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C ome accadeva sempre la vigilia di Natale, il re invitò il primo ministro a fa- re una passeggiata. Amava vedere gli addobbi lungo le strade ma, per evi- tare che i sudditi scivolassero negli sprechi al fine di compiacerlo, i due uo- mini si celavano sotto le vesti di mercanti provenienti da terre lontane. Pas- seggiarono per il centro della città, ammirando le ghirlande di luci, i pini, le candele accese sui gradini delle case, le bancarelle che vendevano rega- li, gli uomini, le donne e i bambini che camminavano frettolosamente per raggiungere i parenti e celebrare quella santa sera intorno a una tavola riccamente imbandita. Sulla via del ritorno, si ritrovarono a passare per il quartiere più misero. Lì, l’ambien- te era totalmente diverso: nessuna luce, nessuna candela, nessun profumo stuzzican- te di cibo pronto per essere servito. Lungo la strada non c’era quasi nessuno. Come ca- pitava tutti gli anni, il re commentò con il ministro che avrebbe dovuto prestare più at- tenzione ai poveri del suo regno. Il dignitario annuì, pur sapendo che ben presto quel- l’argomento sarebbe stato dimenticato, sepolto sotto la cappa della burocrazia quoti- diana, l’approvazione dei bilanci e le discussioni con i plenipotenziari stranieri. All’improvviso, i due uomini si accorsero che, da una delle case più miserabili, pro- veniva il suono di una musica. Giungeva da una baracca mal costruita, con una miria- de di fessure tra le tavole di legno marcio, le quali lasciavano intravedere ciò che acca- deva all’interno — una scena davvero assurda: un vecchio su una sedia a rotelle che sembrava piangere, una giovane completamente calva che danzava e un ragazzo dallo sguardo triste che agitava un tamburello e intonava una canzone popolare. «Vado a vedere che cosa sta succedendo», disse il re. Bussò alla porta. Il giovane smise di cantare e di suonare, e andò ad aprire. «Siamo mercanti in cerca di un posto dove dormire. Abbiamo udito la musica e ci sia- mo detti che dovevate essere ancora svegli. Vorremmo chiedervi se è possibile trascor- rere la notte da voi». (segue nelle pagine della Cultura) La favola del re e della danzatrice calva PAULO COELHO Nelle pagine successive DOMENICA 21 DICEMBRE 2008 D omenica La di Miracoli Natale I tempi sono difficili e queste feste non saranno le migliori della nostra vita. Un motivo in più per avvistare luci di speranza là dove ce ne sono FOTO CORBIS GIORGIO BOCCA, GINO CASTALDO, PIETRO DEL RE, ENRICO FRANCESCHINI, CARLO PETRINI, FEDERICO RAMPINI, MAURIZIO RICCI, PAOLO RUMIZ, ADRIANO SOFRI, ALBERTO STABILE, RICCARDO STAGLIANÒ, VITTORIO ZUCCONI di Repubblica Nazionale

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Come accadeva sempre la vigilia di Natale, il re invitò il primo ministro a fa-re una passeggiata. Amava vedere gli addobbi lungo le strade ma, per evi-tare che i sudditi scivolassero negli sprechi al fine di compiacerlo, i due uo-mini si celavano sotto le vesti di mercanti provenienti da terre lontane. Pas-seggiarono per il centro della città, ammirando le ghirlande di luci, i pini,le candele accese sui gradini delle case, le bancarelle che vendevano rega-

li, gli uomini, le donne e i bambini che camminavano frettolosamente per raggiungerei parenti e celebrare quella santa sera intorno a una tavola riccamente imbandita.

Sulla via del ritorno, si ritrovarono a passare per il quartiere più misero. Lì, l’ambien-te era totalmente diverso: nessuna luce, nessuna candela, nessun profumo stuzzican-te di cibo pronto per essere servito. Lungo la strada non c’era quasi nessuno. Come ca-pitava tutti gli anni, il re commentò con il ministro che avrebbe dovuto prestare più at-tenzione ai poveri del suo regno. Il dignitario annuì, pur sapendo che ben presto quel-l’argomento sarebbe stato dimenticato, sepolto sotto la cappa della burocrazia quoti-

diana, l’approvazione dei bilanci e le discussioni con i plenipotenziari stranieri.All’improvviso, i due uomini si accorsero che, da una delle case più miserabili, pro-

veniva il suono di una musica. Giungeva da una baracca mal costruita, con una miria-de di fessure tra le tavole di legno marcio, le quali lasciavano intravedere ciò che acca-deva all’interno — una scena davvero assurda: un vecchio su una sedia a rotelle chesembrava piangere, una giovane completamente calva che danzava e un ragazzo dallosguardo triste che agitava un tamburello e intonava una canzone popolare.

«Vado a vedere che cosa sta succedendo», disse il re. Bussò alla porta. Il giovane smise di cantare e di suonare, e andò ad aprire. «Siamo mercanti in cerca di un posto dove dormire. Abbiamo udito la musica e ci sia-

mo detti che dovevate essere ancora svegli. Vorremmo chiedervi se è possibile trascor-rere la notte da voi».

(segue nelle pagine della Cultura)

La favola del re e della danzatrice calvaPAULO COELHO

Nelle pagine successive

DOMENICA 21DICEMBRE 2008

DomenicaLa

di

Miracoli

NataleI tempi sono difficili e queste feste non sarannole migliori della nostra vita.Un motivo in più

per avvistare luci di speranza là dove ce ne sono

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GIORGIO BOCCA, GINO CASTALDO,

PIETRO DEL RE, ENRICO FRANCESCHINI,

CARLO PETRINI, FEDERICO RAMPINI,

MAURIZIO RICCI, PAOLO RUMIZ,

ADRIANO SOFRI, ALBERTO STABILE,

RICCARDO STAGLIANÒ,

VITTORIO ZUCCONI

di

Repubblica Nazionale

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34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 21DICEMBRE 2008

l’attualitàSimboli

dito congelata dallabanca che rifiuta presti-

ti sulla casa perché nes-suno sa più quanto valga-

no davvero le case, i fedelidella Natività con lo sconto

assalgono gli empori del bassoprezzo, scatoloni del consumo

a buon mercato come Wal-Mart,tremilaottocento negozi soltanto

negli Stati Uniti e duemilaottocen-to nel resto del mondo che aprono

alle cinque del mattino con la pro-messa del tutto a metà prezzo, provo-

cando la morte di un commesso a LongIsland, travolto da folle di donne. E sono

gli unici che vedono crescere le vendite, madissanguando il margine di profitto, pur di

sparecchiare gli scaffali. Nei grandi magazzi-ni chic, come Nieman & Marcus o Blooming-

dale’s, negli shopping mall più eleganti si ad-densa il traffico delle mani vuote, la folla di quel-

li che i francesi chiamano i “lecca vetrina”, moltoguardare, poco comperare. Aspettando i miracoli

di Sant’Obama, il 20 gennaio, le carte di credito ripo-sano.

Le solite statistiche diranno in gennaio quanto ma-gro sia stato davvero il Natale in Bianco 2008. Ma ilprodotto che si vende di più, insieme con il whisky dapoco, secondo il principio che nei momenti amari èmeglio inciuccarsi con due bottiglie piuttosto che as-saporarne una preziosa, è la paura del domani, che af-fianca venditori e compratori mancati. Quella paurache attanaglia le città come New York, dove si è sgon-fiata la vescica dei bonus di fine anno, si preparano li-cenziamenti di altri “colletti bianchi” e dove negozifamosi e ristoranti presuntuosi sono tenuti in piediormai dalla schiuma del turismo internazionale chetrova interessanti i prezzi in dollari depressi.

Formicola una strana voglia di ricerca del tempoperduto, una curiosità morbosa per quel tempo chesi mormora senza gridarlo ad alta voce, come unabrutta malattia, la Grande Depressione. Un com-merciante via Internet fa fortuna vendendo per po-chi soldi riproduzioni di foto anni Trenta decorate daun sarcastico fiocco natalizio. Immagini di bambinicon i calzoncini sorretti da una bretella sola, come illoro contemporaneo Topolino prima maniera, chedecorano insieme con sorelline in grembiule logorospelacchiatissimi alberi di Natale con avanzi di stof-fa; e immagini di massaie in ciabatte di pezza che gi-rano in paioli ammaccati innominabili minestre for-se a base di ratti, una prelibatezza nelle praterie diquegli anni.

Rispuntano quei classici dei Natali della Depres-

sione che erano le “Toy Library”, una delle tante tro-vate del New Deal, le “Giocoteche”, dove si vanno adepositare giocattoli usati da prendere in prestito perNatale, ma poi da restituire, che sembra una crudeltàma almeno per quel giorno fa scena. Si rileggono idiari di Minnie Swift, la ragazzina di tredici anni chericordava i suoi Natali da orfana di un padre rimastosenza lavoro e soldi, nell’Indianapolis del 1932, mache riusciva a trovare gioia e calore anche nella deso-lazione della propria casa. Esagerazioni, forse incon-scia voglia di espiazione, dopo la grande abbuffatadegli anni Novanta e dei primi Duemila, come met-tersi a dieta e a purga, secondo il lontano istinto pu-ritano che s’annida dentro ogni consumista ameri-cano.

Poi, alla fine, il Santa Claus licenziato in Virginia furiassunto, quando migliaia di madri che avevanopromesso ai figli (e soprattutto a sé stesse) la foto del-la creaturina in grembo al trippone rubizzo, inscena-rono una manifestazione rumorosa da-vanti agli uffici del manager minaccian-do il boicottaggio dello shopping malldella Virginia. Non avendo altra colpache quella di costare 175 dollari algiorno, che fanno 21 dollari all’ora,meno di un metalmeccanico, e nonessendo stato mai accusato di vole-re in grembo anche le mamminedelle creaturine con intenzioninon evangeliche, come un altroBabbo Natale licenziato e de-nunciato a New York, il falegna-me è stato riassuntoe altri centri com-merciali hanno ri-nunciato all’idea dirisparmiare, ridu-c e n d oil per-sonale inc o s t u m ebianco e ros-so. Come am-moniva ap-p u n t ol’orfa-n aMinnie neltitolo delle suememorie, ricor-diamoci che Dopotutto, è sempreNatale, anche nel-l’anno della gran-de paura.

VITTORIO ZUCCONI Migliaia di madriprotestaronoper assicurareai figlila classica fotocon l’uomo in rosso

WASHINGTON

Si era capito presto che il Natale 2008 sa-rebbe stato un pianto ed era stato pro-prio Babbo Natale ad avvertirci. Era sol-tanto settembre e avevamo appena fatto

in tempo a rabbrividire di terrore ascoltando le pri-me allarmanti note di Jingle Bells alla radio che ilprimo Santa Claus della stagione già si sfilava il pi-giama rosso, la cuffia, la barba finta e la gerla. Li-cenziato in tronco dopo diciassette anni di pazien-te servizio nell’ipersupercentro commerciale diTyson’s Corner in Virginia. Ci dispiace, lo avevainformato il direttore del personale, ma que-st’anno non ci possiamo permettere il lusso.Tanti auguri e grazie. Ed era pure di professio-ne falegname.

Poi, sopra la colonna sonora delle solitecollezioni di musichette natalizie tenere estupidine che tormentano le generazioni,sarebbero arrivate le statistiche brutali ele gelide cifre del ministero del lavoro, laslavina della disoccupazione e le voraginidella finanza, il carbone dell’industria auto-mobilistica e il gas tossico dei mutui, ma non c’e-ra stato bisogno che il timbro della ufficialità stam-passe quella parola orribile tutta in maiuscole, RE-CESSIONE, perché i genitori americani che portanoi figli a farsi fotografare sulle ginocchia di un inquie-tante sconosciuto chiaramente transgender, SantaClaus, capissero. Se gli enormi shopping center ame-ricani, dalla Virginia al Minnesota dove dilaga il piùgrande centro commerciale del continente, il Mall ofAmerica, cercavano di risparmiare i 175 dollari algiorno che costa un Babbo Natale, licenziandoli onon ingaggiandoli, questo, più che di un Bianco Na-tale, aveva il sapore di un Natale in Bianco.

Il Christmas 2008, o meglio le Feste, come si do-vrebbero chiamare genericamente per non offende-re coloro che credono nello shopping ma non in Ch-rist, si era presentato con la strage dei Babbi Natale esarebbe continuato con la falciatura delle strenne edei profitti. A colpi di mezzo milione e oltre di freschidisoccupati in più ogni mese d’autunno e di primoinverno, settembre, ottobre, novembre e ora dicem-bre, anche la colossale gerla dell’economia america-na si sarebbe alleggerita. Talmente impoverita da farsentire, tra offerte disperate appese alle vetrine e in-collate ai parabrezza delle auto invendute — «tutto ametà prezzo!!!!», «finanziamenti a tasso zero!!!!»,«comprate due e il terzo è gratis!!!!» — addirittura unprofumo acre di Grande Depressione.

