macchine per abitare

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Quaderno di Ricerche e Sperimentazioni sull'Interno Architettonico

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…dicono che c’è un tempoper seminare

e uno più lungo per aspettareio dico che c’era un tempo

sognatoche bisognava sognare.

I. Fossati, “C’è tempo”

a Renata, Andrea e Giulia che danno senso ai miei giorni

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macchine per abitarequaderno di ricerche e sperimentazioni sull’interno architettonico

di Nicola Flora

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le foto del prototipo al vero sono di Vincenzo Izzo

le foto dei modelli scala 1:5 sono di Andrea Stortoni

Copyright © 2008 CLEANvia Diodato Lioy 19 - 80134 Napolitelefax (+39) 081 5524419 - 5514309www.cleanedizioni.it - [email protected] i diritti riservati. E’ vietata ogni singola riproduzioneISBN .....

stampa.....

digitalizzazione delle immaginiJessica ZunicaRiccardo Pagnoni

progetto grafico e copertinaMichela Kumka

videocomposizioniMichela KumkaJessica ZunicaRiccardo Pagnoni

i modelli scala 1:5 e la mostra sono stati realizzati grazie al contributo deifondi ordinari del Corso di Progettazione degli Interni (Prof. Nicola Flora) della Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino Dipartimento PROCAM

il prototipo al vero è stato realizzato dalla ditta di Morrovalle (MC) - www.desuite.it

il presente volume è stato prodotto con il contributo della ditta di Morrovalle (MC)

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Indice

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Introduzionedi Nicola Flora

Architetture alla piccola scala un’occasione per sperimentaredi Umberto Cao

Da sogno teorico ad interpretazione praticadi Alessandro e Barbara Vico

Lo spazio intorno alla personadi Nicola Flora

Dai muri verso il corpo: una proposta per abitare il terzo millenniodi Nicola Flora

Dalla didattica...di Michela Kumka

...a un momento di gioia vera.di Andrea Stortoni

gruppo Pagnoni, Piunti, Zunica_tutor Andrea Stortonidi Andrea Stortoni

gruppo Brandozzi, Foresi, Gianfelici_tutor Andrea Stortonidi Andrea Stortoni

gruppo Angelini, Campanella_tutor Michela Kumkadi Michela Kumka

gruppo Gesù, Vittori_tutor Michela Kumkadi Michela Kumka

gruppo Montali, Rossi_tutor Sara Camertonidi Michela Kumka

gruppo Pesce, Rapetta, Romagnoli_tutor Sara Camertonidi Andrea Stortoni

La mostra itinerante

Appendice: gli altri progetti

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Introduzioneragioni di una ricerca applicata

di Nicola Flora

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Il presente volume è il secondo di una serie che nasce per docu- mentare ricerche che, partendo da una riflessione teorica sul senso e sulle possibili modificazioni dei modi d’uso e confor-mazione dello spazio da abitare nel contemporaneo, tentano di mettere in relazione riflessione teorica, ricerca critica e storica delle discipline che lavorano alla piccola scala dell’architettura con la sperimentazione progettuale e didattica. Tutto questo nella convinzione che il sinergico rapporto tra riflessione, pensi-ero progettuale e prassi operativa sia il fondamento della ricerca in architettura, e che tali azioni debbano procedere il più possi-bile congiuntamente, almeno fintanto che le condizioni effettive lo consentano. Se questo è meno semplice da attuarsi sul piano dei fenomeni di trasformazione urbana o del singolo edificio, certo è molto più probabile tentare di sperimentarlo nel campo dell’architettura dello spazio (interiore) domestico, in partico-lare nell’indagine tra attività\azioni quotidiane delle persone e costruzione fisica dello spazio architettonico. Dal nostro punto di vista tali azioni devono essere strettamente intersecate con l’attività formativa universitaria e possibilmente sperimentate al vero. In questo caso, facendo tesoro della preziosa collaborazione con una giovane azienda del fecondo e prolifico mondo della produzione di sistemi d’arredo del marchigiano, la “DESUITE”

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di Morrovalle (MC), abbiamo posto al centro della ricerca lo spazio del riposo e dello studio per una unità domestica nella certezza che il sistema misto e delle possibili molteplici relazioni tra queste attività (non sempre ovvie e già tutte indagate) potesse portare a costruire delle attrezzature capaci di realizzare in nuce quello spazio vitale che è origine significante dell’architettura. L’ipotesi di ricerca era quella di verificare se fosse possibile rias-sumere in un oggetto dalla configurazione variabile a seconda delle fasi delle diverse attività o diversi momenti del vivere di una opiù persone il riposo, lo studio o il lavoro e realizzare al con-tempo tutti quei valori spaziali e di stimmung che molto più complessamente l’architettura tradizionale è sempre stata in grado di esprimere. Tale linea di ricerca è stata posta come base dell’attività di indagine progettuale che si è svolta durante il corso di “Progettazione di Interni“ da me tenuto nell’annualità accademica 2006-2007 presso la facoltà di architettura di As-coli Piceno dell’Università di Camerino nel primo anno della laurea specialistica di “Scienze dell’architettura” e che ha visto un gruppo di oltre sessanta studenti, con l’indispensabile e pre- zioso aiuto degli architetti Andrea Stortoni, Michela Kumka e Sara Camertoni in qualità di assistenti alla didattica, lavorare con passione crescente in una sperimentazione breve ma intensa.

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Attraverso modelli di studio, disegni a tutte le scale e con l’ausilio di ogni mezzo espressivo, i gruppi hanno lavorato in-torno ai dati che erano posti a base del lavoro: progettare un macro-oggetto capace di realizzare esso stesso spazio domestico e di studio, come prima detto, in assoluta e strategicamente ric-ercata indipendenza rispetto allo spazio murario che avrebbe potuto accoglierlo. Se nel precedente volume avevamo indagato attività simili ma in uno spazio dato, questa volta la indipen-denza dallo spazio voleva divenire momento non per negare il valore dell’architettura di pietra, ma per verificare le potenzialità dell’architettura movibile e dalle molteplici configurazioni, nella certezza che dall’incontro complesso tra i due sistemi concet-tualmente agli antipodi -il muro segno di permanenza e stabilità ed il movibile segno di flusso e trasformazione- sarebbero sca-turiti ampi spazi di ricerca e nuove possibili prospettive organiz-zative e di senso per l’abitare prossimo venturo. La ricerca in una seconda fase ha visto selezionare sei gruppi di lavoro che, per ti-pologie di approccio, avevano dato risposte diverse ma coerenticon le premesse teoriche sviluppate durante l’azione didattica. Dopo un ulteriore lavoro di approfondimento progettuale e di ingegnerizzazione condotta dai gruppi di lavoro in stretto rap-porto con la “DESUITE”, sono stati realizzati dei modelli finali

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1:5 dei sei lavori ingegnerizzati, e tra questi uno è stato portato fino alla scala al vero potendo verificare -finalmente- nello spazio reale le potenzialità espressive e figurative di questo sistema di at-trezzatura a configurazione variabile. Il prodotto ottenuto, non-ché in forma di primo prototipo, ci conforta sulla bontà delle premesse ed è il risultato di un’azione corale che, nata durante le ore laboratoriali nell’aula della facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, si è protratta nei mesi successivi alla fine del corso grazie alla paziente azione di coordinamento degli architetti Stortoni e Kumka, ma che senza la disponibilità ed esperienza, e prima an-cora della passione per la ricerca, di Alessandro e Barbara Vico, titolari della “DESUITE”, certo non sarebbe potuta arrivare in fondo con successo. Ma un pensiero particolare lo devo agli stu-denti che con entusiasmo e senza mai lesinare fatica hanno pro-dotto lavori di alto profilo progettuale che con amore e passione hanno continuato a raffinare e perfezionare fino ad ottenere un primo oggetto che è comunque frutto di un lavoro collettivo che dedico a tutti gli studenti che con passione si preparano a lavorare in uno dei più belli, ma sicuramente complessi, lavori al servizio della collettività.

