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I sacramenti: Eucarestia Dieci minuti per te Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare Ottobre Dicembre 2009 Rivista trimestrale - anno 99 8

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Trimestrale di formazione e spiritualità francescana

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I sacramenti: Eucarestia

Dieci minuti per te

Messaggio dalla Madonna del Sasso

Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare

OttobreDicembre2 0 0 9

Rivista trimestrale - anno 99

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io MESSAGGERORivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccinidella Svizzera Italiana - Lugano

Comitato di Redazionefra Callisto Caldelari (dir. responsabile)fra Ugo Orellifra Edy Rossi-Pedruzzifra Michele RavettaClaudio Cerfoglia (segretariato)E-Mail [email protected]

Hanno collaborato a questo numero fra Agostino Del-PietroGino DriussiAlberto LeporiGabriella Modonesifra Riccardo Quadrifra Andrea Schnöllerdon Sandro Vitalini

Redazione e AmministrazioneConvento dei CappucciniSalita dei Frati 4CH - 6900 LuganoTel +41 (91) 922.60.32Fax +41 (91) 922.60.37

Internet www.messaggero.chE-Mail [email protected]

Abbonamenti 2009Per la Svizzera:ordinario CHF 30.-sostenitore da CHF 50.-CCP 65-901-8

Per l’Italia:ordinario € 20,00sostenitore da € 40,00Conto Corrente Postale 88948575 intestato Cerfoglia Claudio - Varesecausale “abbonamento Messaggero”E-Mail [email protected]

Fotolito, stampa e spedizioneRPrint - Locarno

Intervista a don Sandro Vitalini 4

Partecipare alla Messa 6

Per meglio comprendere e vivere il Natale 9

Esiste un ideale frate minore? 12fra Riccardo Quadri

Musiche per Maria 14

Messaggio biblico 16

Le pagine dell’OFS 20

Meditare: una tranquilla passione 22fra Andrea Schnöller

Appunti di vita ecclesiale 24Alberto Lepori

L’autunno caldo dell’ecumenismo 26Gino Diussi

Il Presepe di San Francesco 28

Stretta parentela tra uomini e animali 30

Abbiamo letto... abbiamo visto… 32

Note importanti

Compilando la polizza per l’abbonamento non mancate di riportarel’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita. Indicate anche per favore l’indirizzo di spedizione.

Per semplicità organizzativa la polizza di versamento é statainserita in tutte le copie di questo numero.

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Eccoci all'ultimo numero di quest'anno 2009. Continuiamo la riflessione sui sa-cramenti. Don Vitalini – bravo come sempre – ci chiarisce alcuni aspetti teo-logici. Segue una spiegazione della Messa fatta in stile facile per permettere ai

genitori e a catechisti di usarla nella spiegazione che danno ai loro figli e allievi. Diversi articoli riguardano la festa di Natale. Tutti noi sappiamo che questa ricor-renza, teologicamente parlando, non è la massima festa della cristianità, ma siamoaltresì coscienti che è la più popolare, quella che sentimentalmente viene meglio vis-suta. Come mai? Il Natale parla di nascita, un'esperienza che tutti abbiamo vissutoanche se in modo non cosciente, ma che poi abbiamo rivissuto coscientemente infamiglia o presso famiglie amiche. Mentre la solennità maggiore – la Pasqua – parteda un fatto che nessuno di noi ha vissuto e nemmeno visto. Il Natale possiamo de-finirlo una festa umana, la Pasqua una festa sovrumana. Comunque è importante co-noscere il Natale, i suoi simboli, le sue tradizioni, se non altro per combattere le suedeformazioni, prima fra tutte il Babbo Natale. Questa del vecchio con le renne èforse la peggiore mistificazione e l'attentato antistorico più blasfemo alla festa cri-stiana. Combattere o per lo meno ignorarlo – specie nelle famiglie cristiane - è undovere, per far riemergere quel mistero di spiritualità che la festa comporta e chepossiamo riassumere nella frase biblica: "Dio ha tanto amato gli uomini donando loroil Suo Figlio Unigenito".Con questo numero iniziamo ad attingere alla bella rivista della Chiesa evangelicadella Svizzera Italiana "Voce evangelica", dove abbiamo trovato un articolo interes-sante di un frate cappuccino svizzero, p. Anton Rotzetter. Grazie al redattore pastorePaolo Tognina per il permesso accordato e pronti al ricambio.Seguono le solite rubriche. Il fatto che il Messaggero abbia – per il momento – unoschema fisso, facilita la sua redazione ed offre ai lettori una continuazione tematicaad ampio raggio. Ci sarebbero altre rubriche che meriterebbero la nostra attenzione:le missioni, il terzo mondo, l'ecologia, ecc. In una trentina di pagine non si può faretutto; cerchiamo di fare diligentemente quello che possiamo.Una parola sul rinnovo degli abbonamenti. Caro lettore che ci leggi, affrettati – se nonl'hai ancora fatto – a rinnovare la tua adesione a questa rivista. Scegli, se ti è possi-bile, l'abbonamento sostenitore, ma soprattutto cerca nuovi abbonati. Lo puoi fareanche regalando il Messaggero ad amici, specie giovani coppie: primi fra tutti i figliche avessero da poco formato un nuova famiglia. Per tutto il 2010 possiamo garan-tire l'uscita di altri quattro numeri, ma se gli abbonati non cresceranno e, di conse-guenza, aumenteranno i debiti, dovremmo chiudere o trovare altre soluzioni. Non èuna bella prospettiva e, nella speranza che il Nuovo Anno porti consiglio e le festenatalizie ci portino quale dono diversi nuovi abbonati che permettano di camminarefinanziariamente più sicuri, vi saluta ed augura "Pace e Bene".

la redazione

Lettera della Redazione

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Si dice che l’Eucarestia è fonte e culmine dellavita della Chiesa: che senso hanno queste parole?

L’Eucarestia prolunga nel mondo il mistero dell’incarnazionedel Verbo. La sua presenza personale nei segni sacramen-tali della Parola, del pane e del vino, del popolo e dei cele-branti, esprime la Chiesa nella sua realtà più profonda:quella di essere nel Cristo pane spezzato per il mondo. Ilmiracolo che attesta la presenza reale del Cristo non è certoil sanguinamento di un’ostia, ma l’amore per ogni prossimoche promana dalla celebrazione. Se il prossimo è affamatosi vendono anche i vasi sacri e gli stessi edifici (che spessovennero anche trasformati in ospedali, in lazzaretti) perl’impellente bisogno di servire il prossimo nelle sue neces-sità materiali e spirituali. Perché le espressioni “fonte e cul-mine” non siano vane parole è indispensabile verificarle nelcontesto della vita concreta! Più la Chiesa “lava i piedi”dell’uomo e cioè si pone al servizio di ogni persona - se-gnatamente là dove è in difficoltà - e più si percepisce chele viscere di misericordia del Signore Gesù sono presenti tranoi oggi e noi, battezzati, le visibilizziamo.

Per Eucarestia s’intende solo Messa conComunione, o anche adorazione e benedizionieucaristiche? Che valore hanno queste funzioniche stanno quasi scomparendo?

Di per sé l’Eucarestia non termina mai. Il saluto “la Messaè finita” è carico di equivoci e dovrebbe essere omesso. Sidice che Gesù abbia celebrato un’unica messa, ma si di-mentica che la sua Eucarestia, come rendimento di grazieal Padre, è ininterrotta sia in terra come nei cieli. La cele-brazione sacramentale ha dei limiti (più ampi per la Chiesaorientale) ma di per sé si prolunga nella nostra vita spezzataper gli altri, che non conoscerà termine nemmeno al di làdel velo della morte.Si deve comprendere come tutta la celebrazione sacra-mentale sia comunione tra di noi, con il ministro, con la Pa-rola, con il Pane consacrato. Non può far la comunione chinon fa comunione, e cioè chi odia uno dei suoi fratelli. Matutti noi, se pentiti, facciamo comunione tra noi e il Cristo,coscienti che lui è il perdono, e cioè l’agnello di Dio cheassorbe il nostro peccato. L’idea di adorazione solenne e diprocessione si è sviluppata nel Medioevo, quando si impo-neva una comunione almeno una volta all’anno (!!!) e cosìsi sostituiva la comunione sacramentale con quella ocu-lare. Questa conserva il suo significato di prolungamentodell’assimilazione meditativa al Cristo. Più si assumono isuoi sentimenti e più si è capaci di uscire di chiesa per “ri-parare” le ferite inferte al corpo di Cristo. Il nostro impe-

gno anche politico ci spinge a lottare contro ogni sfrutta-mento (dello straniero, del piccolo, della donna) e a pro-muovere la giustizia e la fraternità in tutto il mondo.

Una volta non si faceva la Comunione durante laS. Messa, ma prima o dopo. Forse ci si preparavameglio, oggi quasi la totalità di chi partecipa aduna S. Messa si accosta alla Comunione: non è unatteggiamento un po’ superficiale?

La comunione fuori della Messa va prevista solo per i ma-lati e per gli agonizzanti (viatico). Come si è detto l’Euca-restia è tutta una comunione e di per sé non si interrompemai, preludendo alla visione celeste. Si noti come la co-munione implichi la comune-unione ai fratelli. “Se la rice-vete bene, voi ricevete voi stessi”, dice Agostino. NelMedioevo c’è stata una distorsione che ha fatto immagi-nare la comunione come un atto privato. Cito una parola diun Padre di cui non è noto il nome: “Non si consacra ilCristo se non si consacra l’universo”. Credo che la comu-nione privata del passato era gesto superficiale, scusato dal-l’ignoranza generale che regnava al proposito. Oggi si evitaquesta superficialità se si ammette che il pane spezzato checi è posto sulla mano è quel Gesù che ci porta con Lui aspezzarci per i fratelli. Il fatto che i fedeli di Corinto (1Co-rinti 11) si abbuffassero e si ubriacassero, senza spezzarequanto avevano con i poveri che non disponevano di nulla,rendeva inesistente le cena del Signore (v. 20). La sintesi ditutta la legge è “amerai il tuo prossimo come te stesso”(Giacomo 2,8). Solo in questo modo si sottolinea la di-mensione sacrificale della santa Cena: non certo nel sensoche il sangue di Cristo “placa l’ira del Padre” (!), ma nelsenso che il suo e il nostro sangue sono effusi, anche goc-cia a goccia, perché si realizzi il disegno del Padre che vuolerendere la terra un giardino, un regno di giustizia, di amoree di pace. La rivelazione di Gesù è una vera rivoluzione!

I fedeli comprendono che il Battesimo e laCresima, nonché il Matrimonio, impegnano anchesocialmente, non sembra così per l’Eucarestia.Questo sacramento ha una dimensione sociale?

Senza la dimensione sociale non c’è Eucarestia. AncheCharles de Foucauld, che celebra solo nel deserto, è unitoa tutti i suoi fratelli e la sua Eucarestia porta ancora frutto.Si ricordi come il termine “messa” venga da “missio”. Erail momento atteso del congedo quando, usciti sul sagrato,i fedeli prolungavano la festa con canti, giochi, vivande con-divise. In tedesco il termine significa ancora oggi “fiera”. Inuna civiltà contadina - che non conosceva le ferie - le do-

Intervista a don Sandro Vitalini

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meniche e le altre solennità costituivano la festa popolareche prolungava l’Eucarestia in chiesa.Pur in un contesto sociale cambiato, dobbiamo ricuperarequesto valore di festa comunitaria, frutto del nostro incon-tro con il Signore. In parte si è già passati dal banchetto ri-servato alle autorità religiose e civili per le solennità ad unpranzo aperto a tutti o almeno ad un aperitivo per tutti. Si

incomincia a portare all’offertorio doni da presentare a bam-bini poveri, a missionari, ad anziani, a malati. Si tratta digesti modesti (come quello dell’offerta pecuniaria) che ciricordano che siamo famiglia unica, nello Spirito del Cristoa gloria del Padre. Se non ci riconosciamo tutti sorelle e fra-telli, in modo fattivo, concreto, il banchetto sacrificale econviviale con Gesù perde ogni significato.

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Dopo aver letto le risposte che il teologo don SandroVitalini ha offerto ad alcune nostre domande sull’Eu-carestia, veniamo a spiegare in modo semplice e fa-

cile (adatto anche ai bambini guidati dai catechisti) quellacelebrazione Eucaristica che chiamiamo anche Messa. Il nome Eucarestia deriva dal greco e significa “Rendimentodi Grazie”, in quanto è un rendere grazie a Dio per tutti isuoi benefici. Il nome Messa deriva invece dalla frase dicongedo al termine della celebrazione, e può significare siaun invito ad andare in missione, esortando i cristiani riunitia portare ciò che hanno imparato e accumulato di beni spi-rituali durante quella Messa, sia il fatto di aver mandato aDio la celebrazione del sacrificio Eucaristico. Ma vediamo come è divisa questa celebrazione. Fonda-mentalmente ricopia qualsiasi ritrovo umano, nel quale pos-siamo distinguere quattro momenti: ci si riunisce, si parlaed ascolta, si condivide, e poi ci si congeda.

La riunione

Parlo soprattutto della Messa domenicale. Inizio esortandotutti i miei lettori a riunirsi per tempo. Io chiedo ai miei par-rocchiani di arrivare in chiesa almeno cinque minuti prima;hanno così il modo di incontrarsi, di salutarsi fuori di chiesae di entrare prima che inizi la celebrazione per un momentodi raccoglimento e silenzio, in preparazione alla stessa. Pur-troppo c’è sempre chi ha il vizio di arrivare in ritardo, forseeffetto di una antica educazione che sosteneva l’assurdapossibilità di soddisfare il precetto domenicale anche giun-gendo in chiesa solo all’offertorio, quindi saltando com-pletamente la liturgia della parola che, essendo fatta allorain latino, era pressoché incomprensibile. Arrivare pertempo, creare un’atmosfera di comunità è indispensabilese vogliamo realizzare la promessa di Cristo: “Quando dueo più sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro”.

Riti di inizio

Sarebbe bene che tutte le Messe iniziassero con una brevespiegazione della liturgia da parte di un laico il quale, al ter-mine, indica un canto di introduzione.Questo canto dovrebbe sollecitare la partecipazione e sot-tolineare la gioia che deve accompagnare tutto il sacrificioeucaristico. Il sacerdote che presiede la celebrazione, mache non deve ritenersi l’unico celebrante perché tutto il po-polo concelebra con lui, saluterà i presenti e per l’occasionepuò dare a questo saluto un’intonazione particolare senzaripetere quello che è già stato detto dal laico animatore. Poiinvita alla confessione dei peccati. Teniamo presente chequesta confessione, o richiesta di perdono, è un vero atto

penitenziale e serve per preparare il nostro spirito, libero dapeccati non gravi, ad ascoltare con orecchie spiritualmentepiù pulite la Parola di Dio e predispone il nostro cuore, piùaperto, a ricevere la sua grazia soprattutto attraverso la Co-munione eucaristica. All’atto penitenziale, eccetto in Qua-resima ed Avvento, segue il canto del Gloria che dovrebbeessere eseguito coralmente, evitando degli assoli fatti dasingole persone o dalla corale stessa. Chiude questa primaparte una preghiera che viene tecnicamente chiamata “Col-letta”, perché dovrebbe raccogliere tutto il senso della li-turgia, rivolgendosi a Dio Padre, per mezzo di Gesù Cristo,affinché ci dia la grazia di un ascolto attento alla Parola cheimmediatamente segue.

