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mathare slum ITA

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ISBN 978-88-97555-73-5

Coordinamento editoriale e grafica: BeccoGiallo Lab - www.beccogiallo.it

Finito di stampare nell’aprile 2013 da Cierre Grafica, Sommacampagna (VR)

+39 [email protected]

Innanzitutto, vogliamo ringraziare la Regione Veneto, Karibu Afrika Onlus, il Centro Interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli e Agronomi e Forestali Senza Frontiere per la possibilità che ci hanno dato, AceA Onlus e Fondazione Raphael Onlus/Ong per il supporto nella raccolta dati. In particolare, ringraziamo Luca Marchina, Marco Gottero e Tamara Littamé per il loro aiuto durante il nostro lavoro sul campo in Kenya e Cristina Vitale per il lavoro di coordinamento svolto in Italia. Inoltre, vorremmo ringraziare il Professor De Stefani per il suo contributo a questa ricerca.Per l’importante contributo alla pubblicazione, grazie al loro lavoro di intervista e di ricerca condotto presso gli agricoltori di Ngong, ringraziamo Livia Marchetti (Università degli Studi di Bologna) e Sara Fabian (Università degli Studi di Padova).Non saremmo mai stati in grado di portare a termine con successo la nostra ricerca senza l’apporto di Julian Ongoma, Martha Lutomia, K. Dennis Kipchumba, Erik Masinde e Cytheria Kamau.Concludendo, ringraziamo tutti coloro che non sono stati menzionati e che in qualche modo hanno contribuito alla realizzazione di questa ricerca, specialmente la comunità di Mathare.

Marco Berdusco & Giulio Levorato

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L’indagine presentata in questo volume si qualifica come particolarmente interessante per svariati motivi. In primo luogo perché rappresenta l’esito di un lavoro di ricerca, con-dotto nello slum di Mathare da un team di studenti master dell’Università di Padova e di quella di Nairobi, che è parte integrante di un microprogetto di cooperazione sostenuto dalla Regione del Veneto. Il progetto, in altre parole, fin dalla fase genetica, incorporava una dimensione di ricerca sul contesto socioculturale, ambientale ed economico in cui l’azione concreta (la messa in opera di un orto per la comunità) andava ad incidere. Incorporava quindi la lettura critica di quanto si andava facendo, una riflessione sui limiti dell’azione di cooperazione, sulle implicazioni complesse che un intervento del genere comunque presenta. La rifles-sività è spesso una dimensione trascurata nelle azioni di co-operazione. E tuttavia è solo se si alimenta un pensiero su quanto si sta facendo che si è anche in condizione di rifor-mare la propria azione, ricalibrarla, rinnovarla in modi più o meno radicali. Il primo messaggio rilevante di questo volu-

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me ha dunque a che fare con il metodo della cooperazio-ne decentrata allo sviluppo: integrare uno sguardo critico e autocritico è condizione per la sostenibilità di qualunque progetto di cooperazione.Altre osservazioni hanno a che fare con i contenuti di questa ricerca, condotta in un breve lasco di tempo, ma che è riu-scita a coinvolgere ben 160 persone (e altrettante famiglie), chiamate a esprimersi su un questionario complesso e dai contenuti non sempre facili da gestire. Dai dati raccolti, rie-laborati in forma sintetica per la presente pubblicazione, emergono interessanti elementi. Un primo dato rilevante è la conferma di quanto sia densa e stratificata la trama so-ciale che si sviluppa in una “baraccopoli” come quella di Mathare. Solo ad una lettura superficiale e condizionata da pregiudizi colonialisti, la realtà di uno slum come quello svi-luppatosi a Ngong, a poche decine di chilometri da Nairobi, può apparire come un’informe agglomerato privo di storia e d i identità, terreno vergine aperto a qualunque proget-tualità. Mathare è teatro di povertà e luogo di discrimina-zione – una discriminazione “spaziale”, in prima battuta, in quanto area di insediamenti abusivi. Ma la rete dei rapporti di potere e politici – forse proprio per la coatta e radicale precarietà del vivere – vi emerge con caratteri di sofisticata complessità. Accanto ai tratti brutali propri di una collettivi-tà fondata su una costellazione di finzioni giuridiche (è una fictio la proprietà privata, l’esistenza di un’amministrazione, il regime degli scambi economici…) spicca la forza solidale delle Community-Based Organisations. Sul tema della food security, la ricerca ci consegna un quadro di grande diffi-

coltà. Barriere giuridiche e culturali rendono problematico l’accesso degli abitanti della slum ad un’alimentazione ade-guata; il degrado ambientale e l’inquinamento sono l’altra faccia di una comunità privata dei mezzi di sussistenza, e costretta pertanto alla mera sopravvivenza. Il rapporto del tema di ricerca ci mostra la drammatica attualità di espres-sioni che spesso sono manipolate come vuote formule re-toriche: “empowerment”, “partecipazione”, “human rights based approach”, “sicurezza umana”, ecc. Lo sguardo critico e autocritico fornito da questa ricerca ci stimola ad affrontare un tema capitale del presente e del futuro, in Africa e altrove, quello dell’accesso ai beni vitali dell’acqua e del cibo come condizione per il godimento dei diritti della persona e della sicurezza umana, con attenzione ai dati di realtà, pragmatismo e assumendo materialmente il punto di vista dei più svantaggiati. E non è poca cosa.

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IntroduzioneQuesta ricerca nasce con l’intento di presentare un’analisi qualitativa e quantitativa relativamente alla sicurezza ali-mentare e al diritto ad un’alimentazione adeguata di donne e bambini nella comunità della baraccopoli di Mathare, si-tuata nella cittadina di Ngong, nella provincia della Rift Val-ley in Kenya.La presente ricerca costituisce una delle attività di scambio previste all’interno del progetto “Coltivare il futuro, Food Se-curity a Jukumu Letu”, avviato dall’associazione Karibu Afri-ka ONLUS (KAO) nel mese di aprile 2012.

Breve presentazione del progettoIl progetto Coltivare il futuro nasce nel settembre 2010 du-rante una riunione programmatica organizzata a Ngong tra i rappresentanti di Karibu Afrika Kenya e Jukumu Letu allo scopo di sviluppare e definire alcune strategie da adottare per rendere completamente autosufficiente e sostenibile l’asilo di Jukumu Letu nei successivi 5 anni. Jukumu Letu è una scuola registrata nel 2007 nella cittadina di Ngong (Kenya), nata con lo scopo di aiutare bambini in età pre-scolare (0-6/7 anni) orfani, vulnerabili o provenienti da si-tuazioni familiari ed economiche particolarmente disagiate. Jukumu Letu si propone di migliorare lo stato di salute fisico

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e psicosociale dei bambini e il loro sviluppo, promuovendo un insieme di interventi che responsabilizzino le famiglie e la società nel suo insieme nel prendersi cura dei bambini maggiormente in difficoltà.Jukumu Letu garantisce inoltre un’educazione prescolare e due pasti al giorno a 142 bambini.Il progetto Coltivare il futuro costituisce il primo passo di un intervento che prevede nei prossimi 5 anni il raggiungimen-to di una serie di importanti obiettivi, tra i quali:-Sostenibilità alimentare: soddisfare le necessità alimentari degli alunni di Jukumu Letu e il migliorare la qualità della loro dieta attraverso la creazione di un orto organico sco-lare;-Sostenibilità sociale: ricostruire la scuola di Jukumu Letu su terreno di proprietà e aprire la scuola primaria;-Sostenibilità economica: costruire e aprire una Guest-house comunitaria eco-sostenibile.

Coltivare il futuro, food security a Jukumu Letu è un progetto annuale che intende contribuire al raggiungimento della sicurezza alimentare dei bambini dell’asilo di Jukumu Letu situato nella cittadina di Ngong (baraccopoli di Mathare, Rift Valley Province, Kenya) attraverso la costruzione, l’avvio e la gestione di un orto scolare organico che for-nisca quotidianamente un’alimentazione sana ai bambini dell’asilo. Il progetto prevede la realizzazione di attività di formazione specifiche nell’ambito dell’agricoltura organica e del marketing dei prodotti agricoli che contribuiscano all’auto-sostenibilità del progetto, nonché percorsi informa-tivi riguardanti i temi dell’agricoltura organica e della biodi-

versità finalizzati all’elaborazione di una ricerca sul campo nell’ambito della Sicurezza alimentare.Il progetto prevede, inoltre, la realizzazione di attività di condivisione e scambio tra beneficiari italiani e kenyani, quali ad esempio workshop di approfondimento.

PartnerEnte Capofila: Karibu Afrika Onlus (KAO - Padova, Italia), è un’associazione senza scopo di lucro che nasce nel 2007 a Padova ed è impegnata in Italia, Kenya e di recente an-che in Zambia, nella promozione di scambi culturali tra giovani provenienti da contesti sociali e culturali diversi. KAO è inoltre impegnata nell’implementazione di pro-getti di sviluppo e realizza numerose attività nell’ambito dell’educazione, della formazione, degli scambi intercultu-rali e dello sport come strumento di inclusione sociale. Per raggiungere tali obiettivi, KAO collabora con numerose as-sociazioni e organizzazioni.

Partner implementatore: Karibu Afrika Kenya (Nairobi, Kenya).

Partner locali: Jukumu Letu (Ngong, Kenya), Agrosphere (Nairobi, Kenya) e KARDS (Nairobi, Kenya).

Altri partner italiani: Centro interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli (Padova, Ita-lia), Agronomi e Forestali Senza Frontiere Onlus (Padova, Italia), Acea Onlus (Milano, Italia) e Fondazione Raphael ONLUS/ONG (Roma, Italia).

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Ente finanziatoreIl principale ente finanziatore del progetto è la Regione Veneto con 38.772,50 euro, pari al 71,37 % delle spese totali previste dal progetto. Ciascun partner partecipa alla coper-tura del restante contributo.

Durata del progetto1 aprile 2012 – 31 marzo 2013

Analisi dei bisogni1) Il 50% della popolazione kenyana vive con meno di 1 dollaro al giorno e il 30% circa della popolazione vive in condizione di malnutrizione. In particolare, secondo alcune stime, il diritto alla sicurezza alimentare nella baraccopoli di Mathare (Ngong) non è garantito.

2) Nonostante solo il 12,65% del suolo sia fertile e adegua-to all’attività agricola, oggi l’agricoltura costituisce la prin-cipale attività economica del Kenya, coinvolgendo circa il 75% della popolazione. L’agricoltura organica è stata intro-dotta solo di recente in Kenya ma si sta diffondendo molto rapidamente con un’ampia gamma di prodotti.

Obiettivi del progettoL’obiettivo principale del progetto consiste nel contribuire allo sradicamento della povertà e della fame ed al miglio-ramento della qualità della vita e di salute nella comunità di Ngong (Kenya) con particolare attenzione a bambini e donne, in linea con gli Obiettivi del Millennio 1, 3, 4, 7, 8, la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (ONU

1989), la Dichiarazione sulla sicurezza alimentare di Roma (FAO 1996).

Obiettivi specifici del progetto sono:1. Garantire la sicurezza alimentare dei bambini della scuola di Jukumu Letu attraverso l’accesso ad un’alimentazione sana, sicura e basata sui principi della biodiversità come strumento di lotta alla povertà.2. Promuovere l’empowerment dei genitori/tutori dei bam-bini della scuola di Jukumu Letu con particolare attenzione alle donne, fornendo strumenti formativi, gestionali e or-ganizzativi;3. Contribuire alla creazione di una società consapevole ri-spetto alle tematiche della sicurezza alimentare e della bio-diversità, in Kenya ed in Italia.

BeneficiariIl progetto Coltivare il futuro project nasce su richiesta della comunità dei genitori/tutori degli alunni della scuola di Ju-kumu Letu, beneficiari e parte attiva del progetto.Fin dalla sua definizione, il progetto ha visto l’adozione di un approccio partecipato che coinvolgesse i suoi benefi-ciari per stimolarne il senso di appartenenza, l’acquisizione di competenze e di esperienza nell’ambito della gestione dei progetti.

Beneficiari Diretti:1. n. 142 bambini frequentanti la scuola materna di Jukumu Letu;2. n. 30 genitori / tutori participanti ai corsi di formazione;

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3. n. 4 studenti universitari kenyani (2 della facoltà di Agra-ria, 2 della facoltà di Scienze Politiche);4. n. 4 studenti universitari italiani (2 della facoltà di Agra-ria, 2 della facoltà di Scienze Politiche);5. n. 30 beneficiari della comunità di Ngong coinvolti nella formazione all’orticoltura;6. n. 30 studenti italiani e 30 giovani kenyani coinvolti nelle attività di scambio interculturale;7. almeno 300 partecipanti agli eventi pubblici realizzati in Italia;8. n.1 beneficiario kenyano coinvolto nelle attività di scambio interculturale in Italia.

Beneficiari indiretti:2. Le famiglie degli studenti di Jukumu Letu;3. La comunità della baraccopoli di Mathare (Ngong).

