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L’osservazione: concetti generali 1. Ci può essere un’osservazione oggettiva? L’osservazione, contrariamente a quanto comunemente si creda, non è un’attività di tipo obbiettivo: osservatore e osservato si influenzano reciprocamente. Ciò non vale solo per gli essere viventi, ma anche per la materia. In fisica il concetto di complementarietà di Bohr descrive appunto come la realtà subatomica appaia diversa a seconda del metodo usato per osservarla. Pertanto più che considerare l’osservazione una modalità di conoscenza di un oggetto da parte di un osservatore, dovremmo considerarla l’azione conoscitiva di una relazione osservatore-osservato. Ciò è tanto più vero quando l’oggetto di osservazione è l’essere umano. L’osservatore, quando ha la possibilità di confrontarsi con altri osservatori presenti, può rendersi conto della diversità di percezione, talvolta sostanziale, di quanto osservato. Pensate, ad esempio, alla discordanze delle testimonianze che, quasi sempre, devono confrontarsi anche con lo sbiadirsi mnesico di un evento accaduto molto indietro nel tempo. I sistemi percettivi di ogni essere vivente sono informati dalla sua storia, dai suoi credo, dai suoi punti di riferimento familiari e culturali, oltre che dallo stato d’animo del momento. La consapevolezza della soggettività dell’osservare, anzi l’attenzione agli eventi che, durante l’osservazione, intervengono nel mondo interiore di chi osserva, rappresenta un mezzo per avvicinarsi il più possibile ad una conoscenza obbiettiva. Non tutti guardano le cose allo stesso modo 2. Cosa osservare? I2. Cosa osservare? In sintesi l’osservazione può essere rivolta a tre oggetti principali; A) il contesto ambientale (comprendendo non solo il luogo e gli oggetti inanimati ivi presenti, ma anche quelli vegetali ed animali); B) l’altro/gli altri (cioè gli esseri umani presenti);

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Page 1: L’osservazione: concetti generali - · PDF fileL’osservazione: concetti generali 1. Ci può essere un’osservazione oggettiva? L’osservazione, contrariamente a quanto comunemente

L’osservazione: concetti generali

1. Ci può essere un’osservazione oggettiva?

L’osservazione, contrariamente a quanto comunemente si creda, non è un’attività di tipo obbiettivo: osservatore e osservato si influenzano reciprocamente. Ciò non vale solo per gli essere viventi, ma anche per la materia. In fisica il concetto di complementarietà di Bohr descrive appunto come la realtà subatomica appaia diversa a seconda del metodo usato per osservarla.

Pertanto più che considerare l’osservazione una modalità di conoscenza di un oggetto da parte di un osservatore, dovremmo considerarla l’azione conoscitiva di una relazione osservatore-osservato. Ciò è tanto più vero quando l’oggetto di osservazione è l’essere umano. L’osservatore, quando ha la possibilità di confrontarsi con altri osservatori presenti, può rendersi conto della diversità di percezione, talvolta sostanziale, di quanto osservato.

Pensate, ad esempio, alla discordanze delle testimonianze che, quasi sempre, devono confrontarsi anche con lo sbiadirsi mnesico di un evento accaduto molto indietro nel tempo. I sistemi percettivi di ogni essere vivente sono informati dalla sua storia, dai suoi credo, dai suoi punti di riferimento familiari e culturali, oltre che dallo stato d’animo del momento.

La consapevolezza della soggettività dell’osservare, anzi l’attenzione agli eventi che, durante l’osservazione, intervengono nel mondo interiore di chi osserva, rappresenta un mezzo per avvicinarsi il più possibile ad una conoscenza obbiettiva.

Non tutti guardano le cose allo stesso modo

2. Cosa osservare?

I2. Cosa osservare?

In sintesi l’osservazione può essere rivolta a tre oggetti principali;

A) il contesto ambientale (comprendendo non solo il luogo e gli oggetti inanimati ivi presenti, ma anche quelli vegetali ed animali);

B) l’altro/gli altri (cioè gli esseri umani presenti);

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C) se stesso (cioè i pensieri e gli stati d’animo che si muovono dentro di sé in quel momento).

A B C

È bene subito rendersi conto che questi 3 oggetti sono in una dinamica e reciproca interazione tra di loro per tutto il tempo della co-presenza. In effetti, è esperienza comune che, anche dopo una separazione, un luogo, una persona, un incontro possono rimanere dentro di noi e ed influenzare il nostro stato d’animo e le nostre scelte.

3. Come si osserva?

Oltre alle tecniche osservative che saranno descritte in seguito, condizione predisponente l’attività osservativa è il rimanere in silenzio. L’osservatore può trascrivere ciò che viene detto, annotare le sue osservazioni, le comunicazioni non verbali (cambi di posto, posture, gesti, colori nell’abbigliamento, occhiate, ecc.) o le sue impressioni soggettive, ma deve rimanere in rigoroso silenzio. Il blocco della parola rende i canali sensoriali di ricezione (visuale, acustico, olfattivo), molto più sensibili e vi è anche una maggior attenzione alle sensazioni, fantasie e immagini provenienti dal mondo interno.

riferimenti bibliografici e sitografici

Catanzaro P. et coll., L’oncologo nella psicoterapia di gruppo con malati oncologici, in Catanzaro P., Nuovi

sviluppi in psiconcologia, vitamina press, Perugia, 2008.

Catanzaro P., Strumenti di base per la valutazione del disagio psichico del malato oncologico, in

Catanzaro P., Incontri di psiconcologia, Sipo Umbria, Perugia, 2003.