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Architetture alla piccola scala un’occasione per sperimentare

di Umberto Caopreside della Facoltà di Architettura

di Ascoli Piceno

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Tre principi sin dagli inizi hanno caratterizzato la nascita della nostra Scuola di Architettura, che ormai ha compiuto quindici anni di vita: il progetto come momento cardine del rapporto tra formazione e sperimentazione; l’architettura come valore indipendente dalla sua scala metrica; l’unità della disciplina a prescindere dalle suddivisioni tra materie e insegnamenti.Tutte queste condizioni sono presenti nella vicenda didattica rac-contata in questo libro: le esercitazioni degli studenti sul tema di un sistema abitativo mobile si sono arricchite dell’esperienza produttiva di una azienda che ha permesso alle idee degli stu-denti le opportune verifiche costruttive; le “macchine per abi-tare” diventano “microarchitetture” e modellano spazi minimi e mutevoli, ma compiutamente architettonici; infine i risultati della sperimentazione, presentati nella splendida mostra allestita nella chiesa di S. Andrea ad Ascoli Piceno, testimoniano che an-che questi piccoli progetti, se portati avanti e verificati alla scala del costruito, esprimono la complessità della nostra disciplina, perfettamente in linea con una scuola di Architettura e Design.L’insegnamento dell’Architettura per essere valido non può chiudersi su se stesso ostentando distanza rispetto alle realtà del mondo del lavoro. Lo studente ha fiducia nello studio se ne percepisce chiara la finalità formativa. L’architettura della pic-

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cola scala, della costruzione mobile, temporanea o flessibile è una straordinaria occasione perché il giovane architetto si senta in grado di operare nella costruzione di uno spazio abitato. E non solo: la ricerca si inserisce in una riflessione più ampia sullo spazio abitativo che in questi anni va cambiando adattandosi alle molteplici condizioni del vivere contemporaneo; lo “spazio della casa” accoglie lo “spazio del lavoro” che ne diventa elemento di misura e di qualità senza imporre fissità e certezze.Tutto questo ha animato l’esperienza del corso di “Architetturadegli interni” promosso da Nicola Flora con la collaborazione degli architetti Michela Kumka, Andrea Stortoni e Sara Cam-ertoni, che arricchisce la memoria dei migliori risultati didattici della nostra Facoltà di Architettura.

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di Alessandro e Barbara Vicotitolari Desuite

Da sogno teorico ad interpretazione pratica

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Malgrado il nostro paese sia ricco di brillanti menti, spesso queste grandi risorse non vengono inserite o presentate nella realtà lavorativa in modo adeguato. A mio parere questo compito spetta principalmente alla realtà universitaria italiana che fucina di nuovi talenti riesce ancora oggi con difficoltà a far fare loro il salto nella realtà lavorativa.Il secondo anello di congiunzione di questa catena è rappresen-tato dalle nostre aziende che di rado riescono a trovare il tempo necessario da dedicare al coinvolgimento con il mondo univer-sitario, il quale nella maggior parte dei casi potrebbe offrire loro una visione più fresca ed incontaminata di idee delle quali sono spesso alla ricerca.I miei più cari ringraziamenti vanno perciò al professore Ni-cola Flora, ed indirettamente al preside professore Umberto Cao della facoltà di architettura di Ascoli Piceno dell’Università di Camerino, che sono riusciti a congiungere questi due anelli della catena ed hanno contribuito a far si che alcuni di questi “nuovi talenti” potessero vivere un’esperienza di applicazione pratica con la nostra seppur giovane realtà imprenditoriale.Questa sperimentazione, che mi permetto di definire trasfor-mazione da progetto a messa in opera, ha senz’altro dato a noi la possibilità di conoscere molti futuri architetti che a breve faranno parte del mondo lavorativo e allo stesso tempo ha dato la possibilità a questi nuovi aspiranti talenti di approcciare il mondo dell’applicazione pratica delle loro creatività e di toc-care con mano la realtà lavorativa presentando i loro progetti ad una giuria composta da persone che operano in una vera realtà aziendale che sola può trasformare il loro sogno teorico in ap-plicazione pratica.

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...come staison le cose che pensano

ed hanno di te sentimentoesse t’amano e non io

...rimpiangono te, son le cose;prolungano te, certe cose…

L. Battisti - P. Panella, da “Le cose che pensano”

Lo spazio intorno alla persona

di Nicola Flora

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Costruire lo spazio del vivere umano è atto primario del fare ar-chitettura. Costruire l’attrezzatura dello spazio è un atto che po-tremmo definire di secondo livello, un momento che, insieme al controllo del valore espressivo della luce, definisce in maniera più specifica e pertinente quelle che sono caratteristiche pecu-liari dello spazio interno, in particolare se si tratta di un luogo domestico. Molto spesso gli architetti si sono cimentati in queste fasi del progetto in momenti disgiunti, più raramente in manie-ra sincronica, ma certo la fase dell’attrezzare uno spazio interno resta un momento indispensabile perché si esplichi il complesso di azioni dell’abitare, sia che sia progettata dall’architetto sia che sia frutto di una spontanea azione dell’abitatore. Attrezzare lo spazio della casa dell’uomo, come del suo spazio di lavoro, per-mette l’accumulo ordinato di cose ed oggetti é esperienza con-divisa sentire che i propri oggetti, prima ancora delle mura che ci proteggono dalle forze della natura, sono veri e propri nar-ratori della nostra identità di persona, inesauribili accumulatori di memorie. Per tutte valga la riflessione di Primo Levi quando, in “Se questo è un uomo” 1, racconta di come la perdita fisica dei oggetti più intimi fu per tutti coloro che ebbero quella terribile esperienza dell’internamento nei lager nazisti la prima dram-matica presa di coscienza della perdita della propria dimensione

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di persona. Gli oggetti quindi percepiti nell’esperienza comune quali accumulatori di identità, capaci come sono di impregn-arsi delle memorie personali e restituirle in ogni momento, solo che li si tocchino o li si guardi aiutano l’uomo ad abitare e ad esprimere il proprio sé più intimo2, e dunque desidera tener-li con sé, vicini, pena la perdita della propria identità. Tale è l’evidenza di questa costatazione che basta ricordare come chi decida di dedicarsi alla vita contemplativa e mistica debba ri-nunciare ad ogni oggetto del passato, spesso, come accade alle sorelle dell’ordine di Madre Teresa di Calcutta, in coincidenza con il cambiamento del proprio nome e il distacco dalla propria terra e famiglia di origine. Oggetti quindi quali medium per abitare, con memoria, un luogo in un tempo. Abbandonare o perdere oggetti ha dunque il valore simbolico di separarsi e reci-dere rapporti con tempi e persone passate. Molte volte gli oggetti finiscono per esprimere valori che vanno ben al di là della me-moria individuale, rappresentando la cultura di tutto un popolo tanto da permettere agli studiosi, come ad esempio agli arche-ologi e agli antropologi, di ricostruire molto dei pensieri e delle strutture sociali e politiche di una intera cultura anche moltolontana dal nostro tempo. Proprio dall’analisi degli og-getti, certo non meno che dal modo in cui le stesse comu-

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nità decidevano di insediarsi, spesso possiamo conoscere il sistema di valori filosofici e religiosi di un popolo fino ad in-tenderne la posizione nel difficile e mai innocente rapporto uomo-natura: essendo questo uno dei momenti fondanti l’atto culturale dell’abitare3. Forse è per questa carica forte di umanità di cui gli oggetti sono portatori che molte architetture possiamo leggerle come scrigni in cui gli uomini cercano riparo, oltre che per sé stessi, per gli oggetti che sono, come ognuno di noi deve riconoscere a se stesso, strumenti per abitare poeticamente il mondo.Oggi, noi abitatori del ricco occidente dell’inizio del terzo mil-lennio, abituati come siamo ad avere tanti (troppi) oggetti che velocemente tendono a perdere valore d’uso, spesso abbiamo perso il desiderio (meglio: la capacità) di proiettare su di essi quella parte intima di noi stessi che nel tempo passato aveva conferito quel valore aggiunto di cui abbiamo accennato prima, a meno che non siano oggetti-icona, portatori di un valore ag-giunto per così dire d’origine che è la ragione per cui desideri-amo possederli. Proprio riflettendo intorno a questi argomenti e nella apparente contrapposizione di valori che nel tempo si è determinata tra l’architettura -che si radica al suolo in un luogo e momento preciso- e gli oggetti -per loro natura leg-geri e movibili, non stabili quindi non radicati- mi pare si siano

