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LE ACQUE CONTINENTALI E LE ACQUE MARINE LA LEZIONE IL CICLO DELL'ACQUA L’idrosfera occupa circa i due terzi della superficie terrestre e rappresenta un sistema molto complesso costituito dalle grandi masse d’acqua come mari e oceani ma anche da piccoli e piccolissimi bacini come laghi, fiumi, falde acquifere e ghiacciai. Tutti gli esseri viventi dipendono dall’acqua; già le prime forme di vita comparvero negli oceani circa 3,5 miliardi di anni fa. L’idrosfera opera inoltre continui scambi con l’atmosfera, la geosfera e la biosfera. La lezione, divisa in due parti, illustrerà l’idrosfera continentale e l’idrosfera marina. Il ciclo globale dell’acqua rappresenta il punto di partenza di questa lezione. La parola ciclo rimanda ad un insieme di processi che si susseguono l’un l’altro con una determinata cadenza temporale, ma non solo; il suo significato rappresenta un punto di contatto importante, quello fra le acque continentali e le acque marine. Ai fattori naturali che condizionano il ciclo dell’acqua va aggiunto il contributo dato dall’uomo, che nella stragrande maggioranza dei casi è negativo; esso entra come protagonista nel ciclo dell’acqua attraverso l’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi, rifiuti industriali etc. Le variazioni di risorse di acqua potabile, che possono dipendere anche da cause naturali (scarse precipitazioni), sono quasi sistematicamente imputabili a cause antropiche. Le variazioni, in questo secondo caso, diventano vitali ed irreversibili e sono da ricondurre principalmente ad inquinamento, estrazione eccessiva mediante pozzi, urbanizzazione e deforestazione etc. L’uomo in questo modo sta influenzando pesantemente il ciclo dell’acqua giorno dopo giorno. Basti pensare che studi recenti stanno dimostrando come un ciclo dell'acqua locale sia condizionato dal modo in cui vengono progettate e realizzate le nostre città. La presenza eccessiva dell’asfalto, ad esempio, impedisce l’infiltrazione di acqua nel terreno favorendo il ruscellamento (fig.1). fig.1 Variazione del ciclo dell’acqua in un’area naturale e urbanizzata

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LE ACQUE CONTINENTALI E LE ACQUE MARINE

LA LEZIONE

IL CICLO DELL'ACQUA

L’idrosfera occupa circa i due terzi della superficie terrestre e rappresenta un sistema

molto complesso costituito dalle grandi masse d’acqua come mari e oceani ma anche

da piccoli e piccolissimi bacini come laghi, fiumi, falde acquifere e ghiacciai. Tutti gli

esseri viventi dipendono dall’acqua; già le prime forme di vita comparvero negli oceani

circa 3,5 miliardi di anni fa. L’idrosfera opera inoltre continui scambi con l’atmosfera, la geosfera e la biosfera. La lezione, divisa in due parti, illustrerà l’idrosfera

continentale e l’idrosfera marina.

Il ciclo globale dell’acqua rappresenta il punto di partenza di questa lezione. La

parola ciclo rimanda ad un insieme di processi che si susseguono l’un l’altro con una

determinata cadenza temporale, ma non solo; il suo significato rappresenta un punto

di contatto importante, quello fra le acque continentali e le acque marine.

Ai fattori naturali che condizionano il ciclo dell’acqua va aggiunto il contributo dato dall’uomo, che nella stragrande maggioranza dei casi è negativo; esso entra come

protagonista nel ciclo dell’acqua attraverso l’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi, rifiuti

industriali etc.

Le variazioni di risorse di acqua potabile, che possono dipendere anche da cause

naturali (scarse precipitazioni), sono quasi sistematicamente imputabili a cause

antropiche. Le variazioni, in questo secondo caso, diventano vitali ed irreversibili e sono da ricondurre principalmente ad inquinamento, estrazione eccessiva mediante

pozzi, urbanizzazione e deforestazione etc. L’uomo in questo modo sta influenzando

pesantemente il ciclo dell’acqua giorno dopo giorno. Basti pensare che studi recenti

stanno dimostrando come un ciclo dell'acqua locale sia condizionato dal modo in cui

vengono progettate e realizzate le nostre città. La presenza eccessiva dell’asfalto, ad

esempio, impedisce l’infiltrazione di acqua nel terreno favorendo il ruscellamento (fig.1).

fig.1 Variazione del ciclo dell’acqua in un’area naturale e urbanizzata

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Grandi volumi di acque piovane arrivano al suolo e rapidamente scorrono verso i mari

e gli oceani portando con se tutta una serie di materiali ed elementi dannosi per

l’ambiente e la salute che raccolgono lungo il loro impetuoso cammino.