Liturgia della Parola

Inizia ora un secondo momento dedicato alla lettura e al-l’ascolto. Viene chiamato “Liturgia della Parola”, anche sepotremmo chiamarlo la “Mensa della Parola”, perché ciòche viene letto secondo un ciclo preciso deve diventare uncibo spirituale che sostenga perennemente le nostre anime.Nell’organizzare il ciclo in tre anni, si è scelto per primo ilbrano del Vangelo per cui nell’anno detto A si legge Mat-

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teo, nell’anno B si legge Marco e Luca nell’anno C. Il Van-gelo di Giovanni viene letto invece durante la Quaresima enel tempo pasquale di ogni anno; viene anche usato percinque settimane durante l’estate nell’anno dedicato aMarco. La prima lettura, che può essere dall’Antico Testa-mento o dagli Atti degli Apostoli (durante il tempo di Pa-squa), è stata scelta perché sia in collegamento con ilVangelo. Nel tempo ordinario la seconda lettura, tratta dalleLettere di Paolo o da quelle apostoliche, di solito è indi-pendente dalle altre due letture in quanto cerca di presen-tare gradualmente una determinata Lettera, settimana doposettimana. Tuttavia nelle feste principali e durante partico-lari tempi liturgici (Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua)le tre letture seguono tutte il tema del giorno. È importanteche durante la “Liturgia della Parola” ogni lettura sia pre-ceduta da un pensiero che dia la chiave di comprensioneperché non sempre, soprattutto per i fedeli che non hannofamigliarità con la Bibbia, queste letture sono sufficiente-mente comprensibili. Le letture vengono fatte normalmenteda un laico eccetto il Vangelo che viene proclamato da undiacono o dal sacerdote celebrante. Attenzione a sceglierelaici preparati, che leggano con senso: evitare soprattuttobambini che nemmeno comprendono quello che stanno

leggendo. La “Liturgia della Parola” ha una sua precisa ar-ticolazione: dopo la prima lettura l’assemblea risponde conun salmo. È importante che tutti cantino o recitino il ver-setto che caratterizza questo salmo. Molte persone parte-cipano ancora alla Messa senza aprire bocca, cioè senzapartecipare e pregare; sembrano imbronciate con Dio e congli uomini. Dopo la seconda lettura vi è il canto dell’allelujache deve essere gioioso come indica la parola stessa; inQuaresima vi è il canto di un antifona appropriata. Segue ilVangelo, dopo il quale il celebrante tiene un’omelia. È forsequesto il momento più critico e delicato, sia per colui checelebra perché l’omelia domanda una seria preparazione,sia per coloro che ascoltano, molti dei quali stanno attentisoltanto per criticare ciò che il sacerdote dice. Questi deveevitare di svolgere temi personali, di moraleggiare tirando laparola di Dio come una coperta con la quale si voglionocoprire tutti i mali del mondo, o anche soltanto della par-rocchia. Il sacerdote dovrebbe individuare fra le letture chesono state proclamate dei pensieri forti e sviluppare quelli,anticipando queste considerazioni con qualche indicazioneesegetica (spiegazioni del testo) che aiuti gli ascoltatori aentrare vivamente nella situazione che le Sacre Scritturehanno descritto e, così, farle proprie. Terminata l’omelia èconsigliabile un momento di silenzio e di meditazione, ma-gari con una musica appena soffusa che permetta, a chi haascoltato con attenzione, di riflettere. Segue il Credo, atte-stazione della propria fede in ciò che è stato proclamato eai misteri che si stanno celebrando. Ed infine una serie dipreghiere durante le quali si espongono a Dio i bisogni dellaChiesa, della Comunità, del popolo, cercando di andare sulpersonale, nel senso buono della parola, cioè non rico-piando soltanto schemi fissi, ma adattando queste pre-ghiere all’attualità, specie se questa presenta dei lati tristi,o momenti di disgrazia.

Presentazione dei doni

Inizia poi un’altra parte della Messa: vengono portati sul-l’altare il pane ed il vino, in qualche rara occasione più so-lenne anche altri doni. Il sacerdote li presenta a Dio. Questomomento si chiama anche Offertorio, ma non dobbiamodimenticare che l’unica vera offerta è Cristo stesso che sioffre al Padre e che con lui dobbiamo offrirci anche noi inquanto parte del suo Corpo mistico. Durante la presenta-zione dei doni può essere eseguito un canto appropriato,mentre viene raccolta un’offerta destinata ai i bisogni dellaComunità e, soprattutto, ai poveri. È bene, nelle occasionipiù solenni, annunciare qual’è la destinazione precisa del-l’offerta; ed il popolo di Dio dovrebbe sentirsi impegnato adare il proprio contributo per l’intenzione manifestata.

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Anche nell’offerta ordinaria bisogna essere generosi, per-ché l’edificio chiesa costa e le attività comunitarie e socialidi una parrocchia non si possono svolgere senza avere ilnecessario finanziamento.

La preghiera eucaristica

Siamo alla parte centrale della Messa. La grande preghieraeucaristica inizia con un inno che viene detto Prefazio eche termina con il Santo, parole tratte dal Libro del profetaIsaia. È bene che il Santo venga cantato, proclamando Diotre volte Santo e invocandolo come “Benedetto Colui cheviene nel nome del Signore”. Seguono altre preghiere im-portanti: è un far memoria delle meraviglie compiute daDio. Fra queste vi è l’invocazione allo Spirito Santo perchéscenda sui doni eucaristici. Nel momento così detto dellaconsacrazione vengono ripetute le parole stesse di Gesù:“Questo è il mio corpo ... Questo è il calice del mio San-gue...”, ma non dobbiamo rendere questo momento unatto magico, dobbiamo vederlo nell’interno di tutto il di-scorso eucaristico. Dopo il momento della consacrazionel’assemblea afferma, con il canto delle acclamazioni, la suaadesione al memoriale che è stato celebrato. Poi la pre-ghiera eucaristica continua riassumendo gli eventi salvifici.Si prega per la Chiesa, si nominano il Papa e il Vescovo lo-cale, si ricordano i vivi ed i morti, si inserisce la mediazionedei santi. Questa grande preghiera si conclude con unadossologia finale e con un grande “Amen” che dovrebbesempre essere cantato per manifestare da parte del popolo,che purtroppo deve star muto durante questa preghiera, lasua adesione.

I riti di comunione

Nell’Ultima cena Gesù prese il pane e il calice del vino edopo aver pronunciato la benedizione lo diede ai suoi di-scepoli. Nella celebrazione eucaristica viene distribuito sol-tanto il pane, eccezionalmente anche il vino. Questomomento, che viene chiamato “Comunione”, è precedutoda alcune preghiere che ancora una volta chiedono perdonoa Dio per i nostri peccati. Si tratta di purificare la nostraanima perché sia più degna di ricevere il corpo del Signore:abbiamo il “Padre nostro”, testo molto opportuno perchécontiene l’invocazione per ottenere il pane quotidiano einoltre, come ho detto, si chiede il perdono per le nostremancanze, il che è necessario non solo per la comunioneeucaristica, ma per una comunione con tutti i fratelli e so-relle. Per rafforzare questa comunione ci si scambia ancheun segno di pace. Vi sono altre preghiere penitenziali,l’”Agnello di Dio”, il “Signore, io non son degno”. Ecco il

momento della distribuzione del pane. Fin verso il secoloXIV la Comunione veniva data sotto le due specie, pane evino, poi per motivi pratici la si ridusse soltanto al pane.Ed oggi questo viene deposto, da chi lo distribuisce (sa-cerdoti, diaconi, eccezionalmente anche laici), nelle manidel richiedente. Alcune persone preferiscono ancora rice-vere l’ostia in bocca; non è proibito, personalmente lo scon-siglio perché Gesù non ha detto: “Prendete ed imboccate,ma prendete e mangiate”. Non ci si illuda che chi riceve di-rettamente in bocca la particola consacrata abbia più ri-spetto di coloro che lo ricevono in mano. Mentre riceviamola comunione il ministro dice “Il Corpo di Cristo” e noi ri-spondiamo “Amen”. Questo nostro “Amen” contiene mol-teplici significati: indica che riconosciamo il Pane e il Vinocome il vero Corpo e Sangue del Signore; esprimiamo anchela convinzione che il Corpo di Cristo è formato da tuttiquelli che partecipano a questo Sacro Banchetto e dichia-riamo la disponibilità a essere anche noi Corpo di Cristospezzato e condiviso con tutti. Durante la distribuzionedella Comunione si esegue un canto; è bello accostarsi albanchetto eucaristico con gioia, ed il canto dovrebbe espri-mere la felicità di colui che si avvicina per accogliere in sestesso il Signore Gesù. Sarebbe opportuno, finito il canto,un momento di silenzio, di ringraziamento personale,chiuso dalla preghiera liturgica chiamata appunto “Pre-ghiera dopo la Comunione”.

Il Congedo

Il congedo è breve, troppo breve: non ci si congeda cosìdagli amici più cari! Normalmente è un invito a lasciare lachiesa; è opportuno che il sacerdote lo faccia indicando unpensiero da portare fuori, un proposito da realizzare. C’èpoi la benedizione finale e, ancora, un canto che deve ma-nifestare la gioia di aver partecipato al più alto momentocomunitario della settimana. Tutti escono di chiesa e sa-rebbe opportuno che la gente non fugga subito a casa mache ci si fermi per salutare e per scambiare delle impressioni(e non solo per criticare la predica), soprattutto per condi-videre la propria gioia di essere fratelli in Cristo. Una Cele-brazione Eucaristica vissuta così darà il tono spirituale atutta la settimana che inizia e, lentamente, ci renderà cri-stiani più autentici e veramente fedeli.Chi partecipa attivamente alla Messa domenicale com-prende perché la Chiesa indica in questa partecipazione ilmodo migliore di osservare il terzo comandamento: “Ri-cordati di santificare la festa”. Ma chi non può (o nonvuole) partecipare alla Messa domenicale non si ritenga di-spensato di osservare questo comandamento: trovi un altromodo di santificare il giorno del Signore.

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Per megliocomprendere evivere il Natale

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Rinunciando ad un commento vero e proprio della pa-gina con la quale Luca (2, 1-20) descrive la nascita diGesù, è troppo nota e non vorrei offendere i lettori

del Messaggero, vorrei soffermarmi su alcuni particolari diquesto splendido presepio costruito dal terzo evangelista.

Interrogativi e note sul racconto di Luca

L’evangelista dice che Giuseppe, per obbedire ad un co-mando di Cesare Augusto, da Nazaret – dove abitava – scese con Maria sua sposa che era incinta nellacittà di Davide, Betlemme, e lì sarebbe nato il loro “primo-genito”, Gesù. Possibile che per farsi registrare, Giuseppe eMaria, debbano andare al luogo d’origine? Sembra propriodi sì. Augusto, con questa disposizione, voleva vincere l’ur-banizzazione, rimandando al proprio paese tutti coloro cheemigravano nelle città. Per l’evangelista, comunque, l’an-data di Giuseppe da Nazaret a Betlemme era un ritorno alleorigini della sua famiglia che discendeva dal re Davide, illu-stre cittadino di Betlemme.Ma ci sono degli esegeti,anche cattolici, che azzar-dano l’ipotesi che Be-tlemme sia luogo soloteologico-biblico della na-scita di Gesù. Per loro Gesùsarebbe nato a Nazaret e loprovano col fatto che fusempre chiamato “il Naza-reno” e mai “il Betlemita”.

Qualche traduzione delracconto della nascita parladi “albergo” dove per loro(Maria e Giuseppe) nonc’era posto. Perché proprioper loro? A Betlemme nonc’erano alberghi di una odue stelle adatti ai poveri.C’era un caravanserraglioche ospitava uomini e be-stie, luogo non adatto perpartorire in modo decentee riservato. Inoltre i poveriabitavano in grotte: sul-l’uscio la famiglia e nelcavo roccioso gli animali. Lìc’era la mangiatoia doveMaria poté deporre il suoBambino: segno evidente

di povertà, per ben tre volte ribadito dall’evangelista per im-primere questo stato nella mente dei suoi lettori. Infatti nelsuo brano Luca nomina tre volte la mangiatoia:– Maria lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia

(v. 7)– L’angelo disse ai pastori quale segno per riconoscere il

Bambino: “Troverete un bambino avvolto in fasce e de-posto in una mangiatoia” (v. 12)

– I pastori andarono senza indugio e trovarono Maria eGiuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia (v. 16)

Uno scrittore preciso e fine come Luca non ripete tre voltela stessa parola se questa non contiene un preciso mes-saggio, quello appunto della povertà.Luca parla di figlio”primogenito”, il che ha fatto dire ad al-cuni esegeti che – dopo Gesù – Maria ebbe altri figli. Infattii vangeli parlano di “fratelli e sorelle del Signore”. Questaspiegazione non è necessariamente provata: presso gli ebreiil termine “primogenito” - applicato al primo maschio - era

più un termine giuridico edi onore che una indica-zione di “primo nato” fraaltri fratelli. È vero che iVangeli, ed anche gli Attidegli apostoli, parlano di“fratelli e sorelle”; dei primidanno anche i nomi, le se-conde non sono mai nomi-nate, ma per spiegarequesto passo ci sono parec-chie ipotesi: – Che si tratta di figli diun precedente matrimoniodi Giuseppe. Tesi sostenutadai Vangeli apocrifi e chenon contraddice gli usi dellaPalestina di quei tempo,dove un giovane vedovonormalmente si risposava,se non altro per assicurareuna presenza materna allasua figliolanza. – C’è chi sostiene che iltermine “fratello”, in questocaso, non sta ad indicareconsanguineo, ma venivaapplicato anche a cugini digradi diversi. Questa tesi ècontestata perché – diconogli esegeti più espertiNatale Francescano di Norberto

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– il vocabolo usato sta ad indicare persone della stessafamiglia, non del clan familiare.

– Altra ipotesi, che il termine fratelli e sorelle siano presiin senso spirituale (come noi frate e suora): ipotesi piùpia che scientifica.

E chi sono questi pastori? Non assomigliano ai bucolici per-sonaggi dei nostri presepi. Sono uomini rudi, poveri, maattenti ai segni, sia che provengano dalla steppa, gli ululatidelle bestie feroci che minacciano i greggi, sia che scen-dano dal cielo (gli angeli). Sono uomini che ubbidiscono.In latino, l’aggettivo che descrive simile ubbidienza, è “fe-stinanter”, (in fretta, senza indugio) che suggerisce ancheun musicale: “Andate con giubilo”. I pastori andarono, vi-dero, raccontarono. Tutti quelli che li ascoltavano non po-tevano che meravigliarsi perché, quei fortunati,annunciavano cose meravigliose. Da pastori ad apostoli,anzi evangelisti, annunciatori di quella “Buona novella” chel’angelo aveva loro comunicato; la nascita del vostro Sal-vatore, il Cristo Signore.In queste parole angeliche vi è l’annuncio che ha varcato isecoli, il vertice dei racconti dell’infanzia, la sintesi dellaprofessione di fede circa la vera identità di Gesù: Salvatore,Cristo (Messia), Signore (Dio), il portatore della pace e diogni dono, il segno agli uomini che Dio li ama.