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nel tempo recente aperte delle prospettive di indagine sul sen-so dell’abitare contemporaneo4. Da questi pensieri e riflessioni sono nate le ragioni che hanno portato poi alla ricerca proget-tuale ed operativa documentata in questa pubblicazione, lavo- ro che seguendo una traccia avviata tre anni fa5 intende es-sere un momento di riordino dei risultati ottenuti in vista di future ulteriori indagini tra stabile\duraturo (radicato) posto in opposizione\confronto con il movibile\variabile (non radicato), linea di indagine progettuale e critica che può aprire sviluppi sul piano propositivo non solo alla scala dell’oggetto d’arredo e dello spazio interno, ma anche alla scala edilizia ed urbana ed in particolare nelle dinamiche di trasformazione di ambiti storici consolidati6. In prima istanza la relazione tra pesante (indice di stabilità e radicamento, tradizionale valore dell’arte del costru-ire occidentale, intrinsecamente monumentale e portatore dei valori della permanenza, per propria natura stabile e in cerca del durevole) e leggero (portatore dei valori del piccolo e movibile, soggetto al tempo e quindi naturalmente tendente all’oblio, al mutevole e al temporaneo, di natura antimonumentale e an-tiretorica, in questo senso regno dell’espressione individuale e del momentaneo) esprime la duale storica convivenza di opposti nello spazio artificiale della città ove si esprime tanta parte della

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vita degli uomini. Sembra persino eccessivamente didascalico ricordare come Italo Calvino apra il suo memorabile ciclo delle lezioni americane proprio con l’inno alla leggerezza7. Le parole di Calvino apparvero subito come apertura ad un futuro che al-trove era già presente. Nulla di troppo nuovo se avessimo avuto il coraggio, proprio noi architetti italiani, di ricordare l’esaltazione di Terragni e Pagano, tanto per parlare di eroi nostrani della prima modernità, per i valori della leggerezza e trasparenza che, secondo la visione di questi maestri, la stessa modernità chie-deva di esprimere in osservanza allo spirito del tempo nuovo8. Poi proprio gli architetti e più in generale gli studiosi della dimensione psicologica dell’abitare hanno per primi avuto l’attenzione di notare come gli oggetti e i sistemi di oggetti che popolano la quotidianità di ogni persona, siano stati que-gli elementi che hanno caratterizzato la pittura nordeuropea seicentesca comunicandone la stimmung, l’atmosfera9. Cultura che viene normalmente presa come riferimento per narrare la vera e propria celebrazione del primato del domestico e del confort rispetto al monumentale e rappresentativo che quelle culture hanno elaborato, in un cammino lungo e che ha por-tato i paesi del nord ad essere i traghettatori della domesti-cità nella modernità contemporanea10. Basta qui solo ricordare

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l’attenzione di Ponti e della sua rivista “Domus” per quel mondo, oltre che per gli oggetti e le attrezzature domestiche del quotidiano che quegli architetti disegnavano e produceva-no, attenzione che porterà proprio Ponti ad ibridare la parte dura, muraria, dell’architettura con i sistemi d’arredo e accu-mulo degli oggetti realizzando le famose “finestre attrezzate”.Così le sedie di Terragni in tubolare metallico che d’improvviso rendono mobile e dinamico l’antico atto del sedersi, al pari di quanto fa con il volume architettonico che sembra ribellarsi alle forze della gravità e far librare nell’aria la pensilina posteriore dell’asilo Sant’Elia a Como o, più ancora, far sembrare fluttuante in uno spazio senza gravità la parte superiore del volume dello stesso asilo per effetto del taglio continuo del vetro orizzontale delle finestrature del corridoio di distribuzione verso la corte in-terna, tanto da rendere apparentemente immateriale e sospesa la metà superiore del volume di quella architettura, raccontano di esperienze pilota che la cultura architettonica italiana ha troppo precocemente abbandonato a vantaggio di un male inteso stori-cismo e arroccamento alla cultura massiva della tradizione11. Il linguaggio dell’architettura moderna del ‘900 ha portato len-tamente, ma inesorabilmente, la millenaria cultura occidentale della costruzione verso la riduzione del valore del peso e della

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massa in architettura. Ma è stata proprio la prima modernità di grandi architetti italiani come Terragni e poi Albini a por-tare nel pensiero degli architetti, prima ancora che nel tempo della storia moderna, l’aspirazione alla leggerezza, e quindi all’antimonumentale. Questo ben prima di una effettiva di-sponibilità sul mercato di materiali idonei a realizzare quanto proposto in maniera corrente. Forzando i termini delle nos-tre riflessioni potremmo giungere ad affermare che proprio le attrezzature e gli oggetti di uso quotidiano, ossia le cose più vicine alla vita -fisica e mentale- della persona, sono stati i veicoli culturali nel mondo occidentale di questa demonu-mentalizzazione della cultura dell’abitare lo spazio pubblico come quello privato. Semplificando potremmo dire che gli og-getti e le attrezzature per contenerli hanno trasportato l’uomo dalla grotta alla capanna. Albini con i suoi allestimenti a Palaz-zo Bianco e Palazzo Rosso a Genova, e particolarmente con le due superbe scale sospese (quella in legno posta all’interno dell’appartamento del sovrintendente e quella ottagonale in ferro nello spazio museale), esprime questa definitiva intro-duzione nel cuore dell’architettura della classicità occidentale (l’architettura italiana) del valore del leggero e del mutevole, portatori del movimento e del trasformabile, vivificante specie

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sé posto in confronto con la pesantezza dell’architettura che il passato ci ha tramandato. Allora non può stupirci che Carlo Scarpa racconti perfino il monumento funebre dei signori Brion nel loro cimitero ad Altivole tramite due arche che sem-brano colte in un attimo del loro eterno oscillare l’una verso l’altra. Sotto una tenda di biblica memoria, introduce il mo-vimento di due oggetti dall’apparente aria domestica proprio nel regno della fissità per eccellenza, rimettendo in discus-sione ciò che è sempre stato visto come rigido ed immobile. Da quanto sopra sommariamente esposto ritengo sia valutabile il valore fondativo dell’interiorità\internità nel progetto di ar-chitettura contemporanea, un’interiorità che è la faccia concet-tuale dell’internità fisica dello spazio architettonico, campo di attenzione e di studio (teorico ed operativo) che è stato capace di contribuire fortemente a rimettere in moto i sistemi men-tali di culture architettoniche stratificate e complesse. Il fatto poi che architetti nordici e orientali contemporanei, per diverse ragioni e per diverse strade e ricerche culturali, pongano al cen-tro del valore del pensare l’architettura per l’uomo del terzo millennio i concetti di mobilità, leggerezza, trasformabilità12 non è altro che un’ulteriore conferma di quanto importante sia oggi questa linea di ricerca, indipendentemente dalla scala di

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applicazione e di effettiva operatività. Abitare sempre di più è percepito come una condizione mobile e fatta di momentanee stabilità, alla piccola come alla grande scala, nella dimensione pubblica e sociale quanto intima e privata. Condizioni che richiedono costanti e continui aggiustamenti e adattamenti a fasi e momenti della vita dello spazio urbano come di quello interno, di una comunità come del singolo. In posti dove la costruzione delle case da abitare è sempre più sottratta agli ar-chitetti, come ricorda opportunamente Koolhass13 sempre più gli oggetti e i loro contenitori devono avere il ruolo di costrut-tori di identità in luoghi troppo spesso senza identità o a bas-sa identità figurativa e spaziale. Anche nell’eccesso opposto dell’architettura di case\manifesti di poetica, il concetto di mac-china da abitare, con quel corredo di meccanismi e conseguente mobilità che il concetto implica -anche al di là del senso che gli aveva attibuito Le Corbusier- può avere la forza di introdurre la potenza dirompente della vita nello spazio degli uomini. In questo senso l’indagine del mondo dei sistemi di attrezzature che configurano spazi di vita e di lavoro è uno spazio di ricerca vitale per l’abitare e deve essere sperimentato dagli architetti in continuità con il pensiero dello spazio dell’architettura con-temporanea, non nell’autonomia filo-produttiva della cultura