Nel Natale senza Babbi Natale e con la carta di cre-

a Santa ClausD ate lavoro

Repubblica Nazionale

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animali attraverso la bocca e le narici. Ma il peggiosono i moscerini, che si buttano a nugoli su un’uni-ca vittima facendola impazzire. Qui l’estate è tre-menda; per questo la transumanza funziona al con-trario. Si va in alto d’inverno e in basso d’estate, per-ché in mare col vento ci sono meno insetti.

Ma insetti e predatori, assicura Vitaly, sono nien-te rispetto all’uomo. Da quando in Russia tutto è invendita — boschi, fiumi, banchi di pesca — le ren-ne sono sotto attacco. Proprio loro — il simbolo del-la natività — segnano l’ultimo limite del massacrodelle risorse. Arrivano bracconieri, turisti, nuoviricchi, automobilisti, agenti delle multinazionali, efanno un macello. Oggi tutto ciò che è nomade in-tralcia la cultura dello sfruttamento. E le rennemuoiono, dimenticate, mentre Mosca e Pietrobur-go, Oslo e Stoccolma risuonano di carillon e la mac-china degli acquisti entra nel gran finale. Giorni fa,a Est del Lovozero, il maggior lago, è arrivata unabanda di moscoviti su motoslitte, con vestiti termi-ci, navigatori, telefoni satellitari e fucili di precisio-ne al laser. Prima hanno sterminato un branco perportarsi vie solo le corna. Poi hanno invaso una ca-panna di pastori, si sono ubriacati fracassando an-che i mobili per alimentare la stufa.

«Da qualche anno dobbiamo lasciare gente diguardia alle izbe. La nostra terra è in pericolo. Vor-rebbero farne uno spazio di caccia per ricchi, recin-tato e protetto da buttafuori armati». Comincia anevicare, Vitaly è teso, un uomo in guerra col siste-ma. «Aprono strade nuove, spaventano le bestiecon gli elicotteri. Una volta c’erano i militari chemassacravano il branco a colpi di mitra solo perportar via una lingua o una coscia, i pezzi migliori. AOstrovoj c’era una base di sottomarini da centomi-la persone: oggi è la base dei cacciatori di frodo chearrivano col traghetto da Arkhangelsk. Sparano acaso, lasciano bottiglie rotte e sigarette, sporcanocome maiali e hanno carta bianca in cambio di de-naro».

Tatjana butta legna sul fuoco e apre una mappadei territori della sua cooperativa, uno spazio gran-de come mezzo Piemonte. I segni delle transuman-ze parallele fra mare e montagna sono ben visibili.Mostra una pipeline della Gazprom che dall’Articodovrebbe rifornire la Germania via Baltico passan-do proprio di là. Da poco si sono anche scoperti gia-cimenti di platino, titanio, oro, argento e rame, e an-che lì costruiranno una strada ferrata, sempre suipascoli delle renne, per una multinazionalecanadese. Sul Monte Leshaja poi, in un exgulag, stanno per riaprire una miniera dimolibdeno, con capitali anglo-irlan-desi. Vitaly non ha paura di parlare.Vuole che la storia si sappia, spera

PAOLO RUMIZ

MURMANSK

Arde nella stufa il legno di betulla, efuori dall’izba — lontano nella notte atrentacinque sotto zero — VitalyStartsev, allevatore di renne, indica la

posizione dei branchi sotto le Pleiadi. Nel cuore del-la lunga notte artica si sparpagliano oltre il lago ge-lato, per decine di chilometri, e sembrano ripeterela geometria delle stelle. Basta avvicinarsi al primodi quegli agglomerati di lanugine coronati come daun intrico di ramaglie — le corna — e nel buio milleocchi luminescenti ti puntano. Attorno, nel cuore ditenebra della penisola di Kola, frontiera estremadella Scandinavia russa, si nascondono i pastori delGrande Nord. Gli ultimi custodi del simbolo del Na-tale.

Vitaly e sua moglie Tatjana non hanno dubbi.«Quelli sono uomini veri. Nascono nelle capannedella tundra, assieme al branco, e restano lì fino asette anni». Prima di andare a scuola imparano adascoltare i racconti dei loro vecchi, a capire le millevoci del silenzio, i segni misteriosi della lunga notteboreale, le orme dei predatori e i luoghi dove crescelo “Jagjel”, il muschio disseccato verde-argento dicui le bestie si nutrono anche d’inverno, scavando

sotto la neve. Solo dopo andranno incittà, senza il rischio di farsi contami-nare. Gli anni passati nella tundra liavranno già cambiati per sempre.

Il vento artico soffia rasoterra da-gli Urali, dalle distese dell’Ob e del-lo Jenissej. Fa un freddo tremen-do, eppure qui c’è di peggio del-l’inverno. L’orso, per esempio,che in aprile sbrana i cuccioli. Illupo, che cattura le bestie adul-te afferrandole per la linguadopo averle sfiatate con l’in-seguimento. O il “rosoma-ch”, piccolo diavolo daidenti di vampiro capace distaccare la testa di una ren-na in dieci secondi. Lezanzare e le mosche ca-valline, che succhianosangue a uo-mini e

È una bestiaincontaminata,pura. Il suo nomesignifica“Coleiche dà la vita”

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 21DICEMBRE 2008

che il ricco Occidente lo aiuti, almeno a Natale. «Sela Gazprom e le due miniere si coalizzano contro dinoi, addio renne. Lo dica agli italiani. Abbiamo chie-sto che si facciano opere eco-compatibili ma temoche non ci daranno ascolto».

Descrive le tappe di un assedio implacabile. «Citolgono la licenza sui boschi, ci hanno compratol’impianto di macellazione, e ora hanno vendutoanche i nostri diritti di pesca fluviale». Col turismo,poi, è guerra aperta. Passa come un diserbante, conla complicità corrotta del solito “cinovnik”, il fun-zionario locale russo perfettamente descritto daCechov. Mentre agli “indigeni” si limita la pesca alminimo vitale, i corsi d’acqua maggiori sono dati inuso ventennale a una società inglese che organizzacampi di lusso per la pesca al salmone. Fiumi dai no-mi leggendari come Renda, Alonka, Halovka, Varzi-na e Sidrovka, oggi sono privatizzati e le renne coc-chiere di Santa Claus trovano sbarrate le loro strademillenarie di discesa verso il mare.

«La Russia non è più dei russi, mi creda». Tatjanaaccende una candela sotto l’icona di San Nicola.Spiega che “Renna” significa “Colei che dà la vita”,e per nessun animale esiste definizione più vera. Larenna dà tutto. Pelliccia, carne, latte in pieno inver-no, materiale edilizio (ossa e corna) anche dove glialberi non crescono. È una bestia incontaminata, laquintessenza della purezza terapeutica. Non habisogno di vaccini perché qui il freddo uccide igermi più tenaci e le pestilenze non arrivano.Kola è un giardino di Dio. Ma il globale nonguarda in faccia il sacro e per i pastori nonc’è tregua. Per loronessun Babbo Na-tale in soccor-so con unaslitta celeste.

La storia tutta americana del Babbo Natale di un “mall”della Virginia, licenziato e poi riassunto a furor di popoloE quella di Vitaly e Tatjana che nel Grande Nord russosi battono per difendere gli animali emblema delle feste

per le renneAngeli custodi

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 21DICEMBRE 2008

sennato dei lavori, è una promessa che ileader cinesi riusciranno a mantenere. Incambio la popolazione locale deve accet-tare il patto del silenzio. Le indagini suireati in violazione delle leggi antisismi-che sono già finite in farsa. Gli ispettori ve-nuti da Pechino si sono ritirati. Uno scar-no comunicato governativo ha archivia-to il caso, ammettendo che la «qualitàscadente di certi edifici ha potuto aggra-vare i danni del terremoto». Non è statoaperto un solo processo. Nessun dirigen-te del governo locale è stato rimosso, tan-tomeno condannato. Invece è scattata lamanovra d’intimidazione e di ricatto ver-so i gruppi di protesta organizzati. I geni-tori delle vittime sono stati convocati in-dividualmente, dalla polizia e dai sinda-ci. Gli hanno offerto una compensazioneimmediata, di solito intorno a settemilaeuro. A patto di firmare una rinuncia aogni azione legale. Prendere o lasciare.

La miseria, lo scoramento, l’atavicapaura del potere hanno avuto la meglio.A poco a poco il fronte dei genitori si è sfal-dato. Molti hanno firmato. Le coppie piùgiovani hanno un incentivo in più: il go-verno ha abrogato per loro la legge del fi-glio unico. Nel solo villaggio di Beichuan,817 coppie hanno già fatto richiesta perpoter approfittare di questa esenzione.Molti padri, che dopo la nascita del primofiglio si erano sottoposti alla vasectomia,ora sono in lista d’attesa all’ospedalemaggiore di Chengdu: vengono a spen-dere l’indennità governativa per tentarela contro-operazione chirurgica, che an-nulli la sterilizzazione. L’improvvisa li-bertà di mettere al mondo un altro figlionon cancella il dolore per il bambino chenon c’è più; ma è una speranza a cui si ag-grappa questo popolo contadino, è il bi-sogno atavico di una prole che si prendacura dei genitori nella vecchiaia.

Lu Shihua non sa che farsene di questamagnanimità dei potenti. Sua mogliemorì con il parto, sedici anni fa. Per il papàvedovo nessuno potrà sostituire quell’a-dolescente scomparsa nel botto orrendodella sua scuola il 12 maggio. Quella ra-gazza era la sua vita. La polizia non lo im-paurisce, divieti minacce e blandizie nonlo sfiorano. «Voglio sapere perché il Liceomunicipale Numero Uno di Beichuan siè disintegrato. Finché vivo cercherò unarisposta, perché quei ragazzi non sianomorti invano». Finirà per trovare qualcu-no che gli lasci usare il fax.

CHENGDU

L’unico negozio che haun apparecchio fax, nelvillaggio di Beichuan,ha ricevuto un ordine

tassativo dalle autorità locali: è vietatol’ingresso a Lu Shihua. Deve smetterla ditrasmettere proteste, petizioni, interro-

gazioni a tutti i tribunali e gli ufficigovernativi della Cina. Il qua-

rantasettenne Lu è uno degliultimi irriducibili del terre-

moto nel Sichuan, una pattu-glia sempre più sparuta di geni-

tori delle vittime. A due ore distrada a nord del capoluogo

Chengdu, ai piedi delle montagneche in questi giorni cominciano a

coprirsi di neve, lì c’è Beichuan. Il 12maggio si trovava nell’epicentro del

sisma. Il terribile shock rase al suolo lecase, aprì crepacci nelle strade, in-

crinò dighe, fece straripare i fiumi. Imorti accertati furono ottantasettemi-

la, dieci milioni i senzatetto.Ma il dramma più crudele, quello che

Lu non riesce a dimenticare, fu il massa-cro di bambini che all’ora del sisma eranoin classe. Migliaia di edifici scolastici crol-larono di schianto, accartocciati comesotto un bombardamento. Lu Fang, suafiglia, aveva sedici anni. Si erano visti perl’ultima volta all’intervallo di pranzo pro-prio quel giorno, il 12 maggio, un’ora pri-ma del cataclisma. Dopo il terremoto in-sieme a tanti altri genitori Lu era corso ver-so la scuola: cinque piani di cemento crol-lati, scomparsi, un cumulo di macerie epezzi di corpi sanguinanti. Un inferno dilamenti sempre più flebili e voci soffocate

la societàDiritti umani

solocontro il regimeFEDERICO RAMPINI

dalle viscere della terra. «Piangevo e sca-vavo, piangevo e scavavo, come tutti i pa-dri e le madri attorno a me».

Dopo quattro giorni senza sonno e sen-za soste, frugando a mani nude tra i detri-ti Lu ritrovò il cadavere sfigurato della fi-glia. Lo riconobbe da una scarpa di tela,cucita a mano dalla nonna. Ma vicino al-le rovine della scuola, la sede della poliziaaveva resistito all’urto: solo qualche cre-pa, qualche muro pericolante. Dalle pa-reti del commissariato spuntavano ton-dini d’acciaio, quelli che forse avrebberosalvato la scuola. Sotto i riflettori che illu-minavano il lavoro dei soccorsi era co-minciata a montare la rabbia. «Tofu, to-fu!», gridava la gente. Il tofu è molle comeil burro, come quel finto cemento armatoche era crollato uccidendo i loro figli.

È cemento-tofu quello che avevanousato i palazzinari, in combutta con lanomenclatura locale. Ne erano certi gliabitanti di Beichuan, di Dujiangyan, ditutti i villaggi decimati dalla strage deibambini. La protesta dei genitori del Si-chuan in quei giorni sembrava irresistibi-le. La forza della disperazione aveva can-cellato la paura dell’autorità. Perfino lastampa di regime, le équipe televisivegiunte da Pechino, raccontavano la lorostoria: l’orrore delle vittime che si poteva-no salvare, lo scandalo delle regole anti-

sismiche violate dai costruttori, i sospet-ti di corruzione. Un gerarca di partito siera dovuto inginocchiare a un funerale dibambini, per chiedere perdono in nomedello Stato, circondato da mamme cheimploravano giustizia. In quelle ore dilutto, nell’emozione nazionale, in mezzoallo slancio di solidarietà, il potere avevapromesso: verità e giustizia. Ci sarebberostate indagini vere, il governo centraleavrebbe mandato ispettori imparziali, icolpevoli dovevano pagare.