Un messaggio anche per chi non crede

Anche colui che non crede alla natura divina di Gesù, dovràammettere che quella nascita ha cambiato la storia; nonperché da quell’anno inizia una nuova era (calcolo oltre-tutto errato), ma perché inizia una nuova cultura, quelladella fratellanza e della pace.Ecco perché nel mondo cristiano tutti festeggiano il Natale,credenti e non credenti: per i primi è la nascita della vita,Cristo infatti si è definito Io sono la vita. Per i secondi deveessere la festa della vita, soprattutto nelle famiglie e per ibambini, cioè nell’ambiente generatore di vita e per le viteappena generate. E lo si festeggia il 25 dicembre; non co-noscendo la data esatta della nascita del Salvatore, i cri-stiani di Roma gli hanno dedicato il giorno del solstizioinvernale in cui celebravano la nascita del “Sole vittorioso”,(quindi data eminentemente convenzionale non biogra-fica). La prima testimonianza di questa solennità è tardiva,ce la offre un cronografo romano nel 354.

Un racconto poetico

Nelle chiese e nelle case, per Natale, si costruiscono i pre-sepi, inconscio omaggio riprodotto in mille modi alla culla

della vita spirituale e fisica. Vi è la tradizione anche del-l’albero che, lungi dall’essere un simbolo pagano, è la rap-presentazione di una profezia di Isaia che parla di unvirgulto che deve spuntare dell’albero di Jesse (nonno diDavide, antenato di Cristo). Simboli biblici, d’antica tradi-zione, ben più eloquenti del babbo Natale, sfacciata figuracommerciale.E se volete leggere un racconto intensamente umano esquisitamente poetico sulla nascita di Gesù, prendete lepagine di un bellissimo libro di Erri De Luca (In nome dellamadre, Feltrinelli, 2006, pp. 65-66) che descrive Maria,tutta sola – perché secondo la tradizione ebraica il padrenon poteva assistere alla nascita del figlio – che partoriscenella capanna di Betlemme. Un discorso che qualcunochiamerà “veristico”, io lo definisco “poetico”, che mi hafatto letteralmente innamorare di quella giovane mammaappoggiata alla mangiatoia che parla col suo nascente.“Bel colpo Ieshu, un altro così e sei fuori, ecco ti aiuto,spingiamo insieme, le mani sono pronte ad accoglierti, via?Via, è uscita la spalla, l’ho toccata, poi è rientrata, ma su-bito dopo lo slancio Ieshu ha messo fuori la testa, l’hoavuta fra le mani, mi sono commossa, m’è scappato unsinghiozzo e sul singhiozzo è venuto fuori tutto e l’ ho af-ferrato al volo. L’ho alzato per i piedi per liberare i polmonie fare spazio al primo vento che forza l’ingresso chiuso dalrespiro. Ieshu ha inghiottito aria senza piangere. Facciomosse esperte senza conoscerle. Il mio corpo fa da solo,esegue. Non l’ho istruito io. Adoro la creatura perfetta chemi è nata, posso allentare il nervo attorcigliato del so-spetto: è maschio, è la certezza, non più una profezia. Èmaschio, primogenito in terra di Iosef e Miriàm, carne dacirconcidere, oggi otto. È maschio, l’ho fatto io, sgusciatosano in mezzo all’acqua e al sangue, il corpo esulta in-sieme a quello di ogni donna che mette al mondo l’altrosesso, perché è un regalo a noi”.

Curiosità cronologiche

Partendo dalla data in cui si festeggia la nascita di Gesù, il25 dicembre, la Chiesa cattolica celebra nove mesi prima lafesta della sua annunciazione (25 marzo). Avendo scrittoLuca (1, 26) che l’annunciazione di Gesù avvenne: QuandoElisabetta fu al sesto mese, la sua annunciazione dovrebbeessere avvenuta in ottobre (ma non è ricordata) di conse-guenza la nascita del Precursore viene festeggiata il 24 giu-gno. La festa della visitazione di Maria ad Elisabetta al paesedi Zaccaria che una tradizione avrebbe identificato in An-Karim di Giudea, viene celebrata il 2 luglio. Le date ci sonoe sono coordinate per permetterci di celebrare questi avve-nimenti, non per sottolineare la storicità dei fatti.

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“Oggi Egli è nato: ad Efrata,Vaticinato ostello,Ascese un'alma Vergine,La gloria d'Israello,Grave di tal portato:Da cui promise è nato,Donde era atteso uscì.La mira Madre in poveriPanni il Figliol compose,E nell'umil presepioSoavemente il pose;E l'adorò: beata!Innanzi al Dio prostrata,Che il puro sen le aprì.L'Angel del cielo, agli uominiNunzio di tanta sorte,Non de' potenti volgesiAlle vegliate porte;Ma tra i pastor devoti,

Al duro mondo ignoti,Subito in luce appar.E intorno a Lui, per l'ampiaNotte calati a stuolo,Mille celesti strinseroIl fiammeggiante volo;E accesi in dolce zelo,Come si canta in cielo,A Dio gloria cantar.L'allegro inno seguirono,Tornando al firmamento:Tra le varcate nuvoleAllontanossi, e lentoIl suon sacrato ascese,Fin che più nulla inteseLa compagnia fedel.Senza indugiar, cercaronoL'albergo poverettoQue' fortunati, e videro,

Siccome a lor fu detto,Videro in panni avvolto,In un presepe accolto,Vagire il Re del Ciel.Dormi, o Fanciul; non piangere;Dormi, o Fanciul celeste:Sovra il tuo capo stridereNon osin le tempeste,Use sull'empia terra,Come cavalli in guerra,Correr davanti a Te.Dormi, o Celeste: i popoliChi nato sia non sanno;Ma il dì verrà che nobileRetaggio tuo saranno;Che in quell'umil riposo,Che nella polve ascoso,Conosceranno il Re

”[da Inni Sacri, A. Manzoni]

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Esiste un ideale frate minore?

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esco Per tentare di rispondere a questo

interrogativo, cercheremo di leg-gere assieme due testi importanti

delle Fonti Francescane. Il primo branoè tratto dalla ‘Vita prima’ del noto fraTommaso da Celano.Dopo aver detto della premura del ve-scovo Ugolino (il futuro papa Grego-rio IX) per Francesco molto provatodalla malattia, l’agiografo si soffermaa parlare dei frati, ai quali il santo hadeciso di affidare la cura della sua po-vera persona ammalata.Sono detti uomini virtuosi, cari a Dioe agli uomini, e – si sottolinea – moltomodesti, come conviene che siano i“veri religiosi”. Per questo motivo fraTommaso non ne fa il nome ma la tra-dizione ha voluto identificarli in An-gelo Tancredi, Bernardo, Leone eRufino oppure in Angelo Tancredi,Rufino, Leone e Giovanni delle Lodi.

Alcuni di questi nomi – come vedrete– ricorrono pure nel testo dello “Spec-chio di perfezione”. Per l’agiografo,comunque, è molto importante sotto-lineare le virtù che rifulsero in questifratelli della prima ora e cioè la ‘di-screzionè (una virtù poco conosciutama molto importante), la ‘pazienza’,la ‘semplicità’, la ‘mitezza d’animo’pur se associata casualmente alla ‘ro-bustezza di corpo’. Leggiamo il testodel Celanese.

Il Santo sopportò tutte queste infermitàper quasi due anni, con ogni pazienzae umiltà, in tutto rendendo grazie aDio. Ma per poter attendere con mag-gior libertà e devozione a Dio, e per-correre le celesti dimore nelle frequentiestasi e potersi finalmente collocare incielo davanti al dolcissimo e serenis-simo Signore dell’universo, ben prov-visto di meriti, affidò la cura della suapersona ad alcuni frati, veramentedegni della sua predilezione.

Erano uomini assai virtuosi, devoti aDio, cari ai santi del cielo e amatidagli uomini sulla terra, e su di essi ilbeato Francesco si appoggiava comecasa su quattro colonne. Ne ometto inomi per riguardo alla loro modestia,virtù che, da veri religiosi, amanomolto cordialmente. La modestia in-fatti è il decoro di tutte le età, testi-mone di innocenza, indizio d’un cuorepuro, verga di disciplina, gloria parti-colare della coscienza, garanzia dellabuona riputazione, pregio e corona-mento della perfetta rettitudine. Que-sta virtù era loro comune e li rendevagraditi e amabili a tutti.Ciascuno poi aveva una virtù propria:il primo era particolarmente discreto,il secondo mirabilmente paziente, ilterzo di encomiabile semplicità, l’ul-timo era robusto di corpo e mite dianimo. Essi con ogni diligenza, cura ebuona volontà difendevano il racco-glimento spirituale del beato padre,curavano la sua malattia senza ri-sparmiarsi pene e fatiche, felici di de-dicarsi totalmente al servizio di lui.(FF 498-499)

Il secondo brano è stato ricavato dallo“Specchio di perfezione”, un testoscoperto e pubblicato solo nel 1898dal noto storico francese Paul Saba-tier, il quale dava molta importanzaalle cosiddette ‘memorie’ lasciate dalcompagno di san Francesco, cioèLeone ‘la pecorella di Dio’. Oggi la ri-

cerca storica ha potuto stabilire comedata della sua comparsa il 1318 e nes-suno ormai ne attribuisce la paternitàa frate Leone.Lo ‘Specchio’ comunque resta untesto molto importante per capire unafigura difficile come è quella di Fran-cesco.Il testo, a differenza di quello di fraTommaso, non presenta frate France-sco ammalato e riconoscente verso isuoi fratelli infermieri, ma – partendodal buon esempio che gli danno i suoicompagni – pensa fra sé e sé qualepotrebbe essere definito un vero frateminore. Leggiamolo.

Francesco, immedesimato in certomodo nei suoi fratelli per l’ardenteamore e il fervido zelo che aveva perla loro perfezione, spesso pensava trasé quelle qualità e virtù di cui dovevaessere ornato un autentico frate mi-nore.E diceva che sarebbe buon frate mi-nore colui che riunisse in sé la vita e leattitudini dei seguenti santi frati: lafede di Bernardo, che la ebbe perfettainsieme con l’amore della povertà; lasemplicità e la purità di Leone, che ri-fulse veramente di santissima purità,la cortesia di Angelo, che fu il primocavaliere entrato nell’Ordine e fuadorno di ogni gentilezza e bontà,l’aspetto attraente e il buon senso diMasseo, con il suo parlare bello e de-voto; la mente elevata nella contem-plazione che ebbe Egidio fino alla piùalta perfezione; la virtuosa incessanteorazione di Rufino, che pregava anchedormendo e in qualunque occupa-zione aveva incessantemente lo spi-rito unito al Signore; la pazienza diGinepro, che giunse a uno stato di pa-zienza perfetto con la rinunzia allapropria volontà e con l’ardente desi-derio d’imitare Cristo seguendo la viadella croce; la robustezza fisica e spi-rituale di Giovanni delle Lodi, che aquel tempo sorpassò per vigoria tutti

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gli uomini; la carità di Ruggero, la cuivita e comportamento erano ardentidi amore, la santa inquietudine di Lu-cido, che, sempre all’erta, quasi nonvoleva dimorare in un luogo più di unmese, ma quando vi si stava affezio-nando, subito se ne allontanava, di-cendo: Non abbiamo dimora stabilequaggiù, ma in cielo. (FF 1782)

Come avrete potuto notare voi stessi,l’autore dello “Specchio di perfezione”non esita ad elencare i nomi dei primicompagni di Francesco e le loro rela-tive buone qualità. Alcuni di questifrati sono molto noti, altri meno esolo uno, cioè Lucido, risulta del tuttosconosciuto.A questo punto possiamo rischiare di

dare un nome ad un ideale frate mi-nore? Purtroppo no. Il che però nonsignifica che non possa esistere un‘vero frate minore’. Del resto, tutti iprimi compagni di Francesco sonostati e devono essere ritenuti dei ‘verifrati minori’.

fra Riccardo Quadri

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Musiche per Maria

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ario Quello che sta oramai volgendo al termine è stato un

anno molto particolare per il nostro Santuario. Da unaparte s’è dato avvio alla seconda importante fase dei la-vori di restauro dell’intero complesso, a proposito dei qualiabbiamo riferito nel numero cinque di MESSAGGERO. La-vori che hanno comportato e continuano a comportareanche alcuni incomodi sia per i fedeli, sia per i visitatori, siaper i frati della comunità; primo tra questi disagi, la chiu-sura della chiesa dell’Assunta. D’altra parte il 2009 era par-ticolare anche a motivo dell’anniversario della PeregrinatioMariae del 1949, in merito al quale sono apparsi alcuni ar-ticoli negli ultimi due numeri di questa rivista. A causadella chiusura della chiesa principale, sia per la festa delSantuario sia per la tradizionale Novena di preparazione,abbiamo dovuto trovare delle soluzioni alternative. Il pel-legrinaggio diocesano alla Madonna del Sasso di dome-nica 6 settembre è stato coronato da un innegabilesuccesso, anche grazie alla accurata preparazione e altempo veramente splendido che hanno conferito allaPiazza Grande cittadina una veste solenne, fervorosa e gio-iosa. All’evento commemorativo della prima domenica disettembre, nel limite della situazione attuale, abbiamo vo-luto prepararci anche in Santuario, proponendo, oltre alless. Messe mattutine della Novena, anche alcuni appunta-menti di preghiera e di riflessione serali.

Nel Messaggio dal Santuario dell’ultimo numero di MES-SAGGERO fra Callisto ha pubblicato i suoi ricordi dellaMadonna Pellegrina, con i quali aveva dato avvio a unasua conferenza tenuta durante la Novena. Qui di seguitotrovate un articolo del maestro Giovanni Galfetti, che rias-sume una sua splendida riflessione sull’immagine della Ma-donna contemplata nella tradizione musicale propostacinello stesso ambito.

Confesso che quando il caro frate Agostino mi contattò,proponendomi di aprire le tre serate incastonate nella no-vena di preparazione alla festa della Madonna del Sasso, ilmio animo si sentì pervaso da un’intensa emozione: al dilà dell’onore che mi veniva fatto e della considerazione chemi veniva dimostrata mi si offriva l’occasione di parlare diMaria legandola alla musica che, nel corso dei secoli, le erastata dedicata, e questo in occasione della nuova discesadell’effige della Vergine del Sasso tra i fedeli del Ticino rac-colti in Piazza Grande. A prescindere dalla consapevolezzadi quanto ciò che io sapessi fosse ben misera cosa di fronteall’ampiezza dell’argomento, dissi subito di sì, senza pen-sarci troppo.Sin dall’inizio delle riflessioni che accompagnarono la miapreparazione alla serata mi furono, da subito, chiare duecose: non avrei tentato un discosto filologico ma mi sareiaffidato alla mia esperienza affettiva e alle mie emozioni. Insecondo luogo mi sembrò evidente quanto fosse fonda-mentale tentare di indagare su quale fosse il mio rapportopersonale con Maria, al fine di meglio comprendere il per-ché di determinate scelte musicali.Discorso difficile e profondo quello del nostro rapporto conMaria. Eppure, da quando il caro amico Claudio Cavadinimi citò, anni fa, questa massima del Rosmini tutto mi ap-parve più chiaro e spaventosamente semplice nella suagrandezza: ”è lassù, ai piedi della croce del Cristo morente,che acquistammo il diritto di chiamare Mamma Maria”.

