nietzsche e l'eterno ritorno

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1 NIETZSCHE E L’ETERNO RITORNO di Salvatore Bellantone Tesi di Laurea triennale (2005) Università degli Studi di Messina Filosofia Teoretica

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Tesi di Laurea triennale (2005), Università degli Studi di Messina, Filosofia Teoretica.

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Page 1: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

1

NIETZSCHE E L’ETERNO RITORNO

di Salvatore Bellantone

Tesi di Laurea triennale (2005)

– Università degli Studi di Messina – Filosofia Teoretica

Page 2: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

2

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un

demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue

solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e

l‟hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora

innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di

nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e

sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande

della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa

sequenza e successione – e così pure questo ragno e

questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo

attimo e io stesso. L‟eterna clessidra dell‟esistenza viene

sempre di nuovo capovolta – e tu con essa, granello di

polvere!» – Non ti rovesceresti a terra, digrignando i

denti e maledicendo il demone che così ha parlato?

Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immane, in

cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio, e

mai intesi cosa più divina!»? se quel pensiero ti

prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe

subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la

domanda che ti porresti ogni volta e in ogni caso: «Vuoi

tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli

volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più

grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la

vita, per non desiderare più alcun‟altra cosa che

quest‟ultima eterna sanzione, questo suggello?

F. Nietzsche, La gaia scienza.

Page 3: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

3

Introduzione

Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale è un bagliore istantaneo, una folgorazione che

sconvolge nel profondo la vita e il pensiero di Friedrich Nietzsche, segnandone in qualche

modo il destino.

L‟irradiazione di tale pensiero consente a Nietzsche di rinascere dalle proprie ceneri,

dalle ceneri di una vita trascorsa alla continua ricerca del senso, di una vita senza senso, gli

permette di guardare all‟orizzonte senza temere di vedere soltanto disordine e tempesta, gli

concede la possibilità, un‟ultima possibilità, di ripercorrere coraggiosamente tutto il suo

passato, tutto il dolore passato – che ne ha segnato il suo oggi – per tentare di trovare almeno

un motivo per cui averlo provato così e non altrimenti.

Perciò, l‟eterno ritorno dell‟uguale funge da mappa, da bussola, da stella polare

all‟interno del pensiero di Nietzsche, in quanto racchiude emblematicamente in sé,

ripercorrendole, tutte le riflessioni che fino ad ora lo avevano interessato, proiettando nuovi

sentieri da percorrere; ma è anche il nuovo Sole attraverso cui la sua vita e il suo pensiero

vengono ripercorsi.

Nel primo capitolo si svolgerà un‟analisi dei principali frammenti postumi risalenti a

quel fatidico agosto 1881 nel quale il pensiero dell‟eterno ritorno giunse a Nietzsche, al fine

di comprendere la portata dirompente che in tale pensiero Nietzsche ravvisa, non solo per se

stesso, ma per l‟umanità intera e a-venire; infatti, mostrandosi come un Giano bifronte che si

pronuncia sia come presupposto metafisico sia come imperativo categorico, esso si

configurerà come un compito da effettuare, come dottrina da insegnare, da donare, per

rendere presente, a tutti e a nessuno, la possibilità di rivoluzionare la propria vita qui ed ora.

Nel secondo capitolo si intraprenderà una perlustrazione panoramica delle tracce

principali dello Zarathustra – grammofono fondamentale del pensiero dell‟eterno ritorno –

attraverso le quali Nietzsche rende presente tale possibilità e dei motivi principali per cui tale

possibilità si delineerà come necessità, inevitabilità di corrispondere ad una fase di pericolo

cui l‟uomo è già soggetto suo malgrado, necessità di cominciare un cammino di metamorfosi,

andando incontro al pericolo, per superarlo definitivamente.

Infine, nel terzo capitolo si affronteranno le questioni della temporalità e della decisione

che, riconfluendo nella traiettoria iniziale della necessità della transizione e della rivoluzione,

si mostreranno come le chiavi di violino per la comprensione del cuore dell‟insegnamento

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4

nietzscheano: volere qui ed ora ogni attimo della propria vita „come se‟ dovesse ritornare ogni

volta e eternamente nel medesimo modo.

Il compito che Nietzsche svolge, a partire dalla folgorazione, è quello di donare

all‟umanità un grande meriggio, un grande momento di riflessione e decisione su stessa, è

quello di donare all‟umanità un momento di grande coraggio nel quale guardare al proprio

futuro coscienti del passato: il compito di donare, per l‟eternità, il pensiero dell‟eterno ritorno

dell‟uguale.

Page 5: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

5

Capitolo I

Sils-Maria, agosto 1881:

6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo

«Oh la nostra avidità! Io non sento nessun altruismo, e

sento invece un Sé che desidera tutto, che attraverso

molti individui vede come con i propri occhi e afferra

come con le proprie mani, un Sé che si riprende anche

tutto il passato, che non vuole perdere nulla di tutto

ciò che potrebbe essere suo».

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882.

1.1 Folgorazione

L‟eterno ritorno dell‟uguale è uno dei pensieri centrali che caratterizzano la riflessione

nietzscheana, segnandone una svolta fondamentale.

Nonostante pochi siano i luoghi in cui è possibile ravvisarne le tracce, tuttavia l‟eterno

ritorno dell‟uguale risulta di centrale importanza per una comprensione dell‟intero pensiero

nietzscheano, della sua evoluzione tra uno scritto e l‟altro, della portata filosofica di ogni

riflessione che lo ha interessato.

Come nasce l‟idea dell‟eterno ritorno dell‟uguale?

E‟ Nietzsche stesso a raccontarlo nell‟autobiografia Ecce homo, quando scrive:

«E ora racconterò la storia dello Zarathustra. La concezione fondamentale dell‟opera, il pensiero

dell’eterno ritorno, la suprema formula dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta –, è dell‟agosto 1881; è

annotato su di un foglio, in fondo al quale è scritto: “6000 piedi al di là dell‟uomo e del tempo”. Camminavo in

quel giorno lungo il lago di Silvaplana attraverso i boschi; presso una possente roccia che si levava in figura di

piramide, vicino a Surlei, mi arrestai. Ed ecco giunse a me quel pensiero»1.

1 F. Nietzsche, Ecce Homo, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 6 Abteilung – 3 Band,

Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1969; tr. it. di F. Masini,

Ecce homo, Adelphi, Milano 1986, p. 94.

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6

Questo breve passo ci dice molto.

1) Che il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale è la concezione fondamentale dello

Zarathustra, cioè che il testo è concepito, ideato, prende forma attraverso il pensiero

dell‟eterno ritorno dell‟uguale; che accostarsi allo Zarathustra è anche avvicinarsi al pensiero

dell‟eterno ritorno dell‟uguale; che la lettura stessa dello Zarathustra „rende l‟idea‟

dell‟eterno ritorno dell‟uguale.

2) Che tale pensiero è dell‟agosto 1881. Nietzsche ha abbandonato l‟università da due

anni, ha completato la prima parte di Aurora (gennaio 1881) – nel marzo 1882 il manoscritto

integrale sarà pronto per la pubblicazione – e un anno dopo pubblicherà La gaia scienza: egli

si trova nel bel mezzo di quella fase in cui comincia a prendere le distanze dagli scritti del

vomere, dal „monumento della grande crisi‟ e in cui comincia la sua campagna „silenziosa‟

contro la morale della rinuncia a se stessi, comincia a dire di sì a tutte le cose, comincia ad

avvertire la salute e i raggi di un nuovo mattino, che produrranno più avanti in lui una „gaia

scienza‟.

Se al tempo de La nascita della tragedia si era rivolto ai Greci e alla saggezza

dionisiaca per fuggire la menzogna che domina la sua epoca, comprendendo che i Greci si

salvarono dall‟atrocità dell‟esistenza mediante la creazione artistica del mondo olimpico2, ora

Nietzsche è alla ricerca della scintilla attraverso la quale una rinascita della tragedia sia ancora

possibile, ma non trova più alcun rifugio nei confronti della degenerazione generale della sua

epoca, nemmeno nei maestri Arthur Schopenhauer e Richard Wagner, che per molto tempo

sono stati i suoi punti di riferimento; se prima arte, metafisica e religione erano gli strumenti

attraverso i quali penetrare il reale, ora la scienza, la critica radicale, il dubbio diventano i

mezzi coi quali quelle, e soprattutto la cultura generale del proprio tempo3, devono essere

sottoposte a giudizio4.

2 «Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell‟esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre

davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L‟enorme diffidenza verso le forze titaniche

della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l‟avvoltoio del grande amico degli

uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo […] fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta

e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dèi olimpici» (F. Nietzsche, Die Geburt der

Tragödie, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 3 Abteilung – 1 Band, Herausgegeben von

G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1973; tr. it. di G. Colli, La nascita della

tragedia, Adelphi, Milano 1982, p. 32).

3 «Nella personalità di Nietzsche si trovano istinti in netto contrasto con il mondo concettuale dei suoi

contemporanei. Egli si ribella con repulsione istintiva alle principali idee culturali di coloro con cui si è formato;

e non come si respinge un‟affermazione nella quale si è ravvisata una contraddizione logica, ma come ci si

distoglie da un colore che provoca dolore all‟occhio. La repulsione sorge dall‟immediato sentire; in un primo

momento non entra minimamente in gioco la riflessione cosciente. Ciò che gli altri uomini sperimentano quando

concetti come colpa, rimorso, peccato, aldilà, ideale, felicità, patria, attraversano la loro mente, agisce su

Page 7: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

7

La nausea nei confronti della propria epoca nella sua interezza lo spinse ad una chiusura

in se stesso5, ma è proprio tramite questo movimento verso l‟interno che Nietzsche comprende

di aver contratto la malattia dell‟epoca, è proprio guardando alla sua intimità che scopre di

essere malato fin nel profondo e che, d‟altro canto, riesce a diagnosticare la propria malattia, a

darle un nome, un volto: il ressentiment e la décadence, il “pessimismo della stanchezza di

vivere”.

Così, solo con se stesso e con la propria malattia, sente la necessità di crearsi dei

compagni di viaggio e di porre un taglio netto nei confronti della tradizione, del passato e

guardare alla libertà, dirigersi verso la liberazione dalla propria malattia, verso la guarigione;

Nietzsche comincia la ricerca interiore, la sperimentazione in direzione del farmaco che possa

rendergli la grande salute6, ma alla fine comprende che la via per giungere ad essa passa

necessariamente per il problema dell‟appropriazione di sé, per il problema della gerarchia e

Nietzsche come qualcosa di sgradevole» (R. Steiner, Friedrich Nietzsche. Un lottatore contro il suo tempo, tr. it.

e a cura di P. Cammerinesi, Tilopa edizioni, Teramo-Roma 1985, p. 44).

4 «Il modo nietzscheano di condurre la battaglia è la rivelazione psicologica della genealogia della metafisica,

religione, arte e morale dagli istinti, per la maggior parte nascosti e sotterranei, e delle brame dell‟uomo; un

esame psicologico vale per lui come confutazione; egli non prende assolutamente in esame il grado di verità

della religione o della metafisica; per lui questo problema è già risolto se è possibile mostrare che le tendenze

della vita stanno dietro alla volontà di verità, che questa non è “disinteressata”, che nasce dal desiderio di

salvezza. Dall‟essere interessato e dall‟ansia di redenzione Nietzsche trae poi subito la conclusione: la volontà di

conoscenza metafisica è dunque soltanto un bisogno mascherato, una necessità troppo umana» (E. Fink, La

filosofia di Nietzsche, tr. it. di P. R. Traverso, Marsilio editori, Padova 1973, pp. 51-52).

5 «Lo sradicamento di Nietzsche dal suo tempo – da un tempo che, peraltro, ne informò profondamente il

pensiero – non poté non condurre ad un rinchiudersi del filosofo in se stesso, dove il „pericoloso dubitare‟,

divenuto motivo fondamentale esistenziale, poteva dare l‟illusione di un cosmo interiore completo ed in sé

fondato» (R. Steiner, Friedrich Nietzsche. Un lottatore contro il suo tempo, cit., p. 26).

6 «Mentre altri filosofi sperimentarono esclusivamente – nella creazione delle proprie visioni del mondo –

l‟elemento logico-speculativo del proprio pensare, Nietzsche dovette vivere in profondità nel proprio animo ciò

che a lui si offriva come pensiero dell‟epoca. Egli si chiese come fosse possibile vivere con le concezioni del

mondo dominanti, come l‟animo potesse evolversi immergendosi nei pensieri del suo tempo. Tale fu l‟impulso

interiore che lo portò a mettere in questione il valore della filosofia per la vita ed a voler fare – in prima persona

– della sua filosofia carne e sangue […]. Così, se altri pensarono la filosofia, Nietzsche dovette viverla» (ivi, pp.

27-28).

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8

per il prospettivismo nel giudizio di valore7, comprende che la grande salute comincia con la

scoperta e la necessaria messa in atto del proprio compito8.

E‟ all‟interno di tale contesto che va collocato il giungere del pensiero dell‟eterno

ritorno dell‟uguale: esso è il varco che consente al „viandante e la sua ombra‟ Nietzsche di

proiettarsi verso il compito ardentemente atteso, è il sentiero verso la grande salute – di cui

tanto, e con molta sofferenza è andato alla ricerca – è il lampo che alla fine non è stato lui

stesso a trovare, bensì dal quale lui stesso è stato trovato:

«Si ode, non si cerca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con

necessità, senza esitazioni nella forma – io non ho mai avuto scelta […]. Tutto avviene in modo involontario al

massimo grado, ma come in turbine di senso di libertà, di incondizionatezza, di potenza, di divinità… La

involontarietà dell‟immagine, del simbolo è il fatto più strano; non si ha più alcun concetto; ciò che è immagine,

o simbolo, tutto si offre come l‟espressione più vicina, più giusta, più semplice»9.

L‟eterno ritorno dell‟uguale giunge, così come il personaggio di Zarathustra, si dà a

Nietzsche gratuitamente, nell‟involontarietà dell‟immagine, nonostante non fosse né atteso né

cercato; è uno splendore fulmineo che lo scuote e lo sconvolge nel profondo, è «una rinascita

7 Rivolgendosi allo spirito libero, intorno all‟enigma della grande separazione da ogni vecchia certezza,

Nietzsche dice: «Dovevi diventare padrone di te stesso, padrone anche delle tue virtù. Prima erano esse le tue

padrone; ma esse devono essere solo tuoi strumenti accanto ad altri strumenti. Dovevi acquistare il potere sul tuo

pro e contro e imparare a saperli a saperli staccare e riattaccare, secondo il tuo scopo superiore. Dovevi imparare

a comprendere ciò che appartiene alla prospettiva in ogni giudizio di valore: lo spostamento, la deformazione e

la teologia degli orizzonti e ogni altra cosa che fa parte della prospettiva […]; anche la parte di stupidità nei

confronti dei valori opposti e tutta la perdita intellettuale, con cui ogni pro e contro si fanno pagare. Dovevi

imparare a comprendere la necessaria ingiustizia di ogni pro e contro, l‟ingiustizia come inseparabile dalla vita,

la vita stessa come condizionata dalla prospettiva e dalla sua ingiustizia […]; dovevi guardare in faccia il

problema della gerarchia, e vedere come forza e diritto e comprensività della prospettiva crescano insieme in

altezza» (F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches I, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 4

Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1967;

tr. it. di S. Giametta, Umano, troppo umano I, Adelphi, Milano 1965, pp. 9-11).

8 «Solitario e ormai pieno di una cattiva diffidenza verso me stesso, presi in tal modo partito, non senza

rovello, contro di me e per tutto ciò che appunto mi faceva male e mi riusciva duro: così ritrovai la strada verso

quel valoroso pessimismo, che è l‟opposto di ogni ipocrisia romantica e anche, come oggi mi vuol sembrare, la

via verso “me” stesso, verso il mio compito. Quel nascosto ed imperioso qualcosa, per cui a lungo non troviamo

un nome, finché esso si rivela da ultimo come il nostro compito – questo tiranno che è dentro di noi si prende

una terribile rivalsa per ogni tentativo che facciamo di evitarlo e di sfuggirgli, per ogni rinuncia prematura, per

ogni nostro eguagliarci a coloro a cui non apparteniamo, per ogni attività quantunque pregevole, se essa ci storna

dalla nostra cosa principale, anzi per ogni virtù stessa che voglia proteggerci contro la durezza della nostra

responsabilità più peculiare. La malattia è ogni volta la risposta, quando vogliamo dubitare del nostro diritto al

nostro compito; quando, in un punto qualsiasi, cominciamo a farci le cose troppo facili. Strano e terribile

insieme! Sono i nostri alleviamenti, che dobbiamo scontare nel modo più duro! E se poi vogliamo tornare alla

salute, non ci resta scelta: dobbiamo caricarci più pesantemente di quanto lo fossimo mai stati prima…» (F.

Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches II, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 4 Abteilung – 3

Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1967; tr. it. di S.

Giametta, Umano, troppo umano II, Adelphi, Milano 1967, pp. 6-7).

9 F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 99.

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nell‟arte dell‟ascoltare»10 che segna l‟inizio di un nuovo cammino, è il bagliore inatteso che

può consentire una rinascita della saggezza tragica, è un‟unica fune nella quale tutti i fili delle

precedenti riflessioni vengono stretti insieme in direzione del fine, del compito che la fune

stessa rappresenta e per cui gli si è offerta: legare insieme uomo, terra, vita e sollevarli,

innalzarli „a Sole‟ ed affermare così, nel modo supremo che possa mai essere raggiunto, la

loro prioritaria importanza rispetto a tutto il resto.

Non a caso dopo quell‟agosto 1881, in cui fa esperienza dell‟eterno ritorno dell‟uguale,

Nietzsche completerà la stesura di Aurora – in cui comincia la sua campagna contro la morale

della rinuncia a se stessi, in cui comincia il suo viaggio per mare verso i raggi di una nuova

aurora, in cui comincia il suo compito, «il compito di preparare l‟umanità a un momento di

suprema riflessione su se stessa, un grande meriggio»11 – e partorirà La gaia scienza – testo in

cui comincia a guardare alla sua “suprema speranza” e che contiene sia il celebre aforisma

125 su la “morte di Dio”, sia il primo annuncio dell‟eterno ritorno dell‟uguale, sia il nesso e il

rinvio allo Zarathustra12.

Ormai “è tempo”, è tempo che la tragedia cominci: la saggezza di Eraclito e quella del

dio Dioniso, che si fonderanno nella figura del maestro persiano, diverranno i suoi nuovi

compagni di viaggio affinché, per mezzo dell‟eterno ritorno dell‟uguale, la suprema formula

dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta, Nietzsche possa donare all‟umanità «il più

grande regalo che essa abbia mai avuto»13.

1.2 L’eterno ritorno come compito

Attraverso l‟eterno ritorno dell‟uguale, la suprema formula dell‟affermazione che possa

mai essere raggiunta, Nietzsche può dirigersi verso il proprio compito e la grande salute,

verso una rinascita della saggezza tragica: ma per quale ragione esso riveste un ruolo così

decisivo all‟interno della riflessione nietzscheana? Perché è solo per suo tramite che

10 Ivi, p. 94.

11

Ivi, p. 89.

12

Cfr. F. Nietzsche, Die Fröhliche Wissenschaft, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 5

Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1973;

tr. it. di F. Masini, La gaia scienza e Idilli di Messina, Adelphi, Milano 1965, libro III, af. 125, pp. 162-164; cfr.

libro IV, af. 341, pp. 248-249; cfr. libro IV, af. 342, pp. 249-250.

13

F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 13.

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10

Nietzsche può cominciare a gettare il proprio sguardo verso il proprio compito e la grande

salute?