Poi la tragedia del Sichuan ha imboc-cato un’altra strada. I sette mesi del dopoterremoto raccontano una storia moltocinese. Una storia di efficienza. Alle cen-tinaia di migliaia di soldati mobilitati nel-la più grande operazione di soccorso ci-vile della storia, presto si sono sostituiti gliingegneri, le ruspe, i cantieri e le colate dicemento. Per la ricostruzione sono statistanziati 130 miliardi di euro, il cinquan-ta per cento in più di quanto l’America haspeso per New Orleans e la Louisiana do-po l’uragano Katrina. Oggi non soltantoChengdu è tornata ad essere una dellemetropoli più dinamiche della Cina, maanche i villaggi sui pendii delle montagnesono irriconoscibili. Un viavai di camion,betoniere, eserciti di muratori al lavoro.

Il Sichuan rinasce in tempi record, è lasfida del regime. A giudicare dal ritmo for-

Sua figlia è mortanel terremotodel Sichuan. Pechinoha messo tutto a tacere

“Piangevo e scavavo,piangevo e scavavo,come gli altri padriattorno a me”

La sfida di papà Lu

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38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 21DICEMBRE 2008

poi colare lungo le pareti interne della basilica.A rivoli verticali, ormai diventati parte del desi-gn interno, l’acqua rischia di cancellare i dipin-ti crociati che ornano muri e colonne, e di far sal-tare le tessere dei preziosi mosaici bizantini. Se-guendo percorsi misteriosi, attraversando lepareti annerite dall’umidità e il prezioso pavi-mento di marmo (parte del quale venne estir-pato dal conquistatore Saladino e utilizzato perabbellire la moschea Al Aqsa, a Gerusalemme,dove è tuttora visibile) l’acqua ha raggiunto laGrotta. E qui, date le dimensioni del luogo, ildanno inflitto dall’umidità supera l’immagina-zione.

Già scendendo le ripide scale che dal corodell’altare maggiore conducono al luogo

della natività s’avverte un forte odo-re di muffa. Come nelle antiche

descrizioni dei primi pellegri-ni, lunghi drappeggi di tessu-to broccato ricoprono le pa-reti della grotta. L’effettonella penombra delle can-dele è confortante, ma ba-sta scostare un lembo ditessuto e appoggiare la ma-

no alla parete per sentireuna gelida sensazione di ba-

gnato. L’intonaco non esistepiù. Resta, intriso, il miscuglio di

malta, terra e pietre. Il tetto a botte

della cappella è annerito dal fumo delle cande-le ma qua e là larghe chiazze di umido rivelanogli strati sottostanti. Nell’insieme sembra cheuna lebbra si sia attaccata alla volta. Il piccolo al-tare dove la tradizione vuole sia nato Gesù, illuogo è indicato sul pavimento da una stellad’argento sulla quale si sono inginocchiati i po-tenti della Terra, è ormai aggredito. Quasi metàdel mosaico è scomparso. Della parola “Domi-nus” restano solo tre lettere. La scena della na-tività è perduta.

Un elettricista con addosso una casaccafrancescana, non un vero saio, sta cambiandoun lampadario caduto dal tetto. S’accorge delnostro interesse. «Vedete in che stato è ridottala cappella — dice —. Io sono solo l’elettricista,ma vi assicuro che i lavori si potrebbero fare su-bito, se gli armeni non si opponessero».

Il contrasto non è nel merito del restauro. Suquesto sono tutti d’accordo. Il punto è sulle pro-cedure da seguire, per evitare di creare un pre-cedente che finisca con il turbare l’equilibro deidiritti sanciti dallo status quo e delle rispettivequote condominiali. Per esempio: anni fa i gre-co-ortodossi si sono opposti a certi lavori ur-genti proposti dai francescani per paura che inseguito la chiesa cattolica potesse rivendicareun diritto di proprietà. Così, visto che sono loro,gli ortodossi, a ritenersi proprietari della Basili-ca, mentre il chiostro e la chiesa adiacente diSanta Caterina sono di pertinenza dei cattolici,

alcuni anni fa hanno deciso di far coprire conlarghi teli di plastica i buchi formatisi nel tetto.Ma il rimedio s’è rivelato peggiore del male, per-ché alla pioggia, d’inverno, s’è aggiunta la con-densa, d’estate.

«Qui non si può toccare neanche un chiodo»,dice nel suo ufficio il parroco di Santa Caterina,il francescano padre Samuele. «Io non possoneanche entrare da una porta di servizio. Cioèposso farlo se indosso soltanto il saio, ma se ho iparamenti debbo seguire un certo percorso».Così, anche per la gestione della Basilica, nullasi può fare che non sia codificato.

Tuttavia un paio di settimane fa è successoqualcosa suscettibile, in teoria, di sbloccarel’impasse. Betlemme ricade, infatti, entro i con-

fini giurisdizionali dell’Autorità palestinese. Ba-sta ammirare il muro di separazione costruitoda Israele, che ne sbarra l’ingresso, per render-sene conto. Di più, negli ultimi anni, Betlemmeè diventata, anche per motivi di sicurezza, lacittà palestinese in cui i leader stranieri in visitavanno più volentieri per incontrare il presiden-te Mahmud Abbas (Abu Mazen). Insomma, vi-sto l’interesse a conservare un gioiello architet-tonico raro il cui status ricade, oggettivamente,sotto la propria responsabilità, l’Autorità pale-stinese ha deciso d’intervenire. Abu Mazen haconvocato i vertici locali delle tre confessioni al-la Muqata e ha proposto d’istituire un fondo peril restauro della Natività cui l’autorità palestine-se parteciperà cospicuamente, nonostante legravi difficoltà economiche che l’affliggono.L’Unesco, che segue con preoccupazione tuttala faccenda, ha chiesto un incontro ad Abu Ma-zen. Una commissione governativa è stata inse-diata sotto la responsabilità del ministro pale-stinese per i Rapporti con le minoranze religio-se e del suo collega il ministro per il Turismo.

E a questo punto una domanda s’impone.Così come accadde un secolo e mezzo fa, quan-do le chiavi del Santo Sepolcro furono affidate adue famiglie musulmane di Gerusalemme, per-ché i cristiani non riuscivano a mettersi d’ac-cordo neanche su quando chiudere e aprire lachiesa, sarà il musulmano Abu Mazen a garan-tire la sopravvivenza della Natività?

ALBERTO STABILE

il reportageZone di confine

B

In Palestina l’Autorità nazionale finanzierà il restaurodella Basilica della Natività, da troppo tempo senza adeguatamanutenzione per le infinite liti tra cattolici, armeni, ortodossiIn Georgia, dopo il ritiro russo, un antico villaggio si trasformain una Cortina del Caucaso. Due storie a lieto fineche raccontano le contraddizioni di due paesimartoriati da vecchi e nuovi conflitti

Le tre confessionicristiane non hannotrovato un accordoTemono che qualcunopossa poi vantare dirittidi proprietà sulla chiesa

BETLEMME

Dopo otto anni di tremenda care-stia, una gran messe di turisti,pellegrini e visitatori è attesa peri giorni di Natale. Chi non è mai

stato a Betlemme rimarrà folgorato dalla ruvida,essenziale poesia del luogo. Chi vi ritornerà nonfarà fatica a ritrovarsi e ritrovare le tracce di unaforte emozione. Ma tutti non potranno fare ameno di constatare, con amarezza, lo stato de-plorevole in cui si ritrova la culla del cristianesi-mo, la Basilica della Natività.

Una delle chiese più antiche del mondo, co-struita per ordine dell’imperatore Costantinosu suggerimento della madre, l’augusta Elena,nel 326, intorno alla grotta in cui il Vangelo col-loca la nascita di Gesù, è oggi un monumento

da salvare. Minacciata dalle infiltrazionidella pioggia, corrosa dall’umidità, sorret-ta da strutture vetuste, l’antica basilica bi-zantina, secondo il giudizio meditatoespresso dal World Monument Fund,

un’istituzione britannica, richiede un in-tervento immediato.

Ma le tre confessioni cristiane che necondividono la gestione, greco-ortodossi,armeni e cattolici, non hanno finora trova-to un accordo su come procedere nelle ri-parazioni. Come le interminabili diatribefra le tre comunità cristiane rischiano dipregiudicare l’esistenza futura del SantoSepolcro a Gerusalemme, anche il re-stauro della Natività è un esempio dell’e-

quilibrio paralizzante, fondato su un ac-cordo di status quo risalente al 1852, che av-

volge la gestione del luoghi santi: garanzia sicu-ra d’inazione, contrasti e burocratici rinvii.

Nel caso di Betlemme, la questione ruota at-torno all’indispensabile restauro del tetto, at-traverso cui l’acqua piovana filtra da anni per

etlemmesalvata dall’Islam

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 21DICEMBRE 2008

venduto duegrossi edifici da

ristrutturare a unpaio di miliardari

americani che voglio-no farci sontuose ville

con vista sul Caucaso», cidice il sindaco Ghia Begash-

vili. «Saranno le più belle resi-denze di Signagi, e siamo fieri

che appartengano a stranieri».Dall’inizio dei lavori a oggi è già sta-

to speso l’intero budget previsto per larinascita del villaggio. Come spesso ac-cade, i costi previsti si sono rivelati infe-riori ai costi reali. Fatto sta che nella metàdelle case di Signagi non c’è elettricità, imuri si sgretolano per via di secolari infil-trazioni e i tetti sono ricoperti da misera-bili lamiere ondulate. Non solo: in cima alborgo la chiesa ortodossa fortemente vo-luta dal presidente, e che Ilia II, patriarcadi Tbilisi, consacrerà solo in primavera, èancora un cantiere. «Ma dalla capitale mihanno giurato che dagli ingenti fondi de-stinati alla ricostruzione post-bellica

verrà fuori anche di che poter fini-re i lavori a Signagi», aggiun-

ge il sindaco. «Dei 4,5miliardi di dollari

promessi dai pae-si donatori, a

noi basta soloqualche bri-

ciola».In bilico

su unacollina a750 me-tri d’alti-tudine,d a l l aquale do-

mina lavalle di Ala-

zani, Signa-gi dista un

centinaio dichilometri dalla

capitale, e soltantouna ventina dal confine

con l’Azerbaijan. Se unavolta questa vicinanza significa-

va pericoli di ogni genere, oggi prefigurafuturi guadagni: agli azeri è vietato il gio-co d’azzardo, e Signagi sta per ultimare ilavori per l’apertura di un casinò destina-to, in primo luogo, proprio a loro. Anchequesta costruzione è ancora un cantiere,ma a buon punto. Tanto più che degli in-vestitori nel progetto fanno parte societàche gestiscono alcune case da gioco eu-ropee.

«Vuole sapere qual è il vero miracolo diSignagi?», ci dice il direttore del piccoloteatro appena inaugurato di fronte almunicipio. «Questo flusso di denaro haconsentito l’apertura di nuovi bar, risto-ranti e alberghi. In altre parole è arrivatoil lavoro, e con il lavoro sono tornati i gio-vani che erano fuggiti altrove. La nostraera diventata una città fantasma. Adessoè nuovamente vitale».

Ma molti abitanti di Signagi sembranooggi attratti da un altro miracolo, più ve-nale stavolta e non legato al Natale. Nellasala del piccolo leone d’oro massiccio,una teca di pesante cristallo custodiscebanconote per un milione di dollari, sor-vegliate giorno e notte da una guardiagiurata. Una didascalia informa sul pesodel malloppo: undici chili. È il primo pre-mio messo in palio dalla Lotteria di Ca-podanno.

TBILISI

Quando tra le centinaia di mal-ridotti paesetti georgiani sitrattò di trovare quello chepotesse diventare la Cortina

o la Sankt Moritz locale, fu scelto l’indo-mito Signagi. Indomito perché, nel corsodei secoli, le sue mura merlate hannosempre resistito agli attacchi degli arabi edei mongoli, rendendo questo luogo unleggendario avamposto della cristianità.Per soddisfare le esigenze degli esponen-ti più nazionalisti della nuova era geor-giana, quella nata con la rivoluzione del-le rose, oltre alle bellezze paesaggistichee all’imponenza delle fortificazioni, dal-la sua Signagi aveva anche il forte valoresimbolico che gli conferiva un gloriosopassato. Perciò, nel 2004, il giovane pre-sidente Mikheil Saakashvili la elesse perfarne la località turistica più in voga al-l’ombra del Caucaso. Per riparare le stra-de del borgo, consolidare le fondamenta

delle vecchie case, ricoprire i tetti concoppi originali e infine portarvi gas edelettricità, il presidente staccò un asse-gno da dieci milioni di euro.

