occhio del 900

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LOCCHIO DEL NOVECENTOIntroduzione.

Francesco Casetti

Il secolo attuale sar sicuramente il secolo del cinematografo, poich nessuna opera darte, invenzione scientifica o tendenza economica potr contenere per vastit di azione, profondit di penetrazione, universalit di consenso ci che possiede il mezzo cinematografico. Oggi il cinema ha ormai festeggiato i suoi primi cento anni, attualmente un cinema che non si appoggia pi necessariamente sullimmagine fotografica. Locchio non viene pi considerato come un organo di senso in s, non a caso il sottotitolo di questo libro fa riferimento allesperienza, suggerendo cos un orizzonte a cui riportare il vedere. Tuttavia non va nemmeno dimenticato che nella coscienza sociale, il cinema sempre stato visto come un dispositivo ottico: ed su questo che esso viene giudicato. Al cinema tutti gli occhi, sia miopi che presbiti vedono perfettamente; ecco loriginalit primordiale dello spettacolo cinematografico. Il dibattito pi recente tende a inserire il fenomeno del cinema nel quadro pi vasto dellintrattenimento, dei fenomeni urbani. Il cinema stato riportato ad altro: il teatro, la letteratura, la pittura Ma che tipo di sguardo ha costruito il cinema? E dove riposa la sua efficacia? Il primo capitolo esamina le ragioni della particolare sintonia del cinema con il suo tempo e quindi della sua rilevanza rispetto ai processi culturali coevi. Tre fatti sembrano giocare un ruolo cruciale. Il primo la sua natura di medium, oltre che di arte, in unepoca che ha privilegiato soprattutto la dimensione comunicativa, vista come garanzia di immediatezza, di vicinanza, di accessibilit. Il secondo fatto sono i riti e i miti che il cinema ha costruito sullo schermo e nella sala, in unepoca che ha avuto bisogno di nuove immagini e di nuovi comportamenti, in grado di tener conto delle emozioni, ideali, preoccupazioni o degli ordini sociali emergenti. Il terzo fattore la negoziazione che il cinema riuscito a compiere fra le diverse istanze della modernit ; esso riuscito a far convergere spinte contrastanti fra di loro, fornendo cos ad un epoca dilacerata da conflitti e da dilemmi, possibili soluzioni e fornendogliene nella quotidianit. Soprattutto questo ultimo fattore deciso per capire che tipo di sguardo il cinema stato in grado di costruire. Si tratta di uno sguardo allinsegna dellossimoro e cio capace di operare su fronti contrapposti riuscendo a compenetrarli

fra loro. I capitoli dal secondo al sesto, approfondiscono questo argomento. In sintesi il cinema ha lavorato su alcune scelte per cos dire di parte, che riflettono alcune delle grandi misure tipiche della modernit. In particolare, esso a lavorato su uno sguardo personale, legato allemergenza di un punto di vista. Il cinema ha anche perseguito una visione in grado di restituirci la totalit del mondo, e non solo attraverso dei frammenti; una visione strutturata diversamente a seconda della realt incontrata, se mentale o effettiva e dunque operare delle distinzioni; una visione dotata di una sua naturalezza, modellata sullocchio delluomo e non solo su una macchina; una visione che cerca di mettere ordine tra gli stimoli forti prodotti da un mondo in tumulto, senza per forza abbandonarsi ad essi. Nel costruire il suo sguardo, il cinema riuscito a realizzare alcune esigenze introducendo dei diversivi che le hanno rese praticabili. Un po come se, nel campo della psicanalisi, avesse lavorato su spostamenti e condensazioni. Il cinema non mai stato una realt fissa, in particolare il cinema di mainstream che coincide largamente con la produzione hollywoodiana cosiddetta classica, ha espresso il bisogno di ricongiungere gli opposti in modo quasi ossessivo; mentre il cinema moderno ha fatto emergere una dimensione pi conflittuale, in questo senso il compromesso si aperto alla frattura e al disequilibrio. Resta il fatto che il cinema ha elaborato il suo sguardo lavorando a fondo sulle spinte presenti nella modernit del 900. Questo fa del cinema uno sguardo fortemente rivelatore: mettendo a punto un certo modo di osservare le cose, i film ci hanno aiutato a vederle nello spirito del tempo. Si tratta anche per di uno sguardo vincolante nellaprirci gli occhi, i film ci hanno suggerito cosa guardare e come guardarlo. In questo senso il cinema non ha solo offerto una chiave di lettura dellesperienza moderna; ha ugualmente cercato di promuovere la sua azione e dunque s stesso. Il cinema ha contribuito a riarticolare le categorie mentali con cui viene affrontata la realt; esso ha anche offerto ulteriori schemi mentali con cui osservare il mondo. sullo sfondo di una dialettica composta di prestiti, restituzioni che il cinema ha lavorato. dentro questa dialettica che esso ha costruito il suo sguardo, dandogli una forma ossimorica. Il cinema esprime la metafora di essere l Occhio del Novecento. CAPITOLO 1. LO SGUARDO DI UNEPOCA

Balazs lo dice chiaramente: il cinema ripristina la visibilit delluomo; restituisce la realt allo sguardo. Ma lo stesso concetto trova negli anni Venti anche altre riformulazioni. Prendiamo per esempio Sebastiano Lucani : Larte del cinematografo ci ha resi cos sensibili a questa bellezza dinamica del volto umano, nella stessa maniera in cui il teatro c aveva reso sensibili alla voce. Il cinema ci insegna ad osservare il mondo come non eravamo pi in grado di fare da tempo, anzi come mai avevamo fatto prima. Questa idea ricorrente ma ad essa se ne affianca unaltra che in qualche modo la precisa e la radicalizza. Se il cinema rilancia e riafferma il senso della vista, non solo perch mette locchio e le immagini al centro del proprio operato: piuttosto, perch sa incarnare perfettamente lo sguardo del XX secolo. C infatti una certa corrispondenza nellosservare le cose tipico dellepoca e la maniera in cui il cinema osserva e ripropone luniverso circostante: le forme con cui la macchina da presa scandaglia ci che ha di fronte, rivelano gli atteggiamenti e gli orientamenti con cui gli uomini sono ormai spinti a guardarsi intorno. Non detto che questa attitudine del cinema a mettere a nudo lo spirito dellepoca lo costringa a funzionare da semplice specchio: sempre in questi anni Kracauer dedica molta attenzione alle storie tra il banale e lirreale che i film sembrano prediligere; questi racconti mostrano come la societ ama vedersi; per quanto essi risultino plausibili, essi risultano assolutamente rivelatori. Sullo sfondo opera la convinzione che il cinema sia nel suo complesso il segno dei tempi. Walter Benjamin sostiene che, ogni fase della storia delluomo ha una maniera particolare di cogliere il reale. Si modificano i modi e i generi della loro percezione. Il tipo di sguardo adottato manifesta direttamente le preoccupazioni e gli interessi che caratterizzano lepoca e in parallelo rinvia ai processi sociali sottostanti. La fase presente dominata da due tendenze, entrambe connesse con la crescente importanza delle masse e la crescente importanza dei loro movimenti. Da un lato c lesigenza di rendere le cose pi umanamente vicine, dunque vincere la lontananza per essere pi vicini al mondo. Dallaltra c lesigenza di riconoscere ci nel mondo dello stesso genere,anche se si presenta con facce diverse; dunque smontare lunicit per vedere ci che permane e ritorna. In un tale quadro, il cinema ha una funzione esemplare. Il suo sguardo in grado di rompere le barriere tradizionali e di renderci