Di Carlo A., Osservazione e apprendimento, Brutti C. e Scotti F. (a cura di), Quaderni di psicoterapia

infantile – L’ossservazione (n. 4), Roma, Borla, 1993.

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L’osservazione del contesto ambientale

1. Definizione di ambiente

In ecologia si definisce ambiente l’insieme dei fattori esterni a un organismo che ne influenzano la vita.

Il termine italiano “ambiente” deriva dal latino ambiens, -entis, participio presente del verbo ambire, che significa “andare intorno, circondare”. Il prefisso amb-, simile al greco amphi, indica un percorso circolare: “tutt’intorno, in tondo, da ambo i lati”. “Ambiente” si configura come un complesso attivo di elementi che si muovono in un contesto comune, che si influenzano reciprocamente. Non è solo un insieme di fatti (gli elementi che lo compongono), ma anche luogo di atti (le dinamiche che tra questi stessi elementi intercorrono).

2. Ambiente come luogo di trasformazione

L’ambiente, chiuso o aperto che sia, ha quindi un impatto psicofisico sugli esseri viventi che ci si immergono: sia su quelli che ci si trovano stabilmente, che su coloro che ci capitano. Si può anzi dire che la configurazione dello spazio, consapevolmente o meno predisposto, è espressione di sé, del proprio modi di essere e di pensare. Quando un essere vivente entra in uno spazio altrui, ne assorbe, spesso senza rendersene conto, i suoi tratti personologici. D’altro canto, quando un essere vivente entra in un ambiente altrui ne determina un cambiamento più o meno temporaneo, lasciando spesso alle spalle un segno di sé (pensiamo ad esempio alla scia di profumo di certe persone…).

3. Cosa osservare

L’osservazione è molto condizionata dal sistema percettivo usato: attraverso l’olfatto, ad esempio, è possibile percepire l’odore o gli odori di un ambiente; il sistema termo-tattile può ricevere imput sulla temperatura, ecc. Nell’osservazione del filmato senza audio che andrai a rivedere, la vista è chiaramente il sistema percettivo che adopererai in modo pressoché esclusivo. Concentrati dapprima sulle luci e sulle ombre.

Un luogo buio, poco illuminato o in penombra, a meno che non abbia una ragione tecnica (per esempio l’ambulatorio di un oculista), è indice di ambiente psicologicamente depressivo e depressogeno, lugubre, tetro. Al contrario un ambiente illuminato è foriero di sentimenti di speranza, allegria, vivacità.

Un altro elemento da osservare è l’arredamento: è essenziale e tecnico oppure è arricchito anche di oggetti personali (fotografie, poster, quadri, piante, ecc.)? Nel primo caso è probabile che ci si trovi davanti ad una persona fredda, asettica, magari anche preparata da un punto di vista tecnico, ma poco empatica e poco disposta al dialogo; nel secondo caso è facile che si trovi di fronte ad un essere umano caldo, accogliente, comunicativo.

Altro parametro da osservare è l’ordine/disordine che offre dati sulla personalità di chi “abita” quel luogo. Puoi renderti conto se vi è un ordine esasperato (segno di pignoleria ed ossessività), un ordine equlibrato (segno di precisione e armonia), o disordine (segno di confusione, disorganizzazione e inaffidabilità).

Divertiti a ritrovare nelle immagini seguenti quanto hai appena appreso. Si tratta chiaramente di immagini con caratteristiche combinate.

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Fig.1Studio molto illuminato che stimola apertura, speranza e allegria; tuttavia, l’arredamento

essenziale, lo rende un po’ asettico.

Fig.2Stanza in penombra che suscita l’idea di un ambiente cupo; l’arredamento quasi assente

suscita freddezza.

Fig.3Studio ben illuminato vivace ed allegro con

oggetti personali che lo rendono accogliente.

Fig.4Studio alquanto disordinato e privo di oggetti

personali. Ciò è indice di confusione e disorganizzazione.

Riferimenti bibliografici e sitografici

Catanzaro P., Strumenti di base per la valutazione del disagio psichico del malato oncologico, in Catanzaro P., Incontri di psiconcologia, Sipo Umbria, Perugia, 2003.

www.Valutazioneambientale.net

www.fondoambiente.it

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Il linguaggio non verbale: l’abbigliamento

1. Concetti generali

L’abbigliamento e i vari elementi del vestiario sono mezzi per comunicare, non solo l’immagine che si ha di sé, che si vorrebbe avere o che si vorrebbe trasmettere agli altri, ma anche gruppo di appartenenza e classe sociale. Le uniformi (letteralmente "della stessa forma") manifestano chiaramente il gruppo di appartenenza con l’implicita sequela di ideologie, interessi, fini e regole di comportamento.

Prete Carabiniere Medico

2. Abbigliamento sesso ed età

Gli abiti usati forniscono inoltre informazioni sul sesso e l’età (non solo intesa in senso cronologico, ma anche mentale ed emotiva). Un ragazzo che si veste come un adulto o al contrario un adulto che si veste come un ragazzino possono manifestare uno scarso adattamento alla loro età.

Teenagers Impiegati in ufficio

3. Abbigliamento ricchezza e povertà

Chi indossa vestiti evidentemente costosi trasmette in modo inequivocabile un’esibizione delle propria ricchezza. Anche chi utilizza il vestiario come "trucco" (pensiamo a chi indossando vestiti che lo fanno apparire persona distinta per realizzare delle truffe) si serve comunque di questa comunicazione implicita. Per comprendere che ci si trova davanti ad un truffatore ci sono altri segni non verbali su cui devi concentrarti… ma non andiamo troppo avanti con il programma…

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Il ricco elegante Il povero straccione

4. Abbigliamento: il casual

Una persona che veste abitualmente in Jeans o comunque con abiti casual trasmette automaticamente l’informazione che non bada ai formalismi, non cerca di esibirsi e tende ad instaurare rapporti amichevoli e simmetrici (cioè sullo stesso piano).

