marzo 2009 gastroenterologia - doc.mediaplanet.comdoc.mediaplanet.com/all_projects/3181.pdf · di...

16
QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO MARZO 2009 TERAPIE E TECNOLOGIE INNOVATIVE MARZO 2009 GASTROENTEROLOGIA

Upload: nguyendien

Post on 14-Feb-2019

217 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

MARZO 2009

TERAPIE ETECNOLOGIEINNOVATIVE

MARZO 2009

GASTR

OENTE

ROLO

GIA

Dal 28 marzo al 1 aprile, in occasio-ne del XV Congresso della Federa-zione delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente (FISMAD) si confronteranno a Milano gli specialisti italiani che si occupano della ricerca e della assistenza nel-le malattie del fegato, pancreas e tubo digerente. In quella occasione saranno dibat-tute problematiche scientifiche e di politica sanitaria.

Ai lettori penso possano interessare al-meno due tematiche:

Quali sono gli avanzamenti della •ricerca e quindi delle tecnologie e delle terapie?Come sta in salute la Gastroen-•terologia Italiana? Quali sono i problemi attuali dell’assistenza e della ricerca scientifica gastroen-terologica?

1 La ricerca Italiana nell’ambito delle malattie del fegato, pancreas e tubo di-gerente è fra le più avanzate del mondo. Questa eccellenza non è opinione di chi scrive ma è basata su valutazioni scien-tifiche obiettive e quindi inconfutabili.

2 Le Malattie dell’Apparato Digerente (tubo digerente, fegato, pancreas) inte-ressano più di dieci milioni di persone e rappresentano la prima causa di ricove-ro in Italia.

3 Rispetto ad esigenze così ampie esi-ste carenza di strutture assistenziali e di specialisti in Gastroenterologia, nono-stante sia documentato che le malattie del fegato, del pancreas e dell’apparato digerente, se curate da persone ad ele-vata specializzazione, guariscono me-glio, in minor tempo e con minor costo.

4 Siamo in una fase in cui gli avanza-menti tecnologici ed i presidi terapeutici consentono prevenzione, diagnosi pre-coci e trattamenti efficaci.Non ci sono dubbi che il Medico deve sapere ciò che gli serve per operare, sa-per fare, cioè compiere gli atti richiesti dalla sua professione, saper essere, cioè entrare in relazione soddisfacente con le Persone che incontra nel proprio eser-cizio professionale. Ma di fronte alle at-

tuali offerte diagnostiche e terapeutiche avanzate - che favoriscono la settoria-lizzazione delle conoscenze e delle ma-nualità - si pone il problema di chi deci-de cosa, quando e come fare.Lo specialista gastroenterologo di cui il sistema sanità ha bisogno non può essere un esecutore di manualità più o meno evolute per conto di un altro me-dico richiedente. Va quindi recuperato e potenziato il ruolo centrale del gastro-enterologo quale clinico che operi in una struttura assistenziale dove il sapere e il saper essere si fondono per scegliere il fare.

5 Esiste ampio consenso che è possi-bile ridurre la spesa Sanitaria, pur offren-do a tutti i benefici che l’avanzamenti della ricerca offre, con la razionalizzazio-ne delle risorse.Tale obiettivo sarebbe certamente favo-rito dalla implementazione istituziona-le di prodotti (Conferenze di Consenso, Linee guida, ecc) elaborati dalle Società Scientifiche che indicano per ogni pato-logia il miglior approccio con la minore spesa possibile.

Prof. Nicola Caporaso Presidente della Società Italiana di Gastroenterologia Ordinario di Gastroenterologia Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Università degli Studi di Napoli “Federico II” II Policlinico - Via Pansini 5, 80131 Napoli e-mail: [email protected]

Mediaplanet with reach and focuswww.mediaplanet.com

Mediaplanet è una casa editrice leader in Europa per la pubblicazione di supplementi tematiciallegati a quotidiani e portali online di economia, politica e finanza.Per ulteriori informazioni : Mattias Rentner Country Manager,+39 02 36269437 [email protected]

GASTROENTEROLOGIA - UNA PUBBLICAZIONE DI MEDIAPLANETProject Manager: Giulia Navarra, Mediaplanet 02-36269429Production Manager: Gianluca Cò, Mediaplanet 02-36269434Produzione/Layout: Daniela Borraccino, Mediaplanet [email protected]: Henry BorziStampa: Il Sole 24 OreDistribuzione: Il Sole 24 OreFoto: istockphoto.com

Editoriale

SOMMARIO- Presentazione del XV Congresso Nazionale delle Malattie Digestive.....................3

- Modelli Organizzativi delle Malattie Digestive.....................................................3

- l Fegato: il futuro è già presente..........................4

- Le Terapie dell’epatite C e B..................................5

- Nuove tecnologie in endoscopia digestiva..............................................6

- Trattamento della colite ulcerosa........................7

- Le Pancreatiti..............................................................7

- I diversi tipi di fermenti lattici............................10

- I probiotici.................................................................12

- Danno epatico da farmaco..................................15

- Colangiocarcinoma................................................15

2 GASTROENTEROLOGIA

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

MARZO 2009

TERAPIE ETECNOLOGIEINNOVATIVE

MARZO 2009

GASTR

OENTE

ROLO

GIA

Presentazione del XV Congresso Nazionale delle Malattie Digestive

Modelli Organizzativi delle Malattie Digestive

Il XV Congresso Nazionale della Fede-razione delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente (FISMAD) è stato organizzato quest’anno a Milano al Convention Center di Fiera Milano City dal 28 marzo al 1 aprile. Come di consueto si aprirà la sera del sabato con la cerimonia inaugurale e si artico-lerà in tre giorni con Letture, Tavole Ro-tonde e Minicorsi le cui tematiche sono state proposte dalle tre Società che fanno parte della FISMAD che è costi-tuita dall’Associazione Italiana dei Ga-stroenterologi Ospedalieri (AIGO), dalla Società Italiana di Endoscopia (SIED) e dalla Società Italiana di Gastroentero-logia (SIGE).Ampio spazio è stato dedicato alle co-municazioni orali, tra le quali le migliori selezionate dal Comitato Scientifico saranno presentate in Sessione plena-ria in Auditorium, che tratteranno ar-gomenti di ricerca di base e di ricerca clinica.Alle tecniche endoscopiche e alle loro applicazioni sono riservate sessioni vi-deo nelle quali saranno discusse meto-diche particolari o innovative di endo-scopia operativa. Il giorno dell’apertura del Congresso, prima della cerimonia inaugurale si svolgerà il Corso SIED e il Corso per infermieri che proseguirà anche il giorno successivo, mentre l’ul-timo giorno sarà dedicato al Corso AI-

GO-SIGE. Uno sforzo particolare è stato fatto per potenziare ulteriormente, ri-spetto ai precedenti Congressi, il LEAR-NING CENTER che avrà spazi più ampi e possibilità di maggior numero di acces-si per medici e infermieri di endoscopia e gastroenterologia. Il training pratico di tecniche endoscopiche diagnosti-che ed operative sarà condotto sotto la guida di esperti su modelli animali e su simulatori elettronici virtuali.Il Congresso Nazionale FISMAD è la ve-trina annuale della gastroenterologia e dell’endoscopia digestiva ed è da sem-pre il più importante appuntamento nazionale per i cultori della gastroen-terologia che hanno l’opportunità di presentare ricerche originali sia di base che cliniche, di puntualizzare lo stato dell’arte di metodiche diagnostiche e/o terapeutiche e di dibattere argo-menti politici ed organizzativi.Tuttavia rappresenta anche un’occasio-ne di incontro tra le Società di Gastro-enterologia e di Endoscopia Digestiva, altre Società Scientifiche e i Medici di Medicina Generale nell’ottica di otti-mizzare i percorsi diagnostico terapeu-tici con un approccio il più possibile multidisciplinare.

Tra i temi più importanti ed attuali che saranno dibattuti sono da segnalare:lo stato attuale in Italia dello screening

di massa per la prevenzione del cancro del colon retto con l’analisi dei primi promettenti risultati, un dibattito sulle criticità emerse e uno sguardo su pos-sibili future evoluzioni;l’approccio non farmacologico dei di-sturbi funzionali dell’apparato dige-rente che rappresentano uno dei più frequenti motivi di richiesta di parere specialistico gastroenterologico ed ancora oggi non hanno una terapia far-macologica univoca ed efficace;la messa a punto dei percorsi diagno-stico-terapeutici della malattie non ne-oplastiche delle vie biliari;la disamina delle metodiche non inva-sive per lo studio della fibrosi epatica e della ipertensione portale e del pro-blema della trombosi portale e delle implicazioni della terapia anticoagu-lante nel paziente epatopatico cronico e cirrotico;le manifestazioni meno frequenti della malattia celiaca;il ruolo dell’intestino nell’equilibrio energetico del paziente obeso;Il ruolo che l’endoscopia riveste nella prevenzione, nella diagnosi precoce ma anche nella terapia curativa delle neoplasie iniziali, per le quali applica tecniche mininvasive e conservative della funzionalità digestiva, e nel trat-tamento palliativo delle neoplasie non operabili con l’intento di migliorare la

qualità di vita dei pazienti.Milano in quei giorni diventerà il punto di incontro dei cultori della gastroente-rologia e di specialità affini accoglien-do almeno millecinquecento medici specialisti, cinquecento infermieri pro-fessionali del settore e numerosissime aziende farmaceutiche e elettromedi-cali che avranno a disposizione un’area espositiva di 4000 mq.

Dott. Cristiano Crosta Presidente XV CNMD Direttore della Divisione di Endoscopia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano

3GASTROENTEROLOGIA

Da qualche anno le Malattie Digestive rappresentano in Italia una delle prime cause di morbidità e morta-lità (patologie oncologiche). Ne consegue: aumento di richiesta di visite ai Medici di Medicina Generale, agli Specialisti, aumento di prestazioni diagnostiche (Ecografie, Endoscopie ecc.).

Inoltre sono aumentati in maniera significativa i rico-veri in emergenza, e quelli in regime ordinario e Day Hospital. Per questo motivo la FISMAD che rappre-senta le più importanti Società Scientifiche del set-tore ha iniziato una collaborazione con il Ministero della Salute allo scopo di “pesare” la Gastroenterolo-gia, attraverso l’analisi delle SDO e delle attività am-bulatoriali.Analizzando prima e studiando poi proposte di mo-delli organizzativi adeguati a rispondere alle esigen-ze di salute del Paese. Il progetto ha mostrato finora, come siano diminuiti ricoveri per patologie tradizio-nali come appendicite e ulcera e siano aumentate quelli per malattie croniche del fegato, intestino, co-lon, e pancreas; così come quelli per patologie onco-logiche digestive: tumori del colon, fegato, pancreas, stomaco ed esofago. Ma il progetto ha anche rilevato come l’organizzazione sanitaria, per questo settore, non sembra adeguata a rispondere oggi a queste nuove esigenze.In Italia, infatti, un paziente con patologie “Digestive” ha meno del 10 % di possibilità di essere curato dallo specialista gastroenterologo: pochi centri, pochi di questi con letti. Ma soprattutto risulta una assenza quasi totale di specialisti sul territorio. Il contrario per esempio, di quanto accade per le Malattie Cardiova-scolari, patologie con simile impatto sulla salute, dove le possibilità di cura specialistica sono di circa il 50 %, ed è elevata la presenza di specialisti sul territorio. La conseguenza, per i malati con malattie digestive è un aumento dei rischi di inappropriatezza: nel prescrive-re percorsi diagnostici e terapeutici (overprescrizione di esami,e farmaci), liste di attesa inaccettabili, de-genze più lunghe, programmi di screening inadegua-ti o assenti, rapporto LEA/nonLEA mediocre, gestione tutta ospedaliera di queste malattie.La continua evoluzione dei saperi genera, una ca-scata di evidenze che modificano continuamente il contesto delle Discipline Mediche e di conseguen-za quello delle Malattie Digestive. In una economia

di scala tutto ciò significa che è necessaria una con-centrazione della casistica per raggiungere soglie produttive critiche che giustifichino gli investimenti necessari sia come ricerca di base che come adde-stramento degli operatori ed acquisizione di tecnolo-gie realmente innovative.È perciò necessaria una logica di rete che permetta di concentrare in alcuni punti le attività che richiedano maggiore competenza ed utilizzo di tecnologie. In re-altà il continuo progresso tecnologico,a costi sempre più alti,spesso senza una adeguato Health Tecnology Assessment e con il risultato della rapida obsolescen-za delle apparecchiature, rende improponibile fornire ad ogni Ospedale tutto ciò che lo specialista richiede per essere up to date con la Letteratura e con l’ espe-rienza di altri Centri Specialistici.

