nietzsche e l'eterno ritorno
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Tesi di Laurea triennale (2005), Università degli Studi di Messina, Filosofia Teoretica.TRANSCRIPT
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NIETZSCHE E L’ETERNO RITORNO
di Salvatore Bellantone
Tesi di Laurea triennale (2005)
– Università degli Studi di Messina – Filosofia Teoretica
2
Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un
demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue
solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e
l‟hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora
innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di
nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e
sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande
della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa
sequenza e successione – e così pure questo ragno e
questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo
attimo e io stesso. L‟eterna clessidra dell‟esistenza viene
sempre di nuovo capovolta – e tu con essa, granello di
polvere!» – Non ti rovesceresti a terra, digrignando i
denti e maledicendo il demone che così ha parlato?
Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immane, in
cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio, e
mai intesi cosa più divina!»? se quel pensiero ti
prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe
subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la
domanda che ti porresti ogni volta e in ogni caso: «Vuoi
tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli
volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più
grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la
vita, per non desiderare più alcun‟altra cosa che
quest‟ultima eterna sanzione, questo suggello?
F. Nietzsche, La gaia scienza.
3
Introduzione
Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale è un bagliore istantaneo, una folgorazione che
sconvolge nel profondo la vita e il pensiero di Friedrich Nietzsche, segnandone in qualche
modo il destino.
L‟irradiazione di tale pensiero consente a Nietzsche di rinascere dalle proprie ceneri,
dalle ceneri di una vita trascorsa alla continua ricerca del senso, di una vita senza senso, gli
permette di guardare all‟orizzonte senza temere di vedere soltanto disordine e tempesta, gli
concede la possibilità, un‟ultima possibilità, di ripercorrere coraggiosamente tutto il suo
passato, tutto il dolore passato – che ne ha segnato il suo oggi – per tentare di trovare almeno
un motivo per cui averlo provato così e non altrimenti.
Perciò, l‟eterno ritorno dell‟uguale funge da mappa, da bussola, da stella polare
all‟interno del pensiero di Nietzsche, in quanto racchiude emblematicamente in sé,
ripercorrendole, tutte le riflessioni che fino ad ora lo avevano interessato, proiettando nuovi
sentieri da percorrere; ma è anche il nuovo Sole attraverso cui la sua vita e il suo pensiero
vengono ripercorsi.
Nel primo capitolo si svolgerà un‟analisi dei principali frammenti postumi risalenti a
quel fatidico agosto 1881 nel quale il pensiero dell‟eterno ritorno giunse a Nietzsche, al fine
di comprendere la portata dirompente che in tale pensiero Nietzsche ravvisa, non solo per se
stesso, ma per l‟umanità intera e a-venire; infatti, mostrandosi come un Giano bifronte che si
pronuncia sia come presupposto metafisico sia come imperativo categorico, esso si
configurerà come un compito da effettuare, come dottrina da insegnare, da donare, per
rendere presente, a tutti e a nessuno, la possibilità di rivoluzionare la propria vita qui ed ora.
Nel secondo capitolo si intraprenderà una perlustrazione panoramica delle tracce
principali dello Zarathustra – grammofono fondamentale del pensiero dell‟eterno ritorno –
attraverso le quali Nietzsche rende presente tale possibilità e dei motivi principali per cui tale
possibilità si delineerà come necessità, inevitabilità di corrispondere ad una fase di pericolo
cui l‟uomo è già soggetto suo malgrado, necessità di cominciare un cammino di metamorfosi,
andando incontro al pericolo, per superarlo definitivamente.
Infine, nel terzo capitolo si affronteranno le questioni della temporalità e della decisione
che, riconfluendo nella traiettoria iniziale della necessità della transizione e della rivoluzione,
si mostreranno come le chiavi di violino per la comprensione del cuore dell‟insegnamento
4
nietzscheano: volere qui ed ora ogni attimo della propria vita „come se‟ dovesse ritornare ogni
volta e eternamente nel medesimo modo.
Il compito che Nietzsche svolge, a partire dalla folgorazione, è quello di donare
all‟umanità un grande meriggio, un grande momento di riflessione e decisione su stessa, è
quello di donare all‟umanità un momento di grande coraggio nel quale guardare al proprio
futuro coscienti del passato: il compito di donare, per l‟eternità, il pensiero dell‟eterno ritorno
dell‟uguale.
5
Capitolo I
Sils-Maria, agosto 1881:
6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo
«Oh la nostra avidità! Io non sento nessun altruismo, e
sento invece un Sé che desidera tutto, che attraverso
molti individui vede come con i propri occhi e afferra
come con le proprie mani, un Sé che si riprende anche
tutto il passato, che non vuole perdere nulla di tutto
ciò che potrebbe essere suo».
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882.
1.1 Folgorazione
L‟eterno ritorno dell‟uguale è uno dei pensieri centrali che caratterizzano la riflessione
nietzscheana, segnandone una svolta fondamentale.
Nonostante pochi siano i luoghi in cui è possibile ravvisarne le tracce, tuttavia l‟eterno
ritorno dell‟uguale risulta di centrale importanza per una comprensione dell‟intero pensiero
nietzscheano, della sua evoluzione tra uno scritto e l‟altro, della portata filosofica di ogni
riflessione che lo ha interessato.
Come nasce l‟idea dell‟eterno ritorno dell‟uguale?
E‟ Nietzsche stesso a raccontarlo nell‟autobiografia Ecce homo, quando scrive:
«E ora racconterò la storia dello Zarathustra. La concezione fondamentale dell‟opera, il pensiero
dell’eterno ritorno, la suprema formula dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta –, è dell‟agosto 1881; è
annotato su di un foglio, in fondo al quale è scritto: “6000 piedi al di là dell‟uomo e del tempo”. Camminavo in
quel giorno lungo il lago di Silvaplana attraverso i boschi; presso una possente roccia che si levava in figura di
piramide, vicino a Surlei, mi arrestai. Ed ecco giunse a me quel pensiero»1.
1 F. Nietzsche, Ecce Homo, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 6 Abteilung – 3 Band,
Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1969; tr. it. di F. Masini,
Ecce homo, Adelphi, Milano 1986, p. 94.
6
Questo breve passo ci dice molto.
1) Che il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale è la concezione fondamentale dello
Zarathustra, cioè che il testo è concepito, ideato, prende forma attraverso il pensiero
dell‟eterno ritorno dell‟uguale; che accostarsi allo Zarathustra è anche avvicinarsi al pensiero
dell‟eterno ritorno dell‟uguale; che la lettura stessa dello Zarathustra „rende l‟idea‟
dell‟eterno ritorno dell‟uguale.
2) Che tale pensiero è dell‟agosto 1881. Nietzsche ha abbandonato l‟università da due
anni, ha completato la prima parte di Aurora (gennaio 1881) – nel marzo 1882 il manoscritto
integrale sarà pronto per la pubblicazione – e un anno dopo pubblicherà La gaia scienza: egli
si trova nel bel mezzo di quella fase in cui comincia a prendere le distanze dagli scritti del
vomere, dal „monumento della grande crisi‟ e in cui comincia la sua campagna „silenziosa‟
contro la morale della rinuncia a se stessi, comincia a dire di sì a tutte le cose, comincia ad
avvertire la salute e i raggi di un nuovo mattino, che produrranno più avanti in lui una „gaia
scienza‟.
Se al tempo de La nascita della tragedia si era rivolto ai Greci e alla saggezza
dionisiaca per fuggire la menzogna che domina la sua epoca, comprendendo che i Greci si
salvarono dall‟atrocità dell‟esistenza mediante la creazione artistica del mondo olimpico2, ora
Nietzsche è alla ricerca della scintilla attraverso la quale una rinascita della tragedia sia ancora
possibile, ma non trova più alcun rifugio nei confronti della degenerazione generale della sua
epoca, nemmeno nei maestri Arthur Schopenhauer e Richard Wagner, che per molto tempo
sono stati i suoi punti di riferimento; se prima arte, metafisica e religione erano gli strumenti
attraverso i quali penetrare il reale, ora la scienza, la critica radicale, il dubbio diventano i
mezzi coi quali quelle, e soprattutto la cultura generale del proprio tempo3, devono essere
sottoposte a giudizio4.
2 «Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell‟esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre
davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L‟enorme diffidenza verso le forze titaniche
della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l‟avvoltoio del grande amico degli
uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo […] fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta
e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dèi olimpici» (F. Nietzsche, Die Geburt der
Tragödie, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 3 Abteilung – 1 Band, Herausgegeben von
G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1973; tr. it. di G. Colli, La nascita della
tragedia, Adelphi, Milano 1982, p. 32).
3 «Nella personalità di Nietzsche si trovano istinti in netto contrasto con il mondo concettuale dei suoi
contemporanei. Egli si ribella con repulsione istintiva alle principali idee culturali di coloro con cui si è formato;
e non come si respinge un‟affermazione nella quale si è ravvisata una contraddizione logica, ma come ci si
distoglie da un colore che provoca dolore all‟occhio. La repulsione sorge dall‟immediato sentire; in un primo
momento non entra minimamente in gioco la riflessione cosciente. Ciò che gli altri uomini sperimentano quando
concetti come colpa, rimorso, peccato, aldilà, ideale, felicità, patria, attraversano la loro mente, agisce su
7
La nausea nei confronti della propria epoca nella sua interezza lo spinse ad una chiusura
in se stesso5, ma è proprio tramite questo movimento verso l‟interno che Nietzsche comprende
di aver contratto la malattia dell‟epoca, è proprio guardando alla sua intimità che scopre di
essere malato fin nel profondo e che, d‟altro canto, riesce a diagnosticare la propria malattia, a
darle un nome, un volto: il ressentiment e la décadence, il “pessimismo della stanchezza di
vivere”.
Così, solo con se stesso e con la propria malattia, sente la necessità di crearsi dei
compagni di viaggio e di porre un taglio netto nei confronti della tradizione, del passato e
guardare alla libertà, dirigersi verso la liberazione dalla propria malattia, verso la guarigione;
Nietzsche comincia la ricerca interiore, la sperimentazione in direzione del farmaco che possa
rendergli la grande salute6, ma alla fine comprende che la via per giungere ad essa passa
necessariamente per il problema dell‟appropriazione di sé, per il problema della gerarchia e
Nietzsche come qualcosa di sgradevole» (R. Steiner, Friedrich Nietzsche. Un lottatore contro il suo tempo, tr. it.
e a cura di P. Cammerinesi, Tilopa edizioni, Teramo-Roma 1985, p. 44).
4 «Il modo nietzscheano di condurre la battaglia è la rivelazione psicologica della genealogia della metafisica,
religione, arte e morale dagli istinti, per la maggior parte nascosti e sotterranei, e delle brame dell‟uomo; un
esame psicologico vale per lui come confutazione; egli non prende assolutamente in esame il grado di verità
della religione o della metafisica; per lui questo problema è già risolto se è possibile mostrare che le tendenze
della vita stanno dietro alla volontà di verità, che questa non è “disinteressata”, che nasce dal desiderio di
salvezza. Dall‟essere interessato e dall‟ansia di redenzione Nietzsche trae poi subito la conclusione: la volontà di
conoscenza metafisica è dunque soltanto un bisogno mascherato, una necessità troppo umana» (E. Fink, La
filosofia di Nietzsche, tr. it. di P. R. Traverso, Marsilio editori, Padova 1973, pp. 51-52).
5 «Lo sradicamento di Nietzsche dal suo tempo – da un tempo che, peraltro, ne informò profondamente il
pensiero – non poté non condurre ad un rinchiudersi del filosofo in se stesso, dove il „pericoloso dubitare‟,
divenuto motivo fondamentale esistenziale, poteva dare l‟illusione di un cosmo interiore completo ed in sé
fondato» (R. Steiner, Friedrich Nietzsche. Un lottatore contro il suo tempo, cit., p. 26).
6 «Mentre altri filosofi sperimentarono esclusivamente – nella creazione delle proprie visioni del mondo –
l‟elemento logico-speculativo del proprio pensare, Nietzsche dovette vivere in profondità nel proprio animo ciò
che a lui si offriva come pensiero dell‟epoca. Egli si chiese come fosse possibile vivere con le concezioni del
mondo dominanti, come l‟animo potesse evolversi immergendosi nei pensieri del suo tempo. Tale fu l‟impulso
interiore che lo portò a mettere in questione il valore della filosofia per la vita ed a voler fare – in prima persona
– della sua filosofia carne e sangue […]. Così, se altri pensarono la filosofia, Nietzsche dovette viverla» (ivi, pp.
27-28).
8
per il prospettivismo nel giudizio di valore7, comprende che la grande salute comincia con la
scoperta e la necessaria messa in atto del proprio compito8.
E‟ all‟interno di tale contesto che va collocato il giungere del pensiero dell‟eterno
ritorno dell‟uguale: esso è il varco che consente al „viandante e la sua ombra‟ Nietzsche di
proiettarsi verso il compito ardentemente atteso, è il sentiero verso la grande salute – di cui
tanto, e con molta sofferenza è andato alla ricerca – è il lampo che alla fine non è stato lui
stesso a trovare, bensì dal quale lui stesso è stato trovato:
«Si ode, non si cerca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con
necessità, senza esitazioni nella forma – io non ho mai avuto scelta […]. Tutto avviene in modo involontario al
massimo grado, ma come in turbine di senso di libertà, di incondizionatezza, di potenza, di divinità… La
involontarietà dell‟immagine, del simbolo è il fatto più strano; non si ha più alcun concetto; ciò che è immagine,
o simbolo, tutto si offre come l‟espressione più vicina, più giusta, più semplice»9.
L‟eterno ritorno dell‟uguale giunge, così come il personaggio di Zarathustra, si dà a
Nietzsche gratuitamente, nell‟involontarietà dell‟immagine, nonostante non fosse né atteso né
cercato; è uno splendore fulmineo che lo scuote e lo sconvolge nel profondo, è «una rinascita
7 Rivolgendosi allo spirito libero, intorno all‟enigma della grande separazione da ogni vecchia certezza,
Nietzsche dice: «Dovevi diventare padrone di te stesso, padrone anche delle tue virtù. Prima erano esse le tue
padrone; ma esse devono essere solo tuoi strumenti accanto ad altri strumenti. Dovevi acquistare il potere sul tuo
pro e contro e imparare a saperli a saperli staccare e riattaccare, secondo il tuo scopo superiore. Dovevi imparare
a comprendere ciò che appartiene alla prospettiva in ogni giudizio di valore: lo spostamento, la deformazione e
la teologia degli orizzonti e ogni altra cosa che fa parte della prospettiva […]; anche la parte di stupidità nei
confronti dei valori opposti e tutta la perdita intellettuale, con cui ogni pro e contro si fanno pagare. Dovevi
imparare a comprendere la necessaria ingiustizia di ogni pro e contro, l‟ingiustizia come inseparabile dalla vita,
la vita stessa come condizionata dalla prospettiva e dalla sua ingiustizia […]; dovevi guardare in faccia il
problema della gerarchia, e vedere come forza e diritto e comprensività della prospettiva crescano insieme in
altezza» (F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches I, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 4
Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1967;
tr. it. di S. Giametta, Umano, troppo umano I, Adelphi, Milano 1965, pp. 9-11).
8 «Solitario e ormai pieno di una cattiva diffidenza verso me stesso, presi in tal modo partito, non senza
rovello, contro di me e per tutto ciò che appunto mi faceva male e mi riusciva duro: così ritrovai la strada verso
quel valoroso pessimismo, che è l‟opposto di ogni ipocrisia romantica e anche, come oggi mi vuol sembrare, la
via verso “me” stesso, verso il mio compito. Quel nascosto ed imperioso qualcosa, per cui a lungo non troviamo
un nome, finché esso si rivela da ultimo come il nostro compito – questo tiranno che è dentro di noi si prende
una terribile rivalsa per ogni tentativo che facciamo di evitarlo e di sfuggirgli, per ogni rinuncia prematura, per
ogni nostro eguagliarci a coloro a cui non apparteniamo, per ogni attività quantunque pregevole, se essa ci storna
dalla nostra cosa principale, anzi per ogni virtù stessa che voglia proteggerci contro la durezza della nostra
responsabilità più peculiare. La malattia è ogni volta la risposta, quando vogliamo dubitare del nostro diritto al
nostro compito; quando, in un punto qualsiasi, cominciamo a farci le cose troppo facili. Strano e terribile
insieme! Sono i nostri alleviamenti, che dobbiamo scontare nel modo più duro! E se poi vogliamo tornare alla
salute, non ci resta scelta: dobbiamo caricarci più pesantemente di quanto lo fossimo mai stati prima…» (F.
Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches II, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 4 Abteilung – 3
Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1967; tr. it. di S.
Giametta, Umano, troppo umano II, Adelphi, Milano 1967, pp. 6-7).
9 F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 99.
9
nell‟arte dell‟ascoltare»10 che segna l‟inizio di un nuovo cammino, è il bagliore inatteso che
può consentire una rinascita della saggezza tragica, è un‟unica fune nella quale tutti i fili delle
precedenti riflessioni vengono stretti insieme in direzione del fine, del compito che la fune
stessa rappresenta e per cui gli si è offerta: legare insieme uomo, terra, vita e sollevarli,
innalzarli „a Sole‟ ed affermare così, nel modo supremo che possa mai essere raggiunto, la
loro prioritaria importanza rispetto a tutto il resto.
Non a caso dopo quell‟agosto 1881, in cui fa esperienza dell‟eterno ritorno dell‟uguale,
Nietzsche completerà la stesura di Aurora – in cui comincia la sua campagna contro la morale
della rinuncia a se stessi, in cui comincia il suo viaggio per mare verso i raggi di una nuova
aurora, in cui comincia il suo compito, «il compito di preparare l‟umanità a un momento di
suprema riflessione su se stessa, un grande meriggio»11 – e partorirà La gaia scienza – testo in
cui comincia a guardare alla sua “suprema speranza” e che contiene sia il celebre aforisma
125 su la “morte di Dio”, sia il primo annuncio dell‟eterno ritorno dell‟uguale, sia il nesso e il
rinvio allo Zarathustra12.
Ormai “è tempo”, è tempo che la tragedia cominci: la saggezza di Eraclito e quella del
dio Dioniso, che si fonderanno nella figura del maestro persiano, diverranno i suoi nuovi
compagni di viaggio affinché, per mezzo dell‟eterno ritorno dell‟uguale, la suprema formula
dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta, Nietzsche possa donare all‟umanità «il più
grande regalo che essa abbia mai avuto»13.
1.2 L’eterno ritorno come compito
Attraverso l‟eterno ritorno dell‟uguale, la suprema formula dell‟affermazione che possa
mai essere raggiunta, Nietzsche può dirigersi verso il proprio compito e la grande salute,
verso una rinascita della saggezza tragica: ma per quale ragione esso riveste un ruolo così
decisivo all‟interno della riflessione nietzscheana? Perché è solo per suo tramite che
10 Ivi, p. 94.
11
Ivi, p. 89.
12
Cfr. F. Nietzsche, Die Fröhliche Wissenschaft, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 5
Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1973;
tr. it. di F. Masini, La gaia scienza e Idilli di Messina, Adelphi, Milano 1965, libro III, af. 125, pp. 162-164; cfr.
libro IV, af. 341, pp. 248-249; cfr. libro IV, af. 342, pp. 249-250.
13
F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 13.
10
Nietzsche può cominciare a gettare il proprio sguardo verso il proprio compito e la grande
salute?