5. Abbigliamento e psicopatologia

Spesso nel modo di vestire traspare l’umore della persona o alcuni suoi tratti di personalità. Un modo di vestire non curato o francamente trasandato è indice di depressione. Le persone depresse tendono a vestire di scuro (grigio o nero) o a non abbinare i colori che possono così provocare un certo disgusto nell’osservatore.

Riguardo alla scelta dei colori, siamo generalmente abituati a pensare che chi prediligecolori caldi (come il rosso, l’arancione, il giallo) abbia una personalità vivace, vitale, impulsiva, comunicativa, mentre chi indossa prevalentemente colori freddi (come il blu, l’azzurro o l’indaco) abbia una personalità fredda, distaccata, razionale. In realtà dobbiamo considerare il potere persuasivo e condizionante della moda, nonché il periodo di vita in cui la persona si trova.

Attenzione non prendere queste informazioni per verità assolute e ricorda sempre il detto secondo cui l’abito non fa il monaco!

Riferimenti bibliografici e sitografici

Brondino G., Psicologia del corpo e comunicazione corporea, IDM, Torino, 1991.

Catanzaro P., Strumenti di base per la valutazione del disagio psichico del malato oncologico, in Catanzaro P., Incontri di psiconcologia, Sipo Umbria, Perugia, 2003.

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Il linguaggio non verbale: la prossemica

1. Definizione

Prossemica, termine coniato dall’antropologo Edward T. Hall nel 1963, è la disciplina che studia lo spazio e le distanze all'interno di una comunicazione sia verbale che non verbale (letteralmente studio delle relazioni di vicinanza).

2. Classificazione

Hall osserva che tra gli esseri viventi vi è una correlazione tra distanza affettiva e vicinanza/lontananza fisica. Individua così quattro “zone” interpersonali:

• La distanza intima (0 - 45 cm), che si può a sua volta dividere in una “zona” ravvicinata (0 – 15 cm), che implica contatto fisico o comunque una vicinanza che solo rapporti molto stretti possono prevedere: rapporti sessuali, amicizia molto intima, lotta, ecc. e in una “zona” non ravvicinata (15 – 25 cm), tipica delle relazioni familiari, del sovraffollamento (in questo caso, ovviamente l’implicazione affettiva è assente).

• La distanza personale (45 - 120 cm) propria della relazione tra amici, divisa a sua volta in “zona” ravvicinata (45 – 75 cm), in cui è possibile un’interazione fisica (come il darsi la mano) e quella non ravvicinata (75 – 120 cm) in cui vi è una distanza di sicurezza rispetto alle interazioni fisiche. Sporgersi oltre questi limiti con persone sconosciute o non conosciute a sufficienza, potrebbe essere vissuto come aggressione, invadenza, comportamento seduttore o vero e proprio corteggiamento.

• La distanza sociale (1,2-3,5 m) è tipica della comunicazione tra conoscenti.

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• La distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) viene usata per le pubbliche relazioni (piccole assemblee, lezioni scolastiche, ecc.).

3. La bolla prossemica e la difesa dello spazio personale

Ogni essere vivente, intorno al suo corpo ha uno spazio, una distanza che lo avvolge, lo separa e lo protegge dal resto del mondo.

Lo spazio che sussiste tra noi e gli altri non è neutro, se infatti una persona si avvicina ”troppo” a noi, cominciamo a sperimentare particolari stati psico-fisici o variazioni emotive come ad esempio “fastidio” o “imbarazzo” e reagiamo di conseguenza ripristinando le “giuste” distanze, così come, se si allontana “troppo” da noi.

Il più delle volte comunichiamo, agiamo e reagiamo, mettiamo e ripristiniamo distanze, senza esserne consapevoli.

Lo spazio che ci separa dagli altri è uno spazio mentale che esiste nella nostra mappa del mondo ed è chiamato spazio prossemico o bolla prossemica perché si sviluppa tutta intorno a noi.

Se ad esempio chiamate una persona e questa per rispondervi vi si avvicina, si fermerà da voi ad una particolare distanza, questa distanza è il suo spazio prossemico, ossia quella particolare distanza mentale e relazionale che desidera avere da voi. Se provate ad avvicinarvi ancora, ad invadere cioè il suo spazio, questa probabilmente farà passi indietro ripristinando la distanza che desidera inconsciamente, senza esserne cioè consapevole. Se, al contrario, vi allontanate, abbandonate cioè il suo spazio relazionale, questi si avvicinerà ripristinando la distanza. Se poi questa persona, per qualche ragione, non riesce a ripristinare il proprio spazio relazionale, sperimenterà consapevolmente particolari stati psicofisici come il fastidio e cercherà di sottrarsi in qualche modo alla distanza e quindi al rapporto.

Da questo piccolo esperimento capiamo quanto la distanza tra noi e gli altri sia importante e quanto questo spazio prossemico sia diverso da persona a persona.