Anni di studi musicali mi hanno insegnato ad accostarmialla musica dei Grandi con rispetto, ammirazione e devo-zione; altrettanti anni di servizio come organista liturgicomi hanno abituato a “sentire” a livello emozionale l’as-semblea dei fedeli: nulla è mai più intenso di un “Vergindolcissima”, di un “Sul colle risplende” o di un “Mira il tuopopolo”. Perché?

Una prospettiva bifocale la mia, sulla qualeho cercato di riflettere.

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Sono sempre stato affascinato dalla musica pervenutacidalla notte dei tempi. Scoprire la ricchezza arcaica del cantoMelchita vuol dire regalarsi l’emozione del profumo ance-strale dei canti dei primi cristiani riuniti attorno al bacino delMediterraneo, culla privilegiata del formidabile messaggioevangelico…e scoprire che lo stesso, nei primi secoli eratalvolta cantato in lingua araba!L’oscura opulenza delle cattedrali gotiche sembra poi es-sere il ricettacolo naturale, atto a dare risonanza alle primepolifonie realizzate, agli inizi del secondo millennio, all’or-ganum della Scuola di Notre-Dame; e che dire degli slancivitali, dell’energia rigeneratrice dell’Ars Nova di GuillaumeDe Machaud?

La solare perfezione del Magnificat di Bach sembra ulte-riormente trasfigurare la disarmante potenza della rispostadi Maria all’Angelo, risposta che assurge, nella cristallinatrama del contrappunto bachiano, allo statuto di vero e pro-prio ineluttabile teorema d’Amore.

In “Maria Durch ein Dornwald ging” ho sempre letto unmessaggio di sconsolata felicità: la gioia per la nascita ve-lata di malinconica consapevolezza del sacrificio.

E come non avvertire, nello struggente incedere dello “Sta-bat Mater” di Poulenc il gelo del dardo che sta per trafiggereripetutamente il cuore della “Mater Dolorosa” o percepirenel “Totus Tuus” di Gorecki l’abbandono nella fede delGrande Papa al suo destino di servizio?

Potrei continuare a lungo col rischio di diventare ridondante,molto più di quanto, probabilmente, non sia già stato.Meglio allora affidarsi a padre Turoldo: “La tua prima pa-rola, Maria, / ti chiediamo d’accogliere in cuore: / come siapossibile ancora / concepire pur noi il suo Verbo. / Te beataperché hai creduto, / così in te ha potuto inverarsi / la pa-rola vivente del Padre / benedetta dimora di Dio”.

Giovanni Galfetti

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Sabato: non solo riposo

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Genesi 2, 1-3

Abbiamo visto nell’ultimo numero che Dio, secondo l’au-tore biblico, completò la creazione in sei giorni; ma qualchecosa mancava. E con che cosa Dio la completò?... Il com-mento ebraico alla Bibbia dice: “Dio completò la creazionecon il sabato, giorno del riposo”.Veniamo dunque a parlare di un giorno che ci è particolar-mente caro, il sabato, giorno festivo. Noi cristiani questogiorno lo abbiamo trasportato in ricordo della resurrezionedi Cristo avvenuta il giorno dopo il sabato, e quel giorno loabbiamo chiamato “Dominicus die”, cioè domenica. Perciòtutto quello che in questo “Pensiero” noi diremo del sa-bato, dobbiamo applicarlo alla domenica, giorno che - mal-grado tutto - rimane ancora sacro.

Per gli ebrei il sacro e il profano si collocavano l’uno in fac-cia a l’altro in luoghi diametralmente opposti; se una cosaera sacra lo era perché aveva abbandonato e allontanato dase tutto ciò che era profano, se una cosa era profana avevaabbandonato e allontanato da se tutto ciò che era sacro. Enon esistevano soltanto dei tempi sacri, ma anche dei luo-ghi sacri.

Ma cosa, fondamentalmente, voleva dire sacro per un ebreo?

Era sacro tutto ciò che apparteneva alla divinità. Nei luoghisacri l’uomo poteva accedere soltanto dopo avere adem-piuto riti particolari; doveva per esempio purificarsi, assu-mere atteggiamenti rituali, soprattutto non gli eraconsentito introdurvi o farvi alcunché di profano. Nei tempisacri doveva dedicarsi in primo luogo a ciò che esigeva ladivinità: riti, sacrifici, preghiera.

Come l’uomo ha concepito e concepisce il sacro?

Il primitivo immagina la santità e la sacralità come una forzainvisibile e pericolosa che distrugge colui che imprudentemente entra in rapporto con essa; questa con-cessione primordiale è anche, nei suoi tratti più dubbi,espressione di un’esperienza di Dio, vista la divinità comeente del tutto diverso ed imprevedibile, una potenza che assale.Forse per questo anche oggi ci sono delle persone - pochein verità almeno nelle nostre latitudini - che hanno una con-cessione così terribile del sacro che con difficoltà si avvici-nano ad esso, con paura cercano di amministrarlo.Al contrario la maggior parte dei contemporanei ha quasibandito il sacro, soprattutto hanno “desacralizzato” il

giorno sacro della settimana, la nostra domenica.È ben vero che vi è un comandamento di Dio che dice: “Ri-cordati di santificare le feste”, ma fra tutti i comandamentiè certamente uno dei più trasgrediti.L’uomo occidentale è stato preso dalla frenesia del lavoro,arrivando addirittura a idolatrarlo, per cui un giorno senzalavoro sembra essere un giorno inutile, un giorno sprecato.I nostri stressati lavoratori domandano la settimana corta,ma la domandano, non per diminuire il lavoro, ma per poterlavorare di più, per dedicarsi a quei lavori che piacciono, inquanto la maggior parte delle persone fa un mestiere che gliè stato imposto dalle circostanze e non scelto dalle propriavolontà. Per la verità la settimana corta serve - e questo èun bene - per ricrearsi dentro il lavoro dei propri hobby. E inostri commercianti invece domandano la settimana lunga,si deve lavorare anche la domenica per guadagnare di più,perché il dio che regge il commercio è il dio denaro, al qualebisogna ubbidire!

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Che senso ha oggi rispettare, come fece Dio, il giorno del riposo?

A mio modesto avviso tre sono gli elementi che dovreb-bero caratterizzare il giorno sacro.Il primo è appunto il riposo: l’uomo non è uno schiavo ob-bligato a lavorare a tutti i costi per far piacere ad un pa-drone dispotico. L’uomo deve sentirsi libero anche di fronteal lavoro e deve interrompere questo lavoro per poter dedi-care il suo tempo, almeno una volta alla settimana, a ciòche gli piace e ricuperare dentro il piacere tutte quelle forzeindispensabili per poter costruire completamente se stesso.In questo senso il riposo sabbatico o domenicale è rivalu-tato anche da chi la domenica mattina dorme un po’ di più,a condizione che non passi la maggior parte del dì festivoa poltrire sotto le coltri. Inoltre questo sonno deve essereveramente riposante e non infastidito dagli incubi per ciòche ha fatto il sabato sera, o per ciò che dovrà fare la pros-sima settimana.

Il secondo elemento che dovrebbe caratterizzare il giornofestivo è quello di vivere in comunità. Il lavoro ci porta adessere e a diventare sempre più solitari; sono pochi i lavori che si fanno in comune e anche quei pochi domandano normalmente tale e tanta attenzione per cui non puoi condividere le tue preoccupazioni con il vi-cino che ti lavora accanto. Ma soprattutto vanno au-mentando i lavori che devi far da solo; l’uomo davanti alcomputer, che per tutto il giorno compie dei gesti mec-canici su una piccola tastiera e aguzza i propri occhi su untabulato luminoso, può essere preso come il simbolo dellasolitudine!Il sabato, e per noi anche la domenica, dovrebbe essereinvece il giorno della comunità, il giorno della famiglia perchi è sposato ed ha figli, il giorno da dedicare a quei rap-porti indispensabili che permettono alle persone di scam-biarsi le proprie gioie e i propri dolori, il giorno della vitasociativa e perché no, anche il giorno dello stadio, ilgiorno della squadra, il giorno della cordata in montagna,il giorno insomma che si passa con gli altri per poter svi-luppare la nostra dimensione sociale. E non va dimenticata la terza caratteristica che permetteal sabato o alla domenica di essere ancora il giorno sacro:in quel giorno i cristiani devono dedicare un po’ di tempoa Dio.Normalmente questo tempo lo si indica con la parteci-pazione alla celebrazione eucaristica, ma purtroppo questa partecipazione va piuttosto scemando. Nel nostropaese, se oltre il 90% si dice cristiano, non arrivano nemmeno al 15% coloro che partecipano alla Messa do-menicale.Le cause di questa defezione sono parecchie, e credo chemolti dei miei lettori - perché dedico soprattutto a loro, achi non va a Messa, questi “Pensieri” - sono fra coloroche hanno perso l’usanza di frequentare la chiesa.Ebbene, un vero sforzo in questa direzione potrebbe es-sere utile, magari trovando una celebrazione viva e par-tecipata che offra degli stimoli. Certamente non si va inchiesa per il celebrante o per la comunità, ma è altrettantovero che sacerdote e comunità devono essere stimolantie accoglienti.E se proprio uno non si sente, o nella sua vita passa unperiodo di crisi verso l’istituzione ecclesiastica e verso leforme liturgiche, dovrebbe ugualmente santificare ilgiorno festivo, mediante altre iniziative; una fra questepotrebbe essere la lettura di una pagina della Bibbia conun suo breve commento; una indicazione in merito la tro-vate nell’ultima pagina della copertina. Ecco perché hovoluto dedicare questo “Pensiero”, ai versetti 1-3 del ca-pitolo secondo della Genesi.

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Genesi 2, 1-16

Abbiamo già detto che due sono gli scrittori che hannocomposto questi primi capitoli della Genesi. Finora ne ab-biamo letto uno, chiamato “sacerdotale”, e il suo stupendoinno alla creazione diviso in sette giorni ci ha affascinato.Ora iniziamo a leggere il secondo scrittore, chiamato “jah-vista”, perché tutte le volte che nomina Dio lo chiama ap-punto Jahvè.Questo scrittore è più antico del “sacerdotale”, evidente-mente non lo conosce, perciò inizia il suo racconto di-cendo: “Quando Dio, il Signore,fece il cielo e la terra, sulla terranon c’era ancora nemmeno uncespuglio e nei campi non ger-mogliava l’erba. Dio il Signorenon aveva ancora mandato lapioggia e non c’era l’uomo perlavorare la terra”.

Che cosa vogliono dire questeparole? Dobbiamo entrare nellamentalità dell’orientale il qualeparla spesso per figure e non perastrazione.Non c’erano cespugli, nonc’erano campi, non germogliaval’erba, non c’era la pioggia, nonc’era l’uomo, quindi... c’era ilnulla. In altre parole lo scrittore“jahvista” dice le stesse cose del“sacerdotale”: “All’inizio nonc’era nulla, c’era solo il SignoreIddio”. Ma fa una piccola ecce-zione: “Vi era solamente vaporeche saliva dal suolo e ne inumi-diva la superficie”.Come mai questo vapore? Ilcommentatore del Talmud dice una cosa intelligente: “Sic-come Jahvè stava per creare con la terra l’uomo, aveva bi-sogno che questa terra fosse umida, come ha bisognodell’acqua il pastaio che vuole formare il pane. Ecco dunqueche la terra viene inumidita da un vapore e solo allora il Si-gnore prese dal suolo un po’ di terra e con quella plasmòl’uomo, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo di-ventò una creatura vivente”.Bellissima questa descrizione della creazione dell’uomo! Inaltre parole l’uomo è creatura formata dalla terra e del re-spiro di Dio, perciò si colloca fra il terrestre e il divino, èl’essere a metà strada che congiunge i due elementi, il ma-

teriale e lo spirituale. Ma vi rendete conto chi siamo?Poi “Dio, il Signore, piantò un giardino in Oriente nella re-gione di Eden e vi mise l’uomo che Egli aveva plasmato,fece spuntare dal suolo alberi di ogni specie, erano belli avedersi e i loro frutti squisiti. In mezzo al giardino piantòdue alberi, uno per dare la vita e l’altro per infondere la co-noscenza di tutto”.Dopo aver creato l’uomo Dio crea l’ambiente, il giardino, epone l’uomo, che è frutto del campo, della terra, nel suocampo, nel suo terreno.Avete notato che finora nella traduzione che sto leggendo

non si è mai usata la parolaAdamo, ma sempre l’uomo.La parola “uomo” è la tradu-zione di Adam, e proviene cer-tamente dal vocabolo adamàche vuol dire il terreno delcampo.Dunque l’uomo è detto Adamperché è stato preso da adamà. Efa bene la traduzione della Bib-bia in lingua corrente a nonusare il nome proprio Adamoper sostituirlo semplicementecon la parola “uomo”.Infatti la storia che stiamo perraccontare non è la storia del signore Adamo, ma è la storia diogni Adamo, quindi di ogniuomo.Dicevamo che Dio collocal’uomo nel giardino, un giardinobellissimo che richiama le anti-che oasi orientali, un giardinodove c’erano alberi belli a vedersie frutti squisiti.

La Bibbia parla poi di quattrofiumi che esistono in questo giardino: due di questi sonofiumi noti, il Tigri e l’Eufrate; gli altri probabilmente sonofiumi simbolici, ma il messaggio che da questi versetti pro-mana è il seguente: un giardino non esiste se non esiste lalinfa vitale dell’acqua.

Continua il Sacro Testo: “Poi il Signore Iddio prese l’uomoe lo mise nel giardino per coltivare la terra e custodirla”. Èsimpatico il commento del Talmud: dice chiaramente cheDio prese l’uomo con parole gentili e lo persuase ad entrarenel giardino.Perché Dio fece questo invito? Perché quasi sospinse

Adam, lavoratore gioioso

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l’uomo ad entrare in quel bellissimo giardino? Perché il giar-dino aveva bisogno dell’uomo; senza di lui quel giardinoche rappresenta il mondo è un deserto. Ma non deve re-stare deserto; acquisterà la sua vera bellezza per mezzo del-l’uomo. Adamo, cioè l’uomo, secondo l’affermazione deltesto, legato alla mentalità del proprio tempo, trasforma laterra incolta in un giardino.Ma il catechismo che noi adulti abbiamo studiato nelleprime classi elementari non dice forse che l’uomo è statocreato da Dio per “amarlo e servirlo in questa vita, e poigoderlo eternamente nell’altra?”. Sì, il vecchio catechismo,a somiglianza degli antichi miti pagani orientali, affermache l’uomo è creato solo per Dio e per la religione, la Bib-bia invece ci dice che Dio destina l’uomo al mondo, devededicarsi ad esso, è messo nel giardino del creato che è ilsuo posto irrinunciabile. Ora l’attività con cui l’uomo si de-dica al mondo è il lavoro, e il lavoro non si porrà come unadelle tante occupazioni dell’uomo, ma come l’impegnoconsegnatogli da Dio perché coltivi e custodisca la terra!E dato che l’uomo-lavoratore è quasi il continuatore del-l’opera creatrice divina, il suo lavoro diventa una forma digoverno universale attraverso il quale rende presente lastessa azione di Dio. Per questo motivo il lavoro è santifi-cato dalla sua stessa essenza, ancora prima che l’uomo loorienti volutamente verso Dio; il lavoro è già un rapportocon Dio, anzi è l’agire di Dio attraverso l’uomo. Forse sa-rebbe dunque utile correggere quella risposta del vecchiocatechismo; l’uomo è creato per Dio nel senso che devecontinuare l’opera di Dio di custodire, migliorare attraversoil suo lavoro il giardino del creato.

