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mag-giu 2015 06 ISSN 2384-9029

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maggio - giugno 2015

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mag-giu 201506

ISSN

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DIRETTORE EDITORIALE

Emilio Antoniol

COMITATO EDITORIALE

Valentina Covre

Francesca Guidolin

Daria Petucco

REDAZIONE

Filippo Banchieri

Margherita Ferrari

Valentina Manfè

Michele Menegazzo

Chiara Trojetto

PROGETTO GRAFICO

Valentina Covre

Margherita Ferrari

Chiara Trojetto

OFFICINA*

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Carlo Beltracchi, Alberto Bin, Laura Bottaro, Massimo Branca, Alessandro Carabini, Francesco

Ferrari, Giorgio Gaino, Alberto Lago, Francesca Marchina, Adriano Mauri, Pierpaolo Ruttico,

Sara Sagui, Lidia Savioli, Luca Stancari, Luisa Vittardello

IMPAGINAZIONE GRAFICA

Margherita Ferrari

EDITORE

Self-published by

Associazione Culturale OFFICINA*

info@offi cina-artec.com

ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale

Università Iuav di Venezia

Copyright © 2014 OFFICINA*

Bimestrale on-line di architettura e tecnologia

N.06 maggio-giugno 2015

ISSN 2384-9029

Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su :

www.offi cina-artec.com/category/publications/offi cina-magazine

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Il “Progetto per il perfezionamento dell’uomo”

Antartide, 13 settembre 2000. In seguito agli esperimenti condotti

dalla Seele su un Angelo - un robot umanoide denominato Adam -

si verifi ca il Second Impact, una catastrofi ca esplosione che causa lo

scioglimento della calotta australe e una variazione d’inclinazione

dell’asse terrestre. I successivi cambiamenti climatici e lo scatenarsi

di confl itti globali portano alla morte di tre miliardi di persone.

Neo Tokyo-3, 2015. Sui cieli della ricostruita Tokyo appare il terzo

Angelo, intenzionato a distruggere nuovamente la città, ma a que-

sto si contrappongono le tre unità EVA pilotate dagli adolescenti

Shinji Ikari, Rei Ayanami e Asuka Soryu Langley.

È cosi che inizia Neo Genegis Evangelion, capolavoro Anime degli

anni ‘90 diretto da Hideaki Anno, in cui il tradizionale impian-

to narrativo delle opere mecha si fonde con un’attenta trattazione

psicologica dei personaggi, indagando tematiche quali le relazioni

interpersonali, la vulnerabilità umana, il rapporto uomo-macchina.

Innovativo è anche il mecha design che vede robot umanoidi, gli Evan-

gelion, pilotati attraverso un’interfaccia neuronale che li connette ai

sistemi nervosi dei piloti, trasferendo ad entrambe le parti gli im-

pulsi legati al movimento e al dolore. In questo scenario fantascien-

tifi co si dipana il “Progetto per il perfezionamento dell’uomo” che,

dopo l’eliminazione dell’umanità, punta alla sua evoluzione verso

una nuova dimensione priva di debolezze.

Oggi, informatica, ingegneria robotica e digitale non sono ancora

giunti a tali limiti estremi ma si pongono sempre più come nuovi

paradigmi della vita moderna, infl uendo in tutti i settori del quo-

tidiano, compreso quello del progetto e della costruzione edilizia.

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INDICE ESPLORARE

Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria.di Emilio Antoniol

KUSTERLE. Il corpo eretico.di Valentina Manfè

Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento

di Valentina Manfè NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari

di Margherita Ferrari

PROGETTO&DIGITALE

Robot: da schiavi senz’anima a s-oggetti socialidi Francesco Ferrari

God is in the Processdi Alessandro Carabini

Evoluzione architettonica dei grattacieli nell’era digitaledi Alberto Lago

Padiglione Copagri Expo Milano 2015di Pierpaolo Ruttico e Carlo Beltracchi

Stampare l’architetturadi Alberto Bin e Luisa Vittadello

PORTFOLIO

Looking for Venicefoto di Massimo Branca, testi di Francesca Guidolin

IN PRODUZIONE

Come nasce una cucinadi Chiara Trojetto

VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

Architetto in viaggio senza rottadi Francesca Marchina

Riabitare spazi marginalidi Sara Sagui

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in copertina:Hand Work

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immagine di Luca Stancari*

*Stanca Collage è Luca Stancari, architetto e

artista modenese. Polie-drico, negli ultimi anni si è dedicato all’espres-sione del suo estro in

varie forme d’arte, dalla fotografi a alla medita-zione tramite il viaggio in bicicletta. Ama creare con il collage manuale vi-sioni di mondi immagina-ri, come trasposizione delle

sue esperienze di vita.

stancacollage.tumblr.com

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N.06 MAG-GIU 2015 3

Car design: il ruolo dei prototipi di ricercadi Giorgio Gaino

IMMERSIONE

Villes Africanes en mouviment di Francesca Guidolin

DECLINAZIONI

Sistemi di copertura in metallodi Daria Petucco, con Prefa Italia srl

MICROFONO ACCESO

Aris Architectsa cura di Emilio Antoniol

CELLULOSA

Architettura generativaa cura di Emilio Antoniol

ARCHITETT’ALTRO

Il piano Bdi Lidia Savioli

(S)COMPOSIZIONE

Mixed-tape di Daria Petucco

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ESPLORARE

La mostra ripercorre gli ultimi dieci anni di attività di Vittore Carpaccio (1515 - 1525) per poi approdare alle prime produzioni del fi glio Benedetto analizzando, attraverso un percorso di cinquanta opere, i mutamenti politici e culturali che hanno coinvolto la Venezia del ‘500. Partendo dalla produzio-ne matura del maestro in cui si percepisce “una visione sospesa tra realismo e utopia” come nelle storie di Sant’Orsola o nei suc-cessi di San Giorgio sul drago, si arriva alla produzione del nuovo secolo segnato da guerre, crisi politiche e contrasti religiosi che si traducono in una verifi ca anche nel linguaggio fi gurativo di Carpaccio. A ciò si somma il progressivo spostamento degli in-teressi del pittore da Venezia all’Istria dove il fi glio Benedetto sposterà defi nitivamen-te la bottega. In mostra oltre a capolavori come il San Giorgio che lotta con il drago di San Giorgio Maggiore troviamo anche opere da riscoprire come il Trittico di Santa Fosca ricomposto per la prima volta dopo cinquant’anni.

di Valentina Manfè

Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria

Palazzo SarcinelliConegliano, TV07 marzo 2015 – 28 giugno 2015www.mostracarpaccio.it

di Emilio Antoniol

“Ho sempre pensato che l’arte sia il raccon-to della vita. Non mi sono mai sottratto a questa forza che mi conduce, e non ho mai considerato di oppormi ad essa. Ho sempre immaginato come una cosa inutile il fare re-sistenza alla vita che scorre e fl uisce. A volte ti frusta violentemente, ma altre volte ti con-segna alla felicità più piena. Così il progetto di questa mostra nasce (…) dal contatto e dallo sfregamento ruvidissimo, proprio con la vita.” Queste le parole di Marco Goldin, curatore dell’ampia esposizione costituita da 115 opere suddivise per temi. La mostra è come il fl uire della storia dell’arte nel tempo e nello spazio ripercorsa mediante la rappre-sentazione della notte e della sera. La notte eterna che incarna la vita delle statue d’Egit-to, la sera dei pittori del Cinquecento e del Seicento, l’oscurità delle Carceri del Pirane-si, la natura serale e notturna dei dipinti del XIX secolo e la notte nell’astrattismo ame-ricano del Novecento. La mostra è legata da un fi lo lasciato da Antoine de Saint-Exupé-ry, in particolare con il Piccolo principe, sto-ria di notti e di stelle, di solitudini e silenzi.

Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento

Basilica PalladianaPiazza dei Signori, Vicenza24 dicembre 2014 – 02 giugno 2015www.lineadombra.it

di Valentina Manfè

La fotografi a di Roberto Kusterle nasce da una formazione che trova radici nelle arti visive e nella pittura. Costruisce immagini visionarie e surreali dove lo scatto fotogra-fi co è il momento ultimo di un lunghissi-mo percorso di progetto e di preparazio-ne dell’installazione, che diventa quasi un momento di liberazione. In ogni fotografi a viene catturata la spiritualità degli elementi della natura e dell’essere umano. Si legge la continuità del rapporto tra la natura e il cor-po dell’uomo, il quale funge da mediatore, una continuità che viene messa in scena in uno spazio astratto e senza tempo. L’espo-sizione antologica trentennale dell’artista all’interno della Galleria non obbliga ad un percorso ma è libera, in quanto Kusterle vuole che chiunque la percorra segua l’e-mozione e faccia dei veri e propri incontri con le opere.“Trasporto nel mio lavoro le sensazioni percepite quando mi inoltro nei boschi o lungo il fi ume. Probabilmente se abitassi in una grande città queste cose non le coglie-rei”, sono le parole dell’artista.

KUSTERLE. Il corpo eretico

Galleria Harry Bertoia, Palazzo SpelladiPordenone18 aprile 2015 – 09 agosto 2015www.comune.pordenone.it

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La mostra racconta attraverso le fotografi e di Adriano Mauri la realtà dei siti minerari dell’Iglesiente, Sardegna. Gli scatti non si limitano a descrivere gli impianti industriali bensì esaltano i protagonisti che hanno vis-suto questo territorio. Ed è proprio attra-verso i loro volti e le tracce del lavoro, che Mauri vuole descrivere questi luoghi, oggi non più fruibili ma di grande valore storico e archeologico. La mostra articolata su più sezioni vuole descrivere la realtà delle minie-re proprio attraverso il lavoro delle persone, esaltandone ciascun aspetto anche tramite la stessa scelta dei colori, il cui contrasto ri-chiama l’effetto della luce alla fi ne della lun-ga giornata al buio: accecante. La mostra è promossa dall’Associazione Save Industrial Heritage, in collaborazione con il Museo del Patarimonio industriale di Bologna, con il patrocinio del Comune di Iglesias, della Regione Sardegna, del Consorzio del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna e dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico industriale, ed è sostenuta dalla Filctem Cgil Sulcis-Iglesiente.

di Margherita Ferrari

NERO SULCIS. Minatori e paes-aggi minerari

Museo del Patrimonio Industriale di Bologna – ex Fornace GalottiVia Beverara, Bologna05 maggio 2015 – 15 luglio 2015www.archeologiaindustriale.net

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of their objects thanks to the use of a digital machine. A new industrial revolution is started and it is called “postdigital” revolution.The following articles will gather some research and “production” experi-ences related to this new approach to the project. They fi nd in architecture one of the most promising areas to investigate the future potential of these new production systems.

The Italian term digitale, whose Latin origin digitus indicates the word fi nger, is referred to the English word digit and defi nes objects that can be described by numbers. The term becomes widespread with the advent of computer science and in particular with the development of the binary code, a numerical coding system based on only two digits: 0 and 1.Digital is the opposite of analogical, everything that is not countable and can not be described by an array of discrete elements. In modern times, however, this opposition is gradually fading thanks to a digital intrusion, like informatics and cybernetics, in all human activities. The increase in computing power and the computers miniaturization allow their integration in all objects, bringing the digital technolog y to everyone and everywhere. Similarly, computers and digital softwares use is increasing also into build-ing and construction sector.Today architecture is almost exclusively built through the use of digital soft-wares that can transform the designer ideas into “countable objects” such as vectors, solids or parametric objects; they can be controlled and modifi ed by simple mathematical operations performed by the machine. But in recent years the digital trend has gone even further, moving from the fi eld of the project to the one of production. The introduction of CNC machines, BIM design, the use of robots and 3D printing are now opening a new frontier for the project and its implementation. Digital can be a fertile ground for the de-velopment of a new method of production. It is different from the traditional serial production system allowing a wide range of product customization. In that way the user can defi ne himself shapes, colors, materials and fi nishes

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L’di Emilio Antoniol

uso del termine digitale, la cui origine lati-na digitus rimanda alla parola dito, fa però riferimento all’inglese digit - cifra - e va a defi nire tutto ciò che può essere descritto attraverso numeri. Il termine si diffonde con l’avvento delle scienze informatiche e in

particolare con lo sviluppo del codice binario, un sistema nume-rico di codifi ca basato su sole due cifre: 0 e 1.Al digitale si contrappone l’analogico, ossia tutto ciò che non è numerabile e non può essere descritto mediante un insieme discreto di elementi. In epoca moderna, tuttavia, tale contrap-posizione si sta progressivamente affi evolendo, vedendo una sempre più forte intromissione del digitale in tutte le attività umane, basti pensare all’enorme diffusione dell’informatica e della cibernetica in ogni attività dell’uomo, dal lavoro al tempo libero. L’aumento delle capacità di calcolo dei computer e la loro miniaturizzazione permettono una sempre più facile integrazio-ne di tali dispositivi in tutti gli oggetti portando la tecnologia digitale alla portata di tutti. Allo stesso modo computer e softwa-re entrano anche sempre più spesso nei nostri edifi ci, sia come oggetti d’uso che come strumenti di progetto, di gestione o di monitoraggio.Anche in ambito architettonico, infatti, la tendenza al digita-le si è fatta sempre più evidente rendendo indispensabile l’uso del computer nella progettazione edilizia. Oggi si costruisce

quasi esclusivamente grazie all’uso di software digitali in grado di trasformare le idee del progettista in “oggetti numerabili” quali vettori, solidi o oggetti parametrici che possono essere controllati e modifi cati mediante semplici operazioni matema-tiche eseguite dalla macchina. Ma negli ultimi anni la tenden-za verso il digitale si è spinta ancora più in là, spostandosi dal campo del progetto a quello della produzione. L’introduzione di sistemi e macchinari a controllo numerico, la progettazione BIM, l’uso dei robot e la stampa 3D stanno oggi aprendo una nuova frontiera del progetto e della sua realizzazione che trova nei “sistemi digitali” terreno fertile per lo sviluppo di nuovi me-todi di produzione. Questi si discostano dai tradizionali sistemi di produzione seriale rivolgendosi invece verso una sempre più ampia possibilità di personalizzazione e “customizzazione” del prodotto, dove l’utente stesso può decidere attraverso l’uso di un software digitale forme, colori, materiali e fi niture dei propri oggetti. Ha così avvio una nuova rivoluzione industriale, quella “postdigitale”.Gli articoli che seguono raccolgono alcune esperienze di ricer-ca e “produzione” legate a questo nuovo approccio al progetto che trova proprio nel mondo dell’architettura uno degli ambiti più promettenti, andando ad indagare soprattutto le potenzialità future di questi nuovi sistemi e le conseguenti opportunità che il digitale può offrire.

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Robot: da schiavi senz’anima as-oggetti socialiLa trasformazione delle macchine e l’ascesa dei social robot

Francesco Ferrari è PhD Candidate, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, Università di Trento.e-mail: [email protected]

di Francesco Ferrari

robot stanno cambiando e con loro il no-stro mondo. Queste macchine, create ini-zialmente per lavorare nelle fabbriche ripe-tendo con estrema precisione la medesima operazione, sono state fi nora considerate alla stregua di servitori senza volontà. Il

termine stesso “robot” deriva dalla parola ceca robota e signifi ca appunto “schiavitù”.Tuttavia siamo davvero sicuri che il futuro dei robot sia quello di essere considerati per sempre dei nostri servi privi di alcuna carat-teristica umana? Gli attuali cambiamenti sociali e i conseguenti nuovi sviluppi nella robotica sembrano suggerire il contrario.Il rapporto delle Nazioni Unite sul fenomeno dell’invecchiamento globale sostiene che nel 2050 le persone anziane sul nostro pia-neta saranno oltre 2 miliardi, e in Europa rappresenteranno più di un terzo della popolazione totale. Di fronte a tale scenario, lo sviluppo di nuove tecnologie che siano in grado di dare assistenza all’uomo diviene una scelta necessaria per evitare il collasso della società. La tecnologia e la robotica del prossimo futuro non dovranno semplicemente sopperire alla mancanza di forza fi sica e capacità razionale umana, ma creare artefatti in grado di svolgere anche compiti di natura sociale. Le macchine dovranno essere in grado di interagire con le persone e l’ambiente in cui queste vivono. Oggi possiamo assistere alle prime prove della futura convivenza tra esseri umani e robot, ad esempio negli ospedali per accogliere i pazienti, nelle carceri per controllare i detenuti, nei centri com-merciali per fornire alle persone informazioni su negozi e prodotti. Siamo quindi di fronte ad una profonda trasformazione tecnologi-ca e alla nascita di un nuovo tipo di macchina: il robot sociale. B.R. Duffy, ricercatore del Media Lab Europe, defi nisce questo nuovo tipo di robot come “un’entità fi sica dotata di un corpo che si trova all’interno di un complesso e dinamico ambiente sociale, e che è in grado di mettere in atto comportamenti che mirano a raggiungere

Global changings are leading to a deep transfor-mation in robotics and to the development of a new kind of machine, the social robot. This type of robot is created to interact with people and play a social role in human society, so the aim of social robotics is to understand how to improve the communication and the relation between ro-bots and humans. The human-likeness of robots represents an open issue in social robotics and literature show different results and theories on possible effects in creating robots that resemble real persons.In this article different points of view on this theme are presented, focusing on the possible so-cial-cognitive processes which can affect the inte-raction with humanlike robots and highlighting the importance of human psychological analysis within social robotics.

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01i propri obiettivi e quelli della sua comunità.”Lo scopo della robotica sociale diviene quello di creare macchine che possano interagire in maniera soddisfacente con gli umani e per tale motivo le ricerche in questo campo mirano a comprendere quali siano le migliori caratteristiche per questo tipo di robot.Un’idea diffusa è che la somiglianza dei robot agli esseri umani possa migliorare l’interazione tra macchine e persone. Gli indivi-dui, osservando un robot che mostra un aspetto e un comporta-mento simile al proprio, possono infatti utilizzare gli stessi schemi della comunicazione umano-umano e interagire con il robot in maniera naturale. Inoltre la somiglianza con le persone reali fa-vorirebbe il processo psicologico dell’antropomorfi smo, che può essere defi nito come la tendenza innata che spinge gli individui ad attribuire caratteristiche umane (come volontà, mente e capacità di provare emozioni) a un agente non-umano. In robotica sociale, lo scopo di questo processo psicologico è quello di razionalizzare le azioni del robot e prevedere i suoi comportamenti.Secondo alcuni ricercatori, l’antropomorfi smo migliora l’impres-sione che abbiamo nei confronti di un robot. F. Hegel, ricercato-re presso la Bielefeld University, ha dimostrato come (a parità di condizioni) un robot dotato di aspetto umanoide, venga percepito come più intelligente, simpatico e amichevole rispetto a un compu-ter o a un robot meccanico. L’antropomorfi smo nei confronti dei robot non viene infl uenzato solo dall’aspetto esteriore. In uno studio condotto da A. Waytz,

siamo sicuri che il futuro dei ro-bot sia di essere considerati per sempre dei nostri servi privi di alcuna caratteristica umana?