Forse “il foglio, in fondo al quale sta scritto 6000 piedi al di là dell‟uomo e del tempo”

può aiutare a far luce intorno al ruolo determinante che assume l‟eterno ritorno nel

pentagramma nietzscheano; vi si legge:

«Il ritorno dell’identico

Progetto

1. L‟assimilazione degli errori fondamentali.

2. L‟assimilazione delle passioni.

3. L‟assimilazione del sapere, anche del sapere che rinuncia. ( Passione della conoscenza ).

4. L‟innocente. Il singolo come esperimento. L‟alleggerimento della vita, svilimento, indebolimento –

transizione.

5. Il nuovo centro di gravità: l’eterno ritorno dell’identico.

Infinita importanza del nostro sapere, errare, delle nostre abitudini, modi di vita per tutto ciò che verrà. Che

faremo col resto della nostra vita – noi che ne abbiamo trascorso la maggior parte nell‟ignoranza più essenziale?

Insegniamo questa dottrina – è lo strumento più energico per appropriarcene noi stessi. Il nostro tipo di

beatitudine, come maestri della più grande dottrina.

Inizio agosto 1881 a Sils-Maria,

6000 piedi sul livello del mare

e molto più in alto di tutte le cose umane!»14.

Che cosa ne traspare?

Innanzitutto, nel frammento sotto esame l‟eterno ritorno dell‟uguale si conforma e si

mostra come „progetto‟: Nietzsche guarda alla propria epoca e nota la totale indifferenza

dominante nei confronti di quanto prima rendeva seria l‟esistenza del singolo individuo, cioè

il lavoro e le passioni, intese in modo innocente, come un gioco di un bambino; di

conseguenza, l‟intera esistenza è percepita nello stesso modo, perde di senso, di significato,

d‟importanza, la vita stessa ne risulta alleggerita, svilita, indebolita ed è il singolo uomo a

subirne le conseguenze.

Ma se questo è il panorama che si offre ai suoi occhi, la sua risposta è

„transizione‟, passaggio ad un altro modo d‟intendere il lavoro, le passioni, l‟esistenza, la vita,

la sua risposta è traghettare ad un modo d‟intenderli che permetta loro di riacquisire

significato e importanza; la transizione dunque, va da un modo di pensare ad un altro e mira

all‟assimilazione, all‟appropriazione degli errori, delle passioni, del sapere che rinuncia.

14 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente 1881-1882, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 5

Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari,Walter de Gruyter, Berlin-New York 1973;

tr. it. di M. Montinari, Frammenti postumi 1881-1882, Adelphi, Milano 1965, fr. 11 [ 219 ], p. 352.

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11

Transitare ad un altro modo di pensare vuol dire primariamente chiedersi „che significa

conoscere?‟ e sperimentare sulla propria carne ciò che la domanda chiede là dove sono le

fonti della conoscenza stessa, e cioè nella vita e negli istinti, perché solo a partire da essi è

possibile una conoscenza.

E‟ chiaro come questo passaggio, questa sperimentazione comporti l‟abbandono di tutte

le certezze legate al vecchio modo di pensare che ha condotto allo svilimento di senso

dell‟esistenza, della vita, dell‟uomo; si tratta di «ASPETTARE di vedere fino a che punto il

sapere e la verità possano FONDERSI – e fino a che punto nell‟uomo si verifichi un

cambiamento, quando egli vivrà solo per conoscere»15 e quando questa passione della

conoscenza, in tutti i modi in cui possa esplicarsi, provochi un‟eccedenza di piacere

nell‟uomo. Il passaggio ad un altro modo di pensare comporta la necessità di dare un giudizio

sul passato, senza essere influenzati dalla compassione e dall‟umanità futura, e di vincere nei

suoi confronti perché «la questione è se noi vogliamo ancora vivere: e come!»16.

Il progetto eterno ritorno, così come si dà in tale frammento, chiama ad una grande

responsabilità ogni singolo uomo, perché chiede quale atteggiamento assumere nei confronti

di ciò resta della propria vita e invita a dare il peso dovuto al sapere, agli errori, alle abitudini,

ai modi di vita che sono stati finora condizionanti, incita a ripensarli secondo l‟idea

dell‟eterno ritorno dell‟uguale al fine di appropriarsi di questo resto.

Il pensiero dell‟eterno ritorno sconvolge nel profondo il trentasettenne Nietzsche perché

comprende che ciò che è in gioco, nel resto della propria vita, è se stesso, la sua vita intera e

perché comprende che l‟eterno ritorno è l‟unico mezzo che egli abbia a disposizione per

ridare importanza, per ripensare la sua vita e se stesso nella vita che gli resta; perciò può

affermare che esso è la suprema formula dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta,

perché esso è “lo strumento più energico”, più efficace per dare un contraccolpo al panorama

d‟indifferenza e di perdita di significato e di senso che aveva dinanzi agli occhi, è il mezzo – e

non il fine – per ridare importanza, per ripensare l‟esistenza, la vita, l‟uomo.

Se già due anni prima cominciava a pensare che la sua storia non fosse solo la propria

ma anche quella dell‟uomo europeo17, se la sua malattia – la dècadence e il ressentiment – è

15 Ivi, fr. 11 [ 220 ], p. 353.

16

Ibidem.

17

«Dovrebbe la mia vicenda – la storia di una malattia e di una guarigione, giacché essa mise a capo una

guarigione – essere solo la mia personale vicenda? […] in me cresce sempre più la fiducia che i miei libri di

pellegrinaggio non siano stati solo per me […]. Posso porgerli particolarmente al cuore e all‟orecchio di coloro

che sono affetti da qualche “passato”, e a cui resta abbastanza spirito da soffrire ancora dello spirito del loro

passato? Ma soprattutto li porgo a voi, che durate più fatica, a voi rari, più minacciati, più spirituali, più

coraggiosi, a voi che dovete essere la coscienza dell‟anima moderna e che come tali dovete averne la scienza, nei

quali si raccoglie tutto ciò che oggi ci può essere di malattia, di veleno e di pericolo – di cui la sorte vuole che

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12

quella dell‟epoca, e se l‟eterno ritorno gli si mostra ora come l‟unico farmaco che consenta di

guarire da essa e ottenere la grande salute, allora è chiaro che Nietzsche non riterrà mai

questo come uno strumento utile solo ed esclusivamente a se stesso.

Per lo stesso motivo, il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale si delinea, nell‟attimo

successivo alla folgorazione, come un progetto e, di conseguenza, come „compito‟ perché in

esso Nietzsche riconosce la “suprema speranza” che dirige alla grande salute, ad una rinascita

della saggezza tragica e perché sa che «la nostra destinazione dispone di noi», sa che «è il

futuro che dà la regola al nostro oggi»18: si tratta di insegnare, di donare all‟umanità questa

dottrina che rende beati, in modo che anch‟essa guarisca dalla stessa malattia, in modo che

anch‟essa risponda alla perdita totale di senso che ora la caratterizza, in modo che ogni

singolo uomo ripensi e dia nuovamente importanza a se stesso e alla propria vita, in quel che

ne rimane di essa.

Ciò lo spingerà a condensare il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale in Così parlò

Zarathustra e in particolare nella figura del maestro persiano che, come specchio “per tutti e

per nessuno”, concepisce nel pensiero e nell‟azione il resto della propria vita, e con esso tutta

la sua vita, secondo la suprema formula dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta.

1.3 L’eterno ritorno sul piano cosmologico

Ma è finalmente giunto il momento di chiedersi: che cos‟è l‟eterno ritorno dell‟uguale?

Come si dà l‟eterno ritorno dell‟uguale? Per quale ragione Nietzsche lo definisce come la

suprema formula dell‟affermazione?

Con queste domande ci si addentra in uno dei due volti che caratterizzano tale pensiero,

e cioè quello „cosmologico‟19. Per chiarire questo suo aspetto, è possibile seguire le

indicazioni che Nietzsche offre in alcuni frammenti postumi risalenti sempre a quel 1881 in

cui il pensiero dell‟eterno ritorno giunge a lui:

siate più malati di qualsiasi altro individuo, perché voi non siete “solo individui”…, la cui consolazione è di

sapere, ahimé!, e di percorrere la via verso una nuova salute, verso una salute di domani e di posdomani, voi

predestinati, voi vittoriosi, voi superatori del tempo, voi sanissimi, voi fortissimi, voi buoni Europei!» (F.

Nietzsche, Umano, troppo umano I, cit., p. 9).

18

Ivi, p. 10.

19

Per la comprensione della duplicità dell‟eterno ritorno, cfr. K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, tr. it. di

S. Venuti, Laterza, Roma-Bari 1982, pp. 84-95.

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«Il mondo delle forze non patisce alcuna riduzione: altrimenti nel tempo infinito si sarebbe indebolito e

sarebbe scomparso. Il mondo delle forze non patisce alcuna immobilità: altrimenti sarebbe stata raggiunta, e

l‟orologio dell‟esistenza sarebbe fermo. Il mondo delle forze non raggiunge dunque mai un equilibrio, non ha

mai un attimo di tranquillità, la sua forza e il suo movimento sono uguali in ogni tempo. Qualunque stato questo

mondo possa raggiungere, deve averlo già raggiunto e non una volta sola, ma innumerevoli. Questo istante per

esempio: c‟è già stato una volta e molte volte, e tornerà allo stesso modo, con tutte le forze ripartite esattamente

come ora; e lo stesso vale per l‟istante che ha dato vita a quello presente, e per quello che ne è figlio»20

.

Che cosa si nota in questo primo frammento?

Che Nietzsche dice qualcosa in merito alla totalità delle cose, all‟ente nella sua totalità;

e come si qualifica, come si caratterizza, com‟è costituita tale totalità ai suoi occhi? In che

modo tale totalità gli si dà a vedere? Qual è l‟ordine secondo cui tale totalità gli si presenta,

gli si mostra? Qual è la legge che la regola, che la governa?

Per prima cosa dunque, in tale frammento, si afferma che ciò che qualifica, caratterizza,

costituisce la totalità è un movimento, un dinamismo, un divenire che non conosce variazione

nel tempo infinito, che non conosce alcuna perdita, né mira ad una stasi ultima; se fosse

altrimenti, o non sarebbe più una totalità o sarebbe già terminata o non avrebbe alcun

movimento. Se tale movimento è ciò che primariamente struttura la totalità, allora proprio

perciò qualunque grado, stadio, ogni singolo modo d‟essere è capace di conseguire,

procurarsi, ottenere, la totalità lo ha già ottenuto infinite volte: ciò vale non solo per ogni

istante, come questo qui ed ora, e compresi quello che lo precede e quello che lo segue, ma

per ogni singolo elemento inscritto nella totalità e ogni modalità attraverso la quale ognuno si

mostra, nel movimento senza variazione e senza meta; ogni cosa è già stata raggiunta

dall‟universo per un numero incalcolabile di volte e tornerà nuovamente ad essere raggiunta,

ogni volta, nello stesso modo in cui per quel numero incommensurabile di volte è già stata

raggiunta.

Se il moto – attraverso i singoli elementi e attraverso i singoli modi d‟essere di essi, di

cui la totalità rappresenta l‟insieme, il tutto, l‟unità – che qualifica la totalità si configura in tal

modo, cioè senza inizio né fine, incessabile, indistruttibile, perpetuo, ciò vuol dire che essa

stessa è questo moto, è questo divenire perpetuo che torna sempre in modo invariato nelle

singole parti; ma se essa stessa è questo moto senza inizio né fine, incessabile e perpetuo,

allora vuol dire che essa è eterna, increata, a-teleologica.

Dunque, se la totalità, l‟insieme, l‟unità è eterna, è un divenire perpetuo che torna

sempre in modo invariato nelle singole parti, allora in che modo è possibile rappresentarla?

20 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 235 ], pp. 358-359.

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Quale simbolo è efficace al fine di dire, di rappresentare la totalità, l‟unità, il divenire

perpetuo che torna sempre in modo invariato nelle singole parti?

Il simbolo del circolo, della curva senza inizio né fine: l‟anello. Ma, afferma Nietzsche:

«Guardiamoci dal pensare come divenuta la legge di questo ciclo circolare, secondo la falsa analogia del

movimento circolare all’interno dell‟anello: non c‟è stato all‟inizio il caos e poi, gradualmente, un movimento

più armonico e infine stabilmente circolare di tutte le forze: no, tutto è eterno, non è divenuto; se c‟è stato un

caos di forze, anche questo caos è eterno e ritorna in ogni anello. Il movimento circolare non è qualcosa che è

divenuto, è la legge primaria, così come la quantità di energia è legge primaria, senza eccezione né trasgressione.

Tutto il divenire ha luogo nell‟ambito del movimento circolare e della quantità di energia; non bisogna dunque,

con false analogie, prendere i cicli che divengono e trascorrono, come quelli degli astri, l‟alta e la bassa marea, il

giorno e la notte, le stagioni, per caratterizzare il ciclo eterno»21

.

Il movimento che caratterizza la totalità non ha dunque avuto un inizio in cui si è dato in

un certo modo attraverso le singole parti e poi via via ha assunto un ritmo costante e stabile

attraverso di esse – così come è possibile pensare secondo il falso paragone al movimento

circolare all‟interno dell‟anello o dei cicli degli astri, dell‟alta e bassa marea, del giorno e

della notte, delle stagioni; il movimento di questo ciclo circolare non è divenuto, non si è

modificato, trasformato nel suo scorrere, bensì è eterno, perpetuo, costante fin dalla sua

origine. Se all‟inizio il movimento si è dato in un certo modo, esso continuerà a darsi ogni

volta e eternamente così come si è dato all‟inizio; darsi ogni volta e eternamente nello stesso

modo dell‟inizio, non è lo stesso che darsi ogni volta e eternamente in modo simile all‟inizio,

perché «il simile non è un grado dell‟identico: ma qualcosa di totalmente diverso

dall‟identico»22.

E allora ecco che cos‟è l‟eterno ritorno dell‟uguale nel suo volto cosmologico: è la

“legge primaria” secondo cui la totalità, l‟unità, l‟insieme di tutte le cose è soggetta, ordinata,

governata, costituita: esso nomina il tutto, l‟unità, l‟insieme di tutte le cose, dice in che modo

la totalità si mostra, dice che essa è eterna, increata, a-teleologica, che eternamente diviene

ogni volta nel medesimo modo in cui, “se c‟è stato”, si è dato all‟inizio.

Ma che cos‟è la totalità di tutte le cose, l‟insieme, l‟unità se non ciò che esiste,

l‟universo, il cosmo, il mondo?

Ebbene, l‟eterno ritorno dell‟uguale ha un ruolo decisivo perché dice che l‟universo, il

cosmo, il mondo, l‟esistenza è soggetta, ordinata, governata da questa “legge primaria”, dice

21 Ivi, fr. 11 [ 258 ], pp. 365-366.

22

Ivi, fr. 11 [ 274 ], p. 370.

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che l‟esistenza è eterno ritorno dell‟uguale, che essa è eterna, increata, a-teleologica, dice che

ogni singolo ente e ogni singolo modo d‟essere di ognuno diviene ogni volta e eternamente

sempre nello stesso modo, afferma che l‟energia, la forza che si muove attraverso ogni

singolo ente non subisce alcuna perdita, non si accresce, né mira ad un fine ultimo, ma è

eterna e ogni volta per l‟eternità ritorna sempre nella stessa costanza, quantità, frequenza; esso

dichiara che niente cessa, svanisce, si distrugge, ma che tutto ritorna ogni volta per l‟eternità

sempre nello stesso modo:

«Uomo! Tutta la tua vita verrà perpetuamente girata come una clessidra e perpetuamente avrà fine – un

grande minuto di tempo fra l‟una e l‟altra, finché tutte le condizioni che ti hanno prodotto tornino a coincidere

nel ciclo dell‟universo. E poi tu ritroverai ogni dolore e ogni piacere, e ogni amico e ogni nemico, e ogni

speranza e ogni errore, e ogni filo d‟erba e ogni raggio di sole, l‟intero complesso di tutte le cose. Questo anello

di cui tu sei un grano tornerà sempre a splendere»23

.

Anche per l‟uomo, per la sua vita, per la sua morte, per ogni sua passione, per ogni suo

amico e nemico, per ogni speranza ed errore, così come per ogni filo d‟erba e raggio di sole,

per tutte le cose esistenti senza alcuna eccezione vale la legge dell‟eterno ritorno dell‟uguale:

«Guardiamoci dall‟attribuire a questo ciclo circolare un‟aspirazione, un fine: oppure dal giudicarlo noioso,

stupido ecc. in base ai nostri bisogni. Certo, in esso è presente il massimo grado di irrazionalità come anche il

suo contrario: ma non lo si deve valutare in base a ciò, ragionevolezza e irragionevolezza non sono predicati

dell‟universo»24

.

E‟ chiaro come il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, nel suo volto cosmologico,

abbia una valenza dirompente: esso si dà come legge metafisica, ontologica, nomina l‟ente

nella sua totalità, l‟Essere dell‟ente, dice che l‟uno-tutto è eterno ritorno dell‟uguale.

Dicendo l‟Essere, cioè caratterizzandolo come eterno divenire e eterno tornare ogni

volta, circolarmente, nel medesimo modo, senza perdite, senza guadagni, senza fine ultimo e

senza ragionevolezza né irragionevolezza, il pensiero dell‟eterno ritorno afferma, nel

contempo, che domina l‟ente nella sua totalità come “legge primaria”, che esso accade così e

non altrimenti, che necessariamente si dà in tal modo e sempre nel medesimo modo, che in

esso non c‟è libertà, eventualità, contingenza; esso dice che tutto ciò che è, avviene solo ed

esclusivamente nel movimento circolare eterno ed eternamente in modo identico, che tutto ciò

che è „è movimento circolare stesso‟ e al di fuori di esso non v‟è nient‟altro.

23 Ivi, fr. 11 [ 235 ], p. 359.

24

Ivi, fr. 11 [ 258 ], pp. 365-366.

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Ecco perché Nietzsche si sente sconvolto nel profondo al sopraggiungere del pensiero

dell‟eterno ritorno dell‟uguale, perché se esso dice l‟uno-tutto, se il simbolo dell‟anello è

metafora di esso, se è la sua “legge primaria”, allora «sarebbe orribile se credessimo ancora

nel peccato: invece qualunque cosa noi faremo, in infinita ripetizione, è innocente»25.

Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, dicendo che l‟esistenza è eterna, increata e a-

teleologica, nega l‟esistenza di un Dio creatore e la conformazione morale del reale, nega

l‟esistenza di un al di là, di un „dopo la morte‟ – sia l‟inferno o il paradiso – nega che il

peccato, la colpa, la punizione, la ricompensa, il bello, il giusto, il bene e quant‟altro siano

inscritti negli enti; non ci sono „giudizi umani‟ nella costituzione delle cose, non c‟è libertà,

giustizia, onore, progresso, valori, pretese, scopi, ideali, modelli, verità, c‟è solo questa “legge

primaria”, questa necessità, inevitabilità, fatalità: l‟eterno divenire e l‟eterno tornare di tutti gli

enti nel medesimo modo, l‟innocenza del divenire:

«Guardiamoci dall‟insegnare una tale dottrina come un‟improvvisa religione! Essa deve penetrare

lentamente, intere generazioni debbono lavorarci e divenire fertili per essa – così da diventare un grande albero

che proietti la sua ombra su tutta l‟umanità a venire. Cosa sono i due millenni del cristianesimo! Per il più

possente dei pensieri ci sarà bisogno di molti millenni – per lungo, lungo tempo dovrà essere piccolo e

impotente!»26.