L’estate scorsa, poco prima che scop-piasse la breve guerra con la Russia, furo-no finalmente inaugurate la piazza di reErekle, un paio di hotel di lusso, il museodedicato al pittore naif Niko Pirosmani eun ciclopico municipio postmoderno.Con l’arrivo dei primi turisti stranieri, ilsogno cominciò davvero a prendere for-ma. Ma s’interruppe bruscamente l’8agosto, quando Saakashvili fece bom-bardare l’Ossezia del sud scatenando lapesante rappresaglia di Mosca. «L’inva-sione delle truppe russe è stata come unfulmine a ciel sereno», dice Gela Javakhi-shvili, proprietario di un elegante nego-zio di souvenir. «Non che siano arrivati finqui: noi i russi li abbiamo visti solo in tele-visione. Ma con la guerra significava per-dere quella parvenza di normalità indi-spensabile al turismo e al tanto atteso ri-lancio economico della nostra cittadina.Abbiamo temuto che l’esercito di Putin

in Georgia potesse una volta per tutte di-struggere le nostre speranze. Ma è acca-duto un miracolo. Il miracolo di Natale».

In realtà a Signagi di miracoli se ne so-no prodotti più d’uno. Il primo è avvenu-to nel piccolo e prezioso museo Pirosma-ni, dove assieme a sedici tele dell’artistageorgiano, sono conservati reperti ar-cheologici di grande valore, tra i quali uncommovente leone d’oro massiccioscolpito circa cinquemila anni fa. SpiegaDiana Datuashvili, direttrice del museo:«Qualche giorno fa sono stata contattatada alcuni conservatori di musei europei.Erano preoccupati per le nostre collezio-ni. Li ho rassicurati e loro mi hanno pro-messo che entro la fine di aprile porte-ranno qui trenta quadri di Picasso. Lo fa-ranno, mi hanno detto, per solidarietàcon il nostro popolo». Per lo stesso moti-vo, dopo il ritiro dei russi, numerosi touroperator canadesi, australiani, america-ni ed europei hanno incluso l’ex bastionedella cristianità nei loro programmi diviaggi caucasici.

È vero, oggi Signagi somiglia più a una

bomboniera che al corrusco castello chefu nei suoi anni migliori, quando contavauna porta d’ingresso per ognuno dei set-te villaggi che si sviluppavano ai suoi pie-di. Infatti, il restauro operato in questi an-ni è stato tutt’altro che conservativo. Itroppi lampioni che illuminano le stradesono gli stessi del centro di Vienna,le facciate color vinaccia dellecase appena rifatte stridonocon il giallo ocra delle fortifi-cazioni e non c’è più unsolo negozio che nonvenda ricordini. Ep-pure, proprio perchéattratti da questapulizia svizzera, oda questo simu-lacro di villaggiomedievale, pa-recchi attori euomini d’affarigeorgiani hannocomprato casa aSignagi. «Dopo laguerra, abbiamo

PIETRO DEL RE

La cittàrilanciatadalla guerra

B.Bassett,R.Edney

La relatività a fumettiCon parole e immaginila scienza è facile

Michael Corballis

Dalla mano alla boccaLe origini del linguaggio

Read Montague

Perché l’hai fatto?Come prendiamo le nostre decisioni

Louis Cozolino

Il cervello socialeNeuroscienze delle relazioni umane

FromaWalsh

La resilienza familiarePerché alcune famiglie sono devastateda eventi traumatici mentre altrene escono indenni o addirittura più forti?

Enrico Bellone

Molte natureSaggio sull’evoluzione culturale

Novità

www.raffaellocortina.itwww.raffaellocortina.it

John Gribbin

L’UniversoUna biografia

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rezza su qualcosa anche se non si sa se esi-ste! Ciò riporta alla danza della pioggia dicui parlavamo all’inizio».

Ma perché dovremmo essere preoc-cupati da ciò che neppure conosciamo?

«La risposta sociologica è: perché difronte alla produzione di incertezze fab-bricate la società più che mai si affida e in-siste sulla sicurezza e il controllo. E ciònon solo è vero nelle sfere della politicanazionale e internazionale ma anche inquelle della vita quotidiana, come dimo-stra la prontezza ad accettare limitazionidelle libertà, come nei voli. Per questo lasocietà mondiale del rischio deve affron-tare lo spiacevole problema di doverprendere decisioni su miliardi di dollari oeuro o anche su guerra e pace sulla basedi un’ignoranza più o meno ammessa».

Non si finisce così per confondere ilconfine tra razionalità e isteria?

«Certo. I politici, in particolare, posso-no facilmente essere costretti a procla-mare una sicurezza che non riescono aonorare perché i costi politici di tale omis-sione sarebbero molto più alti di quelli diuna sopravvalutazione. Per questo in fu-turo non sarà facile limitare e prevenire ildiabolico gioco di potere con l’isteria delnon-sapere. E qui non oso nemmenopensare ai deliberati tentativi di stru-mentalizzare la situazione».

Scrivendo di Bin Laden lei punta il di-to contro i media che creano un pubbli-co per le azioni di Al Qaeda. Ma come do-vrebbero comportarsi per non coo-perare involontariamentecol nemico senza ri-nunciare alla missio-ne di informare il pub-blico?

«Esagerando un po’ sipuò dire che non è tantol’atto terroristico quantola sua messa in scena glo-bale e le anticipazioni poli-tiche che crea, con azioni ereazioni, che stanno distrug-gendo le istituzioni occiden-tali di libertà e democrazia.Forse se il nuovo governo Usa,quelli europei e i giornalisti ini-ziassero a riflettere sull’impor-

tanza di questa messa in scena nel soste-nere involontariamente il disegno dei cri-minali, si potrebbe inquadrare diversa-mente il terrorismo. Ad esempio non co-me questione militare ma di intelligencee di politica che necessita nuovi tipi dicooperazione transnazionale».

Lei sostiene che non c’è più nemmenobisogno di una catastrofe per cambiareil mondo perché basta già la sua antici-pazione. È davvero così facile?

«Basta guardare a quell’impagabilecommedia di conversione che si sta reci-tando sul palcoscenico mondiale in que-ste settimane. Sto, naturalmente, parlan-do della crisi finanziaria. Dalla sera allamattina l’idea missionaria dell’Occiden-te, l’economia di mercato, è collassata. Eciò che sta prendendo il suo posto è un so-cialismo di Stato per i ricchi, di pari passocon un duro neoliberismo per i lavorato-ri e i poveri. Ecco perché non mi ritengoaffatto allarmista nel sostenere che l’an-ticipazione della cata-strofe può fonda-m e n t a l m e n t ecambiare la po-

La sicurezza è il nuovo totem.Il mondo ci scappa semprepiù dalle mani. Se mai ci sia-mo illusi di farlo, oggi di cer-to non lo controlliamo più.Terrorismo, cambiamento

climatico, crisi finanziaria, per dire di ne-mici reali ma senza volto. E poi precarietànel lavoro e negli affetti. Non c’è più unamattonella esistenziale, di quelle su cuieravamo abituati a stare in piedi, che nonsia stata smossa dal grande sisma dellapost-modernità globalizzata. Su questoterreno sconnesso avanza un uomo ine-vitabilmente traballante. I nuovi pericolinon sa ancora maneggiarli. I politici, nel-la medesima condizione, ne esageranol’allarme perché nessuno poi possa accu-sarli di negligenza. Col grimaldello dell’e-mergenza fanno passare leggi e limita-zioni della libertà che nessuno accette-rebbe altrimenti. Già a nominarli, a par-larne tanto, questi spauracchi intossica-no la convivenza e il discorso pubblico. Laloro messa in scena anticipata è già la ca-tastrofe. Che poi gli eventi si realizzino omeno diventa quasi un optional. È in que-sto stato febbrile di paura e ansie, la nuo-va conditio humana, che dobbiamo im-parare a muoverci. Facendo una robustatara alle preoccupazioni per sopravvive-re. Questa è la lezione che ci consegna Ul-rich Beck, uno dei più grandi sociologicontemporanei e inventore del concettodi Risikogesellschaft, «società del ri-schio», in quest’intervista. Illuminandomolti dei paradossi di cui siamo spessoignari spettatori. E regalando al lettore,appesantito dalla narrativa apocalitticadi questi tempi, una exit strategymetodo-logica: «I rischi creano opportunità». So-lo i morti non ne corrono più. I viventi sene cibano, senza lasciarsi sopraffare.Nessun tabù, quindi.

Professore, nell’estate del 2006 è statosventato un presunto attacco ad aereidalla Gran Bretagna verso gli Stati Uniti.Pericolo scampato ma da allora nessu-no può portare liquidi in volo. Conse-guenza proporzionata?

«Non è uno stupefacente — e diverten-

te — rituale che milioni di passeggeri, nel-la cui mente si è annidata la minaccia ter-roristica, accettino giorno dopo giorno li-mitazioni del genere alla loro libertà? Miricorda la danza della pioggia degli india-ni. Loro danzavano per convincere gli deia far piovere, noi per produrre un senti-mento di sicurezza di fronte a un’appa-rentemente presente minaccia terrori-stica».

I rischi sono dappertutto. Come pos-siamo calcolarli?

«Per quanto ci sforziamo, i rischi nonpossono essere evitati. Nella carriera, sirischia di prendere la strada sbagliata.Nei trasporti, di fare un incidente. Inamore, il cuore spezzato. E a volte ci pia-ce anche rischiare, correndo più forte osfidando un amore incerto contro ogniprobabilità. Ma la minaccia terroristica è

fondamentalmente diversa. Non può es-ser affrontata individualmente, né esisteuna base scientifica sulla quale valutarnele probabilità. Semplicemente, non sap-piamo calcolarla».

Lei descrive il presente distinguendo«incertezze fabbricate» dai rischi cuieravamo abituati. Ci spiega meglio?

«La differenza principale sta nel fattoche si è perso il controllo del rischio. Suc-cede quando almeno una quantità nelcalcolo classico (l’attore, l’intento o il po-tenziale) diventa ignota. Come succedenei casi del cambiamento climatico, deirischi terroristici e finanziari. Il nuovopunto cruciale tuttavia non è solo la con-sapevolezza di quest’ignoranza ma an-che che lo Stato risponde fingendo di ave-re una maggiore conoscenza e controllo.Capite l’ironia nell’ostentazione di sicu-

“I pericoli creano opportunità... Le avversità globalidestabilizzano l’ordine esistente e possono essere vistecome un passo vitale verso nuove istituzioni”

In questa intervista, il grande sociologo tedesco Ulrich Beckprova a rovesciare le analisi apocalittiche sul nostro tempoE propone una “exit strategy” per imparare a vivere benenonostante terrorismo, cambiamenti climatici e crisi economiche

a societàdel rischioLRICCARDO STAGLIANÒ

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 21DICEMBRE 2008

litica mondiale. Tuttavia ciò apre ancheun’opportunità di riconfigurare il poterein termini di realpolitikcosmopolita».

Può aiutarci con un esempio? «Sì. Tra i tanti paralleli tra la tempesta

finanziaria attuale e gli anni Trenta pochisono più importanti delle implicazionidello scontento economico per la sicu-rezza nazionale. La Grande Depressioneci ha portato la Seconda guerra mondia-le, uno scenario che non possiamo ripe-tere. Oggi dobbiamo reimparare che lapolitica economica e quella estera nonsono domini distinti. Costituiscono anziun nexusstrategico le cui interconnessio-ni possiamo scegliere di ignorare a nostrorischio e pericolo. Le politiche del nazio-nalismo economico devono perciò esse-re sostituite con nuove regole e istituzio-ni che evitino il protezionismo e il caos deitassi di cambio. Solo la cooperazione in-ternazionale può ravvivare le economienazionali».

Se la preoccupazione cre-scente e costante per irischi plasmaquella

che lei chiama la nuova conditio huma-nacome possiamo sopravviverle?

«Beh, io non sono Gesù, non ho tutte lerisposte, neppure per le domande piùcentrali. Ma contro il seme del corrente,diffuso sentimento di apocalisse, michiedo: qual è lo stratagemma intrinsecoche la società mondiale del rischio si è in-ventato? Sebbene alcuni insistano nel ve-dere un eccesso di reazione ai rischi glo-bali, questi ultimi hanno anche una fun-zione illuminante. Destabilizzano l’ordi-ne esistente e possono anche essere visticome un passo vitale verso la costruzionedi nuove istituzioni; confondono i mec-canismi dell’irresponsabilità globale e liaprono a un’azione politica».

Già prima della crisi finanziaria esi-steva un altro grave problema, quellodella precarietà del lavoro. Come influi-sce sulla società questa moderna incer-tezza?

«La “flessibilità del mercato del la-voro” è diventata sia un mantra poli-tico che una realtà. Specialmente perle generazioni più giovani la flessibi-lità significa una ridistribuzione deirischi: via dallo Stato e dall’econo-mia, e verso l’individuo. I lavori di-sponibili sono sempre più di bre-ve durata e facilmente termina-bili. Perciò “flessibilità” signifi-ca: forza e coraggio, le tue com-petenze e la tua conoscenza so-no obsolete e nessuno puòdirti cosa devi imparare per-ché ci sia bisogno di te in futu-ro! Io credo che dovremmodistinguere tra ansia (senti-mento diretto, concreto,urgente e personale, comela fame e la violenza) epaura (indiretto, astratto,impersonale). La politicadella paura, così neces-saria per affrontare adesempio il cambia-mento climatico è mi-nata dalle politiched’ansia, indotte dal-l’aver sperimentatol’insicurezza lavora-tiva».