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psicologo alla Northwestern University, è stato osservato come i partecipanti mostrassero maggiore fi ducia nei confronti di un simulatore di guida di un’automobile autonoma, quando questo, comunicando con loro attraverso una voce umana, veniva antro-pomorfi zzato maggiormente. A. Waytz sostiene che “la tecnologia sembra in grado di svolgere meglio il compito per cui è stata pro-gettata quando sembra possedere una mente simile a quella uma-na.”Se da un lato una maggiore somiglianza dei robot agli esseri umani sembra migliorare la relazione uomo-macchina, vi sono però alcu-ne teorie e studi che evidenziano possibili problematiche legate a tale questione.La teoria dell’Uncanny Valley, descritta dal pioniere della robotica M. Mori, sostiene che al crescere della somiglianza fi sica del robot all’essere umano, possiamo osservare una reazione maggiormente positiva da parte delle persone. Tuttavia se viene superato un dato

(non specifi cato) limite e il robot diviene troppo somigliante a un essere umano, le persone provano sentimenti di repulsione e in-quietudine nei suoi confronti. Mori afferma quindi che macchine con forme umane, ma con un aspetto chiaramente robotico, come l’umanoide ASIMO, portino le persone a provare emozioni positi-ve nei suoi confronti, mentre robot molto simili agli esseri umani, come l’androide DER-01, cadano all’interno dell’Uncanny Valley e provochino reazioni negative. Il possibile movimento del robot accentua gli effetti positivi o negativi della sua human-likeness.Mori nel descrivere l’Uncanny Valley non spiega le motivazioni e i processi sottostanti tale fenomeno, e ancora oggi la sua teoria su-scita un vivace dibattito nel campo della robotica sociale.Gli studi condotti per investigare tale tematica sono numerosi così come le possibili spiegazioni a questo fenomeno. K.F. MacDorman, professore di informatica all’Indiana Univer-sity, e H.Ishiguro, professore di ingegneria all’Osaka University, affermano che la visione di un robot con aspetto umano possa portare le persone a immaginarsi che tale macchina sia in grado di muoversi, comportarsi e dialogare come una persona reale. Quan-do queste aspettative vengono disattese le persone reagiscono ne-gativamente verso il robot. C.H. Ramey, professore di psicologia alla Kansas University, collega l’Uncanny Valley a un problema di categorizzazione. I robot simili agli umani, trovandosi ai confi -ni tra le categorie “animato” e “inanimato”, possono portare le persone a vivere un confl itto cognitivo e a reagire negativamente nei loro confronti. K. Gray, professore di psicologia alla North

lo scopo della robotica sociale diviene quello di creare macchi-ne che possano interagire con gli esseri umani

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Carolina University, sostiene che la reazione negativa sia legata al fatto che l’aspetto umano dei robot ci porti ad attribuire loro la capacità di provare emozioni, una caratteristica non appartenente al concetto stesso di “macchina”.In ogni caso, come evidenzia A.M. Rosenthal-von der Pütten ri-cercatrice all’Università di Duisburg-Essen, è impossibile fornire una spiegazione univoca all’Uncanny Valley dato che questa sem-bra essere il risultato di un insieme di diversi fenomeni e può avere perciò differenti cause. Un diverso punto di vista riguardo il tema della somiglianza dei robot agli esseri umani, viene poi offerto da quei ricercatori che sostengono l’importanza di un legame tra i diversi elementi che caratterizzano un robot sociale. Questi studiosi mettono in evi-denza come la reazione nei confronti di un robot non sia legata a un suo elemento specifi co, ma alla concordanza/discordanza tra i suoi diversi aspetti. J. Goezt, professoressa di psicologia al Centre College di Danville, ha evidenziato ad esempio il legame che si viene a creare tra la so-ciabilità del compito, l’aspetto e il comportamento del robot. W.J. Mitchell, informatico all’Indiana University, ha mostrato come la discrepanza tra l’aspetto meccanico di un robot e la sua voce uma-na possa portare le persone a provare sentimenti di inquietudine. A.P. Saygin, professoressa al Dipartimento di Scienze Cognitive della California University, ha collegato l’insorgenza di emozioni che possono essere associate all’Uncanny Valley alla discordanza tra aspetto e comportamento del robot.

La letteratura presenta quindi un quadro complesso e a tratti con-traddittorio per ciò che riguarda i robot sociali, le caratteristiche che dovrebbero possedere e i loro possibili effetti sulle persone. Tutta-via gli studiosi in questo campo si mostrano d’accordo con quanto afferma M. Matarić, docente di computer science e neuroscienze alla Southern California University, secondo cui l’interazione con queste macchine è totalmente differente rispetto a quella che possiamo svi-luppare con un computer, un cellulare e altri intelligent devices.Dato che il compito dei robot sociali è quello di interagire con le persone e avere un ruolo attivo nella società umana, non possono più essere considerati come dei semplici strumenti e devono essere concettualizzati in maniera differente rispetto ai loro antenati usati nelle fabbriche. I robot, dal contesto industriale in cui venivano considerati schiavi lavoratori senz’anima, divengono ora attori so-ciali con cui ci relazioniamo nel nostro ambiente quotidiano.Questo cambiamento non si riduce ad una trasformazione nel modo in cui progettiamo e costruiamo i robot (hardware e software sempre più complessi), ma porta a conseguenze anche sul piano sociale.Se i robot industriali hanno modifi cato non solo la vita lavorati-va nelle fabbriche, ma la società stessa attraverso la produzione di massa e l’abbassamento dei prezzi dei beni di consumo, quali possono essere gli effetti della convivenza con robot progettati per interagire con gli esseri umani?Questo interrogativo e la trasformazione del robot in s-oggetto so-ciale rendono chiara l’importanza all’interno della robotica di quel-le scienze che prendono in esame l’essere umano. Neuroscienze,

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Scienze Cognitive, Psicologiche e Sociali divengono fondamentali non solo per comprendere quali siano le caratteristiche che favo-riscono l’interazione tra persone e robot, ma anche per conoscere le possibili conseguenze legate a questo nuovo tipo di tecnologia.I robot sociali rappresentano quindi una grande opportunità per la società, ma al tempo stesso una questione che deve essere conside-rata di estrema importanza per gli effetti e i cambiamenti che può avere su di noi come esseri umani.

IMMAGINI01 - Robot di assemblaggio industriale KUKA. Immagine tratta da Wikipedia.02 - Il robot umanoide ASIMO svilup-pato dalla Honda. Immagine tratta da Wikipedia.03 - Il grafico illustra la familiarità che l’uomo assume con differenti tipolgie di robot e situazioni, ponendo in eviden-za l’Uncanny Valley. Immagine tratta da Wikipedia.04 - L’androide giapponese DER 01 pre-sentato all’EXPO 2005, Giappone. Imma-gine tratta da Wikipedia.05 - Shadow Dexterous Robot Hand holding a lightbulb. Richard Greenhill and Hugo Elias (myself) of the Shadow Robot Com-pany. Immagine tratta da Wikipedia.

i robot divengono ora attori so-ciali con cui ci relazioniamo nel nostro ambiente quotidiano

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BIBLIOGRAFIA- Duffy, B. R. (2003). Anthropomorphism and the social robot. Robotics and autono-mous systems, 42(3), 177-190.- Goetz, J., Kiesler, S., & Powers, A. (2003, October). Matching robot appearance and behavior to tasks to improve human-robot cooperation. InRobot and Human Interac-tive Commu-nication, 2003. P r o c e e d i n g s . ROMAN 2003. The 12th IEEE International Wor-kshop on (pp. 55-60). IEEE.- Gray, K., & Wegner, D. M. (2012). Feeling robots and human zombies: Mind perception and the uncan-ny valley. Cognition, 125(1), 125-130.- Hegel, F., Krach, S., Kircher, T., Wrede, B., & Sagerer, G. (2008, August). Understanding social robots: A user study on anthropomorphism. In Robot and Human Interactive Communication, 2008. RO-MAN 2008. The 17th IEEE International Sympo-sium on (pp. 574-579). IEEE.- M. Matarić in Kavli Foundation. “To make a social robot, key is satisfying the human mind.” ScienceDaily. ScienceDaily, 3 Fe-bruary 2012, www.sciencedaily.com/rele-ases/2012/02/120203101153.htm- MacDorman, K. F., & Ishiguro, H. (2006). The uncanny advantage of using androids in cognitive and social science research. Interaction Studies, 7(3), 297-337.- Mitchell, W. J., Szerszen Sr, K. A., Lu, A. S., Schermerhorn, P. W., Scheutz, M., & MacDorman, K. F. (2011). A mismatch in the human realism of face and voice produces an uncanny valley. i-Perception, 2(1), 10.- Mori, M., MacDorman, K. F., & Kageki, N. (2012). The uncanny valley [from the field]. Robotics & Automation Magazine, IEEE, 19(2), 98-100.- Ramey, C. H. (2005). The uncanny valley of similarities concerning abortion, baldness, heaps of sand, and humanlike robots. In Proceedings of views of the uncanny valley workshop: IEEE-RAS international confe-rence on humanoid robots (pp. 8-13).- Rosenthal-von der Pütten, A. M., Krämer, N. C., Becker-Asano, C., Ogawa, K., Nishio, S., & Ishiguro, H. (2014). The Uncanny in the Wild. Analysis of Unscripted Human–An-droid Interaction in the Field. International Journal of Social Robotics, 6(1), 67-83.- Saygin, A. P., Chaminade, T., Ishiguro, H., Driver, J., & Frith, C. (2011). The thing that should not be: predictive coding and the uncanny valley in perceiving human and humanoid robot actions. Social cognitive and affective neuroscience, nsr025.- Waytz, A., Heafner, J., & Epley, N. (2014). The mind in the machine: Anthropomorphi-sm increases trust in an autonomous vehi-cle. Journal of Experimental Social Psy-chology, 52, 113-117.

NNNNN.N.N.NNNNNNNNNNNNN.NNNNNNNNN.NN.NN.NNNNNNNNNNNNNN.NNNN.NNNNNNNNNN.NNNNNNNNN.NNN.NNNNNN.N.NN.NN...NN.N.N..NNN 00060606060606060606060606066666060606066060006606600006000006000000000006060000 MMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMAAAAAAAGAGAAGAGAGAGGGGAAAGAGAGAAAGAAGGAAAGAAGAAAAGAGGAAAAAGGAGAAGAAA --G-G-G-GG-GGGGG-G-G---G-G--G-GIUIUIUIUUUUUUUUIUUUUUIUIUIUUUUUIUUUIUUIUIU 222222222222222222222222222222010010000010101010101111100101000000001000010000 555555 55555555555555555555555555555555555 13

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trust in an autonomous vehi-of Experimental Social Psy-13-117.

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God is in the Process

Uomo e Macchina verso un’architettura totale

Alessandro Carabini è architetto e computational designer. Ha cofondato abacO nel 2013, studio di architettura e design con base a Parigi fortemente orientato alla ricerca. La-vora all’intersezione di persone, tecno-logie e spazi.www.abaco.me

di Alessandro Carabini

egli anni ’60 del secolo scorso i laboratori di ricerca di alcune università d’avanguardia si dotano di strumenti e macchine destinate a stravolgere, tra le altre cose, la professione dell’architetto. Come buona parte delle mi-gliori invenzioni, sono il frutto di ricerche

scientifi che stimolate da necessità militari1. Nello specifi co è la US Air Force che durante gli anni della guerra fredda fi nanzia lo svi-luppo di un progetto unico nel suo campo, il CADP, Computer Ai-ded Design Project al Massachusetts Institute of Technology (MIT). In questi anni, tra quegli ingegneri, visionari, studenti e ricercatori, si sperimentano nuovi linguaggi e nuove strade in cui la compo-nente meccanica entra in tangenza con la componente creativa umana. Nascono i primi programmi e le prime interfacce grafi che in grado di creare una connessione uomo-macchina. Tra questi Grasp e Lokat, ma è SkatchPad di Ivan Sutherland che per primo introduce logiche computazionali. L’obiettivo iniziale era quello, attraverso una visione olistica, di ottimizzare complessi processi progettuali fornendo soluzioni architettoniche. Una macchina in grado di analizzare una grande pluralità di fattori e generare auto-maticamente risposte progettuali. L’impiego del computer durante e in accompagnamento al processo creativo generò inevitabilmen-te molteplici e profonde questioni. Dibattito rinvigorito poi dalle teorie cibernetiche emergenti che prefi guravano l’impiego delle macchine per aumentare le capacità umane e dalla teoria dei siste-mi che consideravano l’architettura come un complesso sistema di layer interconnessi e dinamici fondati sulla logica del feedback.In General System Theory (1969) il biologo austriaco Ludwig von Ber-talanffy fornendo un’alternativa ai convenzionali modelli di cre-scita, mostra come in numerose discipline e in natura si applichi lo schema del feedback. Anche il matematico Christopher Alexan-der, uno dei padri dell’idea d’intelligenza aumentata dei cittadini per eliminare relazioni di tipo gerarchico in favore di una società perfettamente simmetrica2, porta contributi essenziali nell’affer-

The electronics and informatics revolution, which in the sixties gave birth to a dense corpus of visionary projects, during the nineties strongly merges the practice. But in a superfi cial way. A deep thought on the man-machine relationship and on the brand new hybrid reality that inter-net is revealing is missed. Digital and material, atoms and bits are increasingly weaving.Today the revolution is done. Thanks to the emergence of new technologies that make the cre-ative and productive process simultaneous, we talk about “postdigital” and new materiality. Inputs and outputs are coincident. In the epoch of planetary computation and the affi rmation of science, it is necessary a 2.0 update of the profession but also the creation of a critical thin-king, and never forgetting that the only human resource that enables us to control the machine is creativity.

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01mazione del processo sulla forma, delle relazioni sull’oggetto. O meglio trasla il signifi cato di forma, da statico oggetto a sistema operativo, stabilendo una dualità tra l’oggetto come agente compu-tazionale e il metodo come processo computazionale.È Gordon Pask a sottolineare come l’architettura non possa essere vista come materia statica priva di alcuna interazione possibile con gli utenti, ma piuttosto debba essere considerata come la somma di sistemi attivi ambientali, sociali e culturali. Questo è un passo fondamentale per ampliare ed estendere l’orizzonte del processo progettuale importando una forte matrice computazionale. Nell’articolo The architectural relevance of cybernetics pubblicato in AD nel 1969 conclude così mettendo in relazione controller e controlled en-tity, ovvero designer e sistema progettato: “Ribaltiamo il paradigma di progettazione, mettendo al centro l’interazione tra l’ambiente e le persone che lo abitano al posto della consueta interazione tra il progettista e il sistema fi sico che disegna.”3

Negli stessi anni Nicholas Negroponte, fondatore di Architecture Machine Group prima (1968) e del MIT Media Lab poi (1985), sviluppa il suo pensiero sull’architettura legittimando la macchi-na come componente fondamentale del progetto e considerando il progettista dotato di un’intelligenza accresciuta tramite le nuove tecnologie a disposizione. In tale ottica ArcMac avrebbe dovuto avviare un dialogo destina-to ad alterare le tradizionali dinamiche uomo-macchina. Non si tratta di sostituire il designer con una macchina autonoma in grado

non si tratta di sostituire il de-signer con una macchina auto-noma in grado di riprodurre un processo creativo, poiché l’in-telligenza artificiale implica una dipendenza

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di riprodurre un processo creativo, poiché l’intelligenza artifi cia-le implica una dipendenza. “Le macchine, per contribuire ad un umanismo ambientale, devono avere un dialogo naturale con il progettista perché hanno bisogno delle sue metafore e delle sue idee immutate. Il dialogo si fonda su di un sistema di tipo computer-aided, non computerised. Il sistema di conseguenza deve includere un processore, alcuni sensori ed attuatori, e un’intelligenza.”4

L’intelligenza per Negroponte non è una qualità passiva, ma attiva, espressa dai comportamenti e accresciuta nel tempo. In Soft Architecture Machine del 1976 Negroponte si spinge oltre met-tendo in dubbio prima la necessità ed il ruolo del designer, aprendo ad un mondo in cui ogni individuo diventa designer. Poi l’architet-tura stessa. E qui Negroponte ha un’enorme intuizione. Immagina un futuro in cui le machine non soltanto dialogheranno con le per-sone durante il processo creativo, ma entreranno esse stesse nell’ar-chitettura. Gli uomini vivranno in macchine sofi sticate capaci di rispondere e adattarsi ai bisogni dell’utente.5 Il progetto SEEK esposto a New York nel 1970 fu la materializzazione di queste idee.

La rivoluzione elettronica ed informatica di questi anni si risolve in un’enorme e utopico corpus di progetti incredibilmente creativi e visionari. Come in tutti i campi artistici, anche in architettura sono anni fertili. Architetti come Yona Friedman e Cedric Price si nu-trono di tali frammenti di innovazione tecnologica e del pensiero e la traducono in progetti, sulla carta, memorabili.Fra i grandi interpreti empirici delle nuove opportunità offerte

dall’informatica all’architettura uno è proprio Price. Proponendo un’architettura dell’improvvisazione costituita di strutture tempo-ranee e mobili a seconda dell’interazione con gli utenti, il progetto del Fun Palace è in grado di adattarsi alla costante evoluzione dei programmi grazie alla capacità del sistema di apprendere, antici-pare e adattarsi.Grazie quindi al computer e a tutto ciò che porta con sé, in una nuova generazione di architetti e tecnologi s’innesta forte l’idea di una progettazione rivoluzionaria, aperta e inclusiva grazie ai nuovi strumenti a disposizione. All’orizzonte vi è la possibilità di supera-re il ruolo consolidato da sempre dell’architetto progettista-imposi-tore per avviare processi di progettazione egualitari e consapevoli

un mondo in cui ogni individuo diventa designer. Poi l’architet-tura stessa. E qui Negroponte ha un’enorme intuizione

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a cui un numero molto più ampio di persone possano prendere parte.6

“Architecture, as it is being practiced for the last two hundred years or so is gradually coming to an end. Sorry to say this: architecture is a dying profession. Software applications and robotic systems will soon become so intelligent and automated that in the foreseeable future -- in my students life time -- architects will cease to be necessary for the design and production of buildings and cities. Everything will be automated like everything else in the world, signifying gra-dual disappearance of the profession of architecture. All that scripting and fabrication systems that are now being explored will be child’s play in the very near future. The urgent thing that is needed the most is to learn TO THINK CREATIVELY beyond the envelope of the discipline of ARCHITEC-TURE as we have known it for the last fi ve thousand years!” 7

Sono vari i fattori che hanno determinato il ribaltamento culturale che stiamo testimoniando, ma certamente la spinta più importante viene dagli sviluppi nei settori scientifi ci che hanno messo a dispo-sizione del dibattito culturale e sociale un’enorme portata di inno-vazioni ed assunti teorici scardinando le basi di molte discipline. Come abbiamo visto già dagli anni Sessanta attraverso vari perso-naggi chiave si hanno le prime sperimentazioni e si gettano le basi di un nuovo pensiero e metodo aperto e generativo per operare in un mondo dinamico e complesso. Ma si tratta di episodi che per quanto innovativi, creativi ed infl uenti restano per lo più ai margini e non vengono recepiti ed assorbiti dalla pratica comune e dall’ac-cademia tradizionalista. Il computer impiega decenni a diventare operativo negli studi professionali. E per la maggior parte viene usato in maniera superfi ciale e al di sotto delle reali potenzialità, come d’altronde indicano la strada gli sviluppatori di software che si concentrano solamente a perfezionare lo strumento di disegno computerizzato per facilitare l’esecuzione. Qui è necessario fare una distinzione fondamentale tra due parole che rifl ettono due ap-procci opposti di considerare il rapporto uomo-macchina, e più

nello specifi co rifl ettono il modo di integrare il computer nel pro-cesso creativo. Computerisation e computation.

“Il modo dominante di utilizzare i computer in architettura oggi è quello del computerisation; entità o processi che sono già concettua-lizzati nella mente del designer entrano, e vengono manipolati o ar-chiviati in un computer. Quindi, la computation, come strumento di progettazione è generalmente limitato. Il problema di tale situazio-ne è che i designers non sfruttano il potere di calcolo del computer.”8

Un approccio computazionale permette, a partire da un’astrazione iniziale, di ottenere nuove informazioni, nuovi dati, mentre l’altro contiene tante informazioni quante inizialmente fornite. E chiara-mente questo si rifl ette nella produzione stessa dell’architettura e nella direzione fi losofi ca a cui i diversi approcci rimandano.

