alba di un Impero , ispirato al romanzo grafico di Frank Miller.Prequel e sequel del primo film, L’alba di un Impero è strutturato come 300, ma assolutamente non è alla sua stessa altezza. Pressoché una sequenza di bagni di sangue cartonizzato, l’opera di Noam Murro presenta una sceneggiatura in vari momenti ridicola e nel complesso tristemente deludente. Inoltre, i richiami al primo film – come la scena dell’incontro di Temistocle con la regina Gorgo (la bravissima Lena Headey) – sembrano cercare disperatamente di alzare il livello del film. Fatte bene però sono le scene che prendono luogo nel mar Egeo, e davvero ben riuscita è l’interpretazione di Eva Green del ruolo di Artemisia, sensuale guerriera assassina e manipolatrice. n

Cultura » Film | di Chiara Gamberini

300 – L’alba di un Impero

Voto: ★★½

Page 25: Orgia Intellettuale | numero 7 | maggio – giugno 2014

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cultura » film

Cultura » Film | di Chiara Gamberini

Genere Fantascienza, Drammatico Regista Wally Pfister Cast Johnny Depp, Paul Bettany, Rebecca Hall, Morgan Freeman, Cillian Murphy, Kate Mara Durata 119 minuti Anno 2014

Trama La storia racconta del più grande scienziato nel campo della nanotecnologia, lo studioso Will Caster (Johnny Depp), che ha dedicato la sua intera vita agli studi per la creazione di un'intelligenza artificiale in grado di riprodurre tutte le emozioni umane. Molto amato per le sue straordinarie scoperte, di certo non si aspetta di essere preso di mira da un gruppo terroristico anti-tecnologia (il RIFT - Revolutionary Independence from Technology), che lo riduce in fin di vita nel letto di un ospedale. Disperati, la moglie Evelyn (Rebecca Hall) e il migliore amico Max Waters (Paul Bettany) decidono di sfruttare la macchina creata dallo stesso Will per salvarlo. Tutto sta nel capire se sia un'azione giusta da compiere e che conseguenze potrebbe provocare.

Commento

P rima di andare a vedere questo film ho letto parecchie recensioni, e quelle positive

erano in netta minoranza: le critiche si sono letteralmente mangiate questo film. E temo non senza un motivo. Cast decisamente di livello, nulla da dire, ma ciò non basta per la creazione di un bel film. La lentezza e talvolta la banalità del lungometraggio soffocano l'argomento di vitale importanza

al giorno d'oggi, i pericoli della tecnologia, e non lo sviluppano a dovere. Le aspettative che aveva creato questo film prima di uscire sono state tradite, purtroppo, dalla sua mediocrità. C'è comunque da considerare che é la prima creazione di Wally Pfister, e che

per quanto riguarda ambientazione e montaggio è un film rispettabile. Consigliato ai patiti di Johnny Depp e ai fanatici della tecnologia. n

Transcendence

Voto: ★★★½

Page 26: Orgia Intellettuale | numero 7 | maggio – giugno 2014

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cultura » film

Genere Azione, Supereroi, Drammatico Regista Marc WebbCast Andrew Garfield, Emma Stone, Jamie Foxx, Dane DeHaanDurata 42 minuti Anno 2014

TramaDopo la morte di Lizard, nel primo film, la vita di Peter/Spider-Man(Andrew Garfield) continua, districandosi tra lotta contro il crimine, diploma e la dolce Gwen Stacy (Emma Stone). Per Peter Parker non è semplice gestire una doppia vita, e di certo non è di aiuto l’arrivo di un nuovo mutante in città: Electro (Jamie Foxx), ovvero ciò che rimane di Max Dillon, addetto agli impianti elettrici e vittima di un incidente nella Oscorp Industries. Come se non bastasse, a capo della Oscorp è appena salito Harry Osborn (Dane DeHaan), figlio del fondatore dell’azienda e amico d’infanzia di Peter, che però si rivelerà nascondere una terribile minaccia. Come farà Spider-Man sia a fare chiarezza sul proprio passato, sia a proteggere i propri cari e a salvare la città?

Commento

I l sequel di The Amazing Spider-Man lascia piacevolmente sorpresi, in quanto finalmente

Marc Webb riesce a definire i suoi personaggi e le loro storie. A differenza del film precedente possiamo osservare personaggi ben delineati e abbiamo la possibilità di scrutare dentro ognuno di essi con grande facilità. Ricco di colpi di scena, The Amazing Spider-Man 2 riesce a tenere col fiato sospeso fino all’ultimo istante facendoci entrare in

empatia con le vicende di ogni soggetto. In questo film, Marc Webb ha preso tutto il tempo che riteneva necessario (ben 1 ora 20 minuti) per dare spazio sia ai doveri di Spider-Man, sia ai pensieri e alle emozioni dell’ancora adolescente Peter Parker, mostrandoci il lato umano del supereroe. La presa di coscienza di Electro scorre parallelamente alle

vicissitudini di Harry Osborn e all’amore tra Peter e Gwen, creando una studiata armonia. L’unica vera delusione del film è lo scontro tra Spider-Man e Electro: è trascurato e obiettivamente breve. Ma nonostante questo, dopo aver visto The Amazing Spider-Man 2 non si può uscire dal cinema senza la voglia di vedere il 3! n

Cultura » Film | di Chiara Gamberini

The AmazingSpider-Man 2 -Il potere di Electro

Voto: ★★★½

Page 27: Orgia Intellettuale | numero 7 | maggio – giugno 2014

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orgia intellettuale

Selma Inane

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cultura » musica

Cultura » Musica | di Stefano Rossi

Random Music Pills[Tracy Chapman]