La rete deve peraltro:1) rispondere ad alcuni requisiti di base, come il go-verno dell’accesso, che ne garantisca la razionalità e l’equità;2) essere basata su un coordinamento condiviso del-le scelte di investimento;3) realizzare strutture alternative alla degenza;4) essere dotata di meccanismi informatici di comuni-cazione, integrazione e coordinamento;5) essere integrata fortemente con un sistema di spe-cialisti (da creare) sul territorio e con le reti dei Medici di Medicina Generale (da attivare).

Prof. Gianfranco Delle FaveProf. Ordinario di gastroenterologia II Facoltà di Medicina e ChirurgiaUniversità La Sapienza di RomaResponsabile UOC Malattie Apparato Digerentee fegato

Il carcinoma epatocellulare (HCC) è re-sponsabile di almeno 9000 decessi l’an-no in Italia, in pazienti per lo più affetti da cirrosi virale o alcolica. Il profilo epide-miologico del HCC è mutato negli ultimi decenni, con l’epatite C assunta al verti-ce dei fattori di rischio e con il crescente ruolo della sindrome plurimetabolica, responsabile di numerosi casi di cirrosi “criptogenetica”.L’associazione HCC-cirrosi ha importanti implicazioni nella strategia di diagnosi e cura, in particolare per il crescente nume-ro di pazienti con HCC identificati in fase precoce (con tumore piccolo), per effetto del diffondersi di programmi di sorve-glianza dei pazienti cirrotici con ecogra-fia addominale. La diagnosi precoce fa-vorisce il paradigma terapeutico del HCC, cioè lo sforzo di eradicare il tumore senza compromettere la residua funzione del fegato. L’algoritmo terapeutico delinea-tosi negli ultimi anni, a seguito dell’ab-bandono dei criteri empirici di tratta-mento, basati sulla semplice intenzione di eradicare quanto più tumore possibile, prevede la scelta di trattamenti guidati dalla stadiazione clinica del tumore, cioè dall’estensione del tumore, rapporti con i vasi e funzione residua del fegato. I si-stemi di stadiazione che legano la gravi-tà della malattia neoplastica alle opzioni terapeutiche rispondono all’esigenza di stabilire innanzitutto una prognosi, che a sua volta dipende dalla possibilità di ap-plicare i più efficaci trattamenti radicali. La dissezione della storia naturale del HCC in quattro stadi evolutivi (sistema BCLC di Barcellona) soddisfa a queste esigen-ze. Il sistema considera numero e volume dei nodi tumorali, loro rapporto con i vasi epatici, stadio funzionale della cirrosi se-condo Child-Pugh, stato di benessere ge-nerale del paziente e presenza/assenza di metastasi extraepatiche, identificando il trattamento più efficace per ogni classe di paziente. Lo stadio “precoce” compren-de tumori nei cosiddetti criteri Milano (1 tumore singolo ≤ 5 cm oppure 3 tumori ≤ 3 cm l’uno) senza invasione portale, in pazienti con cirrosi compensata privi di sintomi clinici, cioè con buona Perfor-mance Status. Pazienti opportunamente selezionati hanno sopravvivenze a 5 anni comprese tra 50 e 75% dopo resezione, trapianto ortotopico di fegato o ablazio-ne loco regionale percutanea. I pazienti con tumori più avanzati, ma privi di inva-

sione portale, metastasi extraepatiche e sintomi clinici (stadio intermedio), hanno una prognosi peggiore, con una soprav-vivenza spontanea stimata di 16 mesi. Questi pazienti traggono giovamento da cicli di (chemio)-embolizzazione arterio-sa, con un modesto ma significativo in-cremento di sopravvivenza (20 mesi).Infine, i pazienti con tumore “avanzato” sino ad ieri privi di trattamento pallia-tivo, dispongono oggi di Sorafenib, in grado di prolungare significativamente la sopravvivenza, al prezzo di effetti col-laterali sostenibili, ma con significativo costo economico. A differenza di pochi anni fa, il trattamento del HCC è oggi personalizzato, anche se ognuna delle classi BCLC necessita di affinare la mo-dalità di gestione. Per esempio, esiste un consistente margine di miglioramento per la prognosi e trattamento del tumore attraverso il miglioramento della stadia-zione ed impiegando in combinazione più trattamenti antineoplastici, mentre sono in corso studi di validazione del trattamento adiuvante dei pazienti con tumore precoce, per prevenire le recidi-ve precoci e tardive, che rappresentano un’importante causa di fallimento tera-peutico. Altrettanto sentita è l’esigenza di trattamenti neoadiuvanti per i pazienti in lista attesa trapianto, il cui scopo è con-tenere la progressione del tumore duran-te l’attesa, e prevenire la ricorrenza dopo trapianto. Il trattamento dei pazienti in stadio intermedio può essere potenziato utilizzando nuovi mezzi di embolizzazio-ne arteriosa, come sostanze radioattive (ittrio) e microsfere che rilasciano farmaci chemioterapici.A sua volta, l’applicazione di tecniche di genetica molecolare per l’analisi della cosiddetta firma molecolare del tumo-

re, dovrebbe potenziare la capacità di predire la sopravvivenza, visto che l’ete-rogeneità clinica del HCC esprime etero-geneità patogenetica. Gli studi moleco-lari capaci di riconoscere distinte lesioni patogenetiche, potrebbero selezionare i pazienti anche sulla probabilità di rispo-sta alle cure. L’impiego di farmaci che inibiscono diverse e specifiche catene di segnale cellulare implicate nel HCC, apre la strada all’ulteriore personalizzazione del trattamento farmacologico del HCC, con un importante distinguo rispetto alla chemioterapia convenzionale. Le nuove molecole anti-tumore sono, infatti, dota-te di proprietà citostatiche e si prestano all’impiego tra loro combinato, oltre che a quello adiuvante dei trattamenti radi-cali di consolidata efficacia. Per questi ultimi la chemioterapia convenzionale si è dimostrata non solo inefficace, ma spesso tossica.Due importanti studi multicentrici, mul-tinazionali valutano l’efficacia di Sorafe-nib come adiuvante del trattamento con resezione chirurgica o radiofrequenza del tumore precoce e del trattamento con chemioembolizzazione. In parallelo, emerge il nuovo profilo professionale dell’epato-oncologo, l’epatologo integra-to nel team multidisciplinare costituito da radiologi interventistici, chirurghi ed oncologi si fa carico della gestione del paziente con HCC. Con la nascita della Società Internazionale del Cancro del Fe-gato (ILCA) e la costituzione della Sezione delle Neoplasie Epatobiliari della Società Americana Studio Fegato (AASLD), viene ufficialmente promossa la maturazione del profilo professionale dell’epatoonco-logo.

Il trapianto di fegato è l’unica terapia cu-rativa nei pazienti con malattie di fegato terminali. Questa procedura chirurgica consiste nell’espiantare un fegato irrever-sibilmente ammalato e nel sostituirlo con un organo sano. Il trapianto di fegato, ef-fettuato per la prima volta nel 1962 da Thomas Starzl, si è imposto dai primi anni 90 come opzione terapeutica sempre più efficace. Ciò è dipeso soprattutto dal mi-glioramento delle procedure chirurgiche ed intensivistiche perioperatorie e dallo sviluppo di terapie per il controllo delle complicanze a breve ed a lungo termi-ne, come infezioni e rigetto. Lo sviluppo di potenti farmaci immunosoppressori, come gli inibitori delle calcineurine (ci-closporina e tacrolimus), e più recente-mente di altri, come il micofenolato e la

rapamicina, ha consentito di minimizzare il rischio di rigetto acuto e cronico. Ciò ha permesso di raggiungere risultati di so-pravvivenza a lungo termine, ed anche di qualità di vita, di straordinario vantaggio per pazienti altrimenti destinati a morire. Le indicazioni al trapianto di fegato sono principalmente le cirrosi epatiche avan-zate, di qualunque etiologia (HCV, HBV, alcool-relata, autoimmune, metabolica). È oggi cruciale che i pazienti cirrotici vengano riferiti in tempo utile ai centri di trapianto (cioè non troppo tardi, nè troppo presto), i quali valuteranno se vi è indicazione clinica al trapianto e quale sia la tempistica opportuna. Ciò implica una accurata stima della prognosi, oggi effettuata utilizzando sistemi specifica-mente sviluppati per questo scopo, come

lo score MELD. Altre indicazioni frequenti al trapianto sono i tumori primitivi del fe-gato (limitatamente a tumori in fase pre-coce che non possono essere curati con metodi alternativi), le epatiti fulminanti e diverse patologie pediatriche. I risultati a lungo termine del trapianto di fegato sono oggi eccellenti, con sopravvivenze a 5 anni tra il 70 e l’80% per la maggior parte delle indicazoni. Il trapianto per cir-rosi terminale da HCV, l’indicazione oggi più frequente, si associa purtroppo a re-cidiva di malattia, senza che ciò tuttavia ne comprometta l’efficacia nella maggio-ranza dei casi. In Italia il sistema trapianto di fegato è molto evoluto. I 22 centri tra-pianto attivi sul territorio eseguono com-plessivamente circa 1100 trapianti ogni anno, con ottimi risultati. Questi numeri,

che pongono l’Italia al secondo posto in Europa, sono tuttavia insufficienti per le esigenze del Paese, considerata l’elevata mortalità per epatopatie terminali. Un’ul-teriore crescita del numero dei trapianti è quindi auspicabile, ma necessita di un forte impegno istituzionale e multidisci-plinare a favore dell’aumento delle dona-zioni d’organo, che nelle regioni centro-meridionali è ancora largamente al di sotto della media europea.

Mario Angelico Professore Ordinario di Gastroenterologia Dipartimento di Medicina Interna Università di Roma Tor Vergata [email protected] 06 72596801

Prof. Massimo Colombo Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Università degli Studi di Milano

Il trapianto

Trattamento del carcinoma epatico:un esempio di gestione multidisciplinare del paziente

supportato da BayerHealth Care, propone una serie di incontri che mirano a forni-re aggiornamenti scientifici in tema di diagnosi, stadia-zione della malattia e tera-pie disponibili per i pazienti affetti da epatocarcinoma.