Se è vero che oggi ormai la rivoluzione digitale è apparentemente compiuta, e tante previsioni sono diventate realtà, allora è necessa-rio che la professione dell’architetto e i processi creativi di produ-zione dell’architettura si adeguino alla contemporaneità. Digitale e materiale, atomi e bit tendono sempre più a sovrapporsi, tanto che si parla già da tempo di “postdigital” e di nuova materialità grazie all’emergenza di tecnologie (vedi stampa 3D) che avvicinano tan-tissimo reale e virtuale. Input ed output quasi coincidono. Nell’epoca della diffusione planetaria della computazione è sì ne-cessario un aggiornamento 2.0 della professione ma anche la for-mazione di un pensiero critico senza dimenticare mai che l’unica risorsa umana che ci consente di controllare e gestire le macchine è la creatività. Cinquant’anni dopo le sperimentazioni del MIT, non abbiamo an-cora saputo ritrovare la forza innovativa che sprigionavano proget-ti come il SEEK, e il confronto (sul piano della prospettiva fi losofi -ca) con la maggior parte delle ricerche attuali è impietoso. Ma oggi nel pieno di una nuova rivoluzione industriale grazie a internet e

ma si tratta di episodi che per quanto innovativi, creativi ed in-fluenti restano per lo più ai mar-gini e non vengono recepiti ed assorbiti dalla pratica comune e dall’accademia tradizionalista

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ai suoi modelli collaborativi open-source e tecnologie diffuse, può realmente trovare maturità e concretezza l’idea di una progettazio-ne “totale” come immaginavano i visionari degli anni ‘60. Totale in quanto sintesi del “dialogo naturale” con il computer, in cui l’architetto non è più impositore del proprio gusto e delle “proprie forme”, ma piuttosto una guida che si limita a controllare i processi generativi, in cui il risultato fi nale non è un prodotto della sua sola immaginazione, ma delle capacità generative dei programmi infor-matici. Totale nel momento in cui la creatività dell’architetto viene aumentata in sinergia all’intelligenza della macchina. Totale poiché il progetto si apre ad una molteplicità di menti e discipline molto più vasta. Per parafrasare Weinberger9, il processo creativo, secon-do il modello di internet, sarà molto più creativo e intelligente della somma delle sue idee, testimoniando fi nalmente quell’attesa svolta “processuale” nella cultura architettonica.

abacO è uno studio di design e architettura fortemente orientato alla ricerca.Nato nel 2013 a Parigi dalla volontà di esplorare e connettere un flusso crescen-te di persone, idee, informazioni ed espe-rienze, abacO si distingue per un approc-cio transdisciplinare fortemente creativo e collaborativo.L’obiettivo non è “soltanto” di pensare og-getti e relazioni, immaginare scenari e ar-ticolare spazi. Complessità e molteplicità potenziale, celate dietro i frammenti con-temporanei, chiedono di essere indagate.abacO vede nelle idee creative e innovative il più potente strumento a nostra disposi-zione per proiettarci in un futuro migliore. Come designers, il compito è di individua-re percorsi per realizzarle. Attraverso la combinazione e l’incrocio di inputs e feedback provenienti da una pluralità di fonti d’ispirazione, mira ad in-formare il processo creativo grazie alle innovazioni emergenti – all’intersezione di spazi, per-sone e tecnologie.

abacO lavora, collabora e condivide idee e spazi con diversi creativi provenienti da campi ed esperienze differenti. Nel 2013 è stato esposto al Fuorisalone in occasione della Milan Design Week con il progetto sugli spazi abbandonati Rovine dal Futuro e alla mostra “REplay” a Padova. abacO è curatore del libro “Be City Smart” e co-fondatore/organizzatore dei workshop di computational design “Reaction” a Parigi. Attualmente, è impegnato nello sviluppo del polo e della community d’architettura e de-sign di Volumes, un nuovo spazio di cowor-king parigino. abacO ha dei cantieri in Italia e Francia, e sta lavorando a progetti di ricerca che coinvolgono tecnologie di fabbricazio-ne robotica e stampa 3d, e a modelli open source di progettazione aperta. Alessandro e Alice fanno parte dell’equipe di WeWoW, un collettivo che lavora su co-municazione visiva e strategie grafiche al servizio dell’architettura.

abacO. Collaborative Design Studio Alessandro Carabini – Alice Braggion

anche la formazione di un pen-siero critico senza dimenticare mai che l’unica risorsa umana che ci consente di controllare e gestire le macchine è la creatività

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NOTE1 - Daniel Cardoso Llach, Algorithmic Tec-tonics – How cold war era research sha-ped our imagination of design, in Compu-tation Works, AD, John Wiley & Sons Ltd, 2013, pag.18.2 - Christopher Alexander, A city is not a tree, Ed. Architectural forum, 1965.3 - Gordon Pask, The Architectural Rele-vance of Cybernetics, in AD, John Wiley & Sons Ltd, 1969.4 - Nicholas Negroponte, Towards a hu-manism through machines, in AD, John Wiley & Sons Ltd, 1969.5 - Nicholas Negroponte, Soft architectu-re machines, The MIT Press, 1976.6 - Giuseppe Longhi, L’uomo e la macchi-na, in Marghera Multi.Faces, Tesi di Lau-rea IUAV, 2012.7 - Karl Chu, Post on Facebook, 2014.8 - Kostas Terzidis, Algorithmic architec-ture, Architectural Press (Oxford), 2006.9 - David Weinberger, La stanza intelligen-te: La conoscenza come proprietà della rete, Codice Edizioni, 2012.

IMMAGINI01 - Sketchpad, Ivan Sutherland, 1963.02 - SEEK Project, Architecture Machine Group, New York, 1970.03 - Fun Palace, 1961. Cedric Price.04 - Echord, ETH Zurich – Gramazio & Kohler, 2011-2012.

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Evoluzionearchitettonica dei grat-tacieli nell’era digitaleVerso un nuovo saper fare l’architettura

Alberto Lago è ingegnere, architetto e ricercatore freelance.e-mail: [email protected]

di Alberto Lago

iamo nel pieno della cosiddetta era digitale, dove ogni momento della nostra giornata è scandito da sistemi e mezzi che controllano ogni nostro movimento. Non c’è istante in cui non siamo sempre connessi con il mon-do circostante, tramite un fl usso continuo

di dati. Le moderne tecnologie infl uenzano il nostro vivere e da questo non ne è esente il fare architettura. Nella maggior parte dei casi, questo ha portato alla costruzione di edifi ci che un tempo non erano concepibili o realizzabili. Indipendentemente dall’avan-zamento tecnologico, le fondamenta del saper costruire signifi ca saper sperimentare (come accadeva al tempo dei maestri del rina-scimento). Alla base di ogni innovazione c’è una ricerca accurata e mirata alla scoperta di nuove soluzioni morfologiche e spaziali.

In questi ultimi anni di particolare interesse è la ricerca del costru-ire in verticale, in una sorta di corsa verso l’edifi cio più alto. Tale modo di costruire ha però radici nel passato, per esempio nella Bibbia si fa riferimento alla “Torre di Babele”, dove gli uomini cercano di raggiungere il “cielo”. Nel corso dei secoli questa ten-denza non ha avuto particolari riscontri, eccetto per le costruzioni medievali toscane, le cosiddette “casa-torre”. All’epoca, le città era-no molto piccole e le prime cinte murarie racchiudevano soltanto quello che oggi è il centro storico. La città inizia così a riempirsi di torri a causa della crescita demografi ca. Queste costruzioni as-sunsero presto signifi cati più ideologici e meno funzionali perché ogni torre doveva superare in altezza quella dei rivali. Il tutto assu-me una forte connotazione moderna solo nel XX secolo, quando il termine grattacielo (sinonimo di edifi cio alto) entra a far parte della pratica architettonica. La parola grattacielo nasce nel XVIII secolo per indicare gli altissimi alberi maestri che reggevano le vele nelle navi inglesi. In epoca moderna, il costruire in alto si basa sull’idea del concentrare in un “piccolo” nucleo le attività di una città. Tuttavia, tali necessità sono andate diminuendo grazie all’av-

This is an historical moment for the human kind, because we are in the middle of the so-called digital revolution. Every instant of our lives is tracked by devices that connect us with the surrounding world with a continuous fl ux of data. Modern technologies bias our living habitat and as a con-sequence, also making architecture is becoming infl uenced by digital innovations. This has lead to the development and the construction of buildings that once were not even conceivable. Regardless the technological improvements, the bases of good construction are the capacity of experimenting. Architectural innovation means always-experi-mental research, which usually leads to the dis-covery of new morphological and spatial solutions. Particularly interesting, in the last years, is the pursuit of building in height that has lead to the “competition” of building the tallest construction in the world. All these aspects lead to the main aim of this article, which is to review the major digital tools available for doing architectural de-sign (e.g. parametric and computational design, BIM, etc.). The article terminates with an open discussion about the most prominent technological solutions that could change the architectural design and fabrication in the coming years (e.g. 3d print-ing, robotic fabrication, agent-based design, etc.).

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01vento delle telecomunicazioni e hanno per questo lasciato spazio a nuove ideologie come la celebrazione dello sviluppo tecnologico e la ricchezza. Seguendo queste nuove fi losofi e, i grattacieli comin-ciano ad assumere connotati molto più iconici, che non puntano solo al costruire in verticale ma anche al creare nuove tipologie morfologiche. La nuova ricerca semantica del grattacielo è diret-tamente collegata all’evoluzione tecnologica del XI secolo: la co-siddetta rivoluzione digitale. Grazie a questa trasformazione, negli ultimi anni nuovi sistemi sono utilizzati nella progettazione dei grattacieli. Tra i più interessanti, ci sono la progettazione parame-trica computazionale e il BIM. In aggiunta, nell’immediato futuro, nuove tecnologie di fabbricazione entreranno a fare parte del pa-norama architettonico e ingegneristico (per esempio: stampa 3D, fabbricazione robotica, ecc.).

alla base di ogni innovazione c’è una ricerca accurata e mirata alla scoperta di nuove soluzioni morfologiche e spaziali

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La progettazione parametrica è un processo algoritmico che con-sente l’espressione di parametri e regole che defi niscono, codifi ca-no e amalgamano il rapporto tra l’intento e la risposta progettuale. Il tutto diviene un paradigma del disegno, in cui il rapporto tra gli elementi è per manipolare e comunicare la progettazione di geo-metrie e strutture complesse. Il tutto non è un concetto nuovo, ed è sempre stato parte dell’architettura e del design. L’emergente fi losofi a di pensiero consiste nella progettazione computazionale (Menges e Ahlquist, 2011), che porta a un notevole impatto sulla percezione e realizzazione di forme, spazi e strutture architetto-niche. Cambia il modo in cui la forma è percepita, progettata e prodotta. L’emergere di questa prospettiva è nata dalla confl uenza di diversi modi di pensare, in allineamento con i vari progressi scientifi ci, tecnologici e culturali. In particolare, la progettazione computazionale rappresenta un accumulo di concetti che vanno dalla teoria alla cibernetica dei sistemi e dalla morfogenesi allo svi-luppo biologico. Le fondamenta di tale processo sono la conoscen-za di come i sistemi, la forma e l’ordine matematico si evolvono e operano. Tali dettami introducono nel campo architettonico il concetto di generazione morfogenetica ed evoluzione, che han-no le loro radici nella teoria biologica. Ci si basa su una serie di istruzioni, che riguardano il processo di formazione dove il fattore dominante è l’interazione tra le forze interne ed esterne (Kwin-ter, 2008). La morfogenesi, inoltre, esprime la forte relazione tra formazione e materializzazione dove, in mancanza di un fattore di guida predeterminato, per l’organizzazione della materia sono i fattori ambientali che governano la generazione della forma. Il

la parola grattacielo nasce nel XVIII secolo per indicare gli altis-simi alberi maestri che reggeva-no le vele nelle navi inglesi

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tutto porta a una distinzione tra prodotto e processo, perché non si è a conoscenza di una formazione specifi ca. La computazione può solo catturare i mezzi e i vincoli, che infl uenzano le proprietà specifi che del materiale. La somma di tutti questi concetti por-ta a un approccio generativo per la realizzazione di complesse distribuzioni di materiale, portando alla creazione di formazioni emergenti. Emergente è anche un fattore per il comportamento e la funzione della materia. Questo apre nuove prospettive per il progettista, poiché aumentano le possibilità formali, e il tutto viene anche più profi cuamente applicato nella realizzazione di moltepli-ci capacità comportamentali, non immaginabili durante la genesi del processo. L’aspetto più interessante di sistemi che presentano un comportamento emergente è che tali sono derivati da semplici condizioni, spesso chiamato “agenti” (Holland, 2000). Un agente contiene delle proprietà semplici e l’ambiente defi nisce un insie-me di regole in cui gli agenti interagiscono. Il tutto defi nisce la cosiddetta progettazione basata su agenti (Agent-Based Design), che consiste in un gran numero di agenti che seguono semplici regole locali e interagiscono all’interno di un ambiente predefi nito (Gil-bert, 2008). La base del processo è defi nire gli agenti e le recipro-che relazioni (Bonabeau, 2002). In questo modo, ciascuna entità percepisce l’ambiente circostante e impara dallo stesso tramite una serie di azioni. Un sistema di agenti perciò ha la capacità di im-parare e di aggiustare il suo comportamento nel tempo. Tuttavia, l’applicazione di tali concetti nella pratica architettonica, comincia a svilupparsi solo negli ultimi anni (Ehsan e Menges, 2013). Il tutto porta alla creazione di nuove rappresentazioni morfologiche, che

un agente contiene delle proprie-tà semplici e l’ambiente definisce un insieme di regole in cui gli agenti interagiscono

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seguono determinati principi fenomenologici (Brugnaro e Lago, 2015).

In parallelo alla rivoluzione morfologica computazionale, nel mon-do architettonico si sta facendo strada un nuovo modo di orga-nizzare e gestire l’architettura grazie alla tecnologia BIM. Il ter-mine BIM (Building information Modeling) è utilizzato per indicare la rappresentazione digitale delle caratteristiche fi siche e funzionali di un impianto. La progettazione tradizionale evolve dal disegno tecnico bidimensionale (piante, prospetti, sezioni, ecc.), allo spazio multidimensionale, in cui si estende la concezione puramente tri-dimensionale (larghezza, altezza e profondità) con altre variabili, come il tempo (quarta) e il costo (quinto). Il BIM quindi non copre solo la progettazione geometrica in senso lato, ma anche le altre componentistiche che fanno o faranno parte di un edifi cio (im-piantistica, ciclo di vita di un edifi cio, ecc.). Nel BIM gli oggetti sono defi niti in modo parametrico; cioè gli oggetti sono defi niti come parametri e sono collegati ad altri oggetti. In tal modo, se un oggetto correlato è modifi cato quelli dipendenti sono automa-ticamente aggiornati. Per i professionisti coinvolti in un progetto, il BIM produce un modello virtuale di informazioni dove ogni professionista aggiunge dati specifi ci al progetto riducendo così le perdite di informazioni, che tradizionalmente si verifi cavano, e fornisce informazioni più esaurienti ai proprietari di strutture complesse. Per tutti questi motivi il BIM sta diventando lo stan-dard per la progettazione, la costruzione e la manutenzione di un edifi cio, con una riduzione dei costi e un vantaggio di gestione notevole (Yori, 2011). In relazione a questo sviluppo, negli ultimi anni si è visto il proliferare di software dedicati (Autodesk Revit, Tekla Structures, Bentley, ecc.) che permettono una integrazione totale della tecnologia BIM sia in edifi ci di nuova progettazione che esistenti.

Alla luce di questa nuova spinta tecnologica, sorge spontanea la ne-

il termine BIM (Building infor-mation Modeling) è utilizzato per indicare la rappresentazione digitale delle caratteristiche fisi-che e funzionali di un impianto

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cessità di nuovi metodi di produzione e materializzazione dell’ar-chitettura. La necessità di eliminare l’artifi cialità dell’architettura digitale, a favore di un maggior signifi cato e identità materialisti-ca, rende la prototipazione robotica, il maggior candidato. Negli ultimi anni l’utilizzo di bracci meccanici industriali è diventato sempre maggiore, data la loro versatilità poiché mezzi generici e non legati a particolari applicazioni. Queste qualità scatenano una serie inimmaginabile di libertà nella relazione macchina/oggetto, che contraddistingue l’applicabilità di queste macchine, rispetto ad altri sistemi di fabbricazione digitale (CNC, 3D Printing, ecc.). Lo sviluppo di questo sistema tecnologico porterà a superare la limita-zione del ripetersi degli elementi costruttivi, in favore di un gruppo differenziato di elementi progettati su misura e non legato a sche-mi predefi niti. La fabbricazione robotica del domani non sarà più legata a limiti o ideologie, ma permetterà la libertà di sperimentare con ogni elemento architettonico. Questo momento è perciò ma-turo per rivoluzionare la produzione architettonica. I robot con-nettono la tecnologia e il saper fare, come pure immaginazione e materializzazione, come non è mai stato in passato, e hanno il potenziale di modifi care radicalmente le capacità del fare architet-tura. Il tutto elimina il carattere artifi ciale e l’astrazione del digitale in architettura e infonde un signifi cato più materiale, con un forte connotato di identità. Possiamo così considerarci alle porte di una “seconda rivoluzione digitale” (Gramazio e Kohler, 2014).

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IMMAGINI01 - Visione della Torre di Babele. Immagi-ne di “Turris Babel”, 1679. 02 - Vista “casa-torre” San Gimignano. Immagine tratta da www.casagirasoli.com03 - San Francisco Transbay Transit Cen-ter. Immagine tratta da www.som.com04 - Diagramma algoritmico del compor-tamento a stormo. Immagine di Brugnaro e Lago, 2015.05 - Progettazione e fabbricazione robo-tica di edifici alti. Immagine di Gramazio e Kohler, 2014.06 - Algoritmo di comportamento a stor-mo “Swarm Behaviour”. Immagine di Bru-gnaro e Lago, 2015.07 - Modello fisico rappresentativo del comportamento a stormo: erosione di una forma geometrica predefinita. Immagine di Brugnaro e Lago, 2015.08 - Digramma concettuale della tecnolo-gia BIM. Immagine di Lago, 2015.09 - Esempio di progetto con tecnologia BIM: 350 Mission SOM.Immagine tratta da www.som.com

BIBLIOGRAFIA- Baharlou, E., e Menges, A., 2013. Gene-rative Agend-Based Design Computation: Integrating Material Formation and Con-struction Constraings. 31st eCAADe Con-ference: Computation and Performance, At The Netherlands: Delft University of Technology, Volume 2.- Brugnaro, G., e Lago, A., 2015. Computa-tional Design and Design Thinking Class. Institute of Computational Design, Univer-sity of Stuttgart, Prof. A. Menges, Tutors. Baharlou E. e Marshall P.- Bonabeau, E., 2002. Agent-based Mode-ling: Methods and Techniques for Simula-ting Human Systems. Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 99. - Gilbert, G.N., 2008. Agent-based Models. SAGE Publications. - Gramazio F., e Kohler, M.m 2014. Made by Robots: Challenging Architecture at a Larger Scale. Architectural Design, no. 229, Wiley.- Holland J., 2000. Emergence: from Cha-os to Order. Oxford University Press. - Kwinter S. ,2008. Far from Equilibrium. Essays on Technology and Design Culture, Actar.- Menges A. and Ahlquist S., 2011. Com-putational Design Thinking. Architectural Design Reader, Wiley.- Yori, R., 2011. The Cost of not doing BIM: Education and Professional Development. Journal of Building Information Modeling, The National Institute of Building Sciences building Smart Alliance, Matrix Group Pu-blishing Inc.

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Padiglione Copagri Expo Milano 2015Progettazione computazionale e fabbricazione a controllo numerico

Pierpaolo Ruttico è architetto-inge-gnere e professore a contratto presso il Politecnico di Milano. É fondatore di INDEXLAB – Creativity & Technology.e-mail: [email protected]

Carlo Beltracchi è architetto-ingegne-re, appassionato di computational de-sign e fabbricazione robotica.e-mail: [email protected]

di Pierpaolo Rutticoe Carlo Beltracchi

a progettazione computazionale unitamen-te alle tecnologie di produzione a controllo numerico stanno radicalmente ridefi nendo il modo di progettare e costruire ad ogni scala di intervento, dal masterplan, all’edifi -cio, all’oggetto. Attraverso la produzione

digitale è possibile approdare ad una nuova visione del cantiere non più come luogo di improvvisazione continua, quanto a luogo di assemblaggio di parti fi nite prodotte industrialmente. Il can-tiere di Expo Milano 2015 può essere considerato un esempio di applicazione delle più avanzate tecniche di progettazione e pro-duzione digitale. Nell’ambito della direzione lavori di Padiglio-ne Italia, il Politecnico di Milano ha avuto un ruolo di supporto tecnico-scientifi co alla realizzazione delle opere. Verrà di seguito descritto il processo di modellazione tridimensionale eseguito da INDEXLAB e fi nalizzato alla produzione del progetto del padi-gione Copagri fi rmato dallo studio di architettura EMBT, posizio-nato nel corner sud-est della Lake Arena e composto da due cupole intersecanti del diametro di venti metri.

Descrizione del progetto e individuazione dei problemiLe cupole sono caratterizzate da una struttura complessa a pattern triangolare: si tratta di travi in legno lamellare di abete che con-vergono ai nodi con diverse inclinazioni. I nodi sono composti da elementi metallici imbullonati tra loro e posizionati sulla testa delle travi.Affrontare la complessità di un progetto di questo tipo richiede un’analisi del problema a più livelli, sia globale che puntuale. Defi -niremo con top-down le strategie operative che partono da una con-sapevolezza globale e per gradi di approfondimento arrivano alla comprensione particolare del problema. Defi niremo con bottom-up i metodi che attraverso la sistematica aggregazione di elementi sem-plici riescono a spiegare situazioni globali complesse.La modellazione tridimensionale di qualsiasi tipo di oggetto ne-

The Copagri pavilion - designed by EMBT ar-chitects for Expo Milano 2015 - is confi gured as two intersecting domes, composed of a plurality of timber struts woven into a complex pattern. The structure is based on a triangular-grid space frame and consists of planar wood elements that converge at nodes at different angles. INDEXLAB conceived an algorithmic model of the pattern, solving geometrical problems through parametric design and iterative processes - and provided the timber construction company with the necessary fi les to effi ciently detail and produce 338 individual gluelam timber elements. The project demonstrates the potential of combin-ing digital fabrication technolog y with wood as sustainable building material. At INDEXLAB, work on development of a system that combines computational design tech-niques with customized robotic operations for the wood industry is being experimented upon for po-tential future application.