Il concetto di inquinamento limitato ad un lago o ad un fiume va riconsiderato visto

che questi andranno a far parte di un ciclo che condurrà gli elementi tossici in contatto con il resto dell’idrosfera, con l’atmosfera e le terre emerse. Le sostanze inquinanti in

tal modo entrano in contato diretto con gli ecosistemi acquatici e terrestri (UNEP e UN

Habitat 2010), compromettendoli in gran parte dei casi in maniera irreversibile, come

sfortunatamente sta già accadendo in zone come i ghiacciai di alta montagna e zone

polari.

La comunità scientifica si sta impegnando in maniera particolare alla tutela dell’acqua.

Diverse normative sono state emanate fra cui la Direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE che ha come scopo il miglioramento dello stato delle acque attraverso

la prevenzione e il risanamento, e l’utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo

termine delle risorse idriche disponibili

LE ACQUE DOLCI: IL CICLO DELL’ACQUA E LE ACQUE FOSSILI

Il ciclo dell’acqua insieme al ciclo del carbonio, dell’azoto, del fosforo e dello zolfo

rappresenta uno dei processi fondamentali che avviene sul nostro Pianeta. Il ciclo

dell’acqua chiamato anche ciclo idrologico è un processo di trasferimento in cui

l’acqua, come già detto, subisce diversi passaggi di stato (liquido-solido e aeriforme).

Il sole è il motore di questo ciclo e fornisce l’energia necessaria per l’evaporazione

dell’acqua dagli oceani e in minor misura dai continenti. Tale ciclo è in continuo movimento e coinvolge atmosfera, geosfera e biosfera (fig. 2).

fig.2 Il ciclo

dell’acqua

Il vapore acqueo che si forma in seguito ad evaporazione, viene successivamente trasportato dal vento, si raffredda e condensa, dando inizio al processo di formazione

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delle nuvole, che in determinate condizioni di pressione atmosferica daranno origine

alle precipitazioni. L’acqua tornerà in mare o al suolo sotto forma di pioggia, neve o

grandine. Nel primo caso il ciclo avrà termine e ne potrà iniziare un altro, nel secondo

invece si avvierà un percorso più articolato. L’acqua giunta sulle terre emerse, in parte

scorrerà in superficie (ruscellamento o deflusso superficiale) ed in parte filtrerà nel terreno giungendo in profondità (percolazione o deflusso profondo). L’acqua che

scorre in superficie convoglierà nei corsi d’acqua già esistenti e permanenti, costituiti

da piccoli torrenti, fiumi o laghi, o ne andrà a costituire nuovi stagionali per poi

tornare lentamente in mare. Una porzione di precipitazioni evaporerà direttamente

mentre una parte sarà assorbita dalle radici delle piante per poi essere rilasciata in

atmosfera attraverso il fenomeno dell’evapotraspirazione. L’acqua che si infiltrerà

nel terreno andrà a creare le riserve di questa preziosa risorsa; tali giacimenti sotterranei prendono il nome di falde idriche (acquifere e artesiane).

Il ciclo dell’acqua, considerato rinnovabile e inesauribile, in determinate condizioni può

durare anche molto tempo come nel caso delle falde acquifere o dei ghiacciai che

hanno lunghi periodi di immobilità al suolo prima di rendere l’acqua di nuovo

disponibile alla fase aerea.

Un esempio è rappresentato da alcune falde idriche che possono rimanere del tutto isolate rispetto al ciclo dell’acqua a causa di movimenti tettonici così da andare a

costituire quelle che vengono definite le acque fossili. Nell’area di Mena fra Arabia

Saudita, Libia e Algeria vi è una vasta riserva di acqua fossile (il 98,5% falde fossili

nel mondo), sfruttate soprattutto per l’agricoltura. L’acqua in questo caso è

considerata una risorsa esauribile.