liberi di affrontare la realt. Lo sguardo del cinema uno sguardo capace di farci entrare nel tessuto delle cose e di rivelarcene la composizione, uno sguardo capace di sorprendere e colpire per la sua penetrazione e la sua rapidit. uno sguardo capace di smontare vecchi privilegi, e di inquadrare ogni cosa e chiunque, secondo un principio di egualitarismo. Infine uno sguardo capace di spezzare il vincolo dellunicit, poich pu essere replicato in ogni copia del film e a ogni proiezione lattore non obbligato ad esibirsi ogni sera. Benjamin evidenzia con grande esattezza i termini della questione: c il cinema; c una fase storica contrassegnata almeno in superficie da un senso di maggior familiarit. Il cinema un luogo di pacificazione, sia pur nel tumulto delle sue proposte: ci mette in contatto con la realt, ma favorisce anche levasione spesso presenta figure esagerate, ma poi le riconduce a vicende plausibili. Negli anni Venti si sviluppano alcuni dibattiti teorici allinterno dei quali possiamo trovare lintervento di Louis Delluc; il dibattito che si avvia dopo la prima guerra mondiale pu costituire un ausilio importante per far emergere alcune linee di forza. Questa fase del dibattito si colloca dopo due decenni in cui il cinema si interrogato nei suoi aspetti di esperienza particolare, da riportare nella sua esperienza moderna. E viene prima di una stagione, che fiorisce negli anni Trenta, in cui il cinema normato nei suoi aspetti linguistici ed espressivi. Gli anni Venti e dintorni, apparentemente dominati dal bisogno di riportare il cinema al sistema delle arti, costituiscono una cerniera essenziale tra una iniziale sorpresa e una conseguente sistematizzazione. Certo, Delluc non riassume da solo questo dibattito ma il suo atteggiamento di fondo, preso tra difesa di valori tradizionali e lattenzione per qualcosa che pure sembra contraddirli, e dunque pi sottilmente contraddittorio rispetto ai visionari e agli entusiasti. Ricciotto Canudo da una nuova definizione di cinema, ovvero quella di settima arte. Il cinema possiede degli aspetti che colpiscono in modo diretto, per esempio la sua capacit di intrattenere larghi strati di popolazione, grazie a racconti o a documenti di sicura presa; la sua abilit nel mettere a punto un linguaggio universale che consente una lettura immediata di quanto appare sullo schermo. In questo contesto, un breve saggio di Louis Delluc nel 1919, in Cinema & Cie con il titolo Lart du cinema , pu risultare in qualche modo esemplare. Delluc inizia il suo scritto con il consueto melange di insoddisfazione per quello che sul piano estetico il cinema , e di

speranza per quello che potr essere. Dopodich elenca una serie di caratteri che evidenziano un altro fronte. Innanzitutto lestrema diffusione del cinema, il cinema va dappertutto, poi la sua straordinaria forza di persuasione, infatti lo schermo pi efficace di un discorso politico; il rapido successo che il cinema assicura ai suoi interpreti: un anno e sei mesi sono sufficienti per imporre agli abitanti del globo un nome, una smorfia, un sorriso. Infine il rilievo che vi assume non solo la dimensione commerciale, ma anche quella tecnica: la supremazia degli americani legata al fatto che il progresso tecnico della fotografia, dellilluminazione, dellarredamento, delle sceneggiature dona un carattere armonioso alla loro scienza. Delluc sostiene che il cinema ricopra anche il ruolo di medium e dunque ci si interroga sul significato di medium. Il medium soprattutto un mezzo di trasmissione di sensazioni, pensieri, parole, suoni, figure; il suo obiettivo principale quello di far si che linformazione venga diffusa e, nel caso dei mass media, venga diffusa il pi largamente possibile. Questa finalit motiva tre aspetti strettamente collegati fra loro. Innanzitutto per diffondere linformazione, un medium deve saperla anche raccogliere, riadattare, conservare ecc.. in secondo luogo, diffondendo linformazione, un medium d anche lopportunit a che la riceve di entrare in contatto sia con quanto gli viene offerto, sia con la fonte o con lagente che glielo offre. Infine per consentire la diffusione dellinformazione, un medium deve anche utilizzare una serie di strumenti adatti. In questo senso esso lavora su un insieme di tecniche. Delluc in questo modo aiuta il cinema a conferirgli una posizione ancor pi di forza. Delluc non ha piena coscienza del medium,Benjamin qualche anno dopo si. lintero orientamento del discorso di Benjamin che porta a completare un quadro che in Delluc ancora seminale. In breve, il tratto centrale di un medium il suo impegno a costruire rappresentazioni largamente fruibili, relazioni accessibili e tecnologie efficienti. I media sanno rispecchiare e riproporre le misure del tempo; mentre semmai larte a trovarsi in difficolt, con il suo lavorare su opere uniche e spesso difficili, sullidea di una creazione individuale, su forme di fruizione che favoriscono il momento contemplativo. Ne deriva una sola conclusione: nellepoca che Benjamin chiama della riproducibilit tecnica, giusto considerare esemplari gli strumenti che perseguono una aperta esibizione dei propri contenuti, che accentuano la rapidit e lampiezza della fruizione e

che valorizzano al meglio la presenza della tecnologia; se si vuole, gli strumenti dellesposizione e dello scambio; appunto i media. Benjamin scrive pagine lluminanti su questa trasformazione dellarte, nellepoca della riproducibilit tecnica, in qualcosa che il termine medium riempie bene. In questo quadro, il ruolo del cinema diventa chiaro il ruolo del cinema. Non pi solo arte, esso si scopre medium: ed in quanto medium che esprime il meglio di s. La sua azione infatti appare esemplare, il cinema offre appunto contenuti fortemente fruibili , costruisce legami largamente accessibili, usa una macchina in modo perfettamente funzionale. Se il cinema nel suo osservare il mondo manifesta una forte sintonia con il suo tempo ci non significa che ne assorbe passivamente le indicazioni. Al contrario, le sue risposte agli stimoli che vengono dallesterno, sono spesso assai personali: in questo senso costituiscono dei contributi attivi , che a loro volta incidono sul quadro generale, perlomeno tanto quanto questo ultimo incide sul cinema. Louis Delluc nel gennaio 1929, interviene con un apparizione Le cinma, art populaire lintervento comincia con Signori e signore, il cinema non esiste ancora. Ma come al solito, lattenzione si spinge anche altrove, e in particolare verso la larga e profonda adesione di pubblico che il cinema riscuote dappertutto. Questa adesione trova le sue ragioni in un triplice dato. Innanzitutto il cinema parla una lingua universale, grazie a cui pu proporsi come tribuna per tutti. In secondo luogo il cinema coltiva un vero e proprio gusto universale, basato sullaffermazione dei valori apparentemente elementari, ma largamente condivisi, come lamore, la vendetta, il dovere. In terzo luogo il cinema sviluppa quella che possiamo chiamare una sincronia universale, evidenziata dalla partecipazione collettiva e simultanea, allo stesso spettacolo da parte di migliaia di spettatori. possibile rileggere questi spunti di Delluc in chiave mediatica. Ci che infatti il suo brano mette in luce, attraverso il richiamo alla capacit dei film di rinnovare miti e riti, un altro tratto di fondo del cinema in quanto mezzo di comunicazione: il suo essere in grado di avanzare proposte sia sul piano dei contenuti sia su quello delle forme di fruizione, il suo essere in grado di collegare queste proposte nel tessuto di una societ. Ogni medium interviene su quanto trasmette, se non altro per consentirne la trasmissione. Ci significa che quando riceve delle