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01cessita di un preciso ordine di operazioni che, se opportunamente individuate, possono ridurre i tempi di lavoro e migliorare la qua-lità del risultato fi nale. Al crescere della complessità geometrica cresce l’abilità richiesta nel costruire lo schema logico delle operazioni, che non è più line-are come nei casi semplici, ma assume una struttura ed un’impor-tanza tali da doverlo approntare con strumenti effi caci ed estrema-mente fl essibili. Attualmente la programmazione algoritmica - associata a softwa-re di modellazione tridimensionale - è lo strumento più adatto ad esplicitare tramite l’utilizzo di un codice le operazioni geometri-che, attualizzandole in tempo reale.Questo consente di apportare in qualsiasi momento diversi tipi di modifi che: non solo nei valori numerici legati a grandezze esten-sive quali ad esempio le dimensioni di un elemento strutturale o architettonico, ma anche nell’ordine con cui le logiche di modella-zione devono essere elaborate dal software. A tutti questi elementi, nel caso delle cupole Copagri Expo, si ag-giunge l’impossibilità di stabilire a priori se il problema della cor-retta modellazione dell’intreccio sia geometricamente risolvibile, suggerendo di affi ancare ad una strategia operativa di tipo top-down, in linea con la necessità di rispettare i vincoli di perfetta aderenza alla silhouette individuata dallo studio di architettura EMBT, anche una strategia bottom-up, che parta dalla genetica del singolo elemen-to per determinarne la corretta morfogenesi all’interno dell’inte-

la modellazione tridimensionale necessita di un preciso ordine di operazioni che possono ridurre i tempi di lavoro e migliorare la qualità del risultato finale

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ro sistema. Ciò signifi ca considerare che la tecnologia e la natura strutturale del legno lamellare non ammettono geometrie ritorte: gli elementi devono pertanto nascere da sezioni rettangolari estru-se linearmente e di seguito sezionate con tagli obliqui in prossimità delle facce di testa, tipicamente quelle con area minore. Lavorazioni di questo tipo risultano compatibili con il macchina-rio a disposizione, un centro di lavoro a 5 assi.

Strategie top – down: modellazione delle masse e gene-razione della diagridLa modellazione inizia da una curva base, ottenuta per interpola-zione dei punti associati ai nodi di un meridiano della griglia trian-golare, composta da elementi meridiani e obliqui. Dalla curva base si generano due superfi ci di rivoluzione rispetto ai due assi centrali delle cupole. Tali superfi ci si intersecano in un arco, in corrispondenza del quale vengono individuati i punti di contatto tra le due cupole, ciascuno dei quali dovrà appartenere

contemporaneamente alle griglie dell’uno e dell’altro corpo.Trattando disgiuntamente le due superfi ci di rivoluzione si pos-sono individuare due matrici di punti indipendenti. Per generare correttamente la connessione richiesta tra i due corpi, i punti di intersezione sono reciprocamente sostituiti a quelli delle griglie di base, secondo una logica di attrazione basata sulle distanze relative tra il punto di intersezione e quello più vicino appartenente alla griglia d’origine. La procedura eseguita non deve alterare l’ordine delle matrici ini-ziali. Si ottengono due griglie indipendenti ma complementari di punti e poi di linee, sulle quali è possibile sviluppare gli elementi, dapprima sotto forma di superfi ci bidimensionali, poi di volumi chiusi tridimensionali.

Strategie bottom – up: modellazione degli elementi come superficiL’intreccio degli elementi è composto da tronchi cavi di piramide

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il passaggio da su-perfici ad elementi solidi avviene sfrut-tando le caratteri-stiche intrinseche della geometria, che essendo centrica può essere scalata rispetto ad un pun-to individuato lungo ciascun asse di rivo-luzione

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a base triangolare, alternativamente orientati concentricamente ed eccentricamente. Le superfi ci generate sono esagonali, con due spi-goli liberi e due coppie di spigoli che insistono ai nodi.Dal punto di vista geometrico, si opera in modo che ciascun ele-mento possa essere generato mantenendo intatto il parallelismo tra gli spigoli liberi. Nel caso degli elementi obliqui tale regola è garantita dalla genetica delle operazioni, che prevede l’estrusione delle linee della griglia secondo direttrici perpedicolari ad esse a formare delle superfi ci rettangolari poi tagliate in corrispondenza dell’intersezione con gli elementi adiacenti. Lo stesso non può dirsi per i meridiani, la cui genesi dipende pro-prio dalla perfetta combinazione degli angoli di inclinazione tra elementi obliqui e piani passanti per ogni meridiano, per consen-tirne la corretta intersezione. La presenza di tale intersezione è la condizione necessaria per generare la superfi cie esagonale, mini-mizzando al contempo lo scostamento tra le lunghezze degli spigo-li adiacenti di elementi che insistono sullo stesso nodo.Perché ciò avvenga è necessario adottare un’algoritmo evolutivo che, lavorando a coppie sugli angoli di inclinazione delle superfi ci estruse che compongono gli elementi obliqui e sulla deviazione dei loro alterni, individua la combinazione adatta alla generazione delle superfi ci nella maniera più aderente alle regole inserite.

Generazione degli elementi solidi e della coronaIl passaggio da superfi ci ad elementi solidi avviene sfruttando le

caratteristiche intrinseche della geometria, che essendo centrica può essere scalata rispetto ad un punto individuato lungo ciascun asse di rivoluzione.Fatto questo è possibile eseguire un loft tra superfi ci esterne, non scalate, e interne, determinando uno spessore che può variare a seconda del fattore di scala e della posizione del punto sull’asse di rivoluzione, rispondendo a particolari esigenze di carattere strut-turale. Il range di spessori individuato varia tra i 100 e i 181 milli-metri. L’ultima operazione di modellazione è quella di generazione degli elementi di coronamento delle cupole, che si ottengono spec-chiando l’ultimo ordine lungo Z di elementi meridiani e gli ultimi due ordini lungo Z di elementi obliqui.

Messa in piano e ordinamento degli elementiPer agevolare le operazioni di fabbricazione, i pezzi vengono messi in piano, orientandoli ciascuno secondo la faccia di area maggiore, e ordinati secondo la regola matriciale dedotta dalla griglia iniziale. Ogni pezzo è individuabile secondo un codice univoco che com-prende le diciture:- P / G a seconda che il pezzo si trovi nella cupola grande o piccola;- M / O a seconda che il pezzo faccia parte dei meridiani o degli obliqui;- {i;j} per identifi care riga e colonna di posizionamento del pezzo;È stata infi ne individuata una regola di raggruppamento dei pezzi secondo famiglie di elementi identici valutandone il volume.

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PADIGLIONE COPAGRIEXPO MILANO 2015

ArchitettiMiralles Tagliabue EMBT

Direttore di progettoMakoto Fukuda

Coordinatore di progettoValentina Nicol Noris

Team di progettoDirce Medina, Claudia Baralla, Claudia Manenti, Silvia Pirrera, Gabriele Rotelli, Andres Echevarria, Thomas Hostache, Carlo Cervellieri, Luca Amighetti, Ana De la Cuesta, Ana Zueras, Daniel Combariza

Supporto tecnico e scientificoMatteo Ruta, Emilio Pizzi – Politecnico di Milano, ABC Department

CollaboratoriAlessio Costantino Mirabella, Elena Se-ghezzi, Ivana Congiu

Progetto strutturaleFrancesco Iorio – SIO Studio Iorio

Progetto antincendioGiuseppe Amaro – GAE Engineering

Progetto computazionale e consulenza alla prefabbricazionePierpaolo Ruttico, Carlo Beltracchi, INDEXLAB, Politecnico di Milano

ImpresaForesti Distribuzione Laterizi

Area560 mq

Costo€ 600.000

Mock-up di verifica e produzione in officinaIl processo produttivo degli elementi che compongono la struttura è lineare. Ogni elemento ha informazioni geometriche assegnate in logica di produzione; i fi le vengono tradotti in linguaggio mac-china e prodotti individualmente in modo automatizzato. Prima di procedere alla produzione di tutti gli elementi, sono stati effettuati due mock-up; il primo in scala 1:3 con tecnologia di fabbricazione robotica per verifi care la condizione più sfavorevole di inclinazio-ne degli elementi, al fi ne di valutare la qualità estetica e funzionale del nodo; il secondo in scala 1:1 per individuare la procedura di assemblaggio più effi ciente. La fabbricazione digitale nel complesso si è rivelata utile ed econo-mica, sviluppando una sinergia con la tecnologia del legno lamel-lare che è scaturita in un processo complessivamente sostenibile, dove i tempi di costruzione e le criticità nelle operazioni di mon-taggio sono stati notevolmente ridotti. Lo stesso presumibilmente avverrà per lo smontaggio della struttura alla fi ne dell’evento, pri-ma che se ne decida la futura collocazione. Questa strada oggi pionieristica merita di essere intrapresa nuova-mente, introducendo migliorie che aiutino a snellire ulteriormente il processo, ad esempio integrando un braccio manipolatore nella linea di produzione, per facilitare le operazioni di taglio, fresa e messa in posizione dei pezzi sia in offi cina che in cantiere.

i file vengono tradotti in linguag-gio macchina e prodotti indivi-dualmente in modo automatizzato

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IMMAGINI01 - Fasi di cantiere che mostrano il mon-taggio degli elementi in sommità. L’opera-tore sul cestello riceve il pezzo e lo mano-vra accompagnandolo nella sua posizione. 02 - Vista dall’alto del cantiere. Il posizio-namento degli elementi è eseguito da due autogru telescopiche che lavorano con-temporaneamente su ciascuna delle due cupole. Un operatore su cestello esegue la chiusura meccanica dei giunti metallici.03,04 - La progettazione computazio-nale consente un controllo dimensiona-le simultaneo su ogni componente del manufatto. La sussistenza delle regole necessarie allo sviluppo dell’intreccio è verificata da un algoritmo genetico di tipo evolutivo che minimizza le distanze tra i vertici degli spigoli che tendono a compor-re un’apertura triangolare. 05 - La struttura regolare delle due griglie centriche di base è alterata dalle logiche di attrazione tra le masse, che collegan-dosi determinano un’alterazione degli ele-menti prossimi all’intersezione.10 - Panoramica dall’interno del padiglio-ne. La particolarità dell’intreccio deter-mina un effetto di smaterializzazione degli elementi disposti in parallelo al punto di vista dell’osservatore.06, 09 - La trave in legno lamellare di abe-te viene lavorata da un centro di lavoro a 5 assi. Sono visibili le lavorazioni di taglio inclinato con sega circolare, fresatura e infissione con mortasa. Le informazioni alla macchina sono estratte dal modello digitale.11, 12 - La fabbricazione robotica rappre-senta il primo ponte tra il digitale e il re-ale. La verifica materica del modello 3D avviene attraverso il taglio con filo a caldo di elementi in polistirene che convergono in un nodo tipo, di seguito assemblato in officina INDEXLAB.

INDEXLAB-Creativity&Technology,Politecnico di MilanoGruppo di ricerca multidisciplinare che dal 2010 affronta i temi emergenti dell’ar-chitettura contemporanea, sperimentan-do nuovi metodi di progettazione e svilup-pando innovativi processi di fabbricazione digitale e robotica. www.indexlab.it

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Stamparel’architettura 3D printing e robotica: ricerche e progetti verso l’architettura auto-matica del futuro

Alberto Bin è laureato in Architettura presso l’Universita Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]/Alberto_Bin

Luisa Vittadello è laureata in Archi-tettura presso l’Universita Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

di Alberto Bine Luisa Vittadello

toria della prototipazione rapidaAnche se la prototipazione rapida sembra una tecnologia di recente sviluppo, in realtà è già nota da oltre trent’anni e la sua diffu-sione è in costante crescita. A partire dalla metà degli anni ‘80 iniziano a circolare i

primi macchinari per la stampa 3D; al tempo l’unica tecnica dispo-nibile era la stereolitografi a, un processo lento e costoso. Nel 1986 Charles Hull, ingegnere ed inventore statunitense, ottiene il primo brevetto sulla stampa 3D e lo stesso anno vengono brevettate e immesse sul mercato le stampanti laser. Durante l’anno successivo Hull fonda la 3D Systems lanciando sul mercato il primo disposi-tivo di prototipazione rapida, SLA-1, un sistema che utilizza un processo di stereolitografi a che impiega un laser per solidifi care sottili strati di polimero liquido. Negli anni ‘90 sono state bre-vettate una serie di modifi che a questa tecnologia, ma la stampa 3D come la conosciamo noi oggi nasce nel 2005 allo scadere del brevetto per la stampa a fi lo fuso (FDM). Adrian Bowyer lancia il progetto RepRap con l’obiettivo di creare una macchina in grado di stampare i pezzi per ricreare se stessa. Da questo momento lo sviluppo di altre stampanti diventa esponenziale. Nel 2007 Pettis, Smith e Mayer realizzano un kit base di RepRap ma con una serie di miglioramenti. Solo due anni più tardi si costituisce l’azienda Makerbot e nel 2012 essa inizia a lavorare ad una nuova versione della sua stampante 3D completamente assemblabile dall’utente. Nel febbraio del 2014 scade anche il brevetto per la stampa Selective Laser Sintering (SLS) e questo potrà portare, come nel 2005 per la FDM, ad uno sviluppo accelerato per le stampanti che utilizzano questo sistema.L’invenzione della prototipazione rapida ha creato un cambiamen-to di paradigma nel settore della produzione aprendo verso lo svi-luppo di una nuova gamma di possibilità e tecnologie guidate dal disegno digitale; è possibile produrre oggetti di geometria com-plessa direttamente dal modello matematico dell’oggetto realizzato

As part of the technolog y applied to architectu-re the role of automation is becoming increasin-gly important.In this article we will discuss two dissertations that address this issue. The use of automation systems in architecture is analyzed both from the point of view of research and from the archi-tectural design one, identifying also some future trends.It will also be described an example of a local company, the Venice FabLab, which deals with these technologies and, in particular, with the rapid prototyping systems that made possible the projects realization.

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01con un qualsiasi programma di modellazione. Il processo di realiz-zazione di un oggetto 3D parte dall’analisi del modello salvato nel formato STL. I software (Slicing, CAM software) convertono i modelli 3D in comandi meccanici, i quali permettono alla stampante di procedere layer by layer alla realizzazione dell’oggetto.

Tipologia di stampaLa realizzazione dei singoli layer varia a seconda della stampante utilizzata. I processi di stampa più diffusi sono principalmente tre. Il FDM ( fused deposition modeling) lavora su un principio “additivo” rilasciando il materiale su strati. Un fi lamento plastico viene sroto-lato da una spirale che fornisce il materiale da un ugello di estrusio-ne. L’ugello viene riscaldato per poter sciogliere il materiale e può essere spostato sia in direzione orizzontale che verticale.SLS (selective laser sintering) impiega polveri termoplastiche e fa uso di un laser per sinterizzarle. Inizialmente viene steso un sottile

il computer è passato dall’essere un semplice strumento di dise-gno e di calcolo, all’essere una vera e propria estensione delle capacità dell’uomo

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strato di polvere da un apposito apparato e il laser provvede alla sinterizzazione ove necessario. La tavola si abbassa della quantità voluta, si stende un altro strato di polvere e il tutto si ripete. Il van-taggio sta nel fatto che non c’è bisogno di prevedere dei supporti dato che è la polvere non sinterizzata che provvede a sostenere i piani superiori.DLP (digital light processing) nel quale una vasca di polimero liqui-do è esposto alla luce di un proiettore DLP in condizioni di luce inattinica. Il polimero liquido esposto si indurisce. La piastra di costruzione poi si muove in basso e il polimero liquido è di nuovo esposto alla luce. Il processo si ripete fi nché il modello non è co-struito. Il polimero liquido è poi drenato dalla vasca, lasciando il modello solido.

ADchitecture – tecnologie additive e robotiche applicate all’architetturaL’architettura cambia, è innegabile, nonostante ciò mantiene sem-pre i suoi caratteri fondanti quali l’organizzazione degli spazi, la rispondenza a specifi che esigenze antropiche e alla necessità di dialogare fi gurativamente con il momento storico in cui si trova di volta in volta.A partire dai primi anni del ‘900 la crescita esponenziale delle pos-sibilità tecniche e delle forme artistiche ha permesso sempre più libertà espressiva e solidità costruttiva. Ma questa estrema libertà è accompagnata da un senso crescente di impotenza e inadeguatezza rispetto alla complessità del mondo.Su questa contraddizione si innesta la tesi di laurea intitolata ADchi-tecture – tecnologie additive e robotiche applicate all’architettura, redatta nel tentativo, lontano dall’essere completo, di trovare in alcuni dei re-centi sviluppi della tecnica il naturale proseguimento della ricerca architettonica, sempre e costantemente rivolta al futuro.Ciò non implica però il rifi uto del passato, o l’ingenua credenza

l’obiettivo quindi non è il nuovo in quanto tale ma piuttosto la ricer-ca di un miglioramento

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che si debbano escludere a priori modi di pensare e di agire defi niti “tradizionali”; anche la più basilare consapevolezza storica sugge-risce infatti che ogni progressione è frutto di quelle precedenti, alcune di mediocre entità, altre di importanza epocale, ma tutte orientate all’esplorazione di terreni ancora poco o per nulla battuti.Una di queste progressioni epocali è rappresentata dall’invenzione del computer, passato dall’essere un semplice strumento di disegno e di calcolo, all’essere una vera e propria estensione delle capaci-tà dell’uomo. Tutti i suoi prodotti di conseguenza sono arrivati al punto di non poter più fare a meno di questo apporto esterno, cam-biando anche il modo di pensare dei progettisti, a volte senza che essi se ne rendano conto, sviluppando schemi di pensiero derivati dal contatto con la tecnologia contemporanea.L’automazione industriale, la robotica e la stampa 3D sono l’ogget-to della ricerca, intesi come aspetti tecnologici via via più specifi ci, che hanno portato alla defi nizione di un processo di ideazione e costruzione di elementi architettonici non convenzionali, diffi cil-mente realizzabili con metodi artigianali.Come riferimento si sono scelte diverse tecnologie additive e robo-tiche sperimentate negli ultimi anni, ma anche tipologie costrutti-ve tradizionali, non per questo prive di interesse.Mettendo insieme concetti apparentemente inconciliabili si arriva all’ideazione di un oggetto architettonico, un padiglione espositivo temporaneo di piccole dimensioni, un contenitore dove non esisto-no distinzioni formali tra pareti e copertura, un “dimostratore tec-nologico”, atto ad illustrare un possibile metodo di fabbricazione digitale additivo robotizzato.Viene utilizzato come materiale di base una miscela fl uido-densa a base cementizia, estrusa da un robot articolato mobile a cui si affi da il controllo della complessità geometrica, garantendo così un’elevata precisione realizzativa e una variabilità potenzialmente infi nita degli elementi grazie alla sua intrinseca riprogrammabilità.

Si sperimenta in questo modo sia la produzione di componenti non standardizzati in stabilimento (o in prossimità del cantiere) sia la produzione in sito di strutture fi sse.In questo particolare esempio applicativo è stata scelta una struttu-ra con conformazione a guscio, per i vantaggi legati alla resistenza dati dalla forma e per la possibilità (derivata dal metodo) di mate-rializzare superfi ci a doppia curvatura ogni volta diverse.Tutto questo è soltanto la punta dell’iceberg; nel mondo sono in cor-so molte ricerche orientate alla realizzazione di edifi ci, o parti di essi, con metodi automatizzati che riescano a garantire un’elevata variabilità e personalizzazione dei prodotti fi nali, senza compro-metterne la convenienza economica. Nei prossimi cinque anni vedremo con i nostri occhi queste novità, che promettono grandi innovazioni nella sempre cangiante disciplina architettonica.