IL BILANCIO IDROLOGICO

Il bilancio idrologico globale è un sistema in equilibrio perfetto fra la quantità di acqua

che precipita e quella che ritorna in atmosfera. La formula semplificata del bilancio

idrologico in un determinato bacino riporta che la quantità di precipitazioni P è uguale

alla somma fra l’evapotraspirazione Ev (dagli specchi di acqua, dal terreno, dalla

copertura vegetale), il ruscellamento R e l’infiltrazione I.

Formula semplificata del bilancio idrologico: P = Ev+ R + I

Tale bilancio se considerato a scala regionale o locale, ad esempio in un bacino, può

essere invece in eccesso o in difetto a seconda della quantità di precipitazioni. Il

bilancio idrologico varia nelle diverse zone del Pianeta Terra e ciò è dovuto alle

differenti condizioni climatiche: le zone equatoriali sono caratterizzate da abbondanti

precipitazioni e minore evaporazione, mentre le zone desertiche al contrario sono caratterizzate da scarse precipitazioni e forti evaporazioni.

L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE SUPERFICIALI: FIUMI E TORRENTI

L’uomo dipende fortemente dai corsi d’acqua e li utilizza per diversi scopi come ad

esempio il trasporto, l’irrigazione e la produzione di energia. Il fiume è definito come un corso d’acqua perenne, le cui acque derivano da sorgenti, piogge, scioglimento

delle nevi e dei ghiacci. Esso come visto nel ciclo idrologico raccoglie le acque che

giungono al suolo, e che non vengono assorbite dal terreno o dalle piante e le riporta

verso il mare attraverso un fenomeno definito ruscellamento (v.fig.2). Il

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ruscellamento inizia con una prima fase in cui le precipitazioni, cadono al suolo

ricoprendolo in maniera uniforme. In seguito l’acqua viene incanalata attraverso i

solchi naturali presenti nel terreno e convogliata dapprima in piccoli ruscelli e

successivamente nei fiumi. I fiumi porteranno l’acqua verso il mare attraverso la forza

di gravità. Tale viaggio dipenderà dalla velocità delle acque, ovvero da parametri quali il gradiente, le caratteristiche geometriche dell’alveo e la portata. Il gradiente è

definito come il rapporto fra il dislivello esistente fra la sorgente e la foce del fiume, e

la lunghezza del suo percorso (fig.3).

fig.3 Il profilo longitudinale e trasversale di un fiume dalla sorgente alla foce in cui si

evidenzia la variazione del gradiente

Il gradiente può variare molto anche per lo stesso fiume e pertanto si preferisce

suddividerne il corso in tre parti (fig.3). Il corso superiore corrisponde alla zona

compresa fra sorgente e la prima parte della pianura ed è caratterizzato da una

pendenza elevata; nel corso superiore prevale un’azione di tipo erosivo. Il corso medio

è costituito dalla pianura ed è caratterizzato da un gradiente meno elevato; il fiume assume un profilo trasversale più ampio e predomina l’erosione ma in questo caso di

tipo laterale. Il corso inferiore è costituito dalla zona della foce in cui il gradiente è

molto basso; in questo tratto l’azione erosiva è bassa o nulla e prevale la

sedimentazione. Le caratteristiche geometriche dell’alveo sono rappresentate

principalmente dalle dimensioni e dalla forma. Lo scorrimento è favorito da un alveo

con dimensioni maggiori e, a parità di dimensioni, che possiede una forma semicircolare (fig.3).

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La portata è definita dalla quantità di acqua che passa in una sezione trasversale del

corso d’acqua nell’unità di tempo; la portata viene calcolata in un punto preciso del

fiume ove è possibile conoscere le caratteristiche geometriche della sezione. E’ il

parametro più studiato dagli idrogeologi per capire l’evoluzione di un corso d’acqua.

Ad esempio, il Nilo e il Rio delle Amazzoni sono due fiumi simili come lunghezza (rispettivamente 6853 km e 6992 km), ma ben diversi come portata media

(rispettivamente 2830 m3/s e 175000 m3/s). L’area in cui un corso d’acqua scorre è

denominata bacino idrografico o imbrifero e rappresenta la porzione di territorio entro

la quale tutte le acque, originate da piogge o da sorgenti, sono convogliate in sistemi

fluviali (fig.4).

fig.4 Bacino idrografico e linea

spartiaccque

Il bacino idrografico racchiude al suo interno il sistema fluviale costituito dal corso

d’acqua principale e da corsi secondari; esso è delimitato dalla linea spartiacque, che

separa il bacino idrografico dagli altri adiacenti (fig.4).