Forse “il foglio, in fondo al quale sta scritto 6000 piedi al di là dell‟uomo e del tempo”
può aiutare a far luce intorno al ruolo determinante che assume l‟eterno ritorno nel
pentagramma nietzscheano; vi si legge:
«Il ritorno dell’identico
Progetto
1. L‟assimilazione degli errori fondamentali.
2. L‟assimilazione delle passioni.
3. L‟assimilazione del sapere, anche del sapere che rinuncia. ( Passione della conoscenza ).
4. L‟innocente. Il singolo come esperimento. L‟alleggerimento della vita, svilimento, indebolimento –
transizione.
5. Il nuovo centro di gravità: l’eterno ritorno dell’identico.
Infinita importanza del nostro sapere, errare, delle nostre abitudini, modi di vita per tutto ciò che verrà. Che
faremo col resto della nostra vita – noi che ne abbiamo trascorso la maggior parte nell‟ignoranza più essenziale?
Insegniamo questa dottrina – è lo strumento più energico per appropriarcene noi stessi. Il nostro tipo di
beatitudine, come maestri della più grande dottrina.
Inizio agosto 1881 a Sils-Maria,
6000 piedi sul livello del mare
e molto più in alto di tutte le cose umane!»14.
Che cosa ne traspare?
Innanzitutto, nel frammento sotto esame l‟eterno ritorno dell‟uguale si conforma e si
mostra come „progetto‟: Nietzsche guarda alla propria epoca e nota la totale indifferenza
dominante nei confronti di quanto prima rendeva seria l‟esistenza del singolo individuo, cioè
il lavoro e le passioni, intese in modo innocente, come un gioco di un bambino; di
conseguenza, l‟intera esistenza è percepita nello stesso modo, perde di senso, di significato,
d‟importanza, la vita stessa ne risulta alleggerita, svilita, indebolita ed è il singolo uomo a
subirne le conseguenze.
Ma se questo è il panorama che si offre ai suoi occhi, la sua risposta è
„transizione‟, passaggio ad un altro modo d‟intendere il lavoro, le passioni, l‟esistenza, la vita,
la sua risposta è traghettare ad un modo d‟intenderli che permetta loro di riacquisire
significato e importanza; la transizione dunque, va da un modo di pensare ad un altro e mira
all‟assimilazione, all‟appropriazione degli errori, delle passioni, del sapere che rinuncia.
14 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente 1881-1882, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 5
Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari,Walter de Gruyter, Berlin-New York 1973;
tr. it. di M. Montinari, Frammenti postumi 1881-1882, Adelphi, Milano 1965, fr. 11 [ 219 ], p. 352.
11
Transitare ad un altro modo di pensare vuol dire primariamente chiedersi „che significa
conoscere?‟ e sperimentare sulla propria carne ciò che la domanda chiede là dove sono le
fonti della conoscenza stessa, e cioè nella vita e negli istinti, perché solo a partire da essi è
possibile una conoscenza.
E‟ chiaro come questo passaggio, questa sperimentazione comporti l‟abbandono di tutte
le certezze legate al vecchio modo di pensare che ha condotto allo svilimento di senso
dell‟esistenza, della vita, dell‟uomo; si tratta di «ASPETTARE di vedere fino a che punto il
sapere e la verità possano FONDERSI – e fino a che punto nell‟uomo si verifichi un
cambiamento, quando egli vivrà solo per conoscere»15 e quando questa passione della
conoscenza, in tutti i modi in cui possa esplicarsi, provochi un‟eccedenza di piacere
nell‟uomo. Il passaggio ad un altro modo di pensare comporta la necessità di dare un giudizio
sul passato, senza essere influenzati dalla compassione e dall‟umanità futura, e di vincere nei
suoi confronti perché «la questione è se noi vogliamo ancora vivere: e come!»16.
Il progetto eterno ritorno, così come si dà in tale frammento, chiama ad una grande
responsabilità ogni singolo uomo, perché chiede quale atteggiamento assumere nei confronti
di ciò resta della propria vita e invita a dare il peso dovuto al sapere, agli errori, alle abitudini,
ai modi di vita che sono stati finora condizionanti, incita a ripensarli secondo l‟idea
dell‟eterno ritorno dell‟uguale al fine di appropriarsi di questo resto.
Il pensiero dell‟eterno ritorno sconvolge nel profondo il trentasettenne Nietzsche perché
comprende che ciò che è in gioco, nel resto della propria vita, è se stesso, la sua vita intera e
perché comprende che l‟eterno ritorno è l‟unico mezzo che egli abbia a disposizione per
ridare importanza, per ripensare la sua vita e se stesso nella vita che gli resta; perciò può
affermare che esso è la suprema formula dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta,
perché esso è “lo strumento più energico”, più efficace per dare un contraccolpo al panorama
d‟indifferenza e di perdita di significato e di senso che aveva dinanzi agli occhi, è il mezzo – e
non il fine – per ridare importanza, per ripensare l‟esistenza, la vita, l‟uomo.
Se già due anni prima cominciava a pensare che la sua storia non fosse solo la propria
ma anche quella dell‟uomo europeo17, se la sua malattia – la dècadence e il ressentiment – è
15 Ivi, fr. 11 [ 220 ], p. 353.
16
Ibidem.
17
«Dovrebbe la mia vicenda – la storia di una malattia e di una guarigione, giacché essa mise a capo una
guarigione – essere solo la mia personale vicenda? […] in me cresce sempre più la fiducia che i miei libri di
pellegrinaggio non siano stati solo per me […]. Posso porgerli particolarmente al cuore e all‟orecchio di coloro
che sono affetti da qualche “passato”, e a cui resta abbastanza spirito da soffrire ancora dello spirito del loro
passato? Ma soprattutto li porgo a voi, che durate più fatica, a voi rari, più minacciati, più spirituali, più
coraggiosi, a voi che dovete essere la coscienza dell‟anima moderna e che come tali dovete averne la scienza, nei
quali si raccoglie tutto ciò che oggi ci può essere di malattia, di veleno e di pericolo – di cui la sorte vuole che
12
quella dell‟epoca, e se l‟eterno ritorno gli si mostra ora come l‟unico farmaco che consenta di
guarire da essa e ottenere la grande salute, allora è chiaro che Nietzsche non riterrà mai
questo come uno strumento utile solo ed esclusivamente a se stesso.
Per lo stesso motivo, il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale si delinea, nell‟attimo
successivo alla folgorazione, come un progetto e, di conseguenza, come „compito‟ perché in
esso Nietzsche riconosce la “suprema speranza” che dirige alla grande salute, ad una rinascita
della saggezza tragica e perché sa che «la nostra destinazione dispone di noi», sa che «è il
futuro che dà la regola al nostro oggi»18: si tratta di insegnare, di donare all‟umanità questa
dottrina che rende beati, in modo che anch‟essa guarisca dalla stessa malattia, in modo che
anch‟essa risponda alla perdita totale di senso che ora la caratterizza, in modo che ogni
singolo uomo ripensi e dia nuovamente importanza a se stesso e alla propria vita, in quel che
ne rimane di essa.
Ciò lo spingerà a condensare il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale in Così parlò
Zarathustra e in particolare nella figura del maestro persiano che, come specchio “per tutti e
per nessuno”, concepisce nel pensiero e nell‟azione il resto della propria vita, e con esso tutta
la sua vita, secondo la suprema formula dell‟affermazione che possa mai essere raggiunta.
1.3 L’eterno ritorno sul piano cosmologico
Ma è finalmente giunto il momento di chiedersi: che cos‟è l‟eterno ritorno dell‟uguale?
Come si dà l‟eterno ritorno dell‟uguale? Per quale ragione Nietzsche lo definisce come la
suprema formula dell‟affermazione?
Con queste domande ci si addentra in uno dei due volti che caratterizzano tale pensiero,
e cioè quello „cosmologico‟19. Per chiarire questo suo aspetto, è possibile seguire le
indicazioni che Nietzsche offre in alcuni frammenti postumi risalenti sempre a quel 1881 in
cui il pensiero dell‟eterno ritorno giunge a lui:
siate più malati di qualsiasi altro individuo, perché voi non siete “solo individui”…, la cui consolazione è di
sapere, ahimé!, e di percorrere la via verso una nuova salute, verso una salute di domani e di posdomani, voi
predestinati, voi vittoriosi, voi superatori del tempo, voi sanissimi, voi fortissimi, voi buoni Europei!» (F.
Nietzsche, Umano, troppo umano I, cit., p. 9).
18
Ivi, p. 10.
19
Per la comprensione della duplicità dell‟eterno ritorno, cfr. K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, tr. it. di
S. Venuti, Laterza, Roma-Bari 1982, pp. 84-95.
13
«Il mondo delle forze non patisce alcuna riduzione: altrimenti nel tempo infinito si sarebbe indebolito e
sarebbe scomparso. Il mondo delle forze non patisce alcuna immobilità: altrimenti sarebbe stata raggiunta, e
l‟orologio dell‟esistenza sarebbe fermo. Il mondo delle forze non raggiunge dunque mai un equilibrio, non ha
mai un attimo di tranquillità, la sua forza e il suo movimento sono uguali in ogni tempo. Qualunque stato questo
mondo possa raggiungere, deve averlo già raggiunto e non una volta sola, ma innumerevoli. Questo istante per
esempio: c‟è già stato una volta e molte volte, e tornerà allo stesso modo, con tutte le forze ripartite esattamente
come ora; e lo stesso vale per l‟istante che ha dato vita a quello presente, e per quello che ne è figlio»20
.
Che cosa si nota in questo primo frammento?
Che Nietzsche dice qualcosa in merito alla totalità delle cose, all‟ente nella sua totalità;
e come si qualifica, come si caratterizza, com‟è costituita tale totalità ai suoi occhi? In che
modo tale totalità gli si dà a vedere? Qual è l‟ordine secondo cui tale totalità gli si presenta,
gli si mostra? Qual è la legge che la regola, che la governa?
Per prima cosa dunque, in tale frammento, si afferma che ciò che qualifica, caratterizza,
costituisce la totalità è un movimento, un dinamismo, un divenire che non conosce variazione
nel tempo infinito, che non conosce alcuna perdita, né mira ad una stasi ultima; se fosse
altrimenti, o non sarebbe più una totalità o sarebbe già terminata o non avrebbe alcun
movimento. Se tale movimento è ciò che primariamente struttura la totalità, allora proprio
perciò qualunque grado, stadio, ogni singolo modo d‟essere è capace di conseguire,
procurarsi, ottenere, la totalità lo ha già ottenuto infinite volte: ciò vale non solo per ogni
istante, come questo qui ed ora, e compresi quello che lo precede e quello che lo segue, ma
per ogni singolo elemento inscritto nella totalità e ogni modalità attraverso la quale ognuno si
mostra, nel movimento senza variazione e senza meta; ogni cosa è già stata raggiunta
dall‟universo per un numero incalcolabile di volte e tornerà nuovamente ad essere raggiunta,
ogni volta, nello stesso modo in cui per quel numero incommensurabile di volte è già stata
raggiunta.
Se il moto – attraverso i singoli elementi e attraverso i singoli modi d‟essere di essi, di
cui la totalità rappresenta l‟insieme, il tutto, l‟unità – che qualifica la totalità si configura in tal
modo, cioè senza inizio né fine, incessabile, indistruttibile, perpetuo, ciò vuol dire che essa
stessa è questo moto, è questo divenire perpetuo che torna sempre in modo invariato nelle
singole parti; ma se essa stessa è questo moto senza inizio né fine, incessabile e perpetuo,
allora vuol dire che essa è eterna, increata, a-teleologica.
Dunque, se la totalità, l‟insieme, l‟unità è eterna, è un divenire perpetuo che torna
sempre in modo invariato nelle singole parti, allora in che modo è possibile rappresentarla?
20 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 235 ], pp. 358-359.
14
Quale simbolo è efficace al fine di dire, di rappresentare la totalità, l‟unità, il divenire
perpetuo che torna sempre in modo invariato nelle singole parti?
Il simbolo del circolo, della curva senza inizio né fine: l‟anello. Ma, afferma Nietzsche:
«Guardiamoci dal pensare come divenuta la legge di questo ciclo circolare, secondo la falsa analogia del
movimento circolare all’interno dell‟anello: non c‟è stato all‟inizio il caos e poi, gradualmente, un movimento
più armonico e infine stabilmente circolare di tutte le forze: no, tutto è eterno, non è divenuto; se c‟è stato un
caos di forze, anche questo caos è eterno e ritorna in ogni anello. Il movimento circolare non è qualcosa che è
divenuto, è la legge primaria, così come la quantità di energia è legge primaria, senza eccezione né trasgressione.
Tutto il divenire ha luogo nell‟ambito del movimento circolare e della quantità di energia; non bisogna dunque,
con false analogie, prendere i cicli che divengono e trascorrono, come quelli degli astri, l‟alta e la bassa marea, il
giorno e la notte, le stagioni, per caratterizzare il ciclo eterno»21
.
Il movimento che caratterizza la totalità non ha dunque avuto un inizio in cui si è dato in
un certo modo attraverso le singole parti e poi via via ha assunto un ritmo costante e stabile
attraverso di esse – così come è possibile pensare secondo il falso paragone al movimento
circolare all‟interno dell‟anello o dei cicli degli astri, dell‟alta e bassa marea, del giorno e
della notte, delle stagioni; il movimento di questo ciclo circolare non è divenuto, non si è
modificato, trasformato nel suo scorrere, bensì è eterno, perpetuo, costante fin dalla sua
origine. Se all‟inizio il movimento si è dato in un certo modo, esso continuerà a darsi ogni
volta e eternamente così come si è dato all‟inizio; darsi ogni volta e eternamente nello stesso
modo dell‟inizio, non è lo stesso che darsi ogni volta e eternamente in modo simile all‟inizio,
perché «il simile non è un grado dell‟identico: ma qualcosa di totalmente diverso
dall‟identico»22.
E allora ecco che cos‟è l‟eterno ritorno dell‟uguale nel suo volto cosmologico: è la
“legge primaria” secondo cui la totalità, l‟unità, l‟insieme di tutte le cose è soggetta, ordinata,
governata, costituita: esso nomina il tutto, l‟unità, l‟insieme di tutte le cose, dice in che modo
la totalità si mostra, dice che essa è eterna, increata, a-teleologica, che eternamente diviene
ogni volta nel medesimo modo in cui, “se c‟è stato”, si è dato all‟inizio.
Ma che cos‟è la totalità di tutte le cose, l‟insieme, l‟unità se non ciò che esiste,
l‟universo, il cosmo, il mondo?
Ebbene, l‟eterno ritorno dell‟uguale ha un ruolo decisivo perché dice che l‟universo, il
cosmo, il mondo, l‟esistenza è soggetta, ordinata, governata da questa “legge primaria”, dice
21 Ivi, fr. 11 [ 258 ], pp. 365-366.
22
Ivi, fr. 11 [ 274 ], p. 370.
15
che l‟esistenza è eterno ritorno dell‟uguale, che essa è eterna, increata, a-teleologica, dice che
ogni singolo ente e ogni singolo modo d‟essere di ognuno diviene ogni volta e eternamente
sempre nello stesso modo, afferma che l‟energia, la forza che si muove attraverso ogni
singolo ente non subisce alcuna perdita, non si accresce, né mira ad un fine ultimo, ma è
eterna e ogni volta per l‟eternità ritorna sempre nella stessa costanza, quantità, frequenza; esso
dichiara che niente cessa, svanisce, si distrugge, ma che tutto ritorna ogni volta per l‟eternità
sempre nello stesso modo:
«Uomo! Tutta la tua vita verrà perpetuamente girata come una clessidra e perpetuamente avrà fine – un
grande minuto di tempo fra l‟una e l‟altra, finché tutte le condizioni che ti hanno prodotto tornino a coincidere
nel ciclo dell‟universo. E poi tu ritroverai ogni dolore e ogni piacere, e ogni amico e ogni nemico, e ogni
speranza e ogni errore, e ogni filo d‟erba e ogni raggio di sole, l‟intero complesso di tutte le cose. Questo anello
di cui tu sei un grano tornerà sempre a splendere»23
.
Anche per l‟uomo, per la sua vita, per la sua morte, per ogni sua passione, per ogni suo
amico e nemico, per ogni speranza ed errore, così come per ogni filo d‟erba e raggio di sole,
per tutte le cose esistenti senza alcuna eccezione vale la legge dell‟eterno ritorno dell‟uguale:
«Guardiamoci dall‟attribuire a questo ciclo circolare un‟aspirazione, un fine: oppure dal giudicarlo noioso,
stupido ecc. in base ai nostri bisogni. Certo, in esso è presente il massimo grado di irrazionalità come anche il
suo contrario: ma non lo si deve valutare in base a ciò, ragionevolezza e irragionevolezza non sono predicati
dell‟universo»24
.
E‟ chiaro come il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, nel suo volto cosmologico,
abbia una valenza dirompente: esso si dà come legge metafisica, ontologica, nomina l‟ente
nella sua totalità, l‟Essere dell‟ente, dice che l‟uno-tutto è eterno ritorno dell‟uguale.
Dicendo l‟Essere, cioè caratterizzandolo come eterno divenire e eterno tornare ogni
volta, circolarmente, nel medesimo modo, senza perdite, senza guadagni, senza fine ultimo e
senza ragionevolezza né irragionevolezza, il pensiero dell‟eterno ritorno afferma, nel
contempo, che domina l‟ente nella sua totalità come “legge primaria”, che esso accade così e
non altrimenti, che necessariamente si dà in tal modo e sempre nel medesimo modo, che in
esso non c‟è libertà, eventualità, contingenza; esso dice che tutto ciò che è, avviene solo ed
esclusivamente nel movimento circolare eterno ed eternamente in modo identico, che tutto ciò
che è „è movimento circolare stesso‟ e al di fuori di esso non v‟è nient‟altro.
23 Ivi, fr. 11 [ 235 ], p. 359.
24
Ivi, fr. 11 [ 258 ], pp. 365-366.
16
Ecco perché Nietzsche si sente sconvolto nel profondo al sopraggiungere del pensiero
dell‟eterno ritorno dell‟uguale, perché se esso dice l‟uno-tutto, se il simbolo dell‟anello è
metafora di esso, se è la sua “legge primaria”, allora «sarebbe orribile se credessimo ancora
nel peccato: invece qualunque cosa noi faremo, in infinita ripetizione, è innocente»25.
Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, dicendo che l‟esistenza è eterna, increata e a-
teleologica, nega l‟esistenza di un Dio creatore e la conformazione morale del reale, nega
l‟esistenza di un al di là, di un „dopo la morte‟ – sia l‟inferno o il paradiso – nega che il
peccato, la colpa, la punizione, la ricompensa, il bello, il giusto, il bene e quant‟altro siano
inscritti negli enti; non ci sono „giudizi umani‟ nella costituzione delle cose, non c‟è libertà,
giustizia, onore, progresso, valori, pretese, scopi, ideali, modelli, verità, c‟è solo questa “legge
primaria”, questa necessità, inevitabilità, fatalità: l‟eterno divenire e l‟eterno tornare di tutti gli
enti nel medesimo modo, l‟innocenza del divenire:
«Guardiamoci dall‟insegnare una tale dottrina come un‟improvvisa religione! Essa deve penetrare
lentamente, intere generazioni debbono lavorarci e divenire fertili per essa – così da diventare un grande albero
che proietti la sua ombra su tutta l‟umanità a venire. Cosa sono i due millenni del cristianesimo! Per il più
possente dei pensieri ci sarà bisogno di molti millenni – per lungo, lungo tempo dovrà essere piccolo e
impotente!»26.