Vorrei insistere ancora sul valore del lavoro nei primi due ca-pitoli della Bibbia.Nel capitolo primo abbiamo visto come Dio, dopo essersiconsultato e aver deciso di fare l’uomo, gli dà subito uncompito: dominare sui pesci del mare e sugli uccelli delcielo, sul bestiame, sugli animali.E appena creato l’uomo, gli affida il più grande e meravi-glioso lavoro che può fare: essere fecondo, diventare nu-meroso, popolare la terra, per poi aggiungere: questa terradovete governarla e dominarla.Dicevamo allora che il verbo “dominare” non va inteso nelsenso del potere, ma nel senso stesso con cui Dio domina,con la legge della provvidenza e dell’amore.Soltanto dopo che aveva dato all’uomo l’ordine di procrearee di riempire la terra e di servire gli animali, le piante e tuttoil creato - sempre nel primo capitolo - lo scrittore sacerdo-tale dice: “E Dio vide che tutto quello che aveva fatto eramolto bello”.Nel secondo capitolo un altro scrittore insiste: “Prese

l’uomo e lo mise nel giardino per coltivare la terra e custo-dirla”. Sì, proprio quell’uomo che dalla terra era stato tratto,ma vivificato dallo spirito divino, per gli autori biblici è nellecondizioni migliori per coltivare la terra e custodirla.Da questa omelia biblica sul lavoro possiamo dedurre dueconsiderazioni.La prima: il rapporto esistente tra l’uomo e la terra è lostesso rapporto che deve esistere tra il figlio e la madre;più la terra è vecchia più il figlio deve aver cura di questamadre, non dimenticando però che per essere figlio ha do-vuto avere un padre e questo Padre è Iddio che, con il sof-fio del Suo Spirito, ha vivificato la terra per ricavarne la Suaimmagine e la Sua rassomiglianza: l’uomo, Adam.Ecco perché noi dobbiamo amare la terra; nessuno può di-sprezzare sua madre, nessuno può calpestarla, può di-struggerla, può cambiargli i connotati, può torturarla, puòavvelenarla, può renderla sterile, può strappargli i capellidelle foreste, ma tutti i figli - per la propria madre - devonoavere un profondo rispetto e un grande amore.E la seconda considerazione: il rapporto fra l’uomo e il la-voro. L’uomo è fatto per lavorare, ma di un lavoro gioioso,costruttivo, che gli dia la possibilità di realizzarsi a pienocome persona.Ecco perché dovremmo combattere tutti quei lavori chenon sono realizzatori dell’uomo, ma sono semplicementepro-cacciatori di denaro.Lo so che è un discorso utopico, ma credo che sia impor-tante ricordarlo, soprattutto in questo momento in cui nelrapporto uomo-lavoro si è introdotto uno spirito maligno:la disoccupazione.Quando vedo dei giovani disoccupati mi rincresce per loro,non tanto perché non guadagnano; lo Stato provvede aquesto aspetto negativo della mancanza di denaro, ma so-prattutto perché non riescono a realizzarsi in pieno, inquanto l’uomo attraverso il lavoro allena, non soltanto lesue membra, ma soprattutto la sua mente.Ed è per questo che dobbiamo fare tutto il possibile per to-gliere la piaga della disoccupazione; dobbiamo soprattuttointerrogarci se non è il caso che chi lavora troppo (e troppoguadagna) non possa cedere parte del suo lavoro (e del suoguadagno) a chi non ha da lavorare e non può guadagnare.Ma, ripeto, il problema della disoccupazione è prima ditutto un problema psicologico e antropologico, senza mi-nimizzare le conseguenze economiche.Per concludere: l’impegno di chi crede in questo discorsobiblico sull’importante rapporto che deve esistere fra l’uomo e il lavoro è quello di far sì che tutti gli uominipossano entrare nel giardino della terra e possano colti-varlo e custodirlo. Rendendo migliore la terra, miglioreremonoi stessi!

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Sorelle e Fratelli dell'OFS

Le radici del nostro carisma francescanonell’islam

Sono tanti nel mondo gli amici di San Francesco d’Assisi,anche fra i non cristiani, e perfino tra i non credenti. Il Po-verello di Assisi affascina per la sua radicalità evangelica enello stesso tempo per la sua profonda umanità. L’uomo eil cristiano si fondono in lui in maniera mirabile; ecco per-ché attira tutti. In tante questioni si può dire che è statoprofetico e tanti suoi gesti si possono capire meglio oggiche otto secoli fa. Ad esempio l’ecologia… Oggi, preoccu-pati come siamo del problema dell’inquinamento, se non ri-scopriamo la “sacralità” della terra, proprio quella cheFrancesco ha cantato nel suo Cantico delle Creature, siamoperduti. Sorella acqua, utile umile, preziosa e casta sta di-ventando un problema planetario. E che dire del dialogo in-terreligioso? La realtà coabitativa di oggi ci pone di fronteall’islam. Tutti ricordiamo come lui, il Poverello, nel mezzodelle crociate decide di incontrare il sultano d’Egitto. È unafollia e tutti cercano di dissuaderlo. Per Francesco c’è sol-tanto la morte ad attenderlo. Con gli infedeli non si puòdiscutere. Ma Francesco con la sua fede opera un cambia-mento totale di situazione: il cristiano e il mussulmano siincontrano in amicizia. Corano e Vangelo non coincidono,ma il rispetto è possibile. La via del dialogo (dall’etimolo-gia della parola: lasciarsi attraversare dalle parole dell’altro)con il mondo mussulmano ce l’ha aperta soprattutto sanFrancesco. Ed è una via che chiede più che mai di esserepercorsa, doverosa e necessaria. San Francesco non ha fattopolitica, ma ha indicato alla politica il giusto atteggiamentodi fondo. Non ha stipulato leggi o compromessi diploma-tici. Seguaci e amici di Francesco vogliamo, in questi tempi,testimoniare a tutti la via del dialogo, senza sotterfugi. Sitratta di dare ragione della nostra presenza francescana tra“i saraceni” andando alle radici del nostro carisma. È il dia-logo della vita fatta di piccole cose, fatta di gesti concreti edi amicizia cercata a volte con ostinazione.

Storia

Damietta è una città egiziana all’altezza di Alessandria masul versante opposto del delta del Nilo. È una capitale sco-nosciuta del dialogo fra cristiani e mussulmani. Qui c’è il ri-cordo dell’incontro di san Francesco con il sultano d’Egitto.Dal 1218 al 1221 la città fortificata fu cinta d’assedio e poioccupata dai Franchi. L’intento iniziale era di scambiarequella porta d’accesso all’Egitto con Gerusalemme, ma ilcardinale Pelagio, legato pontificio, accarezzò l’idea di di-struggere l’Islam prendendo il Cairo. L’armata cristiana furapidamente arrestata, si impantanò nella pianura dai molti

canali e dovette capitolare per evitare l’annegamento. Nelcorso di questa crociata, la quinta, nel 1219 Francesco d’As-sisi e un compagno approfittarono di una tregua per oltre-passare le linee e trovarsi al cospetto del sultano Melek elKamel. Con sorpresa dei cristiani e forse anche dei mus-sulmani l’incontro ebbe tanto successo che il re dei sara-ceni, si dice, avrebbe voluto tenere il monaco presso di sé.Per la Chiesa del tempo quest’episodio della vita del santorappresentava uno scacco giacché il grande Francesco nonaveva convertito il sultano e neppure ottenuto la gloria delmartirio. Non era tuttavia un vero scacco per lui che tornatoad Assisi portò a termine la redazione della sua Regola,spingendo i discepoli ad andare a vivere tra i mussulmaninell’umile testimonianza della vita cristiana.

Fonti Francescane

Dalla Leggenda maggiore di San Bonaventura da Bagnoregio(1173) Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, chesi chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e virtuoso.Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle, ilSanto si rallegrò e disse al compagno: “Abbi fiducia nel Si-gnore, fratello, perché si sta realizzando in noi quella paroladel Vangelo: “Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ailupi”… Li portarono dal Sultano, come l’uomo di Dio vo-leva. Quel principe incominciò a indagare da chi, e a qualescopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modoerano giunti fin là. Francesco, il servo di Dio, con cuore in-trepido rispose che egli era stato inviato non da uomini,ma da Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo lavia della salvezza e annunciare il Vangelo della verità…

Dalla Leggenda maggiore di San Bonaventura da Bagnoregio(1356) Tre volte, per tale cagione, egli intraprese il camminoverso i paesi degli infedeli; ma le prime due volte ne fu im-pedito da disposizione divina. Finalmente la terza volta,dopo aver provato molti oltraggi, catene, percosse e faticheinnumerevoli, con la guida di Dio venne condotto al cospettodel Soldano di Babilonia: là predicò il Vangelo di Cristo, conuna manifestazione così efficace di spirito e di potenza chelo stesso Soldano ne fu ammirato e, diventato mansueto perdivina disposizione, lo ascoltò con benevolenza….

I Fioretti(1855) Santo Francesco, istigato dallo zelo della fede di Cri-sto e dal desiderio del martirio, andò una volta oltremarecon dodici suoi compagni santissimi, ritti per andare al Sol-dano di Babilonia. E giugnendo in alcuna contrada di Sara-

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“Buon Natale, buon Natale…Gridò forte il mio cuore.E in quell’istante cambiò l’atmosfera:

centomila luci si accesero in un unico bagliore, alritmo frenetico di milioni di passi agitati, i pensieri siaffollavano nelle menti di ognuno con rapidità e chia-rezza, e la gente si scambiava pacchetti e sorrisi eognuno gridava qualcosa di bello ad un altro e i cuoribattevan veloci.

… E c’era qualcuno che si ricordava di un bambino, natoin una capanna alla luce di una stella.”

Alice Sturiale (1983 - 1996)

Carissimi,

un anno è già volato via e il calendario ci ripropone la ce-lebrazione del santo Natale. In apertura del mio messag-gio natalizio, ho voluto scegliere un testo scritto da unabambina toscana vissuta solo 13 anni, contenuto nel suodiario. Un breve passaggio su questa terra, quello di Alice,proprio come la cometa che descrive nella sua poesia diNatale. Ma si sa, quando nel cielo gli astri passano velociverso l’infinito, producono più luce che non le stelle im-mobili della notte.Alice mette in parallelo la frenesia del Natale, con la sua

preparazione “pratica” delle festività, alla quasi segretezzadel vero messaggio del Natale: la nascita di Gesù. È la luceche dà testimonianza a questo prodigioso evento in terra;la luce di una stella che rischiara non solo il cielo nellanotte dei pastori, notte di veglia, di fatica e di attesa delnuovo giorno, ma in tutte le notti dell’umanità. Appareuna cometa… e la storia dell’umanità cambierà per sempre.Il Natale è un tempo prezioso per la mente e il cuore diciascuno; qualcuno la definisce una festa triste, in parti-colare per chi non ha più nessuno a cui fare regali o scri-vere due parole di augurio. Natale è la festa dell’amicizia traDio e noi!Siamo ancora capaci di lasciarci stupire dal Natale, comequando nelle nostre case nasce un figlio o un nipote? Cisiamo abituati alla presenza di Dio nella nostra vita oppureil suo amore per noi ci rinnova continuamente il cuore?La luce di questo Natale vi porti gioia nella vostra quoti-dianità, e quella serenità necessaria all’andare avanti mal-grado tutto. La vita è strana ma è pur sempre una gran bellaavventura.

A tutti voi, con il cuore pieno di riconoscenza per l’affettoche sempre mi dimostrate, auguro di cuore un felice Natalee tanta pace nell’anno 2010 che percorreremo insieme.

fra Michele Ravetta

cini, ove si guardavano i passi da certi sì crudeli uomini, chenessuno dè cristiani, che vi passasse, potea iscampare chenon fusse morto: e come piacque a Dio non furono morti,ma presi, battuti e legati furono e menati dinanzi al Soldano.

Cronache e altre testimonianze non francescane

Giacomo da Vitry, lettera del 1220 sulla presa di Damiata(2212) Il maestro di questi frati cioè il fondatore di questoOrdine si chiama frate Francesco: un uomo talmente ama-bile che è da tutti venerato, venuto presso il nostro esercito,acceso dallo zelo della fede, non ebbe timore di portarsi inmezzo all’esercito dei nostri nemici e per molti giorni pre-dicò ai Saraceni la parola di Dio, ma senza molto frutto.Ma il Sultano, re dell’Egitto, lo pregò, in segreto, di suppli-care per lui il Signore perché potesse, dietro divina ispira-zione, aderire a quella religione che più piacesse a Dio.(2227) ...venuto nell’esercito cristiano, accampato davantia Damiata, in terra d’Egitto, volle recarsi, intrepido e munito

solo dello scudo della fede, nell’accampamento del Sultanod’Egitto. Ai Saraceni che l’avevano fatto prigioniero lungoil tragitto, egli ripeteva: «Sono cristiano, conducetemi da-vanti al vostro signore». Quando gli fu portato davanti, os-servando l’aspetto di quell’uomo di Dio, la bestia crudele sisentì mutata in uomo mansueto, e per parecchi giornil’ascoltò con molta attenzione, mentre predicava Cristo da-vanti a lui e ai suoi. Poi, preso dal timore che qualcuno deisuoi si lasciasse convertire al Signore dall’efficacia delle sueparole, e passasse all’esercito cristiano, lo fece ricondurre,con onore e protezione nel nostro campo; e mentre lo con-gedava, gli raccomandò: «Prega per me, perché Dio si degnimostrarmi quale legge e fede gli è più gradita».

il Consiglio regionale

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Avanti tutta!

