nero su bianco - aprile 2011

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Numero di Aprile 2011 di Nero su Bianco il periodico della Cappella Universitaria di Siena!

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Anno nuovo vita nuova! cari amici lettori di “Nero su Bianco”, il primo numero di questo

2011 è ricco di tante sorprese…

Si sa:i buoni propositi di inizio anno sono sempre una costante della vita dello studente! Chi di noi non ne ha fatti? Studierò di più, cercherò di essere più paziente con i miei coinquilini, andrò sempre a lezione. Ma si sa

anche che i buoni propositi sono i primi a morire!

Ma quale occasione migliore della quaresima per dare alla nostra vita una decisa sterzata e cercare di stare in silenzio davanti al Signore e sperare in Lui…

proprio come ci hanno ricordato le “40’ore” da poco vissute in Cappella. I momenti di silenzio come quelli di adorazione comunitaria che, come ci ricordano gli articoli di Fabio e Matteo, ormai dall’inizio dell’anno con-

dividiamo con gli amici seminaristi del seminario di Siena.

E proprio di una bella esperienza di condivisione ci parla l’articolo di Federica e Francesca che ci deliziano con la loro esperienza di settimana di vita comune; mentre Suor Pina ci racconta il concerto che il Coro della Cappella Universitaria ha tenuto a Roma presso la casa generalizia delle nostre

Suore Figlie della Chiesa.

Ma come sempre in questo numero non mancheranno le storie e le testimonianze: si parte da quella del giovanissimo Luca Bertola, “quel pezzettino di cielo” presentato da Alice che sembra davvero la storia di un

angelo caduto dal cielo.

Ancora più drammatica di quella di Luca è forse la storia che ci racconta il film “Uomini di Dio” (Des hommes et des Dieux) del regista Xavier Beauvois) che Don Roberto ricorda nel suo articolo, o una storia

tragica come quella di Shahbaz Bhatti che Cristina propone nella sua atroce attualità.

Ej, non vi preoccupate! non abbiamo fatto un numero da quaresima, pieno di tragedie e drammi! Ci sono anche storie positive e affascinanti come quella di Enzo Bianchi raccontata nel suo libro “Il pane di ieri” o come quella di Luca di Tolve, il Luca della

canzone di Povia “Luca era Gay”.

Immancabili poi le nostre rubriche sul cinema e sui viaggi, con Eugenio che ci accompagna al cinema a scopri-

re Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino mentre Ludovica ci invita a fare le valigie per partire verso est, destinazione BU….ona DA…vvero PE…r ST…arci.

E se tutto questo non dovesse bastarvi… c’è sempre da riflettere sull’oggi, su quello che accade in Italia. Stefano ci parla di politica, quella buona! mentre Mariella si arrampica

su “montagne di ciccia” e ci parla di diete e dimagrimenti! Roba da donne!

Buona lettura!!!

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L’angolo del Don Degli uomini e degli dei di Don Roberto Bianchini Pag. 4 Cappellania E’ bello fermarsi con il Signore di Fabio Fiorino di Matteo Ceccarelli Pag. 5 Quarant’ore per innamorarsi di Cristo di Isabella Petrocelli Pag. 6 La bellezza della scoperta di Katia Capozzoli di Sr. Pina Audasso Pag. 7 Esperienze Quando l’ordinario diventa straordinario di Federica e Francesca Camilletti Pag. 8 Luca: un pezzettino di cielo di Alice Pappelli Pag. 9 Il personaggio La libertà di cambiare di Claudia De Pasquale Pag. 10 “Il pane di ieri è buono domani” di Federica Maniscalco Pag. 11 Fotografando di Fabio Fiorino Pag. 12-13

Riflettendo Shahbaz Bhatti: essere cristiani nel mondo di Cristina Loprete Pag. 14 La necessità di veri cattolici in politica di Stefano Fonsdituri Pag. 15 Curiosità Sicuri che il problema sia la taglia? di Mariella Schettini Pag. 16 Una boccata di digiuno di Domenico Bova Pag. 17 Ciak si gira Le conseguenze dell’amore di Eugenio Alfonso Smurra Pag. 18

In viaggio con... BU...ona Da...vvero PE...r ST...arci di Ludovica Cesaroni Pag. 19 diSegno in Segno La Pietà di Filippo Sanfilippo Pag. 20 Per pensare... Il fabbricante di matite Una mattinata movimentata Pag. 21 La preziosità del silenzio Pag. 22 Bacheca Pag. 23

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In questo numero vi augurano buona lettura...

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Dopo alcuni anni di quasi assoluto oblio al di fuori del mondo monastico il film Uomini di Dio (Des hommes et des Dieux) del regista Xavier Beauvois ha fatto rinascere l’interesse per la storia dei monaci trappisti rapiti la notte del 26 marzo 1996 in Algeria e poi uccisi barbara-mente dopo alcuni mesi, probabilmente l’11 maggio. Il film, presentato al Festival di Cannes, ha avuto in Francia un vasto successo di pubblico mentre in Italia sta ottenendo consensi quasi esclusivamente all’interno del mondo ecclesiale. L’autore è un laico che però sa guar-dare alla vicenda dei monaci da un punto di vista più articolato di quello della cronaca. Mo-stra in tal modo sia il mistero della loro vocazione a seguire il Signore nella radicalità della

via trappista, sia le ragioni della scelta di non abbandonare il monastero mentre si stava facendo sempre più pericoloso restare. Evitando la facile deriva della stereotipizzazione eroica dei protagonisti il regista non teme di sottolineare i lati più quotidiani della vita di una piccola comunità come quella di Thibirine, dove monaci tutti stranieri e provenienti da diversi monasteri si trovavano a vivere rispondendo ad una chiamata che si faceva sempre più misteriosa.. Cercare Dio sopra ogni cosa, come dice la Regola di San Benedetto, per loro vuol dire cercarlo là dove la vita li ha posti tra le infinite contraddizioni e debolezze di ognuno di loro. Quando nel ’93 subiscono la prima visita violenta dei guerriglieri del GIA sono destabilizzati umanamen-te e spiritualmente. Si fanno mille domande; sperimentano la paura; dubitano di quale sia il senso di rimanere nel loro monastero. Lentamente, guidati dallo Spirito a ricercare la volontà di Dio, giungono ad un’unanimità tanto più preziosa quanto non forzata ma accolta co-me un dono di grazia. E quando i carnefici bussano alla loro porta so-no pronti ad accoglierli, coraggiosi e timorosi, vecchi e giovani, forti solo dell’amore del Cristo. Come i nomi dei martiri dei primi secoli quelli dei monaci dell’Atlas sono scritti nei cieli e dicono al mondo ed alla chie-sa di oggi che l’unica parola assolu-tamente eloquente è quella della testimonianza del sangue. La laica Francia del ventunesimo secolo si è lasciata scuotere da questo film che non cerca ragioni storiche o politiche, che non si affanna a dare la colpa a qualcuno, ma che lascia traspari-re la verità più sconvolgente del cristianesimo: l’amore a Cristo fa impallidire ogni realtà creata fosse anche quella della vita stessa. ■