1.4 L’eterno ritorno sul piano etico

Ma se l‟eterno ritorno dell‟uguale si configura in tal modo, cioè come volto dell‟Essere,

come legge ontologica necessaria e ineluttabile cui tutto è soggetto, cioè non prevede a livello

cosmologico libertà, possibilità, differenza, allora come può essere la suprema formula

dell‟affermazione del singolo uomo e, con questi, della vita, dell‟esistenza? Se esso è la legge

necessaria che regge tutti gli enti, e l‟uomo stesso è un ente tra gli enti, allora che ne è

dell‟uomo? Come può affermare l‟uomo, se con esso viene meno la sua libertà, la sua

indipendenza, la sua autonomia, la sua volontà? Che ne è della volontà di ogni singolo uomo,

se la sua volontà perde d‟importanza di fronte all‟inevitabilità del ritorno? Non rappresenta

forse l‟eterno ritorno dell‟uguale, come legge ontologica, una negazione, una degradazione,

anziché la suprema formula dell‟affermazione dell‟uomo? Come può l‟uomo appropriarsi,

25 Ivi, fr. 11 [ 229 ], p. 356.

26

Ivi, fr. 11 [ 263 ], p. 367.

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dare importanza a se stesso e alla propria vita, in quel che ne rimane di essa, di fronte a tale

fatalità? Anziché dare un contraccolpo all‟indifferenza e alla perdita di significato generali

che Nietzsche ravvisa nella propria epoca, il pensiero dell‟eterno ritorno non infligge il colpo

di grazia nei confronti dell‟uomo? Qual è il suo volto antropologico?

Scrive Nietzsche: «in ogni anello dell‟esistenza umana c‟è sempre un momento in cui

prima in uno, poi in molti, poi in tutti affiorerà il pensiero più possente, quello dell‟eterno

ritorno di tutte le cose – e ogni volta per l‟umanità è l‟ora del meriggio»27, c‟è sempre un

momento in cui nell‟uomo emergerà tale pensiero, in cui lo penserà. Che significa per l‟uomo

pensare l‟eterno ritorno dell‟uguale? Quali effetti, quali reazioni, quali conseguenze suscita

nell‟uomo pensare tale pensiero?

«Verifichiamo che effetti ha avuto finora il pensiero che qualcosa si ripeta (l‟anno per esempio, oppure

malattie periodiche, veglia e sonno ecc.). Se anche il ripetersi circolare è solo una probabilità o una possibilità,

già il pensiero di una possibilità può sconvolgerci e cambiarci, e non solo le nostre sensazioni e aspettative!

Come sono stati grandi gli effetti della possibilità della dannazione eterna!»28

.

Finora, il pensiero che qualcosa si ripeta è significato cambiare modo d‟intenderla, di

pensarla, agire in funzione di tale cambiamento, abituarsi al cambiamento d‟intendere la cosa

e di agire in conseguenza di esso.

Si immagini allora quali cambiamenti può effettuare pensare che un eterno ritorno

dell‟uguale è possibile, se lo paragoniamo agli effetti che ha esercitato nell‟uomo il pensiero

che una dannazione eterna fosse possibile. Il pensiero della possibilità di una dannazione

eterna ha provocato dei cambiamenti nel modo di pensare e di agire degli uomini, ha

provocato dei cambiamenti nelle loro abitudini e nel loro modo di percepire il reale, ogni cosa

di cui esso è costituito, il loro vivere stesso; certo, il riscontro tangibile di questa possibilità

non si è mai verificato, eppure tale possibilità ha rivoluzionato la percezione dell‟intera

esistenza.

Come è accaduto per questa, così il pensiero della possibilità di un eterno ritorno

dell‟uguale può sviluppare delle conseguenze a livello totale per gli uomini e per l‟esistenza,

può rivoluzionare il nostro modo di percepire l‟esistenza, il nostro modo di pensare, di agire,

di rapportarci con noi stessi, con gli altri e con le cose, può mutare radicalmente il nostro

modo di vivere in una direzione diametralmente opposta rispetto alla rivoluzione che il

27 Ivi, fr. 11 [ 235 ], p. 359.

28

Ivi, fr. 11 [ 317 ], p. 382.

Page 18: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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pensiero della possibilità di una dannazione eterna ha conseguito (nonostante come questa

non possa fornire un riscontro tangibile di se stesso). Ma per quale motivo?

Perché pensare che è possibile a livello cosmologico, cioè ritenere che ontologicamente

l‟eterno ritorno dell‟uguale dice l‟Essere, lo mostra e dunque lo qualifica, caratterizza,

costituisce, governa, ordina, significherebbe, da un punto di vista antropologico, che, affinché

l‟uomo „mostri essere‟ e quindi si qualifichi, acquisisca carattere, costituzione, governo,

ordine, „deve dirsi come eterno ritorno dell‟uguale‟; e come può l‟uomo dirsi come eterno

ritorno dell‟uguale?

L‟uomo è un ente tra gli enti che pensa e agisce e vuole, si pone degli scopi, un ente che

possiede corpo, istinti, che è nel mondo, vive: ma il mondo, l‟ente nella sua totalità, ora è

pensato come eterno divenire ed eterno tornare ogni volta, circolarmente, nel medesimo modo

e proprio perciò la sua forza, il suo movimento è senza perdite, senza guadagni, senza fine

ultimo e senza ragionevolezza né irragionevolezza – in ogni istante e in ogni elemento e in

ogni modo d‟essere di ognuno; il mondo è eterno ritorno dell‟uguale, l‟essere del mondo è

eterno ritorno dell‟uguale; e l‟uomo fa parte del mondo, quindi anch‟egli, che pensa ora

l‟essere del mondo come eterno ritorno dell‟uguale, è già inscritto in esso.

Allora, se comprende ciò, si tratta di esser consapevolmente eterno ritorno dell‟uguale,

si tratta di pensarsi totalmente – nell‟agire, nella volontà, negli istinti, nella vita – come eterno

divenire e tornare ogni volta nel medesimo modo affinché la sua forza, il suo movimento sia

senza perdite, senza guadagni, senza fine ultimo e senza ragionevolezza né irragionevolezza –

in ogni istante e in ogni lato di sé e in ogni modo d‟esso – si tratta di pensarsi

consapevolmente nell‟interezza secondo la legge della necessità.

E ciò significa «per prima cosa il necessario – e più bello e perfetto che puoi!

“Ama ciò che è necessario” – amor fati, questa sarebbe la mia morale, fagli tutto il bene

possibile e innalzalo al di sopra della sua orribile origine, fino a te»29; prima di tutto bisogna

amare il necessario nel senso di tendere ad esso, desiderarlo, bramare ciò di cui si necessita:

ma di cosa si necessita?

«Il delirio politico di cui oggi sorrido, come i contemporanei sul delirio religioso di epoche precedenti, è

innanzitutto secolarizzazione, credenza nel mondo e abbandono delle idee di “aldilà” e di “mondi retrostanti”. Il

suo scopo è il benessere dell‟individuo transitorio: perciò il suo frutto è il socialismo, vale a dire: i singoli

INDIVIDUI transitori vogliono conquistarsi la loro felicità mediante la secolarizzazione, e non hanno alcun

motivo di aspettare, come fanno gli uomini con anime eterne ed eterno divenire e futuro migliorare. La mia

dottrina dice: vivere in modo da doversi augurare di tornare a vivere, questo è il compito – e rivivrai comunque!

29 Ivi, fr. 13 [ 20 ], p. 434.

Page 19: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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Chi prova il maggior benessere affaticandosi, si affatichi; chi si sente meglio a riposo, riposi; chi trova piacere

nell‟inquadrarsi, seguire, obbedire, obbedisca. Soltanto sia cosciente di ciò che lo fa star bene e non rifugga da

alcun mezzo! E‟ in gioco l‟eternità!»30

.

Ciò di cui si necessita è il benessere, il piacere, la felicità. Nietzsche, guardando alla sua

epoca, si rende conto che la fede nell‟aldilà sta già venendo meno per via del processo di

secolarizzazione e che ogni singolo individuo preferisce guardare al mondo e al benessere,

alla felicità – però sempre secondo l‟idea della transitorietà, della provvisorietà, della

caducità, della mortalità – anziché attendere la seconda venuta di Cristo e la risurrezione dei

morti e l‟aldilà come fanno i credenti; ma Nietzsche vuole suggerire all‟umanità di ricercare il

piacere e la felicità non a partire dall‟idea della transitorietà, della provvisorietà, della

caducità, per effetto della secolarizzazione, ma dall‟idea dell‟eternità: «questa dottrina è

indulgente verso coloro che non credono, non ha inferni né minacce. Chi non crede in essa, ha

la coscienza di una vita fugace»31.

Secondo Nietzsche, si tratta di vivere nel modo che ognuno ritiene più consono a se

stesso, in modo da desiderare di tornare a vivere e tenendo a mente che si rivivrà lo stesso,

quindi è necessario essere effettivamente coscienti di ciò che ci procura benessere e felicità,

perché ciò che ora ci si procura, tornerà nuovamente ad essere procurato nello stesso modo

per l‟eternità: ma come fare? Come capire ciò che effettivamente procura piacere e felicità?

E qui si ritorna all‟inizio. Per comprendere, conoscere ciò che effettivamente procura e

felicità, bisogna

«intendere tutto in divenire, negarci come individui, guardare il mondo con quanti più occhi è possibile,

vivere negli istinti e nelle attività per farci gli occhi, abbandonarci temporaneamente alla vita per poi

abbandonarvi temporaneamente l‟occhio; gli istinti come fondamento di tutta la conoscenza, ma sapere dove

diventano nemici della conoscenza: insomma ASPETTARE di vedere fino a che punto il sapere e la verità

possano FONDERSI – e fino a che punto nell‟uomo si verifichi un cambiamento, quando egli finalmente vivrà

solo per conoscere. Questa è la coerenza della passione della conoscenza: perché possa esistere non esiste alcun

mezzo se non quello di mantenere anche le fonti e le potenze della conoscenza, ossia gli errori e le passioni, dalle

cui lotte essa trae la forza che la fa vivere. – Come si presenterà questa vita in relazione alla sua somma di

benessere? Un gioco di bambini a cui guarda l‟occhio del saggio; controllare questa e quella condizione – e la

morte, se ciò non è possibile»32.

30 Ivi, fr. 11 [ 268 ], pp. 368-369.

31

Ivi, fr. 11 [ 265 ], p. 367.

32

Ivi, fr. 11 [ 220 ], p. 353.

Page 20: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

20

Per capire che cosa procura effettivamente piacere e felicità, è necessario sperimentare

sulla propria carne in tutti i modi possibili che cosa significa conoscere, ma per far ciò,

bisogna primariamente, provvisoriamente e pazientemente abbandonarsi alla vita e agli istinti

per cominciare a far luce intorno a ciò; è necessario prendere gli istinti e le passioni come

base del conoscere anche a rischio di sbagliare, perché sono proprio gli errori la linfa da cui la

conoscenza stessa trae vigore, forza, attuazione; non ci sono altre fonti che consentono di

comprendere ciò che causa piacere e felicità se non gli istinti e le passioni stessi, bisogna

pazientare fino al momento in cui l‟uomo non viva altro se non per il piacere e la felicità di

conoscere ciò che gli procura il piacere e la felicità stessi. Quando avverrà questo

cambiamento, quando l‟uomo conoscerà per il piacere di conoscere ciò che procura piacere, la

vita si mostrerà come „un gioco di un fanciullo‟: è questo che ambisce il veramente sapiente.

Quindi sarà anche necessario

«mettere sulla bilancia il passato, il nostro e tutto quello dell‟umanità, e dobbiamo anche prevalere su di

esso – no! questo pezzo di storia si ripeterà e dovrà ripetersi in eterno, questo possiamo escluderlo dai nostri

calcoli, dato che non abbiamo nessuna influenza al riguardo: anche se aggrava la nostra compassione e parla

contro la vita in generale. Per non venirne sconvolti, la nostra compassione non dev‟essere eccessiva.

L‟indifferenza deve aver lavorato a fondo in noi, e anche il piacere della contemplazione. Anche l‟infelicità

dell‟umanità futura non ci deve riguardare per nulla. Ma la questione è se noi vogliamo ancora vivere: e

come!»33.

Verrà il momento in cui si dovrà dare un giudizio su tutto il passato e si dovrà uscire

trionfanti anche nei suoi confronti perché è questa vita che deve essere valorizzata, perché

l‟eterno ritorno non garantisce il suo carattere di verità, non garantisce che abbiamo l‟eternità

a disposizione per farlo; bisognerà aver fatto passi da gigante nel piacere della conoscenza,

per non venire sconvolti da questo tremendo aspetto.

E‟ necessario «non volgere lo sguardo a lontane, sconosciute beatitudini e benedizioni e

grazie, ma vivere in modo tale da voler tornare a vivere di nuovo, e voler vivere così in

eterno! Il nostro compito ci appressa a ogni istante»34: per l‟uomo, dirsi come eterno ritorno

dell‟uguale significa concepirsi secondo la metafora del circolo, dell‟anello e dunque si tratta

per lui di “vivere in modo tale da voler tornare a vivere di nuovo, e voler vivere così in

eterno”, cioè vivere secondo la legge del ritorno, pensare la propria vita secondo il ritorno e

praticarla, viverla in modo tale che la propria volontà coincida con la legge del ritorno; non

33 Ibidem.

34

Ivi, fr. 11 [ 266 ], p. 367.

Page 21: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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deve più guardare all‟aldilà, a un Dio morale, non deve più interpretare l‟esistente come

configurato secondo un preciso ordine morale né pensare se stesso secondo questo ordine;

non deve ritenere esistenti il peccato, la colpa, la punizione, la ricompensa, la salvezza, la

giustizia35.

«Che faremo col resto della nostra vita – noi che ne abbiamo trascorso la maggior parte

nell‟ignoranza più essenziale?»36: questa è la domanda che sorge in ognuno quando si pensa

che un eterno ritorno dell‟uguale è possibile; la risposta, l‟imperativo è «imprimiamo

l‟immagine dell‟eternità sulla nostra vita! Questo pensiero ha molto più contenuto di tutte le

religioni, che disprezzano la vita in quanto transitoria e hanno insegnato a guardare a un‟altra,

incerta vita»37.

E da che cosa sono scaturiti la décadence e il ressentiment se non da una interpretazione

dell‟uno-tutto, dell‟esistenza secondo la visione che ne ha fornito il “platonismo del popolo”?

La malattia di cui Nietzsche è affetto, e che riscontra essersi propagata a livello generale

nella propria epoca, scaturisce proprio dall‟interpretazione morale dell‟esistenza che svilisce

questa vita esaltandone l‟altra vita38: questo è il panorama che Nietzsche ha di fronte agli

occhi quando osserva la perdita totale d‟importanza nei confronti della vita, delle passioni, del

corpo, del conoscere, dell‟intera esistenza ed è l‟interpretazione morale dell‟esistenza che ne è

la causa; questo modo di pensare ha originato la décadence, il ressentiment, il pessimismo

della stanchezza di vivere: essi sono gli effetti scaturiti dal pensiero, poi divenuto abitudine,

che un ordine morale, un Dio creatore, un aldilà e quant‟altro sono possibili.

L‟ignoranza nella quale l‟uomo è vissuto finora riguardava l‟origine della malattia: essa

scaturiva dal pensiero, dall‟aver pensato ad una possibilità secondo cui potrebbe disegnarsi

35 «Nietzsche ravvisa in ogni fede nell‟aldilà, in un mondo altro da quello in cui l‟uomo vive, un segno di

particolare debolezza umana. Secondo lui non si può far peggior torto alla vita di quello di dirigere la propria

esistenza di qua in prospettiva di un‟altra vita nell‟aldilà. Non si può commettere errore peggiore del supporre,

dietro le manifestazioni di questo mondo, l‟esistenza di entità inaccessibili alla conoscenza dell‟uomo, le quali,

per di più, dovrebbero esserne il vero fondamento, ciò che ne determina l‟esistenza» (R. Steiner, F. Nietzsche.

Un lottatore contro il suo tempo, cit., pp. 52-53).

36

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 219 ], p. 352.

37

Ivi, fr. 11 [ 264 ], p. 367.

38

«Ciò che Nietzsche combatte come “Dio” è, dunque, anzitutto, il rapporto tra idea ontologica e ideale

morale. In “Dio”, secondo Nietzsche, viene pensata la svalutazione delle cose che sussistono sulla terra, provate

dalla testimonianza dei sensi, che vengono considerate apparenza priva di essenza, e, contemporaneamente,

viene condannata la vita dei sensi e degli istinti, intesa come il “male”; in “Dio” viene posto come Assoluto, un

Essere fantastico, immaginario, puramente pensato, senza tempo; e con ciò l‟Essere che si muove nel tempo

delle cose terrene, l‟unico reale, viene defraudato proprio della sua genuina realtà. “Dio” significa dunque per

Nietzsche, anzitutto, non una forza religiosa, ma una determinata ontologia, che si formula contemporaneamente

anche come una determinata morale nemica della vita. Il pensiero di “Dio” è il vampiro della vita; esso significa

per Nietzsche una ontologia morale e una morale ontologizzante: ciò che è fisso, eterno, le idee, sono anche il

bene; il volgersi verso le idee è la vera moralità dell‟uomo, è elevazione al di sopra dei vincoli dei sensi, quanto

più astratta, spirituale, intellettuale, tanto più morale» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 157).

Page 22: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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l‟intera esistenza, una possibilità che non può essere verificata tangibilmente e che ha

cambiato la storia degli uomini, provocando quegli specifici effetti. Ma se questo era ciò che

principalmente l‟uomo ignorava e se questi sono gli effetti che il pensiero che una

costituzione morale delle cose è possibile ha provocato, allora Nietzsche propone di vincere

questi effetti – risalendo prima all‟origine di essi e poi all‟origine di ciò che spinge ad

un‟interpretazione morale dell‟esistenza – passando ad un altro modo di pensare che ruoti

attorno ad un altro centro di gravità, ad un‟altra possibilità, cioè attorno al pensiero dell‟eterno

ritorno uguale39.

Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale priva l‟uomo della sua libertà, indipendenza,

autonomia, volontà, nega l‟importanza dell‟uomo da un punto di vista cosmologico, in quanto

lo rende soggetto come tutti gli altri enti, nessuno escluso, alla legge necessaria, inviolabile

cui l‟intera esistenza è sottomessa; ma da un punto di vista antropologico, e in opposizione ad

un modo di pensare per categorie morali, è „la suprema formula dell‟affermazione‟ della sua

libertà, della sua autonomia, della sua volontà, del suo libero arbitrio, della sua innocenza nel

divenire, esalta la sua importanza e quella della sua vita, dei suoi istinti, del suo corpo, della

sua felicità, del suo piacere e, innalzando l‟universo che è ogni singolo uomo, esalta l‟intera

esistenza, la vita stessa40. E come? In che modo tale pensiero compie tutto ciò?

Sulla base dell‟idea della possibilità di un‟innocenza del divenire dal punto di vista

cosmologico che, ribaltandosi in quello antropologico, svolge la funzione di „come se‟, di

finzione e dunque di imperativo etico col quale l‟uomo può gettarsi qui ed ora nel fiume della

vita e degli istinti al fine di sperimentare, tentare in tutti i modi possibili di sviluppare un

modo di conoscere che coincida un domani col piacere di vivere la propria vita come un gioco

di un fanciullo.