1.4 L’eterno ritorno sul piano etico
Ma se l‟eterno ritorno dell‟uguale si configura in tal modo, cioè come volto dell‟Essere,
come legge ontologica necessaria e ineluttabile cui tutto è soggetto, cioè non prevede a livello
cosmologico libertà, possibilità, differenza, allora come può essere la suprema formula
dell‟affermazione del singolo uomo e, con questi, della vita, dell‟esistenza? Se esso è la legge
necessaria che regge tutti gli enti, e l‟uomo stesso è un ente tra gli enti, allora che ne è
dell‟uomo? Come può affermare l‟uomo, se con esso viene meno la sua libertà, la sua
indipendenza, la sua autonomia, la sua volontà? Che ne è della volontà di ogni singolo uomo,
se la sua volontà perde d‟importanza di fronte all‟inevitabilità del ritorno? Non rappresenta
forse l‟eterno ritorno dell‟uguale, come legge ontologica, una negazione, una degradazione,
anziché la suprema formula dell‟affermazione dell‟uomo? Come può l‟uomo appropriarsi,
25 Ivi, fr. 11 [ 229 ], p. 356.
26
Ivi, fr. 11 [ 263 ], p. 367.
17
dare importanza a se stesso e alla propria vita, in quel che ne rimane di essa, di fronte a tale
fatalità? Anziché dare un contraccolpo all‟indifferenza e alla perdita di significato generali
che Nietzsche ravvisa nella propria epoca, il pensiero dell‟eterno ritorno non infligge il colpo
di grazia nei confronti dell‟uomo? Qual è il suo volto antropologico?
Scrive Nietzsche: «in ogni anello dell‟esistenza umana c‟è sempre un momento in cui
prima in uno, poi in molti, poi in tutti affiorerà il pensiero più possente, quello dell‟eterno
ritorno di tutte le cose – e ogni volta per l‟umanità è l‟ora del meriggio»27, c‟è sempre un
momento in cui nell‟uomo emergerà tale pensiero, in cui lo penserà. Che significa per l‟uomo
pensare l‟eterno ritorno dell‟uguale? Quali effetti, quali reazioni, quali conseguenze suscita
nell‟uomo pensare tale pensiero?
«Verifichiamo che effetti ha avuto finora il pensiero che qualcosa si ripeta (l‟anno per esempio, oppure
malattie periodiche, veglia e sonno ecc.). Se anche il ripetersi circolare è solo una probabilità o una possibilità,
già il pensiero di una possibilità può sconvolgerci e cambiarci, e non solo le nostre sensazioni e aspettative!
Come sono stati grandi gli effetti della possibilità della dannazione eterna!»28
.
Finora, il pensiero che qualcosa si ripeta è significato cambiare modo d‟intenderla, di
pensarla, agire in funzione di tale cambiamento, abituarsi al cambiamento d‟intendere la cosa
e di agire in conseguenza di esso.
Si immagini allora quali cambiamenti può effettuare pensare che un eterno ritorno
dell‟uguale è possibile, se lo paragoniamo agli effetti che ha esercitato nell‟uomo il pensiero
che una dannazione eterna fosse possibile. Il pensiero della possibilità di una dannazione
eterna ha provocato dei cambiamenti nel modo di pensare e di agire degli uomini, ha
provocato dei cambiamenti nelle loro abitudini e nel loro modo di percepire il reale, ogni cosa
di cui esso è costituito, il loro vivere stesso; certo, il riscontro tangibile di questa possibilità
non si è mai verificato, eppure tale possibilità ha rivoluzionato la percezione dell‟intera
esistenza.
Come è accaduto per questa, così il pensiero della possibilità di un eterno ritorno
dell‟uguale può sviluppare delle conseguenze a livello totale per gli uomini e per l‟esistenza,
può rivoluzionare il nostro modo di percepire l‟esistenza, il nostro modo di pensare, di agire,
di rapportarci con noi stessi, con gli altri e con le cose, può mutare radicalmente il nostro
modo di vivere in una direzione diametralmente opposta rispetto alla rivoluzione che il
27 Ivi, fr. 11 [ 235 ], p. 359.
28
Ivi, fr. 11 [ 317 ], p. 382.
18
pensiero della possibilità di una dannazione eterna ha conseguito (nonostante come questa
non possa fornire un riscontro tangibile di se stesso). Ma per quale motivo?
Perché pensare che è possibile a livello cosmologico, cioè ritenere che ontologicamente
l‟eterno ritorno dell‟uguale dice l‟Essere, lo mostra e dunque lo qualifica, caratterizza,
costituisce, governa, ordina, significherebbe, da un punto di vista antropologico, che, affinché
l‟uomo „mostri essere‟ e quindi si qualifichi, acquisisca carattere, costituzione, governo,
ordine, „deve dirsi come eterno ritorno dell‟uguale‟; e come può l‟uomo dirsi come eterno
ritorno dell‟uguale?
L‟uomo è un ente tra gli enti che pensa e agisce e vuole, si pone degli scopi, un ente che
possiede corpo, istinti, che è nel mondo, vive: ma il mondo, l‟ente nella sua totalità, ora è
pensato come eterno divenire ed eterno tornare ogni volta, circolarmente, nel medesimo modo
e proprio perciò la sua forza, il suo movimento è senza perdite, senza guadagni, senza fine
ultimo e senza ragionevolezza né irragionevolezza – in ogni istante e in ogni elemento e in
ogni modo d‟essere di ognuno; il mondo è eterno ritorno dell‟uguale, l‟essere del mondo è
eterno ritorno dell‟uguale; e l‟uomo fa parte del mondo, quindi anch‟egli, che pensa ora
l‟essere del mondo come eterno ritorno dell‟uguale, è già inscritto in esso.
Allora, se comprende ciò, si tratta di esser consapevolmente eterno ritorno dell‟uguale,
si tratta di pensarsi totalmente – nell‟agire, nella volontà, negli istinti, nella vita – come eterno
divenire e tornare ogni volta nel medesimo modo affinché la sua forza, il suo movimento sia
senza perdite, senza guadagni, senza fine ultimo e senza ragionevolezza né irragionevolezza –
in ogni istante e in ogni lato di sé e in ogni modo d‟esso – si tratta di pensarsi
consapevolmente nell‟interezza secondo la legge della necessità.
E ciò significa «per prima cosa il necessario – e più bello e perfetto che puoi!
“Ama ciò che è necessario” – amor fati, questa sarebbe la mia morale, fagli tutto il bene
possibile e innalzalo al di sopra della sua orribile origine, fino a te»29; prima di tutto bisogna
amare il necessario nel senso di tendere ad esso, desiderarlo, bramare ciò di cui si necessita:
ma di cosa si necessita?
«Il delirio politico di cui oggi sorrido, come i contemporanei sul delirio religioso di epoche precedenti, è
innanzitutto secolarizzazione, credenza nel mondo e abbandono delle idee di “aldilà” e di “mondi retrostanti”. Il
suo scopo è il benessere dell‟individuo transitorio: perciò il suo frutto è il socialismo, vale a dire: i singoli
INDIVIDUI transitori vogliono conquistarsi la loro felicità mediante la secolarizzazione, e non hanno alcun
motivo di aspettare, come fanno gli uomini con anime eterne ed eterno divenire e futuro migliorare. La mia
dottrina dice: vivere in modo da doversi augurare di tornare a vivere, questo è il compito – e rivivrai comunque!
29 Ivi, fr. 13 [ 20 ], p. 434.
19
Chi prova il maggior benessere affaticandosi, si affatichi; chi si sente meglio a riposo, riposi; chi trova piacere
nell‟inquadrarsi, seguire, obbedire, obbedisca. Soltanto sia cosciente di ciò che lo fa star bene e non rifugga da
alcun mezzo! E‟ in gioco l‟eternità!»30
.
Ciò di cui si necessita è il benessere, il piacere, la felicità. Nietzsche, guardando alla sua
epoca, si rende conto che la fede nell‟aldilà sta già venendo meno per via del processo di
secolarizzazione e che ogni singolo individuo preferisce guardare al mondo e al benessere,
alla felicità – però sempre secondo l‟idea della transitorietà, della provvisorietà, della
caducità, della mortalità – anziché attendere la seconda venuta di Cristo e la risurrezione dei
morti e l‟aldilà come fanno i credenti; ma Nietzsche vuole suggerire all‟umanità di ricercare il
piacere e la felicità non a partire dall‟idea della transitorietà, della provvisorietà, della
caducità, per effetto della secolarizzazione, ma dall‟idea dell‟eternità: «questa dottrina è
indulgente verso coloro che non credono, non ha inferni né minacce. Chi non crede in essa, ha
la coscienza di una vita fugace»31.
Secondo Nietzsche, si tratta di vivere nel modo che ognuno ritiene più consono a se
stesso, in modo da desiderare di tornare a vivere e tenendo a mente che si rivivrà lo stesso,
quindi è necessario essere effettivamente coscienti di ciò che ci procura benessere e felicità,
perché ciò che ora ci si procura, tornerà nuovamente ad essere procurato nello stesso modo
per l‟eternità: ma come fare? Come capire ciò che effettivamente procura piacere e felicità?
E qui si ritorna all‟inizio. Per comprendere, conoscere ciò che effettivamente procura e
felicità, bisogna
«intendere tutto in divenire, negarci come individui, guardare il mondo con quanti più occhi è possibile,
vivere negli istinti e nelle attività per farci gli occhi, abbandonarci temporaneamente alla vita per poi
abbandonarvi temporaneamente l‟occhio; gli istinti come fondamento di tutta la conoscenza, ma sapere dove
diventano nemici della conoscenza: insomma ASPETTARE di vedere fino a che punto il sapere e la verità
possano FONDERSI – e fino a che punto nell‟uomo si verifichi un cambiamento, quando egli finalmente vivrà
solo per conoscere. Questa è la coerenza della passione della conoscenza: perché possa esistere non esiste alcun
mezzo se non quello di mantenere anche le fonti e le potenze della conoscenza, ossia gli errori e le passioni, dalle
cui lotte essa trae la forza che la fa vivere. – Come si presenterà questa vita in relazione alla sua somma di
benessere? Un gioco di bambini a cui guarda l‟occhio del saggio; controllare questa e quella condizione – e la
morte, se ciò non è possibile»32.
30 Ivi, fr. 11 [ 268 ], pp. 368-369.
31
Ivi, fr. 11 [ 265 ], p. 367.
32
Ivi, fr. 11 [ 220 ], p. 353.
20
Per capire che cosa procura effettivamente piacere e felicità, è necessario sperimentare
sulla propria carne in tutti i modi possibili che cosa significa conoscere, ma per far ciò,
bisogna primariamente, provvisoriamente e pazientemente abbandonarsi alla vita e agli istinti
per cominciare a far luce intorno a ciò; è necessario prendere gli istinti e le passioni come
base del conoscere anche a rischio di sbagliare, perché sono proprio gli errori la linfa da cui la
conoscenza stessa trae vigore, forza, attuazione; non ci sono altre fonti che consentono di
comprendere ciò che causa piacere e felicità se non gli istinti e le passioni stessi, bisogna
pazientare fino al momento in cui l‟uomo non viva altro se non per il piacere e la felicità di
conoscere ciò che gli procura il piacere e la felicità stessi. Quando avverrà questo
cambiamento, quando l‟uomo conoscerà per il piacere di conoscere ciò che procura piacere, la
vita si mostrerà come „un gioco di un fanciullo‟: è questo che ambisce il veramente sapiente.
Quindi sarà anche necessario
«mettere sulla bilancia il passato, il nostro e tutto quello dell‟umanità, e dobbiamo anche prevalere su di
esso – no! questo pezzo di storia si ripeterà e dovrà ripetersi in eterno, questo possiamo escluderlo dai nostri
calcoli, dato che non abbiamo nessuna influenza al riguardo: anche se aggrava la nostra compassione e parla
contro la vita in generale. Per non venirne sconvolti, la nostra compassione non dev‟essere eccessiva.
L‟indifferenza deve aver lavorato a fondo in noi, e anche il piacere della contemplazione. Anche l‟infelicità
dell‟umanità futura non ci deve riguardare per nulla. Ma la questione è se noi vogliamo ancora vivere: e
come!»33.
Verrà il momento in cui si dovrà dare un giudizio su tutto il passato e si dovrà uscire
trionfanti anche nei suoi confronti perché è questa vita che deve essere valorizzata, perché
l‟eterno ritorno non garantisce il suo carattere di verità, non garantisce che abbiamo l‟eternità
a disposizione per farlo; bisognerà aver fatto passi da gigante nel piacere della conoscenza,
per non venire sconvolti da questo tremendo aspetto.
E‟ necessario «non volgere lo sguardo a lontane, sconosciute beatitudini e benedizioni e
grazie, ma vivere in modo tale da voler tornare a vivere di nuovo, e voler vivere così in
eterno! Il nostro compito ci appressa a ogni istante»34: per l‟uomo, dirsi come eterno ritorno
dell‟uguale significa concepirsi secondo la metafora del circolo, dell‟anello e dunque si tratta
per lui di “vivere in modo tale da voler tornare a vivere di nuovo, e voler vivere così in
eterno”, cioè vivere secondo la legge del ritorno, pensare la propria vita secondo il ritorno e
praticarla, viverla in modo tale che la propria volontà coincida con la legge del ritorno; non
33 Ibidem.
34
Ivi, fr. 11 [ 266 ], p. 367.
21
deve più guardare all‟aldilà, a un Dio morale, non deve più interpretare l‟esistente come
configurato secondo un preciso ordine morale né pensare se stesso secondo questo ordine;
non deve ritenere esistenti il peccato, la colpa, la punizione, la ricompensa, la salvezza, la
giustizia35.
«Che faremo col resto della nostra vita – noi che ne abbiamo trascorso la maggior parte
nell‟ignoranza più essenziale?»36: questa è la domanda che sorge in ognuno quando si pensa
che un eterno ritorno dell‟uguale è possibile; la risposta, l‟imperativo è «imprimiamo
l‟immagine dell‟eternità sulla nostra vita! Questo pensiero ha molto più contenuto di tutte le
religioni, che disprezzano la vita in quanto transitoria e hanno insegnato a guardare a un‟altra,
incerta vita»37.
E da che cosa sono scaturiti la décadence e il ressentiment se non da una interpretazione
dell‟uno-tutto, dell‟esistenza secondo la visione che ne ha fornito il “platonismo del popolo”?
La malattia di cui Nietzsche è affetto, e che riscontra essersi propagata a livello generale
nella propria epoca, scaturisce proprio dall‟interpretazione morale dell‟esistenza che svilisce
questa vita esaltandone l‟altra vita38: questo è il panorama che Nietzsche ha di fronte agli
occhi quando osserva la perdita totale d‟importanza nei confronti della vita, delle passioni, del
corpo, del conoscere, dell‟intera esistenza ed è l‟interpretazione morale dell‟esistenza che ne è
la causa; questo modo di pensare ha originato la décadence, il ressentiment, il pessimismo
della stanchezza di vivere: essi sono gli effetti scaturiti dal pensiero, poi divenuto abitudine,
che un ordine morale, un Dio creatore, un aldilà e quant‟altro sono possibili.
L‟ignoranza nella quale l‟uomo è vissuto finora riguardava l‟origine della malattia: essa
scaturiva dal pensiero, dall‟aver pensato ad una possibilità secondo cui potrebbe disegnarsi
35 «Nietzsche ravvisa in ogni fede nell‟aldilà, in un mondo altro da quello in cui l‟uomo vive, un segno di
particolare debolezza umana. Secondo lui non si può far peggior torto alla vita di quello di dirigere la propria
esistenza di qua in prospettiva di un‟altra vita nell‟aldilà. Non si può commettere errore peggiore del supporre,
dietro le manifestazioni di questo mondo, l‟esistenza di entità inaccessibili alla conoscenza dell‟uomo, le quali,
per di più, dovrebbero esserne il vero fondamento, ciò che ne determina l‟esistenza» (R. Steiner, F. Nietzsche.
Un lottatore contro il suo tempo, cit., pp. 52-53).
36
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 219 ], p. 352.
37
Ivi, fr. 11 [ 264 ], p. 367.
38
«Ciò che Nietzsche combatte come “Dio” è, dunque, anzitutto, il rapporto tra idea ontologica e ideale
morale. In “Dio”, secondo Nietzsche, viene pensata la svalutazione delle cose che sussistono sulla terra, provate
dalla testimonianza dei sensi, che vengono considerate apparenza priva di essenza, e, contemporaneamente,
viene condannata la vita dei sensi e degli istinti, intesa come il “male”; in “Dio” viene posto come Assoluto, un
Essere fantastico, immaginario, puramente pensato, senza tempo; e con ciò l‟Essere che si muove nel tempo
delle cose terrene, l‟unico reale, viene defraudato proprio della sua genuina realtà. “Dio” significa dunque per
Nietzsche, anzitutto, non una forza religiosa, ma una determinata ontologia, che si formula contemporaneamente
anche come una determinata morale nemica della vita. Il pensiero di “Dio” è il vampiro della vita; esso significa
per Nietzsche una ontologia morale e una morale ontologizzante: ciò che è fisso, eterno, le idee, sono anche il
bene; il volgersi verso le idee è la vera moralità dell‟uomo, è elevazione al di sopra dei vincoli dei sensi, quanto
più astratta, spirituale, intellettuale, tanto più morale» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 157).
22
l‟intera esistenza, una possibilità che non può essere verificata tangibilmente e che ha
cambiato la storia degli uomini, provocando quegli specifici effetti. Ma se questo era ciò che
principalmente l‟uomo ignorava e se questi sono gli effetti che il pensiero che una
costituzione morale delle cose è possibile ha provocato, allora Nietzsche propone di vincere
questi effetti – risalendo prima all‟origine di essi e poi all‟origine di ciò che spinge ad
un‟interpretazione morale dell‟esistenza – passando ad un altro modo di pensare che ruoti
attorno ad un altro centro di gravità, ad un‟altra possibilità, cioè attorno al pensiero dell‟eterno
ritorno uguale39.
Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale priva l‟uomo della sua libertà, indipendenza,
autonomia, volontà, nega l‟importanza dell‟uomo da un punto di vista cosmologico, in quanto
lo rende soggetto come tutti gli altri enti, nessuno escluso, alla legge necessaria, inviolabile
cui l‟intera esistenza è sottomessa; ma da un punto di vista antropologico, e in opposizione ad
un modo di pensare per categorie morali, è „la suprema formula dell‟affermazione‟ della sua
libertà, della sua autonomia, della sua volontà, del suo libero arbitrio, della sua innocenza nel
divenire, esalta la sua importanza e quella della sua vita, dei suoi istinti, del suo corpo, della
sua felicità, del suo piacere e, innalzando l‟universo che è ogni singolo uomo, esalta l‟intera
esistenza, la vita stessa40. E come? In che modo tale pensiero compie tutto ciò?
Sulla base dell‟idea della possibilità di un‟innocenza del divenire dal punto di vista
cosmologico che, ribaltandosi in quello antropologico, svolge la funzione di „come se‟, di
finzione e dunque di imperativo etico col quale l‟uomo può gettarsi qui ed ora nel fiume della
vita e degli istinti al fine di sperimentare, tentare in tutti i modi possibili di sviluppare un
modo di conoscere che coincida un domani col piacere di vivere la propria vita come un gioco
di un fanciullo.