C omincio ringraziando Lorenzo per avermi concesso di contribuire a questa sua

fantastica rubrica. Per questo mio "debutto" come scrittore di Orgia ho deciso di parlarvi di un'artista folk-rock afro-americana, Tracy Chapman e in particolare del suo primo album, che porta il suo stesso nome. Qualche breve nota biografica: Tracy Chapman nasce nell'Ohio, U.S.A. nel 1964. La madre, pur non avendo molti soldi, le compra un ukulele (uno strumento simile alla chitarra, con quattro corde e all'incirca delle dimensioni di un mandolino, ndr.) all'età di tre anni, e all'età di otto anni si trasferisce sulla chitarra. Nel periodo del college comincia a suonare in alcuni café nelle vicinanze della sua università. Viene notata da uno studente della sua stessa università, che le fa conoscere suo padre, proprietario di una piccola casa discografica. Nel 1987 firma un contratto con la casa discografica Elektra Records, e nel 1988 pubblica appunto "Tracy Chapman".

Questo primo album, amato all'uscita dalla critica, venne definito come un album politico, di critica alla società. Nell'industria musicale di fine anni '80, dopo anni di predominanza di dance-pop e synthpop, c'era bisogno di qualcosa di nuovo: il pubblico era

finalmente pronto per ascoltare qualcuno che, con la musica, dicesse qualcosa. L'album è in pieno stile folk: molto acustico, pulito, spartano; le canzoni sono musicalmente semplici, con pochi

strumenti (in buona parte dell'album gli unici strumenti utilizzati sono chitarra, basso e batteria). Ho deciso di parlarvi di tre canzoni dall'album, "Talkin' 'bout a Revolution", "Fast Car" e "Why?".

Talkin' 'bout a Revolution (2:38)[A:]Don't you know they're talkin' bout a revolution It sounds like a whisper(x2)

Parlando di una rivoluzione[A:]Non lo sai, stanno parlando di una rivoluzioneSembra un sussurro(x2)

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orgia intellettuale

[B:]While they're standing in the welfare lines Crying at the doorsteps of those armies of salvation Wasting time in the unemployment lines Sitting around waiting for a promotion

[A] (x1)[C:]Poor people gonna rise up and get their share Poor people gonna rise up and take what's theirs

[D:]Don't you know you better run, run, runOh I said you better run, run, run[E:]Finally the tables are starting to turnTalkin' bout a revolution(x2)

[B][A] (x1)[E]

[B:]Mentre fanno la coda per il sussidioPiangendo alla porta degli eserciti della salvezzaSprecando tempo agli uffici di collocamentoAspettando una promozione

[A] (x1)[C:]La povera gente si ribellerà e si prenderà la sua parteLa povera gente si ribellerà e si prenderà ciò che appartiene loro

[D:]Non lo sai, faresti meglio a correre, correre, correreHo detto che dovresti correre, correre, correre[E:]Finalmente la situazione si capovolgeràParlando di una rivoluzione(x2)

[B][A] (x1)[E]

Ecco a voi, questa è "Talkin' 'bout a Revolution", la canzone di apertura dell'album, ed una delle più famose. Non sono riuscito a trovare una struttura "classica" (ritornello, ponte, ecc.) nel testo, perciò ho indicato le strofe con lettere (non sono accordi!)

per meglio mostrarvene la struttura. Canzone semplice, sia testualmente che musicalmente. La chitarra (acustica) ripete fino alla fine della canzone quattro accordi (G, C, Em, D per i musicisti). La canzone è una richiesta di un forte cambiamento della società,

di un capovolgimento della situazione, e preannuncia una "insurrezione" dei poveri, quei poveri che vengono descritti nella strofa B, che non trovano lavoro e sprecano tempo agli uffici di collocamento, o che continuano ad aspettare una promozione.

Fast Car (4:57)You got a fast carI want a ticket to anywhereMaybe we make a dealMaybe together we can get somewhereAnyplace is betterStarting from zero got nothing to loseMaybe we'll make somethingMe, myself I got nothing to prove

You got a fast carI got a plan to get us out of hereI been working at the convenience storeManaged to save just a little bit of moneyWon't have to drive too farJust 'cross the border and into the cityYou and I can both get jobsAnd finally see what it means to be living

You see my old man's got a problemHe live with the bottle that's the way it isHe says his body's too old for workingHis body's too young to look like hisMy mama went off and left himShe wanted more from life than he could giveI said somebody's got to take care of himSo I quit school and that's what I did

Macchina veloceTu hai una macchina veloceIo voglio un biglietto per qualunque postoForse possiamo fare un pattoForse insieme possiamo andare da qualche parteQualsiasi posto è meglioIniziando da zero non abbiamo niente da perdereForse combineremo qualcosaIo, a me stessa non ho nulla da provare

Tu hai una macchina veloceIo ho un piano per farci uscire di quiSto lavorando alla drogheriaSono riuscita a mettere da parte qualche soldoNon dovremo andare molto lontanoGiusto attraversare la frontiera ed entrare in cittàTu ed io possiamo entrambi trovare un lavoroE finalmente vedere cos'è vivere per davvero

Vedi, il mio vecchio ha un problemaVive attaccato alla bottiglia, è così che vaDice che il suo corpo è troppo vecchio per lavorareIl suo corpo è troppo giovane per sembrare il suoMia mamma se n'è andata e lo ha lasciatoVoleva di più dalla vita di quello che lui poteva darleMi sono detta che qualcuno se ne doveva prendere curaCosì ho lasciato la scuola e l'ho fatto

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orgia intellettuale

[Bridge:]You got a fast carIs it fast enough so we can fly away?We gotta make a decisionLeave tonight or live and die this way