E Nietzsche vuole fare questo dono all‟umanità, vuole donarle il pensiero che un eterno

ritorno di tutte le cose è possibile (anche se non si può certificare la sua verità), vuole svolgere

questo compito, «il compito di preparare l‟umanità a un momento di suprema riflessione su se

stessa, un grande meriggio»41, prepararla ad una grande decisione e ad una grande

39 «Se Nietzsche si impegna in una battaglia spirituale, non lo fa per opporsi alle opinioni altrui in quanto tali,

bensì perché tali opinioni rimandano a quegli istinti pericolosi e contrari alla natura che egli intende combattere

[…]. Se i suoi istinti percepiscono come nocivi quelli dell‟avversario non cerca altri motivi per la lotta; non

ritiene di dover combattere in qualità di paladino di un qualche ideale, bensì scende nell‟arena spintovi dai suoi

istinti» (R. Steiner, F. Nietzsche. Un lottatore contro il suo tempo, cit., pp. 58-59).

40

«Con l‟eterno ritorno dell‟identico la vita s‟impone nel suo stesso positivo divenire esaltato al massimo

grado, poiché l‟eterno ritorno si configura, in ultima analisi, come l‟affermazione infinita della ripetizione della

vita del singolo (nonché di tutti gli eventi del mondo)»; (J. Köhler, Il segreto di Zarathustra, tr. it. di P. Fontana,

a cura di F. Minazzi, Rusconi, Milano 1994, p. 13).

41

F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 89.

Page 23: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

23

responsabilità nei propri confronti e nei confronti dell‟intera esistenza, della vita, perché è a

conoscenza oramai della fatalità che «ognuno deve organizzare il caos in sé, concentrandosi

sui suoi bisogni veri»42, sa che bisogna cominciare a mettere in atto le due

«Tendenze fondamentali:

1) Diffondere in tutti i modi possibili l‟amore per la vita, per la propria vita! Qualunque cosa si inventi

il singolo a tal fine, l‟altro dovrà ammetterla e imparare una nuova, grande tolleranza verso di ciò; anche se

spesso andrà contro il suo gusto, se il singolo accresce veramente la sua gioia di vivere!

2) Essere uniti nell‟ostilità verso tutto e tutti coloro che cercano di insinuare sospetti sul valore della

vita: verso i cupi e gli scontenti e i brontoloni. Impedire la loro procreazione! Ma la nostra ostilità deve diventare

essa stessa uno strumento di gioia per noi! Quindi ridere, prendere in giro, distruggere senza accanimento!

Questa è la nostra lotta a morte!

Questa vita – la tua vita eterna!»43

.

42 F. Nietzsche, II. Unzeitgemasse Betrachtungen. Von Nutzen und Nachteil der Historie fur das Leben,

Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 3 Abteilung – 1 Band, Herausgegeben von G. Colli und M.

Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1972; tr. it. di S. Giametta, II inattuale. Sull’utilità e il danno

della storia per la vita, Adelphi, Milano 1982, p. 99.

43

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 301 ], p. 378.

Page 24: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

24

Capitolo II

Tramonto e transizione: verso il pensiero

dell’eterno ritorno dell’uguale

«“Sì! Io voglio amare solo ciò che è necessario! Sì,

amor fati sia il mio ultimo amore!” – Forse ci arriverai:

ma prima dovrai diventare amante delle Furie: lo

confesso, i serpenti mi farebbero diventare pazzo. –

“Cosa ne sai tu delle Furie! Furie – è solo

un‟espressione malevola per Grazie”».

F.Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882.

2.1 Lo Zarathustra

Così parlò Zarathustra è il luogo in cui Nietzsche dona, insegna all‟umanità il pensiero

dell‟eterno ritorno dell‟uguale che, come si è visto, si mostra come un Giano bifronte che

mira ad una transizione, ad una rivoluzione del modo di pensare e di agire degli uomini in

posizione estremamente opposta rispetto alla rivoluzione provocata dall‟idea di una

dannazione eterna, di un aldilà e dalla conseguente interpretazione per categorie morali

dell‟esistenza.

Perciò, se la transizione va da un polo all‟altro, se Nietzsche guarda ad una nuova

rivoluzione, ad un passaggio verso un altro modo di pensare e di agire secondo il nuovo

centro di gravità, e se la concezione fondamentale dell‟opera è il pensiero dell‟eterno ritorno,

allora è chiaro perché l‟opera stessa sia denominata Così parlò Zarathustra ed è chiaro perché

la forma stilistica presenta un incontro tra pensiero e poesia, tra storia e mito, tra prosa e

parabola44: la dottrina dell‟eterno ritorno dell‟uguale è offerta in modo simile ma antitetico

rispetto al modo in cui la precedente dottrina ha sviluppato la prima rivoluzione – cioè in

44 «Lo Zarathustra, dal punto di vista formale, si trova a metà strada tra pensiero e poesia; Nietzsche esprime

le sue intuizioni in un profluvio di immagini, in innumerevoli allegorie, che egli stesso anche interpreta. Il suo

stesso pensare è immaginoso, visionario. Egli non si muove in concetti speculativi, che gli sembrano soltanto

vuote astrazioni, ma nella concretezza dell‟evidenza plastica» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 67).

Page 25: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

25

modo somigliante al Nuovo Testamento ma in posizione opposta – ed è insegnata attraverso

una figura simile ma antitetica rispetto alla figura che ha insegnato la precedente rivoluzione

nel pensiero e nell‟azione – cioè in modo somigliante al Messia Gesù ma come suo opposto

speculare.

Il palcoscenico, attraverso cui la dottrina dell‟eterno ritorno dev‟essere insegnata, è il

mondo, questo mondo, questa terra: monti, mari, spiagge, caverne, boschi, paludi, isole, stelle,

cielo, la natura tutta ed anche luoghi come il mercato, il paese Vacca Pezzata, navi, cene,

feste.

La figura del maestro persiano Zarathustra45 – con le sue parabole, i suoi pensieri, la sua

vita, i suoi gesti – è il medium attraverso cui Nietzsche insegna, dona la dottrina dell‟eterno

ritorno dell‟uguale e per il cui tramite si assiste ad un viaggio nel pensiero che a sua volta si

mostra come un cammino attraverso singoli attimi di vita: incontri, annunci, insegnamenti ed

esortazioni, dialoghi, desideri, sogni ed incubi, tentazioni; momenti di dolore, tristezza,

spaesamento, rabbia, timore, paura, solitudine; ma anche momenti di gioia, felicità,

meraviglia, fermezza d‟animo, di riflessione, di decisione, di commozione, di compagnia.

Il viaggio, per insegnare la dottrina dell‟eterno ritorno, è quello di un singolo uomo, è il

cammino di una singola vita e comincia e finisce con la discesa da un monte: il movimento in

avanti, dal presente al futuro, si svela in seguito come un contemporaneo procedere

all‟indietro, dal presente al passato – in direzione della saggezza dei Greci, di Eraclito e di

Dioniso, al fine di rammemorare il pensiero dell‟eterno ritorno – per poi tornare circolarmente

al punto di partenza del percorso e svelare come l‟intero tragitto sia il grande meriggio; due

sono i viaggi che Zarathustra compie e la tensione escatologica verso la venuta del superuomo

e del grande meriggio riecheggia sia la profezia del profeta Zoroastro sia l‟Apocalisse di

Giovanni, ma si differenzia da questi perché:

45 La figura di Zarathustra rinvia al profeta Zoroastro, fondatore del culto omonimo dello zoroastrismo, detto

anche mazdeismo, ma così come lo stesso Nietzsche dichiara in Ecce homo, il suo Zarathustra rimanda al polo

opposto: «Nessuno mi ha domandato, e avrebbero dovuto domandarmelo, che cosa significhi, proprio sulla mia

bocca, sulla bocca del primo immoralista, il nome Zarathustra: perché ciò che costituisce l‟enorme unicità di

quel persiano nella storia è proprio l‟opposto. Zarathustra fu il primo a vedere nella lotta tra il bene e il male la

vera ruota che spinge le cose – è opera sua la traduzione della moralein termini metafisici, in quanto forza,

causa, fine in sé […]. Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere

anche il primo a riconoscere quell‟errore. Non solo perché a questo proposito egli ha una esperienza più grande e

più lunga di qualunque altro pensatore […]: la cosa più importante è che Zarathustra è veritiero più di ogni altro

pensatore. La sua dottrina, ed essa sola, pone la veracità a virtù suprema – cioè l‟opposto della viltà dell‟

“idealista”, che di fronte alla realtà fugge; Zarathustra da solo ha più coraggio in corpo di tutti gli altri pensatori

messi insieme. Dire la verità e tirare bene con l’arco, questa è la virtù persiana. – C‟è qualcuno che mi

capisce?... La morale che supera se stessa per veracità, i moralisti che superano se stessi diventando il loro

opposto – me stesso – questo significa il nome di Zarathustra sulla mia bocca» (F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p.

129).

Page 26: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

26

– a differenza del primo, la terza venuta di Zarathustra corrisponde circolarmente alla prima

venuta, con la quale l‟intero viaggio viene nuovamente ripercorso nel medesimo modo e, così

facendo, si mostra esso stesso come il grande meriggio;

– a differenza della seconda (per la quale solo due sono le venute del Messia Gesù sulla terra

e tutta la storia si risolve in un punto preciso di essa nel quale, dopo le due lotte, dopo il

Giudizio, la Gerusalemme celeste, il Regno, scende in terra per opera del Redentore) con la

terza venuta non c‟è una fine né un fine, non c‟è teleologia, ma solo il ritorno ciclico su se

stessa di una parte precisa della storia46, che corrisponde al grande meriggio.

Ad accompagnare questo percorso si nota in sottofondo la scansione della vita, la

misurazione del tempo di una vita, mediante la “falsa analogia” del movimento ciclico del

Sole – e il suo alternarsi con la luna – nelle cui fasi si danno a vedere il giorno, la notte, l‟alba,

il tramonto, il mezzogiorno, la mezzanotte, immagini di centrale importanza perché

scandiscono i pensieri principali dell‟opera.

Infatti, il movimento del Sole e le sue fasi, in sottofondo al cammino di Zarathustra, è la

traiettoria nascosta con la quale Nietzsche „rende l‟idea‟ di cosa significhi pensarsi,

concepirsi, viversi secondo il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, ma segna anche le fasi

attraverso cui è possibile passare da un‟interpretazione all‟altra dell‟intera esistenza e del

singolo uomo, ritma i temi che avevano interessato fino ad ora la riflessione nietzscheana,

cadenzandoli nella cornice dello sconvolgente giungere del pensiero dell‟eterno ritorno.

Il passaggio da una concezione all‟altra, così come la scansione e il ritorno dei temi

nietzscheani, avviene nel Prologo e nei libri I, II e IV mediante:

– il duplice movimento del Sole che, tramontando, si avvia contemporaneamente ad ascendere

nuovamente al suo zenit, ma ascendendo torna ancora a muoversi verso il tramonto: il Sole

infatti, centro del sistema solare, rappresenta nel contempo due centri di gravità, sia il vecchio

Sole delle idee, su cui si basa un‟interpretazione morale dell‟esistenza, sia il nuovo Sole

dell‟eterno ritorno dell‟uguale che Nietzsche propone;

– il duplice movimento di Zarathustra che è scandito dalle sue riflessioni, dai suoi discorsi in

cui mette a paragone gli effetti dell‟uno e dell‟altro modo di pensare e agire, dove ritornano i

temi delle precedenti riflessioni47 e si originano nuove riflessioni – ad esempio il tema

46 «Questo pezzo di storia si ripeterà e dovrà ripetersi in eterno, questo possiamo escluderlo dai nostri calcoli,

dato che non abbiamo nessuna influenza al riguardo […]. Ma la questione è se noi vogliamo ancora vivere: e

come!» (F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 220 ], p. 353).

47

«Spogliandolo di ogni immagine e di ogni magia ritroveremo precisamente le stesse tesi, gli stessi giudizi

che leggiamo in altre opere di Nietzsche: valutazioni sul presente e sul passato, sulla religione e sulla morale,

persino un‟identica dottrina sugli affetti e sulle passioni. Soltanto la teoria del superuomo non la troviamo negli

Page 27: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

27

successivo del nichilismo – che hanno come centro di gravità il pensiero dell‟eterno ritorno e

che si connettono ai temi della morte di Dio, della volontà di potenza e del superuomo;

– l‟episodio del funambolo e del pagliaccio, che interviene nell‟annuncio del superuomo e nel

parlare dell‟ultimo uomo;

– il tema sempre presente del meriggio e della decisione;

– il capitolo Delle tre metamorfosi e i temi della volontà di potenza, della creazione;

anche se il superamento totale del vecchio modo di pensare per categorie morali avviene nel

cammino che parte dal capitolo L’ora senza voce del libro II e che, passando per i capitoli Il

viandante e La visione e l’enigma, prosegue per tutto il libro III e IV fino alla vittoria sul

sentimento della compassione per il superuomo, ultimo peccato di Zarathustra affinché possa

compiere la propria opera, cioè insegnare la dottrina dell‟eterno ritorno.

Nella figura del maestro persiano vengono a confluire, nella prima metà del testo, sia il

filosofo, l‟artista e il santo della Terza inattuale, sia lo spirito libero degli scritti del vomere,

di Aurora e de La gaia scienza, sia quello che si denoterà dai Frammenti postumi dell‟ultimo

Nietzsche come il nichilista attivo per poi – nell‟altra metà del testo – raccogliersi nella figura

de „l‟ombra di Zarathustra‟ il quale, dopo aver esperito il pensiero dell‟eterno ritorno

dell‟uguale, alla fine rimanda solo ed esclusivamente alle figure di Eraclito e di Dioniso.

Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, oltre ad essere la concezione fondamentale

dell‟opera, viene presentato palesemente nei capitoli Il viandante e La visione e l’enigma, in

una posizione in un certo modo centrale nell‟opera, ma molti sono i riferimenti impliciti che è

possibile incontrare per tutto il testo, oltre al chiaro riferimento al movimento del Sole e al

cammino di Zarathustra; innanzitutto, gli animali di Zarathustra48 che appaiono dall‟inizio alla

fine dell‟opera – anche se in modo saltuario – e il bastone con l‟impugnatura d‟oro su cui si

inanella un serpente attorno al sole sono i simboli che primariamente rimandano al pensiero

dell‟eterno ritorno, ma in tali vesti è possibile riconoscere anche i riferimenti continui alla

“morte di Dio” e alla volontà di potenza, e l‟annuncio del superuomo.

Eterno ritorno dell‟uguale, morte di Dio, superuomo e volontà di potenza sono

strettamente connessi l‟uno con l‟altro e ciò perché:

altri scritti di Nietzsche, ed è naturale, poiché il superuomo non è una dottrina, bensì un mito» (G. Colli, Scritti

su Nietzsche, Adelphi, Milano 1980, p. 120).

48

«L‟uno è l‟animale più orgoglioso e l‟altro è l‟animale più intelligente sotto il sole. Il loro senso simbolico

rovescia, evidentemente, il messaggio cristiano del peccato originale e della umiltà come condizione per

accedere alla salvezza. Orgoglio e intelligenza sono le nuove virtù, in base alle quali edificare nuove tavole dei

valori. Inoltre i due animali simboleggiano i contenuti essenziali del messaggio di Zarathustra: la volontà di

potenza e l‟eterno ritorno di tutte le cose, che il serpente emblematicamente raffigura con il suo inanellarsi al

collo dell‟aquila» (C. Sini, Prefazione a F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, tr. it. di M. F. Occhipinti,

Mondadori, Milano 1992, p. XIII).

Page 28: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

28

– la morte di Dio e l‟eterno ritorno si mostrano come due facce della stessa medaglia

attraverso la volontà di potenza, fonte creatrice di ogni valore e di ogni illusione prospettica;

– il superuomo, il superamento dell‟ultimo uomo è possibile a partire dalla presa di coscienza

della morte di Dio, dal riconoscimento della volontà di potenza e attraverso l‟esercizio

concreto della volontà di potenza in chiave creativa e in direzione del potenziamento

dell‟uomo, della terra, della vita, in direzione di una trasvalutazione di tutti i valori;

– l‟eterno ritorno dell‟uguale è possibile, cioè pensabile e operabile, attraverso la presa d‟atto

della morte di Dio e della volontà di potenza e la tensione verso il superuomo che deve

manifestarsi come l‟esercizio creativo-concreto della volontà di potenza in direzione di una

trasvalutazione di tutti i valori.

Per ciò Zarathustra parla ai molti del superuomo, ai pochi della morte di Dio ma solo a

se stesso parla dell‟eterno ritorno, perché è attraverso la presa di coscienza di tutto ciò che è

possibile passare da un modo di pensare all‟altro e ad una trasvalutazione di tutti i valori; ma

poiché gli uomini credono all‟impossibile solo dopo averlo toccato con le proprie mani, allora

Zarathustra insegna l‟eterno ritorno dell‟uguale attraverso il proprio „singolare‟ cammino, in

cui pensiero e vita s‟incontrano e si scontrano49.

L‟immagine del meriggio, legata al percorso del Sole e al cammino di Zarathustra,

connessa dunque all‟idea del movimento, dello scorrere del tempo e della vita, del divenire, è

di centrale importanza nell‟opera50 in quanto rappresenta, nel suo duplice volto di

mezzogiorno e mezzanotte, i grandi rintocchi del tempo, della vita e del divenire con i quali il

maestro persiano – e poi i suoi compagni di viaggio e poi ancora l‟umanità intera51 – deve

necessariamente fare i conti: è in esso infatti che avviene l‟attimo della grande decisione e

della grande responsabilità, in cui accade la scelta tra una concezione e l‟altra, tra aldilà e

aldiquà, tra vita e morte, tra ultimo uomo e superuomo, tra niente e tutto; ma anche l‟attimo in

cui il pensiero dell‟eterno ritorno si dà, e l‟attimo della conoscenza della morte di Dio, e

l‟attimo in cui si fa esperienza dell‟eterno, e l‟attimo in cui si dà il segno che è giunto il tempo

per operare il proprio compito, che è giunto il tempo per un grande meriggio.

49 «Del superuomo Zarathustra parla a tutti; della morte di Dio e della volontà di potenza a pochi; ma

dell‟Eterno ritorno dell‟uguale solo a se stesso. Ciò significa chiaramente anche una gerarchia dei suoi pensieri

fondamentali» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 89).

50

Come ha mostrato Schlechta, «L‟immagine e il pensiero del grande meriggio appartengono alle

rappresentazioni centrali della filosofia del Nietzsche più maturo» (K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio,

tr. it. di F. Porzio, Guida, Napoli 1981, p. 33).

51

«E in ogni anello dell‟esistenza umana c‟è sempre un momento in cui prima in uno, poi in molti, poi in tutti

affiorerà il pensiero più possente, quello dell‟eterno ritorno di tutte le cose – e ogni volta per l‟umanità è l‟ora del

meriggio» (F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, fr. 11 [ 235 ], p. 359).

Page 29: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

29

Così parlò Zarathustra si presenta allora come un “libro per tutti e per nessuno”, perché

è a tutti che Nietzsche dona il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, è a tutti che rivolge la

musica che risuona dall‟opera ma è anche un dono fatto a nessuno perché pochi sono coloro

in grado di ricevere questo dono e di ascoltare questa musica52:

«Questo libro, una voce che passa sui millenni, non solo è il libro più alto che esista, il vero libro delle

cime – tutto l‟affare uomo gli sta sotto, a enorme distanza –, ma anche il più profondo, generato dalla più

intrinseca ricchezza della verità, una fonte inesauribile dove non si può calare il secchio senza farlo risalire

colmo d‟oro e bontà. Qui non parla un “profeta”, uno di quegli spaventosi ibridi di malattia e volontà di potenza

che vengono chiamati fondatori di religioni. Bisogna innanzitutto ascoltare bene il suono che esce da questa

bocca, questo suono alcionio, per non far torto miseramente al senso della sua saggezza. “Le parole più

silenziose sono quelle che portano la tempesta. Pensieri che incedono con passi di colomba guidano il mondo –

”»53

.