Risultati attesi1. Garantita un’alimentazione sana e sicura per i bambini della scuola di Jukumu Letu (Ngong) attraverso la creazio-ne e la gestione partecipata di un orto organico scolare da parte dei genitori/tutori dei bambini;2. Sviluppate e potenziate le competenze in ambito agricolo dei genitori/tutori dei bambini della scuola di Jukumu Letu attraverso percorsi formativi teorico/pratici con la metodo-logia del learning by doing;3. La comunità locale di Ngong è informata e sensibiliz-zata sulle tematiche dell’agricoltura organica e biodiversità e la condizione nell’ambito della sicurezza alimentare della comunità di Ngong è documentata attraverso attività di ricer-

ca e scambio interculturale con studenti italiani e kenyani;4. La cittadinanza del Veneto è sensibilizzata sui temi della sicurezza alimentare/sostenibilità ambientale attraverso percorsi formative teorico-pratici volti a favorire un cambia-mento concreto degli stili di vita dei modelli di consumo, attraverso attività di ricerca e scambio interculturale, con la partecipazione di un beneficiario di progetto dal Kenya.

Attività previste1.1 Fase organizzativa1.2 Ricerca terreno1.3 Affitto di un terreno agricolo di un acro sede dell’orto scolare1.4 Acquisto ed installazione di 1 serbatoio d’acqua da 10.000 litri con relative torrette di supporto in ferro1.5 Costruzione di 1 serra organica e relativo sistema di ir-rigazione a goccia, equipaggiata degli attrezzi agricoli e delle sementi necessarie al loro funzionamento1.6 Creazione di una lista/menu dei prodotti organici col-tivati nell’orto scolare e usati nella dieta dei bambini della scuola Jukumu Letu1.7 Avvio produzione delle ortalizie organiche dell’orto sco-lare di Jukumu Letu1.8 Vendita delle ortalizie organiche in eccedenza nei mer-cati locali2.1 Realizzazione corso di formazione sull’agricoltura or-ganica (30 partecipanti, almeno il 70% donne).2.2 Realizzazione corso di formazione in due step sul mar-keting/vendita dei prodotti dell’ orto scolare (10 parteci-panti, almeno il 70% donne)

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3.1 Selezione e formazione in Italia di 4 studenti universi-tari (2 della facoltà di agraria e 2 della facoltà di Scienze po-litiche) operatori volontari del progetto con funzioni rispet-tivamente di formatori junior e ricercatori3.2 Selezione e formazione in Kenya di 4 studenti univer-sitari (2 della facoltà di agraria e 2 della facoltà di Scienze politiche) operatori volontari del progetto con funzioni ri-spettivamente di formatori junior e ricercatori3.3 Realizzazione di 1 seminario sull’orticoltura (30 benefi-ciari almeno 70 % dei partecipanti sono donne, 3 giorni).3.4 Costituzione ed attivazione di un Comitato per l’empowerment femminile in ambito economico;3.5 Elaborazione di una ricerca sulla condizione sociale dell’infanzia e delle donne/sul diritto all’alimentazione nel-la comunità di Ngong3.6 Realizzazione di 2 seminari/workshop di 3 giorni sulle tematiche ambientali e di sicurezza alimentare, seguiti da 30 studenti italiani e 30 giovani della comunità di Ngong;4.1 Realizzazione di 4 incontri informativi ed 1 conferenza di sensibilizzazione;4.2 Partecipazione di 1 beneficiario locale di progetto agli eventi pubblici sul territorio della Regione Veneto e presen-tazione della propria esperienza nell’ambito del progetto;4.3 Pubblicazione sul tema della sicurezza alimentare e del diritto all’alimentazione realizzata e diffusa nella Regione Veneto.

ObiettivoL’obiettivo principale della ricerca è dare una quadro com-plessivo della situazione della Sicurezza Alimentare (Food Security) nella baraccopoli di Mathare(Ngong).La ricerca è uno strumento per comprendere al meglio la realtà dei bisogni della comunità di Mathare. Sarà utilizzata come strumento di sensibilizzazione ed informazione nella Regione Veneto. Inoltre, tenterà di aiutare in una gestione più efficace della realtà di Mathare da parte della comunità stessa, del governo e dell’amministrazione locale. La ricerca dovrebbe orientare associazioni, CBOs e ONG nel definire progetti di intervento ed attività future nella baraccopoli. La ricerca evidenzierà l’esistenza di pari condizioni tra uomini e donne, adulti e bambini nell’accesso al Diritto al Cibo (Right to Food).

TeamIl team di ricerca si componeva di quattro studenti di Scienze Politiche, due Italiani e due Keniani. Gli studenti Italiani, Marco Berdusco e Giulio Levorato, sono stati se-lezionati dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova dopo aver vinto con successo una borsa di studio. Gli studenti Keniani, Dennis Kipchumba e Eric Masinde, sono stati selezionati dall’Istituto Diakonia tra gli studenti della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Nairobi.

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Il team è stato coordinato da Marco Gottero (rappresen-tante di Karibu Afrika Onlus) e da Bokada Buluma (diret-tore dell’Istituto Diakonia) sotto la supervisione di Luca Marchina (direttore di Karibu Afrika Kenya).

Approccio all’accesso al ciboL’accesso al cibo è il principale argomento della ricerca ed è stato analizzato nelle sue principali declinazioni, a partire dalla situazione generale e dalle condizioni di vita nella baraccopoli, quindi affrontando le questioni che riguardano l’accesso al cibo da parte degli abitanti della baraccopoli, come anche l’accesso alla terra, all’acqua e ad adeguate con-dizioni igienico-sanitarie.

Posizione del TargetL’ubicazione del target è la baraccopoli di Mathare, nella cit-tà di Ngong. Questo luogo è stato scelto dato che la maggior parte degli studenti di Jukumu Letu, insieme ai loro geni-tori, vivono nella slum. Solo gli abitanti della baraccopoli sono stati intervistati. Mathare, inoltre, è peculiare rispetto alle altre baraccopoli: la posizione in un area peri-urbana, la composizione dei suoi abitanti e la quasi totale assenza di informazioni affidabili e di studi.

CampioneTutti i dati elaborati nel libretto sono basati sulle infor-mazioni raccolte da un campione di 160 intervistati, rap-presentanti 160 famiglie delle, stimate, 824 che vivono nella baraccopoli. Considerato che ogni famiglia è mediamente composta da 4,25 membri, il campione copre 680 indivi-

dui in una popolazione stimata di 3500 abitanti. Abbiamo scelto i destinatari delle nostre interviste seguendo il para-metro dell’equa distribuzione geografica in tutta l’area della slum ed il parametro dell’equa distribuzione in base al sesso ed all’età. La maggior parte degli intervistati, tuttavia, sono donne (113 persone, il 70,63% del campione), ciò è dovuto al fatto che le interviste, per ragioni di sicurezza, sono state condotte durante il giorno, quando la maggior parte degli uomini lavora fuori dalla baraccopoli. L’età media del cam-pione è 32 anni. L’età ed il genere delle 680 persone rap-presentate nelle interviste sono illustrate nella tabella e nel grafico qui sotto:

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Mathare slum24 25Accesso alle risorse e implicazioni per la sicurezza alimentare

Un dato importante da sottolineare è che il 51 % degli indi-vidui rappresentati nelle interviste ha meno di 18 anni.Osservando lo stato civile, quasi il 50 % degli intervistati è sposato, seguito dai single (30,63 %), dai divorziati (11,88 %) e dai separati (1,25 %).Riguardo la composizione religiosa, la maggioranza è Pro-testante (60,13%), a seguire vi sono i Cattolici (31,65%), i Musulmani (3,8%), gli Animisti (3,2%) ed i Rastafariani (1,2%). Non ci sono, invece, atei.Relativamente alle lingue parlate, l’intero campione è in grado di parlarne almeno due, quella della tribù d’origine e lo Swahili. Il 54,38% degli intervistati parla inglese come terza lingua.Concentrandosi sulla composizione etnica degli inter-vistati, la maggioranza sono Kikuyu (56,69%), seguiti dai Kamba (14,65%) e dai Luhya (8,92%).

QuestionarioPer elaborare meglio il questionario, il team di ricerca ha svolto 15 giorni di valutazioni nella baraccopoli di Mathare con numerose visite sul posto ed interviste informali per te-stare il questionario. La valutazione è stata utile per il team sia per avere un quadro generale della baraccopoli, sia per rafforzare la collaborazione tra i membri.Di seguito il questionario utilizzato per le interviste:

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IntervisteAbbiamo condotto 160 interviste seguendo e compilando il questionario ma tentando, allo stesso tempo, di assumere un tono colloquiale. Abbiamo svolto le nostre interviste sia a casa degli intervistati che lungo la strada, basandoci sulla scelta dell’intervistato stesso. Abbiamo lavorato in due team, ognuno composto da uno studente Italiano e da uno Keniano. I team hanno lavorato in aree differenti della barac-copoli nel tentativo di coprire omogeneamente tutta l’area. Ogni intervista cominciava con una piccola presentazione del team e dell’intervistato. L’intervistato aveva a dispo-sizione la scelta di essere intervistato in Swahili piuttosto che in Inglese. Mediamente ogni intervista durava tra i 15 e i 20 minuti. Abbiamo sempre concluso le interviste lascian-do le persone libere di aggiungere qualsiasi informazione per loro rilevante, o eventualmente di chiedere ulteriori in-formazioni sulle finalità della ricerca.

DatiUna volta concluse le interviste abbiamo inserito i dati in un software dove sono stati aggregati ed elaborati in modo da ottenere informazioni statistiche rilevanti. La ricerca ha utilizzato per la raccolta, l’analisi e l’uso dei dati un approc-cio disaggregato in base all’età ed al sesso (Sex an Age Disag-gregated Data – SADD).

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“Ufficialmente le baraccopoli non esistono. Quasi tutte le mappe del centro urbano di Nairobi mostrano le baraccopoli come ter-reno inutilizzato.”UN-Habitat

“[…]Non ci sono veri proprietari qui; se qualcuno ti dice che è pro-prietario del terreno, in realtà è solamente qualcuno che affitta quel terreno, ma non ha nessun diritto su di esso.”Abitante di Mathare

La baraccopoli di Mathare è situata nella città Ngong vicino alle Ngong Hills lungo la Rift Valley, nella parte meridionale del Kenya, a circa 20km dalla capitale, Nairobi. Ngong è la cit-tà centrale della divisione di Ngong nel distretto del Kajiado.La posizione di Mathare è particolarmente atipica se confron-tata con la altre grandi baraccopoli, situate nell’immediata periferia della città di Nairobi. Si trova in un’area peri-urbana, il che significa non in città e nemmeno in una zona rurale. Abbiamo chiesto delucidazioni in merito:

“C’era la possibilità di avere il terreno e quindi per la baraccopoli di crescere. Ngong è una piccola città, è considerata da molte per-sone più accogliente di Nairobi; sta crescendo economicamente; è una comunità cosmopolita; c’è la possibilità, per la gente di Mathare, di trovare impiego nel mercato, nei bus (matatu) che partono da Ngong, nelle case dei ricchi; è vicina a Nairobi e pur tuttavia più economica.”Anyienda Matsalia, Direttrice di Jukumu Letu

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Alla luce dei dati che abbiamo ottenuto dalle autorità locali e dagli abitanti di Mathare, la baraccopoli è nata tra il 1963 ed il 1969, poco dopo l’indipendenza della Nazione. Il terreno in cui oggi si trova la slum apparteneva ad un ricco uomo bianco che lo dette come garanzia di un prestito alla Bank of Kenya. L’uomo non fu in grado di onorare il debito e di conseguenza il terreno fu trattenuto dalla banca la quale, nel frattempo, divenne la Central Bank of Kenya, e la proprietà della terra passò al governo.In seguito, un uomo fu particolarmente importante per l’evoluzione della baraccopoli:

“Un uomo chiamato Kanume fu molto importante per la fon-dazione e l’evoluzione di Mathare, perchè fu una sorta di re-sponsabile per tutta l’area, e tutte le persone che volevano tra-sferirsi qui dovevano passare attraverso di lui così come oggi devi passare attraverso i village elders e il Chief. Persino gli altri chief di quest’area dovevano passare attraverso di lui quando arrivava una nuova famiglia, anche Kanume non era il proprie-tario di quest’area”.Joseph, abitante di Mathare

Ci sono due momenti nella storia del Kenya che hanno avuto enormi conseguenze sulla crescita demografica e l’espansione geografica della baraccopoli. Il primo:

“ Nel 1982, ci fu anche una crisi politica seguita da un periodo di violenze nel paese, specialmente in questa regione. Dunque molte persone arrivarono qui in cerca di migliori condizioni ”.Abitante di Mathare

Il secondo tra il 2007 e il 2008, durante il periodo delle vio-lenze post-elettorali Mathare fu vista come un posto più si-curo e molte persone da altre parti di Nairobi, vi si trasferi-rono; così la baraccopoli ha visto crescere progressivamente il numero dei suoi abitanti.Questo, tuttavia, è anche dovuto alle politiche poco chiare delle vecchie autorità locali che hanno favorito un clima di corruzione e gli insediamenti abusivi nell’area di Mathare in cambio di denaro.