[Chorus:]So remember we were driving, driving in your carSpeed so fast I felt like I was drunkCity lights lay out before usAnd your arm felt nice wrapped 'round my shoulderI had a feeling that I belongedI had a feeling I could be someone, be someone, be someone

You got a fast carWe go cruising to entertain ourselvesYou still ain't got a jobI work in a market as a checkout girlI know things will get betterYou'll find work and I'll get promotedWe'll move out of the shelterBuy a bigger house and live in the suburbs

[Chorus]

You got a fast carI got a job that pays all our billsYou stay out drinking late at the barSee more of your friends than you do of your kidsI'd always hoped for betterThought maybe together you and me would find itI got no plans, I ain't going nowhereSo take your fast car and keep on driving

[Chorus]

[Bridge]

[Ponte:]Tu hai una macchina veloceÈ abbastanza veloce per farci volare via?Dobbiamo prendere una decisioneAndarcene stasera o vivere e morire così

[Ritornello:]Mi ricordo che stavamo guidando, nella tua macchinaCosì velocemente che mi sembrava di essere ubriacaLe luci della città brillavano di fronte a noiE mi piaceva il tuo braccio stretto intorno alla mia spallaMi sentivo che ti appartenevoMi sentivo che sarei potuta essere qualcuno

Tu hai una macchina veloceAndiamo in giro per divertirciTu ancora non hai un lavoroIo lavoro in un supermercato come cassieraSo che le cose andranno meglioTroverai un lavoro ed io sarò promossaCe ne andremo dal rifugioCompreremo una casa più grande e vivremo in periferia

[Ritornello]

Tu hai una macchina veloceIo ho un lavoro che paga tutti i nostri contiTu stai fino a tardi a bere al barVedi più i tuoi amici che i tuoi figliHo sempre sperato in qualcosa di meglioCredevo che forse assieme io e te l'avremmo trovatoNon ho programmi, non andrò da nessuna parteAllora prendi la tua macchina veloce e continua a guidare

[Ritornello]

[Ponte]

"Fast Car", dal testo indubbiamente più lungo ed elaborato della precedente, è il racconto di una vita. La protagonista parla per tutta la canzone con un'altra persona (il proprietario della "macchina veloce").

Nelle prime tre strofe la protagonista cerca di convincere questa persona a partire per rifarsi una vita assieme, e le spiega i motivi della propria voglia di fuggire. Fuggire dalla propria situazione; dal padre alcolizzato, che, dopo essere stato lasciato dalla moglie, ha praticamente costretto la narratrice a lasciare gli studi per sostentarlo. Nel primo ponte non si è ancora deciso cosa

fare, mentre il ritornello è la fuga vera e propria. La protagonista è piena di speranze per il futuro, si sente che potrà farsi una vita propria ed essere qualcuno. Nella quarta strofa la narratrice ed il suo amante hanno trovato una sistemazione, anche se abbastanza precaria: si divertono, vivono in un rifugio, ma, mentre lei ha trovato un lavoro come cassiera, lui è ancora senza lavoro; tuttavia c'è ancora la forte speranza di una vita migliore. Nella strofa conclusiva la ragazza mantiene finanziariamente l'amante pagando i suoi conti, mentre quest'ultimo passa più tempo con gli amici a bere che con i suoi figli. La protagonista vede le sue speranze infrangersi: credeva veramente

di poter avere una vita con lui, ma capisce che questo non le sarà possibile. Allontana l'amante, dicendogli di salire nuovamente sulla sua macchina veloce e di ripartire senza di lei.

Musicalmente la canzone è comunque abbastanza semplice: gli accordi sono 5-6, più qualche variazione. Gli strumenti predominanti sono comunque chitarra acustica, batteria (molto leggera, si presenta principalmente nei ritornelli) e basso. →

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orgia intellettuale

Questa canzone, pur essendo corta e non molto famosa, è una canzone a mio avviso piena di significato. Chapman si pone una serie di interrogativi sulla società, tutt'ora assolutamente validi ed attuali. La strofa è chiara: perché una parte del mondo ha cibo in eccesso, e può permettersi di buttarlo via o di lasciarlo scadere negli scaffali dei supermercati, mentre la popolazione di una parte del mondo patisce la fame e muore? Perché, pur essendo in tanti, alcune persone sono lasciate da sole e sentono quotidianamente la solitudine? Perché continuiamo ad utilizzare armamenti ed eserciti in missioni di pace? Perché una donna non può sentirsi sicura nemmeno in casa, dove corre il maggiore rischio di subire violenza?

Ora arriva il ponte, che con la sua ironia mette in risalto le contraddizioni

dei versi precedenti: camuffiamo l'odio con amore, e spacciamo la guerra per pace; il no diventa un sì, e siamo tutti liberi (mentre nella realtà siamo tutti schiavi). Da notare il chiasmo del ponte (per chi non lo sapesse, un chiasmo è una figura retorica che consiste nel cambiare l'ordine delle parole creando uno schema sintattico AB, BA): "love" e "peace" sono poste agli estremi del verso, mentre "hate" e "war" sono disposte internamente.

Il ritornello dà speranza, che prima o poi la società cambi e qualcuno (l'autrice non specifica chi) dovrà rispondere di aver reso il mondo un posto peggiore.

In questa canzone è presente, in modo molto leggero, una tastiera: si può sentire molto bene nel ponte. n

Why? (2:06)[Verse:]Why do the babies starve, when there's enough food to feed

the world?Why when there're so many of us, are there people still alone?Why are the missiles called peace keepers, when they're aimed

to kill?Why is a woman still not safe, when she's in her home?

