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luglio 2014 01 ISSN 2384-9029

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Bimestrale di Architettura e Tecnologia Luglio-Agosto 2014

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luglio 201401

ISSN

238

4-90

29

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DIRETTORE EDITORIALE

Emilio Antoniol

COMITATO EDITORIALE

Valentina Covre

Francesca Guidolin

Daria Petucco

REDAZIONE

Filippo Banchieri

Margherita Ferrari

Valentina Manfè

Michele Menegazzo

Chiara Trojetto

PROGETTO GRAFICO

Valentina Covre

Margherita Ferrari

Chiara Trojetto

OFFICINA*

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Francesco Camillo, Anna Garatti, Anna Manea, Fabio Menegazzo

IMPAGINAZIONE GRAFICA

Valentina Covre

EDITORE

Self-published by

ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale

Università Iuav di Venezia

Dorsoduro 2196, 30123 Venezia

tel. +39 041257 1673

fax +39 041257 1678

[email protected]

Copyright © 2014 OFFICINA*

Bimestrale on-line di architettura e tecnologia

N.01 luglio-agosto 2014

ISSN 2384-9029

Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su :

www.officina-artec.com/category/publications/officina-magazine

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Dall’avvio del progetto OFFICINA* nel dicembre 2013 sono

state molte le aspettative ma anche i dubbi e le perplessità le-

gate allo sviluppo futuro di tale iniziativa. Il primo numero di

questa rivista, che si ripeterà con cadenza bimestrale, diventa

così la concretizzazione di un’idea ancora in crescita ed evolu-

zione. Più chiare, invece, sono sempre state le motivazioni che

hanno spinto dei dottorandi in Tecnologia dell’Architettura

dell’Università Iuav di Venezia a coinvolgere colleghi, docen-

ti, ricercatori, studenti ma anche aziende e professionisti in

questa iniziativa che vede nella divulgazione della ricerca, e

della cultura in genere, il suo primo fondamento. Alla base del

progetto si ritrova la volontà - espressa simbolicamente anche

mediante il concorso fotografico “Mettiamoci le MANI” che

accompagna questo primo numero - di lavorare insieme alla

costruzione di nuovi spazi di collaborazione e condivisione

del sapere. In essi, il fare, il produrre, il viaggiare si intreccia-

no ai nostri temi di ricerca, alle tesi di laurea o a esperienze

professionali trasformando le pagine di OFFICINA* in un

luogo di dialogo, di confronto sui temi dell’architettura, della

tecnologia, della produzione e, forse in modo ancora più senti-

to, in uno spazio di riflessione sul significato e sul valore della

ricerca e della formazione oggi.

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2 OFFICINA*

INDICE ESPLORARE

Do you MAG?di Margherita Ferrari

Abbiamo visto la mostra...di Daria Petucco

RIQUALIFICAZIONE APPROPRIATA

Cambiare finestredi Emilio Antoniol

Riqualificare il capannone di Valentina Covre

La riqualificazione [appropriata] degli edifici tradizionali alpinidi Daria Petucco

IN PRODUZIONE

Seconde lavorazionidi Michele Menegazzo

PORTFOLIO

(Quando) l’esposizione è il progettoa cura di Valentina Manfèfoto di Filippo Banchieri

VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

Human Cantileverdi Fabio Menegazzo

Povertà come possibilitàdi Anna Manea

MICROFONO ACCESO

Sean Godsella cura di Francesca Guidolin con il contributo di Arianna Garatti

CELLULOSA

Architettura e tecnologia appropriataa cura di Francesca Guidolin

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6

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36

42

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N.01 lug-ago 2014

in copertina: la nascita di

OFFICINA*

immagine di Margherita Ferrari

e Daria Petucco

luglio 201401

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N.01 LUG-AGO 2014 3

ARCHITETT’ALTRO

Design Network Australiadi Francesco Camillo

(S)COMPOSIZIONE

Perdo pezzi per stradadi Valentina Covre

IN ULTIMA PAGINA

Mettiamoci le MANI - Concorso fotografico di Nicola Franchin

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51

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4 OFFICINA*

Abbiamo visto la mostra...

Disegni esecutivi, schizzi, plastici in divenire e plastici finiti, prototipi di elementi e campionature di materiali, foto di cantiere e in cantiere, immagini evocative, documenti di progetto, libri, tablet, e molto altro: pezzi su pezzi. La mostra di Renzo Piano Building Workshop è composta da una serie in-numerevole di frammenti di progetto tra loro eterogenei, atti esplicitamente a raccontare il “making of ” di trentadue opere dello studio, dai primi lavori di un giovane Renzo Piano con la barba nera (tra tutti si segnala il Laborato-rio di quartiere nel centro storico di Otranto) alle realizzazioni più recenti e iconiche. Ad ogni opera viene dedicato un ampio tavolo quadrato sopra il quale – adagiati o appesi dall’alto – vengono esposti i “memorabilia” dei progetti. Anche se sembra mancare un vero e

una serie innumere-vole di frammenti di progetto tra loro ete-rogenei

ESPLORARE

“ “proprio criterio di collocazione dei pezzi sui tavoli e, a volte, risulta diffi-cile capire il processo progettuale e co-struttivo del singolo progetto, la scelta espositiva tuttavia centra forse un altro obiettivo, ovvero quello di stupire e incuriosire – soprattutto i non addetti ai lavori – rispetto al mondo dell’archi-tettura, nelle sue diverse fasi e scale. Attorno ad ogni tavolo vi sono otto sedie che sembrano invitare i visitatori a riposarsi, a soffermarsi sul pezzo più interessante ma soprattutto a guardare l’architettura: non solo le opere di Pia-no ma anche il Palazzo delle Ragione.

Giunge alla VI edizione il festival MAG//Musica Arte Giovani, piattafor-ma che promuove linguaggi espressivi dell’arte contemporanea e sostiene la valorizzazione di beni pubblici apren-doli a nuovi utilizzi, contaminazioni e a un pubblico più esteso. Nelle edizioni precedenti ha accolto la partecipazio-ne di oltre cento artisti e professionisti provenienti da ogni parte d’Italia e i vi-sitatori non hanno perso l’occasione: un evento che negli anni ha riscosso sem-pre più successo, divenendo un punto di incontro, di scambio e dialogo. Il bosco si riempie di installazioni, mo-menti in cui arte e natura si fondono: la coltivazione è aperta a tutti partecipan-do al bando di MAG//ARTE entro il giorno 8 agosto. La premiazione av-verrà a chiusura del festival.

di Daria Petuccodi Margherita Ferrari

Do you MAG?

Renzo Piano Building Workshop - Pezzo per PezzoPadova, Palazzo della Ragione15 marzo - 15 luglio 2014

MAG/ Musica Arte GiovaniSona di VeronaParco Villa Romani21 agosto - 23 agosto 2014facebook: bando.magarte

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6 OFFICINA*

TRE RICERCHE SUL TEMA DELLA RIQUALIFICAZIONE DELL’ESISTENTE

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ne alla specifica materia e contesto nel quale si va ad operare. E come spesso accade quando i pensieri cercano un appiglio nella sedimentazione delle conoscenze ed esperienze, è ri-tornata in mente una parola – appropriato – ritrovata in uno dei molti libri che accompagnano il percorso dottorale: “Ar-chitettura e Tecnologia appropriata“(si veda la scheda libro pg. 44).“Appropriato”, che all’interno del libro si riferisce all’ambito più generale della tecnologia, ci è sembrato un termine, sep-pur generale, efficace per definire il concetto che dovrebbe

Trovandoci spesso a discutere sulle no-stre ricerche di dottorato, tutte e tre afferenti al macro-tema della riquali-ficazione, è emerso come l’intervento sull’esistente presupponga un’attenzio-

essere il punto di partenza – e il risultato – di un interven-to di riqualificazione. Non è sicuramente una sfida facile. Il contesto reale odierno vede la necessità di operare sull’esi-stente. I motivi, per elencarne alcuni, sono di ordine energe-tico (i consumi, le emissioni) ed economico (gli incentivi, gli investimenti nel recupero). Se questi dati parlano di quantità, la ricerca ha invece la possibilità di occuparsi di “qualità”, at-traverso la definizione di prodotti, sistemi, materiali, metodi di analisi appropriati alla riqualificazione.A testimonianza dell’interesse per questo tema, le tre ricer-che raccolte in questo articolo (la riqualificazione del sistema finestra, dei capannoni industriali e degli edifici tradizionali alpini) sono state presentate presso l’ordine degli Architetti di Vicenza lo scorso 27 maggio 2014, con l’intento di essere da tramite tra il mondo dell’Università e il contesto reale.

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Cambiare finestre

Un ottimo investimento?

di Emilio Antoniol

caratteristiche fondamentali di trasparenza e di possibilità di apertura. Lo stato dell’arte delle finestre italiane ed europee fa inoltre emergere uno scenario molto promettente per il settore della riqualificazione, con un 44% di finestre ancora dotate di vetri singoli, un 42% che presenta vetri doppi non basso emissivi - e quindi non rispondenti alle attuali prescri-zioni normative - e solo un 14% di finestre dotate di vetri basso emissivi o tripli3, aprendo così un importante settore di mercato nell’ambito dell’efficentamento energetico. Sosti-tuire le finestre risulta poi relativamente facile4: l’intervento è operativamente poco invasivo e, spesso, consente di agire anche senza allontanare gli inquilini dall’abitazione; i costi sono mediamente inferiori ad altre tipologie di intervento quali quelli sugli impianti o sull’involucro opaco; infine la sostituzione delle finestre può consentire anche un imme-diato miglioramento qualitativo dell’alloggio andando ad agire su uno degli arredi fissi della casa. A dimostrazione di come la finestra sia stata, negli ultimi anni, uno dei protago-nisti nel panorama della riqualificazione basti poi ricordare come tra gli interventi eseguiti tra il 2010 e il 2011 mediante la procedura di incentivazione fiscale oltre il 45% sia legato proprio alla sostituzione di infissi5.