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del design che ha legittimamente altre strade di ricerca, le quali spesso sfiorano le posizioni sopra accennate, ma più spesso in-teragiscono con il mondo dell’arte d’avanguardia in modalità che sembrano solo parzialmente utili a superare il breve du-rare di una stagione. La prospettiva di costruire architetturemovibili dentro architetture immobili, mondi leggeri e cangianti in continuità e mutuo completamento con il regno della stabilità e della permanenza dell’architettura di pietra, ci appare una via proficua per pensare all’architettura della casa contemporanea come un processo di progressiva colonizzazione degli spazi del tempo e della storia da parte dell’uomo di oggi, senza cedere a tentazioni di retroguardia e di conservazione a tutti i costi, nella convinzione che la leggerezza del tempo presente può diven-tare prolifica e fruttuosa se si innesta profondamente nel corpo duro e pesante della città di pietra. Le esperienze relativamente recenti del cosiddetto “parassitismo”, ossia la programmatica ag-gressione progettuale di edifici storici con volumi autonomi che vivono del radicamento fisico sulla preesistenza ma in assoluta discontinuità fisica e materica con la preesistenza su cui vio-lentemente si sovrappongono, ha avuto un benefico effetto sul pensiero degli spazi contemporanei pari alle operazioni allesti-tive dell’artista Christo che, nell’impacchettare edifici o pezzi

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interi di territori artificiali come naturali, ha ridotto la distanza tra oggetti e architetture, tra il piccolo ed il grande, tra il leg-gero\deteriorabile ed il pesante\immodificabile. Per concludere: l’esperienza progettuale di Rietveld che passa dalla leggerezza compositiva e mentale della pur sempre stanziale casa Shroeder, al classico radicamento del padiglione provvisorio del museo Kröeger-Müller, può essere vista come il processo complemen-tare di quello che compie Le Corbusier che passa da casa Sa-voye alla Maison de l’homme, entrambi processi che tendono a mescolare con un complesso sistema di rimandi teorico-oper-ativi il pesante ed il leggero, il radicato con l’appoggiato o meglio ancora con il sospeso. Atteggiamento progettuale che è alla base della ricerca che questo piccolo volume vuole documentare.

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1 P. Levi, Se questo è un uomo, Torino, 1958.2 “Le teorie di William Morris, costantemente applicate da Maple e dagli arredatori inglesi, de-cretano che una stanza è bella quando contiene solo cose utili e che qualsiasi cosa utile, anche un semplice chiodo, non deve essere dissimulata ma anzi messa in evidenza. Sopra le aste di ottone del letto e interamente scoperto, sui muri nudi di queste camere essenziali, qualche riproduzione di capolavori. Sulla base di questi principi estetici, la mia stanza non era affatto bella, perché era piena di cose che non servivano a niente e che nascondevano pudicamente, fino a renderne l’uso estremamente difficile, quelle che servivano a qualcosa. Eppure era proprio per quelle cose che non si trovavano lì per comodità ma sembravano esserci venute per loro piacere, che la camera aveva ai miei occhi una speciale bellezza”, in M. Proust, Del piacere di leggere, Firenze, 1998. 3 cfr. C. Norberg-Schulz, L’abitare, Milano 1984, ove, partendo dall’etimo della parola abitare, descrive come il senso della parola nasca etimologicamente dal “fare spazio nella natura”, pp. 9-30.4 In particolare la crescente attenzione per il lavoro con quella sorta di ready-made che sono i con-tainer, per esempio, con cui in diverse parti del mondo si riusano per generare nuove abitazioni, musei, frammenti di città, oltre che per il riuso di oggetti che nascono con una funzione e ven-gono trasformati in altri oggetti domestici, modalità espressiva messa coerentemente in pratica nell’interessante lavoro del gruppo di architetti Lot-ek, che trasporta valori del leggero e del provvisorio anche in contesti, quali la casa occidentale, che nascevano, almeno sul piano ideale, quali luoghi della persistenza e del radicamento, ad un gruppo sociale come ad una terra.5 Un primo approccio sperimentale\didattico per cercare di verificare la possibilità di realiz-zare architettura senza l’ausilio della parte tradizionalmente deputata a realizzarne fisicamente i limiti, ossia senza ausilio si murature o strutture primarie di alcun genere, è stato tentato con la progettazione di un sistema integrato studio\residenza\lavoro sviluppato all’interno del corso di Interni svolto dallo scrivente presso la facoltà di architettura di Napoli, Federico II, nell’a.a. 2005\06, che ha portato alla realizzazione di otto prototipi in scala 1\3 realizzati da un’azienda di settore guidata dal gruppo docente e dagli studenti e documentato dal volume N. Flora, Pro-gettare, sperimentare, costruire- quaderno di ricerche e sperimentazioni sull’interno architettonico, Napoli, 2007.6 Studiosi di interni come Gianni Ottolini per la scuola milanese, Adriano Cornoldi per la rinata scuola veneziana, oltre a quella napoletana di Filippo Alison e Agostino Bossi, con l’istituzione del dottorato di ricerca in “Architettura degli interni e arredamento” hanno riacceso sin dagli inizi degli anni ’90 un interesse per gli studi della piccola scala della progettazione architettonica che erano stati decisamente abbandonati da parte delle facoltà di architettura italiane. La più re-cente istituzione di un altro dottorato a Roma ha ulteriormente ampliato il campo degli studiosi delle discipline della piccola scala (ICAR 16), settore di studi in cui questo scritto e le attività di ricerca cui si riferisce intendono inserirsi. In quanto parte della più ampia famiglia della Proget-tazione architettonica si ritiene che il contributo che gli studi e le ricerche della piccola scala pos-sano dare alle scale più ampie della progettazione siano significative, in particolare nell’indagine dei temi scaturenti dal progettare su preesistenze, tema che è stato il cuore delle riflessioni e degli interventi dell’ultimo convegno veneziano dei docenti ICAR 16 i cui risultati sono stati raccolti nel volume: A. Cornoldi, Gli interni nel progetto sull’esistente, Padova, 2007.7 cfr. I. Calvino, Lezioni americane - sei proposte per il prossimo millennio, Milano, 1993; il grande scrittore anticipa profeticamente sul finire del XX secolo istanze che oggi dominano gli scenari culturali di diverse discipline ma anche più strettamente dell’architettura, dall’oggetto al pae-saggio, passando per le diverse scale del progetto architettonico ed urbano. In un mondo in particolare come quello della cultura architettonica italiana che dalla metà degli anni ’80, domi-