DEGLI UOMINI E DEGLI DEI

Dal Testamento di P. Christian de Chergé, Priore di N. D. de l’Atlas

E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insc’Allah Di questa vita perduta, totalmente mia, et totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permet-tesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

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E’ BELLO FERMARSI

CON IL SIGNORE

Correre, correre, correre!! Non è solo l’imperativo da prefiggersi prima di una gara podisti-ca nei sentieri del Chianti o all’inizio di una competizione ciclistica in Val d’Orcia, ma credo che descriva anche la nostra quotidianità, frenetica e isterica allo stesso modo. Ma durante la corsa, qualsiasi sia, avete mai sperimentato la possibilità di scrutare a fondo quello che si vive, darne senso pieno, leggere gli eventi non come casualità pura e vera ma con un’ottica più attenta e provvidenziale? Forse per ciascuno di noi sarebbe salutare di tanto in tanto raggiungere delle piazzette di

sosta e fermarsi un attimino per rallentare quel turbine nel quale siamo inghiottiti e che, spesso, ci priva del goderci in pienezza il bello che ci è riservato in ogni istante, che sia Chianti o Val d’Orcia. La preghiera comune che in quest’anno stiamo vivendo il primo giovedì del mese con gli amici seminaristi del Seminario di Siena per me descrive proprio questa piazzetta di sosta e ristoro: non c’è bisogno di fare fare fare… e ancora fare!! Bisogna soltanto essere, ed esserci! Concedersi una sosta con la compagnia di coloro che hanno attinto in maniera più radicale il senso di vita piena proprio da quel fermarsi lì e da quel rallentare la corsa della vita per confermare costantemente la correttezza della direzione intrapresa, e la sua bellezza, vi assicuro che non può lasciarci come prima, ma è una opportunità privilegiata per guardarci nel profondo. Universitari e seminaristi sono una ricchezza gli uni per gli altri: più o meno coetanei, nella nostra diversa vocazione tutti siamo chiamati a fermarci e fare rifornimento in quella piazzetta, che sia con benzina, die-sel, gas… o un sorso d’acqua! E’ in quella preghiera degli gli uni per gli altri che, nonostante il peso delle no-stre misere fragilità, attingiamo quella forza capace di sostenerci vicendevolmente per proseguire e godere del cammino della vita. Allora, ti fermi con Lui?? ■

“E' Gesù che cercate quando sognate la felicità”. Queste parole di Giovanni Paolo II credo che sin-tetizzino in maniera paradigmatica la mia esperienza da seminarista con la realtà della Cappella Univer-sitaria. Infatti tutta l’esistenza di

una persona può essere nascosta in quel “cercare” e in quel “sognare la felici-tà”. Sant’Ambrogio nel De Virginitate dice una frase geniale: “Cristo è tutto per noi!”. Infatti quando con il Seminario abbiamo la grazia di cenare e pre-gare a San Vigilio non fac-ciamo niente di speciale. Mettiamo Cristo al cen-tro, il Tutto, e cerchiamo di conoscerci; infatti la Chiesa è comunità e fra-ternità accorgendoci che Cristo è presente in mezzo a noi. Per me è sempre una ricchezza poter vedere dei ragazzi come me, magari fidanzati, che adorano il Signore. Ciò mi richiama con forte evidenza che io sono fat-

to per amare e che in fin dei conti abbiamo la stessa vocazione: amare ed essere amati. La mia presenza a San Vigilio la percepisco così: pregare per e con i miei coetanei gustando quanto è bello fermarsi con il Signore. Certo, la presenza di un seminarista come di un consacrato è segno di amore totale per Cristo ed i fratelli. La mia presenza, anche se silenziosa, vuole essere semplicemente una freccia puntata verso il Maestro per ricordare che solo Lui è la pie-

nezza del cuore dell’uomo e che la vocazione, che è per tutti, è la sua parola di amore rivolta a me. “Gli stai a cuore non c'è dub-bio…Ha scritto “t'amo” sulla roccia…E accanto ci ha messo il tuo nome, non si è vergognato di te” (A. Bello). ■

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QUARANT’ORE PER

INNAMORARSI DI CRISTO

Venerdì 18 marzo le parole di Don Enrico hanno concluso quarant’ore di perpetua medita-zione e adorazione di Gesù Eucaristia. Sono stati due giorni di intensa preghiera e partecipa-zione, di comunione di sentimenti, di amore, in cui la casa del Signore si è mantenuta estre-mamente viva ed abitata da tutti coloro che sentivano il bisogno di restare in sua compagnia e fermarsi a parlare un po’ con lui. Si è trattato soprattutto di un momento che ci ha dato la possibilità di misurarci con il nostro silenzio, parola chiave di quest’Adorazione Eucaristica: a volte capita infatti che stanchi dei ritmi incalzanti della vita, avvertiamo il bisogno di fer-

marci, di sederci al banco di una Chiesa, magari senza parole precise, magari con le spalle stanche per il peso di errori che non siamo riusciti a toglierci di dosso e ginocchia flesse pronte a riconoscerli. Forse i “silenzi” di queste quaranta ore non ci sono appartenuti tutti, forse alcuni ci hanno colti distratti, in altri ci saranno mancate anche le parole dell’anima, in altri ancora guardandoci attorno avremmo voluto scoprire quante parole vi fossero racchiuse dentro, ma poi è arrivato quello che abbiamo sentito davvero come il “nostro si-lenzio”, quello in cui più attenti ci siamo fermati ad ascoltare cosa aveva da dirci, in cui le porte del cuore si sono schiuse svegliando una coscienza addormentata dalla quotidianità e abbiamo capito che non solo la bocca è in grado di parlare ma che paradossalmente siamo capaci di farlo senza emettere suoni ascoltando semplicemente quelli che abbiamo dentro. Proprio in quello stesso silenzio ci sarà capitato di gettare un pic-colo sguardo al passato, remoto e prossimo, per tira-re le somme di ciò che si è fatto e soprattutto non fatto e fare la conta di tut-te le nuvole nere cui abbia-mo permesso di spegnere una speranza; è un silenzio che somiglia alla notte, che ci scava dentro facendo venire a galla le paure più recondite, le sofferenze taciute, le richieste di aiuto e sostegno, il suono di pen-sieri confusi e rumorosi che fanno sorgere domande cui forse una vita non basterà per rispondere, un silenzio in cui ci lasciamo trasporta-re dalla preghiera per vede-re dove ci porta, consape-voli del tempo che richiede ma pronti a perseverare per scoprire quanto ci farà sen-tire bene. In queste quaran-ta ore ci siamo impegnati a tenere compagnia al Signore, non abbiamo lasciato che rimanesse solo neanche un momento, siamo stati sempre lì, vigili, pronti a parlargli con quelle voci interiori che non hanno bisogno di parole e che solo Lui sa ascoltare, ognuno narratore di se stesso, ognuno desideroso alzare il volume

dell’anima per ribadirgli la nostra fiducia, la nostra fede e la certezza che anche nelle notti più silenziose la solitudine non ci coglierà mai perché ab-biamo scelto di camminare con il nostro più fedele compagno di viaggio. ■

“Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui” (Sal 36,7)

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LA BELLEZZA DELLA SCOPERTA

“Questa sera un lembo di cielo è sceso sulla terra!”: espressione poetica e delicata che rie-voca un’immagine intima e universale insieme. E’ cosi che la Madre Generale, Suor Maria Te-resa Sotgiu, ha apostrofato il nostro Coro della Cappella Universitaria in occasione dell’uscita a Roma presso la casa generalizia per festeggiare la famiglia delle Figlie della Chie-sa nel giorno dell’Annuncizaione. Un’occasione di festa che ha consentito a religiose e laici di godere insieme di un pomeriggio pieno di abbracci, sorrisi e sguardi teneri. Proprio questi, infatti, sono stati i contenuti di una festa che ha tenuto impegnati studenti e suore

nell’intento di esprimere un’apertura e un’accoglienza reciproca che fossero degne di riflettere il desiderio di stare insieme col cuore. Elemento unificante della giornata è stata unicamente Maria, Madre di Dio. La musica, dunque, ha avuto il grande merito di rappresen-tare il canale principale di emozioni e di essere, nel con-tempo, il linguaggio più imme-diato di conoscenza. Auten-tica e sincera è stata la bel-lezza di partire alla volta di Roma pieni della curiosità di chi incontra una nuova fami-glia per la prima volta; ina-spettata e gioiosa è stata la consapevolezza di tornare a casa ricolmi della scoperta che coloro che non conosce-vamo, in realtà, già ci appar-tenevano. ■

Annunciazione del Signore 2011, nella Casa generalizia delle Figlie della Chiesa in Roma: una giornata di freschezza, gioia e comunione, tutta profumata di Maria; coronata stupen-damente dal Coro della Cappella Universitaria di Siena con un superlativo concerto. I giovani coristi, giunti verso sera, si inseriscono delicatamente nella festa di famiglia a “rappresentare – come avverte la calda presentazione di Katia – ciascuno col suo impegno e la sua presenza, un piccolo frammento di Chiesa, che insieme a noi, nella tradizione, si offre come dono a Gesù, riservando particolare attenzione ai poveri: « i Gesù » presenti nel mon-

do. “Attraverso i nostri canti, dedicati a Maria – continua la presentatrice – desideriamo unirci a voi in que-sta “ondata” di spiritualità mariana che ha il potere di illuminare le nostre vite e avvolgere il mondo in un te-nero abbraccio, accogliente e materno”. Quando le voci si aprono al canto la direzione di Marta Marini dà il giusto tono e un’espressione musicale che ci è apparsa molto elevata. Di brano in brano l’entusiasmo e l’interpretazione dei solisti e del coro, ci contagia e commuove, è davvero preghiera. Restiamo affascinate in particolare dall’intensità e aderenza dell’interpretazione in musica che la giovane Maestra del Coro ha saputo dare alle tre delicate poesie della Fondatrice: Mater pulchrae dilectio-nis, Mater sanctae spei, Mater Jesu. L’effusione di gioia e comunione si prolunga nella cena e nel congedo, rimane in cuore. GRAZIE, grazie carissimi giovani della Cappella Universitaria per questo prezioso dono che testimonia anche a noi Sorelle, dai capelli bianchi o no, la freschezza, la forza e la bellezza dell’annuncio di Gesù, vero Dio e vero uomo, figlio di Maria, Salvatore del mondo. ■

La Cppella Universitaria e le Suore Figlie della Chiesa si incontrano

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QUANDO L’ORDINARIO

DIVENTA STRAORDINARIO Racconto dell’a “settimana di vita comune” svoltasi a Fermo nella casa di spiritualità " Villa Nazareth", animata dal direttore

dalla casa don Enrico Brancozzi e dalla Comunità del Seminario Arcivescovile di Fermo

“Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi?” (Lc 24,32). E’questa la frase che meglio esprime il nostro stato d’animo quando ripensiamo alla settimana di vita comune, un tempo che il Signore ci ha dona-to per fare discernimento. Chiedersi quale sia la propria vocazione non è facile: la paura più grande è quella di scoprire che il suo progetto su di noi non corrisponda al nostro, come se egli, chiedendoci di aderire alla sua volontà, ci volesse togliere qual-

cosa, come se seguirlo significasse solo sacrificarsi. Ma può Dio volere per noi qualcosa che non è bene? La nostra volontà e la sua non sono forse uguali? Non desideriamo in fondo quello che Cristo desidera per noi: essere felici? E’ proprio tale felicità che abbiamo sperimentato in questa settimana in cui il rapporto con il Signore si è fat-to più intimo riempiendoci di gioia e pace, quella gioia e pace che solo lui sa dare. Egli, rendendo il nostro cuore ardente come quello di una persona innamorata, ci ha ridonato quell’entusiasmo che la quotidianità sembrava averci tolto facendoci riscoprire la bellezza di essere cristiani.

Fare un'esperienza di fede senza interrompere le normali attività giornaliere come la scuola, il lavoro, lo studio, lo sport, ecc. ci ha porta-to a capire che c’è un modo diverso di vivere la quotidianità, che, se vis-suto alla luce di Cristo, l’ordinario è straordinario. Non è stato dunque difficile rico-noscere Cristo nella parole del sa-cerdote che ci ha guidati in questa settimana, nei seminaristi che, pri-vandosi del poco tempo che aveva-no per studiare, ci hanno supporta-to e sopportato, nei ragazzi che hanno condiviso con noi questa e-sperienza, e soprattutto, in tutti i

testimoni che, donandoci un “pezzetto” della loro vita, ci hanno raccontato la loro vocazione. Ascoltare queste persone ci ha ricordato come ognuno noi è chiamato a fare cose grandi, e come, per fare cose grandi occorra farsi piccoli, morire a se stessi per donarsi completamente agli altri. Queste parole hanno fatto na-scere in noi il desiderio di rendere concreto il vangelo nella nostra vita come lo era nella loro. Per un attimo ci è sembrato di stare perdendo tempo, di non dare la giusta priorità alle cose. Alla voglia di abbandonare tutto per seguire Cristo, è seguita però la paura di rinunciare alle nostre certezze e, allo stesso tempo, la tristezza derivata dalla consapevolezza che questa voglia di donarsi si sarebbe trasformata in indif-ferenza. Tutte queste paure sono finite nel momento in cui abbiamo capito che questo è per noi un tempo di crescita, di formazione. Come sempre alla fine di un momento come quello che abbiamo vissuto si crea una comunione spirituale tal-mente forte che abbiamo avuto la tentazione di “mettere le tende”. Però “non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa”(Mt 5,15-16). Spe-riamo quindi di riuscire a trasmettere la gioia di un incontro vero del quale siamo testimoni cercando di non

perdere l’entusiasmo che abbiamo dentro. Sicuramente non basta una settimana per capire quale è la volontà del Si-gnore su di noi, ma, una volta terminata abbiamo la certezza che, in qualun-que modo il Signore ci chiami a servirlo, seguirlo sarà bellissimo. ■

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LUCA: UN PEZZETTINO DI CIELO