[Bridge:]Love is hate, war is peaceNo is yes, and we're all free

[Chorus 1:]But somebody's gonna have to answer, the time is coming soonAmidst all these questions and contradictions, there're some

who seek the truth

Tell me [Verse]

[Bridge]

[Chorus 2:]But somebody's gonna have to answer, the time is coming soonWhen the blind remove their blinders*, and the speechless

speak the truth

Tell me [Verse]

[Bridge]

Perché?[Strofa:]Perché i bambini muoiono di fame, quando c'è abbastanza

cibo da sfamare il mondoPerché anche se siamo così tanti, ci sono ancora persone sole?Perché i missili sono chiamati "guardiani della pace", quando

sono pronti a uccidere?Perché una donna non è sicura, nemmeno quando è nella

propria casa?

[Ponte:]L'amore è odio, la guerra è paceIl no è si, e siamo tutti liberi

[Ritornello 1:]Ma qualcuno ne dovrà rispondere, il momento arriverà prestoTra tutte queste domande e contraddizioni, c'è qualcuno che

cerca la verità

Dimmi [Strofa]

[Ponte]

[Ritornello 2:]Ma qualcuno ne dovrà rispondere, il momento arriverà prestoQuando i ciechi si toglieranno i paraocchi*, e i muti diranno

la verità

Dimmi [Strofa]

[Bridge]

* notare il gioco di parole, impossibile da rendere nella traduzione, con blind/blinders (ciechi/paraocchi).

Guarda alcune versionilive delle canzoni

orgiaintellettuale.info/qr/7/rmp

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premio frascari

CONCORSO LETTERARIO MONICA FRASCARI

Testo vincitore del premio Frascari | di Giorgio FranceschelliLuoghi comuni che fanno provincia

F inalmente un po' di riposo. Qui, immobile, al caldo sotto una coperta decido di non far niente

e che il mondo, la vita, venga a me. Mi sembra che la mia nascita e poi la mia crescita siano state troppo veloci, troppo rapide... E cosa mi è rimasto ora? Cosa sono adesso se non il mero prodotto di una catena di montaggio quale è stato il mio sviluppo? Ora mi sento inutile, e ho solo voglia di qualcosa di nuovo; ho voglia di ascoltare, di osservare.

Finalmente qualcuno si accorge di me.Mi lancia un'occhiata fredda, quasi

indifferente, e poi guarda l'orologio. So già a cosa sta pensando colei che mi ha messa al mondo. «Sempre lì a poltrire»: lo vedo che pensa sempre cosi, come fanno tutti i genitori. Ma perché noi non meritiamo mai il riposo? Perché devono sempre pensare che siamo degli sfaticati? Ê un cliché che proprio non concepisco: se loro si riposano è perché se lo meritano dopo una giornata faticosa, ma se lo facciamo noi passiamo per sfaccendati. Un giorno inizierò a dirle quello che penso; ma ora arrabbiarsi è una fatica superflua, ho due ore di riposo e voglio, devo godermele.

Perlomeno una cosa giusta mia madre la fa: accende la televisione, apre l'armadietto dei DVD, infila la mano e prende un film: il classico thriller trito e ritrito. Di male in peggio... Però non mi va di muovere critiche, meglio starsene qui comodi e sperare che questo film possa valere qualcosa di meglio delle due stelline in stile horror moderno.

Niente da fare: dopo dieci minuti siamo già alla solita ragazza mezza nuda (film rigorosamente ambientato in inverno, com'è ovvio che sia) che sente

un rumore nello scantinato. Vorrebbe scappare, ma incredibilmente salta la luce e ancor più incredibilmente il generatore è... nello scantinato! Trovata assolutamente geniale e innovativa, eh? La ragazza scende le scale con la candela in mano, apre lentamente la porta... ed ecco che si affaccia subito il solito, classico vampiro. Ma io mi chiedo: inventarsi qualcosa di nuovo, ogni tanto? Usare la propria testa? Non si poteva mettere una bella festa a sorpresa? Non si poteva mettere una lavatrice rotta? Non si poteva mettere la madre che tradisce il padre, il padre che tradisce la madre con l'amante della madre, quattro cani che giocano a poker?!

Fortuna che anche lei, mia madre, si è accorta che questo film è un flop clamoroso, così prende su, spegne tutto e se ne va. Dove non si sa, ma se ne va, sbattendo anche l'uscio di casa (tranquilli, era troppo vestita per andare nello scantinato a vedere se c'era un bel vampiro). Nel mentre torna a casa Giacomo, il teenager di casa. Non è solo, c'è anche la sua fidanzata, ma non mi sembrano per niente contenti. Prendono due sedie e iniziano a parlare e parlare.

«Mi dispiace Francesca ma non capisco cosa stia succedendo... È colpa mia, non è colpa tua, sono io che sono cambiato... Forse non siamo fatti per stare insieme, tu meriti qualcuno migliore... Non sono abbastanza per te e ne soffro, non ce la faccio più ad andare avanti...»

Si, come no. Che tristezza i ragazzi che si rifugiano dietro a queste frasi fatte, questi luoghi comuni; non so come questa Francesca non prenderlo a schiaffi, possa non urlargli contro. Invece che dirle semplicemente «è

stato bellissimo, ma non ti amo più, mi dispiace, ma così non ha senso andare avanti», bisogna dirle cose senza senso, tanto per fare.

Singhiozzi, lacrime.Bravo Giacomo, sei riuscito a farla

piangere, complimenti. Ma, Francesca, è così difficile una ginocchiata nello stomaco (per non dire di peggio)? E giù con altre frasi fatte («dai non fare così, ti rovina quel bel faccino»), altre lacrime e finalmente un bello schiaffo. Brava Francesca. Ora si avvicina alla porta di casa, urla un «addio stronzo» e sbatte la porta.