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Riferimenti bibliografici e sitografici

Brondino G., Psicologia del corpo e comunicazione corporea, IDM, Torino, 1991.

www.wikipedia.org/wiki/Prossemica

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Il linguaggio non verbale: la mimica facciale

1. Concetti generali

Il volto è il biglietto da visita della persona attraverso cui traspare la sua identità. Il volto rivela razza, sesso, età e, tramite la sua struttura e le innumerevoli espressioni possibili (vedi fig. 1), svela anche caratteristiche di personalità (personologiche), stati d’animo ed emozioni. Le espressioni del viso, attuate dai muscoli del volto (circa 40), detti muscoli mimici (vedi fig. 2) e innervati dal VII nervo cranico (nervo faciale), si sviluppano gradualmente dopo la nascita, sulla scia di riflessi facciali innati e conferme specifiche realizzate dall’ambiente familiare. Si sviluppa così in tutti gli individui anche se in modo diverso hanno una sorta di “istinto fisionomico” immediato e pertanto, guardando una persona, si ha un’idea di lei, del suo carattere e delle sue abitudini. Antipatie e simpatie rispondono frequentemente ad un giudizio fisionomico. Il volto, da questa prospettiva, è l’area specializzata della comunicazione interpersonale: è soprattutto tramite il volto che si comunicano e condividono - in modo verbale e non verbale - emozioni, pensieri e atteggiamenti interiori.

Fig.1

Fig.2

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2. Espressioni del viso e specifiche emozioni

Nonostante il dibattito sulla correlazione specifica tra espressioni del viso e determinate emozioni non sia del tutto concluso, c’è un ampio accordo sulla specificità tra i principali stati d’animo (emozioni primarie) e tipiche espressioni del volto. Tale specificità risulta di tipo interculturale, innata ed universale. Un viso sorridente, disteso e rilassato indica immediatamente serenità e soddisfazione; un viso accigliato e cupo non ci farà sicuramente pensare a sentimenti di gioia ed allegria. Accanto a tali stati primari esistono anche aspetti della mimica facciale correlati ad espressioni emotive costituitesi per acquisizioni culturali e familiari.Sarai a questo punto curioso di conoscere le cosiddette emozioni primarie…. Vediamone alcune!

A. La rabbia

Fig.3Un individuo arrabbiato manifesta le seguenti caratteristiche facciali (i particolari espressivi principali li puoi osservare nella faccetta arrabbiata della fig. 3):

- sopracciglia abbassate e ravvicinate con le estremità esterne rivolte verso l’alto;

- comparsa di 2 rughe verticali tra le sopracciglia;

- palpebra inferiore e superiore tese;

- sguardo fisso con occhi sporgenti;

- labbra strette, serrate con gli angoli dritti oppure leggermente abbassati oppure aperte e tese, squadrate come per urlare;

- narici dilatate.

NB. Puoi aiutarti nell’individuazione della rabbia leggendo anche il resto del linguaggio del corpo: postura rigida, mani strette a pugno, ecc.

B. La tristezza

Fig.4Ecco come appare una persona triste (aiutati con la faccetta triste della fig.4):

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– l’ estremità interna delle sopracciglia è rivolto in alto

– tra le sopracciglia emerge una ruga verticale;

– le palpebre assumono una forma a triangolo.

– le labbra sono stirate orizzontalmente e spesso l’inferiore è spinto verso l’altro (effetto broncio)

– la bocca può essere spalancata, indicando la grande intensità dell’emozione provata;

– le guance sono verso l’alto;

– gli angoli della bocca sono piegate leggermente verso il basso;

- vi può essere presenza di lacrime;

– vi può essere corrugamento della pelle tra labbro inferiore e mento (effetto broncio).

NB. Puoi aiutarti nell’individuazione della tristezza leggendo anche il resto del linguaggio del corpo: mani che coprono il volto, spalle incurvate, testa bassa, ecc.

C. La paura

Fig.5Questa è la faccia della paura… (vedi anche la faccetta impaurita della fig. 5):

- le sopracciglia appaiono sollevate e ravvicinate

- le rughe della fronte sono centrali ed incomplete

- la palpebra superiore e quella inferiore sono sollevate e si scopre la sclera

- la bocca è aperta e le labbra sono tese o stirate indietro.

NB. Puoi aiutarti nell’individuazione della paura leggendo anche il resto del linguaggio del corpo: mani che tremano, pelle pallida e sudata, ecc..

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D. La felicità

Fig.6

E questa è la faccia della felicità (aiutati con la faccetta della fig. 6):

- gli angoli della bocca sono tirati indietro e sollevati;

- la bocca può essere chiusa o aperta, scoprendo eventualmente i denti;

- una ruga (la piega rino-labiale) scende dal naso fino agli angoli della bocca;

- le guance sono sollevate;

- la palpebra inferiore ha una o due rughe sottostanti e può essere sollevata ma non in tensione;

- negli angoli esterni degli occhi appaiono delle rughe di espressione dette “zampe di gallina”.

E. Il disgusto

Fig.7E infine ecco le caratteristiche espressive del disgusto… (vedi la fig. 7):

- il naso è arricciato;

- un angolo della bocca è sollevato;

- il labbro superiore è sollevato;

- nei casi estremi.. la lingua fuoriesce da un lato (schifo).

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Il linguaggio non verbale: la mimica facciale

3. La morfopsicologia

Si definisce morfopsicologia la disciplina che mette in rapporto i tratti del viso con i tratti di personalità. Tradizionalmente si possono individuare 2 tipi principali di volto: i “dilatati” e i “contratti”.

A. Visi dilatati

Fig.8

Le persone con un volto dilatato hanno un viso largo, solitamente carnoso, una pelle chiara e colorita, bocca larga, occhi grandi, naso carnoso con narici larghe ed aperte a cui corrisponde un buon carattere, cioè si tratta per lo più di individui cordiali, allegri, ottimisti, concreti, con un buon senso pratico, socievoli, che riescono bene negli affari, che si adattano facilmente, ma che possiedono poca immaginazione e una vita interiore piuttosto piatta e superficiale.