Possibile che il timore di una catastro-fe futura sia l’unico modo per far com-portare la gente in un modo più rispet-toso dell’ambiente? E quanto ciò accre-sce le nostre ansie quotidiane?

«Diciamo anche che si sta sviluppandoun “capitalismo verde”, parti importantidell’economia globale chiedono un’a-zione politica forte contro il climatechange anche come fonte per nuove op-portunità di crescita. Questi non sononeo-samaritani che agiscono per spintaumanitaria. Tuttavia il consenso globalesulla protezione del clima crea nuovimercati, come sempre accade quandoun rischio globale viene riconosciuto co-me tale. E i principi precauzionali ab-bracciati dagli Stati incoraggiano la pro-duzione a zero emissioni e tecnologieenergetiche efficienti, con chiare ricadu-

te economiche. In questo caso l’anticipa-zione di una catastrofe futura può inse-gnare non tanto alla gente ma ai governie alle aziende ad aprire nuove strade perguadagnare. Ha ragione però quando sichiede se le persone siano pronte, e fino ache punto, a uno stile di vita più ambien-talista. È una domanda ancora aperta».

Torniamo al rischio finanziario. Co-me sta minando la fiducia in noi stessi?

«Cercando di guardare dietro l’angolo,ci sono due scenari da considerare. Nelprimo, il 2009 sarà “solo” l’anno di unagrave recessione mondiale con tutte lesue implicazioni sociali e politiche, comela radicalizzazione di ineguaglianze so-ciali all’interno e tra le nazioni, alti livellidi disoccupazione, nuovi tipi di scontri diclasse e così via. Ma il punto centrale diquesto scenario softè che dopo uno o due

anni l’economia mondiale si stabilizzeràe il mondo apparirà di nuovo com’era pri-ma. Il secondo scenario è invece il se-guente: nel 1989 il mondo ha sperimen-tato il crollo del comunismo. Venti annidopo quello del capitalismo. La fede nellibero mercato è ciò che ha fatto dell’Oc-cidente l’Occidente. In teoria, almeno,meno intervento del governo c’era, me-glio era: il mantra è che i mercati la sannopiù lunga di tutti. Questo ritornello giu-stifica la nostra repulsione per il comuni-smo, la distanza filosofica dal sistema ci-nese e l’approccio riformista delle societàmoderne, sia che si tratti di mercato dellavoro che di università. Ed è qui che sicolloca la fondamentale dissoluzionedell’identità e della razionalità occiden-tali: potremo mai fidarci di nuovo delmercato? Chi ci salverà dai suoi disastriinterni, se non la stessa rovina? Alcuni di-cono, e lo vorrebbe anche il buon senso:banchieri, esperti, ministri del tesoro, iprimi responsabili di questo caos! Manon è come chiedere a Bin Laden di orga-nizzare la guerra al terrore?».

L’ultima ma non meno importanteinstabilità riguarda l’affettività. Tantianni fa lei scrisse Il normale caos dell’a-more. Possiamo dire che anche le rela-zioni sentimentali sono vittime della Ri-sikogesellschaft?

«Le persone si sposano per amore e di-vorziano perché ne hanno ancora biso-gno. Le relazioni sono vissute come sefossero intercambiabili, non perché vo-gliamo liberarci del peso dell’amore maperché la legge dell’amore vero lo esige.La quotidiana battaglia tra i sessi, chias-sosa o muta, dentro o fuori il matrimo-nio, è forse la misura più vivida della fa-me di amore con la quale ci assaltiamol’un l’altro. “Paradiso ora!” è il grido diquegli esseri terreni che il paradiso o l’in-ferno lo trovano qui o da nessuna altraparte. Molti hanno provato che libertàpiù libertà non è uguale ad amore, mapiù probabilmente a qualcosa che lo mi-naccia. Detto ciò, no, gli innamorati nonsono vittime ma protagonisti, agenti del-la Risikogesellschaft. Il rischio, la preve-dibile catastrofe dell’amore, chi vuoleperderseli?».

e l’annoche verrà

PAULO COELHO

(segue dalla copertina)

«Potrete trovare alloggio in qualche albergo del-la città, signori. Purtroppo non siamo in gra-do di aiutarvi: malgrado la musica, questa ca-

sa è colma di tristezza e sofferenza».«E per quale motivo, se è lecito sapere?».«Per causa mia». Era il vecchio sulla sedia a rotelle a

parlare. «Per tutta la vita, mi sono impegnato affinchémio figlio apprendesse l’arte della calligrafia e potessediventare uno degli scrivani di palazzo. Ma sono passa-ti anni, e nessun bando per quella carica è mai stato pub-blicato. Poi, ieri notte, ho fatto uno stupido sogno: mi èapparso un angelo e mi ha suggerito di comprare unacoppa d’argento, giacché il re sarebbe venuto a farmi vi-sita, avrebbe bevuto qualcosa e si sarebbe adoperatoper trovare un lavoro a mio figlio. La presenza dell’an-gelo era talmente convincente che ho deciso di seguirele sue indicazioni. Siccome non abbiamo soldi, stamat-tina mia nuora è andata a vendere i suoi capelli al mer-cato per comprare quella coppa che può vedere lì, pro-prio di fronte a lei. Adesso loro danzano e cantano neltentativo di risollevarmi il morale, visto che siamo a Na-tale, ma è perfettamente inutile».

Il re guardò la coppa d’argento e chiese dell’acqua,poiché aveva sete. Prima di andarsene, rivolgendosi al-l’intera famiglia, disse: «Che coincidenza! Proprio oggi,incontrando il primo ministro, ho appreso che il bandoverrà pubblicato la prossima settimana».

Pur non credendo alle parole che aveva appenaudito, il vecchio annuì e si congedò dagli sconosciu-ti. Ma, l’indomani, un proclama reale venne letto intutte le strade della città: si cercava un nuovo scriva-no per la corte.

Alla data stabilita, il salone delle udienze era affol-lato di persone ansiose di concorrere per una caricatanto ambita. Il primo ministro entrò e chiese ai pre-senti di preparare fogli e penne: «L’argomento dellacomposizione è: “Perché un vecchio piange, unadonna calva danza e un ragazzo triste canta?”». Unmormorio di sgomento percorse la sala: nessuno erain grado di affrontare un simile tema, di raccontareuna storia come quella! Tranne un giovane dagli abi-ti dimessi in un angolo del salone, che fece un grandesorriso e cominciò a scrivere.

(Il testo “La musica che proveniva dalla casa”è liberamente ispirato a un racconto indiano)

Traduzione Rita Desti.© 2008 by Paulo Coelho Pu-blished by arrangements with Sant Jordi

Asociados Agenda Literaria S.L., Barcelona

Coelho racconta

il sogno

che si avvera

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o posso volareCantare gospelai tempi di Obama

Per secoli gli afroamericani hanno lodato in musica la gloriadel Signore. Ora la vittoria del neopresidente, raccontanoall’Harlem Gospel Choir, dà alle loro voci un significato nuovo

SPETTACOLI

GINO CASTALDO

In certicasi è questione di un attimo. Il co-ro parte e nel giro di poche battute l’at-mosfera è incandescente, un sublime in-sieme di voci canta la gloria del Signore.Ma non c’è nulla della statica, contem-plativa, asessuata preghiera dei canti

monastici europei. Nel gospel esplode la vita,il corpo sussulta, la preghiera è un modo di av-vicinarsi a Dio, ma senza lasciare nulla in-dietro: carne e ossa, spirito e piacere, estasie trascendenza. Abbiamo di fronte l’Har-lem Gospel Choir, una vera istituzione(con sede sulla 123sima strada, nel cuo-

re della mecca nera a Manhattannord), un ensemble di voci para-disiache che ruggiscono in nero,in visita a Roma per deliziare gli

spettatori che li attendono all’aulamagna della Sapienza. Sì, lo sappiamo, questamusica trabocca dalle chieseepiscopali da tempo imme-more, affonda le radici nellapreistoria della presenza deineri in America, è il segno delloro primo impatto con lechiese di derivazione europea,eppure oggi il coro suona di-verso, più che il consueto innorivolto a Dio, come nella tradi-zione evangelica del gospel,sembra un inno indirizzato al-la vittoria di Obama.

Scusate signori del coro,non possiamo farci niente,ma questa è la sensazione.«Oh va benissimo così», ci di-ce Angela Withlock, la batteri-sta del gruppo che incontria-mo subito dopo l’esibizione,«possiamo dire che l’elezionedi Obama sia anche una vitto-ria del gospel. In fondo ci dàuna speranza, soprattutto inquesti tempi di crisi economi-ca, e a pensarci bene, cosacantiamo noi del gospel se non la speranza, lavoglia di redenzione?». Vero, ma sembra che cisia qualcosa in più, un’affinità, quasi un’asso-nanza. «Perché no?», interviene il cantanteWendell Simpkins, «basta pensare che il suoslogan più famoso, riguardo alla possibilità dieffettuare reali cambiamenti, è Yes, We Can, equando sento questa frase non posso fare a me-no di pensare alla Bibbia, al versetto che dice“noi possiamo fare qualsiasi cosa”: è la stessacosa, c’è qualcosa di evangelico in quello chedice Obama, e questo è puro gospel, è lo stessovangelo che noi portiamo in giro per tutto ilmondo, anche qui in Italia».

Volendo ci si potrebbe spingere ancora più inlà, trovare assonanze, un suono, una vera e pro-pria pronuncia che lega Obama alla tradizionemusicale afroamericana e in particolare al go-spel. «Obama viene dalla Chiesa», spiega Ange-la Withlock, «come del resto capita a molti deipiù grandi cantanti afroamericani, da ArethaFranklin ad Al Green. Io me ne rendo conto su-bito, riconosco gli accenti, individuo certe no-te, si capisce subito che hanno fatto l’esperien-za del gospel. C’è la stessa passione e spiritua-lità, anche quando cantano di temi non religio-si, d’amore, o di qualsiasi altra cosa. È un’espe-

rienza che non dimentichi mai, che ti segna persempre e a volte alcuni di loro sono tornati acantare il gospel dopo essere diventati famosi,come è successo ad Al Green». E infatti il fonda-tore del coro, (chiamato affettuosamente daifan “Gente di Dio che viene da Harlem”) AllenBailey, ha lavorato con i Commodores, con Mi-chael Jackson e Prince. «Molti predicatori pos-sono catturare la tua attenzione con i toni, conprecise strutture, con i discorsi, con l’entusia-smo, ed è esattamente quello che succedequando Obama parla. Ti prende, ti cattura, nonpuoi fare a meno di ascoltarlo».

Questa dei predicatori è una lingua a parte, èun’oratoria strepitosa, ritmata, coinvolgente,che utilizza raffinate tecniche di condivisioneche generano la partecipazione dell’uditorio,una lingua da noi praticamente sconosciuta (senon nell’imbastardimento degli imbonitori dipiazza, o televisivi) ma che in America è diffusaovunque, è arrivata a lambire molte forme mu-sicali, non ultima il rock, almeno a giudicare da

quei lunghi accesi monologhiche Springsteen si diverte asviluppare in mezzo ai suoiconcerti, in perfetto stile dapreacher evangelico. Un’arteche viene da lontano, che ispi-ra trasporti collettivi, posses-sioni, che spinge la gente a li-berarsi, a gioire con tutto ilcorpo, esattamente come av-viene nei concerti dei cori go-spel.

E se qualcuno avesse deidubbi sul funzionamento diqueste performance al di fuo-ri dei contesti d’origine, bastavenire a vedere questo pode-roso coro che viene da Harlemquando attacca AmazingGrace, oppure O Happy Day.Anche le canzoni di Natale co-me We Wish You a Merry Chri-stmas diventano occasione ditrasporto collettivo. «Oh sì, ri-marreste molto sorpresi a ve-dere quello che ci succede in

giro, anche fuori dall’America», racconta laWithlock con un malizioso sorriso, «questa mu-sica è molto apprezzata, perché ovviamentenon puoi trovarla qui, e così incontriamo mol-to entusiasmo, la gente viene travolta dal nostromodo di urlare, di muoverci». E succede, im-mancabilmente, sotto l’influenza di una musi-ca che ha affinato il suo stile in decenni di dolo-re e oppressione; una musica che mima la libe-razione raccontando il riscatto del popolo neroe che alle metafore evangeliche del popolo elet-to, dell’attraversamento del Giordano, dell’i-dea della Terra promessa, sovrapponeva la sto-ria degli africani portati come schiavi nel Nuo-vo mondo e ora in cerca di libertà e di dignità.