E Nietzsche vuole fare questo dono all‟umanità, vuole donarle il pensiero che un eterno
ritorno di tutte le cose è possibile (anche se non si può certificare la sua verità), vuole svolgere
questo compito, «il compito di preparare l‟umanità a un momento di suprema riflessione su se
stessa, un grande meriggio»41, prepararla ad una grande decisione e ad una grande
39 «Se Nietzsche si impegna in una battaglia spirituale, non lo fa per opporsi alle opinioni altrui in quanto tali,
bensì perché tali opinioni rimandano a quegli istinti pericolosi e contrari alla natura che egli intende combattere
[…]. Se i suoi istinti percepiscono come nocivi quelli dell‟avversario non cerca altri motivi per la lotta; non
ritiene di dover combattere in qualità di paladino di un qualche ideale, bensì scende nell‟arena spintovi dai suoi
istinti» (R. Steiner, F. Nietzsche. Un lottatore contro il suo tempo, cit., pp. 58-59).
40
«Con l‟eterno ritorno dell‟identico la vita s‟impone nel suo stesso positivo divenire esaltato al massimo
grado, poiché l‟eterno ritorno si configura, in ultima analisi, come l‟affermazione infinita della ripetizione della
vita del singolo (nonché di tutti gli eventi del mondo)»; (J. Köhler, Il segreto di Zarathustra, tr. it. di P. Fontana,
a cura di F. Minazzi, Rusconi, Milano 1994, p. 13).
41
F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 89.
23
responsabilità nei propri confronti e nei confronti dell‟intera esistenza, della vita, perché è a
conoscenza oramai della fatalità che «ognuno deve organizzare il caos in sé, concentrandosi
sui suoi bisogni veri»42, sa che bisogna cominciare a mettere in atto le due
«Tendenze fondamentali:
1) Diffondere in tutti i modi possibili l‟amore per la vita, per la propria vita! Qualunque cosa si inventi
il singolo a tal fine, l‟altro dovrà ammetterla e imparare una nuova, grande tolleranza verso di ciò; anche se
spesso andrà contro il suo gusto, se il singolo accresce veramente la sua gioia di vivere!
2) Essere uniti nell‟ostilità verso tutto e tutti coloro che cercano di insinuare sospetti sul valore della
vita: verso i cupi e gli scontenti e i brontoloni. Impedire la loro procreazione! Ma la nostra ostilità deve diventare
essa stessa uno strumento di gioia per noi! Quindi ridere, prendere in giro, distruggere senza accanimento!
Questa è la nostra lotta a morte!
Questa vita – la tua vita eterna!»43
.
42 F. Nietzsche, II. Unzeitgemasse Betrachtungen. Von Nutzen und Nachteil der Historie fur das Leben,
Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 3 Abteilung – 1 Band, Herausgegeben von G. Colli und M.
Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1972; tr. it. di S. Giametta, II inattuale. Sull’utilità e il danno
della storia per la vita, Adelphi, Milano 1982, p. 99.
43
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 301 ], p. 378.
24
Capitolo II
Tramonto e transizione: verso il pensiero
dell’eterno ritorno dell’uguale
«“Sì! Io voglio amare solo ciò che è necessario! Sì,
amor fati sia il mio ultimo amore!” – Forse ci arriverai:
ma prima dovrai diventare amante delle Furie: lo
confesso, i serpenti mi farebbero diventare pazzo. –
“Cosa ne sai tu delle Furie! Furie – è solo
un‟espressione malevola per Grazie”».
F.Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882.
2.1 Lo Zarathustra
Così parlò Zarathustra è il luogo in cui Nietzsche dona, insegna all‟umanità il pensiero
dell‟eterno ritorno dell‟uguale che, come si è visto, si mostra come un Giano bifronte che
mira ad una transizione, ad una rivoluzione del modo di pensare e di agire degli uomini in
posizione estremamente opposta rispetto alla rivoluzione provocata dall‟idea di una
dannazione eterna, di un aldilà e dalla conseguente interpretazione per categorie morali
dell‟esistenza.
Perciò, se la transizione va da un polo all‟altro, se Nietzsche guarda ad una nuova
rivoluzione, ad un passaggio verso un altro modo di pensare e di agire secondo il nuovo
centro di gravità, e se la concezione fondamentale dell‟opera è il pensiero dell‟eterno ritorno,
allora è chiaro perché l‟opera stessa sia denominata Così parlò Zarathustra ed è chiaro perché
la forma stilistica presenta un incontro tra pensiero e poesia, tra storia e mito, tra prosa e
parabola44: la dottrina dell‟eterno ritorno dell‟uguale è offerta in modo simile ma antitetico
rispetto al modo in cui la precedente dottrina ha sviluppato la prima rivoluzione – cioè in
44 «Lo Zarathustra, dal punto di vista formale, si trova a metà strada tra pensiero e poesia; Nietzsche esprime
le sue intuizioni in un profluvio di immagini, in innumerevoli allegorie, che egli stesso anche interpreta. Il suo
stesso pensare è immaginoso, visionario. Egli non si muove in concetti speculativi, che gli sembrano soltanto
vuote astrazioni, ma nella concretezza dell‟evidenza plastica» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 67).
25
modo somigliante al Nuovo Testamento ma in posizione opposta – ed è insegnata attraverso
una figura simile ma antitetica rispetto alla figura che ha insegnato la precedente rivoluzione
nel pensiero e nell‟azione – cioè in modo somigliante al Messia Gesù ma come suo opposto
speculare.
Il palcoscenico, attraverso cui la dottrina dell‟eterno ritorno dev‟essere insegnata, è il
mondo, questo mondo, questa terra: monti, mari, spiagge, caverne, boschi, paludi, isole, stelle,
cielo, la natura tutta ed anche luoghi come il mercato, il paese Vacca Pezzata, navi, cene,
feste.
La figura del maestro persiano Zarathustra45 – con le sue parabole, i suoi pensieri, la sua
vita, i suoi gesti – è il medium attraverso cui Nietzsche insegna, dona la dottrina dell‟eterno
ritorno dell‟uguale e per il cui tramite si assiste ad un viaggio nel pensiero che a sua volta si
mostra come un cammino attraverso singoli attimi di vita: incontri, annunci, insegnamenti ed
esortazioni, dialoghi, desideri, sogni ed incubi, tentazioni; momenti di dolore, tristezza,
spaesamento, rabbia, timore, paura, solitudine; ma anche momenti di gioia, felicità,
meraviglia, fermezza d‟animo, di riflessione, di decisione, di commozione, di compagnia.
Il viaggio, per insegnare la dottrina dell‟eterno ritorno, è quello di un singolo uomo, è il
cammino di una singola vita e comincia e finisce con la discesa da un monte: il movimento in
avanti, dal presente al futuro, si svela in seguito come un contemporaneo procedere
all‟indietro, dal presente al passato – in direzione della saggezza dei Greci, di Eraclito e di
Dioniso, al fine di rammemorare il pensiero dell‟eterno ritorno – per poi tornare circolarmente
al punto di partenza del percorso e svelare come l‟intero tragitto sia il grande meriggio; due
sono i viaggi che Zarathustra compie e la tensione escatologica verso la venuta del superuomo
e del grande meriggio riecheggia sia la profezia del profeta Zoroastro sia l‟Apocalisse di
Giovanni, ma si differenzia da questi perché:
45 La figura di Zarathustra rinvia al profeta Zoroastro, fondatore del culto omonimo dello zoroastrismo, detto
anche mazdeismo, ma così come lo stesso Nietzsche dichiara in Ecce homo, il suo Zarathustra rimanda al polo
opposto: «Nessuno mi ha domandato, e avrebbero dovuto domandarmelo, che cosa significhi, proprio sulla mia
bocca, sulla bocca del primo immoralista, il nome Zarathustra: perché ciò che costituisce l‟enorme unicità di
quel persiano nella storia è proprio l‟opposto. Zarathustra fu il primo a vedere nella lotta tra il bene e il male la
vera ruota che spinge le cose – è opera sua la traduzione della moralein termini metafisici, in quanto forza,
causa, fine in sé […]. Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere
anche il primo a riconoscere quell‟errore. Non solo perché a questo proposito egli ha una esperienza più grande e
più lunga di qualunque altro pensatore […]: la cosa più importante è che Zarathustra è veritiero più di ogni altro
pensatore. La sua dottrina, ed essa sola, pone la veracità a virtù suprema – cioè l‟opposto della viltà dell‟
“idealista”, che di fronte alla realtà fugge; Zarathustra da solo ha più coraggio in corpo di tutti gli altri pensatori
messi insieme. Dire la verità e tirare bene con l’arco, questa è la virtù persiana. – C‟è qualcuno che mi
capisce?... La morale che supera se stessa per veracità, i moralisti che superano se stessi diventando il loro
opposto – me stesso – questo significa il nome di Zarathustra sulla mia bocca» (F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p.
129).
26
– a differenza del primo, la terza venuta di Zarathustra corrisponde circolarmente alla prima
venuta, con la quale l‟intero viaggio viene nuovamente ripercorso nel medesimo modo e, così
facendo, si mostra esso stesso come il grande meriggio;
– a differenza della seconda (per la quale solo due sono le venute del Messia Gesù sulla terra
e tutta la storia si risolve in un punto preciso di essa nel quale, dopo le due lotte, dopo il
Giudizio, la Gerusalemme celeste, il Regno, scende in terra per opera del Redentore) con la
terza venuta non c‟è una fine né un fine, non c‟è teleologia, ma solo il ritorno ciclico su se
stessa di una parte precisa della storia46, che corrisponde al grande meriggio.
Ad accompagnare questo percorso si nota in sottofondo la scansione della vita, la
misurazione del tempo di una vita, mediante la “falsa analogia” del movimento ciclico del
Sole – e il suo alternarsi con la luna – nelle cui fasi si danno a vedere il giorno, la notte, l‟alba,
il tramonto, il mezzogiorno, la mezzanotte, immagini di centrale importanza perché
scandiscono i pensieri principali dell‟opera.
Infatti, il movimento del Sole e le sue fasi, in sottofondo al cammino di Zarathustra, è la
traiettoria nascosta con la quale Nietzsche „rende l‟idea‟ di cosa significhi pensarsi,
concepirsi, viversi secondo il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, ma segna anche le fasi
attraverso cui è possibile passare da un‟interpretazione all‟altra dell‟intera esistenza e del
singolo uomo, ritma i temi che avevano interessato fino ad ora la riflessione nietzscheana,
cadenzandoli nella cornice dello sconvolgente giungere del pensiero dell‟eterno ritorno.
Il passaggio da una concezione all‟altra, così come la scansione e il ritorno dei temi
nietzscheani, avviene nel Prologo e nei libri I, II e IV mediante:
– il duplice movimento del Sole che, tramontando, si avvia contemporaneamente ad ascendere
nuovamente al suo zenit, ma ascendendo torna ancora a muoversi verso il tramonto: il Sole
infatti, centro del sistema solare, rappresenta nel contempo due centri di gravità, sia il vecchio
Sole delle idee, su cui si basa un‟interpretazione morale dell‟esistenza, sia il nuovo Sole
dell‟eterno ritorno dell‟uguale che Nietzsche propone;
– il duplice movimento di Zarathustra che è scandito dalle sue riflessioni, dai suoi discorsi in
cui mette a paragone gli effetti dell‟uno e dell‟altro modo di pensare e agire, dove ritornano i
temi delle precedenti riflessioni47 e si originano nuove riflessioni – ad esempio il tema
46 «Questo pezzo di storia si ripeterà e dovrà ripetersi in eterno, questo possiamo escluderlo dai nostri calcoli,
dato che non abbiamo nessuna influenza al riguardo […]. Ma la questione è se noi vogliamo ancora vivere: e
come!» (F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 220 ], p. 353).
47
«Spogliandolo di ogni immagine e di ogni magia ritroveremo precisamente le stesse tesi, gli stessi giudizi
che leggiamo in altre opere di Nietzsche: valutazioni sul presente e sul passato, sulla religione e sulla morale,
persino un‟identica dottrina sugli affetti e sulle passioni. Soltanto la teoria del superuomo non la troviamo negli
27
successivo del nichilismo – che hanno come centro di gravità il pensiero dell‟eterno ritorno e
che si connettono ai temi della morte di Dio, della volontà di potenza e del superuomo;
– l‟episodio del funambolo e del pagliaccio, che interviene nell‟annuncio del superuomo e nel
parlare dell‟ultimo uomo;
– il tema sempre presente del meriggio e della decisione;
– il capitolo Delle tre metamorfosi e i temi della volontà di potenza, della creazione;
anche se il superamento totale del vecchio modo di pensare per categorie morali avviene nel
cammino che parte dal capitolo L’ora senza voce del libro II e che, passando per i capitoli Il
viandante e La visione e l’enigma, prosegue per tutto il libro III e IV fino alla vittoria sul
sentimento della compassione per il superuomo, ultimo peccato di Zarathustra affinché possa
compiere la propria opera, cioè insegnare la dottrina dell‟eterno ritorno.
Nella figura del maestro persiano vengono a confluire, nella prima metà del testo, sia il
filosofo, l‟artista e il santo della Terza inattuale, sia lo spirito libero degli scritti del vomere,
di Aurora e de La gaia scienza, sia quello che si denoterà dai Frammenti postumi dell‟ultimo
Nietzsche come il nichilista attivo per poi – nell‟altra metà del testo – raccogliersi nella figura
de „l‟ombra di Zarathustra‟ il quale, dopo aver esperito il pensiero dell‟eterno ritorno
dell‟uguale, alla fine rimanda solo ed esclusivamente alle figure di Eraclito e di Dioniso.
Il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, oltre ad essere la concezione fondamentale
dell‟opera, viene presentato palesemente nei capitoli Il viandante e La visione e l’enigma, in
una posizione in un certo modo centrale nell‟opera, ma molti sono i riferimenti impliciti che è
possibile incontrare per tutto il testo, oltre al chiaro riferimento al movimento del Sole e al
cammino di Zarathustra; innanzitutto, gli animali di Zarathustra48 che appaiono dall‟inizio alla
fine dell‟opera – anche se in modo saltuario – e il bastone con l‟impugnatura d‟oro su cui si
inanella un serpente attorno al sole sono i simboli che primariamente rimandano al pensiero
dell‟eterno ritorno, ma in tali vesti è possibile riconoscere anche i riferimenti continui alla
“morte di Dio” e alla volontà di potenza, e l‟annuncio del superuomo.
Eterno ritorno dell‟uguale, morte di Dio, superuomo e volontà di potenza sono
strettamente connessi l‟uno con l‟altro e ciò perché:
altri scritti di Nietzsche, ed è naturale, poiché il superuomo non è una dottrina, bensì un mito» (G. Colli, Scritti
su Nietzsche, Adelphi, Milano 1980, p. 120).
48
«L‟uno è l‟animale più orgoglioso e l‟altro è l‟animale più intelligente sotto il sole. Il loro senso simbolico
rovescia, evidentemente, il messaggio cristiano del peccato originale e della umiltà come condizione per
accedere alla salvezza. Orgoglio e intelligenza sono le nuove virtù, in base alle quali edificare nuove tavole dei
valori. Inoltre i due animali simboleggiano i contenuti essenziali del messaggio di Zarathustra: la volontà di
potenza e l‟eterno ritorno di tutte le cose, che il serpente emblematicamente raffigura con il suo inanellarsi al
collo dell‟aquila» (C. Sini, Prefazione a F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, tr. it. di M. F. Occhipinti,
Mondadori, Milano 1992, p. XIII).
28
– la morte di Dio e l‟eterno ritorno si mostrano come due facce della stessa medaglia
attraverso la volontà di potenza, fonte creatrice di ogni valore e di ogni illusione prospettica;
– il superuomo, il superamento dell‟ultimo uomo è possibile a partire dalla presa di coscienza
della morte di Dio, dal riconoscimento della volontà di potenza e attraverso l‟esercizio
concreto della volontà di potenza in chiave creativa e in direzione del potenziamento
dell‟uomo, della terra, della vita, in direzione di una trasvalutazione di tutti i valori;
– l‟eterno ritorno dell‟uguale è possibile, cioè pensabile e operabile, attraverso la presa d‟atto
della morte di Dio e della volontà di potenza e la tensione verso il superuomo che deve
manifestarsi come l‟esercizio creativo-concreto della volontà di potenza in direzione di una
trasvalutazione di tutti i valori.
Per ciò Zarathustra parla ai molti del superuomo, ai pochi della morte di Dio ma solo a
se stesso parla dell‟eterno ritorno, perché è attraverso la presa di coscienza di tutto ciò che è
possibile passare da un modo di pensare all‟altro e ad una trasvalutazione di tutti i valori; ma
poiché gli uomini credono all‟impossibile solo dopo averlo toccato con le proprie mani, allora
Zarathustra insegna l‟eterno ritorno dell‟uguale attraverso il proprio „singolare‟ cammino, in
cui pensiero e vita s‟incontrano e si scontrano49.
L‟immagine del meriggio, legata al percorso del Sole e al cammino di Zarathustra,
connessa dunque all‟idea del movimento, dello scorrere del tempo e della vita, del divenire, è
di centrale importanza nell‟opera50 in quanto rappresenta, nel suo duplice volto di
mezzogiorno e mezzanotte, i grandi rintocchi del tempo, della vita e del divenire con i quali il
maestro persiano – e poi i suoi compagni di viaggio e poi ancora l‟umanità intera51 – deve
necessariamente fare i conti: è in esso infatti che avviene l‟attimo della grande decisione e
della grande responsabilità, in cui accade la scelta tra una concezione e l‟altra, tra aldilà e
aldiquà, tra vita e morte, tra ultimo uomo e superuomo, tra niente e tutto; ma anche l‟attimo in
cui il pensiero dell‟eterno ritorno si dà, e l‟attimo della conoscenza della morte di Dio, e
l‟attimo in cui si fa esperienza dell‟eterno, e l‟attimo in cui si dà il segno che è giunto il tempo
per operare il proprio compito, che è giunto il tempo per un grande meriggio.
49 «Del superuomo Zarathustra parla a tutti; della morte di Dio e della volontà di potenza a pochi; ma
dell‟Eterno ritorno dell‟uguale solo a se stesso. Ciò significa chiaramente anche una gerarchia dei suoi pensieri
fondamentali» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 89).
50
Come ha mostrato Schlechta, «L‟immagine e il pensiero del grande meriggio appartengono alle
rappresentazioni centrali della filosofia del Nietzsche più maturo» (K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio,
tr. it. di F. Porzio, Guida, Napoli 1981, p. 33).
51
«E in ogni anello dell‟esistenza umana c‟è sempre un momento in cui prima in uno, poi in molti, poi in tutti
affiorerà il pensiero più possente, quello dell‟eterno ritorno di tutte le cose – e ogni volta per l‟umanità è l‟ora del
meriggio» (F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, fr. 11 [ 235 ], p. 359).
29
Così parlò Zarathustra si presenta allora come un “libro per tutti e per nessuno”, perché
è a tutti che Nietzsche dona il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, è a tutti che rivolge la
musica che risuona dall‟opera ma è anche un dono fatto a nessuno perché pochi sono coloro
in grado di ricevere questo dono e di ascoltare questa musica52:
«Questo libro, una voce che passa sui millenni, non solo è il libro più alto che esista, il vero libro delle
cime – tutto l‟affare uomo gli sta sotto, a enorme distanza –, ma anche il più profondo, generato dalla più
intrinseca ricchezza della verità, una fonte inesauribile dove non si può calare il secchio senza farlo risalire
colmo d‟oro e bontà. Qui non parla un “profeta”, uno di quegli spaventosi ibridi di malattia e volontà di potenza
che vengono chiamati fondatori di religioni. Bisogna innanzitutto ascoltare bene il suono che esce da questa
bocca, questo suono alcionio, per non far torto miseramente al senso della sua saggezza. “Le parole più
silenziose sono quelle che portano la tempesta. Pensieri che incedono con passi di colomba guidano il mondo –
”»53
.