“Oggi la terra appartiene al governo a quindi devi fare un ac-cordo informale con il chief per affittare un pezzo di terreno. Non c’è nessun vero proprietario qui; sequalcuno ti dice che è proprietario del terreno, in realtà è solamente qualcuno che af-fitta quel terreno, ma non ha nessun diritto su di esso.”Abitante di Mathare

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Mathare slum32 33Accesso alle risorse e implicazioni per la sicurezza alimentare

A causa di quanto detto, il Chief dell’area sta ponendo al-cune restrizioni alle nuove famiglie che vogliono insediarsi a Mathare. Come confermato dalle autorità locali, Mathare non è una residenza permanente ed infatti da lungo tempo esiste un piano del governo per spostare gli abitanti della baraccopoli in un altro luogo e riqualificare l’area.

“ […] Stiamo cercando uno spazio per questa gente […] Vivono in un area che non è loro, quindi non possiamo installare una clinica o altre strutture permanenti.”Francis _County Council of Olkejuado

Il problema della provvisorietà della residenza è fortemente sentito dalla gente di Mathare, che ogni giorno affronta la minaccia dello sfratto. L’ex membro del Parlamento, quin-di Ministro degli interni e Vice-presidente George Saitoti, morto in un incidente aereo nel 2012, aveva promesso ai residenti della slum di dar loro la proprietà della terra, ma dopo la sua morte nessuno ha portato avanti il progetto nonostante i residenti continuino a richiederne l’attuazione.Dai dati che abbiamo ottenuto, guardando il registro “uf-ficiale” degli abitanti, le famiglie a Mathare sono 812; la popolazione stimata è di 3,451 abitanti in un area di 22 acri, che corrispondono a 0,09 km². La densità della popolazio-ne è di 38,345 abitanti per kilometro quadrato. Abbiamo già visto la composizione del campione; la maggioranza della gente è impegnata in lavori casuali e mediamente una famiglia a Mathare vive con 368,67 scellini Keniani al gior-no (3,25 euro). La maggior parte dei dati non sono ufficiali,

dato che non esiste un registro negli uffici governativi, i qua-li troppo spesso hanno dimostrato una grande mancanza di conoscenza e di informazioni sulla baraccopoli.

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“A Mathare non possiamo disporre di strutture permanenti, perché non è una sistemazione permanente, stiamo cercando uno spazio per queste persone.”Francis

“Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare ed a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente Patto, senza distinzione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione.”Art.2, Patto sui diritti civili e politici

2.1 Amministrazione localeIl sistema amministrativo, in particolare a livello locale, è molto stratificato ed eterogeneo; alcuni ruoli di autorità sono nati durante il percorso verso la democrazia che ha se-guito l’indipendenza, altri appartengono chiaramente ad un retaggio coloniale ancora presente a livello politico.

2.1.1 ChiefDurante l’epoca coloniale era un uomo di fiducia del go-verno Britannico incaricato di applicare l’autorità e le leggi della corona fino alle più remote parti della colonia; con la fine del colonialismo la figura del Chief ha mantenuto intatti molti dei suoi poteri.

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Mathare slum36 37Accesso alle risorse e implicazioni per la sicurezza alimentare

Di seguito una parte dell’intervista all’assistant Chief incari-cato dell’area di Mathare (24 Ottobre 2012):

Legenda → Ricercatore: - ; Intervistato: *

– In che modo il Chief assume il suo incarico?

* Non si tratta di cariche elettive. I candidati alla carica presentano alla “Provincial Administration and Internal Security” curriculum, documenti e quant’altro necessario; vengono in seguito contat-tati per un colloquio. Le qualità ricercate sono principalmente l’abilità nelle pubbliche relazioni e il carisma necessario per “essere leader”; i servizi di intelligence, inoltre, compiono indagini per accertare l’integrità e l’onestà del candidato. Concluso l’iter, se il candidato risulta idoneo riceve il mandato e viene assunto.

- Ho letto il Chief ’s Authority Act, sembra che il Chief abbia molti dei poteri propri dell’autorità giudiziaria.

* Sì, è vero; tuttavia il mio ruolo rimane prevalentemente ammi-nistrativo; io mi occupo dei casi civili (dispute in casa, piccoli taf-ferugli ecc..), mentre i casi criminali vengono riferiti alla polizia e delegati.

è veramente riduttivo utilizzare il termine “casi civili” per definire i poteri di questa figura chiave nell’amministrazione locale; per meglio comprendere la particolarità di tale ufficio e la varietà dei suoi poteri, riportiamo un estratto dei para-grafi 8-10-11 del capitolo 128 del Chiefs’ Authority Act:

“8. (1) Ogni chief o assistant chief dovrebbe intervenire allo scopo di prevenire, e dovrebbe impiegare al meglio

le sue capacità per prevenire la commissione di qual-siasi offesa da parte di qualsiasi persona all’interno dei confine della sua giurisdizione. [...]10. Ogni Chief può emettere ordini che devono essere rispettati dalle persone che risiedono o si trovano den-tro i confini della sua giurisdizione per uno qualsiasi dei seguenti scopi:(a) proibire o ridurre il consumo o il possesso di liquori tossici, da parte dei giovani[...](c) proibire o ridurre la coltivazione di piante tossiche o nocive, e la lavorazione, il trasferimento, la vendita e il possesso di droghe o veleni nocivi;(d) proibire o ridurre il possesso di armi;(e) proibire atti o condotte che nell’opinione del chief possano causare una sommossa o un disturbo o una rot-tura della pace;(f) prevenire l’inquinamento dell’acqua in ogni ru-scello, fiume o pozzo, e prevenire l’ostruzione dei corsi d’acqua;[...](h) prevenire il diffondersi di malattie, sia tra gli uo-mini che tra gli animali;(i) proibire qualsiasi atto o casa che possa causare danno alle strade pubbliche o alle strutture costruite e mantenute a beneficio della comunità;11. Ogni Chief può emettere ordini che devono essere rispettati dalle persone che risiedono o si trovano den-tro i confini della sua giurisdizione per uno qualsiasi dei seguenti scopi[...](c) richiedere persone al fine di riportare la presenza, all’interno dei confini della sua giurisdizione, di pro-

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prietà rubate o sospette di essere state rubate fuori dai limiti locali; ...](f) richiedere qualsiasi persona al fine di riportare al chief senza indugi l’arrivo o il passaggio attraverso i suoi confini di bestiame;[...](h) richiedere l’adeguate sepoltura delle persone de-cedute nei cimiteri o altri luoghi;(i) vietare la deliberata esposizione delle persone de-cedute […].”

Il Chief è il primo anello di congiunzione tra la gente della baraccopoli ed il governo; è anche il centro di un insieme di incarichi semi-formali:

“Un Chief o assistant chief può impiegare qualsiasi persona soggetta alla sua giurisdizione per assisterlo nel portare avanti i compiti impostigli da questo Atto o dalla legge, e qualsiasi per-sona impiegata deve portare avanti e dare effetto agli ordini le-gittimi assegnatili dal Chief o dall’assistant chief”.Chiefs Authority Act, Cap.128, Paragraph 7

Abbiamo intervistato uno di questi “assistenti”, un village elder, e gli abbiamo chiesto di spiegarci la composizione e la struttura del sistema di incarichi subordinato all’autorità del Chief;Qui riportiamo un estratto dell’intervista (22 Ottobre 2012):

Legenda → Ricercatore: - ; Intervistato: * - Qual è il suo ruolo all’interno di Mathare?

* Sono una sorta di segretario del villaggio, tra le mie mansioni per

esempio c’è fare il censimento delle persone residenti a Mathare, controllare che i bambini frequentino la scuola, fungere da con-nessione tra la slum e il Social Office del Governo, spesso inoltre collaboro con il Chief se si presentano particolari esigenze; […]

- Qual è lo scopo di tutte queste figure all’interno della slum?

* Il Chief è una sola persona e necessariamente non può tenere sotto controllo tutta l’area che gli viene affidata. […]

- Può farci uno schema di come si struttura l’amministrazione locale?

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- Sono rappresentate tutte le Tribù all’interno del Comitato?

* Sì.

- è vero che la Tribù più presente nella slum è quella Kikuyu?

* Sì, ma ce ne sono molte altre: Luhya, Luo, Kalenjin ecc..

- Anche il Chief è un Kikuyu?

* Sì, anzi mezzo Kikuyu, la madre era Maasai. [...]

Dalle parole del Chief, dei village elders e dal contenuto della legge Keniana, emerge un’intricata rete di poteri e di incarichi semi-formali, finalizzata ad un fitto controllo del territorio, dalle questioni amministrative alla gestione delle dispute familiari e delle tensioni tra privati.Il sistema è tracciato, con particolare riferimento ai compiti del Chief, in un modo arbitrario che richiama le politiche coloniali. Inoltre, gli incarichi principali riflettono la com-posizione della popolazione dell’area, e sono dunque occu-pati da Kikuyu.Tuttavia il ruolo del Chief è cambiato molto rispetto al pas-sato. La sua figura è più qualificata e i suoi compiti più cir-coscritti; pur tuttavia, l’odierna Costituzione del Kenya non chiarisce ancora sufficientemente la sua posizione.

2.1.2 County Council dell’OlkejuadoIl County council dell’ Olkejuado è stato fondato negli anni ‘40 quando cominciò la sua attività come local native coun-

cil; dopo che il Kenya raggiunse l’indipendenza nel 1963, il consiglio divenne County Council dell’Olkejuado (CCO) a servizio del distretto del Kajiado. Il consiglio è legalmente e completamente sottoposto al Local Government Act (Capi-tolo 265) della legge Keniana.Il suo mandato è legiferare, eseguire ed imporre le tasse, oltre a fornire servizi all’interno dell’area sotto la sua giuri-sdizione. Il consiglio porta avanti le sue funzioni attraverso meeting, comitati e sub-comitati. Il consiglio al completo è la suprema unità decisionale del consiglio ed è autorizzato dalla legge a governare l’autorità locale.Il consiglio, inoltre, è diviso nei seguenti comitati:• Comitato urbanistica, lavori pubblici e marketing• Comitato per l’ambiente• Comitato agricoltura e allevamento• Comitato finanza• Comitato revisione• Comitato gioventù ed aids• Comitato educazione, casa e affari sociali• Comitato turismo e wildlifeQuesti comitati sono supportati da services departments che forniscono consigli tecnici e sono incaricati della coor-dinazione e dell’attuazione delle politiche e del funziona-mento delle operazioni giornaliere del consiglio; questi di-partimenti sono:• Clerk’s Department• Tesoro;• Educazione;• Lavori ed ingegneria;

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• Revisione• Pianificazione;• Dipartimento civico;• Servizi sociali;• Ambiente.Abbiamo chiesto ad un funzionario del dipartimento servizi sociali quali sono le questioni relative a Mathare che coin-volgono il County Council:

“Il Local Authority Trust Fund (LATF) ci da ogni anno dei soldi che utilizziamo per lavorare con gli uffici affari sociali lo-cali. Noi forniamo acqua, scuole, cliniche, abbiamo programmi alimentari per i disabili ed i bambini, in particolare.[…]A Mathare non possiamo disporre strutture permanenti, per-ché non è una sistemazione permanente, stiamo cercando uno spazio per queste persone. L’amministrazione qualche volta visita la baraccopoli. Noi possiamo solo fornire acqua, c’è un progetto per svolgere una ricerca a Mathare ma ciò che mi frena sono i politici.”Francis

è chiaro che il County Council ha poca rilevanza nella ge-stione della baraccopoli. Dall’intervista con il funzionario emerge anche una mancanza di informazioni di base sulla slum che riflettono l’inazione e, probabilmente, l’indifferenza ai problemi di Mathare. Nessuno degli intervistati è mai stato al County Council per chiedere aiuto o assistenza. Un altro organo percepito come poco rilevante nell’amministrazione della vita nella baraccopoli, ma allo stesso tempo una delle

ragioni dietro la sua stessa esistenza, è l’autorità locale, in-tesa come la parte politica dell’amministrazione.

2.1.3 Autorità locale:Dato che non siamo stati in grado, nonostante I nostri nu-merosi tentativi, di incontrare i politici, abbiamo chiesto al-cune informazioni, a proposito dei loro compiti, al County Council:

“Il councilor traccia le politiche; abbiamo un incontro con lui ogni 3 mesi […] I politici non assistono la gente; bloccano ed interferiscono con la gestione di quella particolare area.”Francis

Mantenere gli abitanti di Mathare in una situazione di per-manente bisogno, assicura loro uno spazio semi-permanen-te di voti facili, in cambio di piccoli regali e promesse giusto in tempo per le elezioni.

2.2 Reti informali:In molti modi la baraccopoli è un mondo a sé. Sotto molti aspetti Mathare è isolata dalla città di Ngong, nonostante la contiguità territoriale, ed il 61% dei nostri intervistati ha affermato di non ricevere assistenza. Questo dato è par-ticolarmente importante in quanto strettamente legato alla sfiducia nel sistema pubblico ma anche in quanto ri-sultato dell’esclusione sociale degli abitanti di Mathare e dell’isolamento della baraccopoli dai canali ufficiali di sostegno e di assistenza.