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nato come era dal peso della cultura storicista, della decadenza tipologica e post-moderna, quelle parole ebbero il benefico effetto di spalancare le finestre ed aprire l’attenzione su quanto di nuovo si andava sperimentando in altri contesti culturali, in particolare in oriente.8 Che forza profetica, quale chiarezza di prospettive si riscontrano a leggerle oggi nelle parole ad esempio di Giuseppe Pagano quando, dalle colonne della Casabella – Continuità da lui diretta scriveva che “[…]concepita come una laboriosa conseguenza di equilibri statici fondati sulla forma, sulla compattezza e sul peso dei materiali, la fabbrica denuncia in mille maniere […] il dramma di questa impostazione strutturale, basata sullo sfruttamento della pura gravità […]. Non vi è stato grande architetto che non abbia sentita questa eroica lotta contro la materia. […] Un desiderio di concisione plastica e di eleganza che si identifica a distanza di secoli, ora che l’umanità incomincia a dimenticare il falso simbolismo del peso e del grave ammasso di sassi per l’eleganza del traliccio leggiero, sottile e resistente”, da G. Pagano, Estetica delle strutture sottili, in Casabella – Continuità 138-139-140, giugno-luglio-agosto 1939, scritto ripubblicato nel “Fascicolo speciale dedicato all’architetto Giuseppe Pagano” del febbraio 2008 in occasione dell’ottantesimo anniversario dall’inizio delle pubblicazioni di Casabella, p. 95.9 cfr. M. Praz, La filosofia dell’arredamento, Milano, 1964.10 cfr. A. Cornoldi, Architettura dei luoghi domestici. Il progetto del comfort, Roma, 1994, anche per l’amplissima bibliografia su questi temi che l’autore riporta al fianco dello sviluppo delle proprie ancora oggi illuminanti riflessioni, non a caso elaborate negli stessi anni in cui veniva pubblicato postumo il volume di Calvino “Lezioni americane”, cit. Poco dopo e per vie asso-lutamente diverse il sottoscritto si interessava del mondo del nord Europa, in particolare della Norvegia, entrando in contatto con il mondo dell’antimonumentale e del domestico che poi avrebbe radicalmente mutato l’orizzonte dei propri interessi culturali e progettuali. Per quanto riguarda gli studi in tale ambito da parte dello scrivente, si vedano in particolare i volumi: N. Flora – P. Giardiello – G. Postiglione, Arne Korsmo – Knut Knutsen, due maestri del nord, Roma, 1999; N. Flora – P. Giardiello – G. Postiglione, Sverre Fehn, architetto del paese dalle ombre lunghe, Napoli, 1993.11 D’altra parte chiunque oggi operi alla scala dell’edificio sa quale ruolo di sudditanza culturale viva ancora oggi un progettista rispetto ad amministratori ed in particolare ai sovrintendenti ai beni monumentali, segno del valore di immobilismo e di radicamento al passato delle nostre amministrazioni che rifiutano il movimento che è, per definizione, segno di vita.12 In particolare si vedano Alison and Peter Smithson, The art of inhabiting, London, 1973 e il recentissimo, per certi versi più lirico e meno politico, libro Sanaa, Houses, Barcellona, 2007, capaci di toccare a distanza di anni il senso profondo delle piccole cose.13 cfr. R. Koolhaas, Junkspace, ed. italiana Macerata, 2006.

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Dai muri verso il corpo:una proposta per abitare il terzo millennio

di Nicola Flora

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Riduzione degli spazi da abitare, sempre maggiore necessità di spostamenti in diversi luoghi per necessità di studio e\o lavoro: partendo dall’ipotesi che tale scenario nel prossimo futuro si imporrà all’attenzione dei progettisti, il corso di “Progettazione d’interni” che coordino presso la facoltà di architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino, incentra le proprie azioni di ricerca progettuale in continuità con esperienze avviate sin dal 2005 su sistemi arredativi autoportanti a configurazione varia-bile ed indipendenti dal contenitore architettonico in cui si in-seriscono. L’ipotesi sulla quale stiamo lavorando è quella che un utente-nomade (ove nomade indica principalmente una dispo-sizione dello spirito) possa essere una persona capace di ridurre al minimo le cose indispensabili al proprio vivere e lavorare, in virtù della necessità di poterle facilmente trasportare e riorganiz-zare in spazi di diversa misura e configurazione architettonica. E’ stata individuata come concetto guida l’attrezzatura-baule, possibile risposta a tale condizione del nuovo abitatore dell’inizio del terzo millennio: un sistema riducibile ad un volume semplice che aprendosi e consentendo diverse com-binazioni spaziali e d’uso avesse la capacità di caratterizzare e identificare una serie di luoghi-vita, scaricando l’architettura-contenitore da essere unica depositaria della necessità di realiz-zare tale compito. L’abitatore nomade del prossimo futuro non confiderà necessariamente sull’architettura dura del contenitore, quindi, ma piuttosto sulla meno invasiva duttilità e riconfigu-rabilità dell’attrezzatura-baule, capace di adattarsi a diversi lu-oghi, modificandosi pur mantenendo un’identità specifica: dai margini gli oggetti si staccano concettualmente fino ad “adden-sarsi” intorno alla persona. La persona, con il proprio corpo, diventa protagonista dello spazio, e accumula nel suo imme-diato intorno gli oggetti necessari allo svolgimento delle pro-

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prie azioni vitali. La ricerca che qui presentiamo ha come suo presupposto strategico\operativo l’incontro della fase didattica e di formazione (università) con quella produttiva (aziende di settore) che si incontrano e coordinano nella fase di sperimen-tazione progettuale, stabilendo un contatto con la vivace realtà di ricerca e di sperimentazione che molte aziende di settore, par-ticolarmente nella regione Marche ove è situata la nostra facoltà, fanno abitualmente.

Sei spazi interiori

Tra tutti i lavori presentati sono stati selezionati sei lavori che mostravano diverse modalità di approccio e soluzione al tema dato. Il lavoro è stato portato avanti in stretto cont-atto con la “DESUITE”, nostro partner operativo, che grazie all’intenso lavoro di organizzazione e coordinamento degli ar-chitetti Andrea Stortoni e Michela Kumka ci ha permesso di raggiungere una raffinata fase di ingegnerizzazione dei lavori. Fase, questa, produttiva e stimolante per tutti coloro che vi hanno partecipato e che ci ha permesso di calibrare i dati che erano premessa del tema progettuale, lavorando anche sulle modalità di comunicazione e anticipazione delle fasi produt-tive che dovevano adattarsi alle particolari condizioni in cui l’azienda opera, avendo essa organizzato la propria fase di pro-duzione in Cina. Questo semplice fatto, oggi assai diffuso in aziende occidentali, ha di fatto impedito ai diversi gruppi di avere un controllo diretto nella fase di produzione esecutiva, e quindi ha richiesto un grande lavoro di sintesi comunicativa che, senza perdere nulla a riguardo della completezza descrit-tiva, fosse al contempo chiaro nelle informazioni da inviarsi.Tutti i sei gruppi hanno sviluppato i disegni esecutivi nonché

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le modellazioni solide e virtuali durante l’autunno 2007. Non possiamo non sottolineare la passione e l’entusiasmo, scevro da ogni pratico tornaconto, ma ricco di vera passione di conoscen-za e desiderio di crescita disciplinare, con cui i quasi venti stu-denti si sono dedicati per molte settimane a questo duro lavoro.Tra questi lavori, per mera e comprensibile limitazione finan-ziaria, uno solo è giunto al prototipo al vero, ma tutti sono stati lavorati fino ad arrivare allo stesso approfondimento proget-tuale. Questa ulteriore fase, da considerarsi anch’essa interme-dia in quanto chiederebbe altri passaggi per mettere a punto un prototipo finale, è stata sufficiente tuttavia a confortarci sulla bontà delle premesse che ci eravamo dati, avendoci per-messo di sperimentare al vero la forza espressiva di tale tipo di struttura, nonché la sua capacità di costruire spazi e luoghi per vivere come ipotizzato in fase di impostazione della ricer-ca. Le foto che aprono questa parte del volume sono voluta-mente ambientate nello spazio anonimo ed indeterminato del deposito dell’azienda “DESUITE”, foto che riprendendo la suggestione di un recente e bello spot pubblicitario di abbig-liamenti sportivi ove una donna volteggia nello spazio organiz-zato all’interno di un anonimo e neutro deposito con strutture di ponteggi metallici e tavolati di legno, animando macchine inutili che producono bolle di sapone o gonfiano palloncini o fanno battere le mani a guanti multicolori, raccontano il gioco sapiente di costruire spazi interiori che, nella ricerca del felice muoversi di un corpo nello spazio, generano i luoghi per la vita.Anche per raccontare tutta la freschezza del primo impatto che abbiamo avuto nel montare l’oggetto arrivato da tanto lontano, e dopo tanta attesa, abbiamo deciso di mostrare quelle prime foto che mantengono la gioia e la felicità che noi tutti abbiamoprovato in quel bel giorno di primavera del 2008 a Morrov-

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alle, nei depositi della “DESUITE”, nel vedere un oggetto che, aprendosi, dava vita allo spazio anonimo di un capan-none contaminandolo con l’inizio di un’architettura possibile.