Prospettive tecnologiche per l’architettura del futuro – la stampa 3DDalla tesi Prospettive Tecnologiche per l’Architettura del Futuro - la stampa 3D emerge invece una panoramica sui possibili scenari dell’evolu-zione tecnologica applicata all’architettura.Per ottenere una base d’informazioni sullo stato di fatto e sulle possibili variabili sono stati presi in considerazione dati riguardanti la popolazione e lo sviluppo delle tecnologie nel prossimo futuro.La popolazione mondiale tenderà ad aumentare di almeno 2 mi-liardi nei prossimi 30 anni1 ma questo accadrà in modo disomo-geneo, in quanto questo forte incremento demografi co avverrà soprattutto in Africa e in Asia. Nel 2005 Ray Kurzweil espande la legge di Moore a tutto il pro-gresso tecnologico sostenendo che durante il corso dell’evoluzione emerge una tendenza esponenziale tra gli eventi chiave; questi av-venimenti si susseguono secondo la “Legge dei ritorni accelerati”2.In ambito architettonico molte aziende hanno già iniziato a svi-

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materia a livello atomico e molecolare è possibile in natura; quindi l’architetto si troverà a defi nire i “geni” del progetto, che poi cre-scerà autonomamente attraverso le nanotecnologie.L’architettura si rapporta alle nuove conoscenze nella misura in cui queste possono portare ad un effettivo miglioramento delle condizioni di vita per l’uomo. Le nuove tecnologie infatti vanno considerate come nuovi strumenti progettuali da rapportare co-stantemente con le esigenze dell’uomo e dell’ambiente, in modo da venire incontro a tali bisogni nel modo più effi cace possibile.L’obiettivo quindi non è il nuovo in quanto tale ma piuttosto la ricerca di un miglioramento.In conclusione, valutando i trend tec-nologici presenti e futuri possiamo osservare come la stampa 3D spezzerà il legame che l’architettura ha con l’edilizia e segnerà l’ini-zio di un totale cambiamento di paradigma progettuale.

Il FabLab - fabrication laboratory - di VeneziaUn FabLab è un laboratorio di fabbricazione digitale, uno spazio condiviso che fa parte di una rete globale di centri locali. Questo tipo di attività ha avuto inizio nel 2011 al MIT - Massachusetts Institute of Technology, dove il prof. Neil Gershenfeld fondò il Center for Bits and Atoms, il primo di questi laboratori, destinato a trasformare idee astratte in oggetti fi sici servendosi di macchinari ad alto contenuto tecnologico, in grado di dialogare effi cacemente con i moderni metodi di progettazione digitalizzata.Nei successivi quattro anni quest’idea è stata replicata in tutto il

luppare alcune tipologie di stampanti a grande scala ma quasi tutte depositano calcestruzzo utilizzando un sistema di stampa FDM. La stampante 3D architettonica D-Shape, ideata dall’Ing. Enrico Dini, utilizza invece una mescola di sabbia e sale ed usa come le-gante un bi-componente inorganico ecocompatibile che trasforma la sabbia, o un materiale granulare alternativo, in roccia. I vantaggi di questa tecnica sono molteplici. Per esempio l’utilizzo di sabbie locali come materiali di base permette un’economia delle costru-zioni a chilometro zero.Il progetto nasce quindi dalla convergenza dei fattori preceden-temente citati come la problematica delle slums, la prototipazione rapida e il rapido aumento di popolazione. Utilizzando la tecnolo-gia D-Shape, è possibile realizzare delle strutture stampate utiliz-zando la terra del luogo. In questo modo una città come Nairobi, composta da una delle più grandi slum dell’Africa, potrebbe, attra-verso una sola stampante, realizzare delle nuove case all’interno degli stessi slum utilizzando la terra che la circonda. La tesi pone come orizzonte il 2045; le sue basi si fondano su un’i-potesi del 1959 elaborata dal fi sico Richard Feynman durante una lezione al Caltech. Feynman ipotizza che un giorno sarà possibile manipolare la materia su scala atomica, non essendoci leggi fi siche che limitano in linea di principio questa possibilità.Infatti ogni organismo vivente, dai batteri alle piante, dagli insetti, fi no all’uomo stesso, sono, di fatto, incredibili macchine molecola-ri, e quindi sono dimostrazioni evidenti che la manipolazione della

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mondo, grazie soprattutto alla forte collaborazione e assistenza reciproca che ogni laboratorio fornisce agli altri, sia dal punto di vista tecnico-operativo che formativo.Per defi nirsi tale un FabLab deve sottoscrivere ed accettare alcuni principi che sono stati defi niti collegialmente nel corso degli anni e che sono contenuti nella FabCharter : l’accesso agli spazi deve es-sere pubblico, almeno per un certo numero di ore settimanali e deve inoltre possedere hardware e software di tipologie ben defi nite, in modo da permettere a chiunque abbia la volontà di realizzare una propria idea di poterlo fare in autonomia, con il supporto di persone con la dovuta esperienza e le necessarie conoscenze.Su questa scia si inserisce anche la città di Venezia, con un’espe-rienza iniziata nel 2012 e concretizzatasi nel 2013 con la costitu-zione di FabLab Venezia Srls da parte di Elia De Tomasi, Leonidas Paterakis e Andrea Boscolo. Attualmente è una start-up innovativa all’interno del Parco Scientifi co e Tecnologico Vega di Venezia.Le attività portate avanti nella sede del capoluogo veneto sono molteplici e in continua evoluzione; innanzitutto il laboratorio aperto, che permette la libera fruizione della struttura e l’utilizzo delle macchine tutti i martedì e i venerdì dalle 10:00 alle 17:00.All’apertura al pubblico si accompagna il service, che permette an-che a chi non ha esperienza nel settore di far realizzare i propri progetti dal team del FabLab, pagando il tempo di occupazione dei macchinari, la quantità di materiale utilizzato o i servizi di model-lazione grafi ca tridimensionale, prototipazione, sviluppo software e

un FabLab è un laboratorio di fabbricazione digitale, uno spazio condiviso che fa parte di una rete globale di centri locali

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www.fablabvenezia.orgwww.fabfoundation.org

web design offerti dalla struttura. Grazie a questi servizi è stato realizzato il modello fi sico fi nale di una delle tesi di laurea sopra descritte. Usando un polimero pla-stico estruso da una stampante ad altra precisione si sono mate-rializzate superfi ci curve che sarebbero state quasi impossibili da realizzare con altri metodi.L’azione che più di tutte impegna il FabLab è però la didattica. Vengono infatti organizzati periodicamente corsi orientati all’ap-prendimento pratico che forniscono una conoscenza sia di base che avanzata dei software e workshop che hanno di volta in volta per oggetto temi e tecnologie differenti, in cui si progettano e si realiz-zano i lavori degli allievi.Degna di nota è l’iniziativa FabLab for Kids, un laboratorio che av-vicina i bambini della scuola primaria e secondaria all’elettronica, alla programmazione e al disegno attraverso strumenti di ultima generazione, come ad esempio le stampanti 3D. I temi della con-divisione dei saperi (Open Source), della fabbricazione digitale (digital fabrication), del far da sè (DIY, Do It Youself ), ma anche del riuso, dell’autoproduzione e della personalizzazione, vengono affrontati con attività a misura di bambino.Per conoscere le attività in programma è possibile consultare il calendario sul sito www.fablabvenezia.org o recarsi direttamente al Vega nella sede del laboratorio, per vedere con i propri occhi un diverso modo di intendere la tecnologia odierna e le possibilità da essa offerte, messe a disposizione di tutti da questi sempre più numerosi luoghi di condivisione del sapere.

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NOTE1 - United Nations, Department of Econo-mic and Social Affairs, Population Division.2 - La Legge dei ritorni accelerati, elabo-rata da Ray Kurzweil segue un fenome-no esponenziale doppio, per cui a questo ritmo il progresso tecnologico nel 2045, si troverà ad un punto in cui l’evoluzione tecnologica porterà a dei cambiamen-ti talmente radicali da non riuscire più a prevedere cosa potrà accadere oltre la metà del secolo, questo momento è detto Singolarità Tecnologica.

IMMAGINI01- Vista interna del padiglione in cui è pos-sibile notare la suddivisione degli elementi che formano la volta. Le sezioni di appoggio sono stampate direttamente in sito ed inte-grate con le fondazioni e gli arredi interni, quelle superiori invece sono stampate in prossimità del cantiere, una vota ultimate vengono posizionate nella loro sede defini-tiva dove vengono poi agganciate le une alle altre. Immagine di Alberto Bin.02 - Prospetti del padiglione espositivo temporaneo, caratterizzato dalla volta a doppia curvatura che ne definisce il volu-me interno così come la superficie ester-na. Immagine di Alberto Bin.03- L’evoluzione della città Nanoarchitet-tonica. Immagine di Luisa Vittadello.04 - Esterno di un’abitazione stampata con il metodo additivo denominato D-shape. Immagine di Luisa Vittadello.05 - Interno di un’abitazione stampata con il metodo additivo denominato D-shape. Immagine di Luisa Vittadello.06 - L’iniziativa Fablab for kids ha come ob-biettivo quello di introdurre i bambini nel mon-do della produzione digitale con attività didat-tiche e di svago. Immagine di FabLab Venezia.07 - Dall’alto: robot articolato mobile de-stinato all’estrusione di miscele fluido dense; sezione di un’abitazione stampata con il metodo additivo D-shape. Immagine di Alberto Bin, Luisa Vittadello.

BIBLIOGRAFIA- Giuseppe Morabito, Scienza e arte per progettare l’innovazione in Architettura Saggio su un processo progettuale alla “Leonardo da Vinci”, Utet Libreria, 2004.- Michio Kaku, Fisica del futuro, Come la scien-za cambierà il destino dell’umanità e la nostra vita quotidiana entro il 2100, Codice, 2012.- Ray Kurzweil, la Singolarità è vicina, Apogeo, 2008.- Abbondanza, Il futuro è migliore di quan-to pensiate, Peter H. Diamandis Steven Kotler, Codice Edizioni, 2012.- K. E. Drexler, Engines Of Creation: The Coming Era of Nanotechnology, Anchor Books, 1986.- J. M. Johansen, A life in the continuum of modern architecture, L’arca, 1995.- J. M. Johansen, Nanoarchitecture: A new species of architecture, Princeton Archi-tectural Press, New York, 2002. - Paolo Soleri, Arcology : the city in the ima-ge of man, Cambridge, The MIT press, 1983.- Fabio Gramazio, Matthias Kohler, Jan Willmann, “Made by robots, Challenging architecture at alarge scale”, in AD archi-tectural design, aprile 2014.- Carlorattiassociati, Clelia Caldesi, Filippo Mo-roni, “Artigianato 2.0”, GaragErasmus, 2012.

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Looking for VenicePORTFOLIO

MMassimo Branca Massimo Branca, fo-tografo documentarista italiano, laure-ato in Antropologia. Lavora con il Collet-tivo Fotosocial e collabora con IRFOSS.www.massimobranca.com

Francesca Guidolin è architetto, dot-toranda in tecnologia dell’architettura presso l’Università Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

foto di Massimo Branca, testi di Francesca Guidolin

i piace pensare che le città abbiano in sé una doppia natura: quella materiale, fi sica, co-stituita dalla trama delle loro vie, dei loro pieni - gli edifi ci - e dei loro vuoti, ma anche una natura spirituale, fatta dal passaggio dei piedi di molte persone per quelle vie,

dalla vita che si nasconde nei palazzi e dall’articolazione dei gesti che si svolgono in quei vuoti. Dalla moltitudine dei segni di cui si esse si riempiono: insegne, pubblicità, indicazioni, graffi ti.Nel mondo vi sono almeno un centinaio di “fi nte” Venezia.Molti immaginano la vera Città per tutta la vita. Altri, più fortuna-ti, riescono a passarci almeno una volta. Così, le Sei Venezia del regista padovano Carlo Mazzacurati1 diven-tano ogni anno cinquantadue milioni2 , tante quante gli occhi che si posano sulle sue celebri “pietre”, i piedi che percorrono le strette calli della città storica: i turisti, che la popolano di sguardi e parole.Quale sia la relazione tra l’immaginario attorno ad una Venezia pensata e quella reale è una domanda a cui ciascuno dà risposta (e senso) differenti, nel proprio modo di vivere la città, di vederla per la prima volta, o di percorrerla quotidianamente. Questa ricer-ca, condotta attraverso il mezzo fotografi co, offre uno strumento all’interpretazione di tale relazione. Che cosa si immagina, quando si pensa a Venezia? Che immagine evoca, nella mente la città la-gunare?Era il 1969 quando Indro Montanelli, per uno speciale del Tg1 sot-tolineava “le miserie, i segni di decadenza, di decomposizione, di morte della città” volendo dimostrare “quale tragedia di morte non più lenta ma anzi direi galoppante incombe su Venezia”3. Alle sue spalle una grande nave attraversa il Canal Grande, e le immagini delle pietre dei decori della basilica sgretolate da un tecnico per “la messa in sicurezza” del manufatto, denunciano una fragilità dichiarata e tuttavia ancora indifesa.“Le città storiche sono insediate dalla resa ad una falsa modernità”

I like to think about cities as a mix of a double soul: on one hand the material essence of its bu-ildings, on the other hand the spiritual soul of the signs that are fi xed on his walls.For the most of the people, Venice is a dreamed city. Someone can walk in Venice every day, but others can only imagine it.What is the relation between the real Venice and the imagined one? What are the images that Venice draws into our mind?This personal research, through the amazing use of the photographic instrument by Massimo Branca, is an attempt to refl ect on these themes.These photographs, beautifully composed, are tales. But each one can be read also as a tale into the tale: the contemporary presence of different histories, lives, situations, that fi nd themselves together in the time of an instant. So that everyone of these photos is really a time-image.The result is the declaration of a contradictory scenario that emerges in the forced but natural-ly born coexistence of the opposites. This is a manifesto of a city in which a declared beauty coexists with a secret fragility.

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sostiene Salvatore Settis, nel 20144. Eppure, oggi, la città si veste di un continuo confronto fatto di vetrine illuminate, delle borse di falsa fi rma disposte a terra, della rosa posta alla turista, degli scatti in posa sul ponte, nella calle, in mezzo al campo. Una modernità che ogni giorno respira, anima, tiene in vita un delicato palinsesto.Il progetto fotografi co qui presentato, Looking for Venice di Massi-mo Branca, è un racconto. Il racconto di “ricerca personale sul rapporto tra progresso, turi-smo ed estetica, in una delle città più rappresentate del mondo”5. Un racconto che si snoda attraverso il rifl esso delle vetrine, gli im-palpabili giochi di luce a cui solo a Venezia, città d’acqua, è possibi-le assistere. Ed ogni foto, in sé, contiene un racconto nel racconto: la presenza di due, tre,... dieci trame differenti. Un’attesa, mentre lontano, un vaporetto naviga; il volo di un piccione, lo sguardo di un gabbiano, e una nave sullo sfondo. Il mondo di due bambini che giocano, affi anco a quello di turisti e una mappa virtuale. Queste fotografi e rappresentano “immagini-tempo”6, citando Gil-les Deleuze: racchiudono i molti mondi che convivono nello spazio di un metro, in un luogo, Venezia, vissuto collettivamente: una storia di azioni, contraddizioni, paradossi.Raccontano la Città che all’imponente bellezza palesata nell’imma-ginario collettivo, segretamente contrappone la fragile delicatezza di mille identità in continua evoluzione.

all’imponente bellezza palesata nell’immaginario collettivo, se-gretamente contrappone la fra-gile delicatezza di mille identità in continua evoluzione

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quale sia la relazione tra l’immaginario at-torno ad una Venezia pensata e quella reale

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ogni foto, in sé, con-tiene un racconto nel racconto

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NOTE1 - Carlo Mazzacurati, “Sei Venezia: un film, una città”, Venezia, Marsilio, 2012.2 - Da “Assalto a Venezia, turismo da re-cord: verso i 27 milioni”, di Alessandro Tucci, in La Nuova Venezia, 15 novembre 2014.3 - Indro Montanelli, “I servizi speciali del Telegiornale”, 1969.4 - Salvatore Settis, “Se Venezia muore”. Einaudi Editore, 2014.5 - Massimo Branca, nota al progetto “Lo-oking for Venice”.

PER APPROFONDIRECollettivo Fotosociale - Socialmente foto sensibiliwww.collettivofotosocial.com

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IN PRODUZIONE

Come nasceuna cucinaLa storia di Arrex, tra un solido passato e un futuro innovativo

Chiara Trojetto è architetto, ha lavora-to come assegnista di ricerca presso lo Iuav di Venezia occupandosi di tec-nologia dell’architettura e di arredo; è appassionata di grafica e di design di prodotto.e-mail: [email protected]

di Chiara Trojetto

The process that leads to the realization and the selling of a furniture piece is wide and complex: it embeds a multitude of issues concerning many heterogeneous areas, from the technolog y of ma-terials, to marketing strategies, as well as the design and manufacture process.Furniture is nowadays required to have high quality details, to be strong and durable, to re-spect many sustainability aspects, to be fl exible in order to meet the user needs during its life.OFFICINA* had the opportunity to visit Arrex Le Cucine, an Italian company estab-lished in 1973, located in Mansuè (TV) and specialised in the production of kitchen cabinets for residential spaces. Kitchens are not only asked to be functional to prepare and consume food, but also to be a good place to choose for many different activities and a beautiful space: it’s still a central place in a house, but with a new functionality.

Il processo che por-ta alla realizzazione e alla vendita di un elemento d’arredo è molto complesso: in esso si trovano

riunite una lunga serie di problematiche che riguardano settori eterogenei quali, per citarne solo alcuni, la tecnologia dei mate-riali, il design, le tecniche di produzione, il marketing.A differenza di un tempo il mercato offre oggi un ventaglio molto ampio di variabi-li, tanto che l’utente fi nale ha spesso, eu-femisticamente parlando, l’imbarazzo della scelta. Tra gli elementi oggi richiesti all’ar-redo di fascia medio-alta vi sono la qualità, termine che include in sé molti concetti quali la durata nel tempo, la cura dei det-tagli, ma anche un aspetto in linea con le migliori tendenze del momento; dall’arredo si pretende spesso una consegna in tempi rapidi, nonostante una fi liera piuttosto ar-ticolata in cui, come nella maggioranza dei settori produttivi, non è possibile escludere qualche disguido; all’arredo si chiede in-fi ne sempre più spesso, e giustamente, di rispettare l’ambiente. In quest’ultima affer-mazione sono rinchiusi molti temi poiché la sostenibilità nel settore dell’arredo, un attributo certifi cabile oggettivamente, ri-guarda le caratteristiche dello stabilimento, i materiali impiegati e le loro fi niture, gli imballaggi, e via dicendo fi no a coprire l’in-

tero ciclo di vita dell’elemento considerato.Per approfondire questi temi e preparare la rubrica IN PRODUZIONE di questo nu-mero, OFFICINA* è stata ospite di Arrex Le Cucine.L’azienda è frutto dell’iniziativa di sette fra-telli che alla fi ne degli anni Sessanta decido-no di dedicarsi alla produzione di elementi d’arredo. Nel 1973 Arrex viene fondata a Mansuè, piccolo comune della provincia di Treviso al confi ne con il pordenonese. Lo stabilimento moltiplicherà negli anni le sue dimensioni fi no ad essere il grande e mo-derno complesso che abbiamo visitato in un caldo pomeriggio di aprile.Di pari passo con le dimensioni del sito produttivo è andata l’espansione sul mer-cato: da realtà con mercato locale, Arrex

la cucina ha mante-nuto un ruolo di cen-tralità nell’abitazione arricchendosi di una nuova funzionalità

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è diventata un’azienda con distribuzione a livello nazionale e, successivamente, inter-nazionale, facendosi strada in molti paesi europei ed extraeuropei. L’azienda, come esplicitato dal nome, è spe-cializzata nella produzione della cucina per l’ambiente residenziale. Al giorno d’oggi a questo luogo non viene più chiesto di es-sere unicamente uno spazio idoneo e fun-zionale alla preparazione e consumazione dei pasti; ad esso si richiede di essere adat-to ad ospitare diverse attività, di adattarsi all’evolversi degli spazi e delle esigenze, di essere bello, accogliente: la cucina ha man-tenuto un ruolo di centralità nell’abitazione arricchendosi di una nuova funzionalità.1

Lo stabilimento dove Arrex produce i mo-bili che arredano un ambiente tanto impor-tante è lungo poco meno di un chilometro. Gli uffi ci sono rigorosamente open space, i dirigenti lavorano fi anco a fi anco con il personale amministrativo, commerciale e tecnico: l’obiettivo è comune. Pochi metri separano questo luogo dominato da telefo-ni e computer dall’ambiente dove macchi-

nari e personale esperto realizzano fi sica-mente le cucine. Il nastro della linea di montaggio percorre la quasi totalità degli 800 metri di stabili-mento e, assieme al nostro accompagnato-re, ci guida a scoprire come nascono i mo-bili che ogni giorno utilizziamo. Ante, cassetti, ripiani, viti, maniglie: sono

i dirigenti lavorano fianco a fianco con il personale ammini-strativo, commercia-le e tecnico: l’obietti-vo è comune

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na la produzione si estende dunque al living, all’arredo bagno e alla zona notte. Punto di forza del gruppo è l’agire in sinergia su tutti i piani della fi liera e puntare anche a mercati internazionali quali Russia, Medio Oriente, Cina, Corea e Stati Uniti. Per fare un esempio, proprio in quest’ultimo paese il gruppo ha realizzato il suo più grosso progetto contract con una fornitura di quasi duemila cucine.È molto interessante apprendere ciò che si nasconde dietro un mobile da cucina, sem-plice solo in apparenza: ingegno, ricerca, dedizione, manualità, impegno, ingredienti fondamentali a cui i sette fratelli e i collabo-ratori intervenuti in seguito hanno eviden-temente sempre prestato molta attenzione.

molte le componenti che vediamo man mano essere assemblate ed è bello notare come la manodopera dell’uomo sia com-plementare all’operato della macchina. In alcuni reparti, riservati alla lavorazione di prodotti fuori catalogo, sia per dimensioni sia per fi niture, molte operazioni vengono invece effettuate a mano, e dalla fabbrica sembra di passare per un attimo nel labora-torio di un artigiano.I modelli di cucina che Arrex propone a catalogo sono ottanta, dunque le variabili da controllare sono molteplici. Per questo è fondamentale essere costantemente attenti e aperti all’innovazione mantenendo sempre fede e aggiornando se necessario i principi che hanno portato alla creazione di un’a-zienda che a testa alta ha affrontato la crisi.A partire dal 1984 Arrex le Cucine fa parte del Consorzio ATMA, gruppo che riunisce dodici stabilimenti produttivi e altrettanti marchi aziendali localizzati tra le province di Treviso e Pordenone in grado di ideare, produrre e distribuire elementi d’arredo per ogni ambiente della casa: dallo spazio cuci-

in alcuni reparti, ri-servati alla lavora-zione di prodotti fuori catalogo, sia per dimensioni sia per finiture, molte opera-zioni vengono invece effettuate a mano, e dalla fabbrica sem-bra di passare per un attimo nel laborato-rio di un artigiano

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NOTE1 - In questa direzione l’azienda ha già realizzato un elemento multifunzione: un tavolo il cui ripiano si scompone in molte parti autonome, che aprendosi e cambian-do forma assumono ognuna una funzione diversa, dal piano cottura, alla tv, per ren-dere uno stesso spazio adatto a molteplici situazioni e utenti.