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Questo tipo particolare di esclusione è denominato “spaziale” e colpisce persone che vivono in contesti particolari come quello della baraccopoli. Queste persone possono essere im-pedite dal partecipare pienamente alla vita economica e so-ciale o possono trovarsi in maggiore difficoltà nell’incontrare lavoro a causa dello stigma che può essere loro affibbiato.Questa esclusione spaziale è il risultato ed insieme una causa della povertà perché nega ad alcune persone i diritti e le opportunità così come sono fruibili dagli altri individui nella società. L’esclusione sociale spiega perché alcuni grup-pi di persone rimangono più poveri di altri, hanno meno cibo, meno acqua, sono meno politicamente ed economi-camente coinvolti, ed è meno probabile che beneficino dei servizi. Inoltre, l’esclusione sociale è una delle cause princi-pali di conflitto e di insicurezza all’interno della comunità, sia perché li è negata una voce nel decision-making, sia per-ché i giovani si sentono alienati dalla società ed esclusi dalle opportunità di impiego.Lungo gli anni gli abitanti di Mathare hanno iniziato a creare una rete di solidarietà e di mutua assistenza, in par-ticolare a favore dei malati e delle persone anziane che ven-gono assistite economicamente ed emotivamente. Molti dei lavoratori del vicino mercato stipulano speciali accordi con le famiglie che prevedono la possibilità di ricorrere al credito. Ci sono alcune CBOs (Community Based Organ-izations) che lavorano con i sieropositivi e con i disabili. Hanno persino costituito un corpo di polizia interno alla comunità che pattuglia la baraccopoli durante il giorno. In questo quadro le chiese ed i loro progetti hanno un ruolo fondamentale.

Abbiamo intervistato, a questo proposito, il padre della Catte-drale Cattolica e il pastore di una chiesa Pentecostale di Ngong:

“Attività legate alla chiesa, guida pastorale, offriamo anche pic-coli lavori alle persone; […]; abbiamo il “Restore Hope Insti-tute” che gestisce corsi in diversi campi, come i lavori domestici, l’informatica, la sartoria, inoltre stiamo progettando un corso di meccanica; abbiamo un Welfare Fund che funziona come una banca, è nato 12 anni fa: raccogliamo le donazioni e li inve-stiamo in progetti sociali […]; riguardo la sicurezza alimentare non abbiamo un progetto vero e proprio, ma quando ci sono delle emergenze chiamiamo il Dipartimento pace e giustizia della Diocesi che a sua volta contatta i donatori o altre parroc-chie per raccogliere denaro per cibo e oggetti.”Padre John Kariuki_Cattedrale Cattolica di Ngong

“Abbiamo CBOs per le persone disabili, facciamo attività pas-torali e corsi in diverse materie, sto anche tentando di finanziare le persone talentuose che sono nella comunità in modo che non perdano le possibilità che le loro qualità gli forniscono.”Pastore Peter Nderito_First love pentecostal church

La capacità di riscatto sociale degli abitanti della baraccopoli è tale da minare lo stereotipo che li vede tesi verso l’esterno in totale dipendenza dagli aiuti e dalla carità.

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“Senza diritti fondiari sicuri, gli individui e le comunità vivono sotto il pericolo constante dello sgombero, il che incide su una serie di diritti umani fondamentali.”Institute for human rights and business - Land Rights Issues in In-ternational Human Rights Law; Elisabeth Wickeri & Anil Kalhan

“Sai, spesso accade che le persone che vivono qui da lungo tempo, affit-tino ad altre, chi prima arriva, prima vende.”Un village elder di Mathare

Quadro generaleLa proprietà della terra è un aspetto critico nella baraccopoli di Mathare. La baraccopoli non è altro che un insediamento informale su di un terreno che ufficialmente appartiene al governo. “Temporaneo”, è un aggettivo che qualifica Matha-re nelle parole delle autorità così come nelle parole dei suoi abitanti, da punti di vista diversi. Nella sua “slum upgrading strategy” del 2005, il governo ammette che “un denomina-tore comune nelle baraccopoli urbane e negli insediamenti informali in Kenya è l’assenza della sicurezza della proprie-tà o della residenza”. Si impegna a “regolarizzare la terra allo scopo di integrare gli insediamenti nella cornice fisica ed economica dei centri urbani”. Sette anni dopo questa promessa non è ancora stata realizzata.L’area chief vede con preoccupazione la situazione nella baraccopoli, in particolare in relazione al sovrappopola-

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mento e all’insicurezza; allo stesso tempo è molto chiaro nel descrivere la questione della proprietà della terra.Riportiamo qui un estratto dell’intervista con lui (24 Otto-bre 2012):

Legenda → Ricercatore: - ; Intervistato: *

- Come funziona l’inserimento di una nuova famiglia a Mathare?

* Mathare è solo un villaggio, non è un posto permanente, esiste un piano del ministero dell’interno per dislocare quelle persone; la comunità è cresciuta in un clima di corruzione sostenuto e ali-mentato dal vecchio Chief, ora noi non possiamo più permettere che altri si insedino nel villaggio.

- Le persone che vivono a Mathare sono proprietarie della terra e delle case in cui vivono?

* No

- Il Ministro della sicurezza interna George Saitoti originario di Mathare e deceduto in un incidente aereo lo scorso giugno aveva promesso concedere la proprietà della terra agli abitanti di Math-are, è corretto?

* Sì, il Ministro si era adoperato per tale scopo ma non è stato in grado di portarlo a termine perchè è morto.

La maggioranza degli abitanti di Mathare arriva nella barac-copoli spinta dalle circostanze, attratta dalle possibilità di

impiego e da un affitto accessibile, in un’area in evidente crescita economica, più “accogliente” di Nairobi ma, con-temporaneamente, non lontana da essa. Di conseguenza, la maggior parte della gente di Mathare non pensa alla barac-copoli come alla propria casa o come una sistemazione permanente, ma al contrario la identifica come una dispo-sizione momentanea, come un passo iniziale verso una vita migliore. Tuttavia, la realtà è che molte persone sono ingur-gitate all’interno della baraccopoli e spesso finiscono per passare là il resto della loro vita. Trenta delle 160 famiglie del nostro campione hanno risposto “Mathare Ngong” alla domanda “Da dove vieni ? “.Il grafico che segue riflette, in percentuale, i dati aggregati emersi dalle risposte ottenute alla domanda: “Da quanto tempo vivi in questo luogo (baraccopoli di Mathare)?”:

Come abbiamo detto, nonostante la tendenza di una larga maggioranza degli abitanti di Mathare sia quella di conside-rare la baraccopoli come una sistemazione momentanea do-vuta alle circostanze, il grafico dimostra come quasi la metà del campione viva nella baraccopoli da più di cinque anni;

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ma particolarmente interessante è il fatto che un 16 % è nato, cresciuto e ha creato una famiglia a Mathare, così che attual-mente c’è una seconda generazione di persone nate nella slum. Inoltre, è emerso che mediamente il totale degli inter-vistati vive nella baraccopoli da almeno 12 anni, ben lontano da un periodo di transizione; probabilmente ciò è dovuto al fatto che il guadagno medio degli abitanti di Mathare non permette nessun tipo di risparmio e conseguentemente al-cun tipo di pianificazione a medio-lungo termine; oltre a ciò, come abbiamo dedotto dai dati raccolti, c’è un piccolo ma influente gruppo di portatori di interessi, a cui fa particolar-mente comodo il mantenimento della situazione attuale, per i vantaggi, sia politici che economici, che ne possono trarre.

Gestione della proprietàLa gestione della terra è un’ulteriore questione delicata. Nonostante il governo sia il proprietario ufficiale del ter-reno, ci sono alcune persone che esercitano le funzioni e i compiti propri di un proprietario, e un vasto numero di per-sone che pagano loro l’affitto. Un village elder ci ha spiegato questa peculiare situazione:

Legenda → Ricercatore: - ; Intervistato: *

– Le gente della baraccopoli paga un affitto?

* Sì, alcuni lo pagano, ma è un affitto veramente basso.

- A chi lo pagano?

* Al proprietario, ma la terra appartiene al governo.

- Perchè solo alcuni pagano l’affitto mentre gli altri no?!

* Alcuni non lo pagano perchè sono proprietari della terra

- Ma com’è possibile che qualcuno sia proprietario della terra se la terra appartiene al governo?

* Sai, Spesso capita che le persone che vivono lì da più tempo affit-tino parte della terra ad altre, prima arrivi, prima vendi.

è evidente, confrontando questa dichiarazione con le no-stre interviste, che le informazioni sono contraddittorie. Abbiamo registrato l’esistenza di una struttura informale composta da persone e regole attorno alla gestione della terra. Il costume che si è creato attorno a questa fumosa si-tuazione si riflette nelle spiegazioni quasi mai esaustive che le persone ci davano durante le interviste. Tuttavia, basan-doci sui nostri dati, ci sono alcuni individui che comprano “informalmente” la proprietà della terra, la quale rimane comunque proprietà del governo, ma da ad una stretta cer-chia di persone l’autorità e il tacito consenso per esercitare il ruolo di proprietari, affittando baracche o pezzi di terreno a prezzi variabili. Questa, tra l’altro, è una delle ragioni per cui chi possiede terreno preferisce affittarlo piuttosto che colti-varlo (solo il 9% degli intervistati coltiva un pezzo di terra):

- Ci sono persone nella slum che possiedono e coltivano terra?

* Quasi nessuno, chi ha terra preferisce affittarla, l’agricoltura è troppo costosa”.

Un village elder

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Tale sistema è ben lontano dall’ essere un caso circoscritto, come si può intuire elaborando le risposte alle domanda, “Chi è il proprietario della terra in cui vivi?”:

La maggioranza afferma che la terra dove vivono appartiene ad un privato. Considerato che nel nostro campione il 69% dei residenti paga un affitto, i dati trovano conferma.La gestione della terra risulta essere un enorme business nella baraccopoli ed un mercato remunerativo. Mediamente ogni nucleo familiare paga un affitto di 1292,59 ksh al mese e tutte le famiglie prese insieme spendono 726636 ksh al mese (7200 euro), al di fuori di qualsiasi cornice legale o riconoscimento ufficiale di tale pratica.

AbitazioniAltra questione legata all’accesso alla proprietà della terra è quella delle abitazioni. Nella baraccopoli non c’è nulla di simile ad una casa, vi sono solamente insediamenti infor-

mali. Le parti interessate non trovano convenienza nel co-struire alloggi in un posto come Mathare, che è temporaneo ed impossibile da rintracciare in qualsivoglia registro. Le baracche solitamente sono fatte di lamiera, legno e fango, e le condizioni di vita sono realmente misere.Il Kenya è parte del Patto internazionale sui diritti economi-ci, sociali e culturali, ed è legalmente vincolato a rispettare, proteggere e realizzare il diritto ad un’abitazione adeguata, previsto dall’articolo 11(1). Il Comitato delle NU sui diritti economici, sociali e culturali ha chiarito che la sicurezza del-la proprietà è uno dei requisiti per determinare l’adeguatezza dell’abitazione. Inoltre, nel rapporto seguito alla sua visita in Kenya nel Febbraio 2004, il Relatore Speciale sul diritto ad un’abitazione adeguata sancisce che “la complessità del sistema normativo che regola l’abitazione e la terra ha fatto poco per garantire la sicurezza della proprietà o per facili-tare il godimento del diritto ad una abitazione adeguata”.

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Sgomberi forzatiLa mancanza di sicurezza sulla proprietà significa, anche, che gli abitanti delle baracche sono particolarmente esposti al rischio di sgomberi forzati. Gli sgomberi forzati sono una violazione dei diritti umani che il governo è obbligato a proi-bire e a prevenire. Il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite definisce gli sgomberi forzati come “la permanente o temporanea rimozione contro la vo-lontà degli individui, delle famiglie e/o delle comunità dalle case e/o dal terreno che occupavano, senza la previsione, e l’accesso ad appropriate forme di protezione legale o d’altro tipo ..” (General Comment No 7, paragrafo 3). La Commis-sione diritti umani delle NU ha inoltre riconosciuto che gli sgomberi forzati costituiscono violazioni gravi di una se-rie di diritti umani, in particolare del diritto ad una abita-zione adeguata (Commissione Diritti Umani, Risoluzione 1993/77, paragrafo 1).Solo un piccola parte del nostro campione mette lo sgom-bero tra le ragioni principali che rendono la vita degli abi-tanti della baraccopoli insicura; la lotta quotidiana per la vita li porta spesso a considerare la minaccia di sgombero come incerta ed in ogni caso lontana nel tempo se confron-tata con problemi quali il cibo, l’acqua, l’affitto, la sicurezza o l’igiene. Tuttavia, ciò non significa che gli abitanti di Matha-re non siano consci del problema:

“ La terra non è nostra, esiste il rischio dello sgombero.”Samuel W_residente di Mathare

Le autorità sono impegnate nel risolvere il problema; d’altra parte la Costituzione del Kenya non proibisce gli sgombe-ri forzati, e le sue disposizioni non sono state interpretate dalle corti in modo da includervi tale protezione. Inoltre non esistono leggi specifiche che proibiscano o prevengano gli sgomberi forzati.