Giacomo se lo è meritato. Ma, diciamocelo, anche Francesca è poi una bella attrice: con tutte le corna che gli ha fatto, nessuno sarebbe riuscito a rendere così credibile questa sceneggiata. Morale della favola: ragazzo tradito, frasi fatte, brava attrice, ora lei è libera per chiunque e lui ha la faccia gonfia.

Bene, ora si prende anche il gelato. Ma dai, ragazzi, il gelato non è la risposta a tutti i problemi!!! Non è affogandoti nel gelato che dimentichi di essere stato cornuto e mazziato...

Fortuna che è arrivato il grande "padre di famiglia". Ci penserà indubbiamente lui. E invece, come arriva a casa, neanche si accorge della sua presenza. Finalmente, dopo dieci minuti spesi a leggere il giornale, pensa bene di andare a vedere come sta suo figlio, che piagnucola da talmente tanto da aver finito il gelato.«Che è successo, figliolo?»«Ho lasciato Francesca...»«Beh, ragazzo, hai fatto la cosa giusta, non ti meritava...»«Però io ora ci sto malissimo...»«Tranquillo, morto un papa se ne fa →

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orgia intellettuale

un altro!»«Non potrò mai amare un'altra...»«Ma cosa dici! Vedrai che te ne trovi subito un'altra, sei un bel ragazzo!»«Ma io voglio lei, non voglio un'altra...»«Dai, cerca di non pensarci e di dimenticarla! Per te è meglio così.»

Basta, smetto di ascoltare. Non ne posso più, sembra un dialogo fra applicazioni Siri... Regalatemi un iPod, fate qualcosa, non ce la faccio più a sentire banalità e luoghi comuni!!!

Adesso riaccendono la TV, ovviamente c'è il telegiornale.

Stupratore seriale. Cinque vittime.Nessuno ha visto niente e le vittime

non ricordano nulla: uomo sul metro e ottanta, moro, sui trenta. Non sanno dire altro. Eh beh, che si aspettavano, che sapessero che piatto di pasta ha mangiato l'ultimo giorno di terza media?

Sospetti: extracomunitari. Come sempre. Gli italiani sono tutti santarellini, non fanno niente, è per questo che ci prendono in giro all'estero. Come no. Succede qualcosa di brutto, sono sempre loro. Poi, per carità, ogni tanto sono loro, eh, ma tutte le volte che non c'entrano nulla bisogna infangarli lo stesso...

«Ma li mandassero fuori da questo paese! Li facciano a casa loro gli stupri, gli omicidi e i furti»

Ecco mio padre il tipico italiano medio, che si accanisce contro tutto ciò che passa la televisione, che passa l'informazione. Non gli rispondo neanche, so che è una battaglia persa, per lui chi non è italiano è inferiore. Che tristezza.

Chiave nella toppa, porta che si apre, è tornata pure la madre. Faccia sconvolta, pelle d'oca, sembra che abbia visto un fantasma!

«Amore mio, che è successo!»«Ho investito... ho investito...»«Hai investito...? Un bambino che giocava per strada, un anziano che ha attraversato senza guardare...?»«Ho investito... UN GATTO NERO!!!»«No, non anche questa! Ci stiamo rovinando la vita! Non ho mai vissuto delle giornate così dolorose...»«Come?! Che altro è successo ancora?»«Cos'è successo... cos'è successo... Tutto è successo!!!»

«Come tutto... spiegami...»«Ti ricordi che ieri sera ti dicevo della tassa abolita? Bene...non faccio in tempo a uscire di casa che sento che è già stata messa un'altra tassa...cambia il nome ma non cambia la sostanza...»«Ciò che noi chiamiamo con il nome rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, avrebbe sempre lo stesso dolce profumo»«Non dovevano abolire le provincie e risparmiare i soldi di quella tassa? Ma pensa te se i comuni devono fare provincia...»«Ma che c'entra... fanno tutto solo per illuderci, alla fine puntano solo al nostro conto in banca!»«E non è finita qui! Come torno a casa trovo il nostro caro figliuolo a piangere e mangiare gelato...»«Non dirmi che si è lasciato con Francesca!»«E invece te lo devo dire... Ci sta malissimo ora...»«Nooo... mi ero affezionata a Francesca!»«Ma come ti eri affezionata, che tutta la città sapeva che gli faceva le corna!»«Si ma era una così brava ragazza, così educata...»«L'apparenza inganna! Poi adesso al TG hanno detto che c'è uno stupratore seriale...»«Il solito straniero eh?»«Ovviamente! Giornata nerissima, e ora tu mi dici di aver tirato sotto un gatto nero? Allora non è ancora finita...»«Mamma mia, mamma mia... Mi sento male... Mi sembra impossibile che stia andando tutto storto...»«Dai, ti vado a cercare qualcosa per calmarti! Torno subito, amore»

Così, il premuroso marito esce di scena. Mi fa tristezza vedere colei che mi ha dato la vita stare così male per banalità del genere! Spero non stia troppo male... Per fortuna si è già rialzata.

«Un po' di cioccolata mi tirerà su!» Eccone un altro, di luogo comune. La cioccolata non ti dà il buonumore. Può farti sentire meglio, sì, ma solo quei venti secondi in cui la mangi; quand'è finita, stai di nuovo come prima. Ma chiaramente, se può pensarla come tutta l'umanità, non si permette di non farlo.

Cosa fa? Invece di andare verso il frigo, apre un cassetto.

Tira fuori un coltello.

Ma non un coltello con la lama rotonda, per spalmare la Nutella. Un coltellaccio, quasi da macellaio.

Lo guarda luccicare, lo muove e per un istante vede il riflesso del suo volto sulla lama.