sollecitazioni provenienti dallesterno, si trova sempre ad adattarle alle proprie esigenze. Il cinema possiede la caratteristica della messa in forma, ovvero ci che viene portato allo scoperto sia pur in modo ancora seminale, appunto il lavoro di messa in forma sociale del cinema, e cio la sua disponibilit a intercettare indicazioni, a ripensarle e a fissarle in una nuova veste , fino a farle diventare delle proposte autorevoli e condivise. proprio in questottica che possiamo notare una continuit tra il cinema e la tragedia greca. Rio Jim condensa sensazioni, desideri, valori che la societ del tempo sente in qualche modo di vivere e che un volta ricomposti nella rude figura del cow-boy possono diventare elemento in rispecchiarsi e da cui farsi guidare. Questo lavoro di messa in forma da parte del cinema comincia anche a costituire un criterio fondamentale di giudizio, oltre che di comprensione. Ne consegue un immediato plauso per tutti quei momenti in cui un film mette in forma il reale usando procedimenti conformi alle sue leggi: un film da il meglio di s quando rende tutti gli eventi visibilmente presenti, quando accetta di non porre limiti tecnici al numero delle scene, quando cattura latmosfera attorno alle storie, quando spinge gli attori a una mimica naturalistica; e per converso d il peggio quando, imitando il teatro, vuole esprimere i precisi flussi di pensiero. Il lavoro di messa in forma del cinema costituisce un forte punto di riferimento per il dibattito teorico. Questo lavoro non investe solo la dimensione tecnologica di un medium. Certo, il cinema in quanto macchina che in prima battuta decide cosa recuperare e cosa cambiare sulla base della capacit sensoriale, della sua complessit. Abbiamo appena visto come il cinema sappia raccogliere le indicazioni della sua epoca, sappia riorganizzarle secondo le proprie attitudini e sappia farle valere in questa loro nuova veste come modelli riconoscibili e riconosciuti. Delluc sostiene inoltre, che il cinema sia un luogo di esibizione dei corpi ma lo fa con discretezza in quanto il cinema non sopporta n limmediato n leccessivo: esso ha una sua interna misura. Questo gusto per la pelle deriva dal fatto che la nudit fotogenica e la fotogenia riscatta e sublima. Il cinema in grado d lavorare su spunti apparentemente opposti: sa come intercettarli, come accostarli,come ricomporli. Appunto riesce a tener insieme leccitazione e labitudine, la coscienza e linconscio, limmediatezza e la mediazione.

Di pi, sa perfino mediare tra lestetico e il comunicativo; il cinema un medium ma sa anche ammantarsi di arte. In questo modo fa avanzare il nuovo e intanto dimostra ugualmente di poter fare i conti anche con il vecchio, di saperne recuperare alcuni valori, di portarne avanti leredit. Il suo terzo elemento di forza appunto la sua capacit di dialogo: in un tempo pi tumultuoso che mai; e in un tempo che scopre di aver un nuovo bisogno di mediazione. Cinema e Novecento. Il cinema un medium, in unepoca in cui si guarda pi ai media che allarte. un medium che mette in forma gli spunti che circolano nello spazio sociale, in un epoca che cerca nuovi miti e nuovi riti. Ed un medium che negozia tra istanze spesso contraddittorie, in unepoca in cui il conflitto tra valori divergenti aperto e talvolta anche drammatico e insieme in cui le tradizionali camere di compensazione sembrano venir meno. Questo triplice tratto influisce direttamente sul tipo di sguardo che il cinema adotta. Si tratta di uno sguardo in grado di chiarire e di orientare: il cinema, in quanto dispositivo della messa in forma, offre modelli di lettura e di comportamento pronti a diventare a loro volta canonici. Infine, si tratta di uno sguardo sincretico, che si misura con posizioni differenti e insieme cerca di individuare soluzioni praticabili: il cinema in quanto dispositivo di negoziazione, cerca di ricomporre ci che incontra. Il cinema colui che ha incarnato lo sguardo della modernit e parallelamente stata una certa modernit che ha trovato nel cinema lincarnazione di quellocchio. CAPITOLO 2. INQUADRARE IL MONDO. Il cinema si impone per la sua capacit visiva, in quanto capace di cogliere la realt in cui siamo immersi. Ci vale soprattutto per il volto delluomo: inquadrandolo, il cinema arriva a restituirci lintera gamma dei suoi tratti, facendo emergere tipo e personalit, elementi ereditari e acquisiti, fato e volont propria; cos come arriva a restituirci la polifonia dei sentimenti che su esso si succedono. Soprattutto il primo piano, il volto diventa il tutto in cui contenuto il dramma. Di qui lidea che ogni inquadratura ci porti dritto al cuore delle cose: ci restituisce la sostanza di quanto ripreso e insieme ci fa sentire il respiro del mondo intero. Vedendo la realt sullo schermo, inevitabilmente portiamo allo scoperto noi stessi. In secondo luogo lo sguardo perde la sua

neutralit: vedendo la realt sullo schermo e vedendola da una certa prospettiva , adottiamo un certo atteggiamento e un certo orientamento. Infine lo sguardo perde la sua pienezza: vedendo a realt sullo schermo, vediamo solo quello che la prospettiva adottata ci consente di cogliere. Il mondo diventa allora un caleidoscopio. Il reale non pi a portata di occhio, pronto a rivelarsi in s: ci restituisce la sostanza di quanto ripreso e insieme ci fa sentire il respiro del mondo intero. Dunque il cinema riscatta lo sguardo, ma nello stesso tempo lo ancora a un atto percettivo; quel che entra in campo anche la presenza di un vedente, di un rapporto con loggetto visto, di una modalit di inquadrare loggetto; in una parola, di un punto di vista. Panowsky pubblica il suo saggio La prospettiva come forma simbolica. Lattenzione viene riportata su uno dei momenti chiave della storia dellarte: il Rinascimento arriva a concepire la rappresentazione pittorica come lintersezione piana di una piramide visiva. Ci significa che lo spazio che si dispiega sulla superficie di un quadro non si presenta come una realt in s, ma come qualcosa di visto. La prospettiva riduce i fenomeni artistici a regole ben definite, anzi a regole matematicamente esatte, queste regole si riferiscono alle condizioni psicofisiche dellimpressione visiva e in quanto il modo in cui agiscono viene determinato dalla posizione che pu essere liberamente scelta, di un punto di vista soggettivo. Lo scrittore Henry James designa il testimone oculare in vari modi, tutti significativi: percettore, sottolineando la funzione di osservatore in campo; riflettore, evidenziando la capacit di illuminare con un raggio di luce ben direzionato il cuore della vicenda ; e la lastra, a rimarcarne il compito di registrare nei propri occhi e nella propria coscienza i riflessi dei fatti. La sua presenza decisiva: la narrazione, includendolo finisce anche col declinarsi su di lui. La narrazione, facendosi guidare da lui, adotta inevitabilmente una prospettiva ristretta; ci che fa emergere, solo quanto lui vede dal suo punto di osservazione. La conseguenza una visione contingente in quanto la percezione dipende dalla finestra dietro a cui ci si trova; o meglio dietro cui si capitati, la conseguenza una visione parziale, poich si riesce a cogliere solo una piccola fetta della scena umana ; la percezione dellintero quadro gli preclusa per sempre. Balazs ha ben presente lidea di limitatezza, legata alla presenza di un punto di vista. Ma egli continua anche a sognare uno sguardo