Che cosa può venir fuori dagli scritti e dalle pagine di diario di un ragazzino tenute insieme dal rac-conto che ne fa la sua mamma? Nel nostro caso Il libro di Luca, opera della signora Agnese Guglielmi, au-trice del libro e madre di Luca Ber-

tola, stroncato a tredici anni da un sarcoma di E-wing. Questa testimonianza commovente e capace di toccare ogni cuore nell’intimo è stata presentata venerdì 11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, nel chiostro di San Domenico a Siena. In un mondo come quello in cui viviamo in cui sembra or-mai un tabu parlare di morte, malattia, sofferenza come se il tacerne costituisse una tecnica efficace per esorciz-zarle, la mamma di quest’angelo ha saputo anda-re coraggiosamente oltre il dolore e la sofferenza perso-nale per condividere insieme a noi il grande regalo ricevu-to da Dio, il dono della vita seppur breve di Luca, in modo tale che “quel pezzet-tino di cielo” possa diventare un po’ anche il “nostro” angelo. Una figura che si inquadra nella numerosa schiera di quelli che con un’espressione forse un po’ ardua pos-sono essere definiti “santi normali”: un bambino mol-to serio, ma non privo di senso dell’umorismo che come in tutte le famiglie di questo mondo litigava con i fratelli, ma “buono per scelta”, capace di chie-

dere scusa, dire grazie, dimenticarsi per gli altri. La sua breve esistenza è stata un continuo inno alla vita, segnata dalla gioia di seguire le gare di Mo-toGP, di mangiarsi la pizza preferita e dormire fino a tardi come tutti i ragazzini della sua età. Dotato di una fede semplice e matura al tempo stesso, credeva molto nella forza della preghiera e del digiuno; un ragazzino capace di accogliere in una maniera spe-ciale l’amore per il Signore trasmessogli dalla mamma; un piccolo con una storia da adulto, cresciuto in

fretta ma con timori, paure e ansie prettamente umane. “Ho paura di non andare in Paradiso”, confidò un giorno in ospedale a mamma Agnese. Un bambino capace di af-frontare la malattia con pa-zienza e spirito di sacrificio, sempre grato a quanti gli so-no stati accanto negli anni del dolore, ma soprattutto riconoscente a quel Signore che di certo non lo avrebbe lasciato fino all'incontro de-finitivo con Lui. Dotato di una forza che noi diremmo soprannaturale, nel momento in cui, è ormai consapevole della fine imminente, confor-

ta la madre dicendole: "Non temere, mamma, ho fat-to la Cresima, e chi ha ricevuto lo Spirito Santo non va perduto". Una prova di come “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per con-fondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1Cor 1,26-29). ■

Agnese Guglielmi. Il libro di Luca, Casale Monferrato (AL), Piemme 2010. Blog di Luca: http://www.librodiluca.it/ “Signore, io ho visto molte persone soffrire qui all’ospedale dei tumori e quindi ti volevo dire una preghiera. Signore, prega per tutti quelli che non pregano. Signore, prega per tutti quelli che sono in fin di vita. Signore, prega per tutti quelli sotto le bombe. Signore, prega per tutti quelli che non amano. Signore, prega per tutti quelli che soffrono. Signore, prega per tutti quelli che sono stati rapiti.”

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“Luca era gay”: abbiamo iniziato a conoscerlo così al Festival di Sanremo 2009. In realtà Luca era un semplice ragazzo costretto fin da piccolo a vivere senza una figura paterna a causa della separazione dei suoi avvenuta poco dopo la sua nascita. All’età di soli 13 anni la sua infelicità e la sua necessità di affetto si manifestarono in pulsioni omosessuali ed aven-do avuto la consapevolezza che esistevano “altri come lui” a 18 anni andò via di casa ed en-trò nel cosiddetto “mondo colorato”. Discoteche e festini erano il fulcro di tale mondo, un mondo dove puoi soddisfare le tue più recondite perversioni ma dove non esistono relazioni stabili e vere: “dopo la consumazione, quel che rimane è solo vuoto e tristezza”. Da queste

parole ciò che trapela è un’angoscia straziante. Il punto di massimo declino fu la scoperta di essere sieroposi-tivo. Cercando delle risposte a quel dolore così lacerante Luca si rifugiò nel buddismo. Questa esperienza lo aiutò a staccarsi dal mondo materiale che ormai colmava la sua vita ma un giorno, mentre era nel tempio buddista comparvero davanti a lui delle immagini della Madonna. Si rifugiò nella sua stanza e, prendendo in mano un rosario regalatogli da sua nonna ma di cui non si ricordava nemmeno l’esistenza, iniziò a pregare. Durante la recita della terza decina sentì dentro di lui una pace e una gioia mai provata ed affermò: “In quel momento sentii la presenza della Madonna al mio fianco”. In un momento di confusione assoluta l’unica cer-tezza di Luca era l’aver trovato qualcosa in cui confidare. Iniziò a seguire la terapia riparativa di Joseph Nicolosi, uno psicologo cattolico che aiutava a recuperare le relazioni ma-schili perdute. All’inizio per lui fu al-quanto difficile accettare la distruzione della sua identità e riuscire a perdonare gli altri e se stesso; ma la voglia di salvez-za e la forza della fede furono così forti che dopo questo lungo percorso le sue parole furono: “Ho imparato a non idea-lizzare gli altri uomini. Ho ricominciato a dormire di notte. La malattia mi ha co-stretto a mollare tutto, eppure oggi dico che è stata la mia grazia”. Luca adesso è sposato con Teresa - una donna che conobbe in un pellegrinaggio a Medjugorie - e insieme conducono il gruppo Lot aiutando gli omosessuali a rifiorire. Tutte le sue testimonianze si concludono con queste parole: “Vivo in affitto, non ho più le belle automobili di un tempo, non m'interessa farmi pubblicità, ma chiedo solo di poter affermare quello in cui credo: io stesso ne sono la prova vivente. Oggi sono un uomo vero, un uomo libero!”. È incredibile come la forza della fede dona all’essere umano forza, energia e positività per riemergere facen-doci comprendere che, nonostante il dolore, quando alla fine la grazia di Dio si rivelerà agli occhi del nostro cuore tutto diventerà infinitamente più semplice. Con il nostro pensiero, con la nostra volontà, con la nostra capacità di scegliere noi abbiamo una potenza incredibile: usiamola per orientarci verso il Bene ricordandoci che l'uomo conquista la sua libertà interiore

nella misura in cui si fortificano in lui la fede, la speranza e l'amore. ■

LA LIBERTA’ DI CAMBIARE

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Il suono soave e malinconico delle campane, gli odori della cucina monferrina, con le sue spezie, il suo calore e la sua vitalità, la ritualità della bogna cauda, la semplicità delle tradi-zioni, la quotidianità faticosa e semplice della vita contadina. Sono questi i suoni, i colori, i profumi che si possono sentire, respirare e nei quali è possibile immergersi attraverso la let-tura de “Il pane di ieri” del Priore del monastero di Bose Enzo Bianchi. La sua vita è stata davvero scandita dai ritmi caldi e lenti della preparazione del pane, della vendemmia, della fermentazione del vino e della cura della vigna perché, come dice il Priore stesso, “curare la