Il progetto ha l’intento di in-coraggiare la cooperazione ed il confronto tra gli specia-listi coinvolti nella gestione del paziente fornendo una visione “paziente-centrica” secondo la quale ogni pa-ziente ha caratteristiche uniche e necessita, quindi, di una gestione individua-lizzata.Infatti, il costante scambio di competenze ed il con-fronto tra le differenti figu-re professionali permetterà di migliorare il trattamento terapeutico offerto ad ogni singolo paziente affetto da epatocarcinoma.

L’EPATONCOLOGIA rappre-senta quindi la risposta ad un cambiamento culturale necessario nella gestione interdisciplinare del pazien-te con HCC, volto a garantir-gli non solo una maggiore aspettativa di vita, ma an-che, e soprattutto, una mi-gliore qualità della stessa.

Il progettoEPATONCOLOGIA,

Prof. Riccardo Lencioni Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana

Prof. Vincenzo Mazzaferro Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori Milano

IL FEGATO: IL FUTURO È GIÁ PRESENTE4 GASTROENTEROLOGIA

L’infezione da virus dell’epatite B (HBV) rimane in Italia un proble-ma rilevante, anche se negli ultimi anni la diffusione della infezione si è ridotta grazie al vaccino. Gli stu-di clinici hanno definito il decorso della malattia, mentre sono state perfezionate tecniche di rileva-mento dell’infezione e resi dispo-nibili farmaci antivirali capaci di controllare la replicazione di HBV. Negli ultimi anni abbiamo co-nosciuto meglio il ciclo di repli-cazione dell’HBV, i meccanismi che favoriscono la persistenza dell’infezione negli epatociti e al-cuni aspetti virologici particolari come “l’infezione occulta” da HBV. I nuovi test per la determinazione e la quantificazione dell’HBV DNA hanno facilitato l’iter diagnostico, hanno permesso di capire la di-namica della risposta alla terapia antivirale e di individuare il feno-meno della resistenza ai farmaci.Con la disponibilità dei diversi farmaci antivirali, i ricercatori e gli specialisti che si occupano del management dei pazienti con epatopatia cronica da HBV hanno osservato una netta riduzione del-la mortalità per scompenso della malattia e una minore necessità di trapianti di fegato. Ma nel “mo-mento dell’abbondanza” dei test diagnostici e delle opzioni tera-peutiche è necessario applicare degli algoritmi diagnostici e tera-peutici che utilizzino al meglio le risorse economiche disponibili e offrano al paziente soluzioni tera-peutiche individualizzate. La malattia da HBV è un processo dinamico caratterizzato dall’alter-nanza di fasi di attiva replicazione e fasi di bassa o assente replicazio-ne virale, che dipendono dall’in-terazione tra il virus e il sistema immunitario dell’ospite. Il decorso dell’infezione è influenzato dalla durata, dalle caratteristiche del virus (il genotipo virale, le muta-zioni virali, i livelli di replicazione) e dell’ospite (la razza, l’età, il sesso, lo stato del sistema immunitario, la presenza di altre malattie cro-niche) e da altri fattori esogeni (il consumo di alcol, l’uso di farmaci o droghe, le co-infezioni virali). Lo spettro clinico dell’infezione da HBV va dalla fase acuta, che può essere asintomatica, allo sta-

to di portatore cronico inattivo, all’epatite cronica con vari gradi di fibrosi fino alla cirrosi e alle sue complicanze (ascite, ittero, ence-falopatia, emorragia delle varici esofagee, sviluppo di epatocarci-noma. La condizione di portatore cronico inattivo di HBV è definita dall’assenza dell’HBeAg e dalla presenza dell’anti-HBe, da bassi livelli di HBV DNA e da valori sem-pre normali delle aminotransfera-si. Il decorso clinico e la prognosi a lungo termine dei soggetti con queste caratteristiche sono beni-gni. I soggetti con epatite cronica da HBV in Italia raramente sono HBeAg positivi, mentre è più fre-quente riscontrare questa forma di epatite nei soggetti immigrati dall’Africa, dai Paesi dell’Europa dell’Est e dalla Cina. Oltre il 90% dei pazienti italiani con epatite cronica da HBV presentano la for-ma HBe negativa con HBV DNA positivo. Questa forma di epatite ha spesso un andamento progres-sivo con un’elevata probabilità di evoluzione in cirrosi. Lo sviluppo della cirrosi è il punto cardine del-la evoluzione dell’epatite cronica da virus B. Nei pazienti HBeAg po-sitivi non trattati con farmaci an-tivirali, l’incidenza di cirrosi va dal 2 al 5% per anno, mentre nei pa-zienti HBeAg negativi, HBV DNA positivi supera l’8%. I pazienti con livelli di HBV DNA elevati sviluppa-no più frequentemente cirrosi ed epatocarcinoma.La disponibilità dell’interferone e dei farmaci an-tivirali orali (analoghi nucleosidici e nucleotidici) ha modificato il de-corso clinico dell’epatite cronica da HBV e il rischio di complicanze. La terapia anticipa nel tempo o aumenta la frequenza degli even-ti virologici che si associano a un miglioramento della storia clinica della malattia o induce la soppres-sione della replicazione virale che è direttamente correlata all’evolu-zione dell’epatopatia. La strategia terapeutica che utilizza l’interfe-ron per una durata definita anti-cipa e/o incrementa la frequenza della sieroconversione HBeAg/anti-HBe, che nei pazienti con epatite cronica HBeAg positiva si associa alla remissione dell’in-fiammazione epatica, all’arresto della progressione della fibrosi e

riduce il rischio di sviluppare cir-rosi ed epatocarcinoma.Anche nei pazienti con epatite cronica anti-HBe positiva il trat-tamento con interferon per un periodo limitato ottiene la sop-pressione dell’HBV DNA a lungo termine e la perdita dell’HBsAg con sieroconversione ad anti-HBs che riducono il rischio di svilup-pare scompenso dell’epatopatia. La strategia terapeutica che uti-lizza gli analoghi nucleosidici (la-mivudina, ormai obsoleta, e più di recente entecavir e telbivudina) e nucleotidici (adefovir e, di recen-tissimo arrivo, tenofovir) ha come obiettivo la soppressione diretta della replica-zione dell’HBV. Questi farmaci di uso orale hanno pro-f o n d a m e n -te cambiato l’approccio al t rattamento d e l l ’e p a t i t e cronica da HBV, dato che sono sommi-nistrati per lunghi periodi con migliora-mento della prognosi dei pazienti con epatite croni-ca o cirrosi da HBV. Tuttavia hanno fatto emergere il problema del-la resistenza. Il virus dell’epa-tite B ha una p a r t i c o l a r e facilità ad ac-quisire farma-coresistenza a causa dell’ele-vata attività replicativa e d e l l ’e l e v a t a frequenza di mutazioni che portano all’ac-cumulo in ciascun indi-viduo infetto di molteplici varianti gene-

tiche, inclusi i mutanti farmaco-resistenti. I ceppi resistenti sono selezionati dalla pressione eserci-tata dal farmaco fino a diventare la popolazione virale dominante. La loro progressiva selezione con il prolungamento della terapia an-tivirale, determina la ricomparsa nel siero dell’HBV DNA, seguito dal rialzo delle aminotransferasi.La resistenza agli analoghi è as-sociata a specifiche mutazioni localizzate nel gene che codifica la polimerasi virale. La diagnosi precoce necessita della periodi-ca determinazione dell’HBV DNA con metodiche che siano in grado di evidenziare anche modeste va-

riazioni della viremia. Il riscontro di positività per l’HBV DNA dopo un periodo più o meno lungo di negatività nei pazienti aderenti alla terapia permette di porre dia-gnosi di farmaco-resistenza.

Prof. Antonio Craxì Professore Ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Palermo; Direttore della U.O.C. Gastroenterologia e Epatologia, AOUP Palermo

Le terapie dell’epatite C

Le terapie dell’epatite B

L’infezione cronica con il virus dell’epatite C è la principa-le causa di cirrosi e di epatocarcinoma nella maggior parte dei paesi occidentali, compresa l’Italia. E’ oggi disponibile una terapia di buona efficacia, che determina completa eli-minazione del virus in oltre il 50% dei casi.La terapia, una combinazione di una dose settimanale di interferone peghilato e di una dose gionaliera di ribavirina, viene utilizzata nei pazienti con malattia epatica attiva ed anche in soggetti giovani con infezione in atto, indipenden-temente dalla presenza di una malattia epatica , soprattutto se infettati dai sottotipi di HCV più facili da curare. Esistono infatti più sottotipi di HCV: il ceppo HCV-1 è meno sensibile alla terapia, richiede spesso durata di trattamento di alme-no 12 mesi e viene eliminato in non più del 30-40% dei casi , i tipi 2 e 3 invece vengono trattati con cicli più brevi di terapia (4-6 mesi) con percentuali di successo del 75-90%. La risposta alla terapia viene definita in base al comporta-mento della viremia, misurata nel sangue e quindi dopo il 1°, 3° e 6° mese di terapia. I pazienti che diventano negativi dopo un mese di terapia hanno un’altissima probabilità di guarigione (oltre 80%), e questa previsione, comunicata al

paziente, risulta di grande efficacia nell’incoraggiarlo a con-tinuare la terapia sopportando gli effetti collaterali.La negativizzazione di HCV-RNA al primo mese viene anche utilizzata per ridurre la durata del trattamento. Nei pazienti che non diventano negativi al primo mese è indispensabile ricontrollare i livelli di HCV-RNA al terzo mese. Se a questo punto i livelli di virus non calano di almeno 2 logaritmi, il paziente va considerato non responsivo e la terapia sospe-sa. Se invece il paziente è negativo, continua la terapia sino a 12 mesi mentre nel caso di risposta più lenta (calo di oltre 2 log ma senza negativizzazione) la terapia viene spesso prolungata sino a 18 mesi. Questi schemi di terapia sono associati ad effetti collaterali, alcuni dei quali fastidiosi per il paziente ma non pericolosi, mentre altri possono avere conseguenze più importanti. I sintomi più frequenti sono febbre, dolori muscolari e stanchezza.La ribavirina può causare dermatiti e prurito. Gli effetti col-laterali più importanti sono quelli ematologici con riduzio-ne dei globuli bianchi, delle piastrine e anemia. Altri effetti collaterali tipicamente associati alla terapia con interferone nel paziente con epatite C sono i disturbi depressivi e ti-

roidei. La maggior parte degli effetti collaterali può essere affrontata con riduzione delle dosi di Interferone o ribavi-rina o con terapie adiuvanti, ma nei casi più gravi puo’ es-sere necessario interrompere la terapia antivirale. Pur se la terapia antivirale oggi disponibile per l’epatite C è buona efficacia, va sottolineato che almeno un 40% dei pazienti risulta non responsivo. Per questi casi sono in sperimenta-zione nuovi farmaci, i più promettenti nella classe degli ini-bitori delle proteasi virali, attesi per il 2011. Dal momento che il virus diventa rapidamente resistente a questi farmaci quando somministrati da soli, essi verranno utilizzati in tri-plice associazione con interferone peghilato e ribavirina, con la prospettiva di aumentare in modo significativo le percentuali di successo, di accorciare ulteriormente la du-rata della terapia e di poter offrire possibilità di cura anche ai pazienti non responsivi alle attuali terapie.