Tuttavia, proprio per questi motivi l’intervento sull’involucro trasparente è sempre più spesso caratterizzato dalla mancan-za di un vero progetto, portando così ad una perdita quasi totale delle qualità tecnico-formali della finestra originale e presentandosi come una mera sostituzione dell’esistente con un nuovo prodotto, dalle prestazioni migliorate, ma spesso incapace di relazionarsi con il manufatto edilizio in cui viene

Così scrivono Matteoli e Peretti in un saggio del ’90 intito-lato “Finestre: l’intelligenza dei muri” in cui l’elemento tec-nico finestra viene analizzato da diversi punti di vista così come molteplici sono le funzioni che esso assume all’interno dell’organismo edilizio. La finestra protegge la stanza dagli agenti atmosferici esterni ma allo stesso tempo consente il passaggio della luce solare, che porta illuminazione e calore all’interno; consente la ventilazione, l’affaccio all’esterno e l’introspezione verso l’interno; garantisce il collegamento fi-sico tra dentro e fuori ma si fa anche barriera antintrusione con i suoi dispositivi di sicurezza o di protezione; infine, la finestra è elemento formale e compositivo sia negli interni, arredando le stanze con le sue forme e i suoi materiali, che nei prospetti esterni, definendo rapporti tra pieno e vuoto, tra luce e ombra.A partire dagli anni ’80, la finestra ha assunto sempre più un ruolo di primo piano anche nell’ambito degli interventi di riqualificazione energetica, soprattutto residenziale, data l’elevata incidenza delle chiusure trasparenti sulle dispersioni totali dell’edificio2. L’evoluzione tecnologica che ha caratte-rizzato la finestra negli ultimi trent’anni si è spinta a livelli tali da trasformare uno dei componenti dell’involucro ener-geticamente più critici in uno dei suoi punti di forza, con serramenti dalle prestazioni termiche - e non solo - sempre più vicine a quelle delle chiusure opache, pur conservando le

Le finestre si possono veramente intendere come la parte intelligente dei muri, la parte organica dell’involucro esterno degli edifici”1. “

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l’intervento sull’in-volucro trasparente è sempre più spesso caratterizzato dalla mancanza di un vero progetto

“ “

01 - Quartiere INA Casa Conegliano (TV),Mario Ridolfi, 1957. Det-taglio delle logge tamponate con differenti infissi metallici.

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10 OFFICINA*

inserito. Interventi concepiti in tal modo non sempre coinci-dono con un “ottimo investimento” anzi, talvolta, costitui-scono un vero e proprio errore progettuale che può rendere vano l’investimento sostenuto. Sul piano economico sono numerosi gli studi che identifi-cano come limitata la convenienza - in termini di tempi di ritorno - di un intervento mirato alla sostituzione della sola finestra. Su questo tema l’Energy Efficiency Report - redatto dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano nel 2011 - fissa a 9 €c/kWh la soglia di convenien-za economica dell’investimento ma dimostra anche come, senza le attuali incentivazioni fiscali nessuna tipologia di in-fisso presente sul mercato permetta di rispettare tale valore. Allo stesso modo altre ricerche6 dimostrano come soltanto combinando diverse tipologie di intervento sul vano, sull’in-volucro o sugli impianti sia possibile contenere i tempi di ritorno a valori di 8-9 anni contro i 15 o più anni derivanti, invece, dalla sola sostituzione dei serramenti. Sul piano tecnologico l’installazione di un infisso dalle pre-stazioni di isolamento e tenuta molto elevate su un vano murario non riqualificato presenta invece problematiche già note da diversi anni ma non per questo risolte in modo si-stematico negli interventi di recupero. In particolare la non corretta posa in opera, ovvero la non adeguata progettazione dei giunti di interfaccia tra serramento e muratura, o la man-cata riqualificazione energetica di cassonetti e sottofinestra, possono comportare la formazione di ponti termici localiz-zati che, a loro volta, sono causa di dispersioni termiche, in-filtrazioni d’aria e di umidità con la conseguente formazione di condensa e muffe proprio a seguito dell’intervento esegui-

to. In questo scenario, una riqualificazione appropriata più che alla sola finestra dovrebbe quindi rivolgersi al “Sistema Finestra” inteso come insieme di vano murario, sistemi di posa, serramento, schermo e relativi accessori. Solo attraver-so un progetto di riqualificazione rivolto all’intero sistema è possibile eseguire interventi energeticamente efficienti, eco-nomicamente convenienti ma soprattutto capaci di valoriz-zare e rispettare la complessità tecnologica e figurativa della finestra inserita nell’edificio.Ed è forse quest’ultimo aspetto quello più trascurato nell’at-tuale panorama degli interventi sui serramenti. Se infatti le questioni energetiche ed economiche sono sempre più inda-gate da ricercatori ed operatori del settore, l’ambito figurati-vo resta spesso relegato alla sensibilità del singolo progetti-sta. Tuttavia, nei termini di una riqualificazione appropriata anche questo aspetto dovrebbe essere considerato al pari delle questioni tecnologiche o funzionali. Da sempre infatti la finestra assume nella sua definizione formale significati configurazionali7 che connotano in modo inequivocabile gli edifici e, con essi, le nostre città. Il termine configura-zionale vuole indicare quegli aspetti legati al “valore comuni-cativo dell’involucro inteso come veicolo linguistico intenzionale” ossia quei caratteri della finestra che “informano su ciò che va al di la dell’aspetto operativo e materico”8. Partendo dalle prime aperture nei templi greci ed egizi, passando per le finestre romane - già dotate dei primi vetri - fino ad arrivare alle vetrate go-tiche, le funzioni e i significati della finestra sono mutati al passare delle epoche storiche, confrontandosi con forme e tipologie di apertura differenti in grado di anticipare innova-zioni come il curtain wall che si diffonderà solo diversi secoli

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02 - Volete fare un ottimo investimento? Cambiate finestre - Cartellone pubblicitario. 03 - Campiello dei Sechi, Venezia. Tre diversi interventi sul siste-ma finestra.

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dopo. Nel rinascimento la finestra, caratterizzata da una “cor-nice” preponderante “sull’infisso”9, diventa un vero e proprio strumento progettuale atto a definire le proporzioni e i ritmi della facciata mentre, con l’avvento dei materiali metallici e di lastre vetrate sempre più grandi, la finestra ottocentesca si stacca sempre più dall’idea di buco nel muro per diventare facciata continua e porsi come unico elemento di separazio-ne tra interno ed esterno. La finestra del ‘900 si arricchisce di contenuti formali sempre più evidenti, basti pensare alle “finestre orizzontali” di Le Corbusier o alla “parete finestra”10 di Mies van der Rohe, o ancora alle finestre “dispositivo ottico” dell’Istituto del Mondo Arabo a Parigi di Jean Nouvel e a quelle in “risalto visivo”11 di Ghery. In questi esempi la finestra non è più solo un elemento tecnico funzionale all’edificio ma anche un modo per trasmettere un linguaggio architet-tonico, un modo diverso di concepire il rapporto tra l’inter-no e l’esterno, tra il pubblico e il privato. All’appropriatezza tecnologica si affianca dunque anche quella configurazionale che diventa mezzo e strumento per valutare la qualità com-plessiva degli interventi di riqualificazione in un ottica più ampia che vede nell’edificio intero - e per estensione nella città - il suo ambito di riferimento.

04 - Il sistema finestra: 1. Architrave2. Veletta o chiusino (esterno) del cassonetto3. Cassonetto dell’avvolgibile4. Controtelaio (lato superiore)5. Fermavetro6. Lastra vetrata (vetrocamera)7. Telaio mobile o dell’anta8. Telaio fisso9. Controtelaio (lato inferiore o quarto lato)10. Parapetto o sottofinestra11. Davanzale esterno12. Corsia di scorrimento del telo avvolgibile13. Stipite o spalletta14. Muratura esterna15. Telo avvolgibile

una riqualificazione appropriata più che alla sola finestra dovrebbe quindi ri-volgersi al “Sistema Finestra”

“ “04

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NOTE

1 - Matteoli Lorenzo, Peretti Gabriella, Finestre: l’intelligenza dei muri, Scriptorium, Moncalieri, 1990, pag. 4.2 - L’incidenza delle finestre nelle dispersioni totali dell’edificio può variare dal 15% al 35% in funzione alla tecnologia costrutti-va dell’edificio e della finestra stessa. Cfr. Capolla Massimo, La casa energetica. Indicazioni e idee per progettare la casa a con-sumo zero, Maggioli, Rimini, 2011.3 - Fonte TNO Report TNO-60-DTM-2011-00338, Glazing type di-stribution in the EU building stock, 2011.4 - Se confrontato con altre tipologie di intervento di riqualifica-zione quali la realizzazione di cappotti o isolamenti interni, o il rifacimento degli impianti, la sola sostruzione degli infissi può essere considerata un’operazione di intervento a bassa invasività sia per i contenuti tempi di realizzazione sia perché può non pre-vedere interventi murari.5 - Fonte, Energy Efficiency Report, Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, Novembre 2011.6 - Cfr. Ferrante Annarita, Adeguamento energetico e qualifica-zione architettonica. Casi di studio e sperimentazioni progettuali nell’edilizia sociale, in Caratteri tipologici del costruito e criteri di adeguamento tecnologico e ambientale, (a cura di) Dell’Acqua

05 - Edificio anni ’60 a Treviso. Al primo piano gli infissi in acciaio verniciato di rosso sono stati sostituiti con nuovi prodotti dalla morfologia differente andando a modificare il disegno di facciata del palazzo.06 - Dettaglio delle finestre ‘in risalto visivo’ dell’edificio per uffi-ci noto con il nome di “Fred and Ginger” di Vlado Milunic e Frank Gehry, Praga, 1994-96.

05

06

Adolfo (et alii), Alinea, Perugia, 2011.7 - Il termine è ripreso dal lavoro di Giorgio Boaga, L’involucro ar-chitettonico. Progetto, degrado e recupero della qualità edilizia, Masson, Milano, 1994. 8 - Cfr. Giorgio Boaga, Op. cit., pag. 15.9 - I termini sono ripresi da Romanelli Francesco, Scapaccino Elisa, Dalla finestra al curtain wall: ricerche sulle tecnologie del discontinuo, Officina, Roma, 1979.10 - I termini sono ripresi da Cardullo Francesco, La stanza e la finestra, Roma, Officina, 2013.11 - Cfr. Holt Michael, Looby Marissa, Frank Gehry: la ridefinizio-ne incidentale della finestra, in Domus, Maggio 2011.