vigna è come curare la vita, la propria vita, attraverso potature e anche pianti, in attesa della stagione della pienezza: per questo la potatura è un’operazione che il contadino fa quasi parlando alla vite, come se le chie-desse di capire quel gesto che capire ancora non può”. Curare la propria anima come il contadino cura la vigna o l’orto: è questo il cuore della formazione spirituale di ogni uomo, un arricchimento fatto di esperien-ze e incontri che ha portato Enzo Bianchi da chierichetto della parrocchia del Monferrato ad essere Priore di una comunità ecumenica che mette al centro della propria espe-rienza un messaggio di dialogo in-terreligioso e di condivisione attor-no al Pane Eucaristico, vero centro di irradiazione di amore e di luce. Una realtà aperta all’ascolto e alla realizzazione di una comunione in-tensa e profonda che cerca di rea-lizzare fin da ora il Regno di Dio sulla terra senza esclusioni, veden-do sempre nell’altro un fratello con cui camminare insieme. “Noi uomini abbiamo fame, siamo esseri di desi-derio e il pane esprime la possibilità di trovare vita e felicità […]. La nostra fame è anche di parole che escono dalla bocca dell’altro: abbia-mo bisogno che il pane venga da noi spezzato e offerto a un altro, che un altro ci offra a sua volta il pane, che insieme possiamo consumarlo e gioire, abbiamo soprattutto bisogno che un Altro ci dica che vuole che noi viviamo, che vuole […] salvarci dalla morte”. Salvarci dalla morte at-traverso il contatto con gli altri: è forse questo uno degli insegnamenti più importanti e significativi che il Priore ha portato dentro di sé. “Gli altri” sono stati i suoi grandi maestri: non sacerdoti, teologi o intellettua-li, bensì girovaghi, fabbri, vicini di casa, personaggi rimasti impressi nel suo animo perché si sono rivelati con la loro capacità di sorridere e con il loro infinito desiderio di comunione dei piccoli grandi maestri di umani-tà. “Così ho imparato molte presto a scoprire autentici tesori di umanità in poveri uomini cenciosi che tutta-via conoscevano bene la vita perché l’attraversavano nella fatica, nell’estraneità, nell’ascoltare molto e nel parlare poco”. Non solo dunque sacerdoti che aprivano e chiudevano i cieli profetizzando sciagure o pro-mettendo ottimi raccolti, ma soprattutto persone semplici che hanno coltivato “il proprio orto” con costan-za e dedizione, la cui vita aveva un sapore semplice e genuino. La semplicità di un passato che vale la pena rivivere attraverso queste pagine. ■

(ENZO BIANCHI, Il pane di ieri, Torino, Einaudi, 2008)

“IL PANE DI IERI

E’ BUONO DOMANI”

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FESTA DI CARNEVALE 2011: personaggi dei periodi storici

gli Illuminsti

Mussolini e Hitler

donne “anni ‘20”

i Figli dei fiori

i Barbari

gli Arabi

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Cristoforo Colombo e le tre Caravelle

i Punk

gli Egizi

RITIRO DI QUARESIMA 2011, San Lucchese - Siena

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Si fa ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio agli esseri umani, se si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia.

Papa Paolo VI

“Non voglio posizioni di potere, voglio solo un posto ai piedi di Gesù, voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo!”. Sono queste le ultime parole di Shahbaz Bhatti, ministro cristiano nel Pakistan musulmano, brutal-mente assassinato il 2 marzo scorso da estremisti islamici per non aver desistito dal difende-re gli indifesi, cioè dal fare il suo dovere di Ministro delle minoranze religiose. Insegnante di scuola elementare, nel novembre del 2010 il ministro Bhatti aveva salutato il cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, con queste

parole: “So che mi uccideranno. Offro la mia vita per Cristo e per il dialogo interreligioso”. Un martire, un testimone della fede cristiana, voce delle minoranze e dei più poveri che ha fatto del suo credo non un’etichetta da strumentalizzare, ma l’anima della sua esistenza. La dimensione religiosa dell’uomo fa parte dell’esperienza umana in tutte le culture. Dalla reciproca apertu-ra degli aderenti alle diverse religioni possono derivare grandi benefici per il dialogo tra le civiltà, la pace e il bene comune dell’umanità. E questa apertura poggia sulla consapevolezza che tra i valori comuni ad ogni cul-tura, perché radicati nella dignità della persona umana, si trovano i diritti fondamentali dell’uomo incluso certamente il diritto alla libertà religiosa. Shahbaz Bhatti è l’ultima vittima di un clima di intolleranza con finalità politica, che lascia una scia di sangue di tanti cristiani trucidati, tra cui Benazir Bhutto, Primo Ministro pakistano assassinata nel 2008, il Governa-

tore del Punjab Salman Taseer Talking, i monaci trappisti di No-stra Signora dell'Atlas sequestrati e uccisi nel 1996 dai fondamentali-sti dei “Gruppi islamici armati” e, ahimé, molti altri. Chi ha rivendicato la morte di Bhatti non poteva essere più chiaro: è stato ucciso “perché era un cristiano, un infedele e un bla-sfemo”. Il suo assassinio è parte di una guerra di religione per elimi-nare quanti vogliono modificare la legge sulla blasfemia. Quest’ultima è la radice di molti problemi che impediscono al Paki-stan di diventare un paese multi-etnico e multiculturale. Dal can-to loro i politici e il governo han-

no mantenuto un atteggiamento debole che non ha permesso di apportare modifiche alla legge nera diventa-ta un pretesto per dirimere controversie personali. Generalmente i cosiddetti “paesi civilizzati” stabiliscono la libertà religiosa nella Costituzione, ma la promessa legale non è sufficiente per garantirla veramente. Come tutte le libertà, anche quelle religiose sono fragili e a volte scomode. Molti vogliono queste libertà, ma non necessariamente per tutti e talvolta la maggioranza si oppone alla protezione delle libertà specialmente per la religione e per i gruppi di minoranza. Per questa ragione il diritto di professare liberamente il proprio culto ha bisogno di un forte appoggio da parte dei governi. E’ dall’affermazione incondizionata della libertà religio-

sa che derivano la democrazia, la pace e la salvaguardia dei diritti fonda-mentali dell’uomo, primo fra tutti quello della sacralità della vita umana, ma tale principio di civiltà non può valere a senso unico. ■

SHAHBAZ BHATTI:

ESSERE CRISTIANI NEL MONDO

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“Montanelli diceva: De Gasperi e Andreotti andavano insieme a Mes-sa e tutti credevano che facessero la stessa cosa, ma non era così: in chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete” (dal film “Il Divo”, regia di Paolo Sorrentino). Il politico romano è a colloquio col

suo sacerdote. La battuta del prete è emblematica raffigurando al meglio la concezione del lega-me tra politica e spiri-tualità del Divo Giulio. “I preti votano, Dio no”, risponde laconica-mente Andreotti. La Democrazia Cristiana, il partito di Andreotti, ha sempre goduto del sostegno da parte del Vaticano e ne ha fatto un punto di forza. Un interrogativo sorge spontaneo: la Chiesa ha il diritto di interve-nire nella vita politica italiana? Io credo che sia giu-sto indicare ai fedeli quali tematiche le stiano più a cuore. Nel nostro Paese, tuttavia, c’è una strana concezione del ruolo che deve avere la Chiesa: se il suo parere è favorevole ad uno schieramento, le arrivano consensi; in caso contrario si urla all’indebita interferenza. Il centrosinistra plaude ai messaggi di apertura agli immigrati. Il centrode-stra, nondimeno, convie-ne circa le affermazioni in appoggio alla vita, all’unicità del matrimonio tra uomo e donna, al con-trasto dell’aborto. Spesso, inoltre, capita che uno stesso messaggio sia letto con favore da entrambi gli

schieramenti. “Parigi val bene una Messa”, disse l’ugonotto Enrico IV il Grande, re di Francia alluden-do alla sua conversione al cattolicesimo, per poter salire al trono. Nel quadro della politica italiana, tuttavia, può ancora andare così? Può succedere che l’alta gerarchia ecclesiastica chiuda gli occhi dinanzi ai vizi e ai peccati degli uomini politici pur di ottenere “contropartite” legislative, in tema di euta-nasia e di tutela del matrimonio? Il livello etico della politica è desolante:si va dai protagonisti del bunga-

bunga a chi ama così tanto la famiglia da farsene due o tre. Da chi è passato nel giro di pochi anni dai riti pagani del Dio Po all’ipocrita difesa del crocifisso, a chi vor-rebbe una società se-colarizzata. Poco più di un anno il Cardinal Bagnasco rivelava il “sogno di veder nasce-re in Italia una nuova generazione di politici cattolici […] che sen-

tono la cosa pubblica come importante e alta”. L’etica, il buon costume, i comportamenti assennati

e morigerati sono tutte qualità rilevanti nell’amministrazione del bene comune. Chiesa e politici cattolici dovreb-bero far causa comune nella difesa di valori non negoziabili, non raggiungi-bili con ogni mezzo, con uomini affetti da schizo-frenia comportamentale, ma frutto di un percorso coerente di fede. ■

LA NECESSITA’ DI

VERI CATTOLICI IN POLITICA

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SICURI CHE IL PROBLEMA SIA

LA TAGLIA?

Fucsia, giallo, arancio, verde: spazio ai colori per le collezioni primavera-estate. Mettono in risalto l’abbronzatura e soprattutto sostituiscono le tonalità scure, indiscusse protagoniste delle stagioni fredde. Tutto ciò che c’è di grigio si colorerà recitava uno dei tanti bans che da piccoli cantavamo, alla Festa degli incontri dell’Azione Cattolica. Sarà proprio così! Lo sostengono i più affermati stilisti del momento che già provvedono ad allestire le nuove pas-serelle a Milano, Parigi, Londra, New York e Tokyo, capitali della moda. E chi sarà a presen-tare le nuove tendenze? Su questo non c’è dubbio: ragazze alte, non con un etto in più, ca-

paci di muoversi con estrema disinvoltura su tacchi vertiginosi, sia che si tratti di indossare pantaloni, sia che si tratti di abiti o di vestitini esageratamente mini. Alcuni le definiscono indossatrici, altri modelle; nes-suno stilista però ha mai ammesso di esibire le sue creazioni grazie a manichini in carne ed ossa pronti a cat-

turare l’attenzione dei presenti e quella del pubblico a casa. Quante volte ci sarà capita-to di sfogliare uno dei tanti giornali, dove gli scatti sugli eventi di moda non mancano, e di dire: “… ecco lo cercavo proprio così, que-sto fa per me”, quando magari a un capo così mai avevamo pensato prima? Così dopo due giorni siamo in giro a fare shopping, alla ricer-ca dell’ultima novità! Ecco la trovi, ma presto cominci a realizzare che se avessi una taglia in meno sicuramente ti starebbe meglio: a questo punto, nei casi migliori, lontana è l’idea del mettersi a dieta (piuttosto si cerca un altro capo). Ma non è detto che sia così: c’è anche chi quel chilo di troppo lo vuole perdere a tutti i costi facendo delle indossa-trici viste in tv veri e propri esempi da segui-re. Ed è a tal riguardo che molti studiosi si sono interrogati arrivando a sostenere che l’anoressia, malattia che ahimè colpisce un numero sempre più alto di ragazze (ma non solo) affonda le sue radici proprio nel mondo della moda. E allora che si fa? Semplice: elimi-niamo la taglia 38 dalle passerelle, anzi smet-tiamo anche di venderli capi così piccoli! Ma sarà giusto? L’anoressia sta davvero diventando un gigan-te da affrontare e anche presto. Le sue ori-gini sono complesse: affermare che la taglia 38 è la causa del male potrebbe essere il risul-tato banale di uno studio semplicistico. I gi-

ganti vanno affrontati con grande spirito critico e con estrema intelligenza. E’inutile puntare il dito contro passerelle e stilisti. Non serve eliminare la taglia 38 (pure perché non è detto che la taglia 38 sia sinonimo di anoressia). E’ vero, il mondo della moda oggi spaventa: molte modelle ahimè sono anoressiche, ma chi dice di seguire il

loro esempio? Perché non guardare una sfilata semplicemente per un sug-gerimento sui colori trend dell’estate? In fondo, al bando l’ ipocrisia, sfoggiare le ultime tendenze piace a tanti di noi! ■

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Il digiuno in quaresima unito alla preghiera può davvero diventare un cibo per la nostra ani-ma e il nostro corpo? proviamo a rifletterci insieme. Si può scegliere di digiunare per vari motivi, più o meno futili: c’è infatti chi digiuna per la “panza”, chi invece lo deve fare perché ha problemi di stomaco; c'è poi, purtroppo, chi lo fa ogni giorno perché malato di un male tremendo come l’anoressia. Infine ci sono poi quei fa-natici, conservatori, talebani dei preti che vorrebbero farci digiunare ogni venerdì di quare-sima! Sicuramente è questo quello che vi sentirete dire anche da molti “cattolici maturi”. Aggiun-

geranno magari che c’è già abbastanza fame nel mondo o in Africa e sarebbe peccato per noi che abbiamo il cibo non mangiarlo. Da questo si capi-sce la differenza tra chi ha provato a fare il digiu-no quaresimale anche con semplici fioretti e chi no. Già ai tempi degli Apostoli la Chiesa ne ha pro-clamato l'importanza senza però proporre una leg-ge fissa, in quanto questa pratica spirituale è di-rettamente proporzionata alla capacità del peni-tente di sopportarla. “Assicurati che nessuno ti distolga da questa via tracciata dalla dottrina... se puoi sopportare tutto il giogo del Signore, sarai perfetto; se non puoi fai ciò di cui sei capace. Per quanto riguarda il digiuno osservalo secondo la tua forza.” (Didachè 6,1-3) Se guardiamo alle Scritture, prima di intraprende-re la sua missione nel mondo il Signore stesso ha digiunato per quaranta giorni ed ha insegnato l'esercizio del digiuno. Per il Nuovo Testamento il digiuno è un mezzo di astinenza, di pentimento e di elevazione spirituale. Io ci ho provato. Ho provato a digiunare in quaresima per comprendere cosa si provi a non mangiare un gior-no. All’inizio vi confido che è stata una sfida con me stesso, una delle sfide più antiche del mondo, quella tra corpo e mente, tra desiderio e volontà; forse in fondo anche il desiderio inconscio di avvicinarmi in punta di

piedi alla passione di Cristo. “Il di-giuno, così come indica il termine, significa astenersi dal cibo; ma il cibo non ci ha mai resi né più giu-sti, né più ingiusti” diceva Clemen-te Alessandrino, sottolineando così che il vero valore del digiuno è essere capaci di non diventare schiavi delle passioni e del mondo. Il digiuno dal cibo è un consiglio ascetico, e l'ascesi è una proposta, non una legge. A voi la scelta... Ascesi? ■