B. Visi contratti

Fig.9

Le persone con un volto contratto, hanno un viso lungo, stretto ed ossuto, un colorito pallido, labbra sottili, naso stretto, occhi piccoli e infossati a cui corrisponde un carattere difficile, si tratta cioè di persone sensibili, timide, riservate, molto selettive, insoddisfatte, individualiste, distaccate, che hanno difficoltà ad adattarsi all’ambiente e a stare nel gruppo, ma capaci di concentrazione, riflessione e speculazione intellettuale.

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C. Visi intermedi

Fig.10

Tra i visi dilatati e quelli stretti si situano la maggior parte dei volti che hanno caratteristiche intermedie sia da un punto di vista somatico che psichico.

ATTENZIONE: la personalità è un concetto complesso; in effetti, per comprendere la struttura di personalità, non basta certo guardare una persona in faccia….! E comunque facciamo ben attenzione a non cadere nella trappola delle facili e spesso superficiali classificazioni che riguardano gli essere umani!!!

4. Training

Ora basta con la teoria! Vuoi giocare un po’?

Divertiti ad Individuare nelle fotografie sottostanti gli stati d’animo o il carattere dei personaggi!

Fig. 11 Che tenera questa bambina triste…! Se trovo chi l’ha fatta piangere…

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Fig. 12 Galliani triste per una sconfitta del Milan?

Fig. 13 Un ragazzino impaurito...la situazione gli è sfuggita di mano!

Fig. 14 Una donna disgustata.. l’uomo che ha davanti non è certo dio suo gradimento…!

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Fig. 15 Che felicità!!!

Fig. 16 Che simpatici quelli con la faccia larga...

Fig. 17 Sarah Jessica Parker, Carrie di Sex and the city… ha un viso stretto e allungato, vi torna con il carattere del suo personaggio?

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Fig. 18 Calma Francesco.. Non ti arrabbiare troppo… se no l’arbitro ti espelle!

Riferimenti bibliografici e sitografici

Brondino G., Psicologia del corpo e comunicazione corporea, IDM, Torino, 1991.

Critchley M., Il linguaggio del gesto, Il pensiero scientifico, Roma, 1979.

www.liquidarea.com

www.memorizzare.eu

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Il linguaggio non verbale: la postura, l’espressione corporea

1. Definizione

La postura è l’atteggiamento generale del corpo, cioè il modo di stare seduti, in piedi, di camminare o di muoversi, di essere coricati, accovacciati, in ginocchio, ecc.

La postura è in realtà una sommatoria delle varie posizioni che possono assumere i differenti distretti corporei (gambe, piedi, bacino, addome, schiena, braccia, ecc.) e i diversi rapporti che si instaurano tra loro (mano appoggiata sulle cosce, gambe accavallate, braccia conserte, ecc.)

2. Postura ed emozioni

La postura rivela l’emozione segreta che, a volte, la maschera del volto nasconde. In questo senso si può dire che la postura è meno controllabile della mimica del volto e della voce. Negli animali, in cui la possibilità di comprensione attraverso l’espressione vocale è ridotta, così come tramite la mimica facciale (non è presente ad esempio il sorriso) la postura rappresenta un segno importante per capire lo stato d’animo presente. In sintesi si hanno 3 principali modalità posturali aventi un carattere bipolare:

a) dominante-sottomessa: I) dominante: postura impettita, con testa leggermente flessa all’indietro sul collo, con le mani sui fianchi o comunque in evidenza (vedi fig. 1); II) sottomessa: posizione ricurva con spalle cadenti ed abbassate, testa leggermente reclinata in avanti (vedi fig. 2).

Fig.1 Fig.2

b) Tesa-rilassata: I) tesa: postura contratta (mani chiuse a pugno, mascelle serrate, ecc.), rigida o tirata (vedi fig. 3); II) rilassata: il corpo appare morbido, le mani sono aperte, leggermente piegate e contribuiscono ad una gestualità coerente con le emozioni emergenti (vedi fig. 4).

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Fig.3 Fig.4

c) Aperta-chiusa: I) aperta: le varie parti del corpo sono allargate, recettive, aperte - le braccia e le gambe sono mobili e raramente incrociate – (vedi fig. 5); II) chiusa: le varie parti del corpo sono chiuse, similmente ad una posizione rannicchiata, le gambe e le braccia sono ad esempio incrociate (vedi fig. 6).

Fig.5 Fig.6

Una sottoclasse della postura aperta-chiusa è quella interessata-disinteressata: nel primo caso il corpo e il capo sono protesi in avanti (vedi fig. 7); nel secondo caso il corpo e il capo sono arretrati, se la persona è seduta è completamente appoggiata alla sedia o alla poltrona ed ha solitamente le braccia e le gambe incrociate (vedi fig. 8)

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Fig.7 Fig.8

3. Variazione posturale

Il mutamento della postura indica che la persona o l’animale hanno cambiato l’atteggiamento o lo stato d’animo interiore.

4. Posture e personalità

Gli stati e le reazioni emotive si esprimono attraverso il corpo, i suoi gesti e le sue tensioni. La postura che, come precedentemente detto, segnala alcuni atteggiamenti interiori, tende a cristallizzarsi in atteggiamenti posturali fissi, laddove l’individuo è prigioniero di un particolare stato emozionale o si difende costantemente da esso. Reich nella sua “Analisi del carattere” sostiene che si sviluppa a lungo andare la cosiddetta corazza muscolare, definita come l'insieme delle contrazioni muscolari croniche, automatiche ed involontarie che un individuo sviluppa per difendersi dalle proprie emozioni (ansia, rabbia, eccitazione sessuale, paura, ecc.). Essa è funzionalmente identica (o potremmo dire l’altra faccia della medaglia) alla cosiddetta corazza caratteriale, costituita da tutti gli atteggiamenti psicologici che la persona, in modo automatico ed inconscio, pone in essere per difendersi dall'ansia e da altre emozioni percepite come spiacevoli.