Il fiume svolge un azione modellante sul paesaggio, disegnando valli strette con

profilo a “V” nelle zone montane oppure valli ampie con profilo piatto nelle pianure;

può creare, dove l’energia del rilievo lo permette, piccoli e grandi salti come le rapide

e le cascate, o ancora, scavare profonde incisioni come, le gole e le forre. Tale

processo si svolge in maniera diversa a seconda delle caratteristiche geologiche,

geomorfologiche e topografiche della regione attraversata. Una morfologia tipica delle

valli fluviali sono i meandri (fig.5).

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fig.5 I meandri del

fiume Civil’ affluente

del Volga

A differenza di un corso fluviale che scorre in un tratto vallivo caratterizzato da terreni

poco erodibili, un corso fluviale che scorre su una piana alluvionale è in grado di

modificare liberamente il proprio percorso. I meandri appaiono come sinuosità

disposte in successione lungo il corso medio o inferiore del fiume.

La loro formazione avviene in un tratto in cui l’azione del fiume è duplice: di tipo erosivo sul lato concavo e di tipo deposizionale sul lato convesso.

L’asse del fiume inizialmente rettilinea in tal modo passa ad essere perturbata e a

deviare assumendo un aspetto sinuoso. L’erosione laterale e la forza centrifuga

concorrono nell’accelerare tale processo con la formazione di anse che via via

divengono più pronunciate.

Nel tempo i meandri tendono ad allargarsi e a migrare quasi fino a toccarsi nelle loro parti più pronunciate; via via il setto che li separa tende a divenire sempre più esiguo,

fino a che si verifica il così detto salto del meandro, ossia il ritorno in comunicazione

diretta tra due meandri (fig. 6).

fig.6 Meandri

L’ansa abbandonata rimane in tal modo isolata dal corso del fiume formando uno

stagno, che nel tempo evolverà in una palude. Ancor oggi non è ben chiaro il complesso processo di formazione dei meandri; gli studiosi hanno evidenziato la

presenza di alcuni parametri come possibili cause: oscillazione trasversale del flusso,

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erosione accelerata su una sponda, presenza di un ostacolo, variazione della

profondità dell’alveo.

L’IDROSFERA CONTINENTALE - I LAGHI

Un lago rappresenta il riempimento di una depressione della superficie terrestre da

parte di acque dolci o salmastre, ed è caratterizzato da forma, ampiezza e profondità

molto variabili. I laghi sono legati ai corsi d’acqua e generalmente mostrano degli

immissari che ne convogliano le acque all’interno ed emissari, che al contrario,

drenano le loro acque verso l’esterno. Nel caso in cui manchi l’immissario lago sarà

alimentato esclusivamente dalle piogge o da acque sotterranee, mentre nel caso in cui manchi l’emissario l’acqua sarà perduta attraverso l’evaporazione o infiltrazioni

sotterranee. La vita di un lago è contraddistinta da un ciclo e come tale esso è

considerato effimero. Un lago che ad esempio non abbia emissari sarà destinato con il

tempo ad esaurirsi col prevalere dell’evaporazione, al contrario un lago che abbia degli

immissari sarà destinato ad essere riempito dai sedimenti fluviali e quindi interrato.

Un altro esempio di ciclo di vita è rappresentato dai un laghi alpini in cui prevale la

crescita e l’insediamento della vegetazione che lo porteranno a esaurirsi trasformandolo in una torbiera.

I laghi sono suddivisi in base alla loro origine e in questa lezione sono trattati le

principali tiologie. I laghi di escavazione glaciale hanno origine dall’azione del

ghiacciaio e sono divisi in laghi di circo e glaciali. I primi, rappresentati dai laghi alpini,

occupano le depressioni scavate dal ghiacciaio nelle porzioni superiori, come nel caso

di laghi formatisi in epoche glaciali dell’Era quaternaria. I laghi vallivi sono invece dovuti dalla escavazione profonda (esarazione) da parte del ghiacciaio nella sua

porzione più bassa, oggi non più visibile. I laghi Maggiore, di Como e di Garda (fig.7)

rappresentano alcuni esempi di laghi glaciali vallivi.

fig.7 Il lago di

Garda di

origine glaciale

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I laghi di sbarramento si originano come dice il termine stesso ad opera di uno

sbarramento naturale di un tratto di valle, a monte del quale si raccolgono le acque.