2.2 Il prologo e le tre metamorfosi
E‟ nel prologo – in quanto πρό-λογος, ovvero „ciò che sta innanzi al discorso‟,
„ciò che viene prima dell‟argomento‟ – che Nietzsche pre-annuncia i motivi fondamentali
dell‟opera e le tracce verso il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale.
Il discorso con il sole, gli animali di Zarathustra, l‟immagine del tramonto, il dialogo
con il vegliardo, l‟annuncio del superuomo e la descrizione dell‟ultimo uomo, la vicenda del
funambolo e del pagliaccio, il rifiuto del „pane e vino‟, la ricerca di compagni di viaggio, il
meriggio, tutte queste immagini vengono a confluire nei temi della transizione e della
decisione, così come in essi si congiungono le altre riflessioni dominanti nel pensiero
nietzscheano, come la morte di Dio, il nichilismo e il problema del suo attraversamento, lo
spirito libero.
La contrapposizione è quella tra un modo di pensare ed un altro, tra una tipologia di
uomo ed un altro, tra menzogna di Dio e dottrina dell‟eterno ritorno dell‟uguale, tra una
filosofia della terra e la morale cristiana: l‟insieme delle immagini e dei discorsi che nel
52 «Il pathos che sta alle radici di Così parlò Zarathustra è quello di un illuminato dalla conoscenza suprema,
ma l‟espressione in cui questo pathos si scarica non è destinata a trasmettere la scintilla di quella conoscenza,
bensì solo a comunicare il riflesso di una visione più alta della vita, e quindi ad agire sugli uomini con la
seduzione di questa immagine. La grandezza di Zarathustra sta nel suo conoscere, ma dalla sua conoscenza
sgorga una fonte, il suo canto, che disseta gli uomini, e li riavvince a una vita trasfigurata, riscoperta come
ricchezza terrestre di gioia» (G. Colli, Scritti su Nietzsche, cit., p. 119).
53
F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 13.
30
Prologo si raccolgono nei temi della transizione e della decisione, sembra vogliano
permettere agli uomini di localizzarsi, di avvicinarli al momento di grande decisione e di
grande responsabilità imminente, sembra vogliano chiamare gli uomini a rispondere intorno
alla stessa domanda che Nietzsche si era posto nel 1881, e cioè: «Che faremo col resto della
nostra vita – noi che ne abbiamo trascorso la maggior parte nell‟ignoranza più essenziale?»54.
Questa domanda, l‟annuncio dell‟avvicinamento imminente del momento di grande
decisione e responsabilità, Nietzsche, nelle vesti di Zarathustra, la rivolge a tutti presso il
mercato – nel luogo dell‟uccisione di Dio – per mezzo dell‟annuncio del superuomo e della
sua contrapposizione con l‟ultimo uomo55; ma per rendere-presente l‟incombenza di un tale
momento, la sua inevitabilità e necessità, come se fosse inscritto nel grande circolo
dell‟esistenza, utilizza l‟immagine del funambolo e del pagliaccio che irrompe proprio nel
momento in cui comprende che non è la bocca per questi orecchi – così come aveva compreso
l‟uomo folle annunciando la morte di Dio56 – come a sottolineare l‟ininfluenza della
predicazione della saggezza o di una fede.
Poi l‟accadimento, la decisione si riflette proprio su Zarathustra che, nel portare il
cadavere con sé per seppellirlo, finalmente, nel meriggio, decide lui stesso di transitare, di
tramontare come ultimo uomo e albeggiare verso il superuomo. Questa infatti è la questione
dominante, è il fatto che
«L‟uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, – un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio
periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e
fermarsi. La grandezza dell‟uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell‟uomo si può amare che egli sia una
transizione e un tramonto […]. Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, cadenti una a una dall‟oscura
nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e come messaggeri periscono. Ecco, io sono un
messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo»57
.
54 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 219 ], p. 352.
55
«L‟insegnamento nietzscheano del Superuomo e dell‟Uomo Inferiore ha il carattere di una
“Introduzione”, non è niente di più di un preludio a un tentativo filosofico di ripensare l‟essenza dell‟uomo sulla
base della relazione con le verità fondamentali della volontà di potenza, della morte di Dio e dell‟eterno ritorno
dell‟uguale» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 71).
56
«“Vengo troppo presto,” proseguì “non è ancora il mio tempo”. Questo enorme evento è ancora per strada e
sta facendo il suo cammino – non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini» (F. Nietzsche, La gaia
scienza e Idilli di Messina, cit., af. 125, pp. 163-164).
57
F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 6 Abteilung – 2 Band,
Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1968; tr. it. di M.
Montinari, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 1986, pp. 8-10.
31
Dopo la morte di Dio, dopo aver compreso che noi chiamavamo verità la menzogna58,
che tutto è un‟illusione prospettica volta alla conservazione e al potenziamento della vita59,
l‟uomo si trova in una condizione di pericolo perché non può più pensare la sua essenza
secondo il criterio della staticità, ma deve pensarla necessariamente secondo il criterio della
mobilità, e più precisamente, della “volontà di potenza” perché «solo dove è vita, è anche
volontà: ma non volontà di vita, bensì […] volontà di potenza»60; l‟uomo è questo cammino
pericoloso e deve scegliere se pensarsi come “ultimo uomo”, nichilista passivo, funambolo
oppure come uno “spirito libero”, nichilista attivo, pagliaccio e divenire un superuomo61, ma
in ogni caso una tipologia di uomo è destinata a tramontare e l‟altra a transitare verso il
superuomo.
Il nichilismo si presenta ora come il cammino pericoloso che l‟uomo ha di fronte,
„l‟uomo è il nichilismo stesso‟, perciò deve porsi il problema di superare se stesso e per far
ciò deve decidere come interpretarsi, come pensarsi; se pensa se stesso secondo il pensiero
metafisico-tradizionale, cioè teologico e teleologico, allora è destinato a tramontare, se pensa
se stesso come un ponte verso il superuomo, secondo il pensiero dell‟eterno ritorno, allora è
destinato a superarsi62.
L‟annuncio del superuomo scaturisce dalla consapevolezza della morte di Dio e dice che
questi non-è-ancora, che non-è-ancora-presente ma che deve-venire, che il superuomo è a-
venire; il superuomo è la diretta conseguenza della “morte di Dio”, della scoperta della
menzogna dei millenni, della scoperta che ogni valore, fine, certezza era nient‟altro che un
indizio della volontà di potenza esercitata sulle cose.
Ma chi è il superuomo?
«Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso
della terra!»63: dopo la “morte di Dio” e l‟avvento del nichilismo, l‟uomo deve voler-divenire-
58 Cfr. F. Nietzsche, Über Wahrheit und Lüge im aussermoralischen Sinne, Nietzsche Werke, Kritische
Gesamtausgabe, 3 Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter,
Berlin-New York 1973; tr. it. di G. Colli, Su verità e menzogna in senso extramorale, in La filosofia nell’epoca
tragica dei Greci e scritti 1870 -1873, Adelphi, Milano 1980, pp. 228-230.
59
«Che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una “cosa in sé”; – ciò stesso
è un nichilismo, anzi è il nichilismo estremo. Esso ripone il valore delle cose proprio nel fatto che a tale valore
non corrisponda né abbia corrisposto nessuna realtà, ma solo un sintomo di forza da parte di chi pone il valore,
una semplificazione ai fini della vita» (F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente 1887-1888, Nietzsche Werke,
Kritische Gesamtausgabe, 8 Abteilung – 2 Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de
Gruyter, Berlin-New York 1970; ed. it. di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1979, fr. 9 [ 35 ], p. 14).
60
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 132.
61
«Nell‟ora della conoscenza della morte di Dio sono possibili soltanto due vie, due vie d‟uscita: la decisione
per il “superuomo” o quella per “l‟ultimo uomo”» (K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio, cit., p. 61).
62
«Il superamento del nichilismo, ad opera dell‟uomo che supera se stesso, è la condizione della profezia
dell‟eterno ritorno» (K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p. 56).
63
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 5-7.
32
superuomo, deve „volere‟ il proprio superamento, deve volere che il superuomo sia il senso
della terra, ma ciò è possibile solo a partire dalla volontà di potenza e dal pensiero dell‟eterno
ritorno dell‟uguale: «qui sta la grandezza dell‟uomo, nel fatto di essere un ponte e non uno
scopo; perciò si può amare che egli sia una transizione e un tramonto»64. Giunta la notte del
nichilismo, l‟uomo è una sorta di ibrido, è un „qualcosa di mezzo tra un pagliaccio e un
cadavere‟, ma deve volere il proprio superamento in modo che il superuomo dia un nuovo
senso alla terra, e per far ciò è necessario decidere di seppellire con le proprie mani il lato di
sé che è ancora “ultimo uomo”, è necessario tramontare come “ultimo uomo” e transitare
verso il superuomo.
Se si fermasse, se guardasse indietro e tentasse di tenersi in equilibrio attraverso
l‟illusione di Dio, mediante un‟interpretazione morale, teologica e teleologica dell‟esistenza,
l‟uomo sarebbe destinato a cadere nell‟abisso, a restare un cadavere; deve pensarsi invece
come nichilista attivo e spirito libero, divenire un distruttore e un amante della conoscenza,
vivere pericolosamente e procedere per tentativi, riconoscere la malattia di cui si è affetti e
bramarla fino in fondo per ottenere la grande salute, per tagliare con la tradizione, stabilire
una nuova gerarchia e andare sempre più oltre lontano da ogni „qui‟ e da ogni „tu devi‟ in
cerca della propria libertà, del mondo, della filosofia del mattino.
Per tramontare come ultimo uomo e nel contempo albeggiare come superuomo, l‟uomo
deve passare per tre metamorfosi dello spirito, che indicano «come lo spirito diventa
cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo»65.
Il cammello è l‟ultimo uomo, è l‟uomo-di-fino-ad-oggi, colui che pensa per categorie
morali, che sopporta il peso del sacrificio, che venera, dominabile, che obbedisce ad ogni „tu
devi‟, che vuole umiliarsi, insicuro di sé, debole. «Ma là dove il deserto è più solitario,
avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua
libertà ed essere signore nel proprio deserto»66: nel momento in cui l‟ultimo uomo, scopre la
„menzogna dei millenni‟, scopre che si chiamava verità il niente, il nichilismo, un‟illusione
prospettica volta alla conservazione e al potenziamento della vita, allora là dove lo
smarrimento è più profondo e lacerante, questi deve trasformarsi, l‟uomo deve assumere
nuove sembianze perché con la morte di Dio sono quelle stesse sembianze, che egli aveva
„edificato‟, a cadere; egli deve assumere „l‟apparenza‟ del leone, gli atteggiamenti dello
spirito libero e del nichilista attivo e vincere il drago della morale cristiana, il „tu devi‟,
64 Ivi, p. 8.
65
Ivi, p. 23.
66
Ivi, p. 24.
33
abbattere i vecchi valori su cui ruotava tutto e che gli impedivano di dire „io voglio‟; deve
porsi il problema del nichilismo e dell‟oltrepassamento di sé; deve intendere la vita come
mezzo della conoscenza67 per conquistarsi la propria libertà e diventare così padrone di sé.
«Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di
fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo?»68.
L‟uomo, pensandosi come spirito libero e nichilista attivo non è in grado di porre i
nuovi valori, ma può intendere il «“nichilismo” come ideale di suprema potenza dello
spirito»69, può intenderlo come possibilità, capacità di creare le condizioni affinché un giorno
consentano una nuova creazione di valori e ciò significa volere un‟altra metamorfosi, tendere
verso il superuomo, verso l‟acquisizione delle sembianze del fanciullo perché questi è capace
di dire „io voglio‟, di dire di sì, di decidere, di dare un nuovo inizio; il fanciullo è capace di
porre i valori obliando i vecchi, ma lo fa in modo innocente, per gioco, guardando solo alla
terra, non così come accadeva con il modo di pensare teologico e teleologico.
«Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì: ora lo spirito vuole
la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo»70: è necessario superare
se stessi, superare l‟uomo, ma per far ciò bisogna innanzitutto volere la propria volontà, che è
volontà di potenza; di fronte ad un mondo ora privo di senso, di fronte alla morte di Dio, della
verità, dell‟idea di una costituzione ultima delle cose, l‟uomo deve volere e deve volere il
mondo, per il gioco della creazione, innocentemente deve esercitare la propria volontà di
potenza sul mondo, plasmarlo, crearlo in modo tale che gli permetta il proprio superamento e
nel contempo che permetta al superuomo di divenire il senso della terra, di creare il senso
della terra in modo nuovo71.
67 Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 324, p. 230.
68
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 24-25.
69
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, cit., fr. 9 [ 39 ], p. 15.
70
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 25.
71
«L‟essenza propria e originaria della libertà come progetto di nuovi valori, e valori universali, viene trattata
attraverso la metafora del gioco. Gioco è la natura della libertà positiva. Con la morte di Dio il carattere di
rischio e di gioco dell‟esistenza umana diventa manifesto. La creatività dell‟uomo è il gioco. Il mutamento
dell‟uomo nel superuomo non è un salto di natura biologica, […] è una metamorfosi della libertà estrema, il suo
liberarsi dalla alienazione e il libero manifestarsi del suo carattere di gioco» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche,
cit., p. 77).
34
2.3 La volontà di potenza e la creazione
«Per conservarsi, l‟uomo fu il primo a porre dei valori nelle cose, – per primo egli creò un senso alle cose,
un senso umano! Perciò si chiama „uomo‟, cioè: colui che valuta. Valutare è creare: udite, creatori! Valutare è di
per sé il tesoro e il gioiello di tutte le cose valutate. Solo valutando egli conferisce valore; e senza di ciò la noce
dell‟esistenza sarebbe vuota. Udite, creatori! Mutamento dei valori – è mutamento dei creatori. Sempre distrugge
chi è costretto a creare»72.
Nel momento in cui si scopre la morte di Dio, l‟uomo scopre la natura prospettica e
fisiologica dei valori e allora i nuovi valori non devono essere più pensati secondo la morale
cristiana73, guardando ad un mondo dietro al mondo così come faceva l‟ultimo uomo74 sotto
l‟influsso dello «spirito di gravità, – grazie a lui tutte le cose cadono»75, né essere dei
dispregiatori del corpo76, né possedere più di una virtù77, né ricadere nella vecchia malattia che
può presentarsi nelle mentite spoglie dello Stato78, del denaro e della fama79 o dell‟amore per il
prossimo80; perché in tali modi
«era il corpo che disperava del corpo […]! Era il corpo che disperava della terra […]. E questo che è
l‟essere più onesto, l‟io – questo parla del corpo e vuole il corpo, anche quando si induce a poetare e a
fantasticare e svolazza qua e là con le ali spezzate. Esso impara a parlare sempre più onestamente, l‟io: e quanto
più impara, tanto più trova parole in onore del corpo e della terra. Un nuovo orgoglio mi ha insegnato l‟io, e io lo
insegno agli uomini: non ficcare più la testa nella sabbia delle cose del cielo, bensì portarla liberamente, una
testa terrena, che crea il senso della terra! Agli uomini insegno una nuova volontà: volere questo cammino che
l‟uomo ha percorso alla cieca, e chiamarlo buono e non più allontanarsene furtivamente come i malati e i
moribondi! Malati e moribondi erano costoro, che disprezzavano il corpo e la terra e inventarono le cose celesti e
le gocce di sangue della redenzione: ma persino questi veleni dolci e tenebrosi li avevano tratti dal corpo e dalla
terra!»81
.
Quel modo di pensare era un‟illusione prospettica scaturente dalla volontà di potenza, da
ragioni „umane, troppo umane‟, da bisogni fisiologici, al fine della conservazione e del
72 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 65.
73
Ivi, pp. 26-28.
74
Ivi, p. 29.
75
Ivi, p. 41.
76
Ivi, pp. 33-34.
77
Ivi, pp. 35-36.
78
Ivi, pp. 52-54.
79
Ivi, pp. 55-58.
80
Ivi, pp. 67-68.
81
Ivi, pp. 30-31.
35
potenziamento di pochi. Ogni valore era stato posto «solo come riflesso della virtù più
nobile»82, della volontà di potenza: «Potenza è questa nuova virtù; un pensiero dominante essa
è, attorno al quale si avvolge un‟anima intelligente: un sole d‟oro, e attorno a esso il serpente
della conoscenza»83.
In questa fase di passaggio, cosciente della morte di Dio, l‟uomo deve pensare il
«“nichilismo” come ideale di suprema potenza dello spirito», come «un modo di pensare
divino»84, deve esercitare la propria volontà di potenza per abbattere i vecchi valori, «un
predone di tutti i valori deve diventare questo amore che dona»85 e – concependosi come un
ponte verso il superuomo che è il senso della terra ed è capace di porre i valori in modo nuovo
– così facendo, deve servire il senso della terra che è il superuomo, l‟unico capace di porre i
valori in modo nuovo; l‟uomo deve volere che il superuomo sia il senso della terra e che
questi abbia il potere di porre i valori in modo nuovo, e ciò vuol dire che l‟uomo deve
esercitare la propria volontà di potenza qui ed ora sulle cose, deve ripensare, ricreare le cose,
plasmare la propria volontà di superarsi, di tendere al superuomo proprio „dentro le cose‟ in
modo tale che le cose stesse „vogliano‟ il superamento e il superuomo:
«Forse che potreste creare un dio? – Dunque non parlatemi di dèi! Certo, voi potreste creare il superuomo.
Forse non voi stessi, fratelli! Ma potreste creare in voi i padri e gli antenati del superuomo: e questo sia il vostro
creare migliore […]. Forse che potreste pensare un dio? – Ma ciò significhi per voi volontà di verità: che tutto
sia trasformato sì da poter essere pensato, visto e sentito dall‟uomo! Voi dovete pensare fino in fondo i vostri
sensi stessi»86.
L‟uomo che ha assunto il doppio atteggiamento del nichilista attivo e dello spirito libero
– distruttore di ogni vecchio „tu devi‟, sperimentatore che utilizza la vita come mezzo della
conoscenza poiché bramoso di andare continuamente oltre, lontano da ogni punto d‟arrivo –
egli non può divenire superuomo perché non fa altro che compiere totalmente il nichilismo,
perché non fa altro che manifestarsi, direttamente e indirettamente, come „volontà del nulla‟ e
scadrebbe nella vanità dell‟indovino87; l‟uomo può permettere che il superuomo ponga i nuovi
valori e dia il senso della terra in modo nuovo, ma ciò significa che non deve solo
concentrarsi ad abbattere i vecchi valori, il vecchio ordine del mondo e il vecchio modo di
82 Ivi, p. 83.
83
Ivi, p. 85.
84
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, cit., fr. 9 [ 39 ], p. 15.
85
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 84.
86
Ivi, p. 94.
87
Ivi, p. 155.
36
pensare; deve nel contempo creare qui ed ora le condizioni utili affinché il superuomo possa
porre i nuovi valori e il senso della terra in modo nuovo, deve trasformare, ripensare tutte le
cose a partire dai propri sensi, dal corpo, dalla terra88:
«Creare – questa è la grande redenzione dalla sofferenza, e il divenir lieve della vita. Ma perché vi sia
colui che crea è necessaria molta sofferenza e molta trasformazione. Sì, molto amaro morire dev‟essere nella
vostra vita, o voi che create! Solo così siete coloro che difendono e giustificano ogni cosa peritura. Per essere il
figlio di nuovo generato, colui che crea non può non voler essere anche la partoriente e non volere i dolori della
partoriente […]. Tutto quanto è sensibile soffre in me ed è in ceppi: ma il mio volere viene sempre a me come
mio liberatore e apportatore di gioia. Volere libera: questa è la vera dottrina della volontà e della libertà – così ve
la insegna Zarathustra»89.