Alfredo Alberti Università degli studi di Padova

5GASTROENTEROLOGIA

L’endoscopia digestiva è oggi considerata indispensabi-le, tuttavia essa esplora solo la superficie del tubo dige-stivo, senza poter fornire dati sullo stato di salute della parete e delle strutture anatomiche circostanti.Un italo americano Eugenio di Magno, negli anni 80, ha avuto l’idea originale di far costruire un endoscopio alla cui estremità è fissata una piccolissima sonda ecografi-ca. E’ nata così l’ecografia endoscopica (EUS).Grazie ai recenti ed importanti perfezionamenti delle apparecchiature, oggi l’ecografia endoscopica è consi-derata utilissima nella pratica clinica.Una applicazione è la diagnosi di lesioni esofago-ga-striche situate al di sotto della superficie mucosa. L’en-doscopia osserva solo una rilevatezza della parete e le biopsie non contribuiscono alla diagnosi. L’EUS defini-sce con precisione se questa tumefazione è dovuta ad una compressione esterna o ad un ispessimento proprio della parete, definendo da quale strato anatomico esso origini. Possono essere diagnosticati tumori benigni come i lipomi o meno benigni come i tumori stromali (GIST), si valuta così la necessità della loro asportazio-ne, e se questa è eseguibile con l’endoscopia o con la chirurgia.Un’altra indicazione dell’EUS è la stadiazione loco-regio-nale dei tumori digestivi dell’esofago, stomaco e pan-creas. E’ noto che i tumori vengono curati con approcci diversi a seconda della loro diffusione. Se limitati agli

strati superficiali (mucosa e sottomucosa) la sola endo-scopia può essere curativa. Se invece l’EUS dimostra un coinvolgimento della parete a tutto spessore vi è indica-zione alla chirurgia. Se sono coinvolti anche gli organi circostanti, allora il primo trattamento sarà la radio-che-mioterapia seguita (se possibile) dalla chirurgia.In questo campo L’EUS si è dimostrata più accurata della TC grazie anche alla possibilità di eseguire un agoaspi-rato con prelievo citologico, però la TC rimane valida per valutare la diffusione a distanza dei tumori digestivi.La diagnosi e la terapia della calcolosi biliare ha avuto un grande sviluppo in questi anni, tuttavia la conferma della presenza di calcoli nel coledoco è stata sempre problematica. La TC non è precisa, la Risonanza Magne-tica è superiore alla TC ma è poco sensibile per i piccoli calcoli ed è scarsamente diffusa, la colangiografia en-doscopica (ERCP) è valida ma gravata da complicanze. L’EUS è la metodica più accurata e sicura per verificare se ci sono calcoli in coledoco. Se il coledoco è libero i pazienti che hanno avuto una colica biliare o una pan-creatite acuta possono essere inviati subito al chirurgo per una colecistectomia laparoscopica se l’EUS invece evidenzia calcoli, il gastroenterologo eseguirà prima della chirurgia una ERCP di pulizia della via biliare prin-cipale. Molto presto l’EUS consentirà di eseguire anche interventi endoscopici al di fuori della parete gastroin-testinale, cioè di chirurgia mini invasiva.

Prof. Giancarlo Caletti Direttore dell’U.O.C. di Gastroenterologia Università di Bologna sede nell’AUSL di Imola Viale Oriani 1 40024 Castel S. Pietro T. (BO)

Nuove tecnologie in endoscopia digestiva

Dall’alta definizione all’endomicroscopia confocale:l’avanzamento tecnologico in endoscopia a supportodi una diagnosi più precisa

Ci può illustrare qual e’ stata l’evolu-zione dell’immagine endoscopica e qual è l’attuale gold standard?L’immagine endoscopica del tratto digestivo si è sviluppata a partire dai primi anni ’60 grazie all’introduzione dell’endoscopia flessibile permettendo dapprima di esplorare esofago, sto-maco e duodeno e poi anche il tratto intestinale inferiore (colon e retto) grazie all’introduzione di endoscopi flessibili manovrabili dall’esterno che sfruttavano le fibre ottiche e consen-

tivano di percorrere le curve del tratto intestinale raggiungendo zone non esplorabili con endoscopi rigidi. Que-sta tecnologia, utilizzata per oltre due decenni ha portato un grosso sviluppo dell’endoscopia digestiva. Le limitazio-ni di questa tecnica erano date dal tipo di immagine. Infatti col tempo, le fibre ottiche subivano deterioramenti e di conseguenza la qualità dell’immagine perdeva progressivamente di defini-zione.L’importante svolta vi è stata con l’in-troduzione negli anni ‘80 dell’endosco-pia elettronica in cui vengono utilizza-te sempre le fibre ottiche per illumina-re l’interno dei visceri ma l’immagine viene ripresa da una microtelecamera che porta l’immagine, elaborata da un processore elettronico a un monitor televisivo. Questa nuova tecnologia (video endoscopia) ha portato indub-biamente ad una maggiore definizione e stabilità delle immagini. Il progresso tecnologico ha portato ad un’evoluzio-ne delle microtelecamere endoscopi-che che sono ulteriormente migliora-te per quanto riguarda la risoluzione delle immagini grazie al progressivo aumento dei punti immagine (pixel). Attualmente gli endoscopi consento-no un’immagine ad alta risoluzione, che è da considerarsi il gold standard diagnostico.Ultimamente grazie agli ulteriori svi-luppi dell’elettronica si stanno perfe-zionando sistemi di endoscopia ad alta definizione con possibilità di elabo-razione delle immagini che mettono maggiormente in risalto anomalie del-la superficie del rivestimento interno dei visceri (la mucosa) e sistemi che ci permettono di fare un esame micro-scopico in vivo (microendoscopia con-focale)

Quali sono i reali vantaggi dati

dall’utilizzo della “microendoscopia confocale” rispetto ad un esame en-doscopico standard?In genere per biopsia si intende il pre-lievo di un frammento di mucosa che verrà poi inviato all’anatomopatologo per l’esame istologico.Attualmente abbiamo a disposizione degli strumenti che ci permettono di fare un’istologia in vivo cioè esami-nare a livello microscopico la mucosa attraverso il cosiddetto sistema di mi-croendoscopia confocale. Con questo strumento, infatti, si possono esamina-re le strutture ghiandolari e vascolari della mucosa, superficiali e profonde, e scegliere il punto in cui eseguire una biopsia mirata nell’area ove si evidenzi-no anomalie della normale architettura dei tessuti.

In definitiva qual è la vera forza di un sistema di “endomicroscopia con-focale”?Indubbiamente l’ingrandimento di 1000 volte dell’immagine endoscopica che ci permette di osservare la strut-tura microscopica delle lesioni che ve-diamo contemporaneamente con un esame endoscopico tradizionale. Pos-siamo così esaminare nello stesso mo-mento la mucosa e le sue ghiandole, i vasi, e i microvasi e interpretare se le alterazioni siano di tipo infiammatorio pre-neoplastico o neoplastico. Anche se siamo ancora ai primi passi in questo genere di tecnologia si presu-me che in futuro si potranno eseguire biopsie mirate con una potenzialità diagnostica molto più elevata rispar-miando tempo e numero di prelievi e si potrà scegliere se eseguire l’asporta-zione di una lesione perché neoplasti-ca o non trattarla perché non neopla-stica. Nei casi in cui esiste una difficoltà a raggiungere una diagnosi, questa tecnica ci potrà aiutare moltissimo,

guidando le nostre biopsie in maniera più accurata.In sintesi la endomicroscopia confoca-le ci fornisce una diagnosi istologica in vivo, senza naturalmente andare a sostituire l’analisi istologica di labora-torio, a cui resta l’ultima parola, ma che chiaramente beneficerà dell’accuratez-za dei prelievi diagnostici forniti.

Quali patologie possono trarre be-neficio da questo sistema?In generale tutte le lesioni non visibili o poco visibili con l’endoscopia tradizio-nale o da tipizzare, come le lesioni pre-cancerose, l’esofago di Barrett, gli ade-nomi dell’intestino, ma anche le neo-plasie iniziali del colon o dello stomaco, certe forme di coliti croniche che sono diagnosticabili solo a livello microsco-pico e la celiachia. Non da ultimo sono in corso ricerche per monitorare in vivo le alterazioni della struttura della mu-cosa determinate da agenti patogeni, farmaci e chemioterapici.

Dott. Cristiano Crosta Presidente XV CNMD Direttore della Divisione di Endoscopia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano

6 GASTROENTEROLOGIA

Immagine EndoscopicaVideoendoscopio Hi Line HD+PENTAX--EC 3890 Fi

Immagine EndomicroscopicaEndomicroscopia ConfocalePENTAX--EC 3870 CIFK

La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che si manifesta in genere tra i 15 ed i 45 anni, per la quale non esistono ad oggi terapie che pos-sano portare ad una guarigione definitiva. Per questo numerosi sforzi sono stati fatti per ottimizzare l’offerta terapeutica finalizzata al controllo della attività infiam-matoria e della sintomatologia che a questa si associa. Il trattamento medico della colite ulcerosa si basa sull’im-piego di farmaci quali la mesalazina ed i corticosteroidi, a cui si sono affiancati i farmaci immunosoppressori ed in tempi più recenti i cosiddetti “farmaci biologici”. L’im-piego di questi farmaci, il cui meccanismo di azione e la cui efficacia sono ben documentati, si associa ad un rischio non trascurabile di effetti collaterali più o meno gravi che possono compromettere la qualità di vita dei pazienti. Il rischio aumenta ovviamente in caso di trat-tamenti prolungati, ad elevato dosaggio o in situazioni particolarmente delicate come ad esempio nella popo-lazione pediatrica. Tra le alternative non farmacologiche alle comuni tera-pie adottate, da alcuni anni si è andata affermando la granulocitoaferesi (GMA). Questa tecnica si è dimostrata in grado di rimuovere dal torrente circolatorio una quo-ta significativa delle cellule coinvolte nella attivazione e mantenimento del processo infiammatorio, favorendo-ne la risoluzione. Il trattamento si basa sulla tecnica di aferesi terapeutica, ed utilizza un macchinario di mani-fattura giapponese (Adacolumn), in grado di rimuovere dal sangue una rilevante quota di una sottopopolazione di globuli bianchi, i granulociti. Esso si realizza attraverso il posizionamento di due accessi venosi che permettono di prelevare il sangue da un braccio, farlo passare attra-verso un filtro specifico, in grado di trattenere selettiva-mente i granulociti, per reinfonderlo immediatamente nell’altro braccio. Ogni trattamento, che viene effettuato in ambiente ospedaliero, dura in media 60 minuti ed un ciclo completo prevede in genere 5 sedute.Il grande vantaggio della granulocitoaferesi è la possibi-lità di associarla al trattamento farmacologico tradizio-nale, accelerandone la efficacia e consentendo di ridurre

il dosaggio e la durata della terapia. Un altro aspetto par-ticolarmente interessante è l’assenza di effetti collaterali, che spesso influenzano negativamente la qualità di vita dei pazienti con colite ulcerosa in trattamento farmaco-logico. Studi recenti hanno mostrato buoni risultati an-che nella popolazione pediatrica, che rappresenta una quota importante della popolazione con colite ulcerosa nella quale, oltre a curare la malattia, vanno garantite due concomitanti e fondamentali esigenze fisiologiche: la crescita e lo sviluppo. In questo caso è di particolare importanza limitare per quanto possibile il ricorso ad al-cuni farmaci, come i cortisonici, sicuramente efficaci, ma che possono interferire con il corretto accrescimento, lo sviluppo sessuale e, conseguentemente, colpire la sfera emotiva dei giovani pazienti.L’ esperienza condotta nel nostro Centro, una delle più ri-levanti in Italia, ci ha fatto osservare buoni risultati nella popolazione adulta nel medio e lungo termine, portan-do ad un miglioramento clinico o alla remissione della malattia in più della metà dei casi. La nostra esperienza, confermando quanto riportato in altri Paesi, indica che il trattamento in particolare nei pazienti con colite ulcero-sa che rispondono in modo inadeguato alla terapia con corticosteroidi o immunosoppressori. E’ proprio in que-sti, infatti, che la granulocitaferesi sembra offrire un rea-le vantaggio rispetto alla sola terapia farmacologica.