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14 OFFICINA*

Riqualificare il capannone

Quale scelta appropriata tra recupero e demolizione

edifici dotati di carat-terizzanti e distintivi connotati morfolo-gici, funzionali e co-struttivi, specifici a tal punto da portare alla definizione di un tipo edilizio

di Valentina Covre

“ “che assieme alla contingente situazione economica è stata causa principale di dismissione, abbandono e sottoutilizzo di questi luoghi, lascia spazio all’innesto di nuove o rinnovate funzioni (complici l’informatica e la deindustrializzazione) e di conseguenza a materiali e sistemi costruttivi con i quali la preesistenza si interfaccia e cerca compatibilità. Un lavoro sinergico finalizzato anche a dotare questi edifici di presta-zioni prima d’ora inesistenti. Al contenimento dei consumi energetici, sia esso imposto dagli strumenti normativi, gui-dato da una sensibilità della committenza o ancora osannato per il prestigio e ritorno economico che un marchio certifi-cato può fornire, si accosta un’attenzione all’idoneità sismica di questi edifici, temporalmente scissi dallo spartiacque del 2003 (anno della nuova classificazione sismica del territo-

to ambito architettonico, di una serie di puntualizzazioni indispensabili per poterne attribuire consistenza e validità. Come per tutti gli edifici dotati di caratterizzanti e distintivi connotati morfologici, funzionali e costruttivi, specifici a tal punto da portare alla definizione di un tipo edilizio imme-diatamente riconoscibile, le azioni sui capannoni in disuso che disegnano l’attuale scenario produttivo e industriale portano con sé un abaco di peculiari necessità e criticità. Si tratta di operazioni, ma più spesso di semplici sperimenta-zioni progettuali, che trovano ragione nella consistenza di questa dismissione, esplicitata da inquietanti dati numerici2, e supporto nelle condivise linee normative che promuovono un “consumo zero” di suolo e che indirizzano verso la ridefi-nizione di quei luoghi i cui esiti concretizzano codici estetici erosivi, periferici, estensivi, disorientanti, senza limiti, marginali, invadenti, sovrapposti a luoghi antropizzati e stratificati nei secoli e devastati in pochi anni3. La razionalità ecologica che guida verso il riuso di questi spa-zi deve però necessariamente essere affiancata da un’altret-tanto razionale valutazione in termini economici, tecnologici ed energetici capace di tenere assieme le diversificate carat-teristiche prestazionali richieste alle nuove conformazioni. L’adeguatezza dell’intervento si confronta innanzitutto con la capacità di rispondere alle necessità dettate da un cambia-mento funzionale; l’obsolescenza tecnologica e produttiva,

L’appropriatezza dell’utilizzo del termine “appropriato” nella valutazione degli interventi sui manufatti industriali co-munemente denominati capannoni1 ne-cessita, all’interno di questo circoscrit-

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rio nazionale) e protagonisti involontari del sisma emiliano. Sono tutte operazioni necessarie per riattivare un tipo edili-zio, per “adeguarlo a principi energetici attivi e passivi, e di renderlo più decoroso, con progressivi trapianti di pezzi o anche solo con inter-venti di lifting”. 4

A queste e altre esigenze devono rispondere tutti i compo-nenti costitutivi di questi edifici dall’apparente basso livello tecnologico; si tratta di elementi accorpabili in sole due ma-cro-categorie: struttura e involucro. Il livello di appropriatez-za passa dunque anche per le specifiche caratteristiche tec-niche e morfologiche di questo tipo edilizio, contraddistinto da occupazioni estensive in termini di superficie ma paral-lelamente intensive in termini di volume. Scatoloni, scarti, casannoni, oggetti instabili (sono solo alcuni degli appellativi con cui i capannoni industriali, e le loro variazioni generate 01 - Ex magazzini FS a Verona (foto di Margherita Ferrari).

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da innesti, sottrazioni, mascheramenti, vengono identificati nella letteratura interdisciplinare che recentemente affronta il tema) una quasi inesistente specializzazione degli ambienti e mettono a disposizione una generosa consistenza di valore spaziale da riprogettare. Se quest’ultimo sembra essere, in-sieme al valore economico acquisito, una delle componenti (sane) di questi contenitori dalle origini industriali, artigia-nali e commerciali, molto più scadente è il loro valore ma-teriale. Coloro che identificano nel sistema costruttivo, e in partico-lar modo nella prefabbricazione, il capro espiatorio del deca-dimento qualitativo di questi edifici trova però riferimenti esemplari il cui le stesse caratteristiche (modularità, materia-li impiegati, sistema strutturale, modalità di fissaggio degli

elementi) portano a risultati di ben altra natura5. Si tratta di aspetti che concorrono indiscutibilmente anche alla defini-zione del valore culturale del manufatto6, parametro di rife-rimento nella valutazione delle strategie ad esso applicabili, nella scelta tra la pratica conservativa e l’intervento di demo-lizione. L’appropriatezza risiede dunque anche nel preferire l’una all’altro, nel definire i criteri che esplicitino l’effettiva convenienza economica, energetica, culturale dell’operazio-ne, qualunque essa sia. “E se l’unica alternativa economicamente possibile fosse lasciare tutto com’è e governare rovine contemporanee?”7. Se questo interrogativo, maggiormente indirizzato agli sta-keholder legati agli aspetti pragmatici della questione, porta a discussioni dal carattere tecnico (i cui output sono espressi in numeri, statistiche, m3, kWh/m2, kg di CO2, ecc.) il livel-

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l’appropriatezza ri-siede dunque anche nel preferire l’una all’altro, nel definire i criteri che esplici-tino l’effettiva con-venienza economica, energetica, culturale dell’operazione, qua-lunque essa sia

“ “02 - Prototipo di abitazione per tre persone realizzato con sistema CIPA collocato all’interno del capannone industriale dell’azienda produttrice.03/04 - Immagini di cantiere della realizzazione dello stabilimen-to lana e centro di distribuzione Benetton progettato da Afra e Tobia Scarpa.

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lo di appropriatezza non può escludere dalla valutazione del termine impiegato per definire questi interventi sulla preesi-stenza, sui figli poveri dell’archeologia industriale nati con il peccato originale. Riuso, riciclo, riorganizzazione, rigenerazione, riqualificazio-ne, riutilizzo, reinvenzione, restauro, recupero, riattivazione, riconversione, e forse molti altri sfuggiti in questa occasione, si accostano, si contrappongono, vengono impiegati come sinonimi. Ognuno di essi incorpora però peculiarità diverse, con atteggiamenti che si differenziano ulteriormente al loro interno, in base al contesto geografico di riferimento, alle sue tradizioni costruttive e ai riferimenti normativi, fonda-menti con cui si confronta l’estensione nel tempo della vita di un edificio.

riuso, riciclo, riorga-nizzazione, rigenera-zione, riqualificazione, riutilizzo, reinvenzio-ne, restauro, recupe-ro, riattivazione, ri-conversione

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NOTE

1 - Il dizionario Treccani non solo identifica nella parola capan-na la radice etimologica del termine ma indirizza verso un me-todo di classificazione tipologica basato sul sistema costruttivo impiegato per la sua realizzazione: struttura portante puntuale in muratura, cemento armato o metallo, spesso realizzata con tecniche di prefabbricazione.2 - Il censimento sulle aree dismesse italiane condotto dal WWF nel 2013, i cui esiti sono raccolti nel report RiutilizziAMO l’Italia, evidenzia come il 25% dei casi di abbandono di edifici sia ricondu-cibile alla cessazione dell’attività produttiva all’interno di essi.3 - Fossati Paolo Remy, L’Italia degli scatoloni, in Claudia Battai-no, Vacant Spaces. Recycling Architecture. La periferia ingloban-te, Mimesis Edizioni, Milano 2012, pag. 39.4 - Caludio Bertolelli, Là, dove il paesaggio si fa. Esperienze e confronti nella terra del lavoro, in Marini Sara, Bertagna Alber-to, Gastaldi Francesco (a cura di), L’architettura degli spazi del lavoro. Nuovi compiti e nuovi luoghi del progetto, Quodlibet, Ma-cerata, 2012, pag. 39.5 - Lo stabilimento lana e il centro di distribuzione robotizzato progettati nel 1964 a Paderno di Ponzano (TV) da Afra e Tobia

Scarpa per Benetton sono stati realizzati con elementi (struttu-rali e di tamponamento, verticali e orizzontali) prefabbricati in cemento. 6 - Solo il 10% degli edifici produttivi abbandonati è costituito da manufatti ai quali è riconosciuta una valenza storica e architet-tonica, principalmente legata al contesto urbano centrale in cui sono inseriti. 7 - Claudio Bertolelli, Op.cit., pag. 39.

05/07 - Capannone industriale situato nella zona industriale di Sant’Elena (PD).06 - Edifici industriali di recente costruzione in Egitto.

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La riqualificazione [appropriata] degli edifici tradizionali alpini

di Daria Petucco

za accumulata attraverso vari secoli, entrambe tramandate oralmente e manualmente.”1 Secondo questa visione, il concetto di appropriatezza sembra appartenere alla genesi e allo sviluppo dell’architettura tra-dizionale alpina. I materiali per la sua costruzione - la pietra e il legno - venivano sostanzialmente reperiti nel territorio, valutando quindi la possibilità di essere agilmente traspor-tati, lavorati e facendo attenzione alla loro interazione con l’ambiente. Anche per quanto riguarda le “forme” finali da conferire a questi materiali - a diverse scale, dal singolo ele-mento all’intero edificio - esse rispondevano al criterio di efficienza, ottimizzazione, parsimonia.Il tema della riqualificazione dell’esistente si occupa oggi ne-cessariamente anche di questa architettura. Le motivazioni alla base sono di diversa natura. Vi sono innanzitutto quelle che, più in generale, riguardano il miglioramento della pre-stazione energetica e quindi la riduzione delle emissioni in atmosfera, la limitazione di consumo di ulteriore territorio, soprattutto in un ambiente - quello montano - così fragile. Accanto a queste vi sono tuttavia ragioni contestuali all’am-biente e ai suoi edifici. In primo luogo vi è l’intento - molto spesso concretizzatosi attraverso iniziative nazionali e tran-snazionali2 - di conservare il sapere del quale questi edifici sono portatori, altrimenti detto cultura materiale. Una se-conda ragione insiste sulla funzione che questi edifici, un

L’architettura alpina – quella originale, quindi ormai storica – è frutto di una cul-tura popolare risultante da ponderate scelte ambientali e da una sedimentazione del “sa-per fare e costruire” risultante dall’esperien-“

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tempo presidi territoriali, possono oggi assumere attraverso il loro recupero. Considerando la vocazione turistica assunta oggi da molti territori montani, pensare ad un’accoglienza che si basi sull’ospitalità all’interno degli edifici recuperati (su modello ad esempio dell’albergo diffuso), è un’indicazio-ne suggerita anche dal Protocollo del Turismo redatto dalla Convenzione delle Alpi3. Inoltre, non sono da escludere sce-nari in cui il recupero avvenga con l’intento di “ri-abitazio-ne” dei territori montani, come delineato da alcune recenti ricerche in atto nelle Alpi occidentali4.