Colui che crea, che ripensa gli enti in direzione del proprio superamento e del
superuomo, deve sperimentare, sbagliare e soffrire molto prima di riuscire a superare questa
fase di nichilismo, di non-senso, di pericolosità; ma per creare le condizioni affinché l‟uomo
si superi, affinché passi al superuomo, non può neanche rifiutare tutti gli errori e la sofferenza
provocata da essi, perché solo accettandoli come strade già sperimentate è possibile plasmare
le cose in modo tale che apportino piacere e gioia, in modo tale che permettano il
superamento di se stessi e in modo che consentano al superuomo d porre i valori e il senso
della terra in modo nuovo.
Solo a partire dalla propria volontà, solo esercitando la propria volontà di potenza sugli
enti l‟uomo può guardare alla liberazione dalla propria sofferenza, dal pericolo, dal
nichilismo: solo esercitando la propria volontà di potenza sulle cose, solo creandole,
pensandole in direzione della terra, degli istinti, del corpo, in direzione del proprio
superamento, l‟uomo può trarre piacere, gioia, può ricrearsi e ri-crearsi, perché solo
«così il martello viene spinto verso la pietra»90:
«Rimanetemi fedeli alla terra, fratelli, con la potenza della vostra virtù! Il vostro amore che dona e la vostra
conoscenza servano il senso della terra! Così vi prego e vi scongiuro. Fate che essa non voli via dalle cose
terrene e vada a sbattere con le ali contro muri eterni! Ahimè, vi è stata sempre tanta virtù volata via! Riportate
con me, la virtù volata via sulla terra – sì riportatela al corpo e alla vita: perché dia un senso alla terra, un senso
umano! Fino a oggi, sia lo spirito sia la virtù, sono volati via e hanno errato in cento modi. Ahimé, adesso tutto
88 «Nietzsche non pone l‟uomo al posto di Dio: egli non divinizza né idolatra l‟ente finito. Al posto di Dio, al
posto del Dio dei cristiani e del regno platonico delle idee, egli pone la terra» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche,
cit., p. 80).
89
Ivi, pp. 95-96.
90
Ibidem.
37
questo delirare e errare abita nel nostro corpo: è divenuto corpo e volontà. Fino a oggi, sia lo spirito sia la virtù,
hanno sbagliato in cento modi. Sì, l‟uomo è stato un tentativo. Ahimé, quanta ignoranza e quanto errore in noi è
diventato corpo. Non solo la ragione di millenni – anche la loro demenza erompe in noi. E‟ pericoloso essere
eredi. Noi combattiamo ancora passo passo contro il gigante caso, e sull‟umanità intera ha dominato fino ad oggi
l‟assurdo, il non-senso. Il vostro spirito e la vostra virtù servano il senso della terra, fratelli: e il valore di tutte le
cose sia stabilito da voi in modo nuovo! Perciò dovete essere combattenti! Perciò dovete essere creatori! Il corpo
si purifica nel sapere; facendo tentativi col sapere esso si eleva; a colui che conosce, tutti gli istinti si santificano;
all‟elevato, l‟anima diventa gaia»91
.
91 Ivi, p. 86.
38
Capitolo III
L’eterno ritorno dell’uguale:
verso il grande meriggio
«Come non dovrei anelare all‟eternità e al nuziale
anello degli anelli, – l‟anello del ritorno! Ancora non
trovai donna da farmi desiderare figli, se non questa
donna, che io amo: perché ti amo, Eternità! Perché ti
amo, Eternità!».
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra.
3.1 Il tempo, l’amor fati e l’eternità
Ci si addentra ora nella questione affrontando la quale Nietzsche dona il pensiero
dell‟eterno ritorno dell‟uguale e cioè la „questione del tempo‟92. D‟altro canto, fin dal 1881 la
domanda che pressava Nietzsche era «Che faremo col resto della nostra vita – noi che ne
abbiamo trascorso la maggior parte nell‟ignoranza più essenziale?»93 cioè, presa coscienza di
aver passato una parte della nostra vita all‟oscuro di cosa significhi vivere, ora, quale
significato si vuole attribuire al vivere stesso, nella parte restante della propria vita? E che
cos‟è il resto della vita di un singolo uomo se non un „resto di tempo della propria vita‟, se
non un tempo restante nel quale decidere che cosa significhi la propria vita nella sua
interezza? E come fare a decidere che cosa significhi la propria vita nella sua interezza, nel
tempo che resta di essa, quando una parte di essa „è già passata‟, è già stata, è stata già
attraversata, decisa, stabilita, fissata, è „il passato‟? Che cosa significa il tempo restante,
quando parte del tempo è già passata? Come può un uomo decidere che cosa significhi avere
tempo nel tempo qui ed ora rimanente e di fronte al tempo già passato, trascorso, avuto, stato?
92 «Per Nietzsche infatti la “redenzione” del mondo significa innanzitutto la “redenzione” del tempo: essa si
attua, negativamente, attraverso la radicale messa in questione della struttura logico-metafisica dell‟idea di
tempo, come successione lineare di singoli momenti, e, positivamente, su una complessiva ridefinizione della
temporalità, nelle sue articolazioni cronologiche di passato, presente e futuro, fondata sulla funzione salvifica
dell’istante, sulla “pienezza” del qui-ora» (G. Franck, Nietzsche: tempo sacro, tempo del gioco nel pensiero
dell’eterno ritorno, in AA.VV., Crucialità del tempo. Saggi sulla concezione nietzschiana del tempo, a cura di
M. Cacciari, Liguori, Napoli 1980, p. 95).
93
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 219 ], p. 352.
39
Queste sono le domande che dominano in sottofondo il viaggio da Il canto dei sepolcri
fino alla chiusura del libro III dello Zarathustra: «gli eventi più grandi – non sono le nostre
ore più fragorose, bensì quelle senza voce»94, i momenti decisivi sono proprio quelli in cui,
morto Dio, si comprende che «“tutto è vano, tutto è indifferente, tutto fu”»95, sono i momenti
in cui si capisce che «non c‟è niente di nuovo sotto il sole»96; sono i momenti in cui ad ognuno
parla la propria ora senza voce97, nella quale si guarda al passato e si prova sofferenza perché
non si è capaci di intervenire in esso, nella quale si diviene consapevoli che «è tempo
ormai!»98 per decidere del tempo, della vita, nella quale si è coscienti che è giunta l‟ora di
decidere del tempo della vita che è passato e del tempo della vita che resta, nella quale è
necessario «DARE UN SENSO – questo compito resta assolutamente da assolvere, posto che
nessun senso vi sia già»99.
Finora, il passaggio dal modo di pensare e agire per categorie morali a quello che
assume come centro di gravità l‟eterno ritorno dell‟uguale si è configurato come un doppio
movimento di tramonto e albeggiamento, che passa per le tre metamorfosi dello spirito, col
quale l‟uomo – riconosciuta la morte di Dio e il prospettivismo nei giudizi di valore volto alla
conservazione e al potenziamento della vita, cioè il nichilismo – sceglie di assumere gli
atteggiamenti di spirito libero e nichilista attivo per abbattere i vecchi valori e, così facendo,
per plasmare la propria volontà di potenza negli enti in modo creativo e innocente, per
ripensare le cose a partire dalla terra, dagli istinti, dalla corporeità, al fine di superarsi, di ri-
crearsi, di ottenere l‟ultima trasformazione dello spirito e permettere così al superuomo di
porre i valori e il senso della terra in modo nuovo.
Morto Dio, l‟uomo assume il nichilismo e la volontà di potenza come un “ideale di
suprema potenza dello spirito”, come un “modo di pensare divino” perché riacquista la sua
volontà ed è libero di esercitarla creativamente in direzione del proprio superamento, di una
trasvalutazione di tutti i valori. Ma c‟è un ostacolo, un muro invalicabile che la volontà si
trova innanzi ed è il passato:
«„Così fu‟ – così si chiama il digrignar di denti della volontà e la sua mestizia più solitaria. Impotente
contro ciò che è già fatto, la volontà sa male assistere allo spettacolo del passato. La volontà non riesce a volere a
ritroso: non potere infrangere il tempo e la voracità del tempo è la sua mestizia più solitaria. Volere libera: ma
94 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 152.
95
Ivi, p. 155.
96
Cfr. La Bibbia di Gerusalemme, ed. it. a cura di un gruppo di biblisti italiani sotto la direzione di F.
Vattioni, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994 e 2000, in Qoelet (o Ecclesiaste) 1,9, p. 1341.
97
Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 170-173.
98
Ivi, p. 150.
99
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, cit., fr. 9 [ 48 ], p. 20.
40
che cosa può inventare il volere medesimo per liberarsi della propria mestizia e prendersi giuoco della sua
prigione? […] Che il tempo non possa camminare a ritroso, questo è il suo rovello; „ciò che fu ‟ – così si chiama
il macigno che la volontà non può smuovere»100.
Per superare questo ostacolo – poiché «Dio è un pensiero che rende storte tutte le cose
dritte e fa girare tutto quanto è fermo», poiché «invece i migliori simboli debbono parlare del
tempo e del divenire: una lode essi debbono essere e una giustificazione di tutto quanto è
perituro!»101 – Nietzsche offre il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale che, nei capitoli
centrali de Il viandante e La visione e l’enigma, si dà per tre livelli, attraverso tre giochi
simbolici:
– mediante il cammino solitario di Zarathustra per la sua ultima vetta;
– mediante il racconto ai marinai dell‟enigma incontrato nel proprio cammino per l‟ultima
vetta insieme al nano;
– mediante il racconto della visione che lo incalzò nel riflettere intorno all‟enigma.
Simbolicamente, la questione del tempo e dell‟ostacolo della volontà, cioè il passato, si
dà primariamente attraverso l‟enigma della porta carraia:
«Essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via
fino alla porta e all‟indietro: dura un‟eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti – è un‟altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l‟uno contro l‟altro: e qui, a questa porta carraia, essi
convengono. In alto sta scritto il nome della porta: „attimo‟. Ma, chi ne percorresse uno dei due – sempre più
avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?»102
.
La prima interpretazione dell‟enigma della porta carraia, dalla quale due sentieri si
dipartono e convergono, s‟incontrano e si scontrano – dei quali l‟uno va dalla porta
all‟indietro (passato) e dura un‟eternità, l‟altro invece dalla porta in avanti (futuro) e dura
anch‟esso una eternità – è quella secondo la concezione lineare del tempo, che si basa
sull‟idea dell‟irreversibilità del tempo, cioè sull‟impossibilità di un ritorno, di un
ripercorrimento del tempo nel verso opposto a quello stabilito e il passato appare abbandonato
a se stesso; qui Nietzsche sottolinea come l‟abitudine porti a pensare di prim‟acchito il tempo
secondo la tipologia dell‟ultimo uomo, secondo le caratteristiche del cammello, basandosi
100 Ivi, pp. 162-163.
101
Ivi, p. 95.
102
Ivi, pp. 183-184.
41
sulle idee di una teleologia e teologia di esso, cioè secondo il modo di pensare per categorie
morali della tradizione e, in particolare, della morale cristiana.
Zarathustra però chiede se questi sentieri debbano contraddirsi in eterno allo spirito di
gravità, il quale gli risponde: «Tutte le cose dritte mentono […]. Ogni verità è ricurva, il
tempo stesso è un circolo»103.
La seconda interpretazione dell‟enigma è quella secondo la concezione ciclica del
tempo, che si basa invece sulla possibilità di un ritorno, di un ripercorrimento del tempo nello
stesso verso di prima, sia orario che anti-orario, ma il percorso rimarrebbe sempre lo stesso e
il passato resterebbe comunque immutato, inalterato; infatti Zarathustra, dopo essersi infuriato
contro lo spirito di gravità – che prende la questione con leggerezza, la banalizza e rimane in
superficie riproponendo come unica alternativa la concezione ciclica classica del tempo – lo
spinge a concentrarsi proprio su quell‟elemento di gravità:
«Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una
via lunga, eterna: dietro di noi è un‟eternità. Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere
già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta,
trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta
carraia – esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l‟una all‟altra, in modo tale che
questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso? Infatti ognuna delle cose che
possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori deve camminare ancora una volta! E questo ragno che
indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose
eterne bisbiglianti – non dobbiamo tutti esserci stati un‟altra volta? – e ritornare a camminare in quell‟altra via al
di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via – non dobbiamo ritornare in eterno?»104
.
Se il tempo fosse pensato ciclicamente graverebbe sull‟agire dell‟uomo «come il peso
più grande»105, perché “non ci sarebbe niente di nuovo sotto il sole”, perché “tutto sarebbe
vano, indifferente, stato”, perché significherebbe riconoscere l‟esistenza di un ordine cosmico,
di una legge metafisica cui tutto è soggetto, e cioè la necessità di tutto l‟accadere; se ci si
limitasse a pensare il tempo circolarmente, rappresentandosi le due vie come un‟unica via
chiusa in circolo, ammettendo che «dietro di noi è una eternità»106, allora tutto ciò che può
percorrere la via dal passato, non l‟avrà già percorsa? Non dovrebbe essere già accaduto, tutto
ciò che può ancora accadere? E se così fosse, allora non può valere lo stesso per questo
103 Ibidem.
104
Ibidem.
105
F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 341, p. 249.
106
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 184.
42
attimo, per questa porta carraia? Non sarebbe possibile che tutte le cose siano strettamente
interconnesse, in modo che questo stesso attimo tragga dietro di sé tutto ciò che è a-venire,
perfino se stesso? Se la volontà non può volere a ritroso, è dunque possibile un qualche
ritorno? Non dovrebbe ritornare eternamente tutto ciò che accade in quell‟attimo e
„quell‟attimo stesso‟, in cui tutto confluisce e da cui si dirama?
La questione, l‟enigma è proprio quella porta carraia su cui sta scritto „attimo‟: non si sa
dove abbiano origine e fine queste due linee temporali proprio perché eterne, ma è nell‟attimo
che esse s‟incontrano e si scontrano, convergono e divergono; l‟attimo potrebbe essere il
„qui‟, „l‟ora‟, „l‟adesso‟ sia della concezione lineare che di quella ciclico-classica del tempo.
Che significa l‟attimo?
Per uscire dal vicolo cieco, per risolvere l‟enigma, Nietzsche utilizza – così come era
accaduto durante l‟annuncio del superuomo – l‟irrompere di una „visione‟: «così parlavo,
sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri più
reconditi. E improvvisamente»107, mentre si faceva queste domande, Zarathustra sentì un cane
ululare108, nel silenzio spettrale di mezzanotte – che lo aveva riportato alla sua giovinezza
proprio nel momento in cui lo aveva sentito ululare nello stesso medesimo modo, spaventato,
pelo irto, nel silenzio spettrale di mezzanotte – ma, ecco che il nano, la porta, il ragno, tutto
era scomparso davanti a sé e si era trovato
«in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna. Ma qui giaceva un uomo! E –
proprio qui! – il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, – adesso mi vide accorrere – e allora ululò di nuovo,
urlò: – avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo? E, davvero, ciò che vidi, non l‟avevo mai
visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero
penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre
dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e – lì si era abbarbicato mordendo»109
.
Il „giovane pastore‟ che dorme, cioè nel suo stato di illusione, di dormiente, rappresenta
l‟uomo nel quale striscia furtivo, “nella più solitaria delle sue solitudini”110, il serpente
Oceano, il pensiero “dell‟eterno ritorno dell‟uguale”, il pensiero che «questa vita, come tu ora
la vivi e l‟hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci
107 Ivi, p. 185.
108
Il cane che ulula lo porta indietro alla sua giovinezza per disimpararla, come aveva detto l‟ora senza voce:
«Bisogna ancora che tu diventi un fanciullo e senza vergogna. Su te pesa ancora l‟orgoglio della giovinezza, sei
diventato giovane tardi: ma chi vuol diventare un fanciullo, deve superare anche la sua giovinezza» (ivi, p. 172).
109
Ivi, pp. 185-186.
110
Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 341, p. 248.
43
sarà mai in essa niente di nuovo»111 e che dunque viene gravato nel suo agire dal “peso più
grande”, straziato, sofferente perché tutto ciò che ora compie, vive, ritornerà allo stesso modo
come in un “eterno ritorno dell‟uguale”, in una continua ripetizione, necessariamente, senza
misura, senza sosta, senza intervallo, senza interruzione, senza possibilità di mutare le cose.
Se l‟uomo si assoggettasse passivamente alla necessità del ritorno, se tentasse di
trascinare con sé “il peso più grande”, se lo subisse, allora tale pensiero significherebbe per
lui „incapacità di respirare‟, di vivere, di sollevarsi, di aver pace, di „riaversi‟, significherebbe
per lui „incapacità di libertà‟, di essere libero di volere, tutto sarebbe vano, non ci sarebbe
niente di nuovo sotto il sole, sarebbe un eterno ritorno dell‟insensato e un eterno ritorno del
niente, del Nulla; tutto resterebbe caotico, disorganizzato, disordinato, indistinto, informe,
confuso, tutto significherebbe nient‟altro se non il Nulla stesso, il niente: volontà del Nulla,
potenza del Nulla, non-mondo, non-tempo, non-senso, non-verità, non-sé. Compimento del
nichilismo.
«Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: “Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!” così
gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me
– buono o cattivo – gridava da dentro di me, fuso in un sol grido»112: cosciente della gravità,
del pericolo intorno a ciò che immediatamente accadeva innanzi agli occhi – cosciente di cosa
avrebbe significato assumere negativamente il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale –
Zarathustra gridò, con la stessa istantaneità d‟azione e decisione con cui tutto si verificava:
«“Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!”»113; è proprio qui che deve essere posto l‟accento,
è qui che l‟enigma della porta carraia con su scritto „attimo‟ trova soluzione.
La concezione lineare e quella ciclica del tempo sembrano, di prim‟acchito, differire
l‟una dall‟altra ma, effettivamente, c‟è qualcosa che le accomuna ed è il „continuum
temporale‟, cioè l‟estensione del tempo, la successione, la durata, la permanenza, l‟assenza di
salto, di interruzione: infatti, il tempo circolare potrebbe darsi come una semplice curvatura
del tempo lineare, ma non è con la curvatura della linea temporale che si risolve l‟enigma,
perché, così facendo, tutto resterebbe continuo, duraturo, tutto si darebbe come un eterno
ritorno dell‟uguale, dell‟insensato; con la curvatura della linea, il tempo si mostrerebbe come
tempo del nichilismo, tutto si mostrerebbe come necessità, come ritorno del niente stesso, la
volontà risulterebbe una volontà del Nulla e il passato resterebbe insuperabile, invalicabile,
in-appropriabile.
111 Ibidem.
112
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., pp. 185-186.
113
Ibidem.
44
Ma se la volontà «è il nome di ciò che libera e che procura la gioia», allora «che cosa
può inventare il volere medesimo per liberarsi della propria mestizia e prendersi giuoco della
sua prigione?»114.
Come sottomissione passiva al ritorno, la volontà «invece di liberare, infligge
sofferenza: e oggetto della sua vendetta, per non poter volere a ritroso, è tutto quanto sia
capace di soffrire. Ma questo, soltanto questo, è la vendetta stessa: l‟avversione della volontà
contro il tempo e il suo „così fu‟»115. Ecco perché Zarathustra esortava il pastore a mordere il
serpente che gli si era infilato nella gola: se la volontà non può volere in direzione del passato,
allora è necessario che si vendichi contro il passato e il tempo stesso e morda la testa del
serpente, bisogna che tagli, re-cida, de-cida, di-vida, interrompa l‟oppressione, la sofferenza,
la mancanza di respiro che il serpente provoca116.