La lista dei centri italiani che effettuano tale metodica si può trovare sul sito www.amiciitalia.net dell’associazione dei pazienti. Come noto, tale onlus si occupa di rappresen-tare e tutelare i diritti dei malati affetti da malattie infiam-matorie croniche intestinali.

Prof. Piero Vernia Dott.ssa Valeria D’Ovidio Dipartimento di Scienze Cliniche Policlinico Umberto I Università “La Sapienza” Roma

Granulocitoaferesi nel trattamentodella colite ulcerosa

People creatingnew products

for better healthworldwide

Otsuka Pharmaceutical, S.A.20016 Pero (MI) - via Newton, 12

Tel. +39 02 33.91.23.02www.otsuka.it

Le pancreatiti: la sfida continuaLe malattie del pancreas sono ancora oggi una sfida sia per il ricercatore che per il clinico le pancreatiti, non fanno eccezio-ne.Esse non rappresentano una sola malattia, ma sono piuttosto il momento finale di cause, mec-canismi, lesioni e manifestazioni cliniche diverse. Condividono un’infiammazione del pancreas come risultante di una prema-tura attivazione degli enzimi in esso contenuti e – nelle forme croniche- di processi infiamma-tori che interessano i dotti pan-creatici, innescati da eventi tossici correlati ai mecca-nismi ossido/riduttivi e/o ad alterazioni immunologi-che. Le pancreatiti si manifestano in modo episodico o ricorrente, e diventano croniche se si producono alterazioni irreversibili della struttura pancreatica, con sostituzione del tessuto ghiandolare acinoso con tessuto fibrotico, alterazioni dei dotti escretori e de-curtazione della funzione pancreatica esocrina fino all’insufficienza pancreatica. Gli episodi di pancreatite sono caratterizzati da intenso dolore addominale ed aumento degli enzimi pancreatici nel sangue. In Ita-lia la calcolosi delle vie biliari rappresenta il 60% della cause di pancreatite acuta, seguita dall’abuso alcolico e da altre cause minori, ma in circa il 20% dei casi essa resta ignota. Nell’80% dei casi si tratta di forme lievi che guariscono in pochi giorni, ma nelle forme severe la mortalità raggiunge il 15%, dovuta soprattutto a complicanze locali e generali. Gli obiettivi della gestione della pancreatite acuta sono: identificare la causa in almeno l’80% dei casi; definirne la gravità, contenere la mortalità entro il

10%. La disponibilità di tecnologie -soprattutto endoscopiche- capa-ci di rimuovere alcune cause e di trattare alcune complicanze locali e una migliore gestione generale dei pazienti hanno migliorato il decorso e l’esito della malattia. Le pancreatiti croniche rappresenta-no un ventaglio ancora più vasto di patologie con differenti fattori di rischio, quadri clinici, aspetti morfologici, ma che condividono un processo infiammatorio cro-nico, fibrosi del pancreas, altera-zioni dei dotti e disfunzione del pancreas.

La sua epidemiologia è cambiata: da una malattia quasi solo secondaria ad abuso alcolico, oggi rico-nosciamo quadri anatomo-clinici molto diversificati, con un maggior peso di fumo, fattori genetici, mec-canismi ostruttivi ed autoimmunitari.La pancreatite autoimmune ha la peculiare caratteri-stica di rispondere alla terapia steridea. La diagnosi è facilitata dalla tecnologia di imaging. La terapia ha lo scopo di prevenire e trattare le ricorrenze dolorose, le complicanze e l’insufficienza pancreatica. Nonostante i progressi in questo campo, appaiono ancora carenti delle linee-guida che standardizzino il management di questi pazienti su più solide evidenze scientifiche.

Prof. Italo Vantini Cattedra di Gastroenterologia Università degli Studi di Verona Unità Operativa di Gastroentrologia Policlinico G.B. Rossi, Verona

7GASTROENTEROLOGIA

La Malattia da Reflusso Gastroesofa-geo (MRGE), è la patologia più frequen-te in ambito gastroenterologico tanto da venire definita pandemica nelle popola-zioni occidentali. Tale patologia affligge occasionalmente o costantemente il 20 per cento della popolazione italiana.I sintomi della malattia, seppur molto variabili, possono arrivare ad essere in-validanti costringendo le persone ad as-sentarsi dal lavoro oppure limitandone la produttività. Si stima che in media 5,7 ore siano perse ogni settimana da pa-zienti affetti da MRGE.Sono dati paragonabili ai danni provoca-ti dal comune mal di testa, superati solo dal mal di schiena (6,1 ore) e seguiti da artrosi (4,8), allergie (4,1) e ipertensione (3,3).A soffrirne sono per lo più pazienti di età superiore ai 50 anni e circa il 50% di questi presenta patologie concomitanti alla MRGE, quali ipertensione, diabete, depressione, osteoporosi etc.

Secondo la definizione di Montreal, la MRGE è una condizione che si sviluppa quando un reflusso gastrico causa sinto-mi fastidiosi e/o complicanze. I sintomi diventano fastidiosi quando influenzano negativamente il benessere e quindi la qualità della vita di una persona; vengo-no definiti tali quando si presentano 2 o più giorni a settimana, in caso di sintomi lievi, e più di una volta a settimana per sintomi gravi.I sintomi tipici della MRGE sono il bru-ciore retrosternale ed il rigurgito, anche se come dimostrato dalla recente lette-ratura, altri sintomi extra-digestivi sono correlati alla patologia quali: tosse, rau-cedine, asma, lesioni orali ed otorinola-ringoiatriche (erosioni dentali, sinusiti e laringiti croniche, etc.).

Nella pratica clinica l’impiego dei farmaci IPP(inibitori della pompa protonica) rap-presenta il trattamento di prima scelta per la cura della MRGE.La corretta terapia della MRGE con gli IPP si avvale di una fase di attacco (senza ne-cessità di diagnosi strumentale) che ha come obiettivo: il controllo dei sintomi, la guarigione delle lesioni ove presenti,

il miglioramento della qualità della vita, oltre al miglioramento della produtti-vità (guadagno ore lavorative settima-nali); e di una fase di mantenimento al fine di evitare le recidive che occorrono nell’80% dei pazienti entro 6-12 mesi dalla sospensione del trattamento.Per quanto concerne la durata della te-rapia varia in base alla gravità della pa-tologia e da paziente a paziente, con un intervallo che va dalle 4 alle 8 settimane fino ad arrivare a 12 mesi e oltre, talvolta raddoppiando i dosaggi standard gior-nalieri.

Gli IPP rappresentano quindi una classe di farmaci maneggevoli ed efficaci ma con differenze farmacologiche che devo-no essere tenute in considerazione nella valutazione della terapia e delle risorse dedicate alla spesa farmaceutica.Se nella generazione più recente degli IPP l’esomperazolo è indicato prevalen-temente nei casi più gravi e complicati di MRGE, il pantoprazolo oltre a mostrare, nel tempo un’efficacia sovrapponibile nella risoluzione dei sintomi, è dotato di un profilo di sicurezza unico non inter-ferendo con il metabolismo epatico di altri farmaci, come dimostrato anche da un recente studio pubblicato a Gennaio 2009 sul Canadian Medical Association Journal, che ha valutato il rischio di inte-razioni tra IPP e clopidogrel e ha portato alle conclusioni che solo Pantoprazolo è escluso da questo rischio.Inoltre, pantoprazolo ha un impatto eco-nomico inferiore a 0,90€ per DDD(dose definita giornaliera), rientrando nei limiti di rimborsabilità della maggiorparte dei sistemi sanitari regionali.

La patogenesi multifattoriale della MRGE, la varietà dei quadri clinici con cui essa si manifesta e la possibilità di insorgenza di complicanze implicano una attenta valutazione dei sintomi e un corretto approccio diagnostico terapeutico, da parte del medico di medicina generale e dello specialista. L’iter diagnostico terapeutico deve par-tire dalla storia naturale del paziente te-nendo ben presente i concetti di appro-priatezza.Il tutto applicato alla Sanità si traduce in una sintesi ragionata tra: efficacia, effi-cienza e risorse disponibili, in altre paro-le una scelta che rappresenti un giusto equilibrio tra rischio/beneficio e costo/efficacia.

Dr Luigi Pasquale U.O.C. Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva ASL Avellino1

La malattia da reflussogastroesofageo (MRGE)Come riconoscerlae trattarla

La Colite Ulcerosa (CU) è una malattia infiammatoria cronica intestinale (MICI) caratterizzata da un’infiammazione per-sistente che interessa esclusivamente gli strati superficiali della mucosa del colon e del retto. Sfortunatamente si tratta di una malattia cronica, che conosce perio-di di remissione, anche molto lunghi, ma dalla quale, al momento attuale, non si guarisce mai completamente.L’incidenza della CU in Italia, dalle varie casistiche disponibili, è di circa 12 nuovi casi/100.000 abitanti/anno. Si stima che tra i 60.000 ed 80.000 individui siano af-fetti da questa malattia in Italia. La CU può presentarsi a tutte le età senza diffe-renza di prevalenza tra i due sessi.Negli ultimi decenni l’incidenza e preva-lenza delle MICI (che comprendono la CU e la malattia di Crohn) è andata aumen-tando, sia per una migliore capacità dia-gnostica, sia per un incremento dei casi probabilmente determinato da modifi-che ambientali e dello stile di vita.La causa della CU non è ancora del tutto chiarita, anche se l’ipotesi più accettata è che stimoli batterici ed alimentari indu-cano e mantengano l’infiammazione in individui geneticamente predisposti.L’attivazione cronica del sistema immuni-tario porta all’accumulo di citochine e di altri mediatori della infiammazione con conseguente danno della mucosa.I sintomi principali della CU, in fase acuta, sono la diarrea muco-ematica e il dolore addominale. La diagnosi tempestiva, l’ini-zio di un’adeguata terapia, l’adesione alla terapia dei pazienti, consentono di pro-lungare i periodi di remissione (assenza di segni/sintomi) e di ridurre, in termini di frequenza e intensità, le ricadute. L’obiettivo della terapia nella CU consiste nell’indurre la remissione della fase acuta (induzione della remissione) e nel preve-nire le recidive (terapia di mantenimento della remissione).A questo scopo vengono usati tre classi di farmaci:

gli aminosalicilati o 5ASA (me-•salazina e altri) e la salazopirina o sulfasalazina, sia in supposte o clismi sia per via orale;

i cortisonici, prednisone e altri; •

gli immunosoppressori, l’azatio-•prina o la 6-Mercaptopurina.