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Meditare: una tranquilla passione

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r te Nel suo splendido libro La tranquilla passione1, Cor-

rado Pensa definisce la meditazione un lavoro inte-riore, il cui scopo è quello di farci progredire nella

conoscenza e nella realizzazione della verità e del bene.Questo lavoro interiore – specifica poi – consiste in «unapratica giornaliera di raccoglimento, con un accento specialesulla meditazione di presenza mentale, associata con la col-tivazione dell’attenzione cosciente nella vita quotidiana».Col tempo, se vissuto correttamente, questo lavoro è desti-nato a diventare una passione, cioè qualcosa che, da unaparte, ci affascina e ci coinvolge, e dall’altra parte è perse-guito con interesse, gusto e perseveranza, dal momento chepiù ci si dedica a esso, più se ne raccolgono i frutti, e più cisi persuade della sua incontestabile preziosità. L’impressioneche accompagna coloro che intraprendono questo camminoè paragonabile a quella di chi, dopo un lungo sonno si ride-sta alla luce del giorno o, dopo una prolungata malattia, sirisveglia alla vita e riprende il gusto di vivere. «Sul finire diuna malattia – scrive Corrado Pensa – viene un momentoin cui avvertiamo con chiarezza che ci stiamo di nuovo sve-gliando alla vita. Finora eravamo come spenti e passivi,senza energia. Adesso invece, finalmente, qualcosa rivive innoi: siamo contenti e prendiamo ad assaporare di nuovosemplici cose, come mangiare, camminare, fare qualche pro-getto interessante per il futuro. In sostanza, ci sta ritornandoil gusto di vivere, la passione per la vita. E ci accorgiamo cheè un sentimento forte e preciso, che salutiamo con sollievoquando ricompare all’orizzonte e che ci causa invece ap-prensione se tarda a raggiungerci. Allo stesso modo il lavorointeriore dovrà suscitare in noi, prima o poi, una risposta si-mile, tra meraviglia, attenzione e sollecitudine».Questa risposta appassionata che, da una parte, ci fa sen-tire vivi, è anche risposta che, sul piano del lavoro interiore,rende il nostro lavoro più “lavoro” e più “interiore”.Ma è, quasi paradossalmente, una passione tranquilla. Per-ché l’esercizio della meditazione ci familiarizza con un’at-titudine che è l’esatto contrario di quell’agire compulsivodi chi, come un piccolo bambino, vuole sempre tutto e su-bito. La meditazione, in realtà, ha molto a che fare col no-stro divenire adulti, cioè capaci di gestire le cose della vitacon serenità interiore ed equilibrio, con vera pace del cuore,anche quando i cambiamenti desiderati e giustamente per-seguiti stentano a fare la loro comparsa sull’orizzonte dellanostra vita. Anche questo è il risultato di un tirocinio cherichiede un investimento tutt’altro che scontato di energiae di tempo. In effetti, è facile che, all’inizio, «il nostro lavorointeriore sia soltanto una fascinazione». Altre volte può suc-cedere che ci vediamo coinvolti in questo lavoro interioresotto la potente spinta di condizionamenti inconsci, maanche di circostanze esterne che ci trascinano, senza che

vi sia ancora, da parte nostra, un’intima e motivata con-vinzione. Tutto questo lo si può facilmente capire, ma vasuperato. Non al fine di sfociare in un’abitudine ma, piut-tosto, «acciocché il lavoro interiore possa maturare in qual-cosa di più vitale», che possiamo chiamare, appunto, unatranquilla passione: cioè una ricerca e un desiderio via viapiù forti di verità e di bene». È, comunque, passione tranquilla «perché, paradossal-mente, è una passione che accresce il non attaccamento.E più non attaccamento significa più spazio interiore».Uno dei requisiti indispensabili perché questa nobile pas-sione possa sfociare in un atteggiamento stabile e profon-damente condiviso è, quindi, la perseveranza. Da unaparte, essa è condizione indispensabile alla pratica, ma èanche il frutto della pratica, perché è in virtù della praticache la nostra visione si fa sempre più trasparente e chiara,rafforzando la motivazione. Ma la perseveranza è anche ilfrutto della tranquillità, perché la tranquillità è un grandeantidoto allo scoraggiamento. Essa ha il potere di alimen-tare e mantenere viva la perseveranza in mezzo a tutta unaconsistente serie di resistenze e difficoltà che uno incontralungo il percorso.Perseveranza, tranquillità e passione sono, quindi, virtù car-dini del lavoro interiore. «Se voglio diventare un buon arti-giano dovrò sviluppare il gusto, la passione di lavorare conle mani. E se desidero apprendere in modo non superficiale,ho necessità di una passione per lo studio e l’investigazione.Parimenti, se intendo crescere e cambiare, ho bisogno diuna passione per il lavoro interiore». È una passione nonmomentanea, ma che ci accompagna nel tempo, destinatae crescere a mano a mano che si procede nel cammino.Forse è il senso che Gesù attribuiva alle parole, riferite dalvangelo di Matteo: «Il regno dei cieli soffre violenza e sol-tanto i violenti se ne impadroniscono».2 I violenti sono, inquesto caso, quelli che, avendo intravvista la bontà di unaproposta, l’accolgono e la perseguono con perseveranza. Da tutto ciò che fin qui si è detto, può nascere l’impres-sione che la passione per il lavoro interiore non differisca,alla fine, dalle molte altre passioni costruttive che animanola nostra vita. E tuttavia – osserva Corrado Pensa – la pas-sione per il lavoro interiore ha una sua caratteristica pro-pria, che la distingue da tutte le altre passioni. Questacaratteristica consiste nel fatto che essa alimenta il non at-taccamento. In realtà, qualsiasi altra passione, per quantocostruttiva, tende per sua natura ad accendere l’attacca-mento. Ad esempio, se io ho una forte passione per la mu-sica, tenderò, fosse anche solo inconsciamente, a dividereil mondo in due metà: la metà buona della musica e la metàcattiva della non musica, e a contrapporre l’una all’altra.Questo, infatti, è l’effetto di ogni preferenza. «La preferenza

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per la musica sarà per me fonte di grande godimento e, altempo stesso, motivo di frustrazione tutte le volte che nonavrò abbastanza musica o che mi imbatterò in cattiva mu-sica». Naturalmente, questo effetto separativo, che creaconflitto, potrà essere facilmente superato se la mia pas-sione per la musica non costituisce un assoluto, ma si in-serisce in un contesto più ampio, che è il mio interesse e lamia passione per la vita. In questo caso, la buona musicasarà certamente alimento che nutre e accresce la mia pas-sione per la vita; ma non sarà vero il contrario, che cioèl’assenza di musica o anche la stessa cattiva musica eclis-sino in me ogni altro interesse e, soprattutto, qualsiasi in-teresse e passione per la vita. Ma ciò che qui mag-giormente mi sta acuore e, quindi, me-rita di essere sottoli-neato, è il fatto che,contrariamente adaltre passioni, la pas-sione per il lavoro in-teriore ha, per suanatura, un potere uni-ficante invece che se-parante. E la ragioneè semplice. Essa èconnessa al fatto chel’oggetto del lavorointeriore non è questoo quello. È bensì«tutto ciò che sorgenella nostra co-scienza un momentodopo l’altro». In altreparole, è tutto ciò che la vita ci propone, ci fa incontrare eassaporare, non importa se piccolo o grande, piacevole ospiacevole, proveniente dal di dentro o incontrato al di fuoridi noi. In un bellissimo dialogo che si svolge tra san Francesco efrate Tancredi, giunto su La Verna per sfogare il suo pro-fondo rammarico a causa dell’allontanamento dei frati dal-l’originaria semplicità della vita secondo il vangelo e perconvincere Francesco a intervenire di autorità e con vigore,il santo che, per questo stesso motivo, era a sua volta pas-sato attraverso una lunga e tormentata crisi interiore, ri-sponde, con chiarezza cristallina: «Il Signore ha avuto pietàdi me e mi ha rivelato che la più alta attività dell’uomo e lasua maturità consistono, anziché nella ricerca di un ideale,per quanto nobile e santo, nell’accettare con gioia la re-altà, tutta la realtà»; ossia ogni cosa, così come si propone

a noi qui e ora. «L’uomo che vagheggia il suo ideale – pre-cisa Francesco – rimane chiuso in se stesso. Egli non co-munica veramente con gli altri, né prende coscienzadell’universo. Gli mancano il silenzio, la profondità e lapace. La profondità dell’uomo non è altro che la sua di-sposizione ad accogliere il mondo». Se non si perviene aquesto traguardo, si è simili a insetti che non riescono aspogliarsi del loro guscio. Tali uomini «si agitano, disperati,nel cerchio dei loro limiti». Anche quando, in virtù del loroimpegno, credono di aver cambiato qualcosa, essi «nons’avvedono di morire senza aver visto la luce del giorno». Inrealtà, tali uomini «non sono mai del tutto svegli alla realtà.Hanno vissuto in sogno».3

Mi sono introdottocitando Corrado Pen-sa. Ora voglio con-cludere con lui. Dopoquanto si è detto –afferma – possiamoparagonare la pas-sione per il lavoro in-teriore, ossia il lavoroper l’opera della con-sapevolezza, a «ungrande fuoco nelquale si mette ognicosa e nel quale ognicosa, nella misura in cui riusciamo a essere consapevoli,contribuisce alla suafiamma. E ciò èmolto diverso daquanto accade in

un’esistenza non ravvivata dalla passione per il lavoro in-teriore, dove qualsiasi pensiero, intenzione, sensazione,sentimento o emozione può diventare una forza indipen-dente che ci controlla o uno scopo continuamente can-giante che ci assorbe. Al contrario, in una vita orientatasecondo la consapevolezza, lo scopo primario di ogni cosache nasce nella nostra mente è sempre il medesimo, e cioèdiventare oggetto di attenzione, diventare combustibile peril grande fuoco. E perciò in questo senso ogni cosa ci aiuta,tutto è grazia».

fra Andrea Schnöller

1 Pensa C., La tranquilla passione, Ubaldini, Roma 1994.2 Mt 11,123 Leclerc E., La sapienza di un povero, Edizioni BibliotecaFrancescana, Piazza Sant’Agelo 2, Milano 2007, p. 144.

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Giustizia e pace festeggia i 40 anni

La Commissione “GIUSTIZIA E PACE”, istituita nel 1979,è una commissione della Conferenza dei vescovi svizzeri(CES) e rappresenta la voce etica della Chiesa svizzera perle questioni sociali, ecologiche ed economiche. Paolo VI,nella “Populorum progressio” (1967) aveva annunciato lacreazione di una commissione pontificia: “Giustizia e paceè il suo nome e il suo programma”. L’esempio era poi se-guito dalle principali Conferenze episcopali, e anche da dio-cesi e organismi religiosi: in Europa esistono attualmente31 commissioni nazionali che costituiscono la Conferenzadelle Commissioni europee Giustizia e Pace (CEJPE) che re-golarmente si riuniscono per coordinare il lavoro dei catto-lici a favore dello sviluppo e per esaminare temi chedomandano un comune impegno. I rappresentanti dellaCEJPE, attualmente presieduta da mons. Gérard Defois, ve-scovo emerito di Lille (Francia) hanno tenuto dal 18 al 22settembre scorsi a Siviglia (Spagna) l’assemblea generaleannuale e un seminario sul tema “Quali frontiere per la so-lidarietà in Europa?”. La Commissione svizzera è composta di 21 membri (tracui i ticinesi Ruben Rossello e Martino Dotta), provenientidalle diverse diocesi e istituzioni cattoliche impegnati nelsociale e, sulla base della visione cristiana, elabora analisi,prese di posizioni, pubblicazioni sia per incarico della CES,sia per contribuire alla formazione dei cattolici impegnatinella vita politica e sociale. Attualmente è presieduta daNadia Bühlmann, mentre mons. Peter Henrici e don FélixGmür rappresentano la CES, e si avvale di un segretario ge-nerale e di tre collaboratori scientifici. Ha festeggiato aBerna i 40 anni di attività il 26 settembre, presentemons.Koch, vescovo di Basilea e presidente della CES, e dimons. Defois che ha svolto una relazione sul tema: “La so-lidarietà in tempo di crisi”.Tra i temi trattati dalla Commissione svizzera in questi ul-timi anni, talvolta in collaborazione con l’Istituto di eticadelle Chiese protestanti o altri organismi cristiani, ricor-diamo quelli dell’asilo e degli stranieri, del rispetto della do-menica, della famiglia e della bioetica, della coesione socialee della pace, dell’energia e dell’ambiente. La preoccupa-zione per la salvaguardia della creazione e per tutte le per-sone che già risentono delle conseguenze dei cambiamenticlimatici, ha indotto i Vescovi svizzeri a chiedere alla Com-missione nazionale Giustizia e Pace di occuparsi del feno-meno in modo approfondito, ciò che è stato fatto con lapubblicazione del fascicolo “Cambiamenti climatici. Dalleparole ai fatti. Suggestioni in una prospettiva di etica so-ciale”. Il fascicolo, edito in collaborazione con associazione“Chiesa e ambiente” (oeku) presenta in forma accessibile

quali sono le conseguenze dei cambiamenti climatici.L’opuscolo, disponibile nelle lingue nazionali, va richiestoal segretariato J+P, Effingerstrasse 11, casella postale 6872,3001 Berna ([email protected] - www.juspax.ch)

Riforma grigionese dell’IRS

Nella scuola obbligato ria grigionese in futuro gli allievi do-vranno seguire obbligatoriamente un’ora settimanale di“scienza delle religioni ed etica” e un’ora di insegna mentoreligioso: da quest’ ultima è possibile otte nere la dispensa.Un’ini ziativa dei Giovani socialisti chie deva di sostituire ledue ore di religio ne (dal primo al nono anno di scuola) condue ore di etica: agli allievi sarebbero stati trasmessi valoricristiani e sociali, conoscenze relative alle diverse religionie pensie ro critico. I cittadini invece hanno preferito in vo-tazione popolare il cosiddet to modello “1+1”, progetto ela-borato dal Gran Consiglio, accolto con 24’772 SÌ con tro14’014 NO, mentre hanno respinto net tamente, con26’130 NO contro 11’631 SÌ, la proposta socialista. La par-tecipazione alle ur ne è stata del 31,7%. L’ora di religionesarà impartita, come in passato, da rappresentanti delleChiese, mentre l’altra ora sarà insegnata da docenti statali.Il nuovo modello realizza una proposta formula ta da unacommissione composta della Chiesa evangelica riformata,della Chiesa cattolica e dell’Ordina riato vescovile. Sarà dap-prima introdotto nel ciclo superiore e, in base alle espe-rienze fatte, eventualmente anche nelle elementari.L’obbiettivo è che siano sensibilizzati ai valori fondamentalianche i giovani dispensati dall’insegnamento religioso. Purequest’anno è stato pubblicato, da parte delle edizioni EN-BIRO (casella postale 6018, 1002 Losanna,www.enbiro.ch) un calendario interreligioso 2009/2010,dal titolo “En quête d’absolu: moines, moniales, ascètes ermystiques” (In cerca dell’assoluto: monaci, monache,asceti e mistici) . Il calendario presenta una serie di foto-grafie relative a diverse confessioni e un testo per appro-fondire tradizioni poco conosciute; sono inoltre indicate ledate delle feste delle principali religioni.