2.2 Il prologo e le tre metamorfosi

E‟ nel prologo – in quanto πρό-λογος, ovvero „ciò che sta innanzi al discorso‟,

„ciò che viene prima dell‟argomento‟ – che Nietzsche pre-annuncia i motivi fondamentali

dell‟opera e le tracce verso il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale.

Il discorso con il sole, gli animali di Zarathustra, l‟immagine del tramonto, il dialogo

con il vegliardo, l‟annuncio del superuomo e la descrizione dell‟ultimo uomo, la vicenda del

funambolo e del pagliaccio, il rifiuto del „pane e vino‟, la ricerca di compagni di viaggio, il

meriggio, tutte queste immagini vengono a confluire nei temi della transizione e della

decisione, così come in essi si congiungono le altre riflessioni dominanti nel pensiero

nietzscheano, come la morte di Dio, il nichilismo e il problema del suo attraversamento, lo

spirito libero.

La contrapposizione è quella tra un modo di pensare ed un altro, tra una tipologia di

uomo ed un altro, tra menzogna di Dio e dottrina dell‟eterno ritorno dell‟uguale, tra una

filosofia della terra e la morale cristiana: l‟insieme delle immagini e dei discorsi che nel

52 «Il pathos che sta alle radici di Così parlò Zarathustra è quello di un illuminato dalla conoscenza suprema,

ma l‟espressione in cui questo pathos si scarica non è destinata a trasmettere la scintilla di quella conoscenza,

bensì solo a comunicare il riflesso di una visione più alta della vita, e quindi ad agire sugli uomini con la

seduzione di questa immagine. La grandezza di Zarathustra sta nel suo conoscere, ma dalla sua conoscenza

sgorga una fonte, il suo canto, che disseta gli uomini, e li riavvince a una vita trasfigurata, riscoperta come

ricchezza terrestre di gioia» (G. Colli, Scritti su Nietzsche, cit., p. 119).

53

F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 13.

Page 30: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

30

Prologo si raccolgono nei temi della transizione e della decisione, sembra vogliano

permettere agli uomini di localizzarsi, di avvicinarli al momento di grande decisione e di

grande responsabilità imminente, sembra vogliano chiamare gli uomini a rispondere intorno

alla stessa domanda che Nietzsche si era posto nel 1881, e cioè: «Che faremo col resto della

nostra vita – noi che ne abbiamo trascorso la maggior parte nell‟ignoranza più essenziale?»54.

Questa domanda, l‟annuncio dell‟avvicinamento imminente del momento di grande

decisione e responsabilità, Nietzsche, nelle vesti di Zarathustra, la rivolge a tutti presso il

mercato – nel luogo dell‟uccisione di Dio – per mezzo dell‟annuncio del superuomo e della

sua contrapposizione con l‟ultimo uomo55; ma per rendere-presente l‟incombenza di un tale

momento, la sua inevitabilità e necessità, come se fosse inscritto nel grande circolo

dell‟esistenza, utilizza l‟immagine del funambolo e del pagliaccio che irrompe proprio nel

momento in cui comprende che non è la bocca per questi orecchi – così come aveva compreso

l‟uomo folle annunciando la morte di Dio56 – come a sottolineare l‟ininfluenza della

predicazione della saggezza o di una fede.

Poi l‟accadimento, la decisione si riflette proprio su Zarathustra che, nel portare il

cadavere con sé per seppellirlo, finalmente, nel meriggio, decide lui stesso di transitare, di

tramontare come ultimo uomo e albeggiare verso il superuomo. Questa infatti è la questione

dominante, è il fatto che

«L‟uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, – un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio

periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e

fermarsi. La grandezza dell‟uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell‟uomo si può amare che egli sia una

transizione e un tramonto […]. Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, cadenti una a una dall‟oscura

nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e come messaggeri periscono. Ecco, io sono un

messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo»57

.

54 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 219 ], p. 352.

55

«L‟insegnamento nietzscheano del Superuomo e dell‟Uomo Inferiore ha il carattere di una

“Introduzione”, non è niente di più di un preludio a un tentativo filosofico di ripensare l‟essenza dell‟uomo sulla

base della relazione con le verità fondamentali della volontà di potenza, della morte di Dio e dell‟eterno ritorno

dell‟uguale» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 71).

56

«“Vengo troppo presto,” proseguì “non è ancora il mio tempo”. Questo enorme evento è ancora per strada e

sta facendo il suo cammino – non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini» (F. Nietzsche, La gaia

scienza e Idilli di Messina, cit., af. 125, pp. 163-164).

57

F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 6 Abteilung – 2 Band,

Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1968; tr. it. di M.

Montinari, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 1986, pp. 8-10.

Page 31: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

31

Dopo la morte di Dio, dopo aver compreso che noi chiamavamo verità la menzogna58,

che tutto è un‟illusione prospettica volta alla conservazione e al potenziamento della vita59,

l‟uomo si trova in una condizione di pericolo perché non può più pensare la sua essenza

secondo il criterio della staticità, ma deve pensarla necessariamente secondo il criterio della

mobilità, e più precisamente, della “volontà di potenza” perché «solo dove è vita, è anche

volontà: ma non volontà di vita, bensì […] volontà di potenza»60; l‟uomo è questo cammino

pericoloso e deve scegliere se pensarsi come “ultimo uomo”, nichilista passivo, funambolo

oppure come uno “spirito libero”, nichilista attivo, pagliaccio e divenire un superuomo61, ma

in ogni caso una tipologia di uomo è destinata a tramontare e l‟altra a transitare verso il

superuomo.

Il nichilismo si presenta ora come il cammino pericoloso che l‟uomo ha di fronte,

„l‟uomo è il nichilismo stesso‟, perciò deve porsi il problema di superare se stesso e per far

ciò deve decidere come interpretarsi, come pensarsi; se pensa se stesso secondo il pensiero

metafisico-tradizionale, cioè teologico e teleologico, allora è destinato a tramontare, se pensa

se stesso come un ponte verso il superuomo, secondo il pensiero dell‟eterno ritorno, allora è

destinato a superarsi62.

L‟annuncio del superuomo scaturisce dalla consapevolezza della morte di Dio e dice che

questi non-è-ancora, che non-è-ancora-presente ma che deve-venire, che il superuomo è a-

venire; il superuomo è la diretta conseguenza della “morte di Dio”, della scoperta della

menzogna dei millenni, della scoperta che ogni valore, fine, certezza era nient‟altro che un

indizio della volontà di potenza esercitata sulle cose.

Ma chi è il superuomo?

«Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso

della terra!»63: dopo la “morte di Dio” e l‟avvento del nichilismo, l‟uomo deve voler-divenire-

58 Cfr. F. Nietzsche, Über Wahrheit und Lüge im aussermoralischen Sinne, Nietzsche Werke, Kritische

Gesamtausgabe, 3 Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter,

Berlin-New York 1973; tr. it. di G. Colli, Su verità e menzogna in senso extramorale, in La filosofia nell’epoca

tragica dei Greci e scritti 1870 -1873, Adelphi, Milano 1980, pp. 228-230.

59

«Che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una “cosa in sé”; – ciò stesso

è un nichilismo, anzi è il nichilismo estremo. Esso ripone il valore delle cose proprio nel fatto che a tale valore

non corrisponda né abbia corrisposto nessuna realtà, ma solo un sintomo di forza da parte di chi pone il valore,

una semplificazione ai fini della vita» (F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente 1887-1888, Nietzsche Werke,

Kritische Gesamtausgabe, 8 Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de

Gruyter, Berlin-New York 1970; ed. it. di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1979, fr. 9 [ 35 ], p. 14).

60

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 132.

61

«Nell‟ora della conoscenza della morte di Dio sono possibili soltanto due vie, due vie d‟uscita: la decisione

per il “superuomo” o quella per “l‟ultimo uomo”» (K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio, cit., p. 61).

62

«Il superamento del nichilismo, ad opera dell‟uomo che supera se stesso, è la condizione della profezia

dell‟eterno ritorno» (K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p. 56).

63

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 5-7.

Page 32: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

32

superuomo, deve „volere‟ il proprio superamento, deve volere che il superuomo sia il senso

della terra, ma ciò è possibile solo a partire dalla volontà di potenza e dal pensiero dell‟eterno

ritorno dell‟uguale: «qui sta la grandezza dell‟uomo, nel fatto di essere un ponte e non uno

scopo; perciò si può amare che egli sia una transizione e un tramonto»64. Giunta la notte del

nichilismo, l‟uomo è una sorta di ibrido, è un „qualcosa di mezzo tra un pagliaccio e un

cadavere‟, ma deve volere il proprio superamento in modo che il superuomo dia un nuovo

senso alla terra, e per far ciò è necessario decidere di seppellire con le proprie mani il lato di

sé che è ancora “ultimo uomo”, è necessario tramontare come “ultimo uomo” e transitare

verso il superuomo.

Se si fermasse, se guardasse indietro e tentasse di tenersi in equilibrio attraverso

l‟illusione di Dio, mediante un‟interpretazione morale, teologica e teleologica dell‟esistenza,

l‟uomo sarebbe destinato a cadere nell‟abisso, a restare un cadavere; deve pensarsi invece

come nichilista attivo e spirito libero, divenire un distruttore e un amante della conoscenza,

vivere pericolosamente e procedere per tentativi, riconoscere la malattia di cui si è affetti e

bramarla fino in fondo per ottenere la grande salute, per tagliare con la tradizione, stabilire

una nuova gerarchia e andare sempre più oltre lontano da ogni „qui‟ e da ogni „tu devi‟ in

cerca della propria libertà, del mondo, della filosofia del mattino.

Per tramontare come ultimo uomo e nel contempo albeggiare come superuomo, l‟uomo

deve passare per tre metamorfosi dello spirito, che indicano «come lo spirito diventa

cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo»65.

Il cammello è l‟ultimo uomo, è l‟uomo-di-fino-ad-oggi, colui che pensa per categorie

morali, che sopporta il peso del sacrificio, che venera, dominabile, che obbedisce ad ogni „tu

devi‟, che vuole umiliarsi, insicuro di sé, debole. «Ma là dove il deserto è più solitario,

avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua

libertà ed essere signore nel proprio deserto»66: nel momento in cui l‟ultimo uomo, scopre la

„menzogna dei millenni‟, scopre che si chiamava verità il niente, il nichilismo, un‟illusione

prospettica volta alla conservazione e al potenziamento della vita, allora là dove lo

smarrimento è più profondo e lacerante, questi deve trasformarsi, l‟uomo deve assumere

nuove sembianze perché con la morte di Dio sono quelle stesse sembianze, che egli aveva

„edificato‟, a cadere; egli deve assumere „l‟apparenza‟ del leone, gli atteggiamenti dello

spirito libero e del nichilista attivo e vincere il drago della morale cristiana, il „tu devi‟,

64 Ivi, p. 8.

65

Ivi, p. 23.

66

Ivi, p. 24.

Page 33: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

33

abbattere i vecchi valori su cui ruotava tutto e che gli impedivano di dire „io voglio‟; deve

porsi il problema del nichilismo e dell‟oltrepassamento di sé; deve intendere la vita come

mezzo della conoscenza67 per conquistarsi la propria libertà e diventare così padrone di sé.

«Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di

fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo?»68.

L‟uomo, pensandosi come spirito libero e nichilista attivo non è in grado di porre i

nuovi valori, ma può intendere il «“nichilismo” come ideale di suprema potenza dello

spirito»69, può intenderlo come possibilità, capacità di creare le condizioni affinché un giorno

consentano una nuova creazione di valori e ciò significa volere un‟altra metamorfosi, tendere

verso il superuomo, verso l‟acquisizione delle sembianze del fanciullo perché questi è capace

di dire „io voglio‟, di dire di sì, di decidere, di dare un nuovo inizio; il fanciullo è capace di

porre i valori obliando i vecchi, ma lo fa in modo innocente, per gioco, guardando solo alla

terra, non così come accadeva con il modo di pensare teologico e teleologico.

«Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì: ora lo spirito vuole

la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo»70: è necessario superare

se stessi, superare l‟uomo, ma per far ciò bisogna innanzitutto volere la propria volontà, che è

volontà di potenza; di fronte ad un mondo ora privo di senso, di fronte alla morte di Dio, della

verità, dell‟idea di una costituzione ultima delle cose, l‟uomo deve volere e deve volere il

mondo, per il gioco della creazione, innocentemente deve esercitare la propria volontà di

potenza sul mondo, plasmarlo, crearlo in modo tale che gli permetta il proprio superamento e

nel contempo che permetta al superuomo di divenire il senso della terra, di creare il senso

della terra in modo nuovo71.

67 Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 324, p. 230.

68

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 24-25.

69

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, cit., fr. 9 [ 39 ], p. 15.

70

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 25.

71

«L‟essenza propria e originaria della libertà come progetto di nuovi valori, e valori universali, viene trattata

attraverso la metafora del gioco. Gioco è la natura della libertà positiva. Con la morte di Dio il carattere di

rischio e di gioco dell‟esistenza umana diventa manifesto. La creatività dell‟uomo è il gioco. Il mutamento

dell‟uomo nel superuomo non è un salto di natura biologica, […] è una metamorfosi della libertà estrema, il suo

liberarsi dalla alienazione e il libero manifestarsi del suo carattere di gioco» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche,

cit., p. 77).

Page 34: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

34

2.3 La volontà di potenza e la creazione

«Per conservarsi, l‟uomo fu il primo a porre dei valori nelle cose, – per primo egli creò un senso alle cose,

un senso umano! Perciò si chiama „uomo‟, cioè: colui che valuta. Valutare è creare: udite, creatori! Valutare è di

per sé il tesoro e il gioiello di tutte le cose valutate. Solo valutando egli conferisce valore; e senza di ciò la noce

dell‟esistenza sarebbe vuota. Udite, creatori! Mutamento dei valori – è mutamento dei creatori. Sempre distrugge

chi è costretto a creare»72.

Nel momento in cui si scopre la morte di Dio, l‟uomo scopre la natura prospettica e

fisiologica dei valori e allora i nuovi valori non devono essere più pensati secondo la morale

cristiana73, guardando ad un mondo dietro al mondo così come faceva l‟ultimo uomo74 sotto

l‟influsso dello «spirito di gravità, – grazie a lui tutte le cose cadono»75, né essere dei

dispregiatori del corpo76, né possedere più di una virtù77, né ricadere nella vecchia malattia che

può presentarsi nelle mentite spoglie dello Stato78, del denaro e della fama79 o dell‟amore per il

prossimo80; perché in tali modi

«era il corpo che disperava del corpo […]! Era il corpo che disperava della terra […]. E questo che è

l‟essere più onesto, l‟io – questo parla del corpo e vuole il corpo, anche quando si induce a poetare e a

fantasticare e svolazza qua e là con le ali spezzate. Esso impara a parlare sempre più onestamente, l‟io: e quanto

più impara, tanto più trova parole in onore del corpo e della terra. Un nuovo orgoglio mi ha insegnato l‟io, e io lo

insegno agli uomini: non ficcare più la testa nella sabbia delle cose del cielo, bensì portarla liberamente, una

testa terrena, che crea il senso della terra! Agli uomini insegno una nuova volontà: volere questo cammino che

l‟uomo ha percorso alla cieca, e chiamarlo buono e non più allontanarsene furtivamente come i malati e i

moribondi! Malati e moribondi erano costoro, che disprezzavano il corpo e la terra e inventarono le cose celesti e

le gocce di sangue della redenzione: ma persino questi veleni dolci e tenebrosi li avevano tratti dal corpo e dalla

terra!»81

.

Quel modo di pensare era un‟illusione prospettica scaturente dalla volontà di potenza, da

ragioni „umane, troppo umane‟, da bisogni fisiologici, al fine della conservazione e del

72 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 65.

73

Ivi, pp. 26-28.

74

Ivi, p. 29.

75

Ivi, p. 41.

76

Ivi, pp. 33-34.

77

Ivi, pp. 35-36.

78

Ivi, pp. 52-54.

79

Ivi, pp. 55-58.

80

Ivi, pp. 67-68.

81

Ivi, pp. 30-31.

Page 35: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

35

potenziamento di pochi. Ogni valore era stato posto «solo come riflesso della virtù più

nobile»82, della volontà di potenza: «Potenza è questa nuova virtù; un pensiero dominante essa

è, attorno al quale si avvolge un‟anima intelligente: un sole d‟oro, e attorno a esso il serpente

della conoscenza»83.

In questa fase di passaggio, cosciente della morte di Dio, l‟uomo deve pensare il

«“nichilismo” come ideale di suprema potenza dello spirito», come «un modo di pensare

divino»84, deve esercitare la propria volontà di potenza per abbattere i vecchi valori, «un

predone di tutti i valori deve diventare questo amore che dona»85 e – concependosi come un

ponte verso il superuomo che è il senso della terra ed è capace di porre i valori in modo nuovo

– così facendo, deve servire il senso della terra che è il superuomo, l‟unico capace di porre i

valori in modo nuovo; l‟uomo deve volere che il superuomo sia il senso della terra e che

questi abbia il potere di porre i valori in modo nuovo, e ciò vuol dire che l‟uomo deve

esercitare la propria volontà di potenza qui ed ora sulle cose, deve ripensare, ricreare le cose,

plasmare la propria volontà di superarsi, di tendere al superuomo proprio „dentro le cose‟ in

modo tale che le cose stesse „vogliano‟ il superamento e il superuomo:

«Forse che potreste creare un dio? – Dunque non parlatemi di dèi! Certo, voi potreste creare il superuomo.

Forse non voi stessi, fratelli! Ma potreste creare in voi i padri e gli antenati del superuomo: e questo sia il vostro

creare migliore […]. Forse che potreste pensare un dio? – Ma ciò significhi per voi volontà di verità: che tutto

sia trasformato sì da poter essere pensato, visto e sentito dall‟uomo! Voi dovete pensare fino in fondo i vostri

sensi stessi»86.

L‟uomo che ha assunto il doppio atteggiamento del nichilista attivo e dello spirito libero

– distruttore di ogni vecchio „tu devi‟, sperimentatore che utilizza la vita come mezzo della

conoscenza poiché bramoso di andare continuamente oltre, lontano da ogni punto d‟arrivo –

egli non può divenire superuomo perché non fa altro che compiere totalmente il nichilismo,

perché non fa altro che manifestarsi, direttamente e indirettamente, come „volontà del nulla‟ e

scadrebbe nella vanità dell‟indovino87; l‟uomo può permettere che il superuomo ponga i nuovi

valori e dia il senso della terra in modo nuovo, ma ciò significa che non deve solo

concentrarsi ad abbattere i vecchi valori, il vecchio ordine del mondo e il vecchio modo di

82 Ivi, p. 83.

83

Ivi, p. 85.

84

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, cit., fr. 9 [ 39 ], p. 15.

85

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 84.

86

Ivi, p. 94.

87

Ivi, p. 155.

Page 36: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

36

pensare; deve nel contempo creare qui ed ora le condizioni utili affinché il superuomo possa

porre i nuovi valori e il senso della terra in modo nuovo, deve trasformare, ripensare tutte le

cose a partire dai propri sensi, dal corpo, dalla terra88:

«Creare – questa è la grande redenzione dalla sofferenza, e il divenir lieve della vita. Ma perché vi sia

colui che crea è necessaria molta sofferenza e molta trasformazione. Sì, molto amaro morire dev‟essere nella

vostra vita, o voi che create! Solo così siete coloro che difendono e giustificano ogni cosa peritura. Per essere il

figlio di nuovo generato, colui che crea non può non voler essere anche la partoriente e non volere i dolori della

partoriente […]. Tutto quanto è sensibile soffre in me ed è in ceppi: ma il mio volere viene sempre a me come

mio liberatore e apportatore di gioia. Volere libera: questa è la vera dottrina della volontà e della libertà – così ve

la insegna Zarathustra»89.