5.Esercitazione

Guarda il breve filmato tratto dal film “Miseria e nobiltà” e cerca di individuare il tipo di postura rappresentata.

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Il corpo proteso in avanti, accompagnato “dall’avanzata delle sedie” segnala una postura del tipo “interessato”. Inoltre si assiste ad un certo punto ad un cambio di postura: l’iniziale postura seduta interessata, ma dissimulata, diventa palesemente interessata (gli attori si alzano e addirittura salgono sul tavolo).

Riferimenti bibliografici e sitografici

Brondino G., Psicologia del corpo e comunicazione corporea, Edizioni IDM, Torino, 1991.

Catanzaro P. et coll., L’oncologo nella psicoterapia di gruppo con malati oncologici, in Catanzaro P., Nuovi sviluppi in psiconcologia, vitamina press, Perugia, 2008.

Catanzaro P., Strumenti di base per la valutazione del disagio psichico del malato oncologico, in Catanzaro P., Incontri di psiconcologia, Sipo Umbria, Perugia, 2003.

Reich W., Analisi del carattere, Milano, SugarCo, 1973.

www.bioenergetic.it

www.orgonomia.org

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Il linguaggio non verbale: la gestualità

1. Definizione: gestualità e pantomima

Per gestualità si intende il corredo di movimenti corporei (i gesti) che accompagnano l’espressione articolata udibile. La sua funzione è quella di accrescere, modulare, enfatizzare, sottolineare o al contrario disconfermare quanto si dice parlando. La gestualità va distinta dalla pantomima, che è quell’attività motoria comunicativa che sostituisce l’espressione udibile. Un cenno affermativo del capo fatto in silenzio o un gesto di richiamo non accompagnato da parole o suoni sono due esempi di pantomima. L’arte del mimo si basa appunto sulla pantomima, che è la “tecnica” comunicativa che utilizziamo quando siamo in un paese con una lingua diversa dalla nostra e che non conosciamo. Non ci sarebbe alcun problema a far capire che abbiamo fame o che vogliamo bere.

Mentre la pantomima è un’attività motoria cosciente, la gestualità può essere un attovolontario concomitante alla parola o inconscio rivelatore (un oratore può ad esempio battere un pugno per affermare deliberatamente con forza quanto sta dicendo oppure grattarsi la testa senza accorgersene mentre sta parlando di una cosa di cui non è sicuro).

Si deve tener presente comunque che non sempre è possibile stabilire una separazione netta tra gesto e pantomima e che i movimenti espressivi non possono essere facilmente attribuibili ad una categoria o all’altra. Vi è più una specie di continuum fra la pantomima e il gesto concomitante cosciente e gesto rivelatore, cioè una transizione tra fenomeni coscienti molto elaborati e gesti che si collocano al limite del conscio.

2. Il linguaggio dei gesti: criteri interpretativi generali

Il linguaggio dei gesti è molto ricco, e sicuramente più arcaico del discorso verbale. Il gesto resta intatto anche quando l’uomo viene privato della parola a causa di una malattia (affezioni cerebrali o dell’apparato di fonazione) o di un trauma emotivo.

La civilizzazione e la supremazia della parola e delle funzioni logico-analitiche hanno fatto perdere il contatto degli esseri umani con il loro potenziale espressivo e comunicativo corporeo, che continua a manifestarsi e ad incidere nel processo comunicativo, passando però quasi esclusivamente attraverso vie inconsce. Per rendere fruibile il potenziale comunicativo contenuto nei gesti occorre avere un codice o una griglia interpretativa di riferimento. Non si tratta, come vedrai, di modelli interpretativi complessi, dal momento che dovrai recuperare semplicemente informazioni già insite nel tua costituzione “dimenticata”. Non ti meravigliare quindi se dopo aver letto quanto qui sotto descritto avrai la sensazione di aver ricevuto informazioni che già conoscevi.

Procediamo dunque!

a. Principio del piacere/dolore: è il principio per cui ci si avvicina a ciò che piace e ci si allontana da ciò che è spiacevole o procura dolore. Tutti i gesti e i movimenti di propensione avranno il significato di interesse e percezione piacevole; al contrario tutti i gesti e i movimenti di arretramento avranno il significato di percezione minacciosa o spiacevole.

b. Principio analogico: secondo tale principio le emozioni suscitate dalle persone o dalle situazioni sono considerate come se fossero oggetti fisici veri e propri: ci si allontanerà o si manifesteranno gesti difensivi da una situazione penosa come se fosse quindi un oggetto fisico minaccioso.

c. Principio della convergenza: secondo questo principio l’interpretazione di un gesto sarà tanto più corretta quanto più vi saranno anche altre espressioni non verbali co-presenti con lo stesso significato (ad esempio una mano stretta a pugno indicherà certamente rabbia se sono presenti anche le mascelle serrate o uno sguardo accigliato).

d. Quantità: l’uso di molti gesti indica una persona viscerale, emozionale ed estroversa; l’uso di pochi gesti

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segnala un individuo intellettuale, essenziale, distaccato ed introverso.

e. Qualità:

- i gesti arrotondati indicano bontà, persona che smussa gli angoli e che teme di ferire e di offendere.

- I gesti tesi e rigidi indicano rigidità interiore, tensione e insofferenza.

- I gesti verso l’alto sono il segno di eccitazione, attività o iperattività, euforia e ipereccitazione.