Il serpente simboleggia la „circolarità del tempo‟, è “l‟eterno ritorno
dell‟uguale” che, secondo l‟incitamento di Zarathustra, deve essere „tagliato, re-ciso, in-ciso,
diviso, interrotto‟: e il giovane pastore come si era comportato di fronte al suggerimento di
Zarathustra?
«Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da
sé sputò la testa del serpente: – e balzò in piedi. – Non più pastore, non più uomo, – un
trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come
lui rise!»117: il taglio della testa del serpente simboleggia la stretta connessione che intercorre
tra il „de-cidere/re-cidere‟ del giovane pastore e l‟attimo che stava scritto sulla porta carraia
nella quale s‟incontravano e si scontravano le due linee temporali, e precisamente accenna a
„l‟attimo della decisione sul tempo‟118.
Il giovane pastore, „de-cidendo‟ di „tagliare, re-cidere‟ la testa del serpente, provoca un
taglio, una frattura, una rottura, una interruzione del tempo e, „sputando la testa lontano da
sé‟, si libera una volta per tutte della logica che appartiene ad esso, della circolarità, della
continuità, dal senso di oppressione che la circolarità stessa gli provocava; così facendo, egli
non può più rimanere a terra schiacciato dal peso, dalla gravità, dal senso di oppressione del
114 Ivi, p. 162.
115
Ivi, p. 163.
116
«In Nietzsche, il tempo si rinnova ciclicamente, concentrandosi in attimi che rompono il continuum, che
trasfigurano la durata, che redimono dal „così fu‟. Ma questa concezione è resa possibile soltanto rompendo
drasticamente con la concezione cristiana del tempo e riproponendo la Festa come puro Sonn-tag, divinizzazione
dell‟ente in quanto ente, eternità qui ed ora» (M. Cacciari, Introduzione a AA.VV., Crucialità del tempo. Saggi
sulla concezione nietzschiana del tempo, cit., p. 14).
117
Ivi, pp. 186.
118
«La visione del pastore che deve mordere la testa al serpente […] lega misteriosamente l‟idea del ritorno a
una decisione che deve essere presa dall‟uomo, e in base alla quale, soltanto, l‟uomo si trasforma» (G.
Vattimo, Introduzione a Nietzsche, Laterza, Roma 1985, p. 90).
45
ritorno ma si „solleva‟, diviene Sole egli stesso e si innalza al posto del vecchio Sole, si
trasforma, passa alla terza metamorfosi dello spirito, diviene un circonfuso di luce che nel suo
riso accetta la tragicità della vita, un superuomo, un fanciullo: «innocenza è il fanciullo e
oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di
sì. Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì: ora lo spirito vuole la
sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo»119.
Ma per poter tagliare la testa del serpente, la logica della circolarità, la sua legge, si deve
accettare tutto il dolore, la sofferenza che una tale azione comporta perché
«Creare – questa è la grande redenzione dalla sofferenza, e il divenir lieve della vita. Ma perché vi sia
colui che crea è necessaria molta sofferenza e molta trasformazione. Sì, molto amaro morire dev‟essere nella
vostra vita, o voi che create! Solo così siete coloro che difendono e giustificano ogni cosa peritura. Per essere il
figlio di nuovo generato, colui che crea non può non voler essere anche la partoriente e non volere i dolori della
partoriente […]. Tutto quanto è sensibile soffre in me ed è in ceppi: ma il mio volere viene sempre a me come
mio liberatore e apportatore di gioia. Volere libera: questa è la vera dottrina della volontà e della libertà – così ve
la insegna Zarathustra»120.
E qui sta il punto: «ogni „così fu‟ è un frammento, un enigma, una casualità orrida – fin
quando la volontà che crea non dica anche: “ma così volli che fosse!”. Finché la volontà che
crea non dica anche: “ma così voglio, così vorrò!”»121; di fronte all‟eterno ritorno dell‟uguale,
di fronte al fatto che «questa vita, come tu ora la vivi e l‟hai vissuta, dovrai viverla ancora una
volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà mai in essa niente di nuovo»122, l‟uomo,
nell‟attimo della de-cisione, deve chiedersi: vuoi il ritorno, «vuoi tu questo ancora una volta e
ancora innumerevoli volte?»123.
E la sua volontà dicendo di sì, volendo il ritorno nell‟attimo, si vendica sul tempo e sul
“così fu” de-cidendoli, fissandoli, de-finendoli, de-terminandoli, la volontà li anticipa
affermandosi su di essi, si pre-dice rispetto al tempo e al “così fu” imponendosi, ac-cogliendo
in sé l‟eterno ritorno dell‟uguale attraverso l‟«amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro
né davanti a sé, per tutta l‟eternità. Non solo sopportare, e tanto meno dissimulare, il
necessario […] ma amarlo»124, dicendo “così volli che fosse! Così voglio! Così vorrò”:
119 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 25.
120
Ivi, pp. 95-96.
121
Ivi, p. 164.
122
F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, cit., af. 341, p. 248.
123
Ivi, af. 341, p. 249.
124
F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 54.
46
«Il coraggio ammazza anche la vertigine in prossimità degli abissi: e dove mai l‟uomo non si trova vicino
agli abissi! Non è la vista già di per sé un – vedere abissi? […] Coraggio è però la mazza più micidiale, coraggio
che assalti: esso ammazza anche la morte, perché dice: “Questo fu la vita? Orsù! Da capo!”»125
.
L‟uomo che de-cide e re-cide il tempo, accettando i dolori della partoriente, dicendo di
sì al ritorno nell‟attimo, coglie quell‟occasione per giuocare con il tempo stesso e si dà come
superuomo, come origine del ritorno stesso che ora si dà non più come oppressione,
sofferenza e vanità, ma come movimento innocente, che non può nuocere proprio perché
scaturisce dall‟uomo stesso che, così facendo, si re-impossessa della propria volontà e crea,
plasma, pone un senso nelle cose non cercandolo, ma introducendolo da sé126.
L‟attimo della decisione è Καιρός, è un‟occasione, un‟opportunità, un momento propizio
proprio perché spezza il continuum temporale, taglia la durata che accomuna la concezione
lineare e quella ciclica del tempo, sospende il tempo dando origine ad una esperienza di
tempo dif-ferente, di tempo non-continuo, dis-continuo, che conosce un salto; esso non è un
presente ma un taglio, una sospensione del tempo cronologico, in cui si fa l‟esperienza del
vero tempo, è un istante anacronico, una sincope, è un battito di ciglia in cui si spalanca uno
sguardo differente, cioè quello che può cogliere l‟eterno, l‟Аίών, quello in cui si può dire di sì
all‟accadere di ogni cosa.
Nell‟attimo della de-cisione – de-cidendo sul tempo, giuocando col ritorno, ponendo
l‟assoluta necessità come assoluta libertà – la volontà si fa origine del ritorno volendo il
ritorno, cioè trasformando il “così fu” in “così volli che fosse, così vorrò”; ciò che deve essere
colto e da cui bisogna farsi cogliere, nell‟attimo della de-cisione, nel Καιρός, è l‟eterno,
l‟Аίών, nel quale gli enti si mostrano nel loro volto divino, si danno nell‟immediatezza, nelle
loro sembianze eterne127.
Trasformando il “così fu” in “così volli che fosse, così vorrò” – possibile solo a partire
dal riconoscimento della morte di Dio, del nichilismo, dal pensiero di un eterno ritorno
dell‟uguale – l‟uomo può re-impossessarsi del passato e dunque può
125 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 183.
126
«Non cercare il senso nelle cose, ma introdurvelo» (F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente 1885-1887,
Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 8 Abteilung – 1 Band, Herausgegeben von G. Colli und M.
Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1974; tr. it. di S. Giametta, Frammenti postumi 1885-1887,
Adelphi, Milano 1975, fr. 6 [ 15 ], p. 226).
127
«L‟attimo non si riduce a vuota forma di decisioni contingenti, ma è epifania dell‟occhio divino sulle cose
del mondo – redenzione dal continuum del trapassare-morire, affermazione della divinità intramontabile
dell‟ente. Nell‟attimo si spalanca l‟occhio che può amare questa Eternità. L‟attimo è, per Nietzsche, il pensiero
abissale del possibile superamento del nichilismo» (M. Cacciari, Concetto e simboli dell’eterno ritorno, in
AA.VV., Crucialità del tempo. Saggi sulla concezione nietzschiana del tempo, cit., p. 82).
47
«imprimere al divenire il carattere dell‟essere – questa è la suprema volontà di potenza»128,
può ripensare gli enti in direzione dell‟eterno, può dare un senso alle cose in modo nuovo, a
partire dal loro volto eterno129: «badate, fratelli, ve ne prego, a tutti quei momenti in cui il
vostro spirito vuol parlare in simboli: lì è l‟origine della vostra virtù. Lì il vostro corpo è
elevato e risorto; col suo piacere esso delizia lo spirito, perché diventi colui che crea e valuta e
ama e di tutte le cose il benefattore»130.
E‟ attraverso l‟amor fati, l‟amore dell‟accadere, l‟amore del ritorno che si dà nell‟attimo
della de-cisione in cui si fa esperienza dell‟eterno, che l‟uomo può passare da un modo di
concepire la propria vita ad un altro; «che faremo col resto della nostra vita?», si chiedeva
Nietzsche nel 1881 e la sua risposta è sempre la stessa, è «amor fati: non volere nulla di
diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l‟eternità. Non solo sopportare, e tanto meno
dissimulare, il necessario […] ma amarlo»131.
L‟uomo deve pensare la propria vita come un eterno ritorno dell‟uguale e, precisamente,
come un eterno ritorno di attimi immensi nei quali ciò di cui fa esperienza è l‟eternità della
de-cisione, l‟eternità della sua volontà che afferma ogni singolo attimo della propria vita
„come se‟ ogni singolo attimo dovesse tornare eternamente nel medesimo modo; «vivere in
modo tale da voler tornare a vivere di nuovo, e voler vivere così in eterno! Il nostro compito
ci appressa a ogni istante»132, questo significa amor fati, cioè vivere ogni attimo della propria
vita pensando che ognuno potrebbe ritornare in eterno nel medesimo modo, volere ogni
attimo della propria vita „così e non altrimenti‟ e volerlo eternamente ogni volta nel medesimo
modo133.
E‟ solo a partire dall‟esperienza dell‟eterno – che avviene nell‟attimo immane in cui si
de-cide e re-cide il tempo cronologico – che è possibile effettuare una trasvalutazione di tutti i
valori, ma è solo a partire dal riconoscimento della morte di Dio, del nichilismo, della volontà
di potenza, del pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale che è possibile fare esperienza di un
128 F. Nietzsche, Frammenti postumi1885-1887, cit., fr. 7 [ 54 ], p. 297.
129
«Non si tratta della volontà di potenza che agisce nel conoscere discorsivo, nel suo “cercare la regola”, nel
suo volere la regola […]. Alla volontà di potenza che opera nel discorso scientifico, come volontà di onni-
prevedere e programmare il divenire, di ridurlo a mero stato […], si oppone quella volontà di potenza che decide
il corso il tempo, afferra il suo momento, gode il piacere dell‟attimo. Questa volontà imprime al divenire il
sigillo dell‟essere, in quanto coglie aeterniatem in momento, ama l‟eternità nell’attimo» (M. Cacciari, Concetto e
simboli dell’eterno ritorno, cit., pp. 85-86).
130
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 84.
131
F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 54.
132
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 266 ], p. 367.
133
«Dobbiamo intendere la definizione nietzscheana del concetto di tempo in duplice senso: l‟eterno ritorno,
infatti, è innanzitutto l‟eterna ripetizione dell‟istante, ma è anche […] l‟eternità che ritorna, che accade, che
precipita nel tempo e lo colma di sé. In questa prospettiva il superuomo, l‟uomo che gioca, il fanciullo, è colui
che sa “volere” attimi eterni; ma questi attimi – d‟altra parte – non sono altro che la sua esistenza finita» (G.
Franck, Nietzsche: tempo sacro, tempo del gioco nel pensiero dell’eterno ritorno, cit., p. 95).
48
tempo cairologico, di un tempo qualitativo in cui, nell‟attimo della de-cisione, l‟eterno si dà:
«Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi consuma una sete, un desiderio
nostalgico, che mai si placa. La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere
ancora! Come sopporterei di morire ora!»134.
3.2 Indietro verso l’a-venire, verso il grande meriggio
«Così sono nel pieno della mia opera, mentre vado ai miei amici e torno indietro: per amore dei figli suoi,
bisogna che Zarathustra compia se stesso. Perché si ama fino in fondo solo il proprio figlio, l‟opera propria; e
dove è un grande amore per se stessi, là è il segno della gravidanza: così trovai […]. E per amor suo e per amore
di quelli che sono come lui, bisogna che io compia me stesso: perciò sfuggo adesso alla mia felicità e mi offro a
ogni infelicità – a prova e conoscenza ultima di me stesso»135
.
Il proseguimento del cammino di Zarathustra fino al momento della sua terza discesa tra
gli uomini per insegnare l‟eterno ritorno dell‟uguale, per festeggiare il grande meriggio136, ha
una duplice valenza, in quanto Nietzsche svolge sia una funzione pedagogica che
autobiografica, e cioè mostra che cosa significa per l‟uomo e che cosa significa per se stesso
pensare l‟eterno ritorno dell‟uguale come legge cosmologica e vivere a partire dall‟assunzione
di quella legge.
Infatti, se nella prima parte del testo Zarathustra si mostrava come il maestro del
superuomo e della morte di Dio, se prima incitava gli uomini e i discepoli al superamento di
se stessi attraverso le tre metamorfosi dello spirito e in direzione di una trasvalutazione di tutti
i valori a partire dalla volontà di potenza, adesso, dopo la folgorazione del pensiero
dell‟eterno ritorno dell‟uguale, Zarathustra non-è-ancora maestro dell‟eterno ritorno
dell‟uguale, ma è un uomo che deve ancora operare in sé le metamorfosi dello spirito al fine
di esperire nella propria carne il pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale.
Il suo cammino, questa volta solitario, è in realtà un doppio movimento in avanti e
indietro, nel futuro e nel passato, che dirige verso casa propria, verso se stesso, verso il
134 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 186.
135
Ivi, pp. 187-188.
136
«E ora vi ordino di perdermi e di trovarvi; e solo quando mi avrete tutti rinnegato io tornerò tra voi. In
verità, fratelli, con altri occhi cercherò allora i miei smarriti; con altro amore allora vi amerò. E un‟altra volta
ancora dovrete essermi diventati amici e figli di una sola speranza: allora voglio essere tra voi per la terza volta,
per celebrare con voi il grande meriggio» (ivi, p. 87).
49
proprio compito: questo movimento si dà sia come rammemorazione del proprio passato,
della vita fin qui vissuta, sia come focalizzazione del mondo e dell‟uomo a partire dalla
folgorazione dell‟eterno ritorno137, sia come localizzazione del proprio status attuale sia come
ricerca del coraggio leonino per cominciare a superarsi a partire dall‟idea che un eterno
ritorno di tutte le cose è possibile138.
Nei capitoli che vanno da Il convalescente a I sette sigilli Nietzsche sottolinea come il
fine delle metamorfosi non sia divenire da cammello a leone – cioè trovare il coraggio di
pensare il pensiero più abissale – bensì divenire fanciullo e ribadisce come il fine del
ripensamento del tempo non sia passare da una concezione lineare a quella ciclica, come
fanno gli animali: non basta pensare l‟eterno ritorno come legge cosmologica, ma è necessario
assumere, attraverso la volontà, la saggezza dionisiaca, è necessario vivere „come se‟ si
dovesse tornare a vivere, è necessario qui ed ora sperimentare, “danzare”, volere un eterno
ritorno di attimi immensi, tenendo conto della necessità di tutto il dolore passato.
Nel IV libro, Zarathustra attende il segno139, attende il momento propizio per compiere
se stesso, per portare a compimento la propria opera: qui, il pensiero dell‟eterno ritorno come
mezzo etico in direzione dell‟eterno è ribadito nel capitolo Mezzogiorno140, ma la necessità
della sua realizzazione sul piano pratico è chiarita mediante i temi dell‟attesa e della
compassione per il superuomo.
Infatti, nonostante Zarathustra abbia imparato ad attendere se stesso141, è necessario
decidere, voler vivere un eterno ritorno di attimi immensi, e ciò implica la comprensione
dell‟ultimo peccato di Zarathustra, la compassione per il superuomo, cui è spinto attraverso
137 «Tutte le cose sono benedette alla sorgente dell‟eterno e al di là del bene e del male; ma bene e male altro
non sono che ombre intermedie e umidi triboli e nuvole pigre. E‟ davvero benedizione, non blasfemia, quando
insegno: “su tutte quante le cose sta il cielo caso, il cielo innocenza, il cielo accidente, il cielo tracotanza”. „Per
caso‟ – questa è la più antica nobiltà del mondo, che io ho restituito a tutte le cose, io le ho redente
dall‟asservimento allo scopo. Questa libertà e serenità celeste io l‟ho posta come azzurra campana su tutte le
cose, quando insegnai che, sopra di loro e per mezzo di loro, non vi è una „volontà eterna‟ che – voglia. Al posto
di quella volontà, io misi questa tracotanza e questa follia, quando insegnai: “in ogni cosa soltanto questo è
impossibile: razionalità”» (ivi, p. 193).
138
«Ah, pensiero abissale, che sei il mio pensiero! Quando troverò la forza di sentirti scavare, senza più
tremare? Il cuore mi batte fino in gola, quando ti sento scavare! E anche il tuo silenzio vuol strangolarmi, tu che
taci dall‟abisso! Mai ho tentato fino ad oggi di evocarti così in alto: è già molto che io ti abbia – portato con me!
Non ero ancor abbastanza forte per l‟estrema leonina audacia e tracotanza. Il tuo gravame era per me già
qualcosa di terribile abbastanza: ma un giorno dovrò trovare anche la forza e la voce leonina che ti evochi in
alto! Quando avrò compiuto questo superamento, vorrò compierne uno anche maggiore; e una vittoria ha da
essere il sigillo del mio compimento!» (ivi, p. 189).
139
«Quando verrà la mia ora? – l‟ora del mio declino, tramonto: giacché per una volta ancora voglio andare
agli uomini. E questo ora attendo: infatti bisogna che a me giungano i segni che la mia ora è giunta – questi
sono: il leone che ride accompagnato da uno stormo di colombi» (ivi, p. 231).
140
Ivi, pp. 320-323.
141
«In verità, anche io ho imparato a fondo l‟arte di attendere, – ma soltanto di attendere me stesso. E sopra
ogni altra cosa ho imparato a stare e andare e camminare e saltare e arrampicarmi e danzare» (ivi, pp. 229-230).
50
l‟incontro dell‟indovino – che richiama la sua attenzione nei confronti di un “grido d‟aiuto”
proveniente dalle pendici della montagna – e delle figure dei due re con l‟asino, del
coscienzioso dello spirito, del mago, dell‟ultimo papa, dell‟uomo più brutto, del mendicante
volontario, della sua ombra, che invita tutti alla sua caverna: in ognuno di essi pensa di
riconoscere l‟uomo superiore ma più avanti dovrà ricredersi142, perché fanno della sua
dottrina, del dio Dioniso una nuova religione143, uno scudo per la loro sofferenza, anziché
intendere la sua saggezza come strumento per affermare coraggiosamente la gioia di vivere a
partire dalla sofferenza passata144; infatti una volta aveva detto:
«Ma il peggiore nemico che puoi incontrare, sarai sempre tu per te stesso; nelle caverne e nelle foreste tu
tendi l‟agguato a te stesso. Da solo tu vai nel cammino che porta a te stesso! E il tuo cammino comprende anche
te e i tuoi sette demoni! Un eretico sarai per te stesso, e una strega e un indovino e un pagliaccio, e uno che
dubita, che non è santo, che è malvagio. Tu devi voler bruciare te stesso nella tua stessa fiamma: come potresti
volere rinnovarti, senza prima essere ridiventato cenere! Da solo tu vai sul cammino del creatore: dai tuoi sette
demoni ti vuoi creare un dio!»145
.