IMMAGINI01 - Personale al lavoro lungo la linea di montaggio.02 - Rotoli di materiale per la finitura dei mobili.03 - Alcune componenti, tra cui ante e ri-piani, pronte per essere assemblate.04 - Il reparto più artigianale dell’azienda: si dipinge a mano.05 - I moduli che compongono la cucina vengono imballati e sono pronti per la spedizione.Le immagini sono dell’Arch. Francesca Guidolin.

CONTATTI AZIENDAwww.arrex.it

ARREX-1 SpaVia Portobuffolè 3231040 Mansuè (TV), ItaliaTel. +39 0422 741331Fax +39 0422 741472

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Architetto in viaggio, senza rottaCostruire il proprio futuro passo dopo passo

UFrancesca Marchina è laureata in architettura.e-mail: [email protected]

di Francesca Marchina

This article describes the importance of travel-ling for every architect. Long or short experiences are fundamental in order to discover the well-known architectures presented in the books and to have a real contact with the people of the visited place. Universities give good opportunities that stu-dents should catch and exploit. Erasmus programs, to study or to work, are the main examples. I have learned a lot in all the places where I lived for a period, like Lisbon, Istanbul and Nairobi. I acquired how to communicate in other languages, to follow a different rhythm of life and to work in a different way. From my point of view, every single experience is educa-tional and useful also for work purposes.

n (quasi) architetto senza rotta, così mi defi nirei. Una testa in pieno caos, affol-lata da idee confu-se, futuro incerto e

tanti (troppi?) punti interrogativi. Qualcu-no potrebbe spaventarsi e non nego che a volte impaurisce pure me. Ma è una testa che crea idee, progetti, energia. E sono pro-prio questi gli elementi chiave per plasmare e progettare il proprio futuro.Lo studio dell’architettura consiste nell’e-splorazione di campi e ambiti diversi, dal design alla grafi ca, dalla storia dell’arte allo studio della città, dal dettaglio tecnolo-gico al progetto in sé. Qui si racchiude la sua bellezza. Sta poi a noi capire dove far confl uire i nostri interessi. Qualsiasi ramo prevalga, è la diretta conoscenza - intendo dire quella fatta sul campo - che ci permet-te di arricchirci veramente. Toccare con mano l’architettura, calarsi nella società per capire come la gente vive, osservare. Semplici azioni di estremo arricchimento. Allora l’arma che noi architetti abbiamo nelle mani (o forse è meglio dire nei pie-di) è quella del viaggio. Partire, scoprire, esplorare. Restare seduti consultando le lucide pagine delle riviste di architettura o fi ssando lo schermo del pc non permette di raggiungere la conoscenza vera e propria. Forse ho capito tutto ciò da un viaggio a Vienna. Ricordo che si stava studiando il

panorama architettonico viennese tra Ot-tocento e Novecento, attraverso le opere di Wagner e Loos. Le slides del professore mo-stravano architetture così vicine che non poterle vedere sarebbe stato un peccato. Perché non partire allora? Un furgoncino Volkswagen, quattro amici e pochi soldi in tasca. Pronti e via!Che questo viaggio sia stato il trampolino di lancio per altre esperienze ne sono ormai certa. Per partire serve ben poco: antenne alzate per cogliere tutte le opportunità che si presentano e un po’ di coraggio per intra-prendere le nuove avventure, nulla di più. La mia storia non è poi così speciale. È simile a quella di altri studenti che hanno sentito l’aria dello Iuav troppo umida e op-primente e la volontà di scovare-scoprire-innamorarsi di nuove realtà. I dieci mesi di erasmus a Lisbona mi hanno dato davve-ro tanto, a livello formativo e umano. Ho scoperto come l’architettura sia un mondo vastissimo e tanti sono i modi di farla e di viverla. Spesso ci limitiamo al nostro modo di procedere e pensare, senza accorgerci dell’immenso mondo che c’è fuori. Mi sono immersa nella scoperta del Portogallo, una nazione ricca di storia e cultura, indagan-dola attraverso la sua lingua e seguendo i consigli dello scrittore Saramago per cui “viaggiare” signifi ca scoprire, il resto signi-fi ca semplicemente trovare. Dall’estremo ovest sono atterrata alla porta d’Oriente. La magica Istanbul, capitale a cavallo tra due

VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

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allora l’arma che noi architetti abbiamo nelle mani (o forse è meglio dire nei piedi) è quella del viaggio

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05continenti, mi ha accolto per i tre mesi di ti-rocinio. È stato come entrare in un mondo altro, in quel momento animato dagli scon-tri del Gezi Park che hanno fatto emergere un popolo sveglio, unito e coraggioso. Il lavoro in team mi ha permesso di impara-re molto, è soprattutto l’incontro/scontro tra due culture che alimenta un continuo scambio di nozioni e conoscenze. In segui-to era tempo di pensare alla tesi. L’ho sem-pre considerata una cosa mia, personale, che dovevo scegliere e crearmi. Non è forse la mia presentazione al “mondo del lavo-ro”? Ho intrapreso un percorso di ricerca che mi ha portato ad indagare le trasforma-

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zioni urbane di Nairobi, Kenya, una città in movimento e in crescita, che sta cambian-do a ritmi impressionanti. L’Africa nera ti ammalia, ti sciocca, ti riempie di pensieri e emozioni. Ma il compito del ricercatore è quello di rimanere distaccato, osservando la realtà con l’occhio freddo che è proprio di chi indaga.

Considero il viaggiare un investimento, nel senso lato del termine. Non è un caso che convoglio tutti i miei piccoli guadagni nei viaggi: lunghi o corti che siano, mi “riem-piono” sempre.

Che cosa ne sarà di me? L’obiettivo numero uno è ottenere il fantomatico titolo (anche se l’etichetta “architetto” non mi si addice molto). Poi in programma c’è un’esperien-za lavorativa in rifugio, a 2500 m. Una vita all’aria aperta, lontano dallo schermo del computer, mi rinfrescherà le idee. Il seguito è un punto di domanda, anche se l’Ameri-ca Latina è una destinazione che spesso mi frulla in testa... chissà.Si direbbe che sono un architetto fuori rot-ta ma d’altronde la rotta, defi nitiva e inde-terminata, non esiste. La vera rotta si crea poco per volta, dalle più svariate esperien-ze. Io ne sono convinta.

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considero il viaggiare un investimento, nel senso lato del termine

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IMMAGINI01 - Piazza Taksim, Istanbul. Immagine di Urska Bavčar.02 - Isola di Heibeyada, Istanbul. Immagi-ne di Urska Bavčar.03 - Area-studio di Nairobi, Kenya. Imma-gine di Francesca Marchina.04 - Isola di Gokçeada, Turchia. Immagine di Urska Bavčar.05 - Famiglia che ho intervistato nell’a-rea-studio scelta a Nairobi, Kenya. Imma-gine di Francesca Marchina.06 - Lisbona. Immagine di Luca Berra.07 - Area-studio di Nairobi, Kenya. Imma-gine di Francesca Marchina.08 - Architettura nell’area-studio di Nai-robi, Kenya. Immagine di Francesca Marchina.

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Riabitare spazimarginaliUn progetto per le cave di argilla di Possagno

Sara Sagui Inizia a fotografare seguen-do un corso con Antonello Frongia. Laureata in architettura, compie parte della sua formazione professionale a Parigi, dove apprende le basi dello svi-luppo in camera oscura. Attualmente lavora come assistente di Alessandra Chemollo.e-mail: [email protected]

di Sara Sagui

The objective of the project lies on the need to rethink industrial spaces as tangible traces of the history and the culture of a territory, giving them a new meaning as a part of the urban landscape. Photography is used as an investi-gating tool able to offer an image of the exam-ined territory, that is highlighting its confl icting aspects. The project investigates and tells the boundary, which becomes a shaded border be-tween two visually related spaces that live as independent entities with no relationship. Pho-tography allows the interpretation of the land-scape transformation produced by the mining industry: it can be considered as a pretext to refl ect on new relations that can be established between man and the spaces he lives in.

Il paesaggio è cre-azione continua dell’uomo, lo pos-siamo considerare come un’opera d’ar-te risultato di una

creazione collettiva e non dell’azione di un singolo artista, ma è attraverso un fi l-tro culturale che noi lo percepiamo come paesaggio e non come semplice “estensione di un paese che si vede con uno solo sguar-do”. Più che rapportarsi quindi a una poco credibile condizione naturale, il paesaggio va rapportato al territorio, va visto come “rappresentazione, immagine del territo-rio”, come scena del muoversi dei diversi attori nel territorio, ma anche come luogo in cui gli attori sanno essere al tempo stesso spettatori. Perché si possa parlare di pae-saggio è necessario che vi siano degli osser-vatori che lo vedono, quindi uno sguardo che lo scopre, ma è anche necessario che vi sia “una percezione cosciente, un giudi-zio e infi ne una descrizione. Il paesaggio è lo spazio descritto da un uomo ad altri uomini”. E questa descrizione presuppone una interiorizzazione della percezione del paesaggio che integri lo sguardo, impone un racconto, richiede tempo per la cono-scenza, richiede un avvicinamento lento.” 1

Il progetto sviluppato in questa tesi di lau-rea si fonda sulla necessità di riconoscere e ripensare i luoghi della produzione come

elementi tangibili della storia e della cultura di un luogo, rendendoli parte integrante del paesaggio urbano, spazio aperto alla comu-nità che abita il contesto in cui essi si sono sviluppati.

Possagno, in Valcavasia, è un territorio pianeggiante e semipianeggiante situato nella zona nord-occidentale della Marca Trevigiana, delimitato a nord dai contraf-forti collinari del massiccio del Grappa e chiuso a sud dalla valle del torrente Musile-Ponticello e dalla linea collinare che da Pa-derno raggiunge il Piave in corrispondenza della città di Onigo. Il paese è conosciuto per aver dato i natali allo scultore Antonio Canova, di cui ospita una delle opere più famose, il Tempio Canoviano, ma anche per la produzione del laterizio da copertu-ra in cotto, attività che ha dato l’impronta allo sviluppo economico di questo luogo: le Industrie Cotto Possagno, realtà nata dall’unione delle sei maggiori fornaci del paese, sono oggi la più importante realtà industriale italiana nella lavorazione delle coperture in cotto. Storicamente, lo svilup-po della produzione di materiale per l’edi-lizia è avvenuto in stretto legame con l’in-cremento delle attività di estrazione della materia prima necessaria alle lavorazioni; il sistema collinare che delimita a sud il paese è infatti caratterizzato, a livello geologico, da depositi argillosi di natura alluvionale. Questo tipo di argilla, chiamata Marna di

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le infrastrutture e le architetture che nel tempo hanno occu-pato questi luoghi senza una logica de-finita hanno concorso alla generazione del paesaggio che oggi vediamo...permetten-do l’accesso alle sue stratificazioni culturali

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Possagno, si è dimostrato un materiale par-ticolarmente adatto alla realizzazione del laterizio da copertura.Ecco quindi che, in prossimità dei luoghi di cava, a partire dalla seconda metà del seco-lo scorso, si è sviluppata una grande area a destinazione produttiva-secondaria, che ha contribuito in modo signifi cativo alla cre-scita economica del paese: essa copre una superfi cie complessiva di 1.376.857 m2 ed è costituita da una moltitudine di interventi edilizi molto diversifi cati tra loro e da un grande deposito di argille collocato ai piedi delle colline da cui veniva estratta la mate-ria prima necessaria alla produzione. L’atti-vità di scavo è cessata agli inizi degli anni ’90 e oggi, a sua testimonianza, restano i

grandi varici di cava non ricomposti, segni del massiccio sfruttamento dell’argilla che ha portato ad uno stravolgimento del rilie-vo delle colline stesse: le infrastrutture e le architetture che nel tempo hanno occupato questi luoghi senza una logica defi nita han-no concorso alla generazione del paesaggio che oggi vediamo, caratterizzato da una sua identità specifi ca e, nonostante abbiano in parte esaurito la loro funzione, continuano a mostrarsi alla città e al territorio, permet-tendo l’accesso alle sue stratifi cazioni cul-turali. Attualmente però questi luoghi sono considerati solamente spazi marginali della città, estranei ad essa, per quanto collocati proprio in prossimità di uno dei suoi punti d’accesso principali: sono una suggestiva

la fotografia ha per-messo di restituire un’immagine del terri-torio appena descritto, mettendo in luce gli aspetti contraddittori che lo caratterizzano

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scenografi a che resta sullo sfondo, in atte-sa di essere riconosciuti nuovamente come risorsa.

La fotografi a, come strumento di indagi-ne e conoscenza, ha avuto un ruolo fon-damentale nello sviluppo del progetto, in quanto ha permesso di restituire un’imma-gine del territorio appena descritto, met-tendo in luce gli aspetti contraddittori che lo caratterizzano. Le immagini presentate indagano quello che è il tema della soglia, del confi ne non sempre fi sico e marcato tra gli spazi, nel tentativo di raccontare due luoghi in costante rapporto visivo tra loro ma che al contempo sembrano essersi dimenticati l’uno dell’altro: le persone che

abitano questo territorio pare abbiano dato per scontato di vedere, per la quotidianità e l’abitudine dello sguardo, anche quello che normalmente verrebbe considerato innatu-rale e inguardabile.“Vi sono soglie invisibili attraverso cui non è consentito transitare. Nessuna barriera fi sica lo impedisce, ma la soglia, una soglia che tutti sentono. [...] La soglia indica un impossibile ostacolo - o un possibile fi ltro, passaggio - o entrambe le possibilità. Ma il passaggio è consentito per lo più solo a patto di fare i conti con l’altro dominio, accettare la sua infl uenza benefi ca o meno sulla no-stra identità. Attraversare la soglia è una possibilità/pericolo di cambiamento, una inversione, come è un pericolo di invasione

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per i possessori del dominio oltre la soglia. Se trasgredisco una soglia o la oltrepasso senza indicare o dichiarare le mie intenzio-ni (quel che sto facendo della mia identità), la mia identità è in pericolo o diventa peri-colosa. La soglia è un luogo dove due iden-tità nello spazio si attestano, si attendono, si confrontano, si rifl ettono, si difendono. Essa serve a ribadire le differenze.”2

Da qui il ruolo centrale dello strumento fo-tografi co come occasione per indagare ed interpretare il cambiamento prodotto nel paesaggio dall’attività estrattiva, da consi-derarsi non come ferita nel territorio da ri-marginare ma come pretesto per ragionare sui nuovi rapporti che possono instaurarsi tra l’uomo e i luoghi che abita, frequenta, attraversa.

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NOTE1 - Enrico Fontanari, Beauce – Riflessioni su paesaggio e territorio, EdicomEdizioni, Monfalcone, 2005.2 - Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo sen-za ambiente, Laterza, Roma-Bari, 1988.

IMMAGINI01 - Il prelievo di materiali inerti utili all’e-dilizia ha avuto uno sviluppo enorme in Veneto, provocando profondi mutamenti nel paesaggio: questo ha contribuito alla creazione di spazi spesso marginali e di scarto nel territorio, inaccessibili e pre-clusi a ogni attività non connessa a quella produttiva.02 - Gli spazi produttivi rappresentano l’affaccio del paese verso sud: essi si con-figurano come una moltitudine di inter-venti edilizi molto diversificati tra loro e realizzati in tempi differenti a partire dagli anni ’60 del secolo scorso.03 - L’attività di scavo è cessata agli inizi degli anni ’90 e oggi, a sua testimonianza, restano i grandi varici di cava non ricom-posti, segni del massiccio sfruttamento dell’argilla che ha portato ad un stravolgi-mento del rilievo delle colline. Alcuni edi-fici produttivi sono inoltre stati dismessi e versano oggi in stato di abbandono.04 - Due luoghi in relazione visiva: gli spazi della produzione rappresentano un punto di osservazione privilegiato sul fronte sto-rico di Possagno, dove spicca il Tempio Canoviano, simbolo del paese.05 - Gli accessi all’area industriale sono per la maggior parte collocati in prossimi-tà degli spazi dell’abitato e i confini tra i due luoghi sono in molti casi poco definiti.06, 07, 08 - Cancelli, transenne, sbarre sono le barriere fisiche che definiscono i limiti tra spazi dell’abitato e spazi della produzione. Questi elementi, permeabili alla vista, permettono un costante rap-porto visivo tra i due luoghi.13 - Industrie Cotto Possagno S.p.A. è la più importante realtà industriale italiana nella lavorazione del laterizio da copertu-ra. Dopo la cottura, i laterizi vengono sele-zionati in varie scelte, quindi confezionati in pacchi, rivestiti di foglio plastico e infine stoccati in grandi piazzali in attesa di es-sere venduti.10 - Gli accessi all’area industriale sono per la maggior parte collocati in prossimi-tà degli spazi dell’abitato e i confini tra i due luoghi sono in molti casi poco definiti.Immagini di Sara Sagui.

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Car design: il ruolo dei prototipi di ricercaCultura industriale

LGiorgio Gaino nato a Torino, si laurea in architettura allo IUAV con una tesi sul car design, relatore Sergio Polano; socio dello studio Synthesis design si occupa di disegno industriale e-mail: [email protected]

di Giorgio Gaino

Retracing the role of the three Italian automak-ers (Bertone, Pininfarina e Italdesign) in the evolution of car design in recent decades , it is clear that in the story , a short period in the late ‘60 and early ‘ 70 of the twentieth century, is the most important. This articles describes the role of research prototypes in the automotive evolution of car design, together with the role of product innovation applied to the production.

e diffi coltà del car design italiano, con la quasi totale scom-parsa dei carrozzie-ri, sono originate da motivazioni com-

plesse, intrecciate e molteplici; in ogni caso, resta il fatto che protagonisti quali Bertone, Pininfarina e Italdesign (parte del grup-po Volkswagen) sembrano aver smarrito il proprio ruolo storico: la crisi, prima che fi -nanziaria, è di idee, che nel frattempo hanno assunto valenze diverse. Ripercorrendo in estrema sintesi il ruolo dei tre carrozzieri nell’evoluzione del car design italiano, e non solo, degli ultimi decenni, ri-sulta evidente come nella vicenda, sia stato fondamentale un periodo abbastanza breve, tra la fi ne degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta del Novecento. I tre maggiori carrozzieri italiani, affi ancati da altri meno noti, elaborano in pochi anni delle vetture assolutamente d’avanguardia, effi cace traino per acquisire committenti in una fase diffi cile per l’industria italiana e in un contesto di crisi globale (analogo a quello attuale), accentuato da violenti scontri socia-li, oggi, peraltro, latenti.Precedentemente legati alla realizzazione di fuoriserie, su base meccanica di diverse case automobilistiche, alla fi ne degli anni sessanta i carrozzieri italiani intuiscono la mutazione imminente del mercato automobilistico ver-so scenari diversi, nei quali il ruolo dei car

designer avrebbe avuto inedite chances, a con-dizione di saper interpretare tanto i futuri as-setti della mobilità, l’evoluzione delle forme dell’auto, le trasformazioni delle tecnologie produttive e dei metodi organizzativi, quan-to la storia e la tradizione stessa delle case automobilistiche: il car design impose così una professionalità altamente specifi ca, frutto di svariati decenni di formazione, nell’ambito di una competenza che l’Italia, pare, non saper più valorizzare. I prototipi che analiz-zeremo di seguito sono le Ferrari Modulo di Pininfarina, la Lancia Stratos, l’Alfa Romeo Carabo di Bertone, e la Maserati Boomerang di Italdesign.