che possa essere in grado di abbracciare tutto il reale, nella sua ampiezza e nella sua pregnanza. La sua riflessione si trova a registrare il contrasto fra linevitabile determinazione alla base del nostro vedere e una assolutezza a cui non si vuol rinunciare. Se vero che il cinema in grado di tenere vivi questi opposti e di affrontare molto bene queste due polarit, Casetti affronta largomento attraverso tre esempi di film, del tutto diversi fra di loro. Il primo film preso in considerazione Napoleon di Abel Gance (1927) in cui troviamo questa morale: non si possono illustrare che frammenti di esistenza; ma in ogni frammento preme il senso del tutto. Ma la questione investe anche lo statuto dello sguardo filmico. Ogni inquadratura non contiene che una fetta di realt; si tratta allora di risarcirne i limiti, attirandola nellorizzonte di una visione globale. I grandi procedimenti del film, in particolare lo split screen, la sovrimpressione e il montaggio rapido e i bruschi movimenti di macchina, mi paiono una perfetta esemplificazione di questa tensione e insieme un tentativo di risolverla. Prendiamo lo split screen, ne troviamo un esempio folgorante nellepisodio iniziale: la battaglia con i cuscini, dapprima lo schermo si suddivide in quattro riquadri, poi sei, poi nove, a raffigurare altrettante fasi dello scontro in corso. Che cosa significa questa composizione a spicchi? Da un lato ogni porzione di schermo ci restituisce una porzione dellavvenimento, dallaltro lo schermo interno affianca le diverse porzioni dellevento, combinando le prospettive e gli istanti. Limmagine filmica appare come un vero e proprio mosaico, i cui possibile riconoscere le singole tessere, ma in cui c anche un disegno che le comprende e le sopravanza. Napoleon ricorre con gran frequenza alla sovrimpressione, il suo uso mirato, oltre che a creare delle metafore, anche e soprattutto a combinare degli elementi diversi, compresenti di fatto o di diritto. La stessa logica ricorre nel montaggio rapido, basato sulla giunzione di pezzi assai brevi. In questo procedimento non c una vera e propria compresenza delle diverse inquadrature nella stessa immagine. Lintegrazione ottenuta nel tempo nel fluire del film. Infine abbiamo i bruschi movimenti di macchina, perlopi panoramiche e carrelli, realizzati spesso a mano. Al di l del suo virtuosismo, esso ci da lidea di un quadro del tutto instabile, che cerca disperatamente di uscire dai propri confini per catturare nuove fette di realt.

Ogni visione dipende da un qui e da un ora; ma anche contemporaneamente, di attivare uno sguardo senza rinunciare a questi qui e ora. Napoleon si conclude con una lunga sezione dedicata alla Campagna dItalia, in cui allo schermo centrale si affiancano altri due schermi e dunque limmagine si triplica in larghezza. Dallaltra abbiamo laffermarsi di una visione composita: le due immagini laterali fanno da quinte a quella centrale, dando vita ad una struttura figurativa, analoga a quella di una pala daltare. Si punta ad abbracciare il reale, a tenerlo insieme, ora ispirandosi allaquila, maestoso uccello che domina il mondo dallalto e che compare spesso nel film come compagno del piccolo Bonaparte a Brienne e insieme come segno del destino del futuro imperatore. Del resto lo sguardo che Gance impone al suo film, ripropone in fondo lattitudine stessa del protagonista: rompere le barriere, non fermarsi al qui e allora, conquistare il mondo. Gance come Bonaparte, vuole costruire un impero visivo. Tuttavia questo sguardo plurale appare una risposta per molti versi necessaria alla tensione tra parti e totalit: punta alla seconda, mantenendo gli agganci con la prima. Il secondo film preso in esame Young and innocent di Alfred Hitchcock (1937) in cui possiamo ritrovare dei movimenti di macchina, molto interessanti, in particolare la gru che dal totale della hall arriva al primo piano dellassassino, con una planata implacabile e affascinante. in breve, questa gru, pi che puntare ad afferrare la totalit della situazione, sceglie di concentrarsi su una sola parte della scena; viene isolato un singolo individuo che cos acquista un particolare rilievo; si tratta del resto dellassassino a lungo ricercato. C la scelta di un dettaglio e insieme la sottolineatura della sua importanza ; se ci si accontenta di un frammento perch il cuore dellazione. Hugo Munstemberg nel 1916 uno dei primi a delineare una vera e propria psicologia del cinema. Il caos delle impressioni esterne si organizza in un vero mondo di esperienze secondo una nostra selezione di ci che significante e importante. Uno degli aspetti fondamentali dellarte consiste nel prendere in mano questo processo, in modo che il fruitore possa muoversi lungo la via tracciata dallopera . Il film eccelle in questa azione: tra i mezzi espressivi che esso usa per suscitare e orientare lattenzione basta pensare alle didascalie, che sottolineano con parole ci a cui dobbiamo badare.

Torniamo a Giovane e innocente. I due movimenti di macchina, che si conludono rispettivamente con un Primo Piano del musicista assassino e con mezza figura di Erica e Old Willlie, sembrano letteralmente mimare il movimento dellattenzione, con il protendersi dellocchio verso il particolare. Hitchcock si diverte a confondere le idee, in quanto il film pieno di incomprensioni basate su una falsa lettura dei dettagli. Giovane e innocente sembra volerci ricordare, con ironia e con riserva, che messa a fuoco e che interpretazione sono collegate e che il puntare locchio su un dettaglio conduce sempre a raggiungere una comprensione complessiva. Dunque una totalit non come somma delle parti, ma semmai come investimento su una parte sola, nella convinzione che essa si apra allinsieme: si punta al dettaglio, ma il dettaglio che conta e che, contando consente di ripensare al resto. Insomma una totalit intensiva. Il vedere si declina dunque sulla soggettivit, sulla contingenza, sulla limitatezza. Lattenzione pu apparire dunque come un modo si pur impreciso di designare la relativa capacit del soggetto di isolare selettivamente certi contenuti di un campo sensoriale a spese di altri, in vista di un mantenimento di un mondo ordinato e produttivo. Il terzo film preso in esame M, il mostro di Dusseldorf, dove nellaperture del film, linvisibilit riguarda innanzi tutto un avvenimento che non vediamo perch collocato in uno spazio oltre i bordi dellimmagine, nel fuori campo. Lang utilizza spesso il fuori campo poich questo procedimento ci riporta al funzionamento di base del cinema. Esso infatti mette in evidenza come limmagine filmica sia unimmagine bordata e cio un rettangolo delimitato ai suoi quattro lati. Ma questi bordi servono anche a definire la porzione di spazio colta dalla macchina da presa contrapponendola ad altre porzioni che avrebbero potuto essere inquadrate. Dunque i bordi rinchiudono ma, anche dividono. In particolare, essi dividono uno spazio ben in vista da uno apparentemente raggiungibile dalla cinepresa: lo spazio si divide in spazio in e spazio off . sotto questo aspetto il fuori campo ci ricorda una verit di fondo: al cinema lesibizione comporta sempre un nascondimento. In M il volto dellassassino ci sar negato a lungo; e quando ci sar rivelato, apparir deformato di boccacce che il personaggio fa allo specchio. Si tratta di un oltre limmagine, oltre lo spazio del possibile e del filmabile, in cui possiamo trovare quella totalit che sullo schermo non possiamo avere. La totalit lorizzonte infinito a cui la rappresentazione e il rappresentare tendono, ponendosi, nella loro provvisoriet e in completezza, come sue concretizzazioni.