- I gesti verso il basso segnalano depressione e sottomissione

- I gesti centripeti hanno a che vedere con stati d’animo di paura e necessità di difendersi.

- I gesti centrifughi segnalano desiderio di espansione, voglia comunicativa e intento di condivisione.

- I gesti ampi indicano megalomania, esibizionismo, invasività e ipertrofia dell’io .

- I gesti ristretti indicano paura di esporsi.

- I gesti forti e marcati sono indice di impetuosità, dominanza sugli altri, tendenza all’aggressività o addirittura alla violenza.

- I gesti leggeri segnalano fragilità e delicatezza.

- I gesti sicuri sono interpretabili come determinazione e sicurezza.

- I gesti incerti indicano incertezza e tendenza al ripensamento.

f. Ritmo:

- Veloce: segnala una modalità rapida o decisamente frettolosa di agire.

- Lento: può indicare calma oppure pigrizia, ipercontrollo e timore di sbagliare.

- Fluido: denota spontaneità e facilità al contatto.

- Statico: mostra timore, blocco e staticità interiore.

- Scattante: manifesta tensione, nervosismo, impazienza, insofferenza rispetto ai ritmi più lenti degli altri.

- Rallentato: è indice di una certa pigrizia e lentezza a prendere iniziative.

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3. Il linguaggio dei gesti: criteri interpretativi specifici

Interpretiamo ora alcuni gesti particolari molto comuni:

a. Gesticolare con le mani in generale è segno di partecipazione attiva; al contrario, l’assenza indica distacco e passività (ricordiamo il modo di dire “starsene con le mani in mano” sinonimo di pigrizia). Nel sud dell’Italia è quasi impensabile non usare anche le mani mentre si parla. Le mani esprimono inoltre i diversi stati d’animo dell’oratore: la paura (la mano tremolante), la determinazione (la mano che effettua movimenti lineari sia in orizzontale e ancor più in verticale), la simpatia (la mano che si muove per traiettorie circolari), la grinta o la rabbia (la mano stretta in un pugno).

b. Tamburellare le dita è generalmente indice di impazienza ed insofferenza per la situazione che si sta vivendo che non si vede l’ora che abbia termine.

c. Accarezzarsi il mento è sinonimo di valutazione attenta della situazione che si sta vivendo. Quando tale gesto finisce di solito la persona ha le idee chiare su ciò che vuol fare o dire o ha comunque preso la sua decisione.

d. Mettere le dita davanti alla bocca significa voler intervenire ma non osare per paura o per rispetto.

e. Coprirsi gli occhi indica vergogna.

f. Giocherellare con l’anello o la fede segnala conflitti con il partner o il coniuge.

g. Mangiarsi le unghie è segno di tensione.

h. Toccarsi o grattarsi il naso rivela menzogna o più in generale la divisione forzata tra pensieri ed azioni o parole.

i. Grattarsi o stuzzicarsi violentemente il viso indica la presenza di sensi di colpa per quello che ha detto o fatto o per la rabbia che prova rispetto alle parole o azioni altrui.

j. Grattarsi spasmodicamente il torace è segno di ipocondria, patofobia o tanatofobia (paura della morte).

k. Aggiustarsi i capelli o la cravatta è il tipico gesto della seduzione, con cui si cerca di attrarre (richiamo sessuale).

l. Indice puntato è il classico gesto aggressivo d’attacco, di chi accusa e minaccia.

m. Pugno chiuso indica collera, aggressività e violenza.

n. La mano aperta denota apertura, ricettività, disponibilità.

o. Grattarsi dietro le orecchie indica dubbio e incertezza.

p. Sfregarsi o chiudere le orecchie assume il significato di non voler sentire o comunque segnala un senso di fastidio.

q. Modo di camminare:

- Pesante che denota decisione.

- Frettoloso che indica rabbia, impazienza, nervosismo e aggressività.

- Lento indice di prudenza o timore.

- Incerto che segnala insicurezza e ansia.

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- Saltellante che è indice di allegria e ottimismo.

4. I tic

I tic sono definiti movimenti rapidi, intempestivi, di diversa ampiezza, irresistibili, ripetuti involontariamente senza necessità oggettiva, accessibili alla coscienza e con sede in qualunque distretto della muscolatura corporea. Alcuni esempi tipici sono: strizzare gli occhi o le palpebre, tirar su con il naso, arricciare il naso, alzare le spalle. L’individuo che soffre di tic, un po’ come chi ha la balbuzie prova un forte senso di vergogna. Tanto più la persona è sotto stress tanto più i tic sono vistosi e ripetuti. È certamente il segno di una forte tensione psichica che si scarica sul distretto muscolare “scelto”, il cui significato non può essere compreso a priori, ma attraverso una psicoterapia del profondo.

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5. Griglia interpretativa

Qui di seguito avrai una griglia riassuntiva che ti può far comodo per realizzare una prima interpretazione del linguaggio gestuale che deciderai di osservare.

Tipologia gestuale

Sostitutiva (pantomima)

Concomitante (gesto)

Rivelatrice (gesto)

Quantità gestuale

Numerosa

Media

Scarsa

Sede gestuale

Testa e viso

Spalle

Braccia

Mani

Torace

Addome e bacino

Gambe e piedi

Qualità gestuale

Arrotondato

Teso

Verso l’alto

Verso il basso

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Centripeta

Centrifuga

Ampio

Stretto

Marcato

Leggero

Sicuro

Insicuro

Ritmo

Veloce

Lento

Fluido

Statico

Scattante

Rallentato

Riferimenti bibliografici e sitografici

Brondino G., Psicologia del corpo e comunicazione corporea, Edizioni IDM, Torino, 1991.