Ferrari Modulo, Pininfarina, 1970 Questa vettura di Pininfarina, presentata la prima volta al Salone di Ginevra nel marzo del 1970 e, successivamente, all’Expo 1970 di Osaka è un prototipo che propone un modo nuovo di costruire e concepire l’au-tomobile. L’idea è quella di avere dei modu-li separati da assemblare insieme, da cui il nome, in modo da permettere la realizzazio-ne di varianti avendo una meccanica di base. Si tratta di un concetto che nelle vetture at-tuali è portato alle estreme conseguenze: è oramai noto a tutti che i gruppi automobili-stici, utilizzino piattaforme industriali comu-ni, variando le sovrastrutture e le fi niture dei vari modelli. Si tratta, quindi di un prototipo di ricerca che si pone non solo come espe-rimento formale, ma di uno studio che pre-

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i designer di queste vetture proveniva-no tutti dalla stessa cultura industriale, ma soprattutto erano delle singole, autono-me personalità

suppone considerazioni di ordine organizza-tivo in relazione alla produzione industriale. La vettura appare estremamente bassa e fi -lante, scompaiono i volumi, si rifà alla ten-denza dell’epoca di accentuare gli spigoli della carrozzeria, ma l’interpretazione di Pininfarina, come da tradizione, genera una vettura aggressiva ma sempre elegante.Nel-la vista frontale ciò è ancora più evidente: si nota l’inclinazione dei cristalli laterali e di tutta la fi ancata da cui, nella zona posteriore, fuoriescono i grandi passaruota. Il raccordo tra il piano inclinato laterale e il piano ante-riore, che risolve in una linea unica cofano e parabrezza, è realizzato tramite un piano di mediazione tra i due tale che, nella vista

tre-quarti anteriore, si venga a formare quasi un arco con il profi lo laterale. Questo arco non è percepibile dalla vista laterale, da dove la vettura sembra originare da linee molto tese. Vi è, infatti, in questa vettura, come in altre dello stesso periodo, un uso dei piani e delle linee tale che l’auto presenta degli aspetti nuovi a seconda del punto di vista: la luce, in base ai piani inclinati che colpisce, determina l’enfatizzazione di alcuni aspetti del progetto piuttosto che altri. Il proto-tipo non ebbe risvolti produttivi, e, come già accennato, solo anni dopo i concetti, in relazione alla possibilità di creare varianti di una vettura mantenendo parti meccaniche comuni, saranno ripresi, prima dalla VSS di

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Idea Institute (con renzo Piano) poi, per la produzione di serie.

Alfa Romeo Carabo, Bertone, 1968L’Alfa Romeo Carabo fu presentata nel 1968. Si tratta della prima vettura di Berto-ne con linee molto tese. Si tratta di un puro esercizio, uno strumento di comunicazione per addetti ai lavori, ma che aveva le carat-teristiche per essere percepito anche dal grande pubblico, e, in questo modo otte-nere il doppio risultato di promuovere, at-traverso un oggetto concreto, l’azienda che l’ha ideato: una forma di pubblicità perfetta. Osservando la vettura si possono notare al-cuni aspetti; la linea è tesa, l’angolo cofano-parabrezza quasi piatto, la linea di cintura cerca quasi una simmetria, le prese d’aria per il motore originate da piani sfalsati, quasi na-scoste e il passaruote posteriore che perde l’andamento circolare per adattarsi alla varia-zione di sezione.In vista frontale è facile osservare come le prese d’aria vengano a crearsi quasi come compenetrazione di solidi e di come l’an-damento del montante del tetto sia, al con-trario del resto della vettura, molto morbido e utilizzato quale raccordo tra superfi ci. Si comincia qui ad intravedere un trattamento delle superfi ci e degli spigoli che risulterà più

chiaro nelle successive realizzazioni di Ber-tone, fi no a farlo diventare una peculiarità, un tratto distintivo che, negli anni, caratte-rizzerà le vetture da lui realizzate.

Lancia Stratos, Bertone, 1970La Lancia Stratos di Bertone del 1970 de-nuncia già nel nome l’ispirazione a concetti diversi da quelli della cultura automobilisti-ca. Si tratta della vettura più rivoluzionaria di questo periodo, una vera dream car.La vista laterale è dominata dalla linea di cin-tura che si interrompe sulla ruota anteriore e crea una simmetria tra la parte bassa e quella alta della fi ancata, che ha un andamento che in sezione ha origine dal taglio posteriore. Gli elementi classici come la calandra spa-riscono, sostituita da una fi la di fari, una lama di luce; le porte non ci sono e l’acces-so avviene da un portellone anteriore, quasi un cofano. Non vi sono più elementi come i fi nestrini, gli specchietti, le porte, il para-brezza, i montanti, tutto è nuovo.Il prototipo pare appartenere più al mondo delle illustrazioni di Syd Mead che a quello automobilistico, e non si tratta sicuramente di un oggetto vicino alla produzione di serie. È sicuramente una delle vetture più avanzate ed estreme dal punto di vista formale che abbia realizzato Bertone, forse quella che ha

dato più notorietà al carrozziere torinese, quasi un manifesto delle dream car di quegli anni.

Maserati Boomerang, Italdesign 1972La Maserati Boomerang viene presentata da Italdesign al Salone di Ginevra nel mar-zo del 1972. Si tratta di un coupé due porte a due posti in cui si ha una interpretazione del tutto nuova della linea a cuneo. Come tut-te le realizzazioni di Giugiaro anche questa vettura pare, in relazione alle proposte degli altri carrozzieri, più posata, meno astratta e più vicina alla produzione, sancendo quello che diverrà uno dei tratti tipici dell’intera produzione dell’Italdesign, votata alla con-cretezza più che alla creatività formale. La Boomerang è comunque una dream car e si ha in questa vettura un uso molto esteso di linee geometriche applicate. La vista in pian-ta denota come vi siano piani inclinati che si raccordano, linee tese, ma anche un accenno di concetti che rivedremo in vetture di pro-duzione degli anni successivi. In vista laterale il corpo vettura appare snel-lo e affusolato, enfatizzando la linea a cuneo con la piegatura della lamiera che crea dei passaggi di luce che ne alleggeriscono la massa. Anche in questa vettura come in altre interpretazioni della linea a cuneo, la linea

immaginare il futuro dell’auto, dal punto di vista formale, funzio-nale e produttivo

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ideale che forma la parte anteriore non è una spezzata ma una superfi cie continua che ingloba cofano e parabrezza. La Boomerang e i suoi concetti porteran-no allo sviluppo di vetture come la Asso di Picche e per successivi passaggi alla Lancia Delta. Vi è in questo caso quasi uno studio di forma interno al carrozziere, una formazione quasi di librerie, di soluzioni che, nell’insieme, ne formano, attraverso gli anni, un elemento caratterizzante, pur al variare dei committenti e dei temi affrontati.

Nel breve arco di quattro anni, Pininfarina, Bertone e Italdesign presentano una serie di prototipi straordinari, con l’obiettivo di immaginare il futuro dell’auto, dal punto di vista formale, funzionale e produttivo.I designer di queste vetture provenivano tutti dalla stessa cultura industriale, spesso erano

cresciuti professionalmente negli uffi ci tec-nici, vere scuole di formazione, ma soprat-tutto - aspetto che gli attuali dirigenti delle case automobilistiche tendono a sottovalu-tare - erano delle singole, autonome perso-nalità.La storia del car design non annovera infatti alcuna vettura disegnata da équipes di proget-tisti, magari con intromissioni di competen-ze interdisciplinari variegate, dal marketing alla comunicazione; il solo ed unico risultato di queste operazioni collegiali sono le riedi-zioni di successi del passato: dal New Beetle alla nuova 500 e alla Mini: rischio industriale basso, innovazione nulla.

innovazione forma-le, di prodotto e di processo

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IMMAGINI01 - Pinifarina: Ferrari Modulo.02 - Bertone: Lancia Stratos Zero 22.03 - Disegni originali della Bertone Lancia Stratos Zero 22.04 - Bertone: Alfa Romeo Carabo.05 - Italdesign: Maserati Boomerang.06 - Museo Bertone: esposizione.Immagini fornite dall’autore.

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IMMERSIONE

Villes Africaines en Mouvement

IFrancesca Guidolin è architetto, dotto-randa in Nuove tecnologie per il terri-torio la città e l’ambiente - tecnologia dell’architettura presso l’Università Iuav di Venezia.e-mail: [email protected]

di Francesca Guidolin

The relationship between cinema, architecture and city plays a relevant role in the authoral cinema. To underline this connection between space of action and time of acting, the ability of time managing, photography and editing is needed. The exhibition that is taking place at the palace Ca’ Asi in Venice by the French agency AS.Architecture-Studio, shows this partnership between cinema and architecture. Stephane Couturier’s photography is the prel-ude for the setting of a short fi lms directed by African authors. In the works presented, Cou-turier portrays the residential district “Climat de France” in Algiers. At the same time, in the exhibition rooms, fi ve short fi lms are screened. These reproductions are personal portrays of the African cities: mov-ing cities.

l sodalizio tra cine-ma, architettura e città è tra i più in-teressanti e presenti nel cinema d’autore. Questo rapporto si

caratterizza per la possibilità di lavorare alla fotografi a, al montaggio e ai tempi ci-nematografi ci grazie allo stretto legame tra lo spazio per l’azione e il tempo del gesto che lì si svolge.Da sempre, cinema e città sono stati ogget-to di interesse da parte dei grandi registi. Ne sono testimonianza ed esempio, tra gli altri, gli onirici fondali nella fotografi a di Antonioni, le precise composizioni sceni-che di Greenaway, l’elaborazione della te-oria del montaggio di Ejzenstejn, e l’analisi cinematografi ca delle forme della città di Pierpaolo Pasolini.Analizzare una città con il mezzo cinema-tografi co signifi ca interpretarne gli aspetti più nascosti, in quell’interazione possibile solo attraverso la pellicola cinematografi ca, del contemporaneo ritrarre il dato spaziale, il palcoscenico dell’azione, e il dato tempo-rale, la trama dei fatti. Niente meglio del montaggio ha trasferito sulla superfi cie bidimensionale la forma in-tegrale degli eventi. “Gli esempi più perfet-ti di calcolo dell’inquadratura, di alternan-za di inquadrature e persino di metraggio (cioè di durata di una determinata impres-sione) ce li hanno lasciati i greci. Victor

Hugo defi nì le cattedrali medievali “libri di pietra” (Notre Dame de Paris). Per noi l’Acro-poli di Atene è l’esempio perfetto di uno dei più antichi fi lm.”1

L’inquadratura, riesce a catturare quindi non solo immagini, ma vere e proprie sto-rie.

L’esposizione Villes Africaines en Mouvement, aperta in occasione della 56esima Bienna-le Internazionale d’Arte di Venezia, dal 9 maggio al 30 agosto, raccoglie una testimo-nianza di questo rapporto tra città e cine-ma.Organizzata negli spazi di Ca’ Asi dallo studio AS.Architecture-Studio, essa pre-senta opere fotografi che e cinematografi -che, con il supporto scientifi co di Pascale Cassagnau, responsabile delle collezioni audio-video al Centre National des Arts Plastiques (CNAP) di Parigi, e di Françoise Docquert, direttrice del dipartimento Arts et Sciences de l’Art all’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne.

A seguito del progetto, già iniziato nel 2014, con il concorso Young Architects in Africa2, l’esposizione presenta da una parte le opere fotografi che di Stéphane Coutu-rier, dall’altra la proiezione di fi lm d’autore in partenariato con il CNAP.

La fotografi a di Stephane Couturier fa parte di un ampio progetto di ricerca su

“Città africane in movimento”: cinema e città nella realtà africana

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quartieri urbani residenziali, iniziata nel 2001 in Messico e Stati Uniti (Landscaping, 2001-2004), che lascia il posto, negli anni successivi ad un’analisi sui grandi maestri del ‘900: Le Corbusier in India (Melting Point - Chandigarh, 2006-2007), e poi Lucio Costa e Oscar Niemeyer a Brasilia (Melting Point - Brasilia, 2007-2010).Nelle opere presentate, Couturier ritrae il quartiere residenziale Climat de France di Algeri, costruiti da Fernand Pouillon tra il 1954 e 1957. Questo complesso monumen-tale di 5000 alloggi, era già stato oggetto di un fi lm di Guy Nouen realizzato per Jac-ques Chevallier, sindaco della città.La forza di tale architettura, concepita at-

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torno alla piazza, conosciuta con il nome di Deux-cent Colonnes, sta nel carattere massivo delle facciate. Le dimensioni, in-fatti, sono dettate dall’utilizzo di blocchi di pietra di 1x1x1 m estratta dalle cave di Provence (Fontvieille).Le fotografi e di Couturier condensano la realtà personale dell’abitare in uno scenario collettivo in cui, al rigido ritmo alternato dei pieni e dei vuoti dell’architettura collet-tiva, vengono sovrapposte le dichiarazioni specifi che di libertà individuale di chi vi abita: esposizioni caotiche della vita quoti-diana che si svolge all’interno, nell’ordinata intelaiatura architettonica di questi grandi edifi ci. Sono quasi elementi di disturbo, pa-reti macchiate dall’uso, siano esse lenzuola stese ad asciugare, condizionatori aggan-ciati alla parete, terrazze improvvisate per coprire fi nestre.La fotografi a, volutamente frontale, di grandi dimensioni e colorata, è una di-chiarazione d’intenti: la presa di coscienza dell’esigenza individuale nella vita urbana collettiva della città africana, che ancora è alla ricerca di un’identità propria.Ricorda la produzione fotografi ca di Mi-chael Wolf3, nell’allinearsi ordinato e com-posto di un’architettura costruita sulla car-ta - e forse idealmente qui rimasta - prima che nella realtà. Essa ci rivela, nel modo di essere utilizzata, una latente volontà di li-bertà individuale e personalizzazione dello spazio da parte del suo abitante.

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essa ci rivela, nel modo di esse-re utilizzata, una latente volontà di libertà individuale e persona-lizzazione dello spazio da parte del suo abitante

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cinema, architettura e spazi urbani sono dei fatti significativa-mente legati

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litica, culturale, personale, di ciascuno dei suoi abitanti.Ricorda a tratti alcune tecniche del tea-tro dell’oppresso di Augusto Boal il fi lm Hillbrow (N.Boone) che mette in scena una fi nzione partecipativa, all’interno dei non luoghi di una città altrettanto fi nta.Si interroga sulla creazione di identità cul-turali il fi lm di Lagny, mentre quello di Yon dialoga su due temi, attraverso due raccon-ti: una visione reale e un’immagine onirica, punti di vista di bambino e di un esiliato, la vita quotidiana e il tema politico.La disposizione delle fotografi e, studiata dai curatori, si avvale dei dispositivi rotanti del designer parigino Didier Faustino e di-venta la giusta premessa alle scene dei cor-tometraggi. Mezz’ora di tempo per entrare completamente nelle caotiche, oniriche, controverse e affascinanti situazioni di altri mondi: città africane in movimento, sullo schermo proiettato a Venezia, così come nella loro quotidiana realtà.

l’architettura non è che lo scenario per lo svelarsi di una gestualità: la mani-festazione materiale dell’identità politica, culturale, personale, di ciascuno dei suoi abitanti

Ad affi ancare le fotografi e di Stephane Couturier, l’esposizione presenta alcuni cortometraggi d’autore: Cap Tingis (2012) e La Fièvre (2014) di Safi a Behhaim, Hillbrow (2014) di Nicolas Boone, A qui appartien-nent les pigeons? (2012) di Frédérique Lagny, Azé (2004) di Ange Leccia, e La nuit et l’en-fant, ou le Songe d’un habitant de Djelfa (2015) di David Yon.Il modo di vivere la città, i suoi spazi, i suoi non-luoghi, viene esplorato da ciascun au-tore con un occhio personale, e con tecni-che cinematografi che differenti, capaci di dare per questo uno sguardo eterogeneo e completo sugli interrogativi che la cultura africana si pone in rapporto alla sua cultura.La rifl essione che il supporto video permet-te di delineare per la città africana riguarda infatti molto spesso la diffi cile costruzione di una propria identità nei territori marcati storicamente dalla colonizzazione da parte di paesi stranieri.Il fi l rouge che unisce i fi lm è la constatazio-ne che cinema, architettura e spazi urbani sono dei fatti signifi cativamente legati. Nel cinema, così come nella città, si assiste ad un susseguirsi di gesti, più o meno veri-tieri, più o meno spontanei. Ogni angolo dello spazio urbano può essere letto come il palinsesto dei segni del vivere: una codi-fi cazione materiale di contingenze esisten-ziali. L’architettura, in questo, non è che lo scenario per lo svelarsi di una gestualità: la manifestazione materiale dell’identità po-

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NOTE1 - Sergej M. Ejzenstein, Teoria genera-le del montaggio, a cura di P. Montanari, Marsilio Editori, Venezia, 1985.2 - Francesca Guidolin “Young Architects in Africa. Un evento collaterale della Biennale di Venezia, di AS.Architecture-Studio”, in OFFICINA*, n.02, pp. 56-61.3 - Michael Wolf, fotografo di Hong Kong, ritrae l’architettura residenziale, i suoi abitanti e i suoi paradossi.www.photomichaelwolf.com

IMMAGINI01 - La prima sala dell’esposizione “Villes africaines en mouvement.” Immagine di Sara Sagui.02 - La sala d’ingresso del Palazzo Ca’ Asi che ospita l’esposizione. Immagine di Sara Sagui.03 - La fotografia di Stephane Couturier, un nastro che percorre la stanza longitu-dinalmente, fa da cornice ai dispositivi di Didier Faustino. Immagine di Sara Sagui.04 - Fotogramma del film di Frédéri-que Lagny, “A qui appartiennent les pigeons?”, 2012, 39’ (Progetto che be-neficia del finanziamento di ricerca arti-stica del CNAP nel 2011). Immagine di AS Architecture-Studio.05 - Climat de France, progetto di foto-grafia (2011-2014). Immagine di Stephane Couturier .06 - L’immagine dei cortometraggi dell’ul-tima stanza: edilizia residenziale nordafri-cana. Immagine di Sara Sagui.07 - Le proiezioni dei cortometraggi nella seconda sala dell’esposizione. Immagine di Sara Sagui.08 - Le fotografie di S. Couturier, a oscura-mento dello spazio, raccolgono la rifles-sione sullo spazio abitato e il suo abitante. Immagine di Sara Sagui.

APPROFONDIMENTIwww.photomichaelwolf.comwww.architecture-studio.fr

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82 OFFICINA*

DECLINAZIONI

TEGOLA: le tegole PREFA in alluminio sono esenti da manutenzione e regalano all’estetica dei tetti un’aria particolarmente esclusiva. Sono perfette sia per le nuove coperture che per le ristrutturazioni. Con la colorazione P.10 offrono una resistenza superiore rispetto al classico alluminio preverniciato, assicurando per di più una protezione maggiore contro i raggi UV ed i feno-meni atmosferici. SCANDOLA: le scandole PREFA, di piccolo formato e particolarmente leggere, mostrano i loro punti di forza nelle piccole superfi ci come nei grandi progetti. Grazie al materiale alluminio, al fi ssaggio indiretto a scomparsa ed alla tecnica di aggraffatura, le scandole non solo resistono alle intemperie, ma si adattano ad ogni forma e proteggono l’edifi cio come un’unica pelle. SCAGLIA: con un peso di soli 2,60 kg/m², le scaglie sono ideali per le nuove coperture e si adattano in modo ottimale anche alle vecchie strutture di tetti ancora integri. Per coperture esteticamente perfette. PREFALZ – TETTO AGGRAFFATO: PREFALZ è sinonimo di tetti e facciate originali e versatili sotto ogni punto di vista. Nonostante l’eleva-tissima resistenza della verniciatura e della superfi cie, questi duttili nastri in lega d’alluminio sono estremamente facili da deformare e donano nuove forme alla creatività. FX.12: FX.12 è un rivestimento innovativo ed unico nel suo genere, grazie alla lavorazione tridimensionale del materiale che crea un gioco di luci ed ombre in funzione dell’illuminazione. Questo effetto conferisce alle superfi ci un design particolarmente futuristico.