Uno sguardo agghiacciante. Un ghigno malefico. Non l'avevo mai vista così, sembra assatanata.

Si avvicina lentamente verso di me, brandendo il coltello in mano.

Che cosa vuol fare?! Perché sta venendo verso di me?

Si è fermata davanti a me.Alza il braccio, con il coltello in alto.Non dice niente, ma non importa; lo

fanno i suoi occhi. Occhi aggressivi.Ho paura.Per la prima volta, ho paura.Mi sembra che il tempo rallenti, che

ogni istante stia durando un minuto.E invece, è sempre un istante.Solleva la coperta. Mi tocca la pelle.

Sembra soddisfatta. Io ho un brivido freddo.

Inizia ad abbassare il braccio.Cosa fai?! Non vorrai uccidermi?!? No,

mamma, perché?!? Non farlo, nooooooo.Ma io non ho voce per gridare. Non

ho piedi per scappare.

Si è portata via una parte di me.

La migliore. Quella glassata. n

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premio frascari

CONCORSO LETTERARIO MONICA FRASCARI

Voglio raccontarti di un viaggio. Di terre baciate dal sole e dalle brezza marine. Terre di povertà

e felicità contenute. Voglio raccontarti della terra che amo e di come mi abbia salvato la vita. Mi ero ripromessa di scrivere dell’indescrivibile bellezza delle pianure dorate, dei colori, degli odori speziati; ma nel momento in cui ho cominciato a battere sulla macchina da scrivere ho compreso che l’immagine intrappolata nei miei occhi non sarebbe stata comprensibile a nessuno a meno che non fosse stato a conoscenza della mia storia.

La sentì formarsi nei meandri più nascosti dei mei capelli e scendere piano ma decisa lungo la nuca per insinuarsi poi fra le scapole. Me la ricordo bene quella goccia di sudore che percepii come una pausa fresca da quel calore copioso che mi disidratava le labbra. Tenevo gli occhi bassi e statici sui contorni pesanti della mia ombra mentre sedevo sul bordo, ormai instabile e friabile, di un muretto di pietra bianca e assaporavo così il calore radioso e confortante del sole. Di volta in volta distendevo le gambe e muovevo qualche passo scalzo sulla sabbia rovente.

Sedevo con i piedi poggiati sul bordo del muretto, circondando le gambe sottili in un abbraccio rassicurante. L’innaturale compostezza di quella posizione avrebbe dovuto dire molto di me a quei passanti frettolosi che scrutavo con occhio avido: passeggiavano -per così dire- sul lungo mare, ammirando l’infinita bellezza dell’immensità di quelle acque profonde. Li guardavo vivere le

loro cosiddette vite e mi ritrovai più volte a serrare la mascella qualora mi riconoscessi in un determinato modo di vestire o di portare i capelli. Passai così il tempo: fissando e analizzando estranei che non avrei mai più rivisto nelle loro imperfezioni più nascoste.

Fu in quello stesso luogo che anni prima, nel 1967, lo conobbi. Lo guardavo per caso, passando gli occhi da una persona all’altra, tenendo nascosto il mio imbarazzo adolescenziale. Era poggiato alla palizzata di legno blu che separava la spiaggia dal lungomare, aveva le gambe casualmente incrociate e le spalle leggermente abbandonate contro al muro. Chiunque avrebbe potuto fotografarlo e, mentre la foto di quel ragazzo dall’espressione accigliata avrebbe fatto il giro del mondo, lui non se ne sarebbe accorto, perso in se stesso com’era. La mano destra spaziava a intervalli irregolari lo spazio che separava il fianco dalla sua bocca e portava dolcemente una sigaretta incartata manualmente alle labbra: aspirava serrando gli occhi, come per combattere l’impulso di fare qualcosa. Occhi che, una volta aperti, avrebbero potuto legittimare le verità relative dell’essere. Erano striature dorate che giocavano in un pozzo d’acqua scura.

Come avrei mai potuto conoscere la sua storia allora? Avrei mai potuto immaginare incubi interminabili e urla che avrebbero lacerato il silenzio perfetto del mio piccolo? Mi svegliavo nel cuore della notte e mi ritrovavo a fissare il soffitto con gli occhi spalancati nel buio, sentivo il ticchettio sommesso dell’orologio come un avvertimento che non comprendevo o, meglio, che mi

rifiutavo di comprendere e attendevo quelle urla intinse della disperazione delle sirene notturne che al loro passaggio lasciano venti d’inquietudine, facendo così vacillare le poche sicurezze della vita. Sdraiata sulla schiena mi ritrovavo ad allungare la mano per cercare le sue dita da pianista, ma finivo col serrare fra le dita le lenzuola di quel lino eterno che avevano condiviso i nostri momenti più intimi e belli nella loro disperata sconsolazione.

Una notte realizzai che mancava qualcosa. Il silenzio che aleggiava nell’aria era tastabile e lo percepivo come un masso sul petto. Mi ritrovai a simpatizzare con i superbi del purgatorio di Dante e con la loro pena che pareva eterna. Lui era seduto sul marmo freddo del pavimento con la schiena poggiata alla struttura del letto e fissava il muro. Lo guardai fissare quel bianco perfetto per un tempo che parve interminabile, poi realizzai che lui l’aveva capito. Aveva compreso ciò che io ancora non vedevo, o sentivo.

«Manca qualcosa.» dissi poggiandomi leggermente sul gomito.

«Si è fermato.» Seguii il suo sguardo e compresi. Indicava l’orologio: si era fermato. «Eppure il tempo continua a scorrere...» Vidi le spalle rigide addolcirsi e la testa piegarsi all’indietro sul materasso. Protesi il braccio e passai le dita fra i suoi capelli arruffati. In quel momento cominciò a parlare, come un automa programmato da tempo: «Mi chiedo se sia così la morte. Se sia una dimensione così sconsolata e disperata, ma anche così nitida.»