Dunque arriviamo alla conclusione che non si crea aggiungendo, bens levando e quindi non mostrare tutti i lati delle cose. Sullo schermo, il mondo sempre colto da una certa prospettiva; questa inevitabilmente questa ne mette in luce una porzione e non unaltra,un aspetto e non un altro; sullo schermo la realt appare in tutta la sua ricchezza e densit, riscattando labitudine e lindifferenza che lavevano in qualche modo fatta perdere di vista. Dunque lo sguardo si allarga e insieme incontra dei buchi neri. Il cinema in qualche modo assorbe questa situazione e se ne fa buon testimone. Da un lato esalta la propria capacit di visione, dallaltro ne denuncia ance i limiti, attribuendo soprattutto al fatto di dipendere da un punto di vista. vero che ogni inquadratura ci restituisce un solo frammento di mondo; baster per condensare in unimmagine pi sguardi, selezionare i dettagli significativi, andare oltre i bordi del quadro e questa parzialit sar emendata. Si tratter allora di totalit partitiva, nella quale le parti si fanno ancora sentire come tali, ora di totalit intensiva, in cui il frammento si carica di richiami , ora una totalit in cui quel che agisce un rinvio allOltre. Il principio del campo/controcampo, ovvero lalternanza delle inquadrature, consente di cogliere entrambi lati della scena. Ebbene, lincastro dei flashback, in Quarto Potere, forma un gigantesco campo/controcampo sulla vita di un uomo: come un puzzle, i pezzi man mano si completano. Rosebud alla fine appare e linvisibile si d dunque a vedere. In realt la sequenza finale, pi ce risolvere lenigma, ce ne mostra tutta la densit. Levidenza con cui mette in evidenza loggetto invano cercato unevidenza sfacciata, eccessiva che non pu che suscitare sospetto. CAPITOLO 3. LA DOPPIA VISIONE. Lidea di considerare linquadratura come un punto di vista sul mondo porta non solo a evidenziare la limitatezza rispetto ad uno sguardo onnicomprensivo, ma anche a sottolinearne la soggettivit rispetto ad una visione oggettiva. Insomma le cose hanno una loro esistenza al di fuori del cinema; rispetto a esse, il film pu agire anche come semplice constatazione. Ci che appare sullo schermo anche la realt in s. Lucacks nota come sullo schermo, a differenza che sulla scena teatrale, la realt non fisicamente presente; e tuttavia essa

assume unevidenza empirica tale che quello che vediamo ci appare automaticamente possibile. Dunque il cinema, nelloffrirci le cose con estrema precisione, d alle proprie immagini una forte verit di vita. Questa verit di vita ci fa sembrare effettivo anche ci che non lo ; e di conseguenza prendiamo alla stessa stregua ci che reale e ci che possibile. Sullo schermo le differenze fra ci che reale e ci che immaginabile sono spesso impercettibili. Di conseguenza, il cinema d corpo ad una visione oggettiva o a una visione soggettiva, esso compie un lavoro allinterno e sopra limmagine filmica, sul piano della figurazione o del racconto, per dar loro corpo alla oggettivit o alla soggettivit. Casetti ripercorre questo terreno attraverso degli esempi, sebbene siano diversi fra di loro. Il primo film in analisi La glace trois faces,di Jean Epstein (1927). Il film presenta una costruzione ad incastri, nella quale una serie di racconti si richiamano lun laltro. Si parte da un prologo, che pone una sorta di enigma iniziale, relativo allidentit del protagonista. Seguono quattro episodi, di cui i primi tre dedicati ad altrettante donne. Non difficile ritrovare in questa struttura narrativa un topos che trover numerose riproposizioni, come in Citizen Kane o Rashomon. Gli eventi narrati si mescolano con il vissuto che di essi hanno i loro protagonisti. Non ci viene raccontato chi Lui, ma piuttosto chi Lui nellimmagine che ne possiedono coloro che lo hanno via via incontrato. In questo senso, questo film porta avanti uno sguardo che riguarda sia gli eventi che il vissuto. Questa condizione dello sguardo nasce dalla presenza dellosservatore, ci che si vede dipende da chi sta guardando. Lui quel che di volta in volta appare: punto e basta. Non difficile trovare un richiamo a Pirandello: alla persona si sovrappone sempre il personaggio; e nella dialettica fra i due il secondo che la spunta. Il reale sempre filtrato da uno sguardo, ma questo non significa che il mondo non riuscir a reimporsi. A questo proposito, la fine della vicenda del film sintomatica: nella folle corsa in automobile, un gabbiano lo colpisce, lo fa uscire di strada e lo porta dritto alla morte. Il gabbiano segna appunto il ritorno del reale, ma la fine della vicenda non coincide con la fine del film. Lultima immagine sar limmagine di unimmagine: sullo schermo appare uno specchio a tre ante, dove lui viene riflesso in ciascuna di esse. Il film sembra dunque operare una sottrazione della realt, essa sembra non offrirsi mai nella sua pienezza, incontra sempre dei filtri

e delle interpretazioni. Ci non le impedisce, per di riemergere, ma si tratta di una emersione condizionata. La costruzione di questa tipologia di sguardi frutto di un lavoro paziente e continuo, avviato ben presto nel cinema, allinterno della produzione mainstream. Per capire meglio, possiamo prendere in esame un film della met degli anni Quaranta, Dark Passage. Lintera prima parte del film vista secodo lo sguardo di un personaggio, vediamo le cose dal punto di vista di un evaso dal San Quentin. Nella prima parte, le inquadrature dal punto di vista dellevaso sono dominanti, ma non esclusive. Quanto alla seconda parte del film, si ristabilisce una visione diretta delle cose: vediamo lazione del protagonista senza passare dai suoi occhi. Si arriva a questo punto, passando attraverso una sequenza che ci porta nella mente dellevaso. Questa struttura tipica della produzione hollywoodiana degli anni Quaranta, ovvero il presentarci i fatti attraverso la visione di un personaggio. Questo rispecchia il bisogno di narrazioni pi introspettive, anche per il grande successo della psicanalisi. Questo aspetto viene chiamato da Balazs, la dimensione soggettiva dello sguardo, a patto di distinguerlo da altri sguardi e di marcare con chiarezza a chi questo sguardo pu essere attribuito. Si pu anche accentuare la soggettivit dellimmagine filmica se la s ancora ad uninquadratura vista da un personaggio. Per Balazs esistono due grandi dimensioni filmiche : lorientamento interiore e il referto che si trasformano in due tipi diversi di inquadrature, rispettivamente loggettiva e la soggettiva, insieme si contrappongono e si completano meglio. Dark passage il film esemplare secondo cui tutto ruota intorno al fatto che le inquadrature imitano lo sguardo di Vincent o provengano da un osservatore neutro esterno alla storia. Ora esaminiamo i film Luomo che uccise Liberty Valance , J. Ford (1962), in questo film la vicenda non ci viene presentata direttamente, ma attraverso un lungo flashback che di fatto coincide con lintera pellicola; anzi , abbiamo a che fare con un doppio flashback : allinterno dl primo, interviene anche un secondo affidato a Tom Doniphon, che rievoca il duello in cui Liberty Valance rimasto ucciso e rivela come esso si sa realmente svolto. Dunque in qualche modo non vediamo cosa avvenuto, piuttosto di ci che avvenuto vediamo ci che viene ricordato. La contrapposizione tra azione e riflessione qualcosa che il cinema esplora con diversi mezzi,spesso ossessivamente.