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Dalla didattica...

di Michela Kumka

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L’esperienza didattica è partita sin dall’inizio sulla base di un entusiasmo che ci ha portato poi a lavorare con gli studenti per diversi mesi anche dopo la fine delle lezioni. Con l’aiuto di un’imprenditore giovane e capace di investire in formazione, è stato possibile infatti realizzare il nostro obbiettivo di voler ricostruire, in scala reale, uno dei lavori progettati dagli studenti durante il corso, in “rappresentanza” del lavoro svolto da tutti.Nella pratica, il corso ha avuto come obiettivo quello di in-trodurre lo studente all’indagine teorica vista come sostegno dell’azione operativo-progettuale dei temi dell’interno architet-tonico. Partendo dall’assunto che l’interno architettonico è uno dei luoghi fondativi del progetto di architettura, luogo delicato e sensibile perché indaga le modalità di organizzazione spa-ziale e le sue definizioni materiali fino alla scala del dettaglio in rapporto diretto e tattile con i fruitori del più complesso manufatto architettonico, il corso ha introdotto lo studente all’approfondimento delle riflessioni sulla relazione spazio in-terno-spazio esterno anche attraverso contributi di studiosi di altri settori disciplinari. Partendo inoltre dalla convinzione che il mestiere dell’architetto nella sua interezza vada inteso sem-pre come un servizio alle persone, piuttosto che come astratta e sterile espressione autoreferenziale, il corso ha cercato di orien-tare la formazione degli studenti verso un approccio al progetto dell’interno architettonico che parta dall’analisi dell’interiorità (da intendersi certo come spazio fisico interno ma anche men-tale e psicologico delle persone), posizione culturale che per-mette di lenire le spinte verso eccessi formalisti da parte dei fu-turi progettisti, rendendoli più attenti all’ascolto critico delle condizioni del contesto interiore - sia esso uno spazio interno che uno spazio esterno - e quindi sia fisiche, sia psicologiche che di relazione, che ciascuna occasione progettuale porta con sé.

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Abbiamo chiesto agli studenti di progettare un “macro-oggetto” a configurazione variabile, capace di garantire ad uno studente, in questo caso di architettura, di abitare uno spazio interno in-dipendentemente dalla natura o configurazione delle pareti fisse, oggetto che doveva restare distinto dall’architettura che avrebbe potuto ospitarlo. Inoltre doveva esistere la possibilità di poter por-tare via facilmente tale oggetto dalla stanza che avrebbe occupato, per trovare dimora dove lo studente si fosse trasferito, insomma senza lasciare tracce o segni di attacco a terra o alle pareti in cui abbiamo indicato loro di inserire l’oggetto (un piccolo mono-locale esistente), elementi che pure hanno fatto da riferimento ma che non dovevano costituire ostacolo o condizionamento troppo forte alla soluzione finale. Questo ha portato ad indagare una possibile configurazione chiusa, nel senso che l’oggetto fosse riconoscibile anche prima dell’attivazione dei suoi diversi usi. Il nostro “macro-oggetto” doveva poter essere montato dallo studente stesso (almeno nelle aspirazioni iniziali quando noi, gruppo docente, insieme all’imprenditore, avevamo pensato il tema), avrebbe dovuto potersi aprire in parte o totalmente per conformare lo spazio, permettendo alle azioni necessarie alla vita di tutti i giorni, cioè mangiare, dormire, studiare, leggere, accogliere un’amico, di accadere senza avere la pretesa di otte-nere forme rigorosamente ergonomiche, ossia essere fatto con materiali troppo tecnologici o arrivare a sperimentare forme dal-la figurazione eccessivamente prevaricante rispetto alle semplici attività domestiche che deve assolvere. L’attrezzatura sarebbe do-vuta essere semplicemente accogliente e versatile, dare quell’idea di casa che tutti noi, più o meno consciamente, cerchiamo. Ab-biamo lavorato innanzi tutto con lo “spazio”, simulare il modo in cui vi si entra, lo si percorre, lo si percepisce, e su questo processo, che un maestro come Le Corbusier chiamava gioco

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sapiente del progettare, è stato impostata l’azione di ricerca pro-gettuale. Per affrontare tale obiettivo, con il supporto di riflessioni di carattere teorico mirate, l’operatività progettuale è stata il vero motore del corso, momento dove l’uso contemporaneo di schizzi, disegni a matita, modelli di studio e fotomontaggi ci ha sempre accompagnato. Alla fine le simulazioni al computer sotto forma di viste prospettiche e filmati, hanno chiuso la fase progettuale di corso. Abbiamo avuto molta cura che i diversi gruppi di studenti fossero il più possibile rigorosi nel disegno tecnico, per noi strumento base della progettazione, arrivando ad approfondire alcuni dettagli costruttivi, atti alla compren-sione del montaggio o della fattezza più minuta dell’oggetto e del modo in cui la persona avrebbe potuto utilizzarlo e per-cepirlo. Spesso questa volontà, ha portato alcuni gruppi ad elaborare un vero e proprio manuale di utilizzo, arricchito da misure e abaco degli elementi. Grazie alla volontà costante da parte degli studenti di approfondire e non tirarsi mai indietro rispetto alle sollecitazione che il docente poteva dare; alla fine il risultato è stato quello di avere tanti progetti diversi, a volte giocosi e imprevisti, a volte forse complicati, ma certamente nati dalle idee dei gruppi di lavoro e atti a rispondere alle esigenze richieste di vivere consapevolmente lo spazio interno, e ancor più, come scriveva G. Bachelard in “Poetica dello spazio”, di “dare il proprio spazio poetico ad un oggetto, (cosa che) significa dargli più spazio di quanto non ne abbia oggettivamente, o, per meglio dire, significa seguire l’espansione del suo spazio intimo”.

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...a un momento di gioia vera.

di Andrea Stortoni

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In questa prima esperienza didattica sviluppata nel corso di “Progettazione d’interni” ad Ascoli Piceno, ho avuto modo di scoprire ed indagare quelli che sono i principi dell’architettura della piccola scala. Indubbiamente il corso si è subito posto nei confronti degli studenti nella posizione di richiedere lavori fortemente studiati sia dal lato compositivo che da quello dell’approfondimento tecnico e di rappresentazione, e questo è stato certamente favorito dalla consapevolezza che gli studenti avevano che sei loro lavori sarebbero stati oggetto di approfon-dimento fino alla ricostruzione al vero (almeno per un gruppo). Avere la possibilità di realizzare e quindi toccare con mano ciò che si sarebbe sperimentato in aula è stato un forte stimolo a rendere credibile anche ogni passaggio dell’indagine proget-tuale, dai primi modelli di studio fino al disegno più dettagliato.Parallelamente, quindi, a quelle che erano le attività di revisione dei lavori di progetto abbiamo lavorato per trovare un partner che condividesse quelli che erano i principi di ricerca sperimen-tale sull’abitare contemporaneo che il corso si stava prefiggendo di indagare. A metà della nostra esperienza didattica e dopo una prima consegna dei materiali prodotti dagli studenti si fa sempre più forte in noi la necessità di poter prototipare almeno una delle oltre venti proposte progettuali pervenuteci, non tanto per il gusto di avere un ricordo dell’esperienza quanto per poter verificare al vero le azioni spaziali proposte oltre che per permet-tere ai nostri studenti la verifica sperimentale di quanto immagi-nato, cosa che solo il lavoro in cantiere o in officina permette. Vedere l’espressione degli studenti quando sono arrivati in aula, il giorno dell’esame, i due imprenditori per vedere quanto poi avrebbero seguito nei mesi successivi fino alla realizzazione del progetto è una cosa difficile da dimenticare.Al termine della lunga giornata, affascinati dai lavori pro-