All’epoca presi quelle parole come un avvertimento e fu per questo che

Testo vincitore del premio Frascari | di Selma InaneL'orologio

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orgia intellettuale

quando, un paio di settimane dopo, lo trovai morto non ne fui sorpresa. Avevo fatto le due rampe di scale che portavano al nostro appartamento, cercato le chiavi nella borsa e avevo aperto la porta. Mi aveva accolto Dvorak nella sua sinfonia più pretenziosa e fu in quel momento che capii. Ferma sulla soglia dell’ingresso sapevo cosa avrei trovato se mi fossi mossa. Mi accasciai sulla soglia della porta e fissai l’orologio in ferro battuto, la cui riparazione veniva rimandata da giorni. Intanto nella camera matrimoniale una Smith and Wesson argentata, ormai fredda, giaceva sul marmo bianco mentre il rosso vermiglio della vita macchiava il lino pallido. Le dita del pianista erano adagiate sul ventre oramai immobile. Ciò che mi sorprese veramente furono le emozioni che provai in seguito: la rabbia, la sconsolazione, ma nascosto sotto a tutto una minacciosa sensazione di sollievo. Lo realizzai una delle monotone mattine che seguirono l’incidente. Trascinando i piedi sul pavimento, mi ero diretta in cucina e apparecchiando avevo sbadigliato, mi ero passata una mano fra i capelli e li avevo legati. Ferma dinanzi al tavolo dal vetro finemente lavorato, fissavo la tovaglietta americana e la tazza con piatto abbinato. Contemplavo come l’ordine perfetto dell’ambiente che mi circondava fosse il paradosso di ciò che provavo, della disperata demolizione del mio io, o almeno a quello a cui ero solita. Guardavo inespressivamente quella tazza che, senza nessuna esitazione avevo poggiato sul tavolo e che non sarebbe dovuta essere lì. Pensavo che guardandola sarebbe semplicemente scomparsa, ma mi limitai a riprendere coscienza dell’ambiente in cui mi trovavo e a voltarle le spalle.

Quando, qualche tempo dopo, ritrovai il coraggio di affrontare me stessa, sedetti dinanzi al guardaroba, piegando e ripiegando file di abiti impeccabili. Stringevo abiti impregnati del suo odore che andava via via sbiadendo. Quando una camicia catturò la mia attenzione. Era semplice: blu, con i bottoni bianco perlato e le cuciture a vista. l’aveva indossata mesi prima e, mentre mi intrecciavo i capelli pronta per uscire, si era fermato dietro

di me, guardandomi attraverso lo specchio. Aveva sorriso e scosso la testa, mostrandomi così l’amore che risiedeva nei suoi occhi. Al ricordo di ciò mi ritrovai a Serrare le mani sul cotone leggero poi affondai il viso nella camicia e respirai. Ero convinta che non avrei mai dimenticato il suo odore, anche quando il suo viso avrebbe cominciato a dissolversi nel vuoto della memoria, cosa che innescava in me il panico, il suo odore l’avrei ricordato.

Scossi la testa al ricordo della disperata ingenuità che risiedeva in quell’affermazione e mi accorsi di un uomo che mi fissava a un paio di metri da me, aveva forse dedotto il perché di quel gesto? La ragione per la quale una donna poco più che trentenne fosse seduta su un muretto dai bordi friabili a contemplare il mare?

Gli occhi erano accigliati per il sole e le labbra sottili erano leggermente socchiuse. Mosse un passo verso di me e protese la mano rugosa. Io mi limitai a fissare allibita quell’uomo sulla settantina che, con tutta la naturalezza del mondo, si sedette accanto a me. Il corpo esile si alzava ad ogni respiro sotto la veste di canapa. Rimase seduto senza pronunciare verbo quando, da un momento all’altro, si decise e cominciò a parlare. Il suo era un arabo impastato da un particolare accento marcato, russo forse. Annuiva fissando l’orizzonte, sorvolando completamente tutti quei turisti che mi ero ostentata a fissare per ore. Mi chiesi se non fosse stato quello l’errore.

Stava parlando di un vecchio orologiaio di San Pietroburgo. Ricordava particolarmente bene quella piccola bottega dalla vernice indaco scrostata nei bordi, le imposte e gli infissi rossi che richiamavano il colorito delle guance dell’orologiaio. Da come la descrisse pareva una bottega incantata nelle sue connotazioni pittoresche. A volte l’orologiaio apriva la porta e la fermava con un ceppo di legno scuro e lui, tornando da scuola, sentiva la musica decisa e provocante provenire dall’interno del locale, una musica che crescendo avrebbe riconosciuto come la Danse Macabre. Fece una pausa e lo osservai perdersi nell’orizzonte dove il sole era oramai prossimo al tramonto.

A dire il vero non sapevo perché mi stesse raccontando di quella particolare bottega che incantava i suoi occhi da bambino. Ma crescendo ho imparato che tutte le coincidenze della vita, anche le più insignificanti, hanno uno scopo che, per cocciutaggine personale, mi ostento a immaginare come un avvertimento che la vita offre a noi poveri esseri umani, vittime della nostra insulsa impotenza, per permetterci di coglierlo e forse cambiare le cose. Fu per questo che trovai particolarmente bizzarro il fatto che quell’uomo mi stesse raccontando di un orologiaio. Un orologiaio che scomparve nel nulla. Si passò una mano fra i radi capelli e continuò. Quando l’orologiaio morì nessuno ne seppe niente, ricordava solamente che da quel giorno quella via perse ogni suo colore, come se l’incantesimo legato alla musica si fosse spezzato e tutto fosse tornato ad essere come prima: spento.