“Possiamo essere sfrattati in qualsiasi momento da Mathare.”Evelyne K_residente di Mathare

“Le condizioni di vita sono misere e affrontiamo la minaccia degli sgomberi.”Agnes K_residente di Mathare

“Spero che la gente cambi la sua attitudine e trovi un lavoro e che il governo riallochi il posto e crei dei programmi di empowerment; ma è molto probabile che arrivino i buldozzer e demoliscano la baraccopoli.”Martha L_operatrice sociale

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“L’igiene è comunemente nota come pulizia o come le condizioni e le pratiche che servono a promuovere o preservare la salute. Una popolazione che non prende in considerazione l’igiene è a rischio di infezioni e malattie. Una migliore abitazione, una migliore nutrizione e un’igiene migliore sono le componenti essenziali per la guerra contro le malattie infettive.”Greene, 2001

“Puoi prendere le medicine solo quando hai i soldi per farlo.”Agnes K_abitante di Mathare

La gente di Mathare vive in una situazione di costante in-salubrità. Abitazioni precarie ed inadeguate sono state co-struite nella baraccopoli con materiali guasti. Il territorio di Mathare si spiega per 22 acri con una densità di 38’345 persone per km². Tale sovraffollamento si traduce in troppo poco spazio per ciascuna persona; solitamente una stanza nella baraccopoli viene condivisa da 4 persone, che la utiliz-zano per cucinare, dormire, e vivere. La mancanza di servizi di base, la presenza di fogne a cielo aperto, le strade non pavimentate, l’incontrollato scarico dei rifiuti e l’ambiente inquinato rendono la vita nella baraccopoli malsana e peri-colosa. Le baracche sono costruite in luoghi pericolosi, ina-datti all’insediamento umano. Il Kenya è parte del Patto sui diritti economici, sociali e culturali:

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Articolo 12“1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di tutti a godere del più alto standard di salute fisica e mentale.

2. Le misure che gli Stati parti del presente Patto dovranno prendere per assicurare la piena attuazione di tale diritto comprenderanno quelle necessarie ai seguenti fini:

(a) la diminuzione del numero dei nati-morti e della mor-talità infantile, nonché il sano sviluppo dei fanciulli;

(b) il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene ambien-tale e industriale;

(c) la profilassi, la cura e il controllo delle malattie epide-miche, endemiche, professionali e d’altro genere;

(d) la creazione di condizioni che assicurino a tutti servizi medici e assistenza medica in caso di malattia”.

Il 74,4% del nostro campione ha accesso ad un bagno, ma poche persone ne hanno uno in casa, la maggioranza lo con-divide con le famiglie che vivono nello stesso complesso di baracche, solitamente dalle 3 alle 5; cosicché un bagno è usato in media da 12-20 persone. Il 25,6% non ha nessun accesso ai servizi igienici, di queste persone il 39% paga 5 scellini per i bagni pubblici (ce n’è uno costruito nel mezzo della baraccopoli dal Costituency Development Fund del governo, ed un altro immediatamente fuori, ai confini del

mercato). Il rimanente 61% di coloro che non ha accesso ad un bagno, non paga ed utilizza le cosiddette “Flying toi-let” (le feci vengono evacuate in sacchetti di plastica che poi vengono gettati nelle fogne o ai lati della strada).Il problema principale di Mathare legato alle condizioni igieniche è la presenza di una grande discarica situata a ridosso della baraccopoli. La discarica è grande circa un quarto dell’intera baraccopoli.Di seguito una mappa esplicativa:

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La prossimità della discarica palesa come il suo impatto sulla vita degli abitanti della baraccopoli sia enorme. I rifiuti arrivano da tutta l’area di Ngong e in alcuni casi anche da altri luoghi. I bambini sono soliti andarci a giocare, molti di loro sono affetti da diarrea e da problemi respiratori. Il sito diventa ancor più nocivo quando i materiali lì presenti vengono bruciati, o quando, durante i periodi di pioggia, le fogne che lo circondano si gonfiano e trascinano i rifiuti fino ai campi di sukuma wiki (un vegetale tipico della zona), il quale normalmente viene venduto al mercato. La gente è “rassegnata” alla situazione; nella maggior parte dei casi non hanno alternative o altri posti dove andare, ma la percezione dei danni provocati dalla vicinanza della discarica, è indub-biamente molto chiara. Il 59% degli intervistati pensa che la discarica contamini il cibo che mangiano, e l’80% pensa che colpisca negativamente la qualità della loro vita.

In che modo la discarica contamina il cibo che mangi?

In che modo la discarica influenza la qualità della tua vita?

Cattivo odore e un fumo nero che si leva dall’area della di-scarica, sono le prime cose che si notano avvicinandosi. Una enorme quantità di mosche attratte dalle fogne e dai rifiuti, infesta i campi di sukuma wiki, il mercato, fino alle baracche e agli “hoteli” (parole swahili che sta per ristorante) dove la gente mangia. L’ “ambiente sporco” si riferisce ad una serie di cattive conseguenza associate all’interazione tra la discarica e gli effetti causati dalle piogge, in particolare, lo straripare delle fogne, le alluvioni e la contaminazione del terreno e del cibo. La malattie più comuni che affliggono gli abitanti ed attribuibili alla discarica sono la diarrea, che a volte diventa cronica, i problemi respiratori (infezioni pol-monari), e la malaria.La gente che afferma che la discarica non colpisce il loro cibo e la qualità della loro vita, motiva questa posizione so-stenendo che la discarica si trovo troppo lontano da loro per

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avere effetti palpabili. In realtà, la distanza tra le baracche e la discarica non supera mai i 500 metri. Un’altra parte di queste persone semplicemente ammette di non avere altre alternative o di essere abituata alla discarica ed ai suoi effetti.La questione della discarica è molto controversa. Le per-sone sono colpite negativamente dalla sua presenza ma, allo stesso tempo, molte famiglie riescono a sopravvivere solo grazie ad essa. Molti vi lavorano, raccogliendo materiali (come plastica e vetro) che poi vendono.

Esiste un piano governativo per rimuovere la discarica e piazzarla in un altro luogo, ma le persone che vi lavorano stanno protestando, perché la discarica è la loro fonte prin-cipale di guadagno e senza quella le loro condizioni potreb-bero diventare anche peggiori.

Quando sono malati, quasi tutti gli abitanti di Mathare van-no all’ospedale pubblico di Ngong, situato a circa 1,25 km

“Quella che tu chiami discarica, io la chiamo fabbrica.”Abitante di Mathare

“La speranza è che venga spostata da un’altra parte dove è prevista una fabbrica di riciclaggio. Colpisce la salute della gente e la crescita dei bambini, ma è anche una questione controversa: ci sono molte persone che non vogliono che la discarica venga spostata perché lavorano là, anche le autorità non sembrano essere troppo determinate a proseguire con il progetto dato che ricevono denaro dalla gente che lavora lì.”John K._ Padre della Cattedrale Cattolica di Ngong

dalla baraccopoli. Solo un 7% del campione va dal curatore (tradictional doctor) e solitamente solo quando non può permettersi le cure. A parte questo, la maggior parte della gente di Mathare considera i servizi dell’ospedale accessibili e non troppo cari. Il vero problema è l’accessibilità dei me-dicinali. La gran parte degli intervistati si reca in farmacia dove le medicine sono sempre disponibili ma solo un 38% degli intervistati afferma di potersele permettere sempre.

I medicinali diventano un bene di lusso strettamente legato alla capacità economica delle persone, le quali vivono so-prattutto di lavori casuali e di guadagni incerti.

“I medicinali essenziali sono un elemento cruciale per combattere le malattie; così, avere accesso ad esse a prezzi convenienti, sebbene sia un requisito insufficiente in sé, è essenziale per la realizzazione degli obiettivi del millennio connessi alla salute (MDGs) e per partecipare agli altri bisogni sanitari dei paesi in via di sviluppo.”MDG gap task force report 2011, UN

“A volte non ho comprato le medicine di cui avevo bisogno perché non potevo permettermele.”Ann N_abitante di Mathare

“Sono asmatico e spesso non posso permettermi le mie medicine.”David_Abitante di Mathare

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L’Hiv/Aids a Mathare è un grande problema di salute ed un fattore di esclusione sociale. Siamo stati in grado di in-tervistare solo poche persone dal virus dell’Hiv, non perché siano poco presenti nella baraccopoli ma piuttosto perché è stato difficile trovare qualcuno disposto ad accompagnarci ad intervistarli. Spesso vivono da soli, non ricevono visite se non è strettamente necessario. Dipendono dall’aiuto e dalle donazioni della comunità, solitamente amici, parenti o qualche CBO (la più grande a Mathare si chiama “Live in Positive”). L’isolamento fisico e talvolta emotivo non è ne-cessariamente accompagnato da un abbandono nella mi-seria. Inoltre gli anti-retrovirali sono forniti gratuitamente dal sistema sanitario nazionale. Tuttavia, le sfide che i malati devono affrontare ogni giorno sono persino più dure se confrontate con quelle degli altri abitanti di Mathare.Dato che la situazione economica per i sieropositivi è molto dura, qualcuno è spinto dalle contingenze a vendere le pro-prie medicine. Alcune di queste sono utilizzate nella fab-bricazione del “Changaa” (un liquore tipico ma illegale in Kenya, molto comune nelle baraccopoli) per renderlo più alcolico.è importante notare che il 21% del nostro campione cita la salute/igiene come il primo bisogno a Mathare, e il 48% la cita come una delle esigenze principali, persino prima del cibo e della sicurezza. Questa è un’indicazione di quanto la salute e l’igiene siano concetti ampi, che racchiudono in loro molte declinazioni che influenzano fortemente la vita degli abitanti della baraccopoli in tutti i suoi aspetti.

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Foto Daily Nation – scontri a Ngong

“Il luogo è molto insicuro, non puoi andare in giro da solo dopo le 20.”Stanlas, abitante di Mathare

“Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.”Art. 3, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

5.1 Un nuovo concetto di sicurezzaNegli anni ’70 e ’80 l’attenzione verso la sicurezza è cresciuta all’interno di un approccio multidimensionale a questa ma-teria. Questo dialogo si è sviluppato anche in Africa, sotto la spinta del cosiddetto “Kampala Movement”, un’iniziativa dei rappresentanti della società civile africana riunitisi a Kampala, in Uganda, nel 1990. Il Movimento fece pressioni sui leader africani perché ridefinissero la loro politica di si-curezza come un fenomeno multidimensionale che va oltre le questioni militari e che include anche aspetti economici, politici e sociali. Questo dibattito internazionale ha portato la comunità delle Nazioni Unite ad elaborare un diverso concetto di sicurezza che è stato delineato nel Rapporto sul-lo Sviluppo Umano del 1994 del UNDP intitolato “Nuove Dimensioni della Sicurezza Umana”.Sicurezza umana significa, in particolare, la tutela dalle mi-nacce croniche come la malnutrizione, le malattie e la re-pressione; ma significa anche protezione dai rischi gravi

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e improvvisi della vita di tutti i giorni. La lista dei pericoli per la sicurezza umana è lunga e il rapporto ha evidenziato 7 grandi ambiti: sicurezza alimentare, sicurezza personale, sicurezza politica, sicurezza sanitaria, sicurezza di comunità, sicurezza ambientale e sicurezza economica.La sicurezza umana è una sorta di traduzione della filoso-fia dei diritti umani nel concetto di sicurezza. La sicurezza umana è umano-centrica; le importanti dimensioni mirano al benessere degli individui ed a rispondere ai bisogni delle persone nell’affrontare l’origine delle minacce. Oltre a pro-teggere gli Stati da aggressioni esterne, la sicurezza umana si espanderebbe fino a includere un più ampio spettro di pericoli, tra cui, per esempio, l’inquinamento, le malattie e le privazioni economiche. La realizzazione della sicurezza umana coinvolge non solo i governi, ma anche una più am-pia partecipazione di attori diversi, come le organizzazioni regionali e internazionali, organizzazioni non governative e comunità locali.

Sicurezza umana e sviluppo umano sono strettamente lega-ti. Se non viene garantita la sicurezza personale dai pericoli, dalle minacce alla vita e alla proprietà, gli esseri umani non possono impegnarsi in attività di sviluppo che riescano a dominare le avversità come la fame e la povertà. La sicu-rezza umana non deve semplicemente essere vista come un diritto fondamentale; essa è una base per il progresso in altri settori, compresa la salute, l’alimentazione e lo sviluppo di istituzioni democratiche e per la costruzione della pace.

5.2 Sicurezza a Mathare (Ngong)Le persone che passano lungo le vie strette di Mathare guardando le case fatte di lamiera, le fognature a cielo aper-to, i luoghi sporchi, potrebbero pensare che questi siano i soli problemi. Più si sta lì, più si riesce a capire che le per-sone che abitano a Mathare non solo affrontano privazioni e mancanza nei bisogni fondamentali, ma anche violenza, insicurezza e, in qualche caso, esclusione sociale.Questo scenario è interamente confermato dai dati. Anche se l’Assistente del Chief sostiene che gli episodi di insicurez-za sono molto superficiali, più dell’83% degli intervistati ha raccontato di aver vissuto episodi di insicurezza nella loro zona, come mostrato nel grafico sottostante.

Hai mai avuto problemi di sicurezza a Mathare?

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“La sicurezza è pessima quasi sempre. Non passano neanche due giorni senza che succeda qualcosa.”Ruth W.

“Abbiamo sperimentato l’insicurezza quasi sempre e ogni giorno va peggio.”Peter N.