Impossibile, ascoltando questi canti, nonpensare al cambiamento avvenuto in America,all’elezione di Obama, un nero, a capo della na-zione più influente del mondo occidentale. E sevolessimo dedicare un gospel al futuro presi-dente? Wendell Simpkins non ha dubbi: «Beh,mi verrebbe spontaneo dedicargli I Believe ICan Flight, credo di poter volare. È esattamen-te quello che lui sta facendo, sta cambiando lastoria, ha fatto in modo che si potesse crederenell’impossibile. Non sentite? Sono le parole diun gospel».

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 21DICEMBRE 2008

Dice Wendell,voce del gruppo:

“Quando sento il suo‘Yes, We Can’non posso fare

a meno di pensarealla Bibbia,

al versetto che dice‘Noi possiamo farequalsiasi cosa’”

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 21DICEMBRE 2008

Eugene, Martin e David sono sacerdoti cattolici nati e cresciutinell’Ulster della guerra civile.La loro seconda vocazioneè il canto. Il loro album, “The Priests”, ha scalato le classifiche

LONDRA

Tre. Il numero perfetto. Come la Santissima Trinità. Come i tremoschettieri. Come i tre tenori. E, ora, come i tre preti. Padre EugeneO’Hagan, suo fratello padre Martin O’Hagan e il loro amico d’infan-zia padre David Delargy, sono l’insolito terzetto che ha messo sottol’albero di questo 25 dicembre il best seller canoro del Natale 2008. Unalbum intitolato The Priests (I preti), interpretato da tre sconosciutisacerdoti nord-irlandesi che fino ad ora avevano cantato soltanto inchiesa, è balzato in testa alla hit parade della Gran Bretagna e sta fa-cendo altrettanto nelle classifiche di una trentina di paesi di religionecristiana in mezzo mondo, Italia compresa. Sulla carta, nessunoavrebbe dovuto scommetterci, per non parlare di spenderci, nean-che un soldo. Cantano brani più da messa domenicale che da disco-teca o da party natalizio: passi per l’Ave Maria e Holy Night, che al-meno tutti abbiamo orecchiato, ma gli altri hanno titoli come PanisAngelicus, Benedictus, Pie Jesus, Domine Fili Unigeniti, Ecce SacerdosMagnus, non proprio il genere più adatto, sarebbe lecito pensare, afare concorrenza a motivetti pop, ballate rock o anche classici di Na-tale alla Jingle Bells. Ma i critici dicono che «cantano come angeli». Eforse sulle loro ugole è davvero scesa la benedizione del Signore, operlomeno del suo più alto rappresentante sulla Terra, consideratoche parecchi anni fa, quando erano giovani seminaristi all’UniversitàGregoriana di Roma, una volta cantarono una liturgia davanti a papaGiovanni Paolo II, che a quanto pare ne rimase estasiato.

Insomma, se ogni Natale che si rispetti, da A Christmas Carol diDickens in poi, ha la sua magica fiaba, qui siamo indubbiamente difronte alla favola globale del Natale di quest’anno. Qualcuno, nelcampo della fede, in effetti parla di miracolo. Qualcun altro, nel cam-po dei discografici, preferisce chiamarlo marketing geniale. Che ab-biano una bella voce, è innegabile. Che l’iniziativa sia curiosa, al limi-te della stravaganza, perciò perfetta per un sorprendente successo,pure. Ma abile marketing e potenti acuti non bastano a spiegare deltutto un’affermazione musicale di simili dimensioni. Il primo giornoin cui l’album è entrato in commercio nel Regno Unito, il mese scor-so, il loro cd ha venduto ventinovemila copie. La prima settimana haregistrato il fatturato più alto di tutti i tempi per una “band”, dopo-tutto di questo si tratta, di esordienti. Da allora è stata una marciatrionfale su entrambe le sponde dell’Atlantico.

La storia che si nasconde dietro l’album è ancora più fiabe-sca, quasi troppo bella per essere vera: potrebbe essere unfilm, e magari presto lo diventerà. Padre Eugene, quaranta-nove anni, e suo fratello minore padre Martin, quarantacin-que, sono cresciuti in Irlanda del Nord, in un villaggio di pochecase appena fuori da Londonderry, una delle cittadine rese triste-

mente celebri dai “Troubles”, i trent’anni di guerra civile in-ter-religiosa tra cattolici e protestanti nella provincia britannica

che lottava per ottenere la riunificazione con l’Irlanda (e non vi haancora rinunciato, nonostante la pace, la raggiunta autonomia e ilcompromesso che ha portato insieme al governo i leader delle dueopposte fazioni). Appartenevano a una grande famiglia, com’era ecom’è tipico dei cattolici irlandesi, per la quale la musica e il canto era-no il passatempo preferito. «Quando eravamo bambini, la mamma simetteva a suonare al pianoforte e ci chiamava sempre ad accompa-gnarla», ricordano. Eugene, il fratello maggiore, decise di avviarsi alsacerdozio quando aveva appena diciotto anni: «Non fu una speciedi conversione sulla via di Damasco», dice, «era curiosità, più che ognialtra cosa, e comunque non presi i voti fino a ventidue anni. È un po’come il matrimonio: prima di attraversare quella soglia, non senti illegame profondo. Dopo, la sfida è mantenere l’impegno». Suo fratel-lo Martin fece la stessa scelta qualche anno più tardi: «Non per segui-re la mia stessa strada, ma probabilmente, sentito il richiamo della vo-cazione, fu facilitato dall’avere qualcuno con cui parlarne, ossia me».Nel frattempo il loro ex compagno di giochi David, oggi quaranta-quattrenne, aveva fatto la medesima scelta: anche lui cresciuto in unambiente analogo, una famiglia devotamente cattolica con sei figli,che si riuniva spesso e volentieri a cantare intorno a un pianoforte.

Ritrovatisi tutti e tre a fare il parroco nella stessa diocesi, i tre sa-cerdoti, rodata l’armonia musicale nel periodo trascorso in comu-ne all’Università Gregoriana a Roma, non perdevano occasione dicantare insieme nelle feste comandate più solenni. I fedeli registra-vano le loro interpretazioni su dvd artigianali, uno dei quali la scor-sa primavera è finito in mano a un dirigente della Sony Records. Ildiscografico ha avuto, lui sì, una specie di visione sulla via di Dama-sco, in cui il cielo era oscurato da una scritta a caratteri cubitali chediceva più o meno così: «Potenziale Best-Seller Mondiale». La pro-fezia si sta avverando. I tre preti sono impegnati in un tour pubbli-citario su due continenti. Il contratto chiarisce, tuttavia, che i lorodoveri di sacerdozio hanno la precedenza su qualunque appunta-mento promozionale: se la parrocchia chiama, il paradiso (com-merciale) può attendere.

La maggior parte dei loro diritti d’autore saranno destinati in be-neficenza; e anche la casa discografica si è impegnata a versare unapercentuale dei suoi profitti ad associazioni di carità (sebbene nonriveli quanto). «Il nostro obiettivo è vendere più album possibile»,chiarisce un portavoce, traguardo tutto sommato legittimo consi-derato che la Sony ha speso oltre un milione e mezzo di dollari soloper il lancio pubblicitario. L’obiettivo dei tre preti, secondo la stam-pa anglosassone, sarebbe un altro: riabilitare la chiesa cattolica ir-landese, colpita da scandali di ogni tipo in anni recenti, e dare unaspinta alle vocazioni, che si stanno esaurendo anche nel paese (untempo) più cattolico d’Europa. La recessione internazionale po-trebbe dare loro una mano: in tempi di crisi, la gente cerca conforto,e anche acquistare un cd di canti religiosi per Natale può servire alloscopo. Come ben sanno padre Eugene, padre Martin e padre David,le vie del Signore sono infinite.

Tre preti irlandesinel paradisodella hit parade

ENRICO FRANCESCHINI

LE IMMAGINI

Tra le immagini che illustrano

tutte queste pagine,

spiccano le lettere

che bambini di tutto

il mondo hanno spedito

a Santa Claus. Sono

indirizzate a Rovaniemi,

nella Finlandia artica poco

lontano dal Polo Nord,

dove, secondo la tradizione,

ha casa Babbo Natale

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Parolad’ordine: off-grid, fuori rete.Si può vivere senza il contatoredella luce, senza i tubi del meta-no. Anche senza l’acqua e le fognecomunali. Senza bollette, insom-ma. Non è facile, ma si può. A vol-

te, si deve. «A metà novembre, ai primi fred-di, ci siamo detti: quest’anno non accendia-mo. Niente termosifone. Facciamo come sifaceva una volta: cerchiamo un po’ di legnain giro per fare il fuoco e, alla sera, scaldiamole lenzuola con il ferro da stiro. Ma, adesso, hotirato giù dalla soffitta il prete e la monaca. Seli ricorda? Il prete è l’armatura di legno persollevare le lenzuola, la monaca è la pentoladi coccio con dentro la brace del camino.Mette la monaca nel prete, li infila sotto le co-perte e il letto è bello caldo. Certo, ci vuole lalegna e, in campagna, è più facile».

Il pensionato marchigiano che è tornato airiti della sua infanzia non lo sa, ma la sua scel-ta disperata è, in realtà, un’opzione, perquanto involontaria, molto trendy: di ten-

denza, come si dice. Il fatto che la com-pia solo per maledetti problemi di

portafoglio lo colloca ai livelli piùbassi e meno consapevoli, ma pursempre dentro un movimentoche, negli ultimi anni, sta acqui-stando forza e consistenza: l’eb-

brezza di vivere “unplugged”, sen-za spina, come nei grandi ritorni rock

alla chitarra acustica. Una scelta che, dinorma, viene compiuta non per motivi

economici (i soldi, anzi, ci vogliono, enon pochi), ma per motiviideali. Di due tipi, che spesso si

sovrappongono. Il primo è li-bertario: «Faccio tutto da me». Il

secondo è ecologico: «Basta coni combustibili fossili».

In Italia, è un fenomeno asso-lutamente marginale: poveri e

poverissimi che le bollette,semplicemente, non se le

possono permettere. Equalche rifugio di

montagna, lontano da qualsiasi rete. Ma, neipaesi anglosassoni, dove le normative sull’au-toproduzione di energia sono, tra l’altro, assaipiù lasche che in Italia, cominciano ad esserci inumeri. Negli Stati Uniti, si stima che le fami-glie “fuori rete” siano ormai duecentomila ecrescano a vista d’occhio. In Gran Bretagna, so-no già circa quarantamila. Si può fare, allora? Sì,ma con due avvertenze. Uno, ci vuole spazio,spesso molto spazio. Se vivete in un monolo-cale in centro, non andrete lontano. Secondo,la scelta ideale, se non siete pronti a tagliaredrasticamente il vostro standard di vita, costa:prima di cominciare a risparmiare sulle bollet-te, c’è un investimento iniziale impegnativo dafare.

Da dove si parte? Anzitutto, da un po’ di con-ti. Quanta energia consumate e quanta ve neserve davvero? In Inghilterra, la famiglia mediaconsuma 4.500 kilowattora di elettricità l’annoe 18mila kwh di gas per cuocere e scaldarsi. Unbuon isolamento di pavimenti e finestre puòtagliare drasticamente il gas. Quanto all’elet-tricità, munitevi di un misuratore di energia,che vi aiuti a calcolare dove consumate e dovepotete ridurre gli sprechi. Una volta reso più ge-stibile il fabbisogno, potete cominciare a stu-diare come soddisfarlo fuori rete.

La cosa più facile è l’acqua calda. Con un me-tro quadro di pannello solare termico per com-ponente della famiglia (strategicamente piaz-zato su un muro o un tetto esposto a sud) avre-te tutta l’acqua calda che vi serve. D’estate.D’inverno, purtroppo, non basta. Avete biso-gno di un serbatoio e di una stufa (a biomasse)che contribuisca a riscaldare l’acqua. Se di spa-zio ne avete ancora di più (meglio ancora seavete anche un pozzo) potete pensare a unapompa di calore: a farla breve, un tubo infilatoper un centinaio di metri nel terreno che, d’in-verno vi porta in casa aria calda da sottoterra e,d’estate, aria fresca.

Ora che siete al caldo, volete anche la luce perleggere o vedere la televisione. In America, do-ve la legge lo consente, se avete un ruscello die-tro casa, potete metterci una turbina e procu-rarvi energia idroelettrica. Se avete a disposi-zione una collinetta, potete metterci le pale eo-liche. Considerate però che una microturbina

a uso famiglia ha senso solo con una velocitàmedia del vento di 4,5 metri al secondo (un po’più di 15 chilometri l’ora), piuttosto rara inItalia. Altrimenti, non ne vale la pena.L’opzione più credibile sono i pan-nelli fotovoltaici. Un pannello didue metri quadri fornisce, in me-dia, in Italia, fra i 1.600 e i tremilakwh l’anno. Per una famiglia diquattro persone ci vogliono al-meno otto metri quadri di pan-nelli.