Catanzaro P. et coll., L’oncologo nella psicoterapia di gruppo con malati oncologici, in Catanzaro P., Nuovi sviluppi in psiconcologia, vitamina press, Perugia, 2008.

Critchley M., Il linguaggio del gesto, Il pensiero scientifico, Roma, 1979.

Groddeck G., Il linguaggio dell’Es, Adelphi, Milano, 1969.

Marchino L. e Mizrahil M., Il corpo non mente, Frassinelli, Milano, 2004.

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Il linguaggio non verbale: azioni, inter-azioni e contatti

1. Definizioni

Per azioni intendiamo tutti quei movimenti deliberati (che hanno cioè uno scopo) capaci di modificare la realtà circostante – inanimata (per esempio l’apertura di un libro) e animata (per esempio il porgere la mano ad un’altra persona).

Quando è coinvolto un essere animato (animale o uomo) solitamente l’azione produce una contro-reazione (il termine contro non deve essere necessariamente inteso come reazione oppositiva o negativa).

Azione e contro-reazione creano l’interazione: ad esempio, il porgere la mano in forma di saluto induce l’altro/a a ricambiare l’azione di saluto e nasce così l’interazione della stretta di mano. Sebbene le interazioni possano già costituirsi come contatto - e per contatto intendiamo una vicinanza fisica o affettiva che implichi un rapporto - non sempre esso è presente in una semplice interazione.

Una stretta di mano può essere un’interazione formale, ma se ci si guarda contemporaneamente negli occhi, trasmettendo verbalmente o non verbalmente (con la mimica o l’espressione corporea) l’emozione che si sta provando, l’interazione diventa un contatto vero e proprio. Al contrario vi può essere un contatto anche senza che vi sia un accostamento o una contiguità fisica: ad esempio il guardarsi negli occhi, soprattutto se l’azione è reciproca, può determinare un profondo contatto.

2. Classificazione delle azioni

Le azioni possono coinvolgere cose o essere animati (vegetali, animali, umani) o essere rivolte esclusivamente a se stessi (ad esempio aggiustarsi i capelli o soffiarsi il naso).

3. Classificazione delle interazioni

Possiamo suddividere le interazioni in due principali categorie: le interazioni formali e leinterazioni-contatto.

Nelle interazioni formali le azioni pur essendo realizzate contemporaneamente da due o più personaggi

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della scena, non li coinvolgono emotivamente. Ognuno è nel suo mondo, è distratto rispetto alla presenza dell’altro e i movimenti appaiono più azioni e contro-reazioni riflesse e automatiche.

Le interazioni-contatto implicano invece un coinvolgimento emotivo tra i partecipanti.

4. Classificazione delle interazioni-contatto

Il coinvolgimento emotivo che contraddistingue le interazioni-contatto può avere qualità positive (accordo, curiosità, interesse, empatia, solidarietà, ecc.) o negative (disappunto, disaccordo, contrasto, discordanza, rabbia, minaccia, voglia di fuggire o di lottare, ecc.).

Vengono a configurarsi così interazioni-contatto positive, interazioni-contatto negative e interazioni-contatto miste (dove vi sono oscillazioni tra interazioni-contatto positive e negative).

Indipendentemente dalla qualità è possibile inoltre classificare le interazioni-contatto in base alla modalità comunicativa adottata: contatto visivo, contatto fisico, contatto sonoro, contatto espressivo corporeo, ecc.

Vi è infine la possibilità di stabilire se l’interazione-contatto sia di tipo bilanciato osbilanciato (dominanza-sottomissione).

Fig.1

Se fai riferimento alle tue esperienza di stretta di mano (fig. 1) ti puoi rendere conto immediatamente di come vi sono strette di mano bilanciate o sbilanciate. Non ti è mai capitato che qualcuno ti abbia stritolato la mano? Comunque per la valutazione della modalità d’interazione-contatto bilanciata-sbilanciata, più spesso, anziché analizzare una singola unità d’interazione-contatto, sarà necessario osservare l’intera sequenza relazionale.

Ad esempio se in un’interazione-contatto vi è una persona (A) che, visibilmente arrabbiata, spinge il suo interlocutore (B), si potrebbe pensare che A sia dominante su B. Se però, nel proseguo della scena, B comincia a contro-reagire a sua volta spingendo A, ecco che allora la relazione è da intendersi bilanciata: si tratterà di una interazione-contatto fisica, negativa (contrasto o litigio) bilanciata.

Ecco un altro esempio: due persone C e D si stanno guardando negli occhi, ad un certo punto C non riesce più a sostenere lo sguardo, mentre D continua a fissarlo dritto in faccia per tutto il tempo della sequenza. In questo caso si tratterà di un’interazione-contatto visiva sbilanciata, nel senso che D è dominante rispetto a C.

E ricorda: non esistono dominatori o sottomessi assoluti…. (fig. 2)

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Fig.2

5. Esercitazione

Guarda e analizza ora la breve scena sottostante “Il signore lo prende doppio”, tratto dal film “Continuavano a chiamarlo trinità”.

Si tratta di un’interazione-contatto di tipo fisico, negativa (lite e duello) di tipo dominante.

Riferimenti bibliografici e sitografici

Brondino G., Psicologia del corpo e comunicazione corporea, Edizioni IDM, Torino, 1991.

Catanzaro P. et coll., L’oncologo nella psicoterapia di gruppo con malati oncologici, in Catanzaro P., Nuovi sviluppi in psiconcologia, vitamina press, Perugia, 2008.

Critchley M., Il linguaggio del gesto, Il pensiero scientifico, Roma, 1979