Colui che crea, che ripensa gli enti in direzione del proprio superamento e del

superuomo, deve sperimentare, sbagliare e soffrire molto prima di riuscire a superare questa

fase di nichilismo, di non-senso, di pericolosità; ma per creare le condizioni affinché l‟uomo

si superi, affinché passi al superuomo, non può neanche rifiutare tutti gli errori e la sofferenza

provocata da essi, perché solo accettandoli come strade già sperimentate è possibile plasmare

le cose in modo tale che apportino piacere e gioia, in modo tale che permettano il

superamento di se stessi e in modo che consentano al superuomo d porre i valori e il senso

della terra in modo nuovo.

Solo a partire dalla propria volontà, solo esercitando la propria volontà di potenza sugli

enti l‟uomo può guardare alla liberazione dalla propria sofferenza, dal pericolo, dal

nichilismo: solo esercitando la propria volontà di potenza sulle cose, solo creandole,

pensandole in direzione della terra, degli istinti, del corpo, in direzione del proprio

superamento, l‟uomo può trarre piacere, gioia, può ricrearsi e ri-crearsi, perché solo

«così il martello viene spinto verso la pietra»90:

«Rimanetemi fedeli alla terra, fratelli, con la potenza della vostra virtù! Il vostro amore che dona e la vostra

conoscenza servano il senso della terra! Così vi prego e vi scongiuro. Fate che essa non voli via dalle cose

terrene e vada a sbattere con le ali contro muri eterni! Ahimè, vi è stata sempre tanta virtù volata via! Riportate

con me, la virtù volata via sulla terra – sì riportatela al corpo e alla vita: perché dia un senso alla terra, un senso

umano! Fino a oggi, sia lo spirito sia la virtù, sono volati via e hanno errato in cento modi. Ahimé, adesso tutto

88 «Nietzsche non pone l‟uomo al posto di Dio: egli non divinizza né idolatra l‟ente finito. Al posto di Dio, al

posto del Dio dei cristiani e del regno platonico delle idee, egli pone la terra» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche,

cit., p. 80).

89

Ivi, pp. 95-96.

90

Ibidem.

Page 37: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

37

questo delirare e errare abita nel nostro corpo: è divenuto corpo e volontà. Fino a oggi, sia lo spirito sia la virtù,

hanno sbagliato in cento modi. Sì, l‟uomo è stato un tentativo. Ahimé, quanta ignoranza e quanto errore in noi è

diventato corpo. Non solo la ragione di millenni – anche la loro demenza erompe in noi. E‟ pericoloso essere

eredi. Noi combattiamo ancora passo passo contro il gigante caso, e sull‟umanità intera ha dominato fino ad oggi

l‟assurdo, il non-senso. Il vostro spirito e la vostra virtù servano il senso della terra, fratelli: e il valore di tutte le

cose sia stabilito da voi in modo nuovo! Perciò dovete essere combattenti! Perciò dovete essere creatori! Il corpo

si purifica nel sapere; facendo tentativi col sapere esso si eleva; a colui che conosce, tutti gli istinti si santificano;

all‟elevato, l‟anima diventa gaia»91

.

91 Ivi, p. 86.

Page 38: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

38

Capitolo III

L’eterno ritorno dell’uguale:

verso il grande meriggio

«Come non dovrei anelare all‟eternità e al nuziale

anello degli anelli, – l‟anello del ritorno! Ancora non

trovai donna da farmi desiderare figli, se non questa

donna, che io amo: perché ti amo, Eternità! Perché ti

amo, Eternità!».

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra.

3.1 Il tempo, l’amor fati e l’eternità

Ci si addentra ora nella questione affrontando la quale Nietzsche dona il pensiero

dell‟eterno ritorno dell‟uguale e cioè la „questione del tempo‟92. D‟altro canto, fin dal 1881 la

domanda che pressava Nietzsche era «Che faremo col resto della nostra vita – noi che ne

abbiamo trascorso la maggior parte nell‟ignoranza più essenziale?»93 cioè, presa coscienza di

aver passato una parte della nostra vita all‟oscuro di cosa significhi vivere, ora, quale

significato si vuole attribuire al vivere stesso, nella parte restante della propria vita? E che

cos‟è il resto della vita di un singolo uomo se non un „resto di tempo della propria vita‟, se

non un tempo restante nel quale decidere che cosa significhi la propria vita nella sua

interezza? E come fare a decidere che cosa significhi la propria vita nella sua interezza, nel

tempo che resta di essa, quando una parte di essa „è già passata‟, è già stata, è stata già

attraversata, decisa, stabilita, fissata, è „il passato‟? Che cosa significa il tempo restante,

quando parte del tempo è già passata? Come può un uomo decidere che cosa significhi avere

tempo nel tempo qui ed ora rimanente e di fronte al tempo già passato, trascorso, avuto, stato?

92 «Per Nietzsche infatti la “redenzione” del mondo significa innanzitutto la “redenzione” del tempo: essa si

attua, negativamente, attraverso la radicale messa in questione della struttura logico-metafisica dell‟idea di

tempo, come successione lineare di singoli momenti, e, positivamente, su una complessiva ridefinizione della

temporalità, nelle sue articolazioni cronologiche di passato, presente e futuro, fondata sulla funzione salvifica

dell’istante, sulla “pienezza” del qui-ora» (G. Franck, Nietzsche: tempo sacro, tempo del gioco nel pensiero

dell’eterno ritorno, in AA.VV., Crucialità del tempo. Saggi sulla concezione nietzschiana del tempo, a cura di

M. Cacciari, Liguori, Napoli 1980, p. 95).

93

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 219 ], p. 352.

Page 39: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

39

Queste sono le domande che dominano in sottofondo il viaggio da Il canto dei sepolcri

fino alla chiusura del libro III dello Zarathustra: «gli eventi più grandi – non sono le nostre

ore più fragorose, bensì quelle senza voce»94, i momenti decisivi sono proprio quelli in cui,

morto Dio, si comprende che «“tutto è vano, tutto è indifferente, tutto fu”»95, sono i momenti

in cui si capisce che «non c‟è niente di nuovo sotto il sole»96; sono i momenti in cui ad ognuno

parla la propria ora senza voce97, nella quale si guarda al passato e si prova sofferenza perché

non si è capaci di intervenire in esso, nella quale si diviene consapevoli che «è tempo

ormai!»98 per decidere del tempo, della vita, nella quale si è coscienti che è giunta l‟ora di

decidere del tempo della vita che è passato e del tempo della vita che resta, nella quale è

necessario «DARE UN SENSO – questo compito resta assolutamente da assolvere, posto che

nessun senso vi sia già»99.

Finora, il passaggio dal modo di pensare e agire per categorie morali a quello che

assume come centro di gravità l‟eterno ritorno dell‟uguale si è configurato come un doppio

movimento di tramonto e albeggiamento, che passa per le tre metamorfosi dello spirito, col

quale l‟uomo – riconosciuta la morte di Dio e il prospettivismo nei giudizi di valore volto alla

conservazione e al potenziamento della vita, cioè il nichilismo – sceglie di assumere gli

atteggiamenti di spirito libero e nichilista attivo per abbattere i vecchi valori e, così facendo,

per plasmare la propria volontà di potenza negli enti in modo creativo e innocente, per

ripensare le cose a partire dalla terra, dagli istinti, dalla corporeità, al fine di superarsi, di ri-

crearsi, di ottenere l‟ultima trasformazione dello spirito e permettere così al superuomo di

porre i valori e il senso della terra in modo nuovo.

Morto Dio, l‟uomo assume il nichilismo e la volontà di potenza come un “ideale di

suprema potenza dello spirito”, come un “modo di pensare divino” perché riacquista la sua

volontà ed è libero di esercitarla creativamente in direzione del proprio superamento, di una

trasvalutazione di tutti i valori. Ma c‟è un ostacolo, un muro invalicabile che la volontà si

trova innanzi ed è il passato:

«„Così fu‟ – così si chiama il digrignar di denti della volontà e la sua mestizia più solitaria. Impotente

contro ciò che è già fatto, la volontà sa male assistere allo spettacolo del passato. La volontà non riesce a volere a

ritroso: non potere infrangere il tempo e la voracità del tempo è la sua mestizia più solitaria. Volere libera: ma

94 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 152.

95

Ivi, p. 155.

96

Cfr. La Bibbia di Gerusalemme, ed. it. a cura di un gruppo di biblisti italiani sotto la direzione di F.

Vattioni, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994 e 2000, in Qoelet (o Ecclesiaste) 1,9, p. 1341.

97

Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 170-173.

98

Ivi, p. 150.

99

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, cit., fr. 9 [ 48 ], p. 20.

Page 40: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

40

che cosa può inventare il volere medesimo per liberarsi della propria mestizia e prendersi giuoco della sua

prigione? […] Che il tempo non possa camminare a ritroso, questo è il suo rovello; „ciò che fu ‟ – così si chiama

il macigno che la volontà non può smuovere»100.

Per superare questo ostacolo – poiché «Dio è un pensiero che rende storte tutte le cose

dritte e fa girare tutto quanto è fermo», poiché «invece i migliori simboli debbono parlare del

tempo e del divenire: una lode essi debbono essere e una giustificazione di tutto quanto è

perituro!»101 – Nietzsche offre il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale che, nei capitoli

centrali de Il viandante e La visione e l’enigma, si dà per tre livelli, attraverso tre giochi

simbolici:

– mediante il cammino solitario di Zarathustra per la sua ultima vetta;

– mediante il racconto ai marinai dell‟enigma incontrato nel proprio cammino per l‟ultima

vetta insieme al nano;

– mediante il racconto della visione che lo incalzò nel riflettere intorno all‟enigma.

Simbolicamente, la questione del tempo e dell‟ostacolo della volontà, cioè il passato, si

dà primariamente attraverso l‟enigma della porta carraia:

«Essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via

fino alla porta e all‟indietro: dura un‟eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti – è un‟altra eternità.

Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l‟uno contro l‟altro: e qui, a questa porta carraia, essi

convengono. In alto sta scritto il nome della porta: „attimo‟. Ma, chi ne percorresse uno dei due – sempre più

avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?»102

.

La prima interpretazione dell‟enigma della porta carraia, dalla quale due sentieri si

dipartono e convergono, s‟incontrano e si scontrano – dei quali l‟uno va dalla porta

all‟indietro (passato) e dura un‟eternità, l‟altro invece dalla porta in avanti (futuro) e dura

anch‟esso una eternità – è quella secondo la concezione lineare del tempo, che si basa

sull‟idea dell‟irreversibilità del tempo, cioè sull‟impossibilità di un ritorno, di un

ripercorrimento del tempo nel verso opposto a quello stabilito e il passato appare abbandonato

a se stesso; qui Nietzsche sottolinea come l‟abitudine porti a pensare di prim‟acchito il tempo

secondo la tipologia dell‟ultimo uomo, secondo le caratteristiche del cammello, basandosi

100 Ivi, pp. 162-163.

101

Ivi, p. 95.

102

Ivi, pp. 183-184.

Page 41: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

41

sulle idee di una teleologia e teologia di esso, cioè secondo il modo di pensare per categorie

morali della tradizione e, in particolare, della morale cristiana.

Zarathustra però chiede se questi sentieri debbano contraddirsi in eterno allo spirito di

gravità, il quale gli risponde: «Tutte le cose dritte mentono […]. Ogni verità è ricurva, il

tempo stesso è un circolo»103.

La seconda interpretazione dell‟enigma è quella secondo la concezione ciclica del

tempo, che si basa invece sulla possibilità di un ritorno, di un ripercorrimento del tempo nello

stesso verso di prima, sia orario che anti-orario, ma il percorso rimarrebbe sempre lo stesso e

il passato resterebbe comunque immutato, inalterato; infatti Zarathustra, dopo essersi infuriato

contro lo spirito di gravità – che prende la questione con leggerezza, la banalizza e rimane in

superficie riproponendo come unica alternativa la concezione ciclica classica del tempo – lo

spinge a concentrarsi proprio su quell‟elemento di gravità:

«Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una

via lunga, eterna: dietro di noi è un‟eternità. Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere

già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta,

trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta

carraia – esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l‟una all‟altra, in modo tale che

questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso? Infatti ognuna delle cose che

possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori deve camminare ancora una volta! E questo ragno che

indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose

eterne bisbiglianti – non dobbiamo tutti esserci stati un‟altra volta? – e ritornare a camminare in quell‟altra via al

di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via – non dobbiamo ritornare in eterno?»104

.

Se il tempo fosse pensato ciclicamente graverebbe sull‟agire dell‟uomo «come il peso

più grande»105, perché “non ci sarebbe niente di nuovo sotto il sole”, perché “tutto sarebbe

vano, indifferente, stato”, perché significherebbe riconoscere l‟esistenza di un ordine cosmico,

di una legge metafisica cui tutto è soggetto, e cioè la necessità di tutto l‟accadere; se ci si

limitasse a pensare il tempo circolarmente, rappresentandosi le due vie come un‟unica via

chiusa in circolo, ammettendo che «dietro di noi è una eternità»106, allora tutto ciò che può

percorrere la via dal passato, non l‟avrà già percorsa? Non dovrebbe essere già accaduto, tutto

ciò che può ancora accadere? E se così fosse, allora non può valere lo stesso per questo

103 Ibidem.

104

Ibidem.

105

F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 341, p. 249.

106

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 184.

Page 42: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

42

attimo, per questa porta carraia? Non sarebbe possibile che tutte le cose siano strettamente

interconnesse, in modo che questo stesso attimo tragga dietro di sé tutto ciò che è a-venire,

perfino se stesso? Se la volontà non può volere a ritroso, è dunque possibile un qualche

ritorno? Non dovrebbe ritornare eternamente tutto ciò che accade in quell‟attimo e

„quell‟attimo stesso‟, in cui tutto confluisce e da cui si dirama?

La questione, l‟enigma è proprio quella porta carraia su cui sta scritto „attimo‟: non si sa

dove abbiano origine e fine queste due linee temporali proprio perché eterne, ma è nell‟attimo

che esse s‟incontrano e si scontrano, convergono e divergono; l‟attimo potrebbe essere il

„qui‟, „l‟ora‟, „l‟adesso‟ sia della concezione lineare che di quella ciclico-classica del tempo.

Che significa l‟attimo?

Per uscire dal vicolo cieco, per risolvere l‟enigma, Nietzsche utilizza – così come era

accaduto durante l‟annuncio del superuomo – l‟irrompere di una „visione‟: «così parlavo,

sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri più

reconditi. E improvvisamente»107, mentre si faceva queste domande, Zarathustra sentì un cane

ululare108, nel silenzio spettrale di mezzanotte – che lo aveva riportato alla sua giovinezza

proprio nel momento in cui lo aveva sentito ululare nello stesso medesimo modo, spaventato,

pelo irto, nel silenzio spettrale di mezzanotte – ma, ecco che il nano, la porta, il ragno, tutto

era scomparso davanti a sé e si era trovato

«in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna. Ma qui giaceva un uomo! E –

proprio qui! – il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, – adesso mi vide accorrere – e allora ululò di nuovo,

urlò: – avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo? E, davvero, ciò che vidi, non l‟avevo mai

visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero

penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre

dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e – lì si era abbarbicato mordendo»109

.

Il „giovane pastore‟ che dorme, cioè nel suo stato di illusione, di dormiente, rappresenta

l‟uomo nel quale striscia furtivo, “nella più solitaria delle sue solitudini”110, il serpente

Oceano, il pensiero “dell‟eterno ritorno dell‟uguale”, il pensiero che «questa vita, come tu ora

la vivi e l‟hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci

107 Ivi, p. 185.

108

Il cane che ulula lo porta indietro alla sua giovinezza per disimpararla, come aveva detto l‟ora senza voce:

«Bisogna ancora che tu diventi un fanciullo e senza vergogna. Su te pesa ancora l‟orgoglio della giovinezza, sei

diventato giovane tardi: ma chi vuol diventare un fanciullo, deve superare anche la sua giovinezza» (ivi, p. 172).

109

Ivi, pp. 185-186.

110

Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 341, p. 248.

Page 43: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

43

sarà mai in essa niente di nuovo»111 e che dunque viene gravato nel suo agire dal “peso più

grande”, straziato, sofferente perché tutto ciò che ora compie, vive, ritornerà allo stesso modo

come in un “eterno ritorno dell‟uguale”, in una continua ripetizione, necessariamente, senza

misura, senza sosta, senza intervallo, senza interruzione, senza possibilità di mutare le cose.

Se l‟uomo si assoggettasse passivamente alla necessità del ritorno, se tentasse di

trascinare con sé “il peso più grande”, se lo subisse, allora tale pensiero significherebbe per

lui „incapacità di respirare‟, di vivere, di sollevarsi, di aver pace, di „riaversi‟, significherebbe

per lui „incapacità di libertà‟, di essere libero di volere, tutto sarebbe vano, non ci sarebbe

niente di nuovo sotto il sole, sarebbe un eterno ritorno dell‟insensato e un eterno ritorno del

niente, del Nulla; tutto resterebbe caotico, disorganizzato, disordinato, indistinto, informe,

confuso, tutto significherebbe nient‟altro se non il Nulla stesso, il niente: volontà del Nulla,

potenza del Nulla, non-mondo, non-tempo, non-senso, non-verità, non-sé. Compimento del

nichilismo.

«Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: “Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!” così

gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me

– buono o cattivo – gridava da dentro di me, fuso in un sol grido»112: cosciente della gravità,

del pericolo intorno a ciò che immediatamente accadeva innanzi agli occhi – cosciente di cosa

avrebbe significato assumere negativamente il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale –

Zarathustra gridò, con la stessa istantaneità d‟azione e decisione con cui tutto si verificava:

«“Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!”»113; è proprio qui che deve essere posto l‟accento,

è qui che l‟enigma della porta carraia con su scritto „attimo‟ trova soluzione.

La concezione lineare e quella ciclica del tempo sembrano, di prim‟acchito, differire

l‟una dall‟altra ma, effettivamente, c‟è qualcosa che le accomuna ed è il „continuum

temporale‟, cioè l‟estensione del tempo, la successione, la durata, la permanenza, l‟assenza di

salto, di interruzione: infatti, il tempo circolare potrebbe darsi come una semplice curvatura

del tempo lineare, ma non è con la curvatura della linea temporale che si risolve l‟enigma,

perché, così facendo, tutto resterebbe continuo, duraturo, tutto si darebbe come un eterno

ritorno dell‟uguale, dell‟insensato; con la curvatura della linea, il tempo si mostrerebbe come

tempo del nichilismo, tutto si mostrerebbe come necessità, come ritorno del niente stesso, la

volontà risulterebbe una volontà del Nulla e il passato resterebbe insuperabile, invalicabile,

in-appropriabile.

111 Ibidem.

112

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 185-186.

113

Ibidem.

Page 44: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

44

Ma se la volontà «è il nome di ciò che libera e che procura la gioia», allora «che cosa

può inventare il volere medesimo per liberarsi della propria mestizia e prendersi giuoco della

sua prigione?»114.

Come sottomissione passiva al ritorno, la volontà «invece di liberare, infligge

sofferenza: e oggetto della sua vendetta, per non poter volere a ritroso, è tutto quanto sia

capace di soffrire. Ma questo, soltanto questo, è la vendetta stessa: l‟avversione della volontà

contro il tempo e il suo „così fu‟»115. Ecco perché Zarathustra esortava il pastore a mordere il

serpente che gli si era infilato nella gola: se la volontà non può volere in direzione del passato,

allora è necessario che si vendichi contro il passato e il tempo stesso e morda la testa del

serpente, bisogna che tagli, re-cida, de-cida, di-vida, interrompa l‟oppressione, la sofferenza,

la mancanza di respiro che il serpente provoca116.