I problemi legati alla sicurezza sono molti:- Aggressioni a scopo di rapina (ogni persona che ha vis-suto qualche problema di sicurezza ha confermato che gli attacchi e le rapine sono il problema principale legato alla sicurezza)- Incendi dolosi (molti residenti hanno raccontato che questo problema è abbastanza comune. L’incendio vi-ene utilizzato dai malviventi come diversivo per attirare la gente al di fuori delle proprie abitazioni, lasciandole incustodite e per questo facilmente derubabili. Indub-biamente la gestione di un incendio nel contesto della baraccopoli è impensabile: facilmente le fiamme posso investire a catena le baracche circostanti e difficilmente si dispone della quantità necessaria di acqua per conte-nerlo o fermarlo)- Polizia (alcune persone hanno detto di aver paura della polizia perché corrotta e più interessata ad uccidere le persone scomode che a proteggere la comunità)- Corruzione (qualcuno ha confessato che è difficile agire in un contesto in cui tutto passa attraverso la per-sonale possibilità di corrompere l’altro)

Inoltre, è risultato evidente che la discarica non è soltanto un problema di salute ma anche una questione di sicurezza; evidenziando come sia uno dei luoghi più pericolosi della baraccopoli stando all’opinione dei suoi residenti.

La percezione degli abitanti di Mathare è che la sicurezza sia un qualcosa di molto importante per le loro vite. Dai dati raccolti con le interviste, possiamo vedere come la sicu-rezza sia il terzo bisogno menzionato nella comunità, dopo il cibo e la salute. è una delle principali ragioni che spinge gli intervistati a dire di non sentirsi sicuri a Mathare (60%). Tra quelli che dicono di sentirsi sicuri a Mathare, il 65% lo dice perché è consapevole della situazione di insicurezza dell’area e ci è abituato.

L’insicurezza diventa, poi, sfiducia e paura e accresce la ten-denza per l’aggressione piuttosto che per l’aiuto reciproco. A causa della paura, è meglio non riportare cosa succede alla polizia o al Chief. La situazione di sfiducia produce in-certezza sociale e crea una situazione nella quale le persone sono focalizzate solo sul presente.Anche se l’Assistente del Chief ha sostenuto che non ci sono problemi ma sfide per quanto riguarda la sicurezza, molti abitanti di Mathare ne soffrono. Queste le parole del Pastore Peter Nderito: “la cosa più importante è che c’è molta povertà. Questa cosa è strettamente legata con molte altre questioni come l’insicurezza, i furti, la prostituzione,

“Quella discarica è un grosso problema in fatto di sicurezza. Le persone che ci lavorano generalmente sono scontrose con le altre e qualche volta ubriache.”Joseph N.

“E’ meglio non riportare niente al Chief se non vuoi essere so-spettato. Non si può mai sapere cosa succede con la polizia.”Residente di Mathare

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le droghe, i bambini che abbandonano la scuola e altre an-cora”. Invece Martha Lutomia, un’assistente sociale, spiega che i problemi principali sono la mancanza di denaro, la mancanza di posti di lavoro, l’ambiente non adeguato e che per queste ragioni non si possono tenere oggetti di valore o apparecchi elettronici in casa.

Riceve una qualche assistenza?

Questa situazione finisce per peggiorare la sensazione di vulnerabilità dei residenti, che sono costretti a ripiegare su se stessi. Mary sottolinea che “ci si deve arrangiare da soli”, o “ognuno per se stesso” come dalle parole di Lukas. Inoltre, chiedendo “dove vai se hai bisogno di assistenza?” diverse

“Uno dei problemi principali secondo me è che non ci sono abbastanza soldi per educare I bambini, per la salute e per migliorare la condizione delle case.”Padre John Kariuki

persone rispondono “non so dove andare” o “nessuno ti può aiutare”, risposte confermate ed esacerbate quando si intervista chi da poco tempo è parte della comunità.In risposta alla condizione di esclusione ed insicurezza dif-fusa, le persone di Mathare si sono organizzate in reti. Du-rante la ricerca abbiamo incontrato diversi gruppi e CBOs che lavorano con giovani e disabili, per esempio, ma solo un gruppo legato alla sicurezza: la polizia di comunità. Ab-biamo intervistato il segretario del gruppo per avere spie-gazioni sul suo funzionamento.

Il corpo di sicurezza è composto da 15 persone tra i 25 e i 35 anni e da qualche membro anziano che guida il gruppo. Escono ogni sera e anche durante il giorno, non sono ar-mati. Ogni comunità ha la propria polizia comunitaria ed esiste anche una sorta di collaborazione tra queste polizie; per esempio, se un ladro passa da una comunità ad un’altra, la polizia comunitaria deve informare sia il Chief sia la comunità in cui il ladro è entrato. Ogni polizia comunitaria deve essere riconosciuta dal Chief, il quale dà il permesso di operare in una determinata area, come Joseph ha sottoline-ato: “la prima persona che ti dà il mandato per operare è il Chief ”.

“Questo gruppo è nato nel 2002 a causa dell’alto livello di in-sicurezza e della volontà da parte della comunità di affrontare questa situazione. L’idea è che dobbiamo farci noi la sicurezza come comunità. Abbiamo informato la polizia e il Chief che volevamo collaborare con loro e loro han confermato questa possibilità.”Joseph N.

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Il gruppo non è finanziato da qualcuno ma la comunità chiede 20 scellini al mese per ogni nucleo familiare per aiu-tare chi ha subito una sciagura e per ricompensare i membri del gruppo per il servizio offerto. L’idea originale era quella di dare una diaria settimanale, un rimborso spese, ma può succedere che la comunità non disponga di denaro e che non sia in grado di pagare. Diversamente dall’idea iniziale, la ricompensa diventa di circa 200 scellini a mese. La polizia di comunità incontra mensilmente il Chief dell’area di riferi-mento con lo scopo di rapportare circa la situazione della si-curezza ed in riferimento ai principali problemi riscontrati.

Secondo Joseph N., i risultati del gruppo sono positivi, provano a regolare l’insicurezza della comunità e qualche volta ci riescono. Joseph sostiene che al momento la situa-zione è più tranquilla e migliore rispetto a qualche anno fa e spera che possa migliorare ancora.

“Non tutti possono diventare membri della polizia comuni-taria. È l’intera comunità che propone i migliori giovani della comunità per entrare in questo gruppo. Non è un incontro for-male ma consultiamo i membri della comunità, gli anziani del villaggio e in questo modo troviamo i giovani migliori.”Joseph N.

“Ci sono mai stati episodi di violenza in relazione alla polizia comunitaria?” “noi non usiamo la violenza ma qualche volta abbiamo un approccio rigido, dipende dalla situazione. Se il ladro vuole scappare, lo si prende, lo si lega con una corda e poi si chiama la polizia.”Joseph N.

Nonostante questo, la situazione rimane drammatica ed in-cide notevolmente sugli abitanti dello slum.

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“L’acqua è una risorsa naturale limitata e un bene pubblico fonda-mentale per la vita e la salute. Il diritto umano all’acqua è indispensa-bile per condurre una vita dignitosa.”General Comment No.15_ Patto Internazionale sui Diritti Eco-nomici, Sociali e Culturali_2002

“Vivono in un’area in cui non sono proprietari della terra e così non possiamo costruire un dispensario o strutture permanenti. La sfida principale è l’acqua, loro non ce l’hanno, e la salute è molto scarsa. Ci sono molte malattie, si diffondono molto velocemente a causa della prostituzione e delle droghe.”Un funzionario del County Council di Olekajuado

è difficile considerare l’acqua come un argomento separato da quello più ampio della sicurezza alimentare, consideran-do il legame scontato che intercorre tra il bene e il cibo o l’igiene, solo per citare due dei principali temi legati ad essa.Il 28 luglio 2010, con la Risoluzione 64/292, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha espressamente sancito il diritto umano all’acqua e alla salute e ha riconosciuto che l’acqua potabile e l’igiene sono essenziali per la realizzazione di tutti i diritti umani.Nelle linee guida fornite da diverse agenzie delle Nazioni Unite l’acqua viene definita come un bene che deve essere sufficiente, potabile, fisicamente accessibile e di basso costo per tutti.

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Sufficiente:

La fornitura d’acqua per ogni persona deve essere sufficiente e continua per usi personali e domestici. Questi usi normal-mente includono il bere, l’igiene personale, il lavare i vestiti, la preparazione del cibo e l’igiene della famiglia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), servono tra i 50 e i 100 litri per persona al giorno in modo tale da as-sicurare che i bisogni fondamentali siano soddisfatti e che non si creino problemi di salute.A Mathare non c’è l’acquedotto e dato che non è un luogo permanente non c’è l’interesse da parte della autorità locali a costruire strutture fisse.La gestione dell’acqua a Mathare è una questione com-plessa. Abbiamo provato a ricostruire il sistema che si cela dietro ad essa nel migliore dei modi ma rimangono irrisolte alcune incoerenze che emergono dal confronto tra le infor-mazioni ricevute grazie alle interviste le quali evidenziano un’intricata rete di interessi, regole non scritte e corruzione del tutto impermeabile.L’acqua è fornita da singoli progetti idrici finanziati da vari enti o da privati che la vendono, prelevandola dal loro pro-prio pozzo, a prezzo variabile. I proprietari privati sono comunque costretti a chiedere un permesso per trivellare il terreno all’Autorità per la Gestione delle Risorse Idriche (AGRI).

“L’acqua non è abbastanza per tutte queste persone.”Un ingegnere nel Ministero dell’Acqua e dell’Irrigazione per l’area del Kajiado

I principali progetti idrici a Mathare sono tre:

1. Il Progetto Idrico della Chiesa Pentecostale dell’Est Africa (PCEA)Dato che la PCEA si trova fuori Mathare abbiamo chiesto alcune informazioni ad una chiesa collegata che si trova nella baraccopoli:

2. Il Progetto Idrico della Cattedrale Cattolica di Ngong

3. Il Mathare Water Projectè un progetto governativo avviato dall’ex parlamentare Saitoti e finanziato dal Constituency Development Fund (CDF). Il pozzo creato attraverso collegamenti esterni por-

“L’acqua che abbiamo qui arriva dalla chiesa PCEA. La com-priamo da lì per 100 scellini all’unità (1000 litri) e poi la ri-vendiamo a 4 scellini/20 litri. L’acqua è per tutti, non solo per le persone della chiesa, e la vendiamo allo stesso prezzo per tutti. L’unico problema che abbiamo qualche volta sono i tubi che passano per tutte le baracche e arrivano qui dalla PCEA. Ogni tanto il tubo si rompe per i lavori pubblici.”Pastore della Chiesa Pentecostale del Primo Amore

“Abbiamo iniziato un pozzo che andava fino ad una cister-na vicino al cimitero, ma l’acqua non era abbastanza, poi ci siamo collegati al pozzo dell’Accademia della Cattedrale di San Giuseppe, ma ora è in riparazione. Vendiamo l’acqua a 5 scellini per 20 litri per coprire i costi della manutenzione e il salario del guardiano della scuola.”Padre della Cattedrale Cattolica di Ngong

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ta l’acqua fino ad una cisterna vicina. L’acqua è venduta al costo di 3 scellini ogni 20 litri. Circa il 50% del campione si rifornisce dal pozzo in questione. La maggioranza dei no-stri intervistati sostiene che l’acqua e sempre disponibile, ma il 26%, al contrario, afferma che l’acqua non è disponi-bile tutto il tempo. In alcuni casi è disponibile solo poche ore durante il giorno, in altri solo alcuni giorni durante la settimana o solo una volta a giorno.

Informazioni Generali sul CDF (www.cdf.go.ke)

Il Fondo è stato iniziato nel 2003/04 per facilitare il decentra-mento delle risorse nazionali e incrementare la partecipazione delle comunità locali nel processo decisionale come, per esempio, nell’identificazione di un progetto, nella definizione delle priorità e nella sua implementazione.

Il Ministro, in accordo con il Comitato per il Fondo delle Circo-scrizioni, per ogni anno finanziario stanzia fondi per ogni circo-scrizione.

Le aree approvate di finanziamento sono: amministrazione, borse di studio, scorte di emergenza, attività sportive, monitoraggio e valutazione , ambiente.

Riguardo alla gestione del progetto governativo abbiamo chiesto delle informazioni al rappresentante del Ministero dell’acqua e dell’irrigazione:

Gli abitanti di Mathare in media hanno accesso a circa 63 litri per famiglia a giorno, quindi una persona di solito usa solo 15 litri a giorno, più di quattro volte al di sotto della soglia indicata dalle Nazioni Unite!

Tab. Riepilogo del fabbisogno del livello di acqua per promuovere la salute

Dalla tabella vediamo come gli abitanti di Mathare abbiano un “accesso basico” all’acqua, che permette il consumo ma rende difficile raggiungere un livello adeguato di igiene per-sonale e del cibo, e rende quasi impossibile pulire i vestiti e gli oggetti di casa. Per questo solo poche persone, di solito donne, fanno il bucato nelle loro case chiedendo dei soldi

“C’è un comitato per ogni progetto, composto da alcuni benefi-ciari, ogni anno in un incontro con il Chief e con il Ministero vengono cambiati con una votazione.”

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per il servizio. Il risultato è che il livello di preoccupazione per la salute per queste persone è alto.