Nietzsche mostra come l‟attesa e la compassione siano gli ultimi ostacoli affinché
l‟uomo divenga superuomo, affinché viva un eterno ritorno di attimi immani, affinché si operi
nella propria vita mediante l‟amor fati: il superuomo non è un Messia, non è un evento
trascendente o teleologico che l‟uomo deve attendere come compimento della storia; il
superuomo non è attesa perché non si tratta di «cercare il senso nelle cose, ma
introdurvelo»146; il superuomo è tensione, è tendere-verso, è un movimento volontario in
142 «Voi non siete che ponti: possano uomini più grandi di voi percorrerli, per passare al di là! Voi significate
gradini: perciò non prendetevela con colui che, al di sopra di voi, sale alla propria altezza! Può darsi che un
giorno dal vostro seme nasca per me un figlio autentico e un erede perfetto: ma questo è lontano. Voi stessi non
siete coloro cui appartengono la mia eredità e il mio nome. Qui, su questi monti, io non attendo voi, né con voi io
posso discendere in basso per l‟ultima volta. Voi siete venuti a me come il presagio che uomini più elevati di voi
sono già in cammino verso di me, non gli uomini del grande anelito, della grande nausea, del grande disgusto e
ciò che voi avete chiamato l‟ultimo residuo di Dio. – No! No! Tre volte no! Qui su questi monti io attendo altri e
il mio piede non si alzerà di qui senza di loro, – più elevati, più forti, più vittoriosi, più lieti, squadrati e rettilinei
nel corpo e nell‟anima: leoni che ridono hanno da venire!» ( ivi, pp. 328-329).
143
Ivi, pp. 366-369.
144
«Questa partita di pesca in alta montagna, questo gesto di invitare gli uomini superiori nella propria
caverna, riunisce coloro che soffrono […]. Tutti vedono in Zarathustra la grande speranza. Vivono di speranza
come chi soffre. Ma questo significa che non sono ancora preparati per la sapienza di Zarathustra: per dire di sì a
tutto. Questa è la vera esperienza di Zarathustra. Non è facile diventare veramente liberi, accettare senza contro-
partita la sofferenza, il male, il dolore e ogni limite umano. Questo è il messaggio di Zarathustra: imparare ad
accettare. Amor fati» (H. G. Gadamer, Il dramma di Zarathustra, a cura di C. Angelino, Il melangolo, Genova
1991, p. 55).
145
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 71.
146
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, cit., fr. 6 [ 15 ], p. 226.
51
direzione del proprio superamento, è volontà di superarsi qui ed ora147, di divenire il senso
della terra, è decisione di volere qui ed ora un eterno ritorno di attimi immani, di voler
concepire la propria esistenza qui ed ora „come se‟ dovesse tornare nello stesso modo, è
volontà di eseguire qui ed ora una trasvalutazione di tutti i valori148.
Il superuomo, cioè il superamento dell‟uomo, scaturisce per Nietzsche dall‟ascolto dei
rintocchi di mezzanotte della campana della morte di Dio e dell‟avvento del nichilismo:
questo è l‟evento terribile e salvifico per l‟uomo, è la consapevolezza dell‟origine nichilistica
del vecchio modo di pensare per categorie morali a cui necessita corrispondere andando
incontro, nella notte più buia, al mezzogiorno del pensiero dell‟eterno ritorno, un modo di
pensare che afferma l‟importanza della vita, della terra, dell‟uomo e di una trasvalutazione di
tutti i valori149. La morte di Dio è un evento senza tempo, è l‟ora in cui la saggezza di
Zarathustra dice «Venite! Venite! Venite! Adesso camminiamo! E’ l’ora: camminiamo nella
notte!»150; è un‟ora intima, paurosa e tenera in cui il mondo dorme e l‟uomo piomba in un
pozzo profondo, è un‟ora che gela, che paralizza perché dice «Uomo, sii attento!»151, è l‟ora in
cui la mezzanotte parla: ma «Che dice la mezzanotte profonda?»152.
Dice che questa è l‟ora in cui bisogna prendere una decisione, l‟ora che chiede all‟uomo
chi deve essere il padrone della terra, è l‟ora in cui parla una voce per orecchie fini; l‟ora della
morte di Dio è un‟ora coinvolgente, irresistibile, che dice che «profondo è il mondo!»153 e che
se si è danzato, non si è ancora abbastanza danzato.
I rintocchi della campana – che vuole morire di gioia nonostante abbia il cuore lacerato
dal dolore che gli uomini hanno patito a causa di un modo di pensare per categorie morali –
riecheggiano da un remoto passato non solo la morte di Dio ma anche la rinascita della
147 «Il superuomo esiste solo attraverso l‟uomo, per il fatto che l‟uomo va oltre se stesso, creando
“qualcosa al di là di sé”: per vivere se stesso “in un modo del tutto nuovo”» (G. Figal, Nietzsche. Un ritratto
filosofico, tr. it. di A. M. Lossi, Donzelli, Roma 2002, pp. 133-134).
148
«Il superuomo incarna la santificazione dell‟aldiqua come risposta alla “morte di dio”. Il superuomo è
libero dalla religione: non l‟ha perduta, ma l‟ha riaccolta in sé. Il nichilista abituale invece, l‟“ultimo uomo”, l‟ha
solo perduta e ha mantenuto la vita profanata nella sua povertà. Ma col superuomo Nietzsche vuole salvare le
forze santificanti per l‟aldiqua, contro la tendenza nichilistica alla loro profanazione» (R. Safranski, Nietzsche.
Biografia di un pensiero, tr. it. di S. Franchini, Longanesi, Milano 2001, p. 289).
149
«Il superamento del nichilismo, ad opera dell‟uomo che supera se stesso, è la condizione della profezia
dell‟eterno ritorno, e la filosofia di Nietzsche non va in linea di principio oltre questa. La volontà del sovra-uomo
e dell‟eterno ritorno è l‟ “ultima volontà” di Nietzsche, il suo “ultimo pensiero”, nel quale si riassume
sistematicamente la totalità del suo esperimento» (K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p. 56).
150
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 372.
151
Ivi, p. 373.
152
Ibidem.
153
Ivi, p. 374.
52
vecchia saggezza di Dioniso154, della morente felicità di mezzanotte che dice: «profondo è il
mondo, e più profondo che nei pensieri del giorno!»155. Questa è l‟ora in cui il dolore del
mondo è profondo per l‟infelicità che l‟uomo ha subito per tutto questo tempo a causa
dell‟interpretazione dell‟esistenza per categorie morali: «profondo è il suo dolore»156, ma
adesso il «piacere è più profondo ancora di sofferenza»157 perché adesso questa sofferenza è
finita, perché è giunto il momento in cui è possibile una rinascita della saggezza di Dioniso,
una gaia saggezza che non vuole se stessa, che non vuole devoti e che non vuole il dolore
dell‟uomo – come il vecchio modo di pensare per categorie morali nel quale «dice il dolore:
“perisci!”»158 – ma che vuole solo arrecare piacere all‟uomo. Perché «il piacere non vuole
eredi, non figli, – il piacere vuole se stesso, vuole eternità, vuole il ritorno, vuole il tutto-a-sé-
eternamente-uguale»159; è una saggezza che consiglia all‟uomo di vivere in modo tale da voler
tornare a vivere di nuovo, che gli suggerisce di volere ogni attimo, pensando di volerlo vivere
così in eterno, una saggezza che esalta l‟uomo e il piacere che questi prova nel suo volere,
«perché ogni piacere vuole – eternità!»160:
«Ogni piacere vuole l‟eternità di tutte le cose […] vuole se stesso, morde se stesso, in esso lotta la volontà
dell‟anello, vuole amore, vuole odio, trabocca di ricchezza, dona, butta via, mendica, perché qualcuno lo prenda,
ringrazia colui che prende, vorrebbe essere odiato, così ricco è il piacere, che ha sete di sofferenza, d‟inferno, di
odio, di vergogna, di storpiato, di mondo, – perché questo mondo: oh, voi lo conoscete! Uomini superiori, il
piacere anela a voi, sfrenato, beato, – alla vostra sofferenza, o malriusciti! Ogni eterno piacere anela a ciò che è
malriuscito. Perché ogni piacere vuole sé, perciò vuole anche sofferenza! Oh felicità, oh dolore! Oh, spezzati
cuore! Uomini superiori, imparate: piacere vuole eternità, – piacere vuole eternità di tutte le cose, vuole
profonda, profonda eternità!»161.
Per Nietzsche, l‟ora della morte di Dio è nel contempo l‟ora in cui rinasce la saggezza di
Dioniso, l‟ora in cui può nascere l‟uomo e il mondo di Zarathustra162, l‟ora in cui l‟uomo si
154 «Dioniso è la risposta al Grande Anelito dell‟uomo, è colui che fa diventare assente tutto l‟Ente presente, è
colui che regge ogni mutamento e il corso delle cose nel tempo. Dove appare il Dionisiaco stesso, che guida e
regge ogni mutamento, si è verificato l‟arrivo del mondo» (E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 117).
155
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 374.
156
Ivi, p. 375.
157
Ibidem.
158
Ivi, p. 376.
159
Ibidem.
160
Ivi, p. 377.
161
Ibidem.
162
«L‟uomo e il mondo di Zarathustra sorgono con la morte degli dèi; e ciò che nasce non è un paradiso in
terra, ma un inferno secolarizzato. La sua terra non è questa terra, ma un al di là che ha preso in prestito la sua
luce vaga ancora da un antico splendore celeste; il suo uomo non è questo uomo, ma un uomo di là da venire che
53
trova a un bivio e deve scegliere in che modo vuole concepire la propria vita: secondo il modo
di pensare per categorie morali, cioè in modo teologico e teleologico, oppure secondo il
pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale, cioè amando il ritorno, volendo il ritorno, volendo un
eterno ritorno di attimi immani in cui fa esperienza del piacere di volere, del piacere di
esercitare la propria volontà in modo creativo, creando da sé la propria vita in modo da voler
tornare a viverla ogni volta e per l‟eternità nel medesimo modo.
L‟ora della morte di Dio e dell‟avvento del nichilismo è per Nietzsche un grande
meriggio, in quanto pone ogni singolo uomo di fronte ad un atto di suprema riflessione e
responsabilità163 nei propri confronti, nei riguardi del tempo, della vita che resta perché «in
ogni anello dell‟esistenza umana c‟è sempre un momento in cui prima in uno, poi in molti, poi
in tutti affiorerà il pensiero più possente, quello dell‟eterno ritorno di tutte le cose – e ogni
volta per l‟umanità è l‟ora del meriggio»164, perché
«il grande meriggio è: quando l‟uomo sta al centro del suo cammino tra l‟animale e il superuomo, e
celebra il suo avviarsi alla sera come la sua speranza più elevata: giacché quella è la via verso un nuovo mattino.
Allora colui che tramonta benedirà se stesso, come uno che passa all‟altra sponda; e il sole della sua conoscenza
starà per lui nel meriggio. “Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva”– questa sia un giorno,
nel grande meriggio, la nostra ultima volontà!»165
.
Lo Zarathustra allora si mostra per l‟umanità come «il più grande regalo che essa abbia
mai avuto»166 perché pone di fronte agli uomini questo momento epocale cui non è possibile
sottrarsi, dopo la scoperta della morte di Dio, e cioè il momento di decidere tra l‟animale e il
superuomo, tra l‟ultimo uomo e il superuomo, tra un atteggiamento di nichilismo passivo o
uno attivo; ogni uomo è posto di fronte a questa scelta e la sua unica possibilità per non
cadere nell‟abisso è quella di superarsi, di passare ad un modo di concepirsi secondo l‟eterno
ritorno dell‟uguale, vivendo secondo l‟amor fati167.
acquista, nell‟eterno ritorno dell‟ultima decisione una problematica immortalità» (K. Schlechta, Nietzsche e il
grande meriggio, cit., p. 71).
163
«Chi decide sperimenta l‟eterno ritorno come prova massima del valore della decisione e della
responsabilità che tale decisione comporta: „valore‟ che non è commisurato ad un modello o ad un fine –
trascendente o immanente che sia –, ma solo alla ripetibilità eterna; „responsabilità‟che non significa il dover
rispondere a qualcuno o a qualcosa, ma solo al valore intrinseco della decisione e dell‟azione misurato sulla
possibilità di ritornare in eterno» (G. Pasqualotto, Nietzsche, o dell’ermeneutica interminabile, in AA.VV.,
Crucialità del tempo. Saggi sulla concezione nietzschiana del tempo, cit., p. 174).
164
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, cit., fr. 11 [ 235 ], p. 359.
165
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 88.
166
F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 13.
167
«Il meriggio è il “punto di mezzo di un cammino” tra l‟animale e sovra-uomo, il quale, da parte sua, entra
in scena solo quando tutti gli dèi sono già morti. Ciò che nel meriggio si rivela non è il mondo del dio
54
Se, con la morte di Dio, l‟uomo scopre che, attraverso i precetti della morale cristiana e
gli ideali ascetici, la sua volontà era volontà del nulla poiché proiettava il senso del mondo al
di fuori del mondo, comportando perciò un rifiuto della corporeità, della vita, del dolore, una
negazione della singolarità di ogni volontà; se, con la morte di Dio, l‟uomo comprende che
concetti come la benedizione del lavoro e l‟amore del prossimo sono mezzi per favorire
un‟interpretazione del reale volta alla conservazione della vita del gregge e al sacrificio dei
migliori168; se, con la morte di Dio, l‟uomo capisce che non esiste una costituzione ultima
delle cose, né valori fissi, immutabili e inscritti negli enti, ma che essi hanno avuto origine
dalla volontà di potenza dell‟uomo stesso; allora Nietzsche pensa che la stessa morte di Dio –
da cui ne consegue l‟avvento del nichilismo ed una possibile rinascita della saggezza
dionisiaca – è un evento epocale, un grande meriggio che permette ad ogni uomo, nel
prendere coscienza di tutto ciò, di decidere “che fare col resto della propria vita”, che
consente ad ogni uomo la chance di prendere in mano le redini della propria vita e decidere da
sé che ne è della vita, di fronte al ciò che resta di essa per ognuno169.
L‟uomo, a partire da quell‟evento, può decidere in che modo „qualificare‟, come
riempire qualitativamente la propria vita e Nietzsche suggerisce di non restare fermi,
guardando indietro il mondo che crolla, ma di cominciare a camminare guardando avanti,
guardando al superamento di questa fase critica e di ciò che si è stati finora, guardando alla
possibilità di una trasvalutazione di tutti i valori che sottolinei la centralità della vita, della
corporeità, guardando alla possibilità di ripensare se stessi in modo nuovo170. L‟eterno ritorno
dell‟uguale come interpretazione cosmologica e come imperativo etico è questa possibilità171,
facendo tesoro di tutto il dolore del passato per trasformarlo oggi nel piacere di poter
decidere, di poter volere qui ed ora la propria vita come un eterno ritorno di attimi immensi.
sovrannaturale Pan, bensì un‟ “ultima volontà” e una “suprema speranza” di autoredenzione dell‟uomo» (K.
Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p. 105).
168
Cfr. F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral, Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe, 6 Abteilung – 2
Band, Herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1968; tr. it. di F.
Masini, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1986, parr. 11-12-13-15-18-27-28.
169
«Dopo la morte di Dio il vero linguaggio dell‟uomo non è più nominare gli dèi e invocare i santi, è ora la
lingua dell’uomo all’uomo: l‟invocazione delle più alte possibilità umane è l‟insegnamento del superuomo. La
morte di Dio è così la condizione sulla quale si basa l‟insegnamento di Zarathustra» (E. Fink, La filosofia di
Nietzsche, cit., p. 72).
170
«Volontà di potenza, proprio in quanto volontà di accrescimento, tensione all‟autosuperamento e
all‟espansione, significa ermeneutica infinita: „infinita‟ non soltanto perché plasma „oggetti‟, ma soprattutto
perché si applica al soggetto interpretante stesso inteso come infinita pluralità di prospettive, come immensa
stratificazione di segni, come „testo‟ illimitato. Ossia perché “vuole potere” su se stessa: si vuole potente fino al
punto da rendersi oggetto d‟interpretazione» (G. Pasqualotto, Nietzsche, o dell’ermeneutica interminabile, cit., p.
172).
171
«Il concetto fondamentale dello Zarathustra – l‟eterno ritorno dell‟identico – è già il principio della
trasvalutazione di tutti i valori, giacché rovescia il nichilismo» (K. Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, cit., p.
61).
55
Questo è il compito che Nietzsche ha voluto svolgere, «il compito di preparare
l‟umanità a un momento di suprema riflessione su se stessa, un grande meriggio»172, in cui
tutte le possibilità dell‟uomo, del mondo, della vita sono riassunte in unità nel potere
decisionale dell‟uomo, nel potere di decidere autonomamente “che fare col resto della propria
vita”, e in essa, nella possibilità di decidere che farne del mondo, dell‟intera esistenza, di se
stessi173.
Se dagli scritti giovanili Fato e storia e Libertà della volontà e fato fino agli scritti del
vomere ha sempre riconosciuto che «ogni uomo è egli stesso una parte di fato»174, con lo
Zarathustra, Nietzsche ha voluto donare ad ogni singolo uomo la possibilità decidere da sé il
proprio fato, ha voluto donare all‟umanità questo grande meriggio e, con esso, ha voluto
donare la possibilità ad ognuno di guardare alla grande salute, di guardare a se stessi, a questo
mondo, a questa vita, ad ogni attimo di essa con gioia, pensando che ogni attimo sia eterno,
volendo che ogni attimo sia eterno.
Con lo Zarathustra, Nietzsche ha voluto donare tutto questo, ha voluto „donare il
pensiero dell‟eterno ritorno dell‟uguale‟, perché ormai i segni, il leone e lo stormo di colombi,
sono giunti ed è giunto il tempo di effettuare la “prima cena umana, troppo umana”, la prima
di innumerevoli cene in onore della saggezza tragica del dio Dioniso: «Questo è il mio
mattino, la mia giornata comincia: su, vieni su, grande meriggio!»175.
172 F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 89.
173
«In una paradossale affinità con le antiche rappresentazioni, Nietzsche sembra dunque comprendere ogni
accadere come un eterno circolo, entro il quale il meriggio che sempre ritorna non rappresenta però una naturale,
in un certo qual modo innocente culminazione, ma viene ad apparire come l‟ora di una decisione puramente
umana, come cesura che l‟uomo deve sempre di nuovo produrre. Mai come qui l‟uomo deve volere, mai come
qui gli viene chiesto uno sforzo senza pari» (K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio, cit., p. 67).
174
F. Nietzsche, Umano, troppo umano II, cit., af. 61, p. 168.
175
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 382.
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di F. Vattioni, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994 e 2000.
60
Indice
Introduzione p. 3
Capitolo I p. 5
Sils-Maria, agosto 1881: 6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo
Capitolo II p. 24
Tramonto e transizione: verso il pensiero dell’eterno ritorno
dell’uguale
Capitolo III p. 38
L’eterno ritorno dell’uguale: verso il grande meriggio
Bibliografia p. 56