A partire da questo background si giunge tuttavia alla fase di maggior criticità, la fase operativa, nella quale è neces-sario rispondere alla domanda: “come riqualificare?”. Se da un lato vi deve essere la volontà di preservare i caratteri di-stintivi di questa architettura dall’altro lato vi è la necessità di rispondere con il progetto a esigenze nuove, spesso non previste dal manufatto originario. Attraverso l’analisi di due casi studio5 sono state individuate alcune questioni aperte - e tra loro interconnesse - in merito alle modalità di recupero e riqualificazione di questi edifici.In primo luogo vi è sicuramente una questione spaziale, connessa ad una nuova destinazione d’uso. Gli edifici tra-dizionali alpini erano nella maggior parte dei casi destinati a stalle e fienili e in alcuni casi associati a delle unità abitati-ve. Essendo realmente poco fattibile il mantenimento della funzione rurale, le nuove destinazioni d’uso comprendono la residenza (temporanea o permanente), spazi di accoglienza (spazi espositivi-museali, sale polifunzionali), spazi per atti-vità commerciali e artigianali. Il cambio di funzione pone,

01 - Sistema di “funghi” per proteggere l’edificio dall’umidità del terreno e dalla risalita dei roditori, detti anche “Mausplatten”, Valle d’Aosta. Crediti: Petucco Giuseppe.

Il tema della riqualifi-cazione dell’esistente si occupa oggi neces-sariamente anche di questa architettura

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per elencarne alcune, problematiche legate al soddisfacimen-to dei requisiti igienico-sanitari (altezze, aerazione, illumina-zione) e all’accessibilità; problemi legati alla salubrità degli ambienti (un locale che per centinaia di anni ha ospitato una stalla presenta a livello olfattivo e di degrado materico diver-se criticità); problemi - o opportunità progettuali - nell’iden-tificare soluzioni architettoniche che sappiano valorizzare gli spazi esistenti. La conoscenza approfondita del manufatto, da realizzarsi in una delle fasi determinanti del processo di recupero - il rilievo - diventa quindi un primo requisito ope-rativo.Una seconda questione riguarda la sicurezza, in primo luogo statica, che l’intervento di recupero deve soddisfare, al fine di sopportare i nuovi carichi di esercizio derivanti dal cambio di destinazione d’uso, definiti dalla normativa. Gli interventi sulle fondazioni (gli edifici tradizionali sono spesso privi di fondazioni propriamente dette) e sulla struttura portante (sia esso un telaio ligneo, un sistema a blockbau, una muratura di pietrame o un sistema misto) risultano essere i più invasivi in quanto realizzati su una materia esistente - anche se spesso di qualità - non dimensionata secondo i parametri odierni. Intervenire in modo appropriato necessita quindi di valuta-

zioni e proposte ad hoc da parte dei progettisti e degli struttu-risti coinvolti nel progetto .Non viene tralasciata poi la questione della prestazione ener-getica, uno dei “motori” dell’intervento sull’esistente. Due sono i principali campi di intervento: gli impianti e l’involu-cro. Ad esemplificazione della tematica relativa agli impianti è sufficiente portare una comparazione. L’edificio originario, prendendo ad esempio uno degli edifici oggetto di studio6, era scaldato a legna in una sola stanza, la “stua”. L’edificio, dopo l’intervento, è scaldato in tutte le stanze attraverso di-versi sistemi: un camino a legna, una caldaia a condensa-zione a gas e un impianto a pannelli solari termici. Come è facilmente intuibile, ciò si traduce nella necessità di spazi prima non presenti per l’inserimento delle reti e delle unità centrali degli impianti.Per quanto riguarda l’involucro, anche in questo caso un esempio7 misura quanto la questione prestazionale influenzi le modalità di intervento di riqualificazione: il tavolato ligneo esterno (a confinamento del fienile) passa dallo spessore di 3 cm ad uno spessore 34,5 cm . Sono quindi necessari oltre 30 cm di “nuovi” materiali al fine di soddisfare i valori di tra-smittanza termica previsti dalla normativa. Uno spunto per

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se l’edificio tradizio-nale è principalmente realizzato in pietra e legno, la sua “versio-ne riqualificata” può comprendere mate-riali di diverso tipo

“ “

un intervento appropriato potrebbe essere quello di valutare attentamente i reali profili di utenza dell’edificio8 - soprattut-to in caso di utilizzo saltuario degli spazi - al fine di calibrare gli impianti e le caratteristiche dell’involucro.Strettamente connessa a questa questione vi è quella dei ma-teriali che è necessario introdurre nel cantiere di riqualifica-zione. Se l’edificio tradizionale è principalmente realizzato in pietra e legno, la sua “versione riqualificata” può compren-dere materiali di diverso tipo: acciaio, calcestruzzo armato, laterizio, vetro, materiali isolanti di diversa natura, materiali plastici, compositi ma anche legno e pietra in versioni “in-novate” (come ad esempio il legno lamellare o la pietra ri-costituita). In questo scenario la mappa di reperimento dei materiali, da un originario concetto di locale-territoriale, si espande. Non solo risulta complesso sottostare al principio di prossimità di reperimento dei materiali, spesso indicato dai manuali di recupero, ma diventa difficile realmente trac-ciare i vari passaggi (e viaggi) che i materiali compiono prima di arrivare in cantiere. La ricerca di materiali/sistemi pensati per la riqualificazione (come ad esempio quelli a spessore ridotto o che si assemblano a secco) potrebbe essere un per-corso verso un intervento appropriato.Un’ultima questione emersa dall’analisi dei casi studio è di

02 - La struttura lignea originaria affiancata alla nuova struttura in acciaio nell’intervento di riqualificazione del Tabià a Selva di Cadore. Crediti: Studio EXiT.03/04 - La “stua”, unico locale riscaldato della casa ladina bi-partita di Selva di Cadore, e il correlato sistema di alimentazione del fuoco, posizionato nella stanza attigua. Crediti: Arch. Giuliano Giusto.05 - Sistema di riscaldamento a pavimento previsto in tutti i locali a seguito dell’intervento di recupero e riqualificazione. Crediti: Arch. Giuliano Giusto.

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06/07 - Cantiere in montagna: soluzioni “ingegnose” per rispon-dere alla variabilità meteorologica. Crediti: Arch. Giuliano Giu-sto.08/09 - Riscaldamento a pavimento alimentato elettricamente, realizzato con un sistema tipo termocoperta con resistenze in carbonio, spessore 4 mm. Il tavolato del pavimento viene poi po-sato a secco sopra il telo. Crediti: Studio EXiT.10 - Confronto tra la stratigrafia dell’involucro del fienile prima e dopo l’intervento di riqualificazione della casa ladina bipartita di Selva di Cadore. Crediti: Arch. Giuliano Giusto.

carattere più operativo e riguarda la tematica del cantiere che, in un ambiente montano, spesso di confronta con par-ticolari situazioni climatico-ambientali: difficoltà di accesso al sito (si pensi ad esempio a mezzi pesanti, gru, ecc.), va-riabilità meteorologica e tempi limitati di operatività (mag-gio-dicembre). Pensare a soluzioni appropriate anche per il cantiere (come ad esempio, su spunto dei casi studio, sistemi di protezione dall’acqua/neve facilmente e rapidamente in-stallabili o organizzazione temporale delle varie lavorazioni in base alle temperature) diventa uno sforzo necessario per l’intervento di riqualificazione in questi contesti.

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NOTE

1 - L. Dematteis, “Il patrimonio architettonico alpino”, in: A. De Rossi, E. Moncalvo (a cura di), Cultura architettonica e ambiente alpino, Celid, Torino, 2011, pag.153.2 - Tra queste iniziative si segnalano in particolare i Progetti Eu-ropei sullo Spazio Alpino che oramai da oltre 10 anni si occupano di questa tematica (quali ad esempio AlpCity, AlpHouse, AlpBC) e le varie iniziative di pubblicazione di manuali per il recupero dell’architettura alpina, promosse da Comuni, G.A.L. e Comunità Montane.3 - Official Journal of the European Union (2005), Protocol on the implementation of the Alpine Convention of 1991 in the field of tourism – Tourism Protocol.4 - Si veda ad esempio: Dematteis G. (a cura di), Montanari per scelta. Indizi di rinascita nella montagna piemontese, FrancoAn-geli, Milano, 2011; Corrado F., Dematteis G., Di Gioia A. (a cura di), Nuovi montanari. Abitare le Alpi nel XXI secolo, FrancoAngeli, Milano, 2014.5 - Si tratta di un tabià del 1870-90 a Selva di Cadore (BL), conver-tito tra il 2008 e il 2010 in residenza dallo Studio EXiT di Treviso e da una casa ladina bipartita del 1876, anch’essa a Selva

di Cadore (BL), trasformata nel 2006-2009 in residenza dall’Ar-chitetto Giuliano Giusto.6 - Casa ladina bipartita, Architetto Giuliano Giusto.7 - Ibid.8 -Una questione che ci si pone e quella rispetto alla necessità di isolare in maniera cospicua edifici che realmente vengono occu-pati pochi giorni all’anno e spesso soprattutto nel periodo estivo. Una ricerca dal tema “Efficienza energetica nei rifugi” (condotta da Peter Büchel e presentata IMS di Bressanone nel 2012) po-trebbe essere da spunto a questa questione, pur occupandosi di una tipologia edilizia differente ma in un contesto climatico simi-le. “E’ forse l’intervento minimo più efficiente?” è la domanda che la ricerca si pone, cercando di valutare quindi la quantità di mate-riale utilizzato per isolare e gli impianti necessari in rapporto alle modalità di utilizzo dell’edificio.