A questo punto, dovete decide-re: volete veramente essere fuori re-te? In Italia, economicamente, non viconviene: potete rivendere a buon prez-zo alla rete l’elettricità che producete oltre ilvostro fabbisogno. E, quando vi serve, poteteriprendervela. Ma, se siete dei veri puristi, do-vete affrontare il problema di immagazzinarel’energia, per quando il sole o il vento non ci so-no. È la maledizione delle rinnovabili. Il siste-ma più semplice per far fronte ai tempi bui ècaricare normali batterie, come quelle del-l’auto, per capirci. Ma vi possono conser-vare energia solo per il fabbisogno di unpaio di giorni. Se avete molti soldi, poteteentrare nel business dell’idrogeno. D’e-state, il sole in eccesso viene usato perprodurre idrogeno con l’elettrolisi del-l’acqua. D’inverno, l’idrogeno conserva-to in un serbatoio viene utilizzato per ali-mentare una cella a combustibile.

Per acqua e fogne, siamo ancora ai pri-mi passi. In media, una persona usa 150 li-tri d’acqua al giorno. Per poter pensare dichiudere il rubinetto comunale, dovetescendere almeno a 80. Come? Scaricodoppio nella toilette, lavatrice supertecno-logica a massimo risparmio, riutilizzarel’acqua della doccia e della lavatrice per la toi-lette e per innaffiare il giardino. Sempre 80 litrial giorno, però, bisogna trovare. Qualcosa sipuò ricavare dalla pioggia, ma, perché sia po-tabile, bisogna trattarla. Infine, le fognature.Esistono efficienti toilette chimiche, il cui sca-rico si risolve in ottimo concime per il giardino.Ma è bene che il giardino sia piuttosto grande.Altrimenti, almeno qui, lasciate perdere.

le tendenzeVivere unplugged

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 21DICEMBRE 2008

n Natale senza reteecco il trendyecologico

MAURIZIO RICCI

UNegli Stati Uniti le famiglie che fanno a menodei combustibili fossili sono ormai duecentomilae crescono a vista d’occhio. In Italia c’è chiper ragioni economiche ha eliminato per semprecontatore della luce e tubi del metano. È la vitaalternativa tra pannelli fotovoltaici e pale eoliche

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i saporiTradizioni

La leggenda langarola di Gelindo, un agricoltore che dà ospitalità a Mariae Giuseppe e allieta Gesù appena nato col dono della musica. La memoria del gustoperduto delle pagnotte di montagna che si cuocevano un paio di volte l’anno

Due tracce per ritrovare la via in un Natale circondato dal buio

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 21DICEMBRE 2008

Nella parte del Piemonte meridionale che dall’A-lessandrino attraversa il Monferrato e la Langa fi-no all’area pedemontana, il Natale è tempo di Ge-lindo. Una rappresentazione popolare che cele-bra la natività con la semplicità e l’arguzia dellecompagnie teatrali locali: persone generose e di-

sponibili che, tra l’italiano e il dialetto, trasformano chiese, saleparrocchiali e oratori in teatri di prosa. Mi ha sempre intrigatoquesta recita di paese, la versatilità degli attori (ho in mente unricordo spassoso di un giovane Umberto Eco nei panni della Ma-donna) e le varianti che su una semplice trama rinnovano un re-pertorio ricco di suggestioni.

Due stranieri, un uomo e la sua giovane moglie incinta, pros-sima al parto, cercano casa in una città che non conoscono: nontrovano alloggio perché la città è affollata per via del censimen-to, ma anche perché nessuno apre la propria porta a degli sco-nosciuti. Si imbattono in un villano un po’ strambo, che sta tor-nando a casa dopo un’altra fallimentare giornata in cui nessu-no, nonostante la folla, ha voluto comprare i suoi prodotti almercato. Gelindo è quasi sempre rappresentato come un agri-coltore: piccolo grande stravolgimento dei ruoli, ma in Langapastori ce ne sono pochi. E questo aggiunge eccezionalità: i pa-stori, nelle scritture classiche, vedono la cometa perché sono al-l’aperto; i contadini nel Vangelo non compaiono — probabil-mente dormivano già, nelle loro case. Gelindo invece è in ritar-do, la moglie lo aspetta a casa brontolando perché già sa che nonavrà combinato nulla di buono. E grazie alla sua inettitudine Ge-lindo incontra la Sacra Famiglia.

La dicotomia pastori-contadini percorre la storia dell’uomo,cominciando da Caino e Abele. Spesso i pastori transumanti so-no stati una sorta di avanguardia culturale della ruralità: viaggia-vano, vedevano altri orizzonti, conoscevano genti diverse, ne im-paravano, un poco, gli idiomi. I contadini, invece, restavano in-catenati alle loro terre, alle proprietà, misere o grandi che fossero,da accudire e sorvegliare, da difendere da qualunque novità.

Gelindo, ha i tratti classici della goffaggine di bertoldiana me-moria, ma ha un potere, quello che spesso hanno i bambini, o co-loro che a dispetto degli anni restano bambini: vede la sostanzadelle cose, non gli elementi formali che impediscono ai suoi con-cittadini di essere gentili. Vede una donna bellissima e quasi in

travaglio, vede un uomo preoccupato e stanco: tanto gli ba-sta e indica loro una grotta, quella in cui lui tiene il bue.

Quando Gelindo arriva a casa trova tutta la sua comu-nità in subbuglio, perché sono passati gli angeli, annun-ciando la lieta novella, ed è stata avvistata la stella che in-dica il cammino. Avrà bisogno di molte battute e moltirimproveri della moglie per collegare il messaggio degliangeli ai due viandanti incontrati poco prima. Così Ge-lindo, Forrest Gump delle sacre scritture rivisitate, si ri-trova con uno straordinario vantaggio: è l’unico a sa-

pere dove sta per nascere il re dei re e vuole essere il pri-mo ad andarlo a trovare. Nei presepi tradizionali delle case

piemontesi Gelindo è il visitatore che viene posizionato piùvicino alla grotta.

Fin qui l’esile trama. Ma Gelindo è molto di più.Lo intuiamo quando vediamo quanta fatica fa a uscire di ca-

sa, sia pure per andare a trovare il Bambino. Abbandonare il suopiccolo mondo, anche per un breve tempo, lo mette in agitazio-ne, torna indietro ancora e ancora a controllare di aver chiusotutto o perché dimentica qualcosa. “Gelindo ritorna” è, nel dia-letto, un modo per sottolineare la prevedibilità di un’azione, o la

ciclicità di un evento. Gelindo è l’uomo delle contraddizioni:vuole andare a trovare il Bambino, ma teme che la sua casa ri-manga incustodita (quasi una metafora della modernità che cichiama e ci attira, ma lasciare le certezze è sempre un dolore);è fiero di essere l’unico a sapere dov’è la sacra famiglia (al pun-to da incontrare i Re Magi e depistarli, in alcune varianti dellarappresentazione, che non per niente è una “divota comedia”,ancora una contraddizione in termini) ma non si rende contofino in fondo della portata dell’evento (infatti, appunto, non locomunica).

Della complessità della figura di Gelindo, abbiamo la cer-tezza quando, in una delle varianti più toccanti, arriva dal Bam-bino senza doni: Gelindo è povero, non ha nulla da offrire; maporta il suo zufolo, e suona per il neonato. Un Natale di beni im-materiali? Qualche giornale in questi giorni l’ha consigliato.Nel titolo si diceva «Natale a zero euro». Donare un po’ di amo-re, di tempo, di attenzione. Possibile che ci venga in mente so-lo per via della crisi economica?

Tuttavia la meraviglia non è Gelindo che suona. È il Bambi-no che, ricordiamolo, è nato da qualche ora e fa due cose straor-dinarie: guarda Gelindo, sì proprio lui che suona, e poi ride.Raccontava Dario Fo in una recente intervista che presso alcu-ne società “primitive” si dà il nome a un neonato quando rideper la prima volta. La reazione cosciente a un evento diverten-te è considerata il segnale dell’essere in vita, dell’essere perso-na. Gesù Bambino, che ride per Gelindo, esce dall’immobileiconografia che lo vuole “figlio del Padre Eterno” per diventa-re sé stesso: un bambino, divertito e reattivo. Il legame tra i dueè un legame quasi capovolto: Gelindo è un adulto che non sacome ci si comporta con un “pargol divin”, e così diventa bam-bino; Gesù è un neonato che si relaziona in allegria a un uomoaffettuoso e poetico — diventa persona adulta nell’accoglien-za della sua risata.

Gelindo uomo-bambino forse può farci da guida in questoNatale che sembra un po’ più buio del solito. Seguiamo la suamusica, arrendiamoci alla sua gentilezza. A tutti noi, viandan-ti stanchi e un po’ spaesati, che non ci sentiamo più a casa danessuna parte né sappiamo più far sentire a casa qualcuno, Ge-lindo sta offrendo riparo e un sorriso gentile, un po’ di musicae la possibilità di una risata. Lui non ha altro, ma non ci serve al-tro, per re-imparare a misurare la nostra felicità e il nostro va-lore di persone, non di consumatori.

CARLO PETRINI L’uomo-bambino,che entra a sorpresatra i personaggidel presepe,porta con sé soltantoil suo sorrisoe il suo zufolo:lo suonae riesce a strappareuna risataal pargolo divino

l contadino

nella sacra grottaimbucatoI

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 21DICEMBRE 2008

Neglianni Trenta a Cuneo, basso Piemonte, i ci-bi eccellenti prendevano i nomi dai luoghid’origine: acqua purissima i Camurei, dellavalle Stura; acqua radioattiva Lurisia ai piedidella Bisalta; susine a San Rocco Castagnaret-ta di unica bontà; marroni da fare glacédei ca-

stagneti di Peveragno; capra sambucana di Sambuco, sopraVinadio; vini della Morra. E il pane? Il pane era buschese, diBusca e della Valgrana, che adesso nessun cuneese va più acercare.

Allora quelli di Busca avevano esportato a Cuneo, capo-luogo di provincia, il loro famoso pane in vendita in una lo-ro panetteria, per l’appunto La Buschese, dove venivo ac-compagnato in premio di buona condotta da mia madre, lamaestra Carmela Bocca, salutata e complimentata da tuttiperché a quei tempi una maestra delle elementari eraun’autorità cittadina, una a cui anche quelli del Circolo delCaprissi, borghesia ricca, mandavano i figli a imparare aleggere e scrivere.

Cosa aveva il pane di Busca per essere così lodato? Si di-ceva che il merito fosse dell’acqua del torrente Maira, chescende dalla valle omonima, di cui ignoro la composizionechimica ma di cui ricordo l’effetto meraviglioso in forno:pagnotte di crosta bruna, leggera, da tagliare con il coltellovernantino, di acciaio puro, con il manico d’osso da teneraperto con l’indice della mano, una di quelle conquiste ditecnologia primitiva che ti fanno sentire un uomo fatto. E,sotto la crosta che si apriva con un crac pulito, la parte mor-bida del pane, le grotte di mollica lucida, tesa, di un biancogiallino, proprio come le grotte del Marguareis o di Frabo-sa, da appoggiarci sopra una fetta sottile di Castelmagno,un’altra di quelle cose meravigliose che ci sono ancora, manon più quelle esattamente. Bianca ma non più lucida, nonpiù a lamelle sottili la mollica, non più erborinato, non piùtendente al marrone il Castelmagno, perché per entrambi,pane e formaggio, è prevalsa la fretta e l’avidità di denaro: lapreparazione rapida dell’impasto del pane e la breve sta-gionatura del formaggio nelle cantine interrate sono anco-ra, intendiamoci, al buono ma non al perfetto.

Di un altro pane ho un ricordo ancestrale di cibi e di civiltà

GIORGIO BOCCA

l sentiero

al pane perfettoche portavaI

primordiali, il pane dei contadini di montagna. Il giorno incui lo scoprii è di quelli che non si dimenticano: 8 settembredel ’43, il giorno dell’armistizio, delle divisioni della Quartaarmata che si ritirano dalla Francia, ordinate fino al passo diconfine, poi giù nelle valli in una rotta incontenibile.

Eravamo partiti in otto giovani ufficiali di complemento,dalla caserma del Secondo alpini. Ci guidava il sergentemaggiore Durbano, uno dei magiùr tuttofare degli alpini.Salimmo in Valgrana alla sua baita di Frise, ci mise a dormi-re nella cucina. Sotto le ardesie del tetto c’erano i grandi pa-ni che si cuociono due volte l’anno, ovali e chiari come gran-di semi di fecondazione. In basso il focolare, la madia, l’a-scia, la vanga e il falcetto per seminare e raccogliere in terrepovere. Alla fontana Nanette e Rosina, le francesi, tornate daNizza al loro villaggio allo scoppio della guerra con le manidure di chi ha piantato e curato i fiori nelle serre, i seni piattisotto i maglioni, i capelli tinti, troppo neri, troppo rossi. Sul-la porta della chiesa c’era don Graziano, il parroco, figlio dicontadini, furbo di sorriso ma dei nostri. Stava con noi an-

che il mulo Garibaldi, preso in un accampa-mento di artiglieri alpini all’imbocco

della Valgrana.Nei giorni seguenti avrei capito co-

me si può mangiare il pane duro comeuna pietra cotto due volte l’anno:spaccandolo a pezzi con una roncola

o un martello, da ammorbidire nelbrodo o nel latte.