Lo sbarramento può avvenire a seguito di una frana, come nel caso del lago di Alleghe

(Belluno), o di un deposito morenico. I laghi craterici occupano le depressioni di

vulcani spenti oppure le vaste depressioni crateriche formatesi in seguito ad un’attività di tipo esplosivo. I laghi di Bolsena, Albano e Nemi (fig.8) ne rappresentano alcuni

esempi.

fig.8 Il lago di

Nemi di origine

vulcanica

I laghi carsici si trovano all’interno di depressioni originate in seguito all’azione

chimica svolta dalle acque meteoriche sulle rocce calcaree. Queste depressioni

presentano un fondo impermeabile costituito da “terre rosse”. Alcuni esempi sono il lago di Doberdò (Venezia Giulia), del Matese (Isernia), di Canterno (Frosinone). I laghi

di origine tettonica occupano depressioni originate in seguito ad abbassamenti di

porzioni di crosta terrestre per movimenti tettonici. Ne sono un esempio i laghi della

Great Rift Valley in Africa orientale che mostrano un allineamento lungo una grande

fossa tettonica. I laghi relitti, generalmente caratterizzati da acque salate, sono acque

rimaste isolate a seguito di movimenti tettonici o da abbassamento di del livello del mare. Ne sono un esempio il lago d’Aral e il Mar Caspio. I laghi costieri si formano per

accumulo verso mare di cordoni litoranei di sabbia; i cordoni in alcuni casi provocano

uno sbarramento alle acque provenienti dalla terra emersa, come per i laghi delle

Landes (Francia), in altri isolano una insenatura marina, come per i laghi di Lesina e

Varano (Foggia), (fig.9).

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fig.9 Il

Lago di

Varano di

origine costiera

L’IDROSFERA CONTINENTALE - I GHIACCIAI

L’acqua che sotto forma di neve precipita a quote elevate o a latitudini elevate non è

in grado né di scorrere né di infiltrarsi nel terreno e passando allo stato solido va a costituire i ghiacciai. La neve si trasforma in ghiaccio attraverso un processo lento e

graduale. Inizialmente si formano i fiocchi di neve, leggeri e ricchi di aria, che dopo

essersi depositati si trasformano in neve granulare, meno densa. Dopo circa uno o due

anni, in condizioni che ne permettono la conservazione, la neve si compatta

originando il firn denso e stabile che accumulandosi fonde e ricristallizza in forme

compatte; col passare degli anni si arriva alla formazione del ghiaccio compatto.

Il limite delle nevi persistenti è la quota al disopra della quale neve e ghiaccio persistono anche durante la stagione estiva, portando così ad un accumulo lento e

graduale della neve che si trasforma in ghiaccio. Tale limite è variabile a seconda della

latitudine, presso l’Equatore è molto elevato mentre avvicinandosi alle zone polari si

abbassa. I fattori che contribuiscono all’accumulo di ghiaccio sono altitudine,

latitudine, esposizione a nord dei versanti, vento etc.

Un ghiacciaio è una vasta massa di ghiaccio che si muove sotto l’azione del proprio peso (fig.10).

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fig.10 Schema di un ghiacciaio

All’interno di un ghiacciaio possiamo distinguere due zone: il bacino collettore e il

bacino ablatore. Il bacino collettore, generalmente a forma di ferro di cavallo, è l’area

di accumulo della neve, ovvero la zona di alimentazione del ghiacciaio. Il bacino

ablatore, invece, è l’area dove avviene la fusione del ghiaccio, e si trova sotto il limite delle nevi perenni. La parte terminale del ghiacciaio prende il nome di fronte. I

ghiacciai sono divisi in continentali (o polari), e di montagna. I ghiacciai di tipo

continentale sono: le calotte glaciali (inlandsis), e i ghiacciai di tipo scandinavo,

alaschiano, himalayano. Le calotte glaciali ricoprono l’Antartide e la Groenlandia e in

parte Canada e Islanda; essi sono caratterizzati dalla presenza di icebergs, enormi

blocchi di ghiaccio che si distaccano dal ghiacciaio principale (fig.11).