Potabile:L’acqua necessaria per ogni uso personale o domestico deve essere potabile, perciò libera da microrganismi, sostanze chimiche e pericoli radioattivi che rappresentano una mi-naccia alla salute della persona.Abbiamo chiesto al rappresentante del Ministero dell’acqua e dell’irrigazione di spiegare le fasi di implementazione di un progetto idrico:

Successivamente abbiamo chiesto se esiste un controllo sulla qualità dell’acqua:

Le persone di Mathare non hanno mai riferito di alcuna for-ma di controllo da parte delle autorità, e qualcuno di loro riporta lamentele rispetto alla scarsa qualità dell’acqua che definiscono “salata”.

Fisicamente accessibile:Ognuno ha diritto ad un servizio idrico e di igiene che sia fisicamente accessibile entro, o nelle immediate vicinanze

“Innanzitutto facciamo un esame idrogeologico, poi l’Autorità nazionale per la gestione dell’ambiente fa un resoconto degli impatti sull’ambiente e poi possiamo iniziare a trivellare.”Joseph J._Ingegnere

“Il Ministero della Salute è incaricato di questo, fanno analisi chimiche e biologiche periodiche”

della sua famiglia, dell’istituto di istruzione, del luogo di la-voro o delle strutture sanitarie.Secondo l’OMS, la fonte idrica deve essere entro i 1000 metri da casa. Abbiamo rilevato che, grazie all’alta concen-trazione di case e strutture in un piccolo spazio, com’è tipico delle baraccopoli, la distanza dalle fonti idriche non è un grosso problema.Mediamente la distanza tra le case e le fonti d’acqua è di 213 metri. Nonostante ciò, il trasporto dell’acqua rimane ancora un problema, in particolare per le persone malate e anziane che devono delegare, a pagamento, per questo o alternativa-mente fare affidamento sull’aiuto dei parenti.

A basso costo:L’acqua, e gli impianti e i servizi idrici, devono essere acces-sibili economicamente per tutti. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) indica che i costi per l’acqua non dovrebbero superare il 3% del reddito di ogni famiglia.Il reddito medio giornaliero per nucleo familiare a Mathare è di 368.67 scellini, la spesa media giornaliera per l’acqua per l’intera familiglia è di 12.17 scellini, cioè il 3.3% del red-dito normale a Mathare, appena oltre la soglia delle Nazioni Unite; ma si rilevano casi individuali per i quali la spesa per l’acqua costituisce anche il 10% del reddito giornaliero.

“L’acqua è sempre disponibile, ma facciamo fatica a pagarla.”Caroline, abitante di Mathare

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L’acqua è una necessità e un diritto; è chiaro che nel caso di Mathare non sussistono le condizioni minime perché il diritto ad un adeguato accesso all’acqua possa essere sod-disfatto.

L’acqua è uno dei bisogni principali nella baraccopoli per il 13% del nostro campione. Sappiamo che l’acqua non è un singolo concetto ma è strettamente correlato con altre que-stioni. Considerando assieme, per esempio, acqua e igiene, vediamo che il 60.6% degli abitanti di Mathare li considera come la prima necessità nella baraccopoli; la percentuale cresce se aggiungiamo la percezione riguardo altre questio-ni legate all’acqua come il cibo e i vestiti, tanto che il 100% del campione considera l’acqua, nel suo senso più ampio, il primo problema nella baraccopoli.

“[...] I costi diretti e indiretti e gli oneri connessi all’assicurare l’acqua devono essere accessibili e non devono compromettere o minacciare la realizzazione di altri diritti del Patto.”General Comment No. 15 _ Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali _ 2002

“Dove il raggiungimento di un pieno accesso a un livello base del servizio non è stato raggiunto, iniziative politiche dovreb-bero impegnarsi ad aumentare il numero di famiglie con questo livello di servizio.”Domestic Water Quantity, Service Level and Health_Guy Howard; Jamie Bartram_ WHO 2003 - www.who.int/wa-ter_sanitation_health/diseases/WSH0302.pdf

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“Oggi più di 17.000 bambini moriranno di fame. Uno ogni cinque secondi. 6 milioni di bambini all’anno. Il mondo ha cibo più che a sufficienza. Tuttavia, oggi, più di un miliardo di persone soffrono la fame.”Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, nel suo discorso al Vertice Mondiale per la Sicurezza Alimentare nel novembre 2009, www.un.org/en/issues/food/taskforce/stmt.shtml

“In futuro sarà più difficile procurare cibo a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.”Ann, abitante di Mathare

7.1 – Quadro generale e definizioneLa definizione di sicurezza alimentare che è stata adottata dal Vertice Mondiale sulla Sicurezza Alimentare nel 1996, descrive il concetto come “una situazione in cui tutte le per-sone, in ogni momento hanno accesso fisico ed economico a cibo sufficiente, sano e nutriente per soddisfare le loro esi-genze dietetiche e preferenze alimentari per una vita sana ed attiva”.Questa definizione introduce diverse dimensioni del con-cetto.

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In aggiunta alle dimensioni della sicurezza alimentare, pos-siamo anche analizzarne i diversi livelli.

La definizione della FAO che abbiamo citato sopra (“in ogni tempo”) ci porta a prestare attenzione anche alla relazione tra insicurezza alimentare e tempo.

I modelli riportati sono stati sviluppati durante diversi anni di lavoro sul campo e hanno trovato il loro posto nel pano-rama legale internazionale. Il diritto ad un’alimentazione adeguata come diritto umano è stato formalmente ricono-sciuto per la prima volta dalla comunità internazionale nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, come parte del diritto ad un tenore di vita dignitoso.

è stato inoltre riconosciuto nell’articolo 11 del Patto Inter-nazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, stru-mento legalmente vincolante per tutti gli Stati che l’hanno ratificato.

“Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a ga-rantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla si-curezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovan-za, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.”(art.25, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)

1. Gli Stati Parte del presente Patto riconoscono il diritto di ognu-no ad un tenore di vita sufficiente per sé e la propria famiglia, inclu-sa l’alimentazione, il vestiario e l’abitazione, e al continuo miglio-ramento delle condizioni di. Gli Stati Parte prenderanno misure appropriate per assicurare la realizzazione di questo diritto […].

2. Gli Stati parte del presente Patto, riconoscendo il diritto fonda-mentale di ogni individuo alla libertà dalla fame […].(art.11, Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali)

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In quanto Stato parte del Patto, il Kenya è obbligato a pre-sentare un rapporto periodico sulla realizzazione dei Diritti Economici, Sociali e Culturali. L’ultimo rapporto è stato presentato nel 2006 ed esaminato dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali nella sua sessione del mag-gio 2008. Nelle sue Osservazioni Conclusive, il Comitato riconosce un certo numero di progressi e sviluppi positivi, ma esprime la sua preoccupazione per gli effetti negativi della corruzione continua sulla realizzazione dei diritti eco-nomici, sociali e culturali come anche le alte disparità nei livelli di godimento dei diritti economici, sociali e culturali, compreso l’accesso alla terra e notato che queste disparità hanno portato a tensioni interetniche e contribuito alle vio-lenze post-elettorali del 2007.La FAO, inoltre, ha adottato nel 2004 le “Linee Guida sul Diritto al Cibo”, con lo scopo di offrire una guida per gli Sta-ti su come implementare il diritto al cibo. Nel 2000, è stato stabilito il mandato del Relatore Speciale sul Diritto al Cibo dall’ex Commissione sui Diritti Umani per promuovere la piena realizzazione del diritto al cibo e l’adozione di misure a livello nazionale, regionale e internazionale. Nello stesso anno, la comunità internazionale ha adottato l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio No.1 che ha come obiettivo lo sradi-camento della povertà estrema e della fame.A livello regionale, la Carta Africana sui Diritti e il Benessere dei Bambini, della quale il Kenya è Parte, riconosce in par-ticolare il diritto al cibo all’interno del diritto alla salute. Secondo l’art.14, gli Stati Parte devono “assicurare la forni-tura di cibo sufficiente e acqua potabile”. In base all’articolo 20.2 devono anche prendere tutte le misure appropriate per

assistere i genitori o altre persone responsabili per i figli e, dove necessario, dovrebbero fornire assistenza e supporto materiale, in particolare in relazione all’alimentazione.Possiamo trovare il diritto al cibo anche nella nuova Costituzione Keniana del 2010.

Un serio ostacolo per la piena realizzazione del diritto al cibo in Kenya sono le diffuse diseguaglianze economiche e sociali e l’esclusione politica delle persone che soffrono l’insicurezza alimentare nel paese. Il Kenya è uno dei paesi più diseguali nel mondo e, nonostante gli aumenti del PIL negli ultimi anni, le discrepanze tra ricchi e poveri sono cresciute. La distribuzione del reddito in Kenya è estrema-mente ineguale con il 10% delle famiglie al vertice che con-trolla il 42% del reddito totale mentre il 10% più basso con-trolla meno dell’1% e questo rende il Kenya il decimo paese più ineguale del mondo.La diseguaglianza è aggravata dalla corruzione sia su grande che piccola scala. La Commissione Nazionale del Kenya sui Diritti Umani ha sottolineato che la diffusa corruzione nelle autorità statali equivale a serie violazioni dei diritti eco-nomici, sociali e culturali, compreso il diritto al cibo.

“Ogni persona ha il diritto:

(a) al più alto livello possibile di salute, che comprende il diritto ai servizi sanitari, compresa l’assistenza sanitaria di base;

[…] (c) di essere libera dalla fame,e di avere cibo sufficiente di qualità accettabile.”Art.43, Costituzione del Kenya, 2010

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La situazione della fame in Kenya si è seriamente aggravata negli anni scorsi. Secondo il sondaggio economico del 2009 del Kenya National Bureau of Statistics, le ragioni sono “piogge insufficienti in alcune parti del paese, violenze post-elettorali e alti prezzi dei prodotti agricoli”.La situazione è sottolineata con le statistiche generali della FAO e del WFP relative al paese. Secondo queste ultime, la prevalenza di persone sottonutrite nel paese è pari al 33% negli ultimi anni: il dato è il più alto della me-dia dell’Africa Sub-Sahariana. Il Rapporto sullo Sviluppo Umano dell’UNDP del 2011 classificava il Kenya tra i paesi del mondo con “basso sviluppo umano”, ponendolo 143° su 187 Paesi.Nel District Profile sulla Sicurezza Alimentare nel Distretto del Kajiado, abbiamorilevato per lo più gli stessi dati con all’incirca metà degli abitanti del distretto al dì sotto della linea di povertà. Il segmento più sottonutrito dei residenti, secondo il District Profile, è esposto a infezioni alimentari dovute a cattive condizioni di salute (a causa di uno scarso e insostenibile accesso all’assistenza sanitaria) che hanno come risultato una scarsa produttività, intrappolando le famiglie in un circolo vizioso di povertà.

7.2 – La situazione a MathareIl 22% degli intervistati ha menzionato il cibo come il primo dei loro bisogni, e il 46% considera il cibo come uno dei bi-sogni più insoddisfatti nella baraccopoli. Il mais è l’elemento basilare della dieta keniana. L’ugali, il piatto principale, è un porridge di farina di mais che solitamente si mangia accom-

pagnato con una salsa di verdure o carne, o semplicemente con latte fermentato. Anche piatti di mais e fagioli bolliti (githeri) e mais, fagioli, verdure e patate (irio) sono comuni. La purea di platano (matoke) è un’alternativa al mais. Altri alimenti base sono la cassava e le patate dolci, e il riso nella zona urbana.Le persone si considerano ben nutrite quando possono ot-tenere cibo sano in quantità, varietà e qualità sufficiente per sostenere le loro vite. Hanno bisogno di cibo che fornisca energia per la crescita, per l’attività fisica e per le funzioni umane basiche, dal respirare e pensare alla circolazione e di-gestione. Quando la fame interrompe queste funzioni vitali, le persone muoiono. Ma quando la scarsa nutrizione com-promette in maniera insidiosa queste funzioni ogni giorno, è il futuro che viene silenziosamente penalizzato.Ai bambini, se il loro sviluppo viene ostacolato, è negata la realizzazione del loro pieno potenziale. Adulti malnutriti non riescono a sviluppare l’intera gamma delle loro pos-sibilità e sono incapaci di funzionare al meglio. Come già detto, la sicurezza alimentare può essere definita come “[la condizione] quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a cibo sano, sufficiente e nutriente [per raggiungere] i loro bisogni alimentari e preferenze di cibo per una vita attiva e salu-tare”. Comprende quindi la disponibilità di cibo, l’accesso delle persone al cibo e il suo corretto utilizzo, come anche la stabilità di tutte queste tre componenti.Questa definizione include le dimensioni qualitative della sicurezza e della nutrizione, collegando la sicurezza alimen-

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tare ai bisogni di energia, proteine e nutrimento delle per-sone per la vita, l’attività, la gravidanza e la crescita. Puntare alla sicurezza alimentare significa assecondare il potenziale per una vita piena e attiva. Lo sviluppo umano è l’espansione delle capacità: la libertà che hanno le persone di condurre vite che abbiano valore.