L’approccio terapeutico varia in base alla localizzazione e al grado di severità della malattia, e prevede associazioni di far-maci delle diverse classi sia per via orale che per via topica (supposte, schiume o clismi), con dosaggi elevati e sommini-strazioni ripetute nell’arco della giornata.Uno dei problemi più importanti che ri-chiede una soluzione è rappresentato dall’abbandono della terapia da parte del 60% dei pazienti affetti da CU, come dimostrato in alcuni studi (Kane S.V.,: Systematic Review: adherence issues in the treatment of Ulcerative Colitis. Alim. Pharmacol. Ther.2008; 23: 577-585).Tra le principali cause di non adesione alla terapia ci sono: la durata della malattia, lavoro a tempo pieno, multiple sommini-strazioni giornaliere, numero di compres-

se, il relativo benessere durante le fasi di remissione della malattia. Le conseguen-ze cliniche di questa bassa adesione alla terapia con mesalaziona in pazienti affet-ti da CU, includono una aumentata mor-bidità con un più alto rischio di riacutiz-zazione della malattia stessa, ridotta qua-lità di vita ed un possibile aumento del rischio di cancro colon-rettale. L’uso della mesalazina rappresenta il trattamento di prima scelta della CU, da oramai 50 anni. Da allora sono stati fatti molti progres-si nel migliorarne la tollerabilità e la sua efficacia prevalentemente modificando il sistema con il quale il farmaco è veicolato nei tratti del colon malato, e l’aumento del tempo di contatto con le lesioni atti-ve. Il sistema di rilascio assume un ruolo cruciale affinché la mesalazina sia libe-rata adeguatamente in quella parte del colon, che nel 70% dei casi della CU inte-ressa il colon sinistro, al fine di ottenere la remissione della fase acuta ed il mante-nimento della remissione, anche perché l’efficacia della mesalazina specialmente nelle fasi di remissione è strettamente correlata all’assunzione regolare dei far-maci prescritti al paziente. Assumere molte compresse più volte al giorno è la principale ragione della cat-tiva aderenza alla prescrizione terapeu-tica.Un grande miglioramento della terapia orale con mesalazina è rappresentata, dalla tecnologia di rilascio MMX (bre-vetto internazionale di Giuliani Spa) che è alla base di un farmaco già lanciato in America e alcuni paesi Europei, tra qual-che mese disponibile anche in Italia, che grazie alle sue caratteristiche permette di aumentare l’efficacia e il successo tera-peutico rispetto agli altri preparati a base mesalazina:

-Elevata concentrazioni di mesalazina lungo tutta la mucosa del colon-Efficacia sovrapponibile all’associazione della terapia orale e locale-Assunzione di una sola dose giornaliera;-Maggiore adesione alla terapia dei pa-zienti.

Prof. Cosimo Prantera A.O. San Camillo Forlanini Roma

La Colite UlcerosaIl punto dell’esperto

I diversi tipi di fermenti latticiParlando di fermenti lattici possono venire in mente due cose: lo yogurt fatto in casa, con quei misteriosi granuli di latte rappreso che si lavavano sotto l’acqua del rubinetto oppure i prodot-to che il medico di famiglia faceva seguire alla prescri-zione di un trattamento con antibiotici.In realtà questa famiglia di batteri, caratterizzati dalla capacità di produrre acido lattico (non di fermentare il latte! anzi molti di loro sono incapaci di fermentare il lattosio) comprende un nu-mero elevato di gruppi bat-terici; all’interno di questo universo microbico, però al-cuni sono arrivati alla ribalta del consumatore per la loro capacitò di agire nell’inte-stini umano e da lì esercita-re azioni di protezione della salute e miglioramento del benessere.Ecco i probiotici: che pos-sono essere fermenti lattici ma in più devono avere una dimostrata attività di bene-ficio per la salute.Per imparare a muoversi con cognizione di causa all’interno dei prodotti pro-biotici presenti sul mercato (in Italia alcune centinaia, fra alimenti ed integratori) è bene tenere presente che le proprietà benefiche sono proprie dell’individuo bat-terico, di quello che i micro-biologi chiamano “ceppo” e che altro non è che un in-sieme di cellule batteriche nate da una singole cellula madre (si veda sotto)Questo legame fra ceppo e proprietà benefiche porta a due conseguenze:-non tutti i probiotici sono uguali-ogni probiotico deve avere la propria caratterizzazione d’efficaciaÈ bene quindi controllare che sull’etichetta del pro-dotto siano riportati i nome (in latino) del genere e della specie batterica contenuti nel prodotto stesso; a que-sti nomi dovrebbe seguire un’identificativo del ceppo stesso (un numero, una si-gla, un marchio registrato); ecco identificato il probio-tico.Queste informazioni servo-no al consumatore attento ed al medico per verificare (sui siti internet di lettera-tura medica) l’esistenza di letteratura scientifica a sup-porto dell’azione benefica

di ogni prodotto.Da sottolineare come la ca-ratterizzazione dei batteri probiotici utilizzi oggi an-che i più avanzati strumen-ti di ricerca: come esempio possiamo ricordare che è stata recentemente com-pletata la determinazione della sequenza nucleotidica del cromosoma di un ceppo di lattobacillo presente sul mercato italiani da alcuni anni, il Lactobacillus para-casei B21060.Questo ceppo e la ricerca che lo sostiene sono intera-

mente italiane a conferma della posizione d’eccellenza dell’Italia in questo settore. Le informazioni ottenute permetteranno di capire meglio e meglio utilizzare le potenzialità benefiche del ceppo stesso. Per concludere, ecco alcune cose da ricordare:

1 i termini “ fermenti lat-tici” e “probiotici” non sono sinonimi: i probiotici sono batteri (generalmente del gruppo dei fermenti latti-

ci) ma capaci di riprodursi nell’intestino e di esercitare un’azione benefica.

2 I batteri si riproducono attraverso numerose divi-sioni (“scissioni”) in due di una cellula madre: la popo-lazione batterica che ne de-riva è un ceppo.

3 Più ceppi simili fra loro formano una “specie” e più specie simili formano un genere; nome di genere e specie devono essere ripor-tati in etichetta

4 I ceppi ad azione pro-biotica sono stati provati sull’uomo; i dati si trovano in articoli scientifici e pos-sono essere richiesti alle aziende produttrici

5 Esistono probiotici per varie applicazione: dal con-trollo della regolarità inte-stinale all’azione anti aller-gie; bisogna informarsi per un uso attento ed efficace.

Prof. Lorenzo Morelli Istituto di Microbiologia UCSC Piacenza

10 GASTROENTEROLOGIA

I ProbioticiI probiotici che possono essere utilizzati nell’uomo de-vono:

Essere di origine umana

Essere resistenti all’acido cloridrico ed alla bile

Aderire alle cellule intestinali umane

Colonizzare il tubo digerente umano

Produrre sostanze antimicrobiche, come bat-teriocine, acido lattico, acido acetico, H2O2, proteasi

Antagonizzare i batteri patogeni

Essere sicuri nell’uso clinico e nutrizionale

Avere effetti positivi documentati sulla salute

Essere stabili durante i processi di preparazio-ne e di immagazzinamento del prodotto.

Dal punto di vista regolatorio il Ministero della Salu-te italiano ha, nel 2000, definito i probiotici: ”Alimenti, generalmente fermentati, che contengono, in numero sufficientemente elevato, microrganismi vivi ed attivi, in grado di raggiungere l’intestino ed esercitare un’azione di equilibrio sulla microflora intestinale mediante colo-nizzazione diretta”.Tale definizione richiede la vitalità dei batteri e l’eviden-za che essi raggiungano l’intestino. Ceppi diversi hanno proprietà diverse. L’identificazione del ceppo deve es-sere basata su una appropriata tassonomia che includa la ibridizzazione DNA-DNA e la determinazione della sequenza rRNA. I nuovi ceppi identificati in tal modo de-vono essere depositati in una collezione internazionale riconosciuta e sottoposti a brevetto.I probiotici sono stati utilizzati, con benefici diversi nelle seguenti situazioni:1.Evidenze certe: diarrea acuta da rotavirus e preven-

zione e trattamento della gastroenterite, diarrea da an-tibiotici, miglioramento della stitichezza;

2. Evidenza sostanziale che richiede prove ulteriori: al-lergia alimentare ed eczema atopico, trattamento e pre-venzione dell’infezione da Clostridium difficile, preven-zione delle infezioni respiratorie acute in bambini che frequentano gli asili, trattamento e prevenzione delle vaginiti (Vaginosi da Candida e Batteriche), prevenzio-ne della diarrea del viaggiatore;

3. Ricerche in corso in aree promettenti: morbo di Crohn e pouchite, colite ulcerosa, prevenzione di situa-zioni allergiche, es. asma, fibrosi cistica (sintomi intesti-nali e respiratori), prevenzione carie dentali nei bambi-ni, trattamento della sindrome del colon irritabile, pre-venzione della potenziale colonizzazione da patogeni in Terapia Intensiva, immunoadiuvante per potenziare vaccini orali, infezione da Helicobacter pylori;

4. Future aree di ricerca: prevenzione del cancro del co-lon (disponibili solo dati su animali), artrite reumatoide, malattie trasmesse per via sessuale e HIV, creazione di ceppi geneticamente modificati inserendo geni per pro-durre citochine, vitamine, insulina, lisina, geni batterici o virali immunogeni, etc.).

Meccanismo di prevenzione delle infezioni intestinali. Come si è detto, la flora batterica indigena rappresen-ta una barriera che ostacola l’adesione alle cellule del-le mucose dei batteri patogeni, momento cruciale per l’inizio dei processi infettivi. Quando questa funzione di barriera é alterata da agenti chimici, antigeni, stress die-tetici, stress nervosi ed emotivi etc. possono comparire disordini o malattie intestinali, alcuni dei quali sono il risultato dell’adesione e della crescita di batteri pato-geni.

Sono stati suggeriti diversi meccanismi per spiegare l’azione dei probiotici quali: competizione per i nutrien-

ti, modificazione di recettori per tossine, immuno-stimolazione, competizione per siti di associazione alla mucosa intestinale, formazione di composti antagonisti. Studi recenti hanno prodotto evidenze riguardo l’effetto dei lattobacilli contro gli enteropatogeni: “in vitro” tale attività antagonista è risultato di una competizione per i siti di adesione alle cellule epiteliali dell’ospite. Si é ipo-tizzato che ciò possa essere attribuito ad un aspecifico intralcio sterico dei recettori apicali degli enterociti per i patogeni (competizione per il sito di adesione) da parte dei lattobacilli. Sulla base di queste ipotesi l’osservazio-ne che il supernatante delle colture causi una notevole riduzione dell’ adesione dei patogeni alle cellule epite-liali infette, suggerisce che:

i lattobacilli sono in grado di spostare i patogeni •già attaccati alle cellule epiteliali;il supernatante delle colture di lattobacilli contiene •composti antimicrobici in grado di inibire i batteri patogeni.

È stato dimostrato che il Lactobacillus GG é in grado di produrre vari composti biologicamente attivi fra i qua-li una sostanza a PM<1000, verosimilmente un acido grasso a catena breve o una microcina, resistente a varie proteasi ed al calore, attiva contro un ampio spettro di Gram- e Gram+. Dal brodo di coltura cell-free MRS del L. casei é stato purificato ed identificato mediante diver-si metodi cromatografici e spettrofotometrici, un altro composto a basso peso molecolare, l’acido piroglutam-mico con attività inibitoria verso Bacillus subtilis, Entero-bacter cloacae e Pseudomonas putrida. Nel complesso è attualmente evidenziata anche la sicu-rezza dei ceppi di Lactobacilli e di Bifidobacteria utilizza-ti come integratori alimentari nell’uomo.

Lucio CapursoDirettore UOC S. Filippo Neri di Roma

12 GASTROENTEROLOGIA

Probiotici: batteri amici anche dei bambini?