UNA BOCCATA DI DIGIUNO

«La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito... Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia... Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta» (Lc 12,23.29.31).

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LE CONSEGUENZE

DELL’AMORE

Un commercialista, un uomo abitudinario senza immaginazione né frivolezze; l’unica cosa frivola è il suo nome: Titta Di Girolamo. Un elegante uomo di mezza età, da 8 anni ospite di un anonimo albergo in un’anonima cittadina del Canton Ticino. Un personaggio probabilmen-te affascinante, sicuramente misterioso, ritratto con i suoi stessi occhi attraverso la voce dei suoi pensieri. Per lungo tempo sullo schermo non succede splendidamente nulla: nessun evento, ma solo l’esistenza monotona e noiosa del protagonista. Il suo tempo è scandito dal fumo delle sigarette, dalle partite a carte con gli ospiti dell’albergo, dalle notti insonni e da

un’iniezione di eroina una volta alla settimana, sempre lo stesso giorno, alla stessa ora, da anni. Un’evasione programmata, senza rischi: è calcolato persino il lavaggio completo del sangue, una volta all’anno. Cosa po-trebbe mai cambiare questa esistenza statica e chiusa? Le conseguenze dell’amore, appunto. Almeno secondo Paolo Sorrentino, probabilmente il migliore tra i regi-sti italiani dell’ultima generazione. Un autore che marchia su pellicola uno stile personalissimo e riconoscibile nonostante il solido tessuto di citazioni. L’amore è quello per Sofia, la giovane barista dell’albergo. Non si tratta, però, di una storia di passioni; forse lei non è neanche innamorata, ma non ha importanza: conta l’aver visto un’alternativa, una possibile via di fuga. “Forse sedermi a questo bancone è la cosa più pericolosa che ho fatto in tutta la mia vita”, le dice Di Girolamo. E’ il pri-mo atto di una rivoluzione che lo porterà progressivamente a violare tutte le norme che lo imprigionavano, soprattutto quel-le dei suoi padroni: la mafia che, per aver commesso uno sgar-ro, lo aveva murato vivo in quest’albergo, costringendolo al ruolo di fattorino nel riciclaggio di denaro sporco. Attraverso improvvise geometrie visive (i quadranti della por-ta, il flusso avvolgente delle scale), una fisicità originalissima (impercettibili i cambiamenti nel volto di Titta magistralmente interpretato da Toni Servillo), suggestioni grottesche (l’insonnia e la droga), il regista spaccia per indifferenza una sincera desolazione, mostrando un uomo né schivo né timido, ma che semplicemente non ha nulla da trasmettere (Di Girola-mo che ammette la sua verità: “Cosa devo dire? Io sono un commercialista”). E’ questo il vero noir: il depistaggio non dei fatti – la catena degli eventi è voluto ricalco di un topos - ma delle multiformi sensazioni dell’uomo. La linea temporale subisce continue variazioni con numerosi dettagli ed angolazioni sempre nuove: quasi filosofica è l’inquadratura in cui il protagonista è rovesciato e giace all’incontrario proprio come la sua esistenza. La mano di Sor-rentino è quasi miracolosa nel controllare la macchina da presa ed inclinarla al senso del racconto, usando sterzanti piani-sequenza che sembrano accarezzare volti ed og-getti: un cinema personale che rifiuta ogni filtro. La conclusione è memorabile: nonostante l’espediente dell’omissis narrativo tipicamente recuperato in pochi flashback (un’esecuzione, un milione di dollari, una vetta innevata), l’autore in fondo chiude un discorso mol-to più interiore. Quindi soltanto il silenzio, il tramonto, il crepuscolo: così il Cinema scioglie il ghiaccio di o-

gni lacrima. Buona Visione. ■

«Forse sedermi a questo bancone è la cosa più pericolosa che ho fatto in tutta la mia vita» (Il protagonista del film)

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BU...ona DA...vvero PE...r ST...arci

Budapest è la capitale dell’Ungheria e dista solo poco più di due ore di aereo dall’Italia. Questa città dell’Europa orientale racchiude molti più tesori di quanti se ne possano pensa-re: non molto conosciuta, questa perla in mezzo ai Balcani ha invece davvero molto da offri-re. La meta, in quanto poco gettonata, ha prezzi abbordabilissimi, sia per il biglietto aereo che per quel che riguarda il soggiorno. Anche se gli euro sono ufficiosamente accettati, vi consiglio di convertire un po’ di euro nella nazionale moneta, il fiorino ungherese, che vi ser-virà per le piccole spese. Muoversi qui è semplice: le linee della metropolitana rendono age-

voli gli spostamenti ed i taxi non sono cari. È interessante sapere che la città è formata dalle due città di Buda e Pest, unitesi solo a metà ’800. Prima esse erano indipendenti e divise dal Danubio che attraversa la città. Una mini-crociera sul fiume è indicata per osservare la città e cogliere le preziose meraviglie visibili sulle sue sponde come il maestoso Parlamento in

stile neogotico, l’isola Margherita che sorge in mezzo al Danubio, e gli innumerevoli ed enormi ponti che si susseguono l’uno dopo l’altro, particolarmente suggestivi di notte, quando sono illuminati da mille luci. Tra i luoghi di culto vi segnalo la Chiesa di San Mattia, capolavoro corredato di preziose vetrate ed affreschi e la Sinagoga ebraica, la più grande d’Europa e la terza nel mondo (tuttora a Budapest è presente la più grande comunità ebraica europea). Un giro nel cuore della città è d’obbligo: numerosi sono i musei d’arte che richiameranno la vo-stra attenzione, ma molte sono le bellezze che si possono scorgere semplicemente passeggiando per