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dal momento che necessita di conside-razioni non solo sugli aspetti composi-tivi, espressivi e formali, ma anche su quelli legati al comfort termico, acusti-co e visivo, al risparmio energetico, alla fattibilità economica e allo sviluppo tecnologico dei componenti.Un’ampia parte delle recenti realizza-zioni architettoniche, soprattutto nel settore residenziale e terziario, è con-notata da grandi superfici vetrate, con caratteristiche variabili in relazione al microclima del sito e all’orientamento delle pareti in cui sono inserite. Il ve-tro assume quindi un ruolo importante nel creare ambienti piacevoli da vivere: la Biblioteca Universitaria ad Utrecht, il Maciachini Center a Milano, le Bol-le delle cantine Nardini a Bassano del Grappa e l’Apple Flagship Store a Man-hattan sono solo alcuni degli esempi di come questo materiale, generalmente associato in architettura alla lastra pia-na di rivestimento trasparente, possa esser declinato per garantire il benes-

Seconde lavorazioni Materiale fragile per antonomasia, il vetro può garantire performance eccezionali

La progettazione dell’involucro di un edificio è oggi un processo alta-mente complesso,

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sere degli utenti, per introdurre nuovi livelli comunicativi e per permettere usi strutturali.

Union GlassLa Union Glass di Motta di Livenza è impegnata da quasi trent’anni nel-la trasformazione delle lastre float in prodotti ad alto contenuto tecnologico, migliorandone le caratteristiche di fra-gilità, di scarsa resistenza alla trazione e di sensibilità alla concentrazione delle tensioni. Il colloquio con il titolare ed il responsabile commerciale dell’azienda, in occasione di una visita agli stabili-menti, è stato interessante per elaborare alcune indicazioni utili per i progettisti, i serramentisti e i facciatisti.

TaglioGeneralmente le lastre di vetro sono consegnate presso la sede con le dimen-sioni standard di 3210x6000 millime-tri: la scelta di un elemento extra-size comporta, infatti, un notevole aumento dei costi dovuto alla difficoltà nel re-perire adeguati impianti di lavorazione, all’esecuzione delle verifiche di qualità e alla gestione operativa della logisti-ca e delle fasi di montaggio. Ulteriori

criticità legate alle dimensioni si verifi-cano nella fase di taglio, in quanto un numero crescente di professionisti, allo scopo di massimizzare l’area vision, ri-chiede lastre alte 3300 - 3400 millime-tri a partire da prodotti standard e ciò comporta una grande quantità di sfridi e di giacenze di magazzino. Per l’ope-razione di taglio, i vetri vengono presi dalle scaffalature verticali di stoccaggio automatico e caricati in posizione oriz-zontale mediante un sistema di bracci dotati di ventose, queste ultime inserite per garantire la tenuta del pannello in condizioni di sicurezza anche nel caso di blackout. Una singola lastra può pesa-re alcune centinaia di chilogrammi, ma viene facilmente movimentata sopra il tavolo di lavoro tramite un cuscino d’aria e allineata a dei punti di riferi-mento riconosciuti dal programma a controllo numerico. Il banco è costitu-ito inoltre da un asse elettrico Gantry, il quale, grazie all’azionamento con due motori e al vincolo con guide cilindri-che ad alta precisione e cremagliere elicoidali, raggiunge velocità di taglio fino a 160 metri al minuto ed evita tor-sioni durante gli spostamenti. Il vetro viene inciso da una rotella in carburo

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di tungsteno, widia o diamante sinte-tico posta nella testa mobile del ponte ed è definitivamente spezzato con una sollecitazione delle barre di troncaggio azionate da un operatore.

MolaturaLe lastre prive di telaio sono spesso utilizzate in architettura per la realiz-zazione di parapetti, schermature sola-ri, porte d’ingresso o complementi di arredo: per queste e per altre tipologie di applicazioni, è necessario proce-dere a una serie di lavorazioni che ne garantiscano l’alto livello qualitativo e prestazionale. La presenza di asperità e irregolarità sui bordi, ad esempio, può diventare causa di rottura e deve esse-re eliminata tramite una molatura. Le macchine più semplici sono organizza-te secondo una configurazione a L op-pure a U, in quanto operano su due lati per volta, mentre quelle quadrilaterali e quelle rettilinee verticali, a fronte di un prezzo superiore, occupano meno spazio e risultano più facilmente inse-ribili in stabilimento. I mandrini pos-sono montare differenti tipi di mole, anche contemporaneamente, a seconda dell’effetto finale desiderato:

01 - Tavolo di taglio: la lastra viene incisa da una rotella posta nella testa mobile del ponte (foto: Union Glass).02 - Centro di lavoro a controllo numerico: esecuzione di una molatura (foto: Union Glass).

• il filo greggio opaco, realizzato con mole diamantate;• il filo lucido, piatto o tondo, ottenuto con mole diamantate bachelitiche e di feltro e un successivo trattamento della superficie con ossido di cerio liquido;• il bisello, utilizzato soprattutto per gli specchi di grande pregio, che pre-vede una molatura del bordo per 10-40 millimetri di altezza con un angolo di circa 7 gradi.Tali operazioni possono essere onero-se, in termini di tempo, e molto com-plesse, in quanto spesso richiedono dei test per determinare la giusta velocità

di avvicinamento al pannello. Le fora-ture, predisposte non troppo vicino al bordo, sono invece ottenute mediante punte a corona diamantata, contrappo-ste sullo stesso asse verticale e raffred-date con getto continuo d’acqua.

VerniciaturaLe lastre possono essere verniciate completamente tramite macchine a rullo o a velo, nel caso della smaltatura, o seguendo un disegno, se viene effet-tuata una serigrafia. In questo secondo procedimento, una volta studiate le im-magini e i colori da riprodurre, viene

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applicata una fotoemulsione a base ac-quosa sui telai di seta sintetica: esposta alla radiazione ultravioletta con lun-ghezza d’onda di 365 nanometri, essa si asciuga creando della maglie dure e non solubili in acqua attraverso cui vie-ne fatto passare lo smalto con l’ausilio di una spatola (racla). I motivi riprodot-ti possono essere semplici, modulari o molto articolati, come gli alberi sulle vetrate della sede di Italcrafts a Fiorano Modenese. La stabilizzazione chimi-ca e meccanica delle fritte ceramiche avviene tramite trattamento termico e quindi può essere associata alla tempra, all’Heat Soak Test o all’indurimento.

TempraNel primo di questi processi, le lastre vengono poste su un tavolo a rulli e in-trodotte in un forno orizzontale oscil-lante a resistenze elettriche e a conve-zione, dove raggiungono la temperatura di rammollimento (640 °C); sono qui mantenute per un tempo variabile a se-conda del tipo e dello spessore del ve-tro ed, infine, sono raffreddate rapida-mente con getti d’aria. In questo modo, si creano una pre-compressione perma-nente sulle superfici esterne e uno sfor-

zo di trazione nella parte centrale, ossia il vetro acquista una riserva di resisten-za meccanica, ai contrasti termici e alla fatica da utilizzare prima di disgregarsi in piccoli frammenti non taglienti. Ciò nonostante, la tempra termica presenta dei limiti di applicazione:• non può essere eseguita sui pannelli con spessori inferiori ai tre millimetri o con forme articolate o ancora con nu-merosi fori vicini tra loro, in quanto le sollecitazioni interne al materiale pos-sono causarne la rottura;• non ammette lavorazioni successive, ragione per cui il taglio, la levigatura, la foratura e la svasatura devono essere effettuati precedentemente;• non può essere applicata su lastre a controllo solare con couches semplice-mente magnetroniche, in quanto con-trariamente ai rivestimenti pirolitici e magnetronici temprabili, non sono re-sistenti ai trattamenti termici;• i vetri riflettenti temprati presentano spesso distorsioni ottiche in funzione della distanza, dell’angolo di osserva-zione e dei rapporti di illuminanza tra interno ed esterno.

Altri TrattamentiIl vetro temprato può subire inoltre rot-ture improvvise a causa delle tensioni sviluppate nella massa dalle inclusioni di solfuro di nichel, le quali tendono ad espandersi per riacquisire la configura-zione trigonale originale persa durante il riscaldamento. Nell’Heat Soak Test le lastre vengono mantenute ad una tem-peratura di circa 290 °C per due ore, in modo da consentire alla struttura cristallina di adattarsi alle variazioni volumetriche. L’indurimento è invece un processo del tutto simile a quello della tempra, ma da essa si differen-zia per una fase di raffreddamento più lenta e per il fatto di restituire un pro-dotto perfettamente planare (quindi adatto per la laminazione), ma non di sicurezza, dal momento che si frange in grandi pezzi come il vetro float. La tempra chimica è un trattamento molto costoso e applicato solamente nei casi di lastre con spessori molto sottili e di vetri curvi ricotti.

LaminazioneDa diversi anni Union Glass ha destina-to un’area alla fabbricazione di pannelli di vetro stratificato a misura fissa. Il

03 - Vetri serigrafati posti su scaffalature (foto: Union Glass).04 - Composizione delle lastre di vetro con l’intercalare di materiale plastico prima della manganatura (foto: Union Glass).

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vantaggio principale di questi elemen-ti è dato dalla possibilità di accoppiare più lastre di vetro tramite layer plastici, in modo da ottenere alti livelli presta-zionali e da garantire il trattenimento in posizione dei frammenti formatisi in caso di rottura. Lungo la linea produt-tiva, i vetri vengono lavati e asciugati ed entrano all’interno di una camera bianca (un ambiente mantenuto a tem-peratura e umidità costanti e dotato di impianto di abbattimento delle polve-ri), dove sono impilati mediante strati di polivinilbutirrale qui conservato. Il pannello composito viene quindi fatto passare in un forno di manganatura, in modo che lo spazio fra i singoli layer venga deaerato per azione del calore sprigionato dalle lampade a raggi infra-rossi. L’elemento viene successivamente inserito in autoclave, dove rimane per un ciclo prestabilito per permettere alla pressione di surriscaldare il PVB e di renderlo trasparente e solidale con il ve-tro. Il vetro stratificato non temperato può essere ottenuto anche con il taglio delle grandi lastre di colata: questa par-ticolare trasformazione viene realizzata su dei tavoli dove le lastre subiscono un taglio simultaneo su entrambe le facce.