Le diocesi svizzere

Il territorio della Svizzera è diviso in sei diocesi, cui si ag-giungono le due abazie di Einsiedeln e di Saint-Maurice;undici sono invece i vescovi in esercizio, perché oltre ai ti-tolari sono attivi tre vescovi ausiliari (due a Basilea, uno aGinevra) e nove i vescovi “emeriti” (tra cui il cardinaleSchwery, già a Sion, mons. Togni e mons. Vollmar che halasciato il vicariato di Zurigo lo scorso ottobre). Solo la dio-cesi di Lugano comprende il territorio di un unico Cantone;

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Appunti di vita ecclesiale

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la diocesi di Sion comprende il Vallese e una piccola por-zione di Vaud; alla diocesi di San Gallo appartengonoanche i due Appenzelli; i Cantoni di Friburgo, Ginevra, Neu-châtel e gran parte di Vaud hanno il loro vescovo dioce-sano a Friburgo, mentre a Ginevra risiede l’ausiliare; ilvescovo di Coira amministra una vasta diocesi che com-prende oltre ai Grigioni, Glarona, Nidvaldo ed Obvaldo,Svitto, Uri e Zurigo; la più vasta diocesi svizzera è quella diBasilea (il vescovo risiede però a Soletta) e comprende dieciCantoni della parte settentrionale della Svizzera, cioè daZugo e Lucerna, passando per Berna e Soletta, e poi ilGiura, i due Basilea, Argovia, Turgovia e Sciaffusa. Questaripartizione geografica, frutto della storia (prima la Riformaprotestante, poi la fondazione della Svizzera moderna nel-l’Ottocento, con l’abolizione dei diritti di vescovi stranierisul territorio elvetico), da tempo è criticata e oggi sarebbefinalmente possibile una più equilibrata ripartizione, te-nendo conto, più che dei territori, della ripartizione dellapopolazione; infatti è stato abolito (ma solo nel 2001!) l’ar-ticolo costituzionale che sottoponeva la creazione di nuovediocesi alla approvazione della Confederazione. Ma unostacolo impedisce oggi di affrontare una nuova riparti-zione diocesana che molti ritengono necessaria: in diversediocesi (Basilea, Coira, San Gallo) esistono forme di parte-cipazione “dal basso” nella scelta del vescovo, quindi diritti(di Cantoni, capitoli, altri organismi locali) che dovrebberoessere tenuti presenti discutendo con la Santa Sede, per ag-giornarli e uniformarli in tutte le diocesi svizzere.

Richieste dei cristiani al governo

Il surriscaldamento climatico colpisce soprattutto chi vi hacontribuito di meno, cioè i poveri nel Sud del mondo. Lasiccità, uragani e inondazioni si fanno frequenti rendendoancor più difficile l’accesso al cibo e minacciando così lebasi per la sopravvivenza. Per questo Sacrificio Quaresimalee Pane per tutti, in collaborazione con Essere solidali (cioèle organizzazioni dei cristiani svizzeri che collaborano perl’aiuto allo sviluppo) hanno presentato lo scorso mese disettembre al Consiglio federale una petizione, sostenuta daoltre 10.000 firme, chiedendo che il Governo elvetico siadoperi, assieme ad altri Paesi industrializzati, a favore diuna politica climatica drastica, efficace ma anche differen-ziata ed equa. Essa dovrebbe basarsi su questi su tre impe-gni: la Svizzera deve ridurre le proprie emissioni di CO2 del40% se possibile entro il 2020; dovranno essere acquistatisolo certificati d’emissione che siano sostenibili dal puntodi vista ecologico, economico e sociale; i mezzi finanziarinecessari sono da reperire separatamente da quelli richiestidall’ONU per l’aiuto allo sviluppo. Purtroppo il Consiglio fe-

derale non intende esaudire la richiesta delle stesse orga-nizzazioni umanitarie cristiane di aumentare il contributodella Svizzera all’aiuto allo sviluppo (attualmente solo dello0,42% del PIL, invece del minimo dello 0,7%), richiesta so-stenuta da oltre 100.000 firme e parzialmente accolta dalleCamere federali che hanno proposto di aumentare l’aiutoallo 0,5%.

Generosità Svizzera

Secondo i dati diffusi dalla Fondazione Zewo (il serviziosvizzero di certificazione delle donazioni), nel 2008 i pri-vati svizzeri hanno donato alle organizzazioni di utilità pub-blica in totale 830 milioni di franchi, e ciò malgrado l’iniziodella crisi economica, cui vanno aggiunti 607 milioni provenienti da fon-dazioni, Chiese,aziende e legati,per un totale com-plessivo quindi di1’437 miliardi, conun aumento del6,7% rispetto al2007. Anche Sacri-ficio Quaresimale(l’organizzazionecaritativa dei cat-tolici svizzeri) haregistrato un au-mento, raccoglien-do nel 2008 un to-tale di 23 milionidi franchi da pri-vati e parrocchie,con un aumentodi 35’000 franchi.Tuttavia le previ-sioni per il 2009sono al ribasso(circa un milionein meno!), essen-do in generale di-minuito non ilnumero degli offerenti, ma minori gli importi versati. Da ri-cordare che, secondo la FAO (organizzazione delle NazioniUnite per l’alimentazione), il numero delle vittime dellafame nel mondo è aumentato ed ha raggiunto la cifra dioltre un miliardo di persone: un appello alla generosità èquindi più che necessario.

Alberto Lepori

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L'autunno caldodell’ecumenismo 

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o Lo scorso mese di ottobre è stato caratterizzato da ungran numero di assemblee, riunioni, incontri edeventi che hanno interessato da vicino l’ecumeni-

smo. Siccome non molti di essi hanno fatto le prime pa-gine dei giornali, essendo riservati agli specialisti, vale lapena di ripercorrerli cronologicamente.

Dal 7 al 13 ottobre si è tenuta a Kolympari, sull’isola diCreta, la sessione plenaria della Commissione “Fede e Co-stituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese. Si trattadel più ampio forum di dialogo teologico tra Chiese cri-stiane, poiché anche la Chiesa cattolica, pur non appar-tenendo al CEC, è membro a pieno titolo di “Fede eCostituzione”. I 150 teologi convenuti dal mondo interohanno discusso tre temi principali: la natura e la missionedella Chiesa, le fonti di autorità all’interno delle Chiese ei processi di discernimento morale nelle Chiese. Que-st’ultimo ha costituito una nuova area di studio, affron-tata attraverso la presentazione di quattro casi concretiriguardanti questioni controverse, non per giudicare maper capire sulla base di quali percorsi e riferendosi a qualiautorità Chiese diverse e, all’interno della stessa Chiesa,cristiani della stessa confessione arrivino a decisioni op-poste. La sessione è stata aperta da una magistrale allo-cuzione del patriarca ecumenico di CostantinopoliBartolomeo I, il quale ha affermato che “l’unità dellaChiesa alla quale noi aspiriamo è un dono che viene dal-l’alto e che dobbiamo cercare con costanza e pazienza”.Per Bartolomeo, bisogna quindi mettere al bando gli at-teggiamenti di impazienza per la lunghezza del viaggioecumenico, di frustrazione per i risultati mancati e di or-goglio e arroganza per imporre le proprie idee.

Il cammino verso l’unità dei cristiani richiede un profondocambiamento di mentalità e soprattutto una maggiore lea-dership dei giovani. È quanto è emerso dalla sessione ple-naria del Gruppo Misto di Lavoro tra la Chiesa cattolica eil Consiglio ecumenico delle Chiese, riunitosi a Cordoba,in Spagna, dal 12 al 19 ottobre. I temi in discussionehanno riguardato la ricezione ecumenica e le radici spiri-tuali dell’ecumenismo, data la necessità di raccogliere ifrutti di molti anni di incontri e di dialoghi ecumenici. “Leradici spirituali dell’ecumenismo – si legge nel comuni-cato diffuso al termine dei lavori – sono alla base stessadella ricerca dell’unità dei cristiani e comportano conver-sione, rinnovamento, santità di vita secondo il Vangelo,preghiera individuale e comune”. Il Gruppo Misto di La-voro è stato creato nel 1965 ed è composto da 36 per-sone, 18 nominate dalla Chiesa cattolica e 18 scelte davarie Chiese membro del Consiglio ecumenico.

Dialogo con i protestanti

Il 15 ottobre il cardinal Walter Kasper, presidente del Pon-tificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani,ha presentato a Roma il suo libro, uscito per il momento inlingua inglese, intitolato “Harvesting the fruits. BasicAspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue” (“Rac-colta dei frutti. Aspetti fondamentali della fede cristiana neldialogo ecumenico”). Si tratta di una pubblicazione di si-curo interesse, costata due anni di preparazione, che evi-denzia per la prima volta i risultati concreti raggiunti in 40anni di dialogo bilaterale tra la Chiesa cattolica e quattroChiese storiche protestanti, ossia quella luterana, quella ri-formata, quella anglicana e quella metodista. Nel corsodella sua presentazione, Kasper ha detto che “nessuno puòaffermare che stiamo attraversando un inverno ecumenico.Al contrario, siamo in alta stagione”. Il cardinale ha tutta-via riconosciuto che è passato il facile entusiasmo cheaveva caratterizzato gli anni dopo il Concilio e che oggi siè diffusa una certa stanchezza, forse anche una certa de-lusione. “Nè vanno sottovalutati - ha aggiunto Kasper congrande onestà – i cambiamenti all’interno della Chiesa cat-tolica. Talvolta i nostri documenti sono difficili da digerireper i partner ecumenici”.

Spostiamoci ora a Cipro, più precisamente a Paphos, dovedal 16 al 23 ottobre ha avuto luogo l’undicesima riunioneplenaria della Commissione Congiunta Internazionale peril dialogo telogico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa orto-dossa. Il tema trattato ha costituito la continuazione diquello discusso a Ravenna nel 2007 ed un suo approfondi-mento: il ruolo del vescovo di Roma nella comunione dellaChiesa nel primo millennio, cioè prima dello scisma del1054. L’esame del testo continuerà nel 2010 a Vienna. Sic-come il papato rimane il più grande ostacolo sulla via dellariunificazione tra cattolici e ortodossi, Kasper ha ricono-sciuto che a Cipro sono stati fatti solo piccoli passi avantinella giusta direzione e che permangono divergenze sulleprerogative che comportava il primato del vescovo di Roma(che era il “protos” tra tutti i patriarchi, fatto riconosciutoanche dagli ortodossi) nel primo millennio. Da notare chea Cipro erano presenti anche i delegati della più importantedelle Chiese ortodosse, quella russa, che a Ravenna sen’erano andati sbattendo la porta per un contenzioso conil patriarcato di Costantinopoli relativo alla Chiesa estone.

Porte aperte agli anglicani

Il 20 ottobre si è tenuta, congiuntamente a Roma e a Lon-dra (presente anche l’arcivescovo di Canterbury, Rowan

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Williams), una conferenza stampa per annunciare la pub-blicazione di una costituzione apostolica voluta da Bene-detto XVI per rispondere alle numerose richieste sottopostealla Santa Sede da gruppi di chierici e fedeli anglicani, pro-venienti da diverse parti del mondo, i quali desiderano en-trare nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Sitratta principalmente di anglicani contrari alle aperture agay e lesbiche del ministero sacerdotale ed episcopale(principalmente negli Stati Uniti) ed al sacerdozio femmi-nile (con prospettive ormai lanciate anche verso l’episco-pato) in Inghilterra. Sostanzialmente, il Papa prevede lacreazione di ordinariati personali (simili a quelli militari),che conserveranno lo specifico patrimonio spirituale e li-turgico anglicano purchè conforme con la Chiesa cattolicae alla cui guida ci sarà un ordinario usualmente nominatodal clero già anglicano. Da notare che potranno essere or-dinati al sacerdozio cattolico ex-preti ed ex-vescovi angli-cani anche sposati, ma questi ultimi non potrannoaccedere all’episcopato cattolico.Questa apertura del Papa agli anglicani più tradizionalisti(trattata non dal Pontificio Consiglio per l’unità dei cri-stiani ma dalla Congregazione per la Dottrina della fede) hasuscitato reazioni di segno opposto. Grande entusiasmo èstato manifestato dal quotidiano cattolico italiano “Avve-nire”, che ha rilevato come Benedetto XVI, in assoluta coe-renza con quanto dichiarato nella sua prima omelia daPontefice, abbia impresso al cammino per l’unità “un’ac-celerazione davvero impressionante”. Negativo, invece, ilparere di esponenti protestanti e soprattutto di Hans Küng,che ha rilevato come il Papa concepisca l’ecumenismocome il vecchio invito al “ritorno a Roma”, una visione chenon è certo quella delle Chiese appartenenti al Consiglioecumenico.La nostra carrellata ci porta per concludere ad Augsburg, inGermania, dove il 30 e 31 ottobre si è celebrato il decimo

anniversario della firma della Dichiarazione congiunta sullaDottrina della Giustificazione siglata nella cittadina tedescadalla Federazione Luterana Mondiale e dalla Chiesa catto-lica romana (cui si sono aggiunte, nel 2006, anche leChiese metodiste). Il testo era stato considerato una pie-tra miliare in campo ecumenico perchè i firmatari afferma-vano che le ripetute condanne reciproche, avvenute persecoli in materia di giustificazione, non avevano più ra-gione di essere ed era stato rimosso uno dei motivi centralidella Riforma protestante. Tuttavia, in occasione di questoanniversario, diversi commentatori hanno constatato comel’accordo di Augsburg non abbia avuto alcuna conse-guenza ecclesiologica pratica: nei rapporti dei cattolici coni luterani (e i metodisti), tutto è rimasto come prima, anzitalvolta le cose sono peggiorate. Lo stesso cardinal Kasper,intervistato ad Augsburg, ha detto che bisogna essere rea-listi e consapevoli che sulla strada per raccogliere il popolodi Dio “ci sono a volte anche dei macigni”. Con ogni pro-babilità, il prelato alludeva ad alcune recenti derive mani-festate da Chiese appartenenti alla Federazione LuteranaMondiale. Così, la Chiesa luterana in America ha apertol’accesso al ministero pastorale a uomini e donne chehanno una relazione di coppia con una persona dellostesso sesso (prima erano ammessi solo omosessuali chevivevano nel celibato). Ma a destare maggior scalpore èstata la Chiesa di Svezia, dapprima con l’elezione a ve-scovo di Stoccolma di Eva Brunne, una lesbica che vivecon una pastora e con il loro figlio di 3 anni, poi con ladecisione del Sinodo nazionale di ammettere al rito reli-gioso del matrimonio (quindi non solo con una benedi-zione) anche le coppie omo- sessuali. In entrambi i casi, sitratta di poco invidiabili “prime” mondiali a livello diChiese cristiane.