Il serpente simboleggia la „circolarità del tempo‟, è “l‟eterno ritorno

dell‟uguale” che, secondo l‟incitamento di Zarathustra, deve essere „tagliato, re-ciso, in-ciso,

diviso, interrotto‟: e il giovane pastore come si era comportato di fronte al suggerimento di

Zarathustra?

«Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da

sé sputò la testa del serpente: – e balzò in piedi. – Non più pastore, non più uomo, – un

trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come

lui rise!»117: il taglio della testa del serpente simboleggia la stretta connessione che intercorre

tra il „de-cidere/re-cidere‟ del giovane pastore e l‟attimo che stava scritto sulla porta carraia

nella quale s‟incontravano e si scontravano le due linee temporali, e precisamente accenna a

„l‟attimo della decisione sul tempo‟118.

Il giovane pastore, „de-cidendo‟ di „tagliare, re-cidere‟ la testa del serpente, provoca un

taglio, una frattura, una rottura, una interruzione del tempo e, „sputando la testa lontano da

sé‟, si libera una volta per tutte della logica che appartiene ad esso, della circolarità, della

continuità, dal senso di oppressione che la circolarità stessa gli provocava; così facendo, egli

non può più rimanere a terra schiacciato dal peso, dalla gravità, dal senso di oppressione del

114 Ivi, p. 162.

115

Ivi, p. 163.

116

«In Nietzsche, il tempo si rinnova ciclicamente, concentrandosi in attimi che rompono il continuum, che

trasfigurano la durata, che redimono dal „così fu‟. Ma questa concezione è resa possibile soltanto rompendo

drasticamente con la concezione cristiana del tempo e riproponendo la Festa come puro Sonn-tag, divinizzazione

dell‟ente in quanto ente, eternità qui ed ora» (M. Cacciari, Introduzione a AA.VV., Crucialità del tempo. Saggi

sulla concezione nietzschiana del tempo, cit., p. 14).

117

Ivi, pp. 186.

118

«La visione del pastore che deve mordere la testa al serpente […] lega misteriosamente l‟idea del ritorno a

una decisione che deve essere presa dall‟uomo, e in base alla quale, soltanto, l‟uomo si trasforma» (G.

Vattimo, Introduzione a Nietzsche, Laterza, Roma 1985, p. 90).

Page 45: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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ritorno ma si „solleva‟, diviene Sole egli stesso e si innalza al posto del vecchio Sole, si

trasforma, passa alla terza metamorfosi dello spirito, diviene un circonfuso di luce che nel suo

riso accetta la tragicità della vita, un superuomo, un fanciullo: «innocenza è il fanciullo e

oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di

sì. Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì: ora lo spirito vuole la

sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo»119.

Ma per poter tagliare la testa del serpente, la logica della circolarità, la sua legge, si deve

accettare tutto il dolore, la sofferenza che una tale azione comporta perché

«Creare – questa è la grande redenzione dalla sofferenza, e il divenir lieve della vita. Ma perché vi sia

colui che crea è necessaria molta sofferenza e molta trasformazione. Sì, molto amaro morire dev‟essere nella

vostra vita, o voi che create! Solo così siete coloro che difendono e giustificano ogni cosa peritura. Per essere il

figlio di nuovo generato, colui che crea non può non voler essere anche la partoriente e non volere i dolori della

partoriente […]. Tutto quanto è sensibile soffre in me ed è in ceppi: ma il mio volere viene sempre a me come

mio liberatore e apportatore di gioia. Volere libera: questa è la vera dottrina della volontà e della libertà – così ve

la insegna Zarathustra»120.

E qui sta il punto: «ogni „così fu‟ è un frammento, un enigma, una casualità orrida – fin

quando la volontà che crea non dica anche: “ma così volli che fosse!”. Finché la volontà che

crea non dica anche: “ma così voglio, così vorrò!”»121; di fronte all‟eterno ritorno dell‟uguale,

di fronte al fatto che «questa vita, come tu ora la vivi e l‟hai vissuta, dovrai viverla ancora una

volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà mai in essa niente di nuovo»122, l‟uomo,

nell‟attimo della de-cisione, deve chiedersi: vuoi il ritorno, «vuoi tu questo ancora una volta e

ancora innumerevoli volte?»123.

E la sua volontà dicendo di sì, volendo il ritorno nell‟attimo, si vendica sul tempo e sul

“così fu” de-cidendoli, fissandoli, de-finendoli, de-terminandoli, la volontà li anticipa

affermandosi su di essi, si pre-dice rispetto al tempo e al “così fu” imponendosi, ac-cogliendo

in sé l‟eterno ritorno dell‟uguale attraverso l‟«amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro

né davanti a sé, per tutta l‟eternità. Non solo sopportare, e tanto meno dissimulare, il

necessario […] ma amarlo»124, dicendo “così volli che fosse! Così voglio! Così vorrò”:

119 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 25.

120

Ivi, pp. 95-96.

121

Ivi, p. 164.

122

F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 341, p. 248.

123

Ivi, af. 341, p. 249.

124

F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 54.

Page 46: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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«Il coraggio ammazza anche la vertigine in prossimità degli abissi: e dove mai l‟uomo non si trova vicino

agli abissi! Non è la vista già di per sé un – vedere abissi? […] Coraggio è però la mazza più micidiale, coraggio

che assalti: esso ammazza anche la morte, perché dice: “Questo fu la vita? Orsù! Da capo!”»125

.

L‟uomo che de-cide e re-cide il tempo, accettando i dolori della partoriente, dicendo di

sì al ritorno nell‟attimo, coglie quell‟occasione per giuocare con il tempo stesso e si dà come

superuomo, come origine del ritorno stesso che ora si dà non più come oppressione,

sofferenza e vanità, ma come movimento innocente, che non può nuocere proprio perché

scaturisce dall‟uomo stesso che, così facendo, si re-impossessa della propria volontà e crea,

plasma, pone un senso nelle cose non cercandolo, ma introducendolo da sé126.

L‟attimo della decisione è Καιρός, è un‟occasione, un‟opportunità, un momento propizio

proprio perché spezza il continuum temporale, taglia la durata che accomuna la concezione

lineare e quella ciclica del tempo, sospende il tempo dando origine ad una esperienza di

tempo dif-ferente, di tempo non-continuo, dis-continuo, che conosce un salto; esso non è un

presente ma un taglio, una sospensione del tempo cronologico, in cui si fa l‟esperienza del

vero tempo, è un istante anacronico, una sincope, è un battito di ciglia in cui si spalanca uno

sguardo differente, cioè quello che può cogliere l‟eterno, l‟Аίών, quello in cui si può dire di sì

all‟accadere di ogni cosa.

Nell‟attimo della de-cisione – de-cidendo sul tempo, giuocando col ritorno, ponendo

l‟assoluta necessità come assoluta libertà – la volontà si fa origine del ritorno volendo il

ritorno, cioè trasformando il “così fu” in “così volli che fosse, così vorrò”; ciò che deve essere

colto e da cui bisogna farsi cogliere, nell‟attimo della de-cisione, nel Καιρός, è l‟eterno,

l‟Аίών, nel quale gli enti si mostrano nel loro volto divino, si danno nell‟immediatezza, nelle

loro sembianze eterne127.

Trasformando il “così fu” in “così volli che fosse, così vorrò” – possibile solo a partire

dal riconoscimento della morte di Dio, del nichilismo, dal pensiero di un eterno ritorno

dell‟uguale – l‟uomo può re-impossessarsi del passato e dunque può

125 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 183.

126

«Non cercare il senso nelle cose, ma introdurvelo» (F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente 1885-1887,

Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 8 Abteilung – 1 Band, Herausgegeben von G. Colli und M.

Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1974; tr. it. di S. Giametta, Frammenti postumi 1885-1887,

Adelphi, Milano 1975, fr. 6 [ 15 ], p. 226).

127

«L‟attimo non si riduce a vuota forma di decisioni contingenti, ma è epifania dell‟occhio divino sulle cose

del mondo – redenzione dal continuum del trapassare-morire, affermazione della divinità intramontabile

dell‟ente. Nell‟attimo si spalanca l‟occhio che può amare questa Eternità. L‟attimo è, per Nietzsche, il pensiero

abissale del possibile superamento del nichilismo» (M. Cacciari, Concetto e simboli dell’eterno ritorno, in

AA.VV., Crucialità del tempo. Saggi sulla concezione nietzschiana del tempo, cit., p. 82).

Page 47: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

47

«imprimere al divenire il carattere dell‟essere – questa è la suprema volontà di potenza»128,

può ripensare gli enti in direzione dell‟eterno, può dare un senso alle cose in modo nuovo, a

partire dal loro volto eterno129: «badate, fratelli, ve ne prego, a tutti quei momenti in cui il

vostro spirito vuol parlare in simboli: lì è l‟origine della vostra virtù. Lì il vostro corpo è

elevato e risorto; col suo piacere esso delizia lo spirito, perché diventi colui che crea e valuta e

ama e di tutte le cose il benefattore»130.

E‟ attraverso l‟amor fati, l‟amore dell‟accadere, l‟amore del ritorno che si dà nell‟attimo

della de-cisione in cui si fa esperienza dell‟eterno, che l‟uomo può passare da un modo di

concepire la propria vita ad un altro; «che faremo col resto della nostra vita?», si chiedeva

Nietzsche nel 1881 e la sua risposta è sempre la stessa, è «amor fati: non volere nulla di

diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l‟eternità. Non solo sopportare, e tanto meno

dissimulare, il necessario […] ma amarlo»131.

L‟uomo deve pensare la propria vita come un eterno ritorno dell‟uguale e, precisamente,

come un eterno ritorno di attimi immensi nei quali ciò di cui fa esperienza è l‟eternità della

de-cisione, l‟eternità della sua volontà che afferma ogni singolo attimo della propria vita

„come se‟ ogni singolo attimo dovesse tornare eternamente nel medesimo modo; «vivere in

modo tale da voler tornare a vivere di nuovo, e voler vivere così in eterno! Il nostro compito

ci appressa a ogni istante»132, questo significa amor fati, cioè vivere ogni attimo della propria

vita pensando che ognuno potrebbe ritornare in eterno nel medesimo modo, volere ogni

attimo della propria vita „così e non altrimenti‟ e volerlo eternamente ogni volta nel medesimo

modo133.

E‟ solo a partire dall‟esperienza dell‟eterno – che avviene nell‟attimo immane in cui si

de-cide e re-cide il tempo cronologico – che è possibile effettuare una trasvalutazione di tutti i

valori, ma è solo a partire dal riconoscimento della morte di Dio, del nichilismo, della volontà

di potenza, del pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale che è possibile fare esperienza di un

128 F. Nietzsche, Frammenti postumi1885-1887, cit., fr. 7 [ 54 ], p. 297.

129

«Non si tratta della volontà di potenza che agisce nel conoscere discorsivo, nel suo “cercare la regola”, nel

suo volere la regola […]. Alla volontà di potenza che opera nel discorso scientifico, come volontà di onni-

prevedere e programmare il divenire, di ridurlo a mero stato […], si oppone quella volontà di potenza che decide

il corso il tempo, afferra il suo momento, gode il piacere dell‟attimo. Questa volontà imprime al divenire il

sigillo dell‟essere, in quanto coglie aeterniatem in momento, ama l‟eternità nell’attimo» (M. Cacciari, Concetto e

simboli dell’eterno ritorno, cit., pp. 85-86).

130

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 84.

131

F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 54.

132

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 266 ], p. 367.

133

«Dobbiamo intendere la definizione nietzscheana del concetto di tempo in duplice senso: l‟eterno ritorno,

infatti, è innanzitutto l‟eterna ripetizione dell‟istante, ma è anche […] l‟eternità che ritorna, che accade, che

precipita nel tempo e lo colma di sé. In questa prospettiva il superuomo, l‟uomo che gioca, il fanciullo, è colui

che sa “volere” attimi eterni; ma questi attimi – d‟altra parte – non sono altro che la sua esistenza finita» (G.

Franck, Nietzsche: tempo sacro, tempo del gioco nel pensiero dell’eterno ritorno, cit., p. 95).

Page 48: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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tempo cairologico, di un tempo qualitativo in cui, nell‟attimo della de-cisione, l‟eterno si dà:

«Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi consuma una sete, un desiderio

nostalgico, che mai si placa. La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere

ancora! Come sopporterei di morire ora!»134.

3.2 Indietro verso l’a-venire, verso il grande meriggio

«Così sono nel pieno della mia opera, mentre vado ai miei amici e torno indietro: per amore dei figli suoi,

bisogna che Zarathustra compia se stesso. Perché si ama fino in fondo solo il proprio figlio, l‟opera propria; e

dove è un grande amore per se stessi, là è il segno della gravidanza: così trovai […]. E per amor suo e per amore

di quelli che sono come lui, bisogna che io compia me stesso: perciò sfuggo adesso alla mia felicità e mi offro a

ogni infelicità – a prova e conoscenza ultima di me stesso»135

.

Il proseguimento del cammino di Zarathustra fino al momento della sua terza discesa tra

gli uomini per insegnare l‟eterno ritorno dell‟uguale, per festeggiare il grande meriggio136, ha

una duplice valenza, in quanto Nietzsche svolge sia una funzione pedagogica che

autobiografica, e cioè mostra che cosa significa per l‟uomo e che cosa significa per se stesso

pensare l‟eterno ritorno dell‟uguale come legge cosmologica e vivere a partire dall‟assunzione

di quella legge.

Infatti, se nella prima parte del testo Zarathustra si mostrava come il maestro del

superuomo e della morte di Dio, se prima incitava gli uomini e i discepoli al superamento di

se stessi attraverso le tre metamorfosi dello spirito e in direzione di una trasvalutazione di tutti

i valori a partire dalla volontà di potenza, adesso, dopo la folgorazione del pensiero

dell‟eterno ritorno dell‟uguale, Zarathustra non-è-ancora maestro dell‟eterno ritorno

dell‟uguale, ma è un uomo che deve ancora operare in sé le metamorfosi dello spirito al fine

di esperire nella propria carne il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale.

Il suo cammino, questa volta solitario, è in realtà un doppio movimento in avanti e

indietro, nel futuro e nel passato, che dirige verso casa propria, verso se stesso, verso il

134 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 186.

135

Ivi, pp. 187-188.

136

«E ora vi ordino di perdermi e di trovarvi; e solo quando mi avrete tutti rinnegato io tornerò tra voi. In

verità, fratelli, con altri occhi cercherò allora i miei smarriti; con altro amore allora vi amerò. E un‟altra volta

ancora dovrete essermi diventati amici e figli di una sola speranza: allora voglio essere tra voi per la terza volta,

per celebrare con voi il grande meriggio» (ivi, p. 87).

Page 49: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

49

proprio compito: questo movimento si dà sia come rammemorazione del proprio passato,

della vita fin qui vissuta, sia come focalizzazione del mondo e dell‟uomo a partire dalla

folgorazione dell‟eterno ritorno137, sia come localizzazione del proprio status attuale sia come

ricerca del coraggio leonino per cominciare a superarsi a partire dall‟idea che un eterno

ritorno di tutte le cose è possibile138.

Nei capitoli che vanno da Il convalescente a I sette sigilli Nietzsche sottolinea come il

fine delle metamorfosi non sia divenire da cammello a leone – cioè trovare il coraggio di

pensare il pensiero più abissale – bensì divenire fanciullo e ribadisce come il fine del

ripensamento del tempo non sia passare da una concezione lineare a quella ciclica, come

fanno gli animali: non basta pensare l‟eterno ritorno come legge cosmologica, ma è necessario

assumere, attraverso la volontà, la saggezza dionisiaca, è necessario vivere „come se‟ si

dovesse tornare a vivere, è necessario qui ed ora sperimentare, “danzare”, volere un eterno

ritorno di attimi immensi, tenendo conto della necessità di tutto il dolore passato.

Nel IV libro, Zarathustra attende il segno139, attende il momento propizio per compiere

se stesso, per portare a compimento la propria opera: qui, il pensiero dell‟eterno ritorno come

mezzo etico in direzione dell‟eterno è ribadito nel capitolo Mezzogiorno140, ma la necessità

della sua realizzazione sul piano pratico è chiarita mediante i temi dell‟attesa e della

compassione per il superuomo.

Infatti, nonostante Zarathustra abbia imparato ad attendere se stesso141, è necessario

decidere, voler vivere un eterno ritorno di attimi immensi, e ciò implica la comprensione

dell‟ultimo peccato di Zarathustra, la compassione per il superuomo, cui è spinto attraverso

137 «Tutte le cose sono benedette alla sorgente dell‟eterno e al di là del bene e del male; ma bene e male altro

non sono che ombre intermedie e umidi triboli e nuvole pigre. E‟ davvero benedizione, non blasfemia, quando

insegno: “su tutte quante le cose sta il cielo caso, il cielo innocenza, il cielo accidente, il cielo tracotanza”. „Per

caso‟ – questa è la più antica nobiltà del mondo, che io ho restituito a tutte le cose, io le ho redente

dall‟asservimento allo scopo. Questa libertà e serenità celeste io l‟ho posta come azzurra campana su tutte le

cose, quando insegnai che, sopra di loro e per mezzo di loro, non vi è una „volontà eterna‟ che – voglia. Al posto

di quella volontà, io misi questa tracotanza e questa follia, quando insegnai: “in ogni cosa soltanto questo è

impossibile: razionalità”» (ivi, p. 193).

138

«Ah, pensiero abissale, che sei il mio pensiero! Quando troverò la forza di sentirti scavare, senza più

tremare? Il cuore mi batte fino in gola, quando ti sento scavare! E anche il tuo silenzio vuol strangolarmi, tu che

taci dall‟abisso! Mai ho tentato fino ad oggi di evocarti così in alto: è già molto che io ti abbia – portato con me!

Non ero ancor abbastanza forte per l‟estrema leonina audacia e tracotanza. Il tuo gravame era per me già

qualcosa di terribile abbastanza: ma un giorno dovrò trovare anche la forza e la voce leonina che ti evochi in

alto! Quando avrò compiuto questo superamento, vorrò compierne uno anche maggiore; e una vittoria ha da

essere il sigillo del mio compimento!» (ivi, p. 189).

139

«Quando verrà la mia ora? – l‟ora del mio declino, tramonto: giacché per una volta ancora voglio andare

agli uomini. E questo ora attendo: infatti bisogna che a me giungano i segni che la mia ora è giunta – questi

sono: il leone che ride accompagnato da uno stormo di colombi» (ivi, p. 231).

140

Ivi, pp. 320-323.

141

«In verità, anche io ho imparato a fondo l‟arte di attendere, – ma soltanto di attendere me stesso. E sopra

ogni altra cosa ho imparato a stare e andare e camminare e saltare e arrampicarmi e danzare» (ivi, pp. 229-230).

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50

l‟incontro dell‟indovino – che richiama la sua attenzione nei confronti di un “grido d‟aiuto”

proveniente dalle pendici della montagna – e delle figure dei due re con l‟asino, del

coscienzioso dello spirito, del mago, dell‟ultimo papa, dell‟uomo più brutto, del mendicante

volontario, della sua ombra, che invita tutti alla sua caverna: in ognuno di essi pensa di

riconoscere l‟uomo superiore ma più avanti dovrà ricredersi142, perché fanno della sua

dottrina, del dio Dioniso una nuova religione143, uno scudo per la loro sofferenza, anziché

intendere la sua saggezza come strumento per affermare coraggiosamente la gioia di vivere a

partire dalla sofferenza passata144; infatti una volta aveva detto:

«Ma il peggiore nemico che puoi incontrare, sarai sempre tu per te stesso; nelle caverne e nelle foreste tu

tendi l‟agguato a te stesso. Da solo tu vai nel cammino che porta a te stesso! E il tuo cammino comprende anche

te e i tuoi sette demoni! Un eretico sarai per te stesso, e una strega e un indovino e un pagliaccio, e uno che

dubita, che non è santo, che è malvagio. Tu devi voler bruciare te stesso nella tua stessa fiamma: come potresti

volere rinnovarti, senza prima essere ridiventato cenere! Da solo tu vai sul cammino del creatore: dai tuoi sette

demoni ti vuoi creare un dio!»145

.