Nel film la contrapposizione tra azione e riflessione aiuta a distinguere gli eventi dalla coscienza che se ne pu avere. Questa contrapposizione si proietta sullintero film, portandoci a riconoscere due diversi piani: quello in cui si opera sul mondo e quello in cui si opera con i pensieri. La memoria in Liberty Valance appare soprattutto come un atto di rinascimento, in primo luogo verso un amico che morto. Il lungo flashback rivela chi ha realmente ucciso Liberty Valance, ci restituisce gli eventi come se fossero di nuovo davanti a noi. Questa parentesi sulla memoria ci ha chiarito meglio la natura di testimone del cinema. Limmagine sullo schermo ripropone sempre qualcosa che la cinepresa ha gi visto. Possiamo avere una mera constatazione di quanto avvenuto, volta a preservare la totale oggettivit dei fatti, ma possiamo avere anche una ricostruzione personale degli eventi, e dunque lintervento di una soggettivit che fa da filtro rispetto a ci che accaduto. Il cinema il luogo di unautentica rivelazione: il mondo mostra una faccia sorprendente, che ci consente di ritrovare quanto gi conosciamo e insieme di allargare la nostra conoscenza. Limmagine filmica ci restituisce la realt, nellintera gamma delle sue manifestazioni, comprese quelle che facciamo fatica a cogliere nella nostra attivit normale. Questa restituzione della realt non neutra: il cinema trasforma ci che incontra dandogli una diversa consistenza; ci che era corpo concreto, diventa forma di luce. In Vertigo di Alfred Hitchcock, si dispiegano tutti i fili che fino a qui abbiamo seguito ( losservazione, il ricordo, la ricostruzione, lesorcismo della morte,ecc). Da un lato la macchina da presa filtra e trasforma, dallaltro lo schermo d unevidenza assoluta a ci che solo pensabile. Di qui una possibile incertezza, che si accentua quando le due misure si sovrappongono. In questi casi, la dimensione oggettiva e soggettiva dello sguardo filmico viene ricondotta ad una serie di procedimenti soprattutto narrativi, come la Soggettivit o il Flashback. A met degli anni Cinquanta, Edgar Morin esplora come oggettivit e soggettivit si mescolino indissolubilmente nellesperienza filmica. Sullo schermo il mondo si presenta come mera riproduzione , ma lo spettatore si identifica e si proietta in quanto vede. Non solo loggettivit e la soggettivit si mescolano nellimmagine filmica, anche il reale e lirreale.

Capitolo IV :locchio di vetro Il mondo ormai popolato di dispositivi meccanici che assoggettano chi dovrebbero servire e che insieme ingoiano la vita e la riducono in parvenza. Il cinema obbedisce ad una legge generale. Esso porta allo scoperto i paradossi di questa situazione. Per un verso infatti copre linganno: grazie alla riproduzione fotografica, fa sembrare perfettamente vere le proprie rappresentazioni. Il cinema sottrae la vita, la trasforma, la svuota; ma nel contempo ci aiuta ad osservare le cose nella loro realt e insieme da nuove prospettive. In questo una macchina ambigua. Pirandello scrive, Si gira,in cui in una stagione in cui lesplosione della tecnologia porta ad interrogarci sulla natura delle macchine. Esse cessano di essere semplici utensili, al servizio e al comando delluomo, e diventano macchinari, dispositivi largamente autonomi, che costringono luomo ad adattarsi al loro funzionamento, quando non macrosistemi tecnici,dispositivi, oltre che autonomi, anche largamente integrati tra loro, che finiscono per costituire un universo a s, in cui luomo inghiottito. evidente che questa riflessione sulla macchina da presa ci riporta in pieno al problema di chi il soggetto che muove lo sguardo filmico. Si pu dire che quanto vediamo sullo schermo la percezione di qualcuno, se chi percepisce un occhio meccanico? E in che rapporti questo occhio meccanico con locchio delluomo? A questo proposito si pu prendere in considerazione il film The Cameraman, dove il personaggio, interpretato da Buster Keaton un operatore di attualit cinematografiche. Ai propri operatori, la MGM chiede riprese di attualit che consentano di riconoscere perfettamente levento inquadrato. In particolare, si tratta di far emergere due tratti fondamentali della realt filmata, paragonabili in qualche modo ai tratti fisionomici in un ritratto: da un lato levento deve apparire come realmente accaduto, dallaltro deve mostrare la propria eccezionalit. Luke riesce ad avere successo grazie ad un filmato in cui accade un incidente nautico e viene coinvolta lamata Sally. Luke lha salvata dallannegamento, riportandola a riva; questo filmato corrisponde perfettamente alla regola di rendere identificabile un evento. Il problema che questa volta Luke non sia loperatore, locchio che sta dietro la macchina da presa quello della sua scimmietta. Ora cosa significa questa situazione della scimmia alluomo?

Questo episodio ci pu portare alla paura di Srafino Gubbio, che un giorno il cinema possa funzionare da solo. Possiamo prendere ora in esame un altro film: Luomo con la macchina da presa, Dziga Viertov,1929. Viertov nella sua presentazione riassume in modo splendido : in questo film, il materiale interpretato e disposto su tre linee che si intersecano: *la vita come sullo schermo *la vita come sulla pellicola *semplicemente la vita com. La vita da un lato passa in rassegna alcuni momenti ricorrenti dellesistenza quotidiana: oltre al tema del cineoperatore, si vedr il tema dello svago e del lavoro, delle donne operaie, dei club dei lavoratori e del pub Ma la vita sullo schermo opera una selezione rispetto alle altre due. La vita sullo schermo d allesistenza quotidiana un nuovo ordine e una nuova faccia. Dunque il film modella luniverso circostante, lo mette letteralmente in forma. La cinepresa possiede una libert dazione e insieme una acuit non comuni: Io sono il cineocchio, la macchina, e vi illustro come io solo posso vedere il mondo. Sino ad oggi abbiamo violentato la cinepresa e labbiamo costretta a copiare il lavoro del nostro occhio. Il mondo sar osservato in maniera nuova. In questa sua missione, la cinepresa non sola: in aiuto alla macchina-occhio viene il Kinok-pilota, che non soltanto dirige i movimenti dellapparecchio, ma ha fiducia in esso durante gli esperimenti nello spazio. Luomo con la macchina da presa fa sentire costantemente la presenza della macchina da presa di fronte a ci che viene filmato. Oppure lo fa ,rafforzando i temi classici, come la vita e la morte, filmate in qualche modo senza pudore. La macchina da presa capace di restituirci il mondo, ma non perch ne fissa apparentemente le apparenze, bens perch ne coglie il meccanismo. Associando il suo occhio alla presenza di un operatore. Vertov nella sua presentazione del 1929, definisce il suo film un esperimento. Nellidea di esperimento convergono qui due aspetti: la sperimentazione estetica,volta allarricchimento del linguaggio filmico, e la ricerca scientifica, volta appunto ad analizzare il mondo e a coglierne le leggi. King Kong a Broadway

Se abbiamo provato a leggere Luomo con la macchina da presa, come un rovesciamento di The cameraman, perch non provare a leggere King Kong ocme un rovesciamento di entrambi? Alla base del film c una organizzazione produttiva, con i suoi strumenti e i suoi scopi. E lo scopo quello di ogni impresa industriale: procurarsi le materie prime di cui si ha bisogno, per poterle poi trasformare in merci da offrire sul mercato. Le risorse naturali sono la realt imprevedibile e imprevista, la merce la documentazione visiva di questa realt. Lo spettacolo ha al centro una serie di riprese dal vero che la troupe effettuer nellisola del Diavolo. Questo pu assicurarci un contatto diretto con ci che lontano nello spazio e nel tempo. Se lo spettatore, grazie allimmagine filmica, pu sentirsi nel luogo e nel tempo dellevento raffigurato sullo schermo, invece anche vero che la sua partecipazione non completa e totale. Egli continua ad essere separato da ci che gli offerto alla vista. King kong denuncia questo voyeurismo senza pudori; costringe lo spettatore a uscire dal suo rifugio, a riversarsi sulle strade, a ritornare cittadino. Se la situazione voyeristica costituisce il prodotto finale offerto al consumatore, resta da chiedersi quale sia il processo produttivo ce viene messo in campo. Questo sovrapporsi della dimensione narrativa alla dimensione documentaria fa emergere almeno due aspetti: da un lato il fatto che lo spettacolo prodotto sia mirato soprattutto al consumo. La narrazione richiede un lavoro ben pi spinto di quello che abbiamo visto fare a Luke-Keaton e a Dziga Vertov, che pure mettevano mano alla realt ripresa, luno intervenendo su essa per renderla pi efficace, laltro accostandone spicchi diversi per poter avere una comprensione dei nessi tra le cose. Qui la cinepresa partecipa ad un recesso che porta a non poter pi avere certezza dellautenticit di quanto vediamo: il mondo sullo schermo diventato un universo artificiale; e noi stessi immersi in un gioco di frenetica soddisfazione della nostra curiosit e della nostra immaginazione, diventiamo rotelle nellingranaggio economico della circolazione delle merci. La Grande Scimmia attraversa New York distruggendo ogni cosa, riversa la sua rabbia sul mondo circostante, divertendosi a mandarlo in pezzi. Immaginiamo che non ci siano pi cose da filmare, ma solo immagini; non pi corpi umani,ma solo cloni. Immaginiamo che non ci sia pi alcuna giungla da raggiungere, ma soltanto un museo, con