Non ho mai dimenticato quei pani dielementare perfezione e rimpiango i

pani antichi che si fanno ancora in Fran-cia, come le baguette, o in Valtellina con il

grano saraceno. L’impossibilità di man-giare un pane al dente e non le pappe o i bi-

scotti su cui hanno inveito gli scrittori ameri-cani della lost generation, immigrati a Parigi, il

pane cattivo come prepotenza di un sindacali-smo revanscista manifestatosi nel dopoguerra,

con la proibizione di impastare nella notte peravere la giusta lievitazione. Incredibile: un’uma-

nità di mangiatori di buon pane si è arresa al sinda-calismo più fiscale, quello dei panettieri.

Sotto le ardesiedel tetto della baitac’erano grandi forme,ovali e chiarecome enormisemi di fecondazioneDa spaccare a pezzicon una roncolao un martello,da ammorbidirenel brodo o nel latte

Repubblica Nazionale

Page 14: Natale di - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2008/21122008.pdf · 2008-12-21 · di Sant’Obama, il 20 gennaio, le carte di credito ripo-sano. Le solite statistiche

l’incontroBilanci

Un vegliardocon una lungabarba bianca,un serpentecon volto umano:è il momentodel rendicontosu come vannole cose sulla Terra,tra speranzee avvisi di tempesta

Èsalitafino all’alto dei cieli l’esclamazione di Beppino Engla-ro: «È un inferno!», e il diavolo se n’è risentito. È il momentodel rendiconto di dicembre, il più delicato. Il Signore si pas-sa la mano attraverso la barba, che ha lunghissima, come fasempre quando qualcosa lo irrita. È irritato per l’indolenzadel suo Pubblico Ministero, che se ne sta tutto il tempo ac-

ciambellato ai suoi piedi, come un inutile cortigiano, e scende semprepiù raramente sulla terra a prender nota di come vanno le cose. Pre-tende che basti ormai navigare su Internet e lavorare sulle carte. La ve-rità è che sono invecchiati, tutti e due, Satana e il Signore. Quest’ulti-mo era vecchio fin dall’inizio dei tempi, benché i pittori abbiano esa-gerato nel raffigurarlo come un vegliardo affogato nelle nuvole: tutta-via l’eternità non toglie che si continui a invecchiare, e ora è passatodavvero tanto tempo. Quanto al Tentatore, per nascondere i segni del-l’età prende di preferenza, come ora, le sembianze del serpente ma-schio, il quale cambia pelle a ogni stagione, ma il viso umano piantatosul tronco di rettile risulta per contrasto ancora più raggrinzito, can-cellata l’antica bellezza luciferina.

Dai giorni delle Grandi Separazioni — la terra dalle acque, la luce dal-le tenebre, l’uomo dalle donne e dagli altri animali — il Signore separòla propria carriera di Giudice da quella di Pubblico Accusatore riser-vata a Satana, e ogni dicembre ne aspetta la requisitoria per chiuderel’anno giudiziario. Il fatto è che, a parte la pigrizia, Satana è disgustatoda come vanno le cose sulla terra. Non solo avvengono malvagità chelui, con tutta la malignità del mondo, non saprebbe più immaginare,ma gli umani incattiviti ostentano di poter fare del tutto a meno di lui.Poiché Satana è morto, proclamano, tutto è possibile. Questo spiegacome mai, elencando le nequizie dell’anno, Satana abbia perso il com-piacimento vanitoso che gli era proprio, e parli con una irritante rilut-tanza. Al Signore sembra che così il disordine e la confusione di ruolivadano contagiando lo stesso Regno dei cieli.

Il Signore Dio ha una speciale benevolenza per gli zingari. Suo figliopoi ne è incantato. Si dice che una volta, quando era bambino, nel lun-go periodo in cui se n’erano perse le tracce, fosse scappato per unirsi auna carovana di zingari, benché i suoi avessero dovuto anche loro fug-gire di qua e di là. È un desiderio tipico dei bambini accasati. I grandinon se ne ricordano più e rimproverano agli zingari di rapire i bambi-ni, e danno fuoco alle loro carovane. L’Avversario, mentre ne riferisce,si meraviglia che succeda ancora, la stessa diabolica storia, tale e qua-le, benché al mondo sia diventato così facile viaggiare, anche per i bam-bini, e gli zingari abbiano tanta voglia di far sosta in qualche periferia.

Il Maligno illustra le cosiddette extraordinary renditions. Non ha fat-to nessun sopralluogo, anche qui: ha solo letto carte. In altri tempi sa-rebbero state storie di ordinaria malvagità (extraordinary si traduce

così, nella lingua satanica: ordinario):sequestri di persona, detenzioni

illegali e deportazioni clande-stine, complicità fra Stati e

servizi segreti, tortura apiacere — e il diavolo se nesarebbe vantato come disuoi personali successi.Ma il troppo stroppia, enon gli va giù, al poverodiavolo, la storia di Kha-led al-Masri, cittadino

tedesco, rapito dalla Ciamentre era in vacanza con

la famiglia in Macedonia etorturato ferocemente per

cinque mesi, e infine rilasciatosenza alcuna imputazione.Quanto alla spiegazione: un ca-

so di omonimia, hannofatto trapelare. Una

volta l’omoni-mia era fra i

trucchi pre-diletti daldemonio.

Enzo Tortora, per esempio, fu confuso a suo tempo con il Tortona (conla enne) Enzo di un’agendina: gli inquirenti erano così ingordi che nonsi presero nemmeno la briga di fare il numero di telefono. Ora uno deititolari di quell’indagine brillante è a capo di una Procura che motivaun ordine di perquisizione con millesettecento pagine. Il Signore del-le Mosche è indignato. Quando diventa così platealmente quantitati-va, la malignità non è diabolica, è solo umana.

Il Delatore continua nella sua enumerazione. È la volta del ragazzi-no afgano dodicenne che aveva raccontato in televisione di voler sal-tare per aria portandosi dietro qualche infedele, e ora l’ha fatto davve-ro, lui e tre soldati britannici. Un passaggio in televisione ti lega più diun giuramento sacro. La faccia del Signore è abbuiata. Non vorrebbesentire certe storie di bambini, tanto meno sotto Natale.

Il Signore si ride delle gare fra tifosi degli alberi di Natale e dei prese-pi. Gli piace tutto, a parte gli alberi sintetici, specialmente le palle rosse,il muschio e la carta argentata per fare i fiumi. Satana non può fare a me-no di riferirgli che il grande albero di Natale di piazza Sintagma, ad Ate-ne, di fronte al Parlamento, è stato incendiato dai ragazzi incappuccia-ti, dopo che uno di loro, un quindicenne spensierato, era stato am-mazzato da un poliziotto. Un colpo di rimbalzo. Rimbalzano così in-credibilmente, certi colpi, che si direbbe che il diavolo ci metta lo zam-pino. Fosse per me, dice il Principe delle Tenebre a riposo, raddoppie-rei la guardia davanti all’abete di piazza San Pietro, quest’anno. È unabete rosso, picea abies, dice — è un po’ pedante, il diavolo — che vie-ne dall’Austria meridionale, era vecchio centoventi anni, l’età che il ca-po del governo italiano, uno facile ai malori, pretende per sé, ed è alto,l’abete, non il capo, 33 metri (133 metri, ha detto il conduttore di un te-legiornale, sogghigna Satana scandalizzato. Sogghigna-Satana-scan-dalizzato gli piace, suona carducciano: Salute o Satana, o ribellione...sacri a te salgano... Al diavolo!). Al diavolo l’idea del fuoco e dell’anar-chia viene naturale come al Signore quella dell’acqua. Gli esseri umaniinvece sono così misti di bene e male che vanno pazzi sia dei roghi chedelle alluvioni. Gli piace guardarli e canticchiare, come a Nerone. Il dia-

volo si commuove sempre un po’ quando ricorda Nerone.Il Signore non sopporta che le sue creature soffrano la fame. Se fos-

se per lui, farebbe piovere manna dal cielo tutti i giorni che il cielo man-da. Ma non può farlo, da quando scelse di dare agli umani la libertà.Dunque è rassegnato ad ascoltare il resoconto implacabile della famesulla terra. La Fao, dice Satana, calcola che in un solo anno gli affama-ti nel mondo siano cresciuti di 40 milioni, passando da 923 a 963 mi-lioni. Di questo passo, nel 2009 supereranno la cifra tonda del miliar-do. Non solo, ma ancora, quando vogliono insultarsi fra loro, gli uma-ni si dicono sprezzantemente: «A morto de fame!». Il Signore tiene gliocchi chiusi, e obietta con stanchezza: «Ma non dicevi che la globaliz-zazione...? Che gli organismi geneticamente modificati...?».

Per tutta risposta, Satana fornisce i dati, peraltro controversi, sui con-tadini indiani rovinati dai prezzi e dalle sementi transgeniche che si so-no suicidati: 150mila in otto anni, 250mila in dodici anni... Il Signore sirannuvola sempre più, finché sbotta: «Ma io sono il buon Dio, mica Am-nesty International! E non hai qualche cosa buona da raccontare?».Una ne avrebbe: il prezzo dei diamanti congolesi, crollato del venti percento. Satana li colleziona per carezzarli nei suoi scrigni d’argento: madi nascosto. Prova a pescare tra le sue scartoffie qualche storia più edi-ficante. Tira fuori un ritaglio, con una foto. C’è una gru, una corda, unuomo che penzola dal cappio, ha una ciabatta sì e una no. I giornali pen-sano di essere meno indiscreti se, invece delle teste, pubblicano i primipiani dei piedi e delle ciabatte degli impiccati. In Iran, dice, hanno la-sciato penzolare per un po’ uno delle centinaia di impiccati, e poi l’han-no tirato giù, come aveva preteso la famiglia della vittima: vivo, benchécon danni cerebrali irreversibili. L’ha ritagliato, il diavolo, da un gior-nale locale di Kazerun, fra Shiraz e Bushehr, vicino alle rovine di Bisha-pur — l’ho detto: è un po’ pedante — col titolo: «Storia a lieto fine». Mavede che il Signore sta perdendo la pazienza. Salta un’altra notizia sul-le intercettazioni telefoniche e ambientali, perché sa che lo mandanoin bestia. Il Creatore si ricorda di quando la gente timorata pensava: DIOTI VEDE. Voleva dire che SOLO DIO TI VEDE.

Satana ripiega sulle ultime notizie circa le automobili. All’origine ilPadreterno andava pazzo per le automobili, e anche per il telegrafo ele vasche da bagno. Era seccato invece dalle mongolfiere, dai dirigibi-li e dagli aeroplani, e in genere dalla pretesa degli umani di vedere lenuvole dal di sopra, invece che dal basso in alto. Adesso il Signore è esa-sperato da automobili e telefonini, e gli basta sentir nominare una va-sca da bagno per provare una gran voglia di diluvio universale. Satanalo ragguaglia melensamente sul maltempo. Un inverno così, dice, nonsi era visto mai. E neanche un’estate. E poi: «Ah, la cosa più importan-te: in America hanno eletto presidente un nero». «Ci hanno messo unbel po’», brontola nella barba il Signore, che ormai è del tutto di malu-more, e vede solo il bicchiere mezzo vuoto.

Satana rimette in tasca un foglietto con su scritto in stampatello:AUNG SAN SUU KYI, sottolineato due volte. Salta un appunto sul Paki-stan e la vendita di tecnologia nucleare, un foglio sulle mucche pazzeche danno la testa negli steccati e le pecore matte sterminate. Salta i da-ti sul tracollo della fauna ittica, perché sa che il Signore ha un deboleper i pesci. Gli recita invece le cifre aggiornate sull’allungamento dellavita, specialmente nei primi due paesi della terra: il Giappone e l’Italia.Gli legge un reportage sui vecchi giapponesi che si fanno prenderementre rubano nei supermercati per essere incarcerati e procurarsi untetto sulla testa e una minestra calda. Aggiunge che i vecchi italiani ru-bano anche loro nei supermercati, ma per il momento stanno ancoraattenti a non farsi beccare.

Il Signore si è attorcigliato la barba al punto che Satana, che sbirciaper coglierne lo sguardo, non vede che un minaccioso groviglio di la-na bianca. Ma ecco, parte un lieto scampanio, e nel cielo sfavillante distelle e pulsante di battiti d’ali spun-ta una cometa d’oro. Il Signorescopre la vasta fronte distesa e uncoro d’angeli e di zampogne sidiffonde nell’aria. Una colombacandida viene a posarsi sullaspalla del Signore e gli tuba nel-l’orecchio un suo verso, qualcosacome: «Pape satàn, pape satànaleppe», che vuol dire: «Nonbadargli. Te l’ho sempre det-to: quello è un catastrofista».

Dio e Satana,dialogosu un annodiabolico

ADRIANO SOFRI

48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 21DICEMBRE 2008

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