la città. A dir poco maestosa è ad esempio la Piazza degli Eroi con statue a semicerchio che ricordano tredi-ci personaggi tra i più importanti della storia ungherese. Proseguendo per le vie cittadine, vi troverete da-vanti all’antica Pasticceria Gerbeaud situata in un caratteristico palazzo d’epoca in piazza Vörösmarty dove potrete gustare meraviglie finemente preparate in un ambiente raffinato e nostalgico. Se siete alla ricerca di qualche souvenir tipico (come il salame ungherese, il liquore Unicum in miniatura e la paprika) vi consiglio il grande mercato coperto, immenso bazar di prodotti ungheresi: ne rimarrete affascina-ti. Non potete lasciarvi sfuggire una visita nei dintorni di Budapest. Apprezzerete la bellezza della campagna e potrete osservare l’architettura delle casupole magiare, che si susseguono l’una dopo l’altra a perdita d’occhio. Inoltre, tra i vari paesini attorno alla capitale, è facilissimo trovare caratteristici locali per entrare pienamente nell’atmosfera ungherese: danzatrici e suonatori vi intratterranno con la musica folkloristica e balli ungheresi e intanto potrete gustare il goulash e il locale vino bianco tokaj. Un consiglio: se andate in inverno, come è capitato a me, portate il tipico abbigliamento da montagna. Di notte la temperatura scende sempre sottozero ed anche il giorno è molto freddo e spesso nevica… però ne vale la pena: è stata per me un’emozione vedere per la prima volta una ne-ve così “ghiacciata” da poter addirittura scorgere ad occhio nudo le for-me di ogni singolo cristallo di neve. ■

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LA PIETA’

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STORIE...

IL FABBRICANTE DI MATITE In principio,il Fabbri-cante di matite parlò alla Matita dicendo: ”Ci sono cinque cose che devi sapere prima che io ti mandi nel mondo. Ricordale sempre e diventerai la miglior

matita che possa esserci.” 1°: potrai fare grandi cose, ma solo se ti lascerai portare per mano; 2°: di tanto in tanto dovrai sopportare u-na dolorosa “temperata”, ma è necessario se vuoi diventare una matita migliore; 3°: avrai l’abilità di correggere qualsiasi errore tu possa fare; 4°: la parte più importante di te sarà sempre al tuo interno; 5°: a prescindere dalle condizioni, dovrai continu-are a scrivere e lasciare sempre un segno chiaro e leggibile, per quanto difficile sia la situazione. La Matita ascoltò, promise di ricordare, ed entrò nella scatola comprendendo pienamente le moti-vazioni del suo Fabbricante. Ora sostituisciti alla Matita; non dimenticare mai le cinque regole, ed anche tu diventerai una per-sona migliore. 1°: potrai fare grandi cose, ma solo se permetterai a Dio di tenerti per mano. Permetterai così ad altri esseri umani di accedere ai molti doni che possiedi; 2°: di tanto in tanto sperimenterai una dolorosa “temperata”, attraversando vari problemi, ma ti servirà per diventare una persona più forte; 3°: sarai capace di correggere o superare gli errori che potrai fare. 4°: la parte più importante di te sarà sempre quel-la interna; 5°: qualsiasi superficie camminerai, dovrai lasciare il tuo segno. Non importa quale sarà la situazione, dovrai continuare a servire Dio in tutto. Tutti siamo come una Matita, tutti siamo creati dal Creatore per un unico e speciale scopo. Comprendendo e ricordando, facciamo in modo di vivere la nostra vita su questa terra avendo uno scopo pieno di significato nel cuore ed una quotidiana relazione con Dio. Sei fatto per fare grandi cose!

UNA MATTINATA MOVIMENTATA Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un'ottantina di anni arrivò per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9,00. Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un'ora prima che qualcuno potesse vederlo. Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita. Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita. Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. L'anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie. Mi informai della sua salute e lui mi raccontò che era affetta da tempo dall'Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po' tardi. Lui mi rispose che lei non lo riconosceva già da 5 anni. Ne fui sorpreso, e gli chiesi: "E va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei?" L'uomo sorrise e mi battè la mano sulla spalla dicendo: "Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei..." Dovetti trattenere le lacrime... Avevo la pelle d'oca e pensai: "Questo è il genere di amore che voglio nella mia vita". Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà…

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La preziosità del silenzio

Il silenzio è mitezza: quando non rispondi alle offese, quando non reclami i tuoi diritti,

quando lasci a Dio la tua difesa e il tuo onore!

Il silenzio è magnanimità: quando non riveli le colpe dei fratelli,

quando perdoni senza indagare sul passato, quando non condanni, ma intercedi nell’intimo.

Il silenzio è pazienza:

quando soffri senza lamentarti, quando non cerchi consolazioni umane,

quando non intervieni, ma attendi che il seme germogli.

Il silenzio è umiltà: quando taci per lasciar emergere i fratelli,

quando celi nel riserbo i doni di Dio, quando lasci che il tuo agire sia male interpretato,

quando lasci ad altri la gloria dell’impresa.

Il silenzio è fede: quando taci perchè è Lui che agisce,

quando rinunci alle voci del mondo per stare alla Sua presenza, quando non cerchi comprensione,

perchè ti basta essere conosciuto da Lui.

Il silenzio è saggezza: quando ricorderai che dovremo rendere conto di ogni parola inutile,

quando ricorderai che il diavolo è sempre in attesa di una tua parola imprudente per nuocerti e uccidere.

Il silenzio è adorazione:

quando abbracci la croce, senza chiedere il perché, nell’intima certezza che questa è l’unica via giusta.

Da un documento di S. Giovanni della Croce

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AUGURI A Suor Lilia per il suo arrivo nella nostra Comunità

ADORAZIONE EUCARISTICA

ogni primo GIOVEDI’ del mese: ore 19.00 : silenziosa

ore 21.00: comunitaria con gli amici seminaristi del seminario di Siena

Prossimi appuntamenti:

5 maggio; 2 giugno

GRAZIE

Alla Comunità delle Suore Figlie della Chiesa di

Roma per l’amicizia e accoglienza donataci in oc-

casione della nostra visita per il concerto del Co-

ro della Cappella Universitaria per la Solennità

dell’Annunciazione del Signore e Festa della loro

Famiglia Religiosa

AUGURI

ai neo-laureati della

Cappella Universitaria

Dott.ssa Maria Assunta

Laurea in Programmazione e Gestione delle Politiche e dei Servizi Sociali

Dott.ssa Cristina Laurea in Archeologia

Dott.ssa Valentina Dottorato in Medicina Molecolare

WEEK END MONASTICO

“RAGAZZI”

presso il Monastero di Prad’Mill

27-29 maggio

WEEK END MONASTICO “RAGAZZE” presso il Monastero di Isola San Giulio 13-15 maggio

RECITA COMUNITARIA DEL ROSARIO ogni GIOVEDI’ di maggio ore 19.00

PELLEGRINAGGIO A MONTE OLIVETO MAGGIORE (a piedi...) partenza da Siena con tappa intermedia per la notte 11-12 giugno

Per suggerimenti e osservazioni sul giornalino: [email protected]

(aiutaci a migliorarci!!!!)

Visita il nostro sito:

www.capunisi.it

Nonna Tosca è tornata alla

Casa del Padre.

La Cappella Universitaria è vicina alla

famiglia della Dott.ssa Maddalena

Cioni, grande amica della Comunità,

per la perdita della sua cara mamma e

nonna di tutti i ragazzi .

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