Un’altra tipologia di intercalare molto utilizzata, soprattutto negli edifici di grande altezza, è il Sentry Glas®, che consente la realizzazione di vetrate con spessori ridotti a elevatissima resisten-za meccanica alla flessione (sicurezza anti-uragano) e capaci di mantenere la forma anche in caso di rottura degli strati di vetro, offrendo una totale sicu-rezza anticaduta. L’etilene-vinil-acetato (EVA), nonostante possegga un’elevata plasticità una volta riscaldato, è ancora poco usato per i rivestimenti architet-tonici, se non nei casi in cui particola-ri performance di resistenza agli shock termici non siano raggiungibili con al-tri materiali. Union Solar, azienda del gruppo Union Glass, lo utilizza invece come incapsulante delle celle di silicio per la produzione dei pannelli fotovol-taici tradizionali e dei moduli vetro-ve-tro. Ulteriori materiali impiegati nella laminazione del vetro, soprattutto per la messa a punto di facciate continue e complementi d’arredo, sono le lastre di policarbonato, le pellicole decorative, il marmo, le lamiera e l’acciaio.

La visita, effettuata all’interno dell’at-tività di ricerca finanziata dal FSE

dal titolo “Tra vetro e legno. Facciate continue e tamponamenti con struttu-ra portante in legno”, ha confermato l’importanza di uno stretto e proficuo rapporto tra professionisti e realtà pro-duttive, sia nella fase progettuale che nello sviluppo dell’attività di cantiere. I primi devono documentarsi adegua-tamente sull’effettiva disponibilità o realizzabilità dimensionale dei prodotti vetrari e sulla loro possibile applica-zione per rispondere alle prestazioni richieste dall’edificio. Alle aziende, in-vece, spetta il compito di divulgare i percorsi di innovazione intrapresi e di suggerire il giusto compromesso per ottenere il migliore risultato.

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un tema progettuale assegnato, la definizione di un progetto da sviluppare seguendo le indicazioni del docente. Workshop è contaminazione di studenti, di età e percorsi diversi che interagiscono tra loro al fine di sviluppare un tema comune, pur percorrendo strade diverse. I Laboratori estivi, guidati da un unico argomento, sono però caratterizzati da svariate modalità di percorso progettuale. Workshop è extempore, progetto, rappresentazione, realiz-zazione, esposizione. La motivazione del come si sceglie di rappresentare l’idea progettuale e la sua esposizione, sono l’essenza che si vuole mettere in luce mediante una serie di immagini di lavoro, come uno zoom su questioni architet-toniche fondanti. La figurazione del progetto e la sua narrazione diventano quindi lo strumento di cui disponiamo per comunicare il processo progettuale che caratterizza l’esposizione.

Le immagini di seguito riportate sono state scattate nelle varie aule du-rante la seconda settimana di workshop selezionando i momenti salienti delle fasi di lavoro, antecedenti alla mostra finale, in cui il progetto diventa da subito esposizione attraverso tecniche, materiali e modalità differenti.

(Quando) l’esposizione è il progetto

Postindustrial Garden, urban Archaeolog y, the Gateway to Venice, sono il filo rosso che tiene assieme i Workshop 2014 dell’Università Iuav di Venezia.Workshop non è solo lo svolgimento di

PORTFOLIO

a cura di Valentina Manfèfoto di Filippo Banchieri

Mauro Galantino

Ricardo Bak Gordon

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LAN Architects

Francesco VeneziaUno schizzo rappresenta l’idea di pro-getto. Il modello in scala 1:500 diventa il mezzo della sua concretizzazione. Un lun-go viadotto collega i margini della laguna e interseca ortogonalmente il ponte della libertà; ne scaturisce un nuovo spazio pubblico, un luogo privilegiato per con-templare la città di Venezia.

Ricardo Bak Gordon

Labics

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Benno AlbrechtSara MariniIl progetto di architetture “Sine Terra”, staccate dal suolo contaminato di Mar-ghera, passa attraverso la realizzazione di modelli a più scale - maquette - che, convertiti in oggetti di design, diventano la base dell’esposizione finale accompagnati da un manuale di istruzioni che ne racco-nta genesi e trasformazioni.

Sebastian Irarrazaval

Fernanda de MaioGundula RakowitzL’esposizione nasce dallo spazio fisico che la genera. Le scale di rappresentazione tradizionali, non più adeguate, lasciano il posto ad un plastico territoriale in scala 1:3.333 e a un modello dell’edificio in scala 1:33, scale ideali per la trasposizione della realtà fisica in un modello di progetto.

Murat Tabanlioglu

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Murat Tabanlioglu

Josè Maria Saez Vaquero

Carla JuaçabaLavorare sulle rovine di una città immagi-naria. Così recita il titolo del workshop proposto da Carla Juacaba. Tuttavia, ciò che giace abbandonato tra le rovine non è rifiuto, ma diventa materia di pro-getto, punto di partenza per realizzare l’esposizione finale.

Pietro Valle

studenti di diverse età e diverse forma-zioni interagiscono per uno scopo comu-ne, si contaminano

“ “

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Renato RizziVentiquattro modelli in gesso interpre-tano, in scala 1:15.000, la porzione del fon-dale veneziano su cui corre la nuova linea della metropolitana sub-lagunare. Alla verità planimetrica delle misure si con-trappone una finzione altimetrica, frutto di un coefficiente correttivo. Ma è proprio grazie a tale finzione che i segni prendono significato, conferendo realtà al modello che, in tal modo, diventa progetto.

Alejandro Echeverri Restrepo

Pierre Louis Faloci

Sean Godsell

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Bevk Perovic’ Arhitekti

Mauro MarzoJosè Maria Sanchez GarciaPlastici, schizzi, modelli o disegni sono solo gli espedienti materiali del progetto; è la strategia di lavoro ad essere deter-minante. Due gruppi di lavoro, come due squadre di calcio, si affrontano sul terreno di Marghera, confrontandosi su sette temi chiave per un’area progetto in cui convi-vono due mondi totalmente differenti tra loro come la Città Giardino e l’area indus-triale di via Fratelli Bandiera. Partendo dal proprio campo, le due squadre sono chia-mate a confrontarsi e misurarsi facendo emergere gli aspetti davvero importanti e creando così relazioni, legami e distanze tra i progetti.

BLACK TEAMRED TEAMMarghera´s Garden City Industrial Edge on Via Fratelli Bandiera

The Double DiscoveredScale

DiscoveredTypologies

Opposited

The DoubleScaleOpposite

Landscapes

OverlappingLayers

Landscapes

Limits & Displacement

h i

Limits & Displacement

InvertedGeometries

Inverted

Technique &Texture

OverlappingDiscoveredTypologies

Technique &Texture

Geometries LayersTypologies

Sean Godsell

Patrizia Montini Zimolo

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abitati. Le vecchie case di legno e cartone sono state pian piano rimpiazzate da case in cemen-to. Stretti sentieri si perdono, per il nuovo arri-vato il quartiere è un labirinto indecifrabile”.

Queste parole di Alonso Salazar, gior-nalista ed ex Sindaco di Medellín, scrit-te nel suo libro “No nacimos pa’ semillas”, raccontano i temi principali della mia tesi, ossia l’occupazione informale di aree inospitali con pendenze superiori al 40%, la complessità del sistema ur-bano, del sistema ambientale, e delle condizioni socio-economiche. Lo stu-dio è stato articolato durante l’anno di permanenza a Medellín, e arricchito grazie alla partecipazione alla ricerca “Re habitar la montaña, estrategias y proce-sos para un hábitat sostenible en las laderas de Medellín” (libro consultabile al link a fine articolo), avvenuta nel Centro Stu-di Urbam - dell’ Università EAFIT. Gli insediamenti informali, chiamati nel caso di Medellin “Comunas”, si trovano principalmente nell’area nord-est della

di Anna Manea

nonostante queste aree siano notoria-mente considerate a rischio, rimangono per molti l’unica pos-sibilità di insedia-mento nella città

“ “VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

Povertà come possibilità Progetto di tesi a Medellin, Colombia

valle dell’Aburrà e vengono classifica-ti in due categorie: Consolidación Nivel 3 e Asentamientos Precarios (insediamenti precari).La prima, situata ai confini con la città formale in aree con pendenze che van-no dal 20 al 40%, presenta una strut-tura urbana abbastanza solida, grazie soprattutto ai numerosi progetti pub-blici, come ad esempio i PUI - Proyectos Urbanos Integrales, realizzati dal gover-no Fajardo in poi, che sono diventati simbolo della grande trasformazione della città. La seconda categoria, inve-ce, riguarda gli insediamenti precari, come ad esempio i quartieri La Cruz e La Honda, oggetto della mia ricer-ca, caratterizzati da una complessità più elevata dovuta da un lato alla più recente formazione, dall’altro alla loro costruzione su un terreno molto giova-ne e fragile, che, unito alle alte penden-ze, forma numerose frane mettendo in pericolo le vite degli abitanti. La man-canza di fognature e di un adeguato sistema di canalizzazione delle acque piovane, inoltre, provoca la formazione di acque torrenziali e di infiltrazione, soprattutto durante la stagione delle piogge, aumentando in modo esponen-

Trent’anni fa nessuno poteva pensare che in queste pendenze si potesse costruire. Ora tutti gli spazi sono “

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ziale la possibilità di eventi disastrosi. Nonostante queste aree siano notoria-mente considerate a rischio, rimangono per molti l’unica possibilità di insedia-mento nella città: l’immigrazione dal-la campagna è in continuo aumento, i nuovi arrivati trovano nella parte alta della valle l’unico rifugio e, per le per-sone che non riescono a sostenere eco-nomicamente i costi della città formale, gli insediamenti precari risultano l’uni-ca possibilità di sopravvivenza. Queste aree, quindi, ospitano la parte di popo-lazione più bisognosa della città e della regione: da ciò ne risulta un’alta vulne-rabilità socio-economica. I dati ufficiali del Proyecto de Regularización y Legalización Urbanistica del barrio La Cruz y el sector la Honda lo dimostrano: nel settore La Honda il 37% delle persone non ha alcun tipo di istruzione e il numero di desplazados (persone che hanno dovuto abbandonare le loro case e la loro terra a causa del conflitto armato che da più di cinquant’anni è in atto nel territorio colombiano) arriva al 71%; il 74% del-le persone di La Cruz non percepisce salario. Le interviste condotte tra gli abitanti dei due quartieri hanno con-fermato la veridicità dei dati, e il dia-

logo diretto con le persone ha portato alla luce una serie di aspetti positivi per me determinanti, quali la volontà di cambiamento, la voglia di riscattarsi e studiare, come la signora Rosa che a 60 anni ha deciso di iniziare un corso di infermieria o Andrés che ha seguito un corso di specializzazione sulle costru-zioni in terra e bamboo. La presenza di numerose organizzazioni comuni-tarie, infatti, ne è la conferma: c’è chi si occupa di agricoltura (associazione ‘Paloma’), chi organizza attività fisiche, gite culturali, lezioni di yoga nei centri anziani e chi si preoccupa di migliorare

01 - Foto dal quartiere La Cruz verso il centro di Medellín.