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dotti, gli imprenditori accolgono la proposta: si realizzeranno 6 modelli in scala 1:5 in modo da poter indagare con più preci-sione le varie difficoltà e problematiche realizzative, e tra questi uno verrà poi realizzato al vero. Tutti i sei gruppi selezionati dopo un lavoro svolto sotto la guida di noi assistenti, consistente in disegni dettagliati di ogni com-ponente oltre che dei disegni d’insieme e dei plastici di studio che essi stessi avevano prodotto, vengono invitati direttamente in azienda a presentare il proprio lavoro.Alla presenza del gruppo docente, ed in particolare degli im-prenditori, ciascun gruppo ha potuto mostrare nel dettaglio tut-to il lavoro di approfondimento e illustrare la proposta abitativa che il progetto intendeva proporre.Il grado di definizione dei disegni è stato tale da permetterci di realizzare i modelli dei macro-oggetti arredativi in scala 1:5 per mezzo di macchine a controllo numerico e a taglio laser, e di produrre il prototipo 1:1 nelle falegnamerie che lavorano per l’azienda in Cina.Oggi che i plastici 1:5 sono completati ed il prototipo 1:1 è in Italia, dopo aver potuto verificare le spazialità che sono in grado di realizzare, possiamo certamente dire che lo spirito con cui sono stati affrontati i temi progettuali proposti era (ed ancora è) valido e ricco di suggestioni. Questo ha ripagato noi tutti che abbiamo lavorato con impegno ed assiduità della fatica e del tempo che vi abbiamo dedicato. La possibilità di abitare fisicamente, anche se per qualche at-timo, all’interno di un oggetto progettato e poi prodotto da un corso di architetti in formazione, aprire con le proprie mani un cassetto, uno sportello, un tavolo è stata oltre che esperienza emozionante, momento di gioia vera.

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TutorAndrea Stortoni

StudentiRiccardo Pagnoni

Pietro PiuntiJessica Zunica

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Quando abbiamo chiesto agli studenti del corso di pensare ad un macro-oggetto in grado di reinterpretare e soddisfare, grazie ad alcune variazioni di configurazione, le richieste ed i modi di abitare di un architetto, pensavamo non solo a qualcosa che riuscisse ad essere utilizzato dal margine verso il cen-tro configurando spazi, ma anche che riuscisse a diventare mezzo espressivo della personalità di chi a quell’oggetto avrebbe affidato le proprie cose.Il gruppo che stiamo analizzando è stato quello che forse ha centrato il tema di progetto affidatogli in maniera più chiara e sintetica.Il loro oggetto si presenta a prima vista come un parallelepipedo compatto apparentemente semplice e ben definito, in realtà complesso ed in grado di nascondere un alto grado di diversificazione delle attività, manifestandosi di essere in grado di modificare e configurare lo spazio in cui esso viene appog-giato senza dover per forza entrare in contatto con i margini della stanza.Ad una prima analisi esso si presenta composto da una massiccia cornice esterna contenete dei cassettoni multifunzionali con partiture a giorno e compartimenti nascosti che nascono per essere interpretati, non solo come contenitori e piani d’appoggio ma, come vera e propria carta d’identità dell’architetto che lo utilizzerà.Ruotando l’unico elemento verticale riconoscibile si rende possibile l’apertura dei “cassettoni” ospitanti le funzioni principali (studiare, leggere, scrivere, disegnare, contenere, riposarsi, dormire, ecc...) e viene quindi dato accesso all’utilizzo dei contenitori, dei piani di appoggio, delle piccole sedute im-bottite e del letto nascosti all’interno dei due grandi elementi orizzontali rotanti.Le altezze dei piani di appoggio, del letto, dei tavoli di lavoro e dei cassetti sono stati pensati per essere utilizzati rispettivamente in piedi, distesi, seduti o semplicemente appoggiati, sperimentando e confrontandosi con i rap-porti dimensionali e gli standard riguardanti le misure dell’uomo codificate, confermadole, in alcuni casi, o sperimentando variazioni rispetto alle quote d’uso consolidate in altri.Inoltre lo studio delle essenze e dell’orientamento delle texture del legno sono state pensate per rendere riconoscibili i numerosi contenitori e gli sportelli scorrevoli in grado di dare vita alle innumerevoli configurazioni di questo sorprendente oggetto.

di Andrea Stortoni

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TutorAndrea Stortoni

StudentiValentina Brandozzi

Luca ForesiAndrea Gianfelici

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Nel tentativo di sviluppare un nuovo modo di dare configurazione allo spazio domestico abitabile tramite un macro oggetto arredativo, si è immaginato un sistema che muta il suo iniziale schema figurativo per mezzo di un mec-canismo telescopico di scorrimento delle singole parti in cui l’oggetto è sud-diviso.Composto da una serie di cornici contenenti le funzioni dell’abitare, rese visivamente morbide grazie agli angoli arrotondati, esso si mostra in grado di occupare, attraverso dei binari a soffitto, tutto lo spazio a disposizione in modo variabile partendo da un volume iniziale molto contenuto. I singoli moduli di cui esso è composto sono pensati per essere realizzarsi in materiali plastici.Abitare quest’oggetto significherebbe avere a che fare con una serie di isole attrezzate, figlie di una struttura maggiore alla quale faranno sempre riferi-mento per ricomporsi in un assetto più compatto, che dislocate a distanze modificabili nello spazio sono in grado di adattarsi al meglio alle azioni abi-tative.Nelle varie ore del giorno l’interno potrà variare nella sua configurazione spa-ziale definendo scenari mutevoli conformi alle esigenze di spazio del fruitore che in esse potrà leggere, studiare, riposarsi, mangiare ecc…Come per gran parte dei lavori del corso è chiara anche in questo caso la volontà di disinteressarsi dell’involucro murario in cui l’oggetto, con la sua intrinseca spazialità, dovrà inserirsi. Esso risulterà come un guscio esterno più duro in contrapposizione al quale la leggerezza dell’oggetto inserito darà nuovo spirito e senso allo spazio abitabile.

di Andrea Stortoni

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TutorMichela Kumka

StudentiManuel Angelini

Francesco Campanella

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L’apparente semplicità, la nudità e le ridotte dimensioni (90x150x180cm) dell’oggetto chiuso, non lasciano immaginare cosa esista al suo interno. E’ stato interessante come si sia riusciti a contenere tutte le funzioni richieste all’interno di un oggetto monolitico che all’inizio potrebbe essere assimilato ad un semplice armadio. Ma ecco che inizia ad aprirsi, e subito manifesta diverse sorprese: ecco la zona giorno attrezzata con tavolo, seduta e vari ap-poggi incorporati; ecco la zona studio contenente due ampi piani di lavoro che, quando sono chiusi, sono semplicemente inseriti in un piano di legno dello spessore di circa 5 cm; ecco ancora la zona relax con letto e comodino contenuti nel volume principale. Aperto si dichiara essere un oggetto tenta-colare che invade lo spazio a partire dall’apertura diagonale del monolitico el-emento iniziale, secondo un semplice sistema di lastre e cerniere. Questo og-getto risulta imprevedibile proprio per le molteplici possibilità contenute nel modulo più ristretto, peraltro in grado di passare completamente montato attraverso una porta di dimensioni standard. Oltre alla fornitura di tavoli, sedute e letto, esiste una serie ampia di contenitori e ripiani, che riescono anche a disegnare prospetti originali. I gesti da compiere per metterlo in funzione sono sostanzialmente due, la rotazione e l’apertura, in quanto i blocchi funzionali ruotano per descrivere l’ambiente e successivamente si aprono per essere utilizzati.Ogni zona inoltre risulta essere separata, riuscendo ad avere, se si desidera, una certa intimità, ottenuta tramite la rotazione libera di pannelli di separazi-one o comunque attraverso la più o meno accentuata apertura dei tre volumi principali, contenenti ciascuno, distintamente, una precisa funzione, come se ogni pezzo fosse già in partenza “accessoriato” per assolvere al sua preciso compito. Il maggior pregio di questo macro-oggetto è essenzialmente che, anche se in partenza sembra essere un pezzo unico, non separabile, può essere invece uti-lizzato anche solo in parte, aprendone un solo lato, ad esempio per riposare, senza necessariamente doverlo aprire tutto e andare solo successivamente a tirare fuori le varie parti che servono di complemento all’attività.