La salute della flora intestinale è es-senziale per il buon funzionamento dell’intestino e per rafforzare le na-turali difese dell’organismo contro batteri e germi patogeni. Che ruo-lo svolgono in questo senso i probio-tici?Il ruolo dei probiotici è fondamentale nei due aspetti sottolineati: per quan-to riguarda il buon funzionamento dell’intestino il loro ruolo risiede nel-la capacità di colonizzare l’intestino umano ed influenzare la microflora residente favorendo processi digestivi corretti con una minima produzione di gas (meteorismo). Molto più comples-so è l’aspetto della modulazione della risposta immune: i batteri probiotici hanno proprietà antigeniche tali da fa-

vorire la modulazione della risposta immune in senso di tolleranza, contrastando le risposte di tipo infiam-matorio ed allergico.

Quanto sono importanti nella dieta quotidiana di adulti e bambini?Proprio per le proprietà in-dicate qui sopra una dieta che preveda il consumo costante di alimenti con probiotici è importante sia nell’adulto che nel bambi-no. Le capacità di difesa di-minuiscono con l’età e, nel-la persona anziana, un’in-tegrazione con alimenti

ricchi in probiotici favorisce il man-tenimento delle normali funzioni di difesa. Nel bambino, soprattutto nella primissima infanzia, quando il sistema immunitario non ha ancora raggiunto la sua maturità, i probiotici favoriscono l’acquisizione di un equilibrio della ri-sposta immune riducendo il rischio di sviluppare allergie e condizioni infiam-matorie dell’intestino.

La somministrazione di probiotici nel bambino può presentare qual-che fattore di rischio?Il rischio, anche per l’adulto e non solo per il bambino, risiede nei residui che i preparati probiotici possono contene-re: lattosio e proteine del latte vaccino. Risulta evidente che per chi è intolle-

rante al lattosio o allergico alle protei-ne del latte vaccino è richiesta una par-ticolare attenzione nel consumo di tali preparati. Probiotici privi di allergeni possono costituire una valida soluzio-ne in tal senso.

Allergie e intolleranza alimentari sono in costante aumento nel mon-do occidentale soprattutto tra i bam-bini. Quali le cause riscontrabili?Questa domanda richiede lo spazio di un trattato! In poche parole si può dire che l’ipotesi che ha avuto più suc-cesso negli anni scorsi è la cosiddetta “hygiene hypothesis” (Strachan, 1989) secondo la quale la mancanza di una precoce esposizione ad agenti infettivi, antigeni batterici e parassiti, aumenta la suscettibilità a patologie allergiche. D’altra parte una recente ipotesi, la “old firiends hypothesis”, (Guarner et al.2006) suggerisce che la presenza di batteri commensali sembra favorire la regolazione del sistema immune, impedendo risposte improprie di tipo allergico e di intolleranza agli antigeni della dieta.

I probiotici privi di allergeni possono essere considerati anche un valido strumento per il trattamento delle al-lergie soprattutto in età pediatrica?I preparati probiotici privi di allergeni sono da consigliare nella prima infan-zia, infatti, in diversi studi, viene ripor-tato un effetto benefico: bambini a rischio di atopia, che assumevano nei

primi sei mesi ceppi batterici probioti-ci, sviluppavano dopo due anni derma-tite atopica con frequenza ridotta ri-spetto al gruppo di controllo. (Hauer A. et al. MMW Fortschr Med, 148 (35-36): 34-6., 2006). In studi clinici, la sommi-nistrazione di ceppi probiotici sembra prevenire le intolleranze alimentari, la dermatite atopica, la rinite allergica (Miraglia Del Giudice M et al. Dig Liver Dis, 38 Suppl: S288-90, 2006).Recenti studi clinici hanno dimostrato l’effetto benefico di ceppi probiotici nel tratta-mento e nella prevenzione di patolo-gie gastrointestinali acute e croniche e altre patologie come atopia, infezioni respiratorie, vaginiti ed ipercolestero-lemia (Zuccotti GV et al. J Int Med Res, 36 Suppl 1:1A-53A, 2008). Anche un nostro studio (Valsecchi C, Marseglia A, Licari A, Montagna L, Leone M, Marse-glia G e Castellazi AM. Arch of Medical therapy, 2008) ha confermato,con pro-ve “in vivo” ed “in vitro”, che i probiotici oggetti dello studio , oltre ad essere un trattamento semplice, tollerato e sicu-ro, potevano rappresentare una signi-ficativa innovazione nel coadiuvare il trattamento delle diverse patologie al-lergiche dell’età pediatrica, modulando la risposta immunitaria.

Dott.ssa Annamaria Castellazzi, PhD

Laboratorio di Immunità e Nutrizione Dipartimento di Scienze Pediatriche Università degli studi di Pavia

13GASTROENTEROLOGIA

È sempre necessario eseguire una gastroscopiaper fare diagnosi di gastrite?

Qualità e benessere per l’intestino

In medicina si va oggi sempre più diffondendo la tendenza a sostituire le metodiche invasive con quelle non invasive, con lo scopo di ridurre i disagi per i pazienti, accorciare le liste di attesa, migliorare l’appropriatezza diagnostica de-gli esami. In presenza di sintomi a carico delle prime vie digestive, quali il mal di stomaco, il bruciore, la nausea, il senso di peso dopo mangiato, il rigurgito, le eruttazioni, il gonfiore ed altri ancora, l’esame di riferimento è come si sa la gastroscopia che permette di visualizzare l’esofago, lo stomaco, il duodeno e individuare patologie quali la gastri-te, l’ulcera, l’esofagite, l’ernia jatale, precancerosi e tumo-ri benigni e maligni. Come si immagina facilmente, non è semplice pensare di fare a meno di una indagine così im-portante che permetta di “vedere” direttamente le lesioni, tuttavia vale la pena di tentare poiché anche in presenza di sintomi che giustificherebbero la gastroscopia, un cer-to numero di esami (almeno un terzo mediamente) risulta fortunatamente negativo. Nel 1982 un medico americano, Michael Samloff pubblicò un articolo in cui proponeva di usare un prelievo di sangue come “biopsia sierologica” per la diagnosi di gastrite, introducendo con ciò un ossimoro, una contraddizione in termini, poiché la biopsia si ottiene con prelievo da un tessuto, in questo caso lo stomaco, con una pinza in corso di gastroscopia, mentre il termine siero-logico si riferisce ad un semplice prelievo di sangue.Da allora sono passati quasi trent’anni, la ricerca in que-sto campo è proseguita ed oggi siamo qui a riferire delle possibilità offerte da un prelievo di sangue che si chiama GASTROPANEL e che -come indica il nome- consiste nel dosaggio di un “pannello” di quattro parametri. Si tratta di pepsinogeni I e II, un ormone chiamato gastrina che con-trolla la produzione di acido da parte dello stomaco e gli anticorpi contro il batterio, l’ Helicobacter pylori che causa la più comune forma di gastrite, ma è anche stato classifi-cato nel 1994 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità come un carcinogeno per lo sviluppo del cancro gastrico.E’ bene subito precisare che questo prelievo, il GASTROPA-NEL, “il prelievo di sangue per il mal di stomaco”, come è stato chiamato dai pazienti, non sostituisce la gastroscopia, ma permette di selezionare i soggetti da sottoporre alla manovra invasiva, evitando esami inutili. Si tratta, quindi, di indirizzare correttamente i soggetti da avviare a questo esame invasivo, indagando caso per caso sulla base della storia clinica, dell’ intensità e durata dei sintomi, della pre-senza di segni e sintomi di allarme (perdita di appetito, calo di peso, anemia ecc…). Pur con queste avvertenze, sono

ancora numerose le gastroscopie che risultano negative per presenza di lesioni e che portano ad inquadrare i di-sturbi del paziente tra le forme cosiddette “funzionali”. Un recente studio realizzato in Italia in due differenti regioni –l’Emilia ed il Veneto- ha mostrato che oltre un terzo dei pazienti che si sottopongono alla gastroscopia presenta un quadro di normalità anche all’esame istologico. Emerge, quindi la necessità –come per altre metodiche- di migliora-re l’appropriatezza dell’ esame.Come si potrebbe ottenere questo risultato, sicuramente importante per evitare esami “inutili”, disagi per i pazienti e risparmiare risorse, sempre più preziose ?In generale, la corretta indicazione all’esame la si ottiene con un confronto continuo tra i medici che operano sul

territorio, che segnalano i pazienti con i disturbi, e gli specialisti che operano nelle strutture ospedaliere, cui compete di completa-re l’iter diagnostico, e mi risulta che sforzi in questo senso si vanno facendo in numerose aree del no-stro Paese. Venendo, più tecnicamente, all’ apporto del GASTROPANEL in que-sta strategia, va segnalato come dal 2000 oltre 700

lavori sono stati pubblicati sulla letteratura scientifica sull’ utilizzo dei pepsinogeni e della gastrina nella diagnostica delle malattie gastroenterologiche.I principali risultati si possono così sintetizzare:1) Il pepsinogeno I correla con la produzione di acido clori-drico dello stomaco ed in presenza di bassi valori di questo parametro la diagnosi di gastrite atrofica è supportata con una accuratezza diagnostica di oltre il 90%. Ciò è molto im-portante, poiché la gastrite atrofica è considerata una con-dizione precancerosa per il tumore dello stomaco che, sia pure fortunatamente in calo nel mondo occidentale, vie-ne purtroppo diagnosticato in fase tardiva in più di metà dei pazienti. Lo scenario è completamente differente in Giappone, dove –essendo molto alta l’incidenza di questo tumore- la diagnostica è progredita sino a permettere di raggiungere una diagnosi precoce in oltre il 70% dei casi e, negli ultimi anni, l’utilizzo dei pepsinogeni sierici come test di screening è stato oggetto di campagne di prevenzione

che hanno coinvolto decine di migliaia di pazienti.In Europa le esperienze più interessanti vengono finora dall’ Olanda , dalla Finlandia e dalla Svezia, con studi di popola-zione e dall’ Italia, con il già citato studio veneto-emiliano che ha permesso di identificare con GASTROPANEL i sog-getti con gastrite atrofica, con una esperienza su popola-zione di 7000 soggetti in provincia di Parma, coordinata da Angelo Franzè che ha identificato oltre 200 pazienti con precancerosi gastrica e con analoghe esperienze segnala-te dai Policlinici di Padova, Torino, Napoli,Belluno, Catania, Pisa, Cagliari ed altri che stanno raccogliendo casistiche.Di estremo interesse è poi una esperienza veneta che ha di-mostrato la capacità di predire lo sviluppo di cancro gastri-co in uno studio di follow-up durato dieci anni, utilizzando una innovativa classificazione delle lesioni atrofiche della mucosa gastrica denominata O.L.G.A. proposta da Massi-mo Rugge dell’ Università di Padova e dimostrando la cor-relazione del danno atrofico con i livelli di pepsinogeno I.2) il pepsinogeno II è un marker di gastrite, permette di identificare i soggetti infetti da Helicobacter pilori e di valu-tare se il danno di mucosa e’ di tipo non atrofico, come nella maggioranza dei casi, o si tratta di una gastrite atrofica, che suggerisce l’opportunità di eseguire una gastroscopia con biopsie, trattandosi di una precancerosi.3) la gastrina 17, così identificata perché permette di va-lutare esattamente la quota dell’ormone prodotta a livello dell’antro gastrico sembra utile nell’ identificare soggetti con la più diffusa patologia acidocorrelata , cioè la malattia da reflusso gastroesofageo, sulla base di quattro segnala-zioni della letteratura scientifica, di cui la più vasta prove-niente da una esperienza tedesca multicentrica.4) utilizzo di Gastropanel in età pediatrica: esistono due la-vori su questo tema, di cui il più vasto coordinato a Padova da Mario Plebani, che dimostrano l’utilità clinica del prelie-vo di sangue nel migliorare l’accuratezza diagnostica della gastroscopia nei bambini, mentre si stanno raccogliendo dati su un’altra categoria di pazienti altrettanto sensibili, quali gli anziani.5) identificazione di patologie autoimmuni, quali la tiroidi-te di Hashimoto a partire da bassi livelli di pepsinogeno I ed elevati livelli di gastrina 17, che caratterizzano il modello di gastrite autoimmune del corpo fondo dello stomaco.