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fig.11

Esempio di

iceberg

I ghiacciai di tipo scandinavo sono caratterizzati da una zona di accumulo e nella parte terminale da diverse diramazioni che scendono verso valle. I ghiacciai di tipo

alaschiano sono caratterizzati da colate glaciali distinte che tendono a congiungersi

verso valle. I ghiacciai di tipo himalayano sono ghiacciai che scendono da alte catene

e sono distinti in più valli.

I ghiacciai di tipo montano possono essere alpini e pirenaici. I ghiacciai alpini si

accumulano in una concavità ad alta quota (circo) e scendono verso valle con una lingua ben sviluppata (fig.12).

fig.12 Un esempio di

ghiacciaio alpino, la

Marmolada

I ghiacciai pirenaici sono ridotti rispetto a quelli alpini e non presentano una lingua

ben sviluppata.

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I movimenti dei ghiacciai dipendono da diversi fattori. L’agente principale è la forza di

gravità; altri fattori sono: la plasticità del ghiaccio e i moti intergranulari, la rugosità

del fondo e la presenza di ostacoli, le stagioni e le condizioni climatiche.

La velocità di un ghiacciaio è molto variabile: è molto bassa nelle calotte glaciali e

aumenta in quelli di tipo himalayano. Tale velocità varia anche all’interno dello stesso ghiacciaio: maggiore nella parte centrale e superiore, dove l’attrito con l’aria è basso,

e minore verso l’esterno e sul fondo, dove l’attrito con le pareti e il fondo è alto.

Pertanto un ghiacciaio possiede al suo interno un movimento differenziale che provoca

la formazione di crepacci, ovvero profondi tagli orizzontali, verticali, e seracchi, ovvero

blocchi isolati di ghiaccio che formano torri e guglie.

L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE PROFONDE

Le acque profonde o sotterranee sono molto importanti poiché costituiscono le riserve

di acqua potabile fondamentali per la vita dell’uomo. L’acqua che non viene trattenuta

in prossimità della superficie, ad esempio dalle radici delle piante, penetra in

profondità (infiltrazione) e va a costituire il sistema delle acque sotterranee (fig.13).

fig.13 Il

sistema

delle acque

sotterranee

Le rocce devono avere una caratteristica proprietà ossia devono essere permeabili,

devono cioè permettere all’acqua di infiltrarsi nel sottosuolo attraverso gli interstizi fra

i granuli che le compongono o la loro fratturazione. In tal modo l’acqua può raggiungere la zona di saturazione, ovvero la zona in cui tutti gli spazi vuoti nei

sedimenti e nelle rocce sono pieni di acqua. L’acqua presente in questa zona

costituisce la falda acquifera ed è sostenuta nella parte sottostante da uno strato

impermeabile di terreno. La falda, detta anche freatica, è sormontata da una zona

superiore chiamata di aerazione, in cui non si ha saturazione del terreno. La quantità

di acqua immagazzinata è variabile e dipende dal tipo di substrato presente, più precisamente dalla sua porosità. La porosità è la percentuale del volume totale di

spazi vuoti di roccia o di sedimento potenzialmente occupabile dall’acqua.

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fig.14 Visualizzazione grafica del concetto di porosità

L’acqua sotterranea in profondità non è immobile ma si sposta lentamente attraverso passaggi tortuosi e stretti, rappresentati dai pori, dalle fessure e dalle fratture.

Nell’immaginario comune si pensa che essa in profondità si trovi sotto forma di laghi o

fiumi, in realtà è più esatto, anche se più difficile da immaginare, parlare di acquiferi

ovvero strati di rocce e sedimenti che si imbibiscono di acqua e ne permettono anche

la sua migrazione sotterranea.

Le sorgenti sono i punti in cui una superficie freatica raggiunge la superficie terrestre, ossia dove una falda viene a giorno si formano naturalmente danno vita a quelle che

noi tutti conosciamo come sorgenti di acque potabili, minerali, termali e

termominerali. Le riserve di acqua sotterranea possono essere raggiunte dall’uomo

attraverso la realizzazioni di passaggi verticali, i pozzi.