Disponibilità:La quasi totalità del nostro campione (94%) si procura il cibo acquistandolo dal mercato di Ngong, che offre lavoro a molti degli abitanti della baraccopoli. In questo contesto non è insolito assistere alla stipula di accordi tra commer-cianti e famiglie che permettano l’acquisto del cibo “a credi-to”. Il 2,5% si serve dei piccoli hotel della baraccopoli (dalla parola kiswahili “hoteli” che si significa ristorante), per lo più gestito da donne all’interno delle proprie case. Non mancano le persone che contano sugli aiuti e le donazioni di amici e parenti, in genere persone anziane e malate, so-prattutto sieropositive.Solo il 9% del nostro campione ha terra da coltivare; l’uso della terra è riservato ai proprietari terrieri di Mathare e tut-to deve prima passare per il consenso dei village elders. Le persone che possiedono terra sono ovviamente legate alle autorità locali, o comunque il perimetro di terra riservato alla coltivazione è così piccolo che è quasi irrilevante per l’autosufficienza. Inoltre, spesso, la terra coltivata è molto vicina alla discarica e quindi molto esposta all’inquinamento atmosferico e alla contaminazione del suolo.La gente di Mathare è totalmente dipendete dal cibo che può essere acquistato, così ogni giorno la possibilità di

mangiare dipende dal reddito giornaliero che riescono a racimolare da lavori incerti.

Accesso al cibo:

Riuscire ad accedere al cibo è centrale per la sicurezza ali-mentare. Come Amartya Sen ha osservato nella sua classica opera: “La fame è la situazione di alcune persone che non hanno abbastanza cibo da mangiare. Non è la situazione in cui non ci sia abbastanza cibo da mangiare”. Quando le per-sone sono affamate, in genere non è perché il cibo non sia disponibile ma perché sono troppo povere per acquistarlo.La spesa media in cibo per una famiglia di Mathare è di 248 scellini a giorno cioè il 67,3% del reddito medio. Se faccia-mo un confronto tra la percentuale della spesa media per il cibo a Mathare con la percentuale di tutto il Kenya, vediamo che a livello nazionale nel 2006, prima della crisi dei prezzi dei prodotti alimentari, si spendeva il 45,8% della spesa to-tale dei consumi delle famiglie.Dall’altro lato, se facciamo un confronto con un paese eu-ropeo, per esempio l’Italia che aveva, nel 2010, una spesa media del 22%, vediamo come un abitante di Mathare spen-da più di tre volte quello che un italiano spende di solito in cibo, in rapporto al proprio reddito.Scarse opportunità di impiego con salari decenti ostacolano la capacità delle persone di acquistare cibo; in più di qual-

“Non ci sono fattorie attorno; potrebbe essere un qualcosa di molto importante per persone senza un lavoro e un modo per sostenere se stessi.”Padre John K_Cattedrale Cattolica di Ngong

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che caso la spesa per il cibo supera il reddito giornaliero di una famiglia, che, come abbiamo detto, è spesso costretta a comprare “a credito” o a chiedere un qualche aiuto da parte della comunità. Ma anche nelle famiglie povere che riesco-no a dipendere dai salari e dagli stipendi come fonte fonda-mentale di reddito, non sono assicurate da una vita senza povertà e fame.Quasi il 71% dei nostri intervistati afferma che è successo, con diversa frequenza, che non riuscissero a mangiare per un giorno intero.

Quanto di frequente?

è molto significativo che il 37% non riesca a mangiare spes-so, e spesso significa una, anche due volte in una settimana; e il 54% non riesce a comprare qualcosa da mangiare al-meno una volta a mese.

Uso del cibo:Anche quando il cibo è immediatamente disponibile e ac-cessibile, un buon nutrimento e lo sviluppo umano non se-guono automaticamente. La sicurezza alimentare dipende anche da un uso corretto del cibo, il quale include avere una dieta varia, evitando perdite di principi nutritivi nella pre-parazione del cibo, avendo acqua pulita e igiene ed energia adeguati per assicurare l’igiene base per la preparazione del cibo, per la sua conservazione e il suo consumo; e assicurare le funzionalità di base nella salute e nell’educazione. Una carenza in qualsiasi area può portare a malnutrizione.Abbiamo già riportato rispetto alla condizione e le man-canze di acqua e di igiene, sappiamo anche che a Mathare non ci sono acquedotti e di rado disponibilità di risorse elet-triche quindi diventa molto difficile una corretta preparazio-ne del cibo; un altro grande problema è la dieta: sappiamo che una dieta corretta deve essere varia e deve fornire tutte le componenti necessarie al benessere e ad una corretta crescita per i bambini. La gente di Mathare principalmente

“La fame è esclusione – esclusione dalla terra, dal reddito, da la-vori, guadagni, dalla vita e dalla cittadinanza. Quando una per-sona arriva al punto di non avere niente da mangiare, è perché tutto il resto è stato negato. È una forma moderna di esilio. È la morte in vita...”.Josué de Castro, Sociologo brasiliano and Presidente della Commissione Esecutiva della FAO dal 1952 al 1956_2004 - www.fao.org/righttofood/righttofood/rtf_voluntary_guide-lines/about_en.htm

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mangia sukumawiki, ugali, githeri e riso. La dieta è molto statica, ricca di carboidrati ma scarsa di proteine e vitamine.

Stabilità:Col termine si intende stabilità dei prezzi e della fornitura di cibo. I prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale sono cresciuti in maniera drammatica nel 2007 e nel primo e secondo quadrimestre del 2008, creando una crisi globale e causando instabilità politica ed economica e disordini so-ciali sia nei paesi poveri che in quelli sviluppati.I risultati elettorali del 2007 hanno causato veri e propri scontri etnici che hanno invaso principalmente le baracco-poli, costringendo centrinaia di migliaia di persone ad ab-bandonare la propria casa.Molti degli sfollati erano famiglie di contadini della Rift Valley, il “granaio del paese”. Il deficit alimentare del paese è salito quando molti contadini non sono riusciti a piantare nel 2008. I prezzi dei generi alimen-tari e del carburante sono ancora alti in Kenya, rendendo difficile per le comunità povere cittadine e rurali accedere al cibo di cui hanno bisogno. Nel giugno del 2009, il prezzo del mais, il prodotto basilare più importante della nazione, era circa il doppio di quanto era due anni prima. è ovvio che anche Mathare e i suoi abitanti sono colpiti dalla crisi in termini di accessibilità economica al cibo e continuità nella fornitura di generi alimentari.

Percezione del rischio:Le percezioni soggettive del rischio sono particolarmente variabili perché racchiudono una molteplicità di fattori, compresa l’impressione individuale dei rischi obiettivi, le aspettative individuali riguardo alla sua esposizione ai ri-schi, e la sua abilità di mitigare (ex ante) o far fronte (ex post) con gli eventi indesiderati se si verificano. Una cattiva percezione sulla capacità futura, in questo caso, di procurare cibo, può avere pesanti conseguenze nella maniera in cui le persone si rapportano alla vita e nella maniera in cui le per-sone affrontano le difficoltà.Il 70% dei nostri intervistati ammette che in futuro sarà più difficile per loro procurarsi da mangiare, e il 10% sostiene che non è prevedibile; solo il 10, spesso confidando in Dio, pensa che in futuro sarà più facile.Le ragioni di questa grigia prospettiva sul futuro sono mol-te, ma la maggior parte degli abitanti di Mathare stanno sof-frendo per l’insicurezza giornaliera che devono affrontare a causa dell’assenza di un lavoro permanente e di un salario stabile nel quale confidare e che gli permetta di avere un qualche risparmio per prevenire le difficoltà future. Inoltre, è necessario mettere questo dato in relazione con la costante preoccupazione legata all’aumento del costo della vita e in particolare dei generi alimentari, fattori che mettono a re-pentaglio le possibilità delle persone di migliorare le pro-prie condizioni e di vivere con dignità.

“Da quando Kibaki è al potere il cibo è molto costoso.”Patrick, abitante di Mathare

“Il prezzo delle materie prime alimentari sta crescendo.”Ruth, abitante di Mathare

“Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale […] nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati.”Dichiarazione Universale dei Diritti Umani_1948_art.28

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Lo scopo di questa pubblicazione era quello di analizzare la situazione generale della baraccopoli di Mathare (Città di Ngong) concentrandosi sull’accesso al cibo per gli abitanti della baraccopoli, in particolare bambini e donne.Mathare rappresenta un contesto complesso e dinamico dove diversi aspetti sono mescolati assieme. Le conseguen-ze di dinamiche locali, nazionali ed internazionali coesi-stono nello stesso luogo creando un puzzle di elementi che sono difficili da esaminare separatamente. Abbiamo analiz-zato la situazione dell’accesso al cibo a Mathare attraverso le sue principali declinazioni, partendo dalla situazione ge-nerale e dalle condizioni di vita nella baraccopoli, trattando poi problemi che influenzano l’accesso al cibo degli abitanti come l’accesso alla terra, all’acqua e ai servizi igienici.Particolarmente interessante è il paragone tra il reddito e la spesa medi delle famiglie:

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denti di Mathare in media hanno accesso a 63 litri di acqua per famiglia a giorno, quindi una persona di solito usa solo 15 litri a giorno, più di quattro volte al dì sotto della soglia indicata dalle Nazioni Unite.Le condizioni igieniche nella baraccopoli sono molto basse. Le persone vivono in un ambiente congestionato e sovraffol-lato, dove le case vengono costruite con materiali deperibili. Un gabinetto è diviso tra 12-20 persone nella maggioranza dei casi e il 25,6% non ne ha accesso del tutto. Inoltre, la presenza di una discarica colpisce duramente la salute degli abitanti della baraccopoli anche se diverse persone non la considerano rilevante dato che vivono grazie ad essa. La situazione è ancora peggiore considerando il basso reddito degli abitanti che non garantisce l’accesso a cure mediche adeguate e medicine adatte.La gente di Mathare vive in uno stato di insicurezza per-manente. La sfiducia nei pubblici ufficiali e la mancanza di assistenza alimenta in loro il sentore di essere esposti e pro-prietà. In questa condizione, gli abitanti hanno più difficoltà ad impegnarsi in attività di sviluppo che possano arricchire i loro mezzi di sostentamento.In termini di accesso al cibo, le persone vengono considerate ben nutrite e alimentate quando possono ottenere cibo sano in sufficiente quantità, varietà e qualità per sostenere le loro vite. Gli abitanti della baraccopoli, senza un adeguato acces-so a terra coltivabile, dipendono totalmente dal loro reddito per procurarsi da mangiare. Dato che il loro reddito non è costante e sufficiente, il loro diritto al cibo non è garantito.La sicurezza alimentare in questo contesto non è garantita

Il reddito medio giornaliero di ogni famiglia è di circa 370 scellini, 11.060 scellini al mese. Il reddito dovrebbe soste-nere una famiglia di 4,25 persone in media. Guardando alla spesa di una famiglia media possiamo sottolineare che quasi tutto l’ammontare viene speso per comprare il cibo e l’acqua e per pagare l’affitto. Il saldo mensile di ogni famiglia è di 1957 scellini che dovrebbe coprire tutte le spese aggiuntive come le rette scolastiche, i trasporti, le medicine, i vestiti, ecc. Il 70,62% del reddito mensile è usato per nutrire (cibo e acqua) la famiglia, mentre l’11,69% è utilizzato per af-fittare una piccola baracca, il saldo disponibile per le altre spese è solo il 17,69%. Possiamo affermare che una famiglia media nella baraccopoli di Mathare non è nella posizione di risparmiare un solo scellino alla fine del mese. L’analisi mostra come Mathare non sia un’economia di sussistenza ma un’economia di sopravvivenza.L’accesso alla terra colpisce il diritto al cibo degli abitanti di Mathare. A differenza delle loro zone rurali la grande maggioranza della popolazione non pratica l’agricoltura all’interno della baraccopoli e il 69% degli abitanti paga un affitto nonostante la terra sia pubblica. La gestione della ter-ra risulta essere un grande business nella baraccopoli e un mercato molto redditizio. Ogni famiglia paga un affitto me-dio di 1292,59 scellini a mese, il che significa che la barac-copoli “produce” 708.470 scellini a mese per gli affitti. Circa 7000 euro vengono spesi al dì fuori di qualsiasi quadro giu-ridico o riconoscimento ufficiale.Gli abitanti della baraccopoli di Mathare non hanno un ac-cesso sufficiente ad acqua potabile e a basso costo. I resi-

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in tutti i suoi aspetti. La disponibilità e la stabilità sono in-fluenzati dalla volatilità dei prezzi dei generi alimentari e dalla stabilità delle forniture. Inoltre, la scarsità di risorse idriche e la mancanza di un’igiene adeguata impediscono il corretto uso del cibo.Tutte le questioni che abbiamo analizzato in questo libretto sono strettamente legate allo status di insicurezza alimen-tare di Mathare e contribuiscono a creare povertà.La povertà non è direttamente una violazione dei diritti umani ma è “una condizione umana caratterizzata dalla privazione prolungata o cronica di risorse, capacità, scelte, sicurezza e potere necessari a godere di un adeguato stan-dard di vita e di altri diritti civili, culturali, economici, po-litici e sociali” (E/C.12/2001/10, para. 8).Gli abitanti di Mathare sono marginalizzati e abbandonati in uno stato di precarietà, dipendenti interamente dal pro-prio reddito discontinuo. Non hanno protezione sociale, nonostante il Kenya abbia ratificato il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. L’articolo 11 dichiara:“Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto […]”.

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