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N.06 MAG-GIU 2015 83

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84 OFFICINA*

Siete tutti e tre architetti di formazione Iuav. Qual è il principale insegna-mento che avete fatto vostro durante gli anni dell’università e che ora appli-cate nella vostra professione? L’insegnamento che abbiamo più di tutti fatto nostro durante la formazione Iuav è sicura-mente stato quello di concepire un’architettura profondamente connessa e legata al con-testo in cui è immersa e nella capacità dell’architettura stessa di ascoltare il suo genius loci; un’architettura in dialogo con la natura e con l’uomo. Ogni segno sul territorio è infatti un elemento che caratterizzerà un luogo per gli anni a venire e con questo si dovrà rela-zionare, quindi riteniamo che l’architetto abbia una considerevole responsabilità sociale.

Tunisi, Siviglia, Shangai sono solo alcune delle tante città estere che compa-iono leggendo i vostri curricula. Che ruolo hanno avuto e hanno attualmente le esperienze all’estero nella vostra attività professionale?Le città in cui vivi arricchiscono la tua esperienza di vita attraverso la conoscenza di per-sone, luoghi, culture ampliando le tue visioni e questo infl uenza profondamente l’attività professionale in quanto siamo fermamente convinti che l’architettura sia una forma di conoscenza sociale, scientifi ca e poetica.Il confronto su un piano extra-italiano ed extra-europeo per noi è stato molto importan-te perché ci ha permesso non solo di entrare in contatto con diversi modi di lavorare e diverse visioni, ma ci ha anche permesso di stabilire dei contatti fondamentali poi per la pratica professionale, in vista di avere soprattutto uno studio che lavora anche al di fuori dell’Italia. Attualmente Tunisi ha un ruolo molto importante perché da un anno abbiamo aperto in questa città una seconda sede.

Tradizione o innovazione? Quale è il vostro rapporto con i materiali dell’ar-chitettura?La tradizione è sicuramente importante per un architetto perché mostra come nel corso dei secoli i progettisti abbiano dato delle risposte a delle problematiche, tuttavia pensiamo che questa vada reinterpretata in maniera contemporanea per offrire soluzioni a situazioni attuali soprattutto nell’epoca moderna in cui la società è in costante e rapida trasformazio-ne. Il nostro studio è sicuramente orientato verso un lavoro di ricerca: per ogni progetto infatti cerchiamo di sviluppare delle idee nuove, di ricercare materiali e soluzioni inno-vative, ovviamente nel rispetto e nella reinterpretazione della tradizione. In genere ogni nostro progetto, sia di architettura che di interior design è caratterizzato dall’impiego di

MICROFONO ACCESO

Emilio Antoniol, architetto, PhD in tec-nologia dell’architettura.e-mail: [email protected]

a cura di Emilio Antoniol

We develop poetic and imaginative concepts into cutting edge designs.We believe in architecture as a form of social, scientifi c and poetic knowledge.We believe in research to achieve innovative and environmental friendly results, paying great care on detailing.We believe in sustainable buildings because we believe in the future.

ARIS Architects

Da Venezia verso città ed esperienze inter-nazionali fino alla vittoria del Red Dot Design

Award 2014. Il racconto di tre giovaniarchitetti di formazione Iuav

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N.06 MAG-GIU 2015 85

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siamo fermamente convinti che l’archi-tettura sia una forma di conoscenza sociale, scientifica e poetica

materiali innovativi che consentono prestazioni migliori, spessori sempre più ridotti che accostiamo a materiali naturali, materici, come il legno e la pietra.

Avete di recente vinto il premio Red Dot Design Award 2014 con la vostra libreria Dots. Come definireste questo avvenimento: un traguardo raggiunto con fatica, uno step intermedio della vostra carriera professionale o un pun-to di partenza per nuove sfide?Sicuramente per noi il Red Dot Design Award è stato un riconoscimento importante, ma ci auguriamo sia un punto di partenza piuttosto che di arrivo. Considerando che siamo uno studio molto giovane, quest’anno compiremo 30 anni, sarebbe impensabile pensare di essere giunti a un punto di arrivo, anzi secondo noi non esiste un unico traguardo nella vita professionale di un architetto ma più obbiettivi che raggiunti di volta in volta sono il punto di partenza per nuove sfi de.

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In ogni caso vincere il Red Dot è stata un’esperienza fondamentale per il nostro percorso, ci ha permesso di confrontarci su un piano internazionale con altri architetti, designer e aziende, quindi di stabilire delle relazioni di fi ducia che sicuramente saranno molto im-portanti in futuro.

Un aggettivo a testa che descriva il vostro modo di fare architettura e il per-ché di questa scelta.Più che scegliere un aggettivo a testa che descriva il nostro modo di fare architettura preferiremo trovare degli aggettivi che racchiudano il modus operandi di Aris dato che ogni progetto è fatto da più mani che lavorano insieme però con uno stile riconoscibile: in genere i nostri progetti nascono da una grande passione per il nostro lavoro, si rifanno a degli archetipi naturali volendo avvicinare l’ uomo alla natura, hanno delle linee minimali, ma al contempo hanno delle connotazioni grafi co-simbolico-decorative che conferiscono carattere al progetto.Secondo noi fare architettura signifi ca non solo dare una risposta ad un bisogno di natura funzionale ma siamo convinti che l’architettura sia una forma di comunicazione che parla soprattutto alla parte emozionale dell’ uomo.

i nostri progetti nascono da una grande passione per il nostro lavoro, si rifanno a degli archetipi naturali volendo avvicinare l’ uomo alla natura

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www.arisarchitects.com

Architetti e soci fondatori:Hani Chaouech

Alberto CorradoFrancesca Zalla

e-mail: [email protected]

IMMAGINI01 - ARIS Architects, da sinistra: Hani Cha-ouech, Francesca Zalla, Alberto Corrado.02 - La libreria Dots vincitrice del Red Dot Design Awards 2014.03 - Il progetto della banca BDNES a Rio de Janeiro.04 - La cucina Paperwood, realizzata se-condo la filosofia del vivere vegano e rea-lizzata in carta riciclata.05 - Il primo progetto della nostra sede a Tunisi, Simple caffè. Immagini di ARIS Architects.

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CELLULOSA

Emilio Antoniol è architetto, Ph.D. in tecnologia dell’architettura.e-mail: [email protected]

a cura di Emilio Antoniol

Sasaki’s book summarizes a series of refl ections and research works developed by the Japanese engineer in recent years. In particular two meth-ods for the defi nition of complex shaped struc-tures are presented. The Sensitivity Analysis is a shape design method that aim to optimize free curved shells by searching for the optimum shape to minimize the tensions on the surface. The Extended Evolutionary Structure Opti-mization method (Method Extendex ESO) is instead applied to the design of fl ux structure: dynamic shapes constantly changing. It aims to minimize the use of structural materials defi n-ing organic forms which are subjected to mini-mal stress. The work is set up as a refl ection on the relationship between form and structure, identifying in the human-machine interface a necessary combination for the project realization.

architettura con-temporanea pre-senta un repertorio sempre più vasto di forme articolate e strutture comples-

se, volte a ricercare geometrie libere, dina-miche e mutabili, quasi come se la materia dell’architettura potesse essere plasmata come accade nelle strutture organiche. Queste sperimentazioni formali sono state un’importante base di partenza per ricer-che volte ad indagare la componente strut-turale di queste opere e, in particolare, il legame che sussiste in questi casi tra forma e struttura.Tra i principali esponenti di questo fi lone di ricerca troviamo Mutsuro Sasaki che racco-glie nel suo libro Flux Structure alcune rifl es-sioni in merito ai suoi studi, ai progetti e ai risultai ottenuti negli ultimi anni. Le prin-cipali tecniche sviluppate da Sasaki sono la Sensitivity Analysis e l’Extended Evolutionary Structure Optimization method (Extendex ESO Method). Il primo metodo viene utilizzato per l’ot-timizzazione di gusci a forma libera, la cui resistenza si basa, per l’appunto, sulla for-ma stessa della struttura e in cui l’obiettivo è minimizzare le deformazioni della super-fi cie. Tuttavia, rispetto a forme curve come sfere o paraboloidi che sono facilmente de-scrivibili tramite equazioni matematiche, le superfi ci a curvature libera non sono altret-

ArchitetturagenerativaFlux Structure di Mutsuro Sasaki, 2005

tanto facilmente analizzabili. Grazie alla computer grafi ca è stato possibile iniziare a elaborare forme di tale natura unendo in modo approssimato i punti di controllo con splines, ottenendo superfi ci complesse ma non ottimizzate sul piano meccanico. Per ottenere tale risultato Sasaki propone un metodo di shape analysis1 chiamato Sensi-tivity Analysis basato su simulazioni esegui-te con software su modelli tridimensionali; tale approccio è volto alla defi nizione della condizione di mimino stress e di minima deformazione del guscio per defi nirne cosi la forma ottimale.Per la progettazione di strutture evolutive Sasaki propone invece un secondo metodo, l’Extended Evolutionary Structure Optimization method (Extended ESO method). L’ESO me-thod originale si basa sull’idea di eliminare le parti inutili di una struttura al fi ne di ottimizzare l’uso di materiale per resi-stere ai carichi. L’extended method di Sasaki introduce due nuovi paramentri: superfi ci tridimensionali (isosurfaces) su cui eseguire le simulazioni e una doppia forma di pro-cesso evolutivo, legato non solo all’ottimiz-zazione della forma sul piano meccanico ma anche rispetto ad alcuni parametri di contesto defi niti a priori quali limiti della trasformazione. Ripetendo l’analisi non lineare sul modello in modo sequenziale è possibile ottenere forme evolutive orga-niche (denominate fl ux structure) generate dalla relazione tra la forma desiderata e il

L’

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sullo scaffale

suo comportamento meccanico, garanten-do l’uniformità delle tensioni lungo l’intera struttura. Un esempio di questo tipo di ap-plicazione è il progetto per la stazione TAV di Firenze di Isozaki. La forma “ramifi ca-ta” della parte strutturale è stata defi nita partendo da un’idea formale dell’architetto che è stata a sua volta elaborata dal com-puter attraverso una sequenza ripetuta di simulazioni evolutive volte ad ottimizzare la risposta meccanica delle varie parti pur nel rispetto di specifi ci parametri di forma controllati dall’algoritmo stesso. Il risulta-to è una struttura organica, perfettamente bilanciata, che rispetta però le geometrie selezionate inizialmente dall’architetto. Ciò che Sasaki sottolinea è infatti la necessaria presenza della fi gura del progettista-designer durante le fasi di elaborazione per evitare che la reiterazione dell’algoritmo evolutivo porti la forma a limiti estremi non più gra-diti al progettista stesso. Ciò che l’Extended ESO method va prefi gurando è quindi uno scenario in cui la forma non è ottenuta au-tomaticamente attraverso un computer ma in cui essa viene defi nita mediante un’inter-faccia uomo-macchina in grado di sfruttare l’elevata capacità di calcolo del computer e, allo stesso tempo, di includere il giudizio di valore del progettista.

Se le forme sono defi nite in modo arbitra-rio è impossibile che la struttura fi nale sia governata in modo logico e razionale. Allo

stesso modo i principi base della meccanica non possono essere i soli parametri atti a defi nire le forme degli edifi ci. È necessario trovare un equilibro tra la razionalità della struttura e la poetica della forma, in altre parole, un equilibro tra la razionalità della macchina e la sensibilità umana.

NOTE1 - La shape analysis o design analysis è un processo che definisce in modo diret-to l’optimum strutturale e la forma finale della struttura partendo da alcuni para-metri spaziali-formali definiti dal proget-tista. Al modello viene poi integrata la parte di meccanica strutturale definendo un approccio totalmente opposto a quello della convenzionale analisi strutturale.

Barucco MariaAntonia, Progettare e costruire in

acciaio sagomato a freddo EdicomEdizioni,

Monfalcone, 2015

AA.VV. Nutrire il pianeta,

energia per la vita, Catalogo Generale EXPO 2015

Electa Mondadori, 2015

Nassim Nicholas Taleb Antifragile.

Prosperare nel disordineIl saggiatore, Milano, 2013

Mutsuro Sasaki è ingegnere giapponese, titolare dello studio SAP dal 1980 e pro-fessore alla Hosei University di Tokyo. Le ricerche di Sasaki si sono concentrate negli ultimi anni nella definizione di tec-niche avanzate di progettazione struttur-ale note con il nome di shape design or shape analysis. Tra le più recenti collabo-razioni si segnalano gli architetti Toyo Ito e Arata Isozaki, in progetti quali la Mediate-ca di Sendai e il concorso per la stazione TAV di Firenze.

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ARCHITETT’ALTRO

Il piano B

Come un imprevisto si trasforma in una splendida oppurtunità

SLidia Savioli è architetto, graphic desi-gner, illustratrice.e-mail: [email protected]

di Lidia Savioli

I’m Lidia Savioli, graduated in Architecture for Sustainability in 2012 with a thesis on the urban regeneration in the city of Nantes. I have been living in Paris for the past four years, with my partner, who is also an architect, and with our 2-year-old baby. I’m mainly working as a graphic designer for an Italian publisher and other customers. I love drawing and I do it in any spare time, hoping it to become my main job, one day. Architecture still has its impor-tance, through small and medium-committees and the architecture competitions in which I participate with the collective I belong to.What at fi rst could look as a B plan - that is a secondary road to be taken from the main one outlined at the beginning - turned out to be a wonderful new way of life, full of unexpected discoveries and experiences.

ono sempre stata una persona molto determinata, una persona sempre in regola con gli esami e con un program-

ma dettagliato del mio futuro. Credo sia proprio per questo che alla fi ne i piani si sono rapidamente sconvolti e il mio percor-so è cambiato radicalmente. Sono Lidia Savioli, laureata in Architettura per la Sostenibilità nel 2012. Ho passato uno splendido periodo Era-smus a Parigi, che ho avuto la fortuna di condividere con una cara amica, vivendo a stretto contatto col mio sogno di lavorare un giorno per Renzo Piano, guardando dal-la fi nestra del nostro minuscolo “studio” il Centre Pompidou.Nel 2011, poco dopo aver iniziato la tesi di laurea magistrale e sul punto di comin-ciare uno stage presso la sede parigina dello studio Jourda Architectes, ho scoperto di aspettare un bambino. Io e il mio compa-gno, architetto anche lui, date le incertezze economiche che stava già vivendo l’Italia in quel periodo e la nostra voglia di esplorare altre realtà, abbiamo deciso di tornare a Pa-rigi dove entrambi avevamo vissuto e dove ci sentivamo un po’ a casa. L’esperienza nello studio di Françoise Jourda è stata ricca di apprendimento e molto stimo-lante, ho potuto toccare con mano e mettere davvero in pratica quello che stavo studiando.

Al termine di questo stage mi sono dedi-cata completamente alla mia tesi di laurea sull’adattamento urbano ai cambiamenti climatici della città di Nantes che, grazie alla disponibilità del mio relatore, il prof. Francesco Musco, ho potuto completare a distanza. Nel frattempo la gravidanza avanzava e nell’agosto 2012 è nato il nostro bimbo. A novembre mi sono laureata con un bambino in braccio e il massimo dei voti e pochi giorni dopo sono tornata a Parigi. A questo punto con la laurea in tasca e tanta voglia di fare, ma anche con un bambino molto piccolo, non potevo rientrare nel percorso che anni prima avevo tracciato. Il consueto percorso del neolaureto in archi-tettura motivato a lavorare nello studio di una qualche archistar. Quella strada ho do-vuto abbandonarla per forze di cose. E ho dovuto inventarne una nuova, che mi per-mettesse di conciliare l’essere una giovane mamma che vive all’estero e l’ambizione che comunque avevo dentro di me.Sono convinta che certi fatti accadono per portarci a vivere altre esperienze che mai avremmo vissuto se non ci fossero capitati degli imprevisti. Il tutto sta, secondo me, nel continuare a camminare, a scoprire, ad ascoltarsi, a proseguire lungo la strada che ci viene posta davanti ai nostri piedi.Ho cercato quindi di unire quello che ama-vo fare con le possibilità che avevo in quel momento. Mi sono messa a disegnare in tutti i momenti liberi che avevo, che all’i-

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nizio coincidevano con i momenti in cui il bambino dormiva, ho studiato per conto mio grafi ca e ho fagocitato quante più in-formazioni, immagini, suggestioni potevo, dai libri, dalla città, da internet. Ho cominciato piano piano a fare piccoli lavori di grafi ca, a partecipare a dei con-corsi online, a disegnare loghi per qualche cliente, affi ches promozionali per eventi e festival organizzati da amici e conoscenti. La mia grande passione è però, sicuramen-te, l’illustrazione. Cerco di disegnare ogni volta che posso, lo faccio per me principal-mente ma non nascondo che mi piacerebbe che un giorno facesse parte del mio lavoro. Disegno principalemente a matita su diver-si cahier che ho sparsi per la casa e ne ho sempre uno con me in borsa. È però con la tavoletta grafi ca, illustrator e photoshop che mi sento più a mio agio e che realizzo la mag-gior parte delle mie tavole. Recentemente ho cominciato a dedicarmi anche al mon-do dell’illustrazione 3D e mi sta piacendo parecchio. L’architettura a volte fa capolino nei miei disegni, come ad esempio nell’illustrazione con cui ho partecipato al concorso organiz-zato dalla città di Torino con tema la Mole Antonelliana e con cui sono stata seleziona-ta insieme ad altri 24 artisti tra quasi 2000 partecipanti di più di 30 paesi.Studiare architettura mi ha dato non solo un metodo, un modo per organizzare il mio lavoro, ma anche un punto di vista molto

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pragmatico e al contempo onirico. Mi ren-do conto di guardare alle cose, soprattutto alla mia città, “da architetto”, e questo pen-so sia un imprinting che non se ne andrà.Ora vivo a Parigi da ormai 4 anni. Mi oc-cupo principalmente di grafi ca e collaboro con una casa editrice italiana da quasi un anno. Anche qui l’occasione è arrivata per caso, dalla telefonata di un caro amico. Era un’occasione per cui non ero minimamen-te preparata ma mi si è svelato un mondo, quello dell’editoria, che sto amando molto. L’architettura, nella sua forma più classica, non è svanita del tutto dalla mia vita, anzi. Io e il mio compagno abbiamo avuto qual-che commisione, soprattutto per quanto riguarda l’architettura di interni. Al con-

sono convinta che certi fatti ac-cadono per portarci a vivere altre esperienze che mai avremmo vissuto se non ci fossero capitati degli imprevisti

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tempo faccio parte del collettivo WeWoW fondato nel 2013 con altri 5 amici architet-ti. Insieme partecipiamo a svariati concorsi di architettura ed è un modo per continua-re a lavorare assieme a progetti più o meno visionari. Oltre a questo, con il collettivo, offriamo servizi di immagini per l’architet-tura, di modellazione 3D, di progettazione vera e propria e, appunto, di grafi ca, sfrut-tando le competenze di ciascuno.Passo ancora spesso davanti allo studio di Renzo Piano, sbircio dalla vetrina del labo-ratorio dei plastici che fronteggia una delle vie più belle del Marais, e il sogno, quello di poter un giorno, chissà in che modo, chissà per quali circostanze, lavorarci, ecco quel sogno, ogni tanto esce fuori.

studiare architettura mi ha dato non solo un metodo, un modo per organizzare il mio lavoro, ma an-che un punto di vista molto prag-matico e al contempo onirico

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IMMAGINI01 - Lidia Savioli.02 - Manifesto realizzato per la promozio-ne del Laboratorio dal Basso sugli Archivi Audiovisivi, Bari 2014.03 - Illustrazione, progetto personale, “La Valise”.04 - Illustrazione, progetto personale, “Ikea aka. La scrivania che finalmente arrivò”.05 - Illustrazione realizzata per il concor-so “That’s a Mole”, Torino 2014.Immagini di Lidia Savioli.

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mi rendo conto di guardare alle cose, soprattutto alla mia città, “da architetto”, e questo penso sia un imprinting che non se ne andrà

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(S)COMPOSIZIONE

Mixed-tape

Immagine di Daria Petucco

Lato A

1. Spice Girls, Wannabe, 1996

2. Backstreet Boys, Everybody (Backstreet’s Back), 1997

3. All Saints, Never ever,. 1997

4. Take That, Back for good, 1995

Lato B

1. Paola e Chiara, Amici come prima, 1997

2. I ragazzi italiani, Vero amore, 1997

3. Ambra, T’appartengo, 1994

4. 883, Come mai, 1993

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