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lo spazio pubblico come i Comitè de Tra-bajo e le Juntas de Acción Comunal, con la costruzione di strade, campi da calcio e luoghi di sosta, ma anche chi si propo-ne come aiuto nella costruzione di case per i nuovi arrivati nel quartiere. In sintesi, l’area presenta un forte rischio geologico, una continua occupazione del suolo e un alto tasso di vulnerabilità socio-economica; ma allo stesso tempo è costituita da una comunità organizza-ta e con grandi potenzialità. La proposta avanzata per il territorio si basa su tre obiettivi principali: 1° - non permettere l’occupazione delle aree ad alta pericolosità direzionando la crescita della città verso aree sicure;2° - mitigare il rischio attraverso il miglioramento delle condizioni fisco-spaziali; 3° - non consolidare la povertà proget-tando un quartiere per poveri, ma crea-

re opportunità. I primi due obiettivi hanno rappresen-tato le strategie pratiche e fisiche di in-tervento nel quartiere, mentre il terzo è stato determinante per capire il proces-so e il modo in cui le strategie fisiche potevano essere applicate creando nuo-ve possibilità di sviluppo economico e sociale. Per citare un esempio, è stato pensato a un sistema di orti, aree per la silvicoltura, sistemi agro-forestali e silvopastorali per le aree ad alto rischio geologico con l’obiettivo che la comu-nità - di origini contadine – potesse in questo modo gestire autonomamente questo tipo di attività traendone profit-to. Contemporaneamente, la strategia ha previsto l’occupazione preventiva dei territori non occupabili, con il com-promesso posto agli stessi cittadini, di controllare il territorio impedendo una nuova occupazione.

Concludendo, la tesi mette in luce un fattore determinante: la povertà non dev’essere obbligatoriamente vista come un aspetto negativo, ma rappre-senta una realtà che può avere grandi potenzialità. Le interviste condotte, i rapporti e le amicizie che ho creato con gli abitanti del quartiere mi hanno fatto capire che la necessità di dover sopravvivere, di doversi re-inventare tutti i giorni può diventare una forma di creatività che, se ben indirizzata, può portare ad un tipo di sviluppo più equi-librato e sostenibile.

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02 - Foto dal quartiere La Cruz verso il centro di Medellín.03 - Arnulfo, rappresentante dell’asso-ciazione Paloma’ (abbreviazione di Para lo mas pobres che si occupa di permacultura nel quartiere Bello Oriente).

Portfolio di laurea:http://issuu.com/annamanea/docs/portfolio_di_laurea_anna_manea

Il libro Re habitar la montaña:http://issuu.com/universidadeaf it/docs/rehabitar-monta__a

Bibliografia:- A. Salazar, No nacimos pa’ Semilla, CINEP, 1990.- Empresa Desarollo Urbano, Proyecto de Regularización y Legalización Urba-nistica del barrio La Cruz y el sector la Honda, 2011.

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Human Cantilever

di Fabio Menegazzo*

- a.a 2013-2014 - ho avuto occasione di collaborare alla realizzazione e mes-sa in scena della performance Human Cantilever. Proposta dal professore Angelo Maggi, la performance mirava a riprodurre il curioso esperimento immortalato dal fotografo Evelin George Carey (imma-gine © The National Archives of Scot-land/British Rail Board), nel quale de-gli uomini simulano il funzionamento statico delle travi reticolari a sbalzo del del Forth Bridge, inaugurato nel 1890 in Scozia, per dimostrarne la resisten-za costruttiva e dichiarare il carattere moderno della nuova architettura in acciaio e ghisa, sempre più potenziata dalle innovazioni ingegneristiche e tec-nologiche. In occasione di una serata speciale quale l’Art Night, tenutasi a Venezia sabato 21 giugno 2014, è sta-to inoltre pensato di spettacolarizzare l’esibizione con un trucco di scena, omaggio alle rockstar David Bowie e Annie Lennox.

Installazione degli studenti Iuav alla serata Art Night nel chiostro dei Tolentini di Venezia

Nell’ambito del cor-so in Storia della Rappresentazio-ne Fotografica dell’Architettura

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* Studente del terzo anno della Laurea Triennale in Architettura: tecniche e culture del progetto, corso di Storia della Rappresen-tazione Fotografica dell’Architettura, docente Angelo Maggi.

STUDENTIMatteo Vianello Fabio Menegazzo Eleonora Cittadin Catrina Barbon Jonatan Pizzini Filippo Andreoli Daniele Dal Bosco Silvia Possamai

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What does inspire your architecture?I think to be a good architect you need to have a good knowledge of history, the history of architecture, and understand where exactly you position yourself (rela-tive to what has gone before).Architects don’t invent things; they discover things: Architecture is not some-thing that we are learning for the first time, we are simply evolving.For me, understanding history and then responding to that is important, but even more important is realizing that to be a good architect you also have be a good observer of society. The role of the architect is to interpret the needs of society in built form.Humans have emotional and physical aspirations. Architecture comes out of those emotional and physical aspirations and if you are doing your job properly, you see the way people are living, how they expect to live and you interpret those needs and aspirations into built form.Architects are not prophets, we are not God. We should observe and see a better way and attempt to build it.Therefore, those two things, a good knowledge of history and being a good ob-server with the ability to interpret those observations make you good architect.

How does the Australian context and environment enter in your architec-ture?This is an interesting question. There is a number of different ways of answer-ing. The differences between Italy and Australia are profound, because in Italy, if you start digging and you dig deep enough you probably find Roman ruins. Everywhere in Italy has being built on already because it is such an old country or I should say it’s an old civilization.In Australia, despite being an old continent with an old indigenous population, western civilization is very young and so we’re often building for the first time on ground being disturbed for the first time.In Australia the topography is fascinating. It is a predominantly flat, dry conti-

Sean Godsell

Cotonificio Veneziano, ore 9.15, venerdì 11 luglio.In occasione dei WaVE 2014 all’Università Iuav di Vene-

zia, abbiamo intervistato l’architetto australiano Sean Godsell, che attualmente sta svolgendo il workshop

“Delirious New Venice”.

a cura di Francesca Guidolincon il contributo di Arianna Garatti

MICROFONO ACCESO

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nent. We have mountains but very few. I call Australia “a country with big sky and big horizons”, so as an architect you’re often working on the ground for first time in a big environment.In such exposed conditions, the need to feel comforted by the shelter that you’re constructing is more profound. Rudimentary shelter becomes more profound. The mythology in Australia of the bush, the frontier, the outback, is still very strong in our DNA even if most of us live in cities. The terror of the desert can

I call Australia “a country with big sky and big horizons”“ “

01 - Foto dello sketchbook personale di Sean Godsell.

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mean that life and death became very pronounced very quickly and so building a shelter, constructing anything, becomes more important than in Europe where you can go from a village to the next village.

There is nothing before your construction. Does this thing have a conse-quence in your techniques, in the systems of your architecture, and in the way you conceive it?Yes. That is an interesting question. When Australia was first populated, building materials would be put on a ship in the UK and the ship would sail for 6 months and arrive in Australia. Sometimes the ship would sink and the materials would be lost. That caused a different type of reality in Australia, where left with noth-ing, the early settlers in had to invent ways of building from what they could remember, from home in England, and make do with what they had.So it’s an historic fact for example, that the first people got off the boat with axes and swung the axes into the Australian eucalypts, breaking the handles because the trees were so hard. They didn’t have tools and so it was very primitive to start with distance from civilization was a burden.Then, slowly the technique of building evolved, but it was a technique of “making the most with what you had”, so usually it’s making the most with very little and I think that is still evident in the work of some Australian architects today.There is a term in Australia called “bush mechanics”. A ‘bush mechanic’ is some-body who can keep a car going using virtually nothing. Because they’re so remote they have developed techniques that are innovative and can solve problems with-out the luxury of the city at their disposal and that resolute spirit can be seen in construction as well.

Materials in architecture. Is it the material that influences the project or is it the contrary?It is both. The choice of material that is appropriate for the project and the need for materiality that the project demands make a two-way conversation.

you have to learn the material and under-stand how the mate-rial behaves“ “

02 - Foto di El Croquis n. 165 di Sean God-sell che rappresenta un testo dell’archi-tetto all’età di sei anni.03 - Sean Godsell al lavoro.

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I remember when I was a very young student, I realized that at some point I would have to make decisions based on what I liked. When you are a student, it is hard to know what you really like. Everything is available.The choice of the material in a building is critical and if you get the decision wrong, the building can be a disaster. So you have to learn the material and un-derstand how the material behaves: building materials are fluid, they’re organic, everything from timber to clay, concrete, bricks and so on…you have to under-stand all of that.So these things became very important when you’re young and they became sec-ond nature when you’re older. Materials became very familiar, they’re like your friends, you know how they behave in certain circumstances, what their moods are, how they feel and you detail accordingly.

How is you office organized? How is it the relationship between you, archi-tect, and the artisans that put your ideas into reality?I have a senior associate, she has being working with me for 16 years, and we have a very small but very efficient office. We can handle up to about ten projects at the time quite comfortably, at different stages. We draw all the details of the build-ings, every detail, and manage the construction on the site.The relationship with artisans is very important. I think that Architects should spend a lot of time on the building site. As an office we like to go to the building site all the time and work with the artisans making the building. For me that’s very satisfying, I enjoy that. I also enjoy construction techniques. I really like engineering, building technol-ogy, building science and I enjoy the evolution of that in my own work.