Francesco Di Mario Professore di gastroenterologia Università di Parma

È noto che l’intestino, per il regolare svolgimento delle sue funzioni quali l’assorbimento dei nutrienti e il fun-zionamento del sistema immunitario, si avvale della presenza di miliardi di batteri “amici” che costituiscono la mi-croflora intestinale. Poiché le specie batteriche sono nu-merose, affinchè si mantenga un cor-retto stato di salute dell’individuo, la microflora intestinale deve essere in equilibrio.Tale equilibrio può però essere altera-to da infezioni batteriche, da proces-si infiammatori, a seguito dell’uso di antibiotici o di altri fattori quali stress emozionali o modifiche dello stile di vita (abitudini alimentari).Quando questo avviene si manifesta-no sintomi che indicano un evidente squilibrio della microflora intestinale come ad esempio diarrea, costipazio-ne, gonfiore e dolore addominale, au-mentata produzione di gas intestinali, produzione di feci maleodoranti e/o malformate.L’assunzione di lattobacilli probiotici selezionati contribuisce al ripristino di un’idonea microflora intestinale e di conseguenza alla normalizzazione del-la funzionalità intestinale.Dall’esperienza Sigma-tau nasce Flore-trix, integratore alimentare probiotico di qualità, indicato nei casi di alterazio-

ne dell’ecosi-stema intesti-nale di diversa origine come ad esempio te-rapia antibio-tica, stress o alimentazione non adeguata, migl iorando la funziona-lità dell’inte-stino sia nel bambino che nell’adulto.Grazie alla sua particolare for-mulazione pro-biotica ceppo-specifica, Flo-retrix influisce positivamente sull’organismo mediante un’azione sul tratto gastrointestinale e sul sistema immunitario.Floretrix favorisce il riequilibrio della flora batterica intestinale e fornisce un apporto integrativo di vitamine. Coadiuva il sistema immunitario, in quanto aiuta a rinforzare le difese na-turali e a modulare la risposta immuni-taria riequilibrandola.Floretrix può essere utile per coadiuvare i processi digestivi del lattosio nei sog-

getti intolleranti. Una bustina di Floretrix contiene almeno 50 miliardi di batteri lattici vivi selezionati e liofilizzati (Lac-tobacillus plantarum P17630, Lactoba-cillus paracasei I 1688 e Lactobacillus salivarius I 1794) e vitamine del grup-po B (Vit. B1 e Vit. B2).I lattobacilli contenuti in Floretrix pro-vengono dall’habitat intestinale uma-

no, sono quindi non patogeni ed in grado di superare la barriera gastrica ed i sali biliari.Raggiungono vivi e vitali il sito d’azione dove esplicano le loro capacità di adesione, colonizzazione e per-manenza.Sono caratterizza-ti a livello di ceppo mediante accurata indagine fenotipica e genotipica e sono depositati presso enti internazionali di rac-colta (Laboratorium voor Microbiologie – Gent, Belgio; Institut Pasteur – Parigi, Fran-cia).Floretrix, da conser-vare a una temperatu-

ra compresa tra 2°C e 8°C, è disponibile in confezione da

dieci bustine al costo di 12,00 €. Si consiglia l’assunzione di una o due bustine al giorno da sciogliere in ac-qua, latte o altre bevande non calde.Floretrix, al gusto panna, risulta gene-ralmente molto gradito.

14 GASTROENTEROLOGIA

Il colangiocarcinoma (CCA) è una neo-plasia maligna delle vie biliari, caratte-rizzata da prognosi infausta e, virtual-mente, da nessuna risposta ai farmaci chemioterapici.Negli ultimi anni, il CCA è stato og-getto di notevole attenzione da parte della comunità medico-scientifica per una serie di dati che dimostrano ine-quivocabilmente un marcato aumen-to di incidenza e mortalità.

Nei paesi britannici, nelle donne in età post-menopausale, il colangio-carcinoma ha superato l’epatocar-cinoma in termini di incidenza, per cui difficilmente si può continuare a considerare il CCA una neoplasia rara. Recentemente, l’elaborazione dei dati provenienti dall’ISTAT e dai registri dei tumori ha dimostrato che, in Italia, dal 1980 al 2003, la mortalità per CCA intra-epatico è aumentata di 5 volte mentre, minore è stato l’incremento di CCA extra-epatico. Questi dati sug-geriscono l’insorgenza, negli ultimi anni, di fattori ambientali comuni ai paesi occidentali che predispongo-

no allo sviluppo di CCA intra-epatico. Cono-sciamo perfettamen-te alcune categorie di pazienti ad alto rischio di sviluppo CCA, quali i pazienti affetti da ma-lattie benigne delle vie biliari come Colangite Sclerosante Primitiva, Calcolosi intra-epatica, Malattia di Carolie, Ade-nomatosi/papillomatosi biliare, Anomala giun-zione bilio-pancreatica e soggetti sottoposti a chirurgia delle vie bi-liari. In queste catego-rie a rischio l’attenta sorveglianza potrebbe consentire una diagnosi precoce di CCA.

Questo è stato recentemente dimo-strato da uno studio multicentrico europeo dove, nei pazienti affetti da Colangite Sclerosante Primitiva, la periodica esecuzione di una ecogra-fia ed il dosaggio di un marker serico (Ca19-9) ha consentito nei 2/3 dei casi di diagnosticare la neoplasia in fase precoce, passibile di terapia chirurgica radicale. Purtroppo, al momento della diagnosi, fattori di rischio certi sono dimostrabi-li solo nel 50% dei pazienti a suggerire che molti fattori predisponenti sono ancora sconosciuti.

Recenti dati sperimentali, hanno po-sto l’attenzione su inquinanti ambien-tali derivati dalla diossina che genere-rebbero nelle vie biliari intra-epatiche una condizione di infiammazione cro-nica predisponente allo sviluppo del cancro. Purtroppo, c’è ancora molto da fare nella identificazione di bio-marcatori da utilizzare per la diagnosi precoce, per lo screening su popola-zione o per la sorveglianza dei sog-getti a rischio.

Recentemente, il nostro gruppo ha identificato nella bile un marcatore (IGF1) che consente la diagnosi di CCA con assoluta certezza e stiamo valu-tando se questo può essere applicato anche sul succo duodenale. L’unico trattamento efficace per il CCA è la resezione chirurgica radicale ma, pur-troppo, questa è applicabile in meno del 40% dei pazienti dato che, la dia-gnosi è spesso tardiva, quando sono possibili solo terapie palliative.

Questo, insieme alla breve sopravvi-venza, genera tra gli operatori una sensazione d’impotenza. Una svolta nella battaglia contro il CCA potrebbe essere la identificazione di bio-mar-catori genetici, molecolari o biologici che, applicati su popolazione o nelle categorie a rischio possano consenti-re, attraverso la sorveglianza, una dia-gnosi precoce e, quindi, il trattamento radicale.

La maggior parte dei farmaci viene metabolizzata nel fegato, che è do-tato di tutta una serie di meccanismi che svolgono tale funzione. Si in-tuisce facilmente, quindi, che molti sono i farmaci che possono danneg-giare quest’organo.I meccanismi attraverso i quali i far-maci possono determinare un danno al fegato sono molteplici. In generale, comunque, possono essere distinti in due tipologie: una è quella in cui vi è un danno diretto alle cellule del fegato da parte del farmaco stesso o uno dei suoi prodotti di degradazio-ne. Un esempio classico è quello del paracetamolo: è noto infatti che ad alti dosaggi i meccanismi di detossi-ficazione delle cellule epatiche non sono più sufficienti, da cui consegue un danno alle cellule stesse.L’altro tipo è invece quello di natura “idiosincrasica”, cioè in cui si sviluppa

una reazione simil-allergica a causa del farmaco; è la reazione del siste-ma immune, piuttosto che il farmaco stesso, che danneggia le cellule del fegato.La differenza fondamentale, dal pun-to di vista clinico, è che nel caso del danno diretto esso può essere pre-detto in anticipo, o comunque può essere riconosciuto il farmaco come causa di danno con una ragionevole semplicità.Al contrario, nel secondo caso, è sem-pre difficile definire se o quale farma-co possa aver danneggiato il fegato, in quanto vi è una grande variabilità di paziente in paziente. Di conse-guenza, la diagnosi di danno epatico da farmaci non è sempre agevole; un ruolo importante, quindi, lo svolge la biopsia epatica che, se eseguita pre-cocemente, può fornire delle infor-mazioni preziose sulle caratteristiche

morfologiche del danno.In generale, il danno epatico da far-maci non è ritenuto un evento parti-colarmente frequente; ad ogni modo si stima che circa lo 0.3-1% dei rico-veri ospedalieri nei paesi occidentali

siano dovuti a questa causa. È impor-tante poi notare che circa il 10% delle epatiti acute è dovuta all’epatopatia da farmaci; nella maggior parte dei casi, si osserva una risoluzione spon-tanea del danno. Per ottenere ciò, però, è necessario interrompere l’as-sunzione del farmaco e, in particolar modo, non riprenderne nemmeno a distanza di tempo.

Prof. Antonio Benedetti Dott.Marco Marzioni Clinica di Gastroenterologia Università Politecnica delle Marche Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti” Ancona

Colangiocarcinoma e malattie delle vie biliari

Danno epatico da farmaco15GASTROENTEROLOGIA

Prof. Domenico Alvaro Università Sapienza di Roma Prof. Ordinario di Gastroenterologia Direttore UOC Gastroenterologia Polo Pontino

In Italia, come negli altri paesi ndustrializzati,

un’ipertransaminasemia persistente negli adulti è nella gran parte dei casi correlata a malattia da virus C, in misura minore da virus B, e ad abuso

alcolico. Esiste tuttavia un elevato numero di soggetti adulti con

ipertransaminasemia persistente non associata a questi fattori

eziologici. In studi di popolazione condotti in Italia la prevalenza di ipertransaminasemia non virus,

non alcol correlata interessa circa 3 milioni di persone. L’aumento

delle transaminasi può essere un segno di malattie molto diverse

per prevalenza, eziologia, prognosi e prospettive terapeutiche:

steatosi non alcolica (NAFLD/NASH), celiachia, emocromatosi,

malattia di Wilson, ecc.. Il corretto iter diagnostico che consente

diagnosi precoce è indicato nelle linee guida elaborate dopo la

Consensus organizzata dall’ ISS (www.pnlg.it ,voce ‘Linee guida

nazionali’, ‘Consensus Conference’) e pubblicate su Digestive and Liver

Disease (2008 Jul;40(7):585-98). E’ un chiaro esempio di

condivisione di percorso diagnostico-terapeutico tra

Medico di Medicina Generale e Strutture Specialistiche ed anche

di come sia possibile qualificare ( e ridurre ) la spesa sanitaria.

Prof.ssa Filomena MoriscoProfessore Associato di

GastroenterologiaUniversità di Napoli Federico II

[email protected]

Diagnosi dellaipertransaminasemia

non alcolnon virus correlata:un percorso condivisobasato sull’evidenza