le sue belle opere in mostra. Potrebbe essere interessante osservare come si comporta locchio del cinema. Il cinema ondeggia tra il proporsi come un utensile che prolunga lazione delluomo, o invece diventare un dispositivo autonomo, che lo esonera da ogni presenza. Infine abbiamo visto come il mondo sullo sfondo possa riaffacciarsi sullo schermo in tutta la sua densit di evento (The Cameraman), come grazie al cinema possa ricomporre il suo disegno sotteso (Luomo con la macchina da presa), come possa presentarsi quale risorsa da catturare e sfruttare (King Kong). Il cinema si propone come un punto di convergenza e di compromesso; in questo senso locchio meccanico anche un punto in cui le diverse misure si sovrappongono e si riuniscono. Capitolo V, sensazioni forti Kracauer ci invita a considerare i cinematografi non solo come edifici in cui si proiettano film, ma come veri e propri luoghi di culto. La caratteristica di questi teatri di massa la accurata magnificenza della loro esteriorit. In essi dunque non si esegue una ricerca di intimit, di profondit ma vi si esibisce lo splendore del richiamo superficiale,dellattrazione immediata,delle apparenze. Gli spazi, larredo servono a colpire chi vi entra, a sollecitarlo nei sensi; e non a fornirgli dei simboli, come accadeva nei teatri di un tempo. Questo culto dellesteriorit rispecchia fedelmente una societ frammentata, confusa ed eccitata, quale quella che sta emergendo attorno alla centralit delle masse. Non perci un puro caso che il pubblico accordi la sua preferenza allo splendore superficiale delle stars, dei film, delle riviste e delle decorazioni. Simmel, una ventina di anni prima, aveva dedicato alle nuove condizioni di vita che si rispecchiano nella metropoli, un ritratto ben preciso. Egli indica anche due rimedi per uscirne: il primo legato al crescente sviluppo dellintelletto, e cio di una ragione pratica, calcolatrice, orientata a valutare le opportunit che si presentano allindividuo. Il secondo rimedio inverso e consiste nelladottare un atteggiamento di diffusa non curanza, grazie a cui si pu adattare alle situazioni pi complesse. Tuttavia, se alleccesso di stimoli si pu rispondere, c per anche da dire che della sollecitazione dei sensi non si pu mai fare veramente a meno.

Lelemento pi tipico della metropoli la folla,composta da diversi tipi di uomini e che possiede qualcosa di pittoresco che incuriosisce e che talvolta fa paura. Il cinema si sintonizza con il suo tempo, anche su questa lunghezza donda. Lultima parte di Intolerance di Griffith dominata da un movimento febbrile. un movimento che coinvolge tutto e tutti: ci si rispecchia nella gara ingaggiata dallautomobile e nellaccelerazione dei cocchi,nella corsa della locomotiva e nel tumulto delle folle. Un movimento cos accentuato e cos pervasivo,capace di trasmettere allimmagine sullo schermo una autentica scossa, non riflette solo la drammaticit dei fatti raccontati dal film: esso sembra soprattutto celebrare lebbrezza della velocit. La corsa della locomotiva ci rimanda inevitabilmente alla potenza di tutti i dispositivi meccanici e alla loro predisposizione a produrre sempre pi merci in sempre meno tempo; cos come la corsa degli uomini ci rimanda allidea di un corpo in grado ormai di straordinarie performance, pronto in qualche modo per i record olimpici. Infine velocit come andamento tipico di unepoca in cui il pendolo delle vicende umane sembra oscillare allimpazzata. Tuttavia la velocit ha anche un che di ambiguo. Da un lato ci coinvolge profondamente, offrendoci un nuovo e intenso piacere. Dallaltro lato per, la velocit anche sinonimo di pericolo, sia in senso reale che in senso figurato: landar di fretta, troppo di fretta vuol dire mettersi a rischio. La modernit punteggiata da tragedie dovute alla velocit: dai disastri ferroviari, al Titanic, agli incidenti automobilistici e aerei. Il ritmo del film segnato da una rapidit innaturale e questo aumenta il senso di vitalit dello spettatore, gli sembra di vivere pi intensamente, le sue energie sono stimolate. Dallaltro lato perlomeno curioso che su quattro episodi, in due si corra verso il disastro. Griffith in questo film opera con il cross-cutting ovvero ci offre il dono dellubiquit, facendoci assistere in tempo reale a due momenti diversi e dunque trasportandoci attraverso lo spazio con una tale rapidit. Ma se il cinema assume in s le misure della velocit, anche vero che esso sa evitarne i pericoli. Ho gi sottolineato come i suoi procedimenti consentano allo spettatore di non smarrire mai lorientamento. Lultimo atteggiamento che la velocit fa sorgere la tensione di fermarsi .ci significa porre fine ad ogni forma di eccitazione e aprire le porte alla noia.

Ejzenstejn pensa che lorganizzazione delle attrazioni possa implicare e riposare su un vero e proprio calcolo delle pressioni esercitate sullo spettatore: solo un tale calcolo che pu garantire una efficace azione del film.lorganizzazione delle attrazioni porta a orientare lemozione dello spettatore :ci che in gioco un modellaggio psicologico, pi che la costruzione di un concetto. Gli stimoli inviati allo spettatore sono strutturati, finalizzati e tradotti in un atteggiamento preciso che un insieme di shock percettivi diventa un complesso emozionale. capitolo VI, il posto dellosservatore anche i film offrono rivelazioni : scoprire inopinatamente, come se fosse la prima volta, tutte le cose nel loro aspetto divino, con il loro profilo simbolico e il loro senso di analogia. Nei film anche i paesaggi prendono vita, gli oggetti hanno degli atteggiamenti, gli alberi gesticolano. Al cinema la realt letteralmente rinasce, per noi e per i nostri occhi fino a catturarci, includendoci nel suo stesso mondo. Il cinematografo provoca, ancor pi un gioco di specchi inclinati, simili incontri con s stessi. Lobiettivo della macchina da presa un occhio dotato di capacit analitiche inumane : mette a nudo gli individui nella loro verit; li costringe a guardarsi, senza scuse. Lo spettatore partecipa al destino dellosservato, si muove sul suo stesso terreno, nel medesimo campo di forze; ma intrecciando la sua esistenza con loggetto del suo sguardo finisce anche con il perdere la sua posizione di vantaggio, fino a confondersi con quanto ha di fronte. Uncle Josh at the moving picture show (Porter, USA, 1902). Si tratta di un film che svolge un tema, quello dello sciocco che va al cinema e scambia lillusione per la realt, trattato gi in precedenza e destinato a sua volta a ulteriori riprese. Uncle Josh provvede a offrirci una definizione del dispositivo cinematografico, con i suoi elementi e le sue dinamiche. Lo spettatore stato richiamato dallo spettacolo, si fatto coinvolgere, ma ha esagerato nella sua voglia di prenderne parte. Secondo le leggi della psicologia,noi proiettiamo noi stessi nei personaggi sullo schermo. Cos ogni spettatore pu vivere per procura le esperienze e le emozioni del personaggio che sta osservando. Se le immagini del Kinetoscope attraggono Josh, perch contengono alcuni tratti essenziali: possiedono una loro bellezza, per quanto naive; presentano un movimento, sia umano, sia meccanico; esibiscono dei corpi , colti in piena attivit; ritraggono