04 - Sean Godsell in una fase del work-shop.

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Architettura e tecnologia appropriata Virginia Gangemi (a cura di), 1985

Da cura di Francesca Guidolin

CELLULOSA

sta altamente lungimirante nella com-prensione di una realtà progettuale via via più complessa come quella contem-poranea, e nel riconoscimento dell’im-portanza dell’introduzione di un meto-do progettuale che si riferisca al futuro come ad un contesto di risorse limitato e pertanto da salvaguardare.Esce in seguito (e se ne ritrovano gli ap-porti) de I limiti dello sviluppo, il rapporto del gruppo del MIT di D.H.Meadows, D. Meadows, J.Randers, W.Behrens, di Una sola terra di Ward e Dubas, del De-sign with climate di V. Olgyay e dell’Archi-tettura solare di M.Bottero, in quel con-testo di sensibilizzazione e di ricerca di una nuova prassi architettonica.Appropriato si configura come un meto-do, un insieme di linee guida, più che un contenuto. Unire appropriato al concetto di tecnologia significa attribu-irvi una valenza metodologica. Infatti, “se per tecnica si intende l’insieme delle proce-dure e dei mezzi per la produzione artistica e industriale, per tecnologia si intende la forma-

atata 1985, questa raccolta di sag-gi è ancora oggi a l l ’avanguard ia per il punto di vi-

lizzazione in regole di quelle procedure ed il loro trattamento scientifico.”1

Appropriato indica, coniugando l’evolu-zione storica del concetto alle sue pos-sibili linee guida operative, le possibili-tà effettive di realizzazione di una serie di istanze sostenibili e perfettamente inserite nel contesto ambientale, cultu-rale, sociale e politico in cui si realiz-zano.Se la tecnologia alternativa si nutre del ca-rattere protestatario e rivoluzionario tipico degli anni ‘70, e quella interme-dia mira a ridurre la distanza tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo, la tecnologia appropriata, è molto di più di un sistema tecnologico a basso costo, a basso consumo energetico, che impie-ghi risorse locali.Assegnando al termine tale significa-to infatti si rischia di trascurare “le più ampie (e risolutive) potenziali valenze che sono connesse ad una diversa e nuova dimensione del processo edilizio, a carattere post-industriale, rilevante, in termini di cultura, di civiltà e di valori tecnologici altamente positivi.”2

Si tratta di traslare un accento: l’idea di appropriatezza implica la definizione del ter-mine a cui occorre riportare questa qualità.3

Concetto fondamentale questo per

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sullo scaffale

comprendere come all’interno di tale idea, siano contenuti i concetti di soste-nibilità, qualità del progetto architetto-nico, rispetto del contesto ambientale e del genius loci, in una relazione tale che il tutto è superiore alla somma delle sin-gole parti.Il testo, suddiviso in diversi saggi, di altrettanti autori, tutti afferenti all’uni-tà di ricerca dell’Università di Napoli, di cui la Gangemi era a capo, lambisce una serie di tematiche interconnesse: tecnologie appropriate per paesi in via di sviluppo, appropriatezza e qualità edilizia, recupero, architettura biocli-matica e regionalismo, durata e sostitu-zione programmata, risorse.Nella seconda parte del saggio viene in-trodotta la realtà contestuale pratica: il legno, come materiale tradizionale e lo studio di una metodologia di recupero come scelta di gestione del patrimo-nio costruito sono due esempi pratici dell’attuazione delle istanze di appro-priatezza nell’ambito pratico.Un approccio questo a quella tecnolo-gia invisibile che cala le proprie neces-sità nella realtà materiale e produttiva in cui è inserita. “Sono i saperi, l’organiz-zazione e l’intelligenza che concorrono alla

realizzazione di un progetto di architettura: i saperi che consentono di finalizzare materia-li, macchine e procedimenti, l’organizzazione che fornisce strumenti utili per mettere insieme un gruppo di uomini in grado di concepirlo e costruirlo e intelligenza necessaria a far sì che esso sia ragionevolmente sicuro, appropriato e duraturo.”4

1 - V. Gregotti, Elogio della tecnica, Casa-bella, 1982, pag. 14-15.2 - V. Gangemi, Premessa in V. Gangemi (a cura di) Architettura e tecnologia appro-priata, Franco Angeli/ricerche di tecnolo-gia dell’architettura, Milano 1985, pag. 133 - V.Gangemi, pag. 37.4 - N. Sinopoli, La tecnologia invisibile. Il processo di produzione dell’architettura e le sue regie, Franco Angeli, Milano, 1997, retro di copertina.

Maria Antonia Barucco (a cura di)Innova-azione tecnologicaUniversità Iuav di Venezia, Dipartimento di Culture del Progetto, Quaderni della ricerca, Aracne, 2014

Antonio MusacchioValeria TatanoTETTI GIARDINOStoria, tecnica e progettoCollana Politecnica, Maggioli, 2014

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48 OFFICINA*

Design Network Australia

Mdi Francesco Camillo

ARCHITETT’ALTRO

casa da 4 anni.Come sono arrivato fino a qui? Dopo la laurea triennale e la specializzazio-ne in Architettura per la Sostenibilità presso lo IUAV di Venezia ho comin-ciato a chiedermi cosa volessi fare “da grande” e quali strade volessi prendere per il mio futuro. Credo che il periodo post-laurea sia importante per testare varie esperienze, un po’ come quando in palestra si provano diversi esercizi alla ricerca di quello che più ci piace. E così cercai di fare, con non poche dif-ficoltà.

Nel 2009, anno in cui mi sono laure-ato, l’Italia si trovava in un periodo confuso. La crisi economica mondia-le cominciava a farsi sentire pesante-mente nel settore dell’architettura e i datori di lavoro, invece di assumere a tempo indeterminato, tagliavano i co-sti ingaggiando studenti per poi pa-garli (o non pagarli) miseramente. Fu una lunga ricerca e prima di trovare un

i chiamo France-sco e attualmente vi scrivo da Syd-ney, la città che è diventata la mia

primo impiego passarono diversi mesi, durante i quali ebbi l’occasione di par-tecipare a dei workshop internazionali di architettura in Spagna e Portogallo. Successivamente ebbi la fortuna di la-vorare per uno studio di architettura per qualche mese, prima di prendere la decisione più importante della mia vita. Restare in Italia o tentare un’esperien-za all’estero sulla scia delle precedenti avute qualche mese prima, le quali, pur essendo brevi, mi avevano dato molto dal punto di vista professionale e uma-no? La risposta è stata più facile del previsto e la scelta della destinazione altrettanto.

VENEZIA

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L’Italia, possiedo la doppia cittadinanza grazie a mio padre, nato a Melbourne.Il primo impatto con questo Paese è stato fantastico. Pur arrivando da un paesino di provincia, mi sono trovato a mio agio sin da subito. Sydney mi ha accolto a braccia aperte insegnandomi cosa significa vivere in una metropoli e come ci si rapporta con un ambien-te completamente diverso da quello da cui provenivo. Il mix di culture diverse, le spiagge dorate, l’Oceano, il rapporto con la natura che l’Australia offre è qualcosa di unico al mondo ed è un’esperienza da vivere pienamente.

Dal punto di vista lavorativo quest’av-ventura non è stata inizialmente facile come mi aspettavo, ma il network che sono riuscito a creare mi ha aiutato ad entrare in contatto con le persone giu-ste e ad avere un primo colloquio di la-voro dopo solo un paio di settimane.Creare una rete di connessioni è es-senziale in questi casi, e non solo. In

Australia ha fatto parte di me fin da piccolo poi-ché, pur essendo nato e cresciuto in

Australia, ogni occasione è buona per ampliare le propria rete di amicizie, condividere le proprie esperienze e stringere nuovi rapporti con gli abitanti locali.Tutto questo mi ha portato a lavorare per quattro anni per un piccolo studio di Sydney che si occupa principalmente di progetti commerciali e relativi alla sanità, come ospedali, case di riposo, centri medici, ecc.

La differenza più sostanziale che ho ri-scontrato tra l’Italia e l’ Australia è che qui la meritocrazia forma la base della società e della cultura lavorativa, per cui a una persona di talento e di capa-cità adeguate vengono affidate respon-sibilità notevoli, indipendentemente dall’età e dall’esperienza acquisita.Questa realtà mi ha permesso di cresce-re molto dal punto di vista professio-nale e mi ha dato la confidenza giusta per poter a un certo punto dire “Ora voglio essere il padrone di me stesso”. Ed è così che è nata Design Network Australia, un marchio che rappresen-ta il nostro continuo desiderio di fare architettura e, allo stesso tempo, un punto di riferimento per produttori,

SYDNEY16315 km

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“Design Network Au-stralia è un proget-to ambizioso ma che può crescere e diven-tare importante solo se supportato da una network

“to ambizioso ma che può crescere e di-ventare importante solo se supportato da una network che ci permetta di essere visibili e riconosciuti.Proprio per questo motivo siamo sempre alla ricerca di collaborazioni e sponsor che credano in quello che stia-mo facendo e abbiano voglia di far par-te di questa avventura.

Potete contattarci attraverso:[email protected] oppure dai canali social presenti nel nostro sito: www.dnaustralia.com

costruttori e progettisti che desiderano instaurare e rafforzare nuove sinergie e collaborazioni tra Italia ed Australia.

Veniamo giornalmente contattati da studenti, giovani architetti, aziende e riviste del settore che dimostrano un forte interesse per quello che fac-ciamo, e ci vedono come coloro che possono colmare il gap tra i due Paesi che attualmente è ancora considerato una barriera difficilmente superabile. Quello che stiamo cercando di forma-re è anche una mentalità diversa, forse più giovane, che permetta all’italiano di prendere coscienza delle proprie ca-pacità e sfruttare il bisogno di crescita di un Paese come l’Australia, che è alla continua ricerca di professionisti che possano portare qualità in un mercato in costante espansione.Design Network Australia è un proget-

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Perdo pezzi per strada Lambretta LI 150 1^ serie (1958) - Immagine di Valentina Covre

(S)COMPOSIZIONE

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[email protected]

Foto vincitrice del concorso fotografico Mettiamoci le MANI - Nicola Franchin