Nietzsche mostra come l‟attesa e la compassione siano gli ultimi ostacoli affinché

l‟uomo divenga superuomo, affinché viva un eterno ritorno di attimi immani, affinché si operi

nella propria vita mediante l‟amor fati: il superuomo non è un Messia, non è un evento

trascendente o teleologico che l‟uomo deve attendere come compimento della storia; il

superuomo non è attesa perché non si tratta di «cercare il senso nelle cose, ma

introdurvelo»146; il superuomo è tensione, è tendere-verso, è un movimento volontario in

142 «Voi non siete che ponti: possano uomini più grandi di voi percorrerli, per passare al di là! Voi significate

gradini: perciò non prendetevela con colui che, al di sopra di voi, sale alla propria altezza! Può darsi che un

giorno dal vostro seme nasca per me un figlio autentico e un erede perfetto: ma questo è lontano. Voi stessi non

siete coloro cui appartengono la mia eredità e il mio nome. Qui, su questi monti, io non attendo voi, né con voi io

posso discendere in basso per l‟ultima volta. Voi siete venuti a me come il presagio che uomini più elevati di voi

sono già in cammino verso di me, non gli uomini del grande anelito, della grande nausea, del grande disgusto e

ciò che voi avete chiamato l‟ultimo residuo di Dio. – No! No! Tre volte no! Qui su questi monti io attendo altri e

il mio piede non si alzerà di qui senza di loro, – più elevati, più forti, più vittoriosi, più lieti, squadrati e rettilinei

nel corpo e nell‟anima: leoni che ridono hanno da venire!» ( ivi, pp. 328-329).

143

Ivi, pp. 366-369.

144

«Questa partita di pesca in alta montagna, questo gesto di invitare gli uomini superiori nella propria

caverna, riunisce coloro che soffrono […]. Tutti vedono in Zarathustra la grande speranza. Vivono di speranza

come chi soffre. Ma questo significa che non sono ancora preparati per la sapienza di Zarathustra: per dire di sì a

tutto. Questa è la vera esperienza di Zarathustra. Non è facile diventare veramente liberi, accettare senza contro-

partita la sofferenza, il male, il dolore e ogni limite umano. Questo è il messaggio di Zarathustra: imparare ad

accettare. Amor fati» (H. G. Gadamer, Il dramma di Zarathustra, a cura di C. Angelino, Il melangolo, Genova

1991, p. 55).

145

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 71.

146

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, cit., fr. 6 [ 15 ], p. 226.

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51

direzione del proprio superamento, è volontà di superarsi qui ed ora147, di divenire il senso

della terra, è decisione di volere qui ed ora un eterno ritorno di attimi immani, di voler

concepire la propria esistenza qui ed ora „come se‟ dovesse tornare nello stesso modo, è

volontà di eseguire qui ed ora una trasvalutazione di tutti i valori148.

Il superuomo, cioè il superamento dell‟uomo, scaturisce per Nietzsche dall‟ascolto dei

rintocchi di mezzanotte della campana della morte di Dio e dell‟avvento del nichilismo:

questo è l‟evento terribile e salvifico per l‟uomo, è la consapevolezza dell‟origine nichilistica

del vecchio modo di pensare per categorie morali a cui necessita corrispondere andando

incontro, nella notte più buia, al mezzogiorno del pensiero dell‟eterno ritorno, un modo di

pensare che afferma l‟importanza della vita, della terra, dell‟uomo e di una trasvalutazione di

tutti i valori149. La morte di Dio è un evento senza tempo, è l‟ora in cui la saggezza di

Zarathustra dice «Venite! Venite! Venite! Adesso camminiamo! E’ l’ora: camminiamo nella

notte!»150; è un‟ora intima, paurosa e tenera in cui il mondo dorme e l‟uomo piomba in un

pozzo profondo, è un‟ora che gela, che paralizza perché dice «Uomo, sii attento!»151, è l‟ora in

cui la mezzanotte parla: ma «Che dice la mezzanotte profonda?»152.

Dice che questa è l‟ora in cui bisogna prendere una decisione, l‟ora che chiede all‟uomo

chi deve essere il padrone della terra, è l‟ora in cui parla una voce per orecchie fini; l‟ora della

morte di Dio è un‟ora coinvolgente, irresistibile, che dice che «profondo è il mondo!»153 e che

se si è danzato, non si è ancora abbastanza danzato.

I rintocchi della campana – che vuole morire di gioia nonostante abbia il cuore lacerato

dal dolore che gli uomini hanno patito a causa di un modo di pensare per categorie morali –

riecheggiano da un remoto passato non solo la morte di Dio ma anche la rinascita della

147 «Il superuomo esiste solo attraverso l‟uomo, per il fatto che l‟uomo va oltre se stesso, creando

“qualcosa al di là di sé”: per vivere se stesso “in un modo del tutto nuovo”» (G. Figal, Nietzsche. Un ritratto

filosofico, tr. it. di A. M. Lossi, Donzelli, Roma 2002, pp. 133-134).

148

«Il superuomo incarna la santificazione dell‟aldiqua come risposta alla “morte di dio”. Il superuomo è

libero dalla religione: non l‟ha perduta, ma l‟ha riaccolta in sé. Il nichilista abituale invece, l‟“ultimo uomo”, l‟ha

solo perduta e ha mantenuto la vita profanata nella sua povertà. Ma col superuomo Nietzsche vuole salvare le

forze santificanti per l‟aldiqua, contro la tendenza nichilistica alla loro profanazione» (R. Safranski, Nietzsche.

Biografia di un pensiero, tr. it. di S. Franchini, Longanesi, Milano 2001, p. 289).

149

«Il superamento del nichilismo, ad opera dell‟uomo che supera se stesso, è la condizione della profezia

dell‟eterno ritorno, e la filosofia di Nietzsche non va in linea di principio oltre questa. La volontà del sovra-uomo

e dell‟eterno ritorno è l‟ “ultima volontà” di Nietzsche, il suo “ultimo pensiero”, nel quale si riassume

sistematicamente la totalità del suo esperimento» (K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p. 56).

150

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 372.

151

Ivi, p. 373.

152

Ibidem.

153

Ivi, p. 374.

Page 52: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

52

vecchia saggezza di Dioniso154, della morente felicità di mezzanotte che dice: «profondo è il

mondo, e più profondo che nei pensieri del giorno!»155. Questa è l‟ora in cui il dolore del

mondo è profondo per l‟infelicità che l‟uomo ha subito per tutto questo tempo a causa

dell‟interpretazione dell‟esistenza per categorie morali: «profondo è il suo dolore»156, ma

adesso il «piacere è più profondo ancora di sofferenza»157 perché adesso questa sofferenza è

finita, perché è giunto il momento in cui è possibile una rinascita della saggezza di Dioniso,

una gaia saggezza che non vuole se stessa, che non vuole devoti e che non vuole il dolore

dell‟uomo – come il vecchio modo di pensare per categorie morali nel quale «dice il dolore:

“perisci!”»158 – ma che vuole solo arrecare piacere all‟uomo. Perché «il piacere non vuole

eredi, non figli, – il piacere vuole se stesso, vuole eternità, vuole il ritorno, vuole il tutto-a-sé-

eternamente-uguale»159; è una saggezza che consiglia all‟uomo di vivere in modo tale da voler

tornare a vivere di nuovo, che gli suggerisce di volere ogni attimo, pensando di volerlo vivere

così in eterno, una saggezza che esalta l‟uomo e il piacere che questi prova nel suo volere,

«perché ogni piacere vuole – eternità!»160:

«Ogni piacere vuole l‟eternità di tutte le cose […] vuole se stesso, morde se stesso, in esso lotta la volontà

dell‟anello, vuole amore, vuole odio, trabocca di ricchezza, dona, butta via, mendica, perché qualcuno lo prenda,

ringrazia colui che prende, vorrebbe essere odiato, così ricco è il piacere, che ha sete di sofferenza, d‟inferno, di

odio, di vergogna, di storpiato, di mondo, – perché questo mondo: oh, voi lo conoscete! Uomini superiori, il

piacere anela a voi, sfrenato, beato, – alla vostra sofferenza, o malriusciti! Ogni eterno piacere anela a ciò che è

malriuscito. Perché ogni piacere vuole sé, perciò vuole anche sofferenza! Oh felicità, oh dolore! Oh, spezzati

cuore! Uomini superiori, imparate: piacere vuole eternità, – piacere vuole eternità di tutte le cose, vuole

profonda, profonda eternità!»161.

Per Nietzsche, l‟ora della morte di Dio è nel contempo l‟ora in cui rinasce la saggezza di

Dioniso, l‟ora in cui può nascere l‟uomo e il mondo di Zarathustra162, l‟ora in cui l‟uomo si

154 «Dioniso è la risposta al Grande Anelito dell‟uomo, è colui che fa diventare assente tutto l‟Ente presente, è

colui che regge ogni mutamento e il corso delle cose nel tempo. Dove appare il Dionisiaco stesso, che guida e

regge ogni mutamento, si è verificato l‟arrivo del mondo» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 117).

155

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 374.

156

Ivi, p. 375.

157

Ibidem.

158

Ivi, p. 376.

159

Ibidem.

160

Ivi, p. 377.

161

Ibidem.

162

«L‟uomo e il mondo di Zarathustra sorgono con la morte degli dèi; e ciò che nasce non è un paradiso in

terra, ma un inferno secolarizzato. La sua terra non è questa terra, ma un al di là che ha preso in prestito la sua

luce vaga ancora da un antico splendore celeste; il suo uomo non è questo uomo, ma un uomo di là da venire che

Page 53: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

53

trova a un bivio e deve scegliere in che modo vuole concepire la propria vita: secondo il modo

di pensare per categorie morali, cioè in modo teologico e teleologico, oppure secondo il

pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, cioè amando il ritorno, volendo il ritorno, volendo un

eterno ritorno di attimi immani in cui fa esperienza del piacere di volere, del piacere di

esercitare la propria volontà in modo creativo, creando da sé la propria vita in modo da voler

tornare a viverla ogni volta e per l‟eternità nel medesimo modo.

L‟ora della morte di Dio e dell‟avvento del nichilismo è per Nietzsche un grande

meriggio, in quanto pone ogni singolo uomo di fronte ad un atto di suprema riflessione e

responsabilità163 nei propri confronti, nei riguardi del tempo, della vita che resta perché «in

ogni anello dell‟esistenza umana c‟è sempre un momento in cui prima in uno, poi in molti, poi

in tutti affiorerà il pensiero più possente, quello dell‟eterno ritorno di tutte le cose – e ogni

volta per l‟umanità è l‟ora del meriggio»164, perché

«il grande meriggio è: quando l‟uomo sta al centro del suo cammino tra l‟animale e il superuomo, e

celebra il suo avviarsi alla sera come la sua speranza più elevata: giacché quella è la via verso un nuovo mattino.

Allora colui che tramonta benedirà se stesso, come uno che passa all‟altra sponda; e il sole della sua conoscenza

starà per lui nel meriggio. “Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva”– questa sia un giorno,

nel grande meriggio, la nostra ultima volontà!»165

.

Lo Zarathustra allora si mostra per l‟umanità come «il più grande regalo che essa abbia

mai avuto»166 perché pone di fronte agli uomini questo momento epocale cui non è possibile

sottrarsi, dopo la scoperta della morte di Dio, e cioè il momento di decidere tra l‟animale e il

superuomo, tra l‟ultimo uomo e il superuomo, tra un atteggiamento di nichilismo passivo o

uno attivo; ogni uomo è posto di fronte a questa scelta e la sua unica possibilità per non

cadere nell‟abisso è quella di superarsi, di passare ad un modo di concepirsi secondo l‟eterno

ritorno dell‟uguale, vivendo secondo l‟amor fati167.

acquista, nell‟eterno ritorno dell‟ultima decisione una problematica immortalità» (K. Schlechta, Nietzsche e il

grande meriggio, cit., p. 71).

163

«Chi decide sperimenta l‟eterno ritorno come prova massima del valore della decisione e della

responsabilità che tale decisione comporta: „valore‟ che non è commisurato ad un modello o ad un fine –

trascendente o immanente che sia –, ma solo alla ripetibilità eterna; „responsabilità‟che non significa il dover

rispondere a qualcuno o a qualcosa, ma solo al valore intrinseco della decisione e dell‟azione misurato sulla

possibilità di ritornare in eterno» (G. Pasqualotto, Nietzsche, o dell’ermeneutica interminabile, in AA.VV.,

Crucialità del tempo. Saggi sulla concezione nietzschiana del tempo, cit., p. 174).

164

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 235 ], p. 359.

165

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 88.

166

F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 13.

167

«Il meriggio è il “punto di mezzo di un cammino” tra l‟animale e sovra-uomo, il quale, da parte sua, entra

in scena solo quando tutti gli dèi sono già morti. Ciò che nel meriggio si rivela non è il mondo del dio

Page 54: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

54

Se, con la morte di Dio, l‟uomo scopre che, attraverso i precetti della morale cristiana e

gli ideali ascetici, la sua volontà era volontà del nulla poiché proiettava il senso del mondo al

di fuori del mondo, comportando perciò un rifiuto della corporeità, della vita, del dolore, una

negazione della singolarità di ogni volontà; se, con la morte di Dio, l‟uomo comprende che

concetti come la benedizione del lavoro e l‟amore del prossimo sono mezzi per favorire

un‟interpretazione del reale volta alla conservazione della vita del gregge e al sacrificio dei

migliori168; se, con la morte di Dio, l‟uomo capisce che non esiste una costituzione ultima

delle cose, né valori fissi, immutabili e inscritti negli enti, ma che essi hanno avuto origine

dalla volontà di potenza dell‟uomo stesso; allora Nietzsche pensa che la stessa morte di Dio –

da cui ne consegue l‟avvento del nichilismo ed una possibile rinascita della saggezza

dionisiaca – è un evento epocale, un grande meriggio che permette ad ogni uomo, nel

prendere coscienza di tutto ciò, di decidere “che fare col resto della propria vita”, che

consente ad ogni uomo la chance di prendere in mano le redini della propria vita e decidere da

sé che ne è della vita, di fronte al ciò che resta di essa per ognuno169.

L‟uomo, a partire da quell‟evento, può decidere in che modo „qualificare‟, come

riempire qualitativamente la propria vita e Nietzsche suggerisce di non restare fermi,

guardando indietro il mondo che crolla, ma di cominciare a camminare guardando avanti,

guardando al superamento di questa fase critica e di ciò che si è stati finora, guardando alla

possibilità di una trasvalutazione di tutti i valori che sottolinei la centralità della vita, della

corporeità, guardando alla possibilità di ripensare se stessi in modo nuovo170. L‟eterno ritorno

dell‟uguale come interpretazione cosmologica e come imperativo etico è questa possibilità171,

facendo tesoro di tutto il dolore del passato per trasformarlo oggi nel piacere di poter

decidere, di poter volere qui ed ora la propria vita come un eterno ritorno di attimi immensi.

sovrannaturale Pan, bensì un‟ “ultima volontà” e una “suprema speranza” di autoredenzione dell‟uomo» (K.

Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p. 105).

168

Cfr. F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 6 Abteilung – 2

Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1968; tr. it. di F.

Masini, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1986, parr. 11-12-13-15-18-27-28.

169

«Dopo la morte di Dio il vero linguaggio dell‟uomo non è più nominare gli dèi e invocare i santi, è ora la

lingua dell’uomo all’uomo: l‟invocazione delle più alte possibilità umane è l‟insegnamento del superuomo. La

morte di Dio è così la condizione sulla quale si basa l‟insegnamento di Zarathustra» (E. Fink, La filosofia di

Nietzsche, cit., p. 72).

170

«Volontà di potenza, proprio in quanto volontà di accrescimento, tensione all‟autosuperamento e

all‟espansione, significa ermeneutica infinita: „infinita‟ non soltanto perché plasma „oggetti‟, ma soprattutto

perché si applica al soggetto interpretante stesso inteso come infinita pluralità di prospettive, come immensa

stratificazione di segni, come „testo‟ illimitato. Ossia perché “vuole potere” su se stessa: si vuole potente fino al

punto da rendersi oggetto d‟interpretazione» (G. Pasqualotto, Nietzsche, o dell’ermeneutica interminabile, cit., p.

172).

171

«Il concetto fondamentale dello Zarathustra – l‟eterno ritorno dell‟identico – è già il principio della

trasvalutazione di tutti i valori, giacché rovescia il nichilismo» (K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p.

61).

Page 55: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

55

Questo è il compito che Nietzsche ha voluto svolgere, «il compito di preparare

l‟umanità a un momento di suprema riflessione su se stessa, un grande meriggio»172, in cui

tutte le possibilità dell‟uomo, del mondo, della vita sono riassunte in unità nel potere

decisionale dell‟uomo, nel potere di decidere autonomamente “che fare col resto della propria

vita”, e in essa, nella possibilità di decidere che farne del mondo, dell‟intera esistenza, di se

stessi173.

Se dagli scritti giovanili Fato e storia e Libertà della volontà e fato fino agli scritti del

vomere ha sempre riconosciuto che «ogni uomo è egli stesso una parte di fato»174, con lo

Zarathustra, Nietzsche ha voluto donare ad ogni singolo uomo la possibilità decidere da sé il

proprio fato, ha voluto donare all‟umanità questo grande meriggio e, con esso, ha voluto

donare la possibilità ad ognuno di guardare alla grande salute, di guardare a se stessi, a questo

mondo, a questa vita, ad ogni attimo di essa con gioia, pensando che ogni attimo sia eterno,

volendo che ogni attimo sia eterno.

Con lo Zarathustra, Nietzsche ha voluto donare tutto questo, ha voluto „donare il

pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale‟, perché ormai i segni, il leone e lo stormo di colombi,

sono giunti ed è giunto il tempo di effettuare la “prima cena umana, troppo umana”, la prima

di innumerevoli cene in onore della saggezza tragica del dio Dioniso: «Questo è il mio

mattino, la mia giornata comincia: su, vieni su, grande meriggio!»175.

172 F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 89.

173

«In una paradossale affinità con le antiche rappresentazioni, Nietzsche sembra dunque comprendere ogni

accadere come un eterno circolo, entro il quale il meriggio che sempre ritorna non rappresenta però una naturale,

in un certo qual modo innocente culminazione, ma viene ad apparire come l‟ora di una decisione puramente

umana, come cesura che l‟uomo deve sempre di nuovo produrre. Mai come qui l‟uomo deve volere, mai come

qui gli viene chiesto uno sforzo senza pari» (K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio, cit., p. 67).

174

F. Nietzsche, Umano, troppo umano II, cit., af. 61, p. 168.

175

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 382.

Page 56: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

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c) Altre opere consultate

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di F. Vattioni, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994 e 2000.

Page 60: Nietzsche e l'Eterno Ritorno

60

Indice

Introduzione p. 3

Capitolo I p. 5

Sils-Maria, agosto 1881: 6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo

Capitolo II p. 24

Tramonto e transizione: verso il pensiero dell’eterno ritorno

dell’uguale

Capitolo III p. 38

L’eterno ritorno dell’uguale: verso il grande meriggio

Bibliografia p. 56