Gino Driussi

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Presepe significa «dinanzi al chiuso », «dinanzi al re-cinto ». E il recinto, anticamente, serviva a raccoglierele bestie. Valeva, dunque, per «stazzo» e, in senso

più largo, per «stalla». Dinanzi alla stalla, dov'era nato Gesù, s'accese una parti-colare devozione, specialmente dopo che Sant'Elena,madre dell'Imperatore Costantino, costruì a 'Betlemme,sopra la grotta indicata dalla tradizione per quella dellaNatività, una grande basilica.Il Presepio concepito da San Francesco fu un'altra cosa edebbe carattere di sacra rappresentazione.Se derivò, come vedremo, dalla scena della Natività, de-scritta da San Luca e dagli apocrifi, e quindi dalle opered'arte dove era rappresentato il miracoloso evento, ebbeperò un altro spirito e un'evidenza rappresentativa più im-mediata. Infatti, una cosa è il Presepe, ed un'altra cosa èla Natività. Una cosa è farsi «dinanzi alla stalla », e un'al-tra cosa è rievocare il grande evento della nascita di Gesù.La Natività consiste in una raffigurazione artistica dellascena. Il Presepe, invece, consiste nella ricostruzione am-bientale della medesima scena, concepita quasi teatral-mente, come sacra rappresentazione.L'idea di questa sacra rappresentazione non poteva venireche a San Francesco, cioè al «giullare di Dio », che dinanzial popolo del Medioevo voleva rappresentare al vivo le ve-rità del Vangelo. Egli voleva muovere, anche prima del sen-timento, la fantasia popolare, predicando, non solo con laparola, ma con l’azione. Santo e artista, aveva bisogno direndere sensibili concetti e ideali, traducendo, nella ma-niera più efficace, la parola nei fatti. Con questo spirito e per questo scopo, egli ideò il famosoPresepio di Greccio. Il viaggio in Terra Santa aveva com-mosso ancora di più la sua fantasia. Lì era sceso l’Atteso;lì si era incarnato il Verbo; lì, in una grotta, aveva vagito ilRe dell’Universo, in una notte di abbagliante mistero.Verso il Natale del 1223, tornava da Roma, ed entrandonella valle reatina, i compagni lo videro sorridere tra sé esé. Qualcosa di nuovo gli si muoveva nella mente. SanFrancesco aveva tra gli amici molti castellani. Quei feuda-tari paterni e saggi, ai quali faceva capo tutta la vita del ca-stello, non erano poi sempre tiranni malefici, come li hadipinti la storiografia romantica. San Francesco ne cono-sceva dei buoni; per esempio, il conte Orlando Cattanidella Verna. il conte Guido di Montauto, e, a Greccio, Gio-vanni Velita. San Francesco, giunto al suo eremo, lo mandò a chiamare.Giovanni Velita accorse e San Francesco gli disse: « Se tul'hai caro, io vorrei celebrare con te quest'anno, l'immi-nente solennità del Signore. Affrettati dunque a prepararequanto desidero ». Per il castellano di Greccio ogni deside-

rio del santo era più che un ordine. Perciò Francesco seguitò: «È mio pensiero rievocare al vivola memoria di quel Bambin celeste che è nato laggiù in Be-tlemme, e suscitare davanti allo sguardo del popolo e almio cuore·gli incomodi delle sue infantili necessità, vederloproprio giacere su poca paglia, reclinato in un presepio, ri-scaldato dal fiato di un bue e di un asinello ... ».Tutto fu eseguito a puntino, sotto la direzione del buonmesser Giovanni, e la notte di Natale del 1223, nel boscodi Greccio, si ebbe la prima rappresentazione natalizia, cioèil primo presepio. Un sacerdote celebrò la messa sulla mangiatoia. San Fran-cesco, non essendo sacerdote, ma soltanto diacono, cantòil Vangelo della Nascita, e lo spiegò al popolo accorso confiaccole accese.

Piero Bargellini, scrittore

Le feste natalizie al Bigorio

Nella chiesa del convento viene celebrata una Messasolenne nella notte della vigilia, alle ore 22.00. Poe-sia e fede danno risalto a questa solennità. In chiesa

si può ammirare il Presepio, che tutti gli anni si rinnova e,sul sagrato della chiesa, dopo questa celebrazione, si fafesta attorno ad un fuoco e, gustando un dolce, si crea unambiente di fraternità e di amicizia. Nel mese di gennaio e precisamente il 5, vigilia dell’Epifa-nia, si rinnova un’antica tradizione, che è quella della “Ca-valcata dei Re Magi”. In quest’occasione il Bigorio èravvivato da una schiera di bambini che, accompagnati daigenitori, attendono l’apparizione dei Re Magi. Questi per-sonaggi, addobbati di tutto punto e con un’aria di mistero,accolgono tutti questi bambini e donano loro un piccoloregalo. È un momento di festa, tutto per loro, accompa-gnato dal suono delle cornamuse.L’intensità dei sentimenti che vengono espressi in questimomenti, sono i segni di un rapporto vivo tra il conventoe la popolazione, e danno importanza al mantenimento diqueste tradizioni.

fra Roberto

I presepi nella chiesa del Sacro Cuore a Bellinzona

Come gli altri anni, dal giorno di Natale a tutto il mesedi gennaio, viene allestito un “Percorso presepi” visi-tabile tutti i giorni dalle 9.30 alle 12 e dalle 14 alle 17.

Nei giorni festivi alle 9, 10.45 e 18 si celebrano le SS. Messedurante le quali la visita è sospesa.

Il Presepe di San Francesco

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Stretta parentela tra uomini e animali 

Iniziamo con questo articolo una collaborazione con larivista “Voce evangelica”, organo della Chiesa riformata

del Cantone Ticino. Una rivista bella ed interessante,ricca di contenuti e di spunti, che meritano di essere co-nosciuti da un pubblico più vasto. La collaborazione èanche un ulteriore segno ecumenico – oltre a quello ga-rantitoci dagli apporti di Gino Driussi – fra cristiani vi-venti ed operanti nello stesso paese.

Il “Tempo del creato” (1 settembre - 4 ottobre) è dedicatoquest’anno al rapporto tra uomo e animali. Per il fratecappuccino Anton Rotzetter ciò implica in particolare ilrispetto per la vita e la ricerca della pace con sé stessi.

Signor Rotzetter, che ne direbbe di una bisteccaal sangue?

Vent’anni fa non avrei esitato a mangiarne con piacereuna, se non addirittura due. Ma nel frattempo ho acqui-sito determinate convinzioni e conoscenze che mi rovi-nano l’appetito di fronte a un pezzo di carne.

L’appetito lo vuole rovinare anche agli altri: tre anni fa ha per esempio invitato gli ordinireligiosi a rinunciare alla carne.

È così. Ho inoltre chiesto che le chiese rinuncino allacarne in occasione dei loro appuntamenti ufficiali. La ra-gione sta nei fondamenti biblici della chiesa. E chi ne faparte perché ha ricevuto la chiamata, deve differenziarsi,è un obbligo nei confronti del futuro e della vita stessi.Per quanto riguarda gli ordini religiosi, sono addiritturaobbligati alla pratica ascetica, anche per quel che con-cerne i consumi. Non bisogna dimenticare che nei primimille anni del cristianesimo, il consumo di carne era piùo meno severamente vietato all’interno dei vari ordini re-ligiosi.

Oggi tuttavia viviamo in altri tempi…

È vero. Oggi le ragioni per essere vegetariani oltre che re-ligiose, sono anche legate al pericolo che sta vivendo ilnostro pianeta. Crisi alimentare, fame e povertà, penuriad’acqua, riscaldamento climatico, emissioni di CO2,abuso di energia, scomparsa della foresta amazzonica emolti altri problemi dei nostri tempi sono legati in modoinequivocabile al consumo di carne. Dimostrare questolegame sarebbe ora troppo lungo, in generale si può direche il tutto ha a che fare con il rispetto della vita, in tuttele sue forme.

Quest’anno festeggiamo l’anno di Darwin, secondo ilquale l’uomo non è “l’apice” della creazione ma un pa-rente prossimo della scimmia. D’altronde se si osservanogli esemplari di alcuni tipi di scimmie è chiaro che sono“imparentati” con noi. E la biologia e le scienze com-portamentali possono dimostrarlo in svariati modi. Manon solo: anche teologicamente viene messa in evidenzala parentela fra l’uomo e la scimmia. Se si leggono conattenzione i racconti sulla creazione - che tra l’altro in-dicano come obiettivo un’alimentazione vegetariana -contenuti nella Bibbia, si apprende che gli animali “ter-restri”, nel senso che camminano sulla terra, hanno lestesse origini dell’uomo. Entrambi sono stati “creati dallaterra”, entrambi sono stati animati dallo stesso soffio di-vino. Dal punto di vista biblico, gli animali sono i fratellimaggiori dell’uomo e quando Dio, dopo il diluvio,stringe un patto con l’uomo, estende quel patto anchea tutte le altre creature viventi. Ancor prima di donare lapropria benedizione all’uomo, Dio la dona agli animali.

La consapevolezza dello stretto legame diparentela tra uomo e animali non ha tuttaviacambiato nulla nel comportamento umano,anzi...

I tempi attuali sono il frutto del passato. Dal punto divista della storia del pensiero filosofico, sono stati due imomenti di rottura che hanno portato alla situazione at-tuale. Da un lato si è acquisita l’idea che l’uomo, inquanto essere senziente, razionale, si differenzi dagli ani-mali. Ne è conseguito che la filosofia occidentale si èsempre più concentrata sugli aspetti intellettuali dell’es-sere umano. Si sono così trascurate tutte le caratteristi-che che abbiamo in comune con gli animali, comel’istinto o le emozioni. Le scienze comportamentali pos-sono tuttavia mettere in discussione la certezza di que-sta presunta differenza tra uomo, essere razionale, eanimale, privo di coscienza.Il secondo momento di rottura è stato quando la filoso-fia ha seguito il pensiero di Descartes, secondo il qualel’animale non è che una realtà puramente meccanica enull’altro. Purtroppo anche la teologia ha scelto questidue percorsi sbagliati.

Così oggi macelliamo e mangiamo un numeroenorme di animali, come mai prima d’ora…

L’essere umano vuole soddisfare quantitativamente piut-tosto che qualitativamente i propri bisogni basilari. Crededi essere di più, quando ha di più. E ovviamente questo

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si manifesta anche in ambito economico. Tutto coltempo viene assoggettato al consumo, tutto viene con-siderato da un punto di vista dell’usare, del comprare,del vendere. Tutto è in vendita, compreso l’essereumano, compreso l’amore. E questa mancanza di ri-spetto per la vita tocca in modo particolare l’animale.

Parola chiave: rispetto. La sua spiritualità ècambiata attraverso il suo rapporto con glianimali?

Credo che la domanda non sia formulata in modo cor-retto. In effetti, è stata la spiritualità a rendere più pro-fondo un amore per gli animali che ho sempre avuto, sinda piccolo. Francesco d’Assisi vedeva in ogni creatura ein ogni animale un legame con Dio: Dio è ovunque edeve essere cercato in ogni cosa. Ogni animale, ciascunoin modo diverso, particolare, porta in sé ed è espressionedel mistero di Dio.

Lei benedice, durante il culto, gli animali.Crede che essi preghino?

Cosa facciano gli animali, resta per noi uomini un mi-stero. In base alla mia personale esperienza e in base aglistudi comportamentali, emerge che gli animali cercanola vicinanza e la sicurezza, coltivano e iniziano relazioni,

provano emozioni, sorpresa e qualcosa di simile allo stu-pore. Tutto ciò è parte di ciò che noi chiamiamo pre-ghiera. Francesco d’Assisi credeva che ogni animalepregasse Dio a modo suo.

In che modo si può avere un buon rapporto congli animali?

Si tratta di un fatto individuale. Di certo l’animale nondeve essere manipolato, deve poter restare animale. Iosono suo fratello e cerco di avvicinarmi in svariati modiall’animale. Se cerca la mia vicinanza, gli sto vicino, al-trimenti lo lascio in pace, non m’impongo.

Cosa serve affinché l’uomo possariappacificarsi con gli animali?

Le buone intenzioni non bastano. Bisogna iniziare adamare tutta la creazione, senza distinzioni, e non da ul-timo, sé stessi. Abbiamo oltre il novanta per cento deigeni in comune con gli animali, ragion per cui abbiamoin noi molto di “animalesco”. Ed è con questa parte dinoi che dobbiamo riappacificarci.

(intervista a cura di Tilmann Zuber, trad. it. Amanda Pfändler)

(da Voce evangelica, ottobre 2009)

Nato settant’anni fa a Basilea, entrato nell’ordine cappuccino nel 1959, AntonRotzetter ha studiato teologia a Friburgo, Bonn e Tübingen. Scrittore prolifico- ha pubblicato una settantina di titoli - si è occupato a più riprese della figurae dell’opera di Francesco d’Assisi. Per molti anni ha vissuto nel convento cap-puccino di Altdorf. Dal 1978 al 1988 ha diretto l’Istituto per la Spiritualità diMünster, in Germania. Ha presieduto l’Accademia Francescana, dal 1998 faparte del comitato degli scrittori e delle scrittrici della Svizzera interna, è statoa lungo membro del comitato direttivo dell’Azione dei Cristiani per l’Abolizione della Tortura ACAT in Svizzera. Perdiversi anni ha fatto parte del gruppo di preti e pastori impegnati nel programma “Wort zum Sonntag“, la medita-zione cristiana diffusa dalla Televisione della Svizzera Tedesca. Ha collaborato a lungo con la televisione austriaca nel-l’ambito del programma “Erfüllte Zeit“. È presidente dell’Azione Chiesa e Animali (Aktion Kirche und Tier, AKUT) esta per inaugurare, a Münster, un Istituto per la Teologia Biologica, un centro che intende promuovere il dialogo trascienze naturali e teologia.

Anton Rotzetter

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Mendolia Gallino OresteAnch'io vado a Messa, una guida per i bambini,con racconti di Bruno Ferrero e illustrazioni di Franca VitaliLeumann, Elledici, 2006

Questo libro è nato per i bambini e vuol essere una guida perchéimparino a partecipare attivamente alla Messa che è fatta di movi-mento, canto, gioia, comunione e partecipazione, e non di formuleastratte e noiose, ed è anche fondamentale per la loro crescita spi-rituale e umana. Il libro ha tante illustrazioni che espongono i diversimomenti della celebrazione eucaristica; a quelle si affiancano divolta in volta, coloratissime immagini di una festa in casa dei nonni.Cosicché i bambini imparino a capire il significato dei gesti rituali eliturgici, aiutati dal parallelismo – e facendone il confronto – tra lacelebrazione eucaristica e quella di una festa di anniversario: en-trambe "memoria" dell'amore, uno divino, l'altro umano, che è belloricordare e rinnovare nella gioia e nell'esultanza della festa. Oltre aquesto libro gli autori hanno preparato delle "schede didattiche", sem-pre sulla Messa, ottime per lavorare in gruppo, specialmente in pre-parazione alla Prima Comunione.

Caldelari Callisto Pensieri del dì di festa e Preghiere del dì di festaPadova, Messaggero

Iniziando l'anno liturgico C, ecco due sussidi; uno spiega i vangeli (di rito romano), l'altro sono delle "Riflessioni domenicali per credenti e non credenti". Scritti e consigliatiper chi "non va (o non può andare) a Messa". Si possono comandare presso l'autore. Bellinzona, chiesa S. Cuore.

PER NATALE REGALATE I LIBRI SU GESÙ AI VOSTRI AMICI DUBBIOSI E NON CREDENTI- Gesù - prima biografia per chi dubita, è in difficoltà e non crede- Gesù - parte seconda. Le sue meravigliose parabole per chi ancora non le conosce, per chi dubita, è indifficoltà e non crede

- Atti degli apostoli. Vita della Chiesa primitiva (nuovissimo)

Se comandati direttamente all'autore, P. Callisto (segreteria S. Cuore, 091 82.00.880), per gli abbonati del Messaggeroal prezzo scontato di fr. 25 l'uno.

Abbiamo letto...abbiamo visto...