situazioni esotiche che suscitano curiosit; insomma provocano la vista e i sentimenti dellingenuo spettatore. Ma soprattutto creano un contatto tra lui e quanto raffigurato sullo schermo. Il primo piano modifica il dramma grazie allimpressione di prossimit. Il dolore a portata di mano. Se allungo il braccio ti tocco, intimit. Conto le ciglia di quella sofferenza. Potrei sentire il gusto delle sue lacrime. The Crowd di King Vidor (1928) termina con una sequenza memorabile. Marito e moglie assistono ad uno spettacolo di vaudeville: il primo momento di rilassatezza vissuto in comune dopo una lunga serie di traversie. La cinepresa inquadra in Primo Piano i due coniugi; poi con un movimento che la porta a indietreggiare e insieme a salire, arriva ad inquadrare lintera sala del teatro, dove decine di altri uomini e donne stanno guardando lo stesso spettacolo. The Crowd mette in luce le difficolt da parte di John Sims a integrarsi con la realt circostante. Tra personaggio e ambiente non c dunque nessuna corrispondenza, ma solo una relazione disforia o avversativa: non siamo di fronte ad un personaggio-ambiente, ma semmai a un personaggio/ ambiente. Soltanto nelle ultime due sequenze di The Crowd mette in scena il percorso inverso quello che consente a John di ritrovare un contratto con il mondo circostante. Nellultima azione di The Crowd, John non solo inserito nel contesto della sua azione; congiunto con questo contesto in modo organico, tanto vero che una sola inquadratura pu abbracciare compiutamente entrambi. Sullo sfondo della modernit c lavanzare di una nuova percezione dello spazio compresso, grazie allapparente annullamento di ogni distanza; anche uno spazio per cos dire pieno e attivo. The Crowd spiega bene anche che, lindividuo ha le sue ragioni e quando si cala nella massa rischia di perdere la propria individualit. Il confronto di John Sims e il suo amico Bert esemplare. Questultimo accetta troppo di adattarsi alle circostanze; fa carriera, ma in qualche modo tradisce s stesso. John Sims al contrario non accetta per niente di diventare euguale agli altri. Il fatto che John Sims si ricogniuga con il suo ambiente fino a fondersi con esso allinterno di un teatro ulteriormente significativo. La sala cinematografica infatti uno specchio perfetto del contesto sociale nel quale un individuo si trova a muoversi. Blow up di Michelangelo Antonioni contiene una sequenza assai tesa, anche se in essa non sembra succedere gran che. Thomas, il

protagonista del film, un fotografo di moda e alla moda, ha scattato delle foto in un parco, poi le ha sviluppate e le ha appese alle pareti del suo studio. Thomas si avvicina a una delle foto, ne percorre la superficie scrutandola con una grande lente di ingrandimento, poi segna un dettaglio; il dettaglio viene ingrandito e affiancato ad altre immagini; la macchina da presa passa con un leggero movimento da una foto allaltra prima di portarci, con uno stacco, al fotografo che ripercorre le varie immagini per vedere se tra esse c un collegamento. Questa inquadratura finale ha qualcosa di particolare; inizia con una scena che sembra vista da qualcuno; m anzich concludersi con uno stacco che ci riporta a quel qualcuno che guarda, essa si conclude con la scoperta che losservatore da sempre in scena, dentro quello che si supponeva essere il suo campo di osservazione. Dunque non abbiamo pi a che fare con una soggettiva ma abbiamo a che fare con una semi soggettiva, e cio uninquadrature unica che ingloba nello stesso campo visivo sialoggetto visto sia il soggetto vedente; i due elementi non potrebbero coesistere nella medesima immagine poich, se viene data la visione di qualcuno, quel qualcuno non pu star dentro la sua visione. In Blow up, la semisoggetiva acquista un ruolo sintomatico, la definitiva abolizione della barriera tra osservatore e osservatore. Thomas ha fissato sulla pellicola una coppia in un parco, come prima aveva fotografato dei barboni; ci che ha preso di mira la complessa umanit di Londra, e quindi il milieu sociale nel quale vive. Thomas, oltre a soggetto che vede, anche un soggetto che fa vedere. Cos come eugualmente un soggetto visto: da l a poco, nel momento stesso in cui comincer a pensare di aver fotografato in realt un delitto, ecco che viene preso anche dal sospetto di essere spiato da qualcuno. Ci che emerge la stessa fusione tra un osservatore, quanto egli guarda e il contesto in cui opera; il crearsi di un terreno i cui si incrociano molteplici occhiate; e lo smarrirsi di ogni statuto certo a causa di una intimit e di una interdipendenza forse eccessiva. Blow up si offre come una grande celebrazione della spettacolarit moderna: ne intercetta i temi e li porta fino alla loro conseguenza estrema. Unle Josh at the moving picture show ci ha offerto unironica illustrazione dellattrattiva che un film esercita su chi lo vede e in conseguenza del senso di prossimit e di interazione che si stabilisce tra chi sta in sala e ci che sta sullo schermo. The Crowd

ha spostato lattenzione su un altro asse, quello della relazione tra lo spettatore e il pubblico che lo circonda. Lo spettatore chiamato a far parte del proprio ambiente, proponendosi non solo come soggetto scopino, ma anche come soggetto sociale. Blow up parso chiudere il cerchio: ci si pu fondere sia con lo spettacolo che con lambiente, nella misura in cui sono entrambi territori attraversati da una rete di sguardi. Uncle Josh ci aveva suggerito come la relazione tra spettatore e spettacolo sia in buona sostanza costituita su unillusione. Quando le luci della sala si riaccendono, lo spettatore interrompe il suo rapporto con lo spettacolo; quando poi comincia il deflusso dalla sala, egli interrompe anche il suo rapporto con il pubblico. Certo, qualcosa gli resta attaccato addosso: la leggerezza di unesperienza che comunque lo ha portato fuori dal suo modno per immetterlo in un altro; ma anche la vischiosit di una vicinanza con altri spettatori, il sottile brivido di aver fatto pienamente parte di un corpo collettivo. Dunque lo spettatore si immerge nello spettacolo e nellambiente; ma in forma parziale e temporanea. In questo gioco cinematografico svolge un ruolo non secondario; appunto esso che, mentre crea le condizioni per una unit fusiva tra soggetto e oggetto e tra soggetto e ambiente. Se lo spettatore fosse totalmente immerso nel mondo rappresentato e nel mondo circostante, egli non controllerebbe proprio nulla. Il cinema proprio questo: loccasione per confondersi con lo spettacolo e con lambiente, mantenendo per una forma di distanza , se non altro una distanza di sicurezza. Capitolo VII , ossimori e disciplina. I film convocati sembrano saper mettere in discussione il loro stesso modo di funzionare e dunque offrono un eccellente punto di osservazione su cosa il cinema pu essere. Se vero che opere teoriche e interventi teorici danno forma al cinema, anche vero che il cinema a sua volta d forma a istanze che si muovono attorno grazie ad esso. Il cinema modellato, ma a sua volta modella. La sua capacit di costruire uno sguardo del tempo si gioca innanzitutto in questo doppio incastro.