di Michela Kumka

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TutorMichela Kumka

StudentiLuca Gesù

Mauro Vittori

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Caratteristica di questo lavoro è la pulizia delle forme e dei sistemi messi in opera per dare forma ai diversi luoghi funzionali. Arredare lo spazio con semplicità, giocando con la matericità del legno e delle sue venature è il una particolarità, la possibilità di creare una “stanza nella stanza”. A partire da un oggetto semplice, riconoscibile, dalle misure ridotte, si può arrivare a comporre uno spazio privato, facendo diventare lo spazio interno alla stanza, spazio esterno all’oggetto, il contenitore diventa il contenuto e viceversa.Il progetto nasce dall’idea di realizzare uno spazio che possa essere flessibile suddividendosi per scomposizione in sottoelementi, mantenendo un nucleo centrale che permette comunque una penetrazione visiva verso l’esterno. L’oggetto è pensato come una struttura cubica capace di contenere altri due sottosistemi che fungono da spazi abitabili indipendenti, ognuno con una propria diversa funzione. Si presenta come frutto del la composizione di due cubi connessi dove quello interno scorre ed esce per ampliare lo spazio abita-bile. L’oggetto può così essere inteso come un solo cubo, i cui pannelli pos-sono ruotare e scorrere in modo da rendere lo spazio della stanza più fluido e permettere così una migliore suddivisione interna. I blocchi, scorrevoli e ruotabili, permettono di avere molte configurazioni a seconda delle esigenze, per schermare, ampliare, connettere dei piccoli ambienti. Sono pensati per avere spessori differenti: quelli contenenti il letto, ed altri servizi che richie-dono maggior spazio, sono in realtà formati dall’assemblaggio di due pan-nelli, in modo da offrire un maggior numero di configurazioni e suddividere lo spazio interno della stanza in modo più articolato. Dal un primo blocco, pannelli sottili ruotano su cerniere laterali e si sdop-piano ruotando su quelle centrali a creare uno spazio liberamente descritto. Ad esso si affiancano, ricalcando le trame del materiale e dei suoi tagli, alcune sedute e dei piani d’appoggio che possono aprirsi dai pannelli tramite l’uso di cerniere, oppure restare chiusi, mimetizzandosi con i pezzi fissi e dando all’oggetto una finitura particolare. Da un secondo blocco invece, dopo l’apertura di una ampia lastra in legno, si svela la zona relax, tutta contenuta nello spessore, che si apre ribaltandosi, sia per il pezzo del letto che per quello del comodino.Andando avanti nel progetto, la semplicità dell’idea di partenza, è andata via via arricchendosi di dettagli ed approfondimenti in vista dello studio delle possibili aperture, approfondendo in particolare il disegno della finitura es-terna dei pezzi.

di Michela Kumka

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TutorSara Camertoni

StudentiFederica Montali

Federica Rossi

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Pensato come un oggetto dalla figurazione fortemente scultorea, lo studiolo è stato progettato per soddisfare le esigenze abitative nonché di relax e di studio. E’ stato concepito come un unico volume, semplice e compatto, con un piano calpestabile rialzato da terra di circa 55 cm. Al volume originario sono stati sottratti, con un’operazione progettuale di “scavo”, una serie di volumi che interagiscono con l’oggetto stesso e l’ambiente in cui va inserito a formare nuovi spazi.Nello specifico i suoi volumi, diversi per materiale e per dimensioni, pos-sono essere suddivisi in tre categorie: la prima ad elementi fissi che non hanno alcuna libertà di movimento rispetto all’oggetto, ma ne determinano la forma (seduta-sdraio, armadio, libreria, tavolo-scrivania); la seconda ad elementi scorrevoli (letto, blocco cucina, tavolo cucina, scrivania) che hanno una parziale libertà di movimento rispetto all’oggetto rimanendo comunque ancorati ad esso; la terza ad elementi mobili che hanno una totale libertà di movimento rispetto all’oggetto. Tali elementi sono suddivisi in elementi in legno (tavolino per area relax e sedute) ed altri in tessuto (sedute) che si pos-sono posizionare liberamente nell’ambiente e combinandosi tra loro creando nuovi luoghi.L’estrazione di questi elementi modifica la forma dell’oggetto creando dei vuoti che possono essere utilizzati a seconda delle esigenze come piani di appoggio, libreria o tavoli. La possibilità di estrarre o no questi elementi, o di estrarli solo parzialmente, permette all’oggetto di essere flessibile e di adat-tarsi alle esigenze dello studio, relax e divertimento dell’utente. Elementi fondamentali per la sua collocazione all’interno della stanza sono l’armadio e la seduta-sdraio. Questa zona è posta lungo uno dei lati; sugli altri si sviluppano la zona studio e poi la zona pranzo e soggiorno. In en-trambi i casi viene meno quella che è la distinzione tra lo spazio privato e semiprivato e, attraverso la chiusura dell’anta dell’armadio, si determina uno spazio unico “pubblico”.

di Michela Kumka

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TutorSara Camertoni

StudentiAntonio Pesce

Francesca Rapetta Benedetta Romagnoli

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Un oggetto concepito come un semplice parallelepipedo che ospita dentro di sé tutte le funzioni necessarie ad uno studente, ipotetico fruitore di questa microarchitettura. Per definire proporzioni, dimensioni ed altezze, partendo dalle misure dell’uomo, si sono prefigurate le azioni che dovevano essere soddisfatte nei diversi momenti del giorno, cercando di immaginare anche momenti di sovrapposizione parziale delle attività previste dal programma. Sintetizzando l’iter progettuale si può dire che ad ogni lato è stata assegnata una funzione specifica: sui diversi lati si trovano le attrezzature necessarie per organizzare una zona notte, un’area studio, un luogo cucina e contenitore\armadio; mentre sopra il macro-oggetto è stato posizionato uno spazio per stare distesi. Solo in caso di spostamento e di trasporto è necessario realizzare una totale chiusura, altrimenti i lati si apriranno permettendo alle diverse attività di svolgersi, generando spazi per l’abitare.Punto d’origine del concepimento dell’oggetto e del suo possibile inserimen-to nello spazio preesistente, è che il fruitore non debba sempre chiudere le varie parti per vivere la stanza in cui l’oggetto si inserisce. La scala, che per-mette di salire a quota +1.10 m, funge anche da elemento di sostegno; altro particolare è la duplice funzione degli sgabelli, che fungono da sedute oltre che da piani d’appoggio, ed in particolari sovrapposti anche come mobile porta computer.Un volume duro, come fosse scolpito, che aprendosi porta con sé un intero angolo, scoprendo una zona relax altrimenti segreta. La superficie è arricchita da vani apribili utili per contenere oggetti, cuscini oltre alla scala che per-mette di salire al di sopra anche per il solo piacere di godere lo spazio interno della stanza da un altro punto di osservazione.

di Andrea Stortoni

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La mostra itinerante

Il pomeriggio di martedì 24 giugno 2008 la mostra relativa ai sei modelli in scala 1\5, realizzati dai sei gruppi di studenti coinvolti nell’approfondimento esecutivo dei lavori, e del prototipo al vero, realizzato dalla ditta “DESUITE” di Morrovalle (MC), si inau-gurava nella chiesa di S. Andrea Apostolo ad Ascoli Piceno. Final-mente, dopo un anno di lavoro, tutti coloro che avevano lavorato intorno a questo progetto avevano il piacere di vedere vivere gli og-getti cui tante energie avevano dedicato. Certo il prestigio del luogo non poco ha influito sul fascino del risultato finale, per cui il nostro grato e sincero riconoscimento va al Comune di Ascoli Piceno, ed in particolare all’Assessore alla Cultura, che ci ha dato l’opportunità di mostrare il nostro lavoro in questo spazio così austero e così prezio-so.

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