Il sole stava ormai tramontando e io contemplavo assorta il tripudio di colori caldi che macchiava l’azzurro opaco di quel cielo di settembre. Nella testa mi risuonava Dvorak e le note accusatorie del suo violino esperto. Avevo compreso l’impotenza dell’essere e la difficoltà che comportava. Sottovalutando la vita, mi ero rinchiusa nel mio piccolo: una stanza buia con un’unica finestra serrata dalla paura del giorno e dalle rivelazioni che avrebbe portato con sé. Quell’improvviso momento di realizzazione mi ricordò quando, anni prima, lessi per la prima volta autori come Salinger, Fitzgerald o Kafka e provai per la prima volta l’insostenibile peso dell’essere. Chiusa nella biblioteca universitaria, al riparo da compagne di stanza invadenti e rumorose, fu come se le pagine di quei libri si trasformassero in artigli aguzzi e mi lacerassero gli occhi fino a quel momento chiusi nel loro torpore sicuro.

Avevo vissuto la mia vita come la protagonista di una ballata ottocentesca, intrappolata in un corsetto troppo stretto e un abito adornato di sontuosi eccessi. Ballavo in circolo, occupando la sala da ballo, mentre gli scheletri della morte mi contemplavano nascosti nelle ombre dei tendaggi pesanti. →

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funny corner

Io ballavo con la musica facendo mia ogni singola nota. Finché non mi fermai: il corsetto era troppo stretto e le vesti troppo pesanti. Mi immaginai sgusciare fuori da quegli abiti dal peso insostenibile e uscire a grandi passi dal palazzo.

Fu in quella stessa maniera che scavalcai il muretto e corsi in contro al mare irrequieto: la sabbia ormai fredda attutiva i miei passi impacciati e le acque profonde abitate dalle anime del passato mi chiamavano in un canto a me sola comprensibile.

Quello strano paese in cui mi trovavo aveva un modo di dire, una formula che utilizzava per ogni cosa.

La sentivo dire ai commercianti di tappeti mentre seduti dinanzi ai loro bazar sorseggiavano il shay, quel particolare thè schiumato, e parlavano di come stesse procedendo il mercato ortofrutticolo; la pronunciavano come ringraziamento i pescatori che trainavano i carretti del pesce per le vie della città nelle ore mattutine urlando parole e prezzi a me sconosciuti. Era una cosa che mi piaceva sentire nelle donne davanti ai particolari hanut, le botteghe dove si trovava qualunque cosa. Quella parola era pura speranza a cui avrei voluto credere con la facilità che vedevo riflessa nei loro sorrisi. Dicevano inchallah, il che voleva dire: se Dio vorrà. Era un augurio per il

futuro. E anche io, in quel momento più che mai, desideravo la capacità di credere in qualcosa così ciecamente. Volevo vedere quel domani che ormai mi era estraneo.

Mi abbandonai all’acqua e mi lasciai cullare da essa. Gli occhi rivolti verso il cielo e il calore degli ultimi raggi solari sul viso. Non sapevo cosa mi avrebbe riservato la vita, se nuovi inizi o nuovi incontri. Sapevo solo che in quel momento provavo una cieca fiducia nei suoi confronti e fu così, con la consapevolezza che non avevo mai avuto il bisogno di essere salvata, che mi lasciai cullare dal ritmo sommesso di quelle acque salate. n

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attualità copernicana

S ono anni che leggo questi 4 fogli, rilegati un po' di merda (sono l'unico impedito che non riesce

a girare bene le pagine?); ricreazione, lezioni di storia, pausa cacca*, tutti momenti che in mancanza di meglio, sono perfetti per Orgia. Grafica accattivante, colori sgargianti, labirinti e sudoku di alto livello mi attirano come un'apona su un bel tulipano. Scherzo. Lo leggo per i pareri, i pensieri, gli strafalcioni, e nella speranza di trovare una seconda puntata di "I cammelli commossi esplosero". E sono contento di averne sempre una copia nel sottobanco.

Sempre meno copie, sempre più corte. Perché un branco di Jordan con

addosso dei maraglietti non dovrebbe dettare legge; via il diritto di voto a loro, come lo abbiamo tolto a quelli che guardavano "Natale in crociera".

Che poi qualcuno il basket se lo incu*censored*lava anche prima.

O siamo diventati lettori di nicchia? O già essere lettore mi pone in una nicchia? Tolti quelli che comprano il quotidiano copernicano per l'angolo dell'enigmistica, quanti lettori effettivi restano?

Io tengo a questo giornalino. Conosco ex-copernicani che conservano ancora tutti i numeri di cinque, sette, dieci anni fa. Gli appunti di fisica, invece, bruciano già da un pezzo.

E se a troppi pochi fregasse qualcosa, fatemi almeno il piacere di farlo durare un altro anno, tempo di finire le superiori con il mio straccetto nel sottobanco. Ai rappresentanti del 2016 potete dire che stampare il catalogo della Nike porta molti più introiti.

Orgia non deve morire.

Attualità Copernicana | Anonimo

Lettera di unanonimo lettore

* tengo a precisare che non ho uso di defecare in sede scolastica, il via-vai mi mette ansia e ho il terrore che la bidella con il paspartù (le donne amano i francesismi sbagliati) venga a controllare il motivo di tale puzza. E poi la mamma me lo diceva che la popò non si fa fuori dal proprio vasino.

** nel caso debbano essere censurate le brutte parolacce, che se le leggono i primini le imparano e poi le dicono, chiedo che merda sia sostituito con mirra, cazzo con cazzuola, e francesismi con "parole che fanno colto".

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