L’IDROSFERA CONTINENTALE - LE ACQUE DI TRANSIZIONE

Le acque di transizione come dice il termine stesso rappresentano le zone intermedie

fra il dominio fluviale (acqua dolce) e quello marino (acque salate) e sono costituite

da: foce del fiume, lago costiero, laguna.

Nella zona della foce di un fiume avviene il mescolamento fra acque dolci e acque

salate con differenze in salinità, densità, e influenza da parte delle maree. La zona

della foce prende il nome di delta o di estuario. Nella zona della foce a delta avviene la deposizione dei sedimenti trasportati dal fiume che si accumulano sul fondale fino ad

emergere in superficie (fig.15); la foce del Nilo, del Mississippi, del Danubio e del Po

ne sono alcuni esempi.

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fig.15 La foce a delta del

fiume Lena (Russia)

Nella zona della foce ad estuario non avviene una regolare deposizione dei sedimenti

per via delle forti correnti o delle intense maree ed si ha una tipica forma ad imbuto

(fig.16); il Rio delle Amazzoni, del Congo e del Tamigi ne sono alcuni esempi.

fig.16 La foce ad estuario del

Rio della Plata

(Sud America)

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I laghi costieri sono zone in cui si mescolano acque marine e dolci separate da un

tratto di terra che può essere un cordone sabbioso, un tombolo etc. Esse possono

essere separate completamente dal mare o essere collegate mediante piccoli canali.

Le lagune sono zone di acque distaccate dal mare in cui però arrivano sia le acque

marine che continentali. Esse si sono formate in seguito all’azione dei fiumi che hanno trasportato una grande quantità di sedimenti che depositandosi parallelamente alla

costa le hanno confinate. A differenza dei laghi costieri queste zone fortemente

assoggettate all’azione delle maree.

L’IDROSFERA MARINA - LE ACQUE MARINE

Occupano la stragrande maggioranza della superficie del nostro pianeta, basti pensare

che il 71% della superficie terrestre è coperto da oceani o da mari e solo il restante

29% da terre emerse. Tuttavia gli oceani non sono distribuiti in modo omogeneo sul

globo: l’emisfero settentrionale è coperto in minor misura (circa 61%), mentre

l’emisfero meridionale in misura maggiore (circa 81%). Il confronto fra i tre grandi

oceani porta ad identificare l’oceano Pacifico come il più vasto, seguito dall’oceano

Atlantico e dall’oceano Indiano. Leggendo la curva ipsografica, la curva che mette in relazione attraverso un sistema cartesiano le diverse quote della superficie terrestre e

l’area che si trova al di sopra della quota considerata, è possibile scoprire che la

profondità media degli oceani è di circa 3800 metri, mentre il punto più profondo è di

circa 11022 metri (Fossa delle Marianne). Ma come si presenta la terra sotto il mare?

Se immaginiamo di togliere tutta l’acqua contenuta nei mari e negli oceani ci

accorgiamo che esiste una topografia variegata, caratterizzata da rilievi, valli e pianure. Studiando la carta dei fondali oceanici (fig.17) e la curva ipsografica emerge

che tutti gli oceani hanno un profilo comune.

fig.17 La carta dei fondali oceanici

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Partendo da riva e procedendo verso il mare aperto sono visibili una piattaforma

continentale, una scarpata e un fondo oceanico (fig.18).

fig.18 Profilo

longitudinale della piattaforma

continentale,

scarpata e

fondale oceanico

La piattaforma è il primo tratto compreso fra zero e 200 m. Essa è caratterizzata da

una debole pendenza e da una estensione variabile, maggiore nelle zone continentali

pianeggianti e minore nelle zone montuose. La scarpata è la zona compresa fra la

piattaforma e una profondità di 2000 m. Essa è caratterizzata da una forte pendenza e una piccola estensione. Il fondo oceanico è la zona compresa fra la scarpata e una

profondità di 6000 m, e occupa la porzione più grande della superficie sottomarina. Le

fosse oceaniche sono depressioni che si trovano oltre i 6000 m di profondità e si

trovano al margine di rilievi emersi (isole) e sottomarini.

Il valore di salinità media è di 35g/l. NaCl è il maggior costituente fra i Sali disciolti

con una percentuale pari circa al 78%.

Le acque degli oceani sono in continuo movimento, ne sono esempio il moto ondoso,

le correnti e le maree. Il vento è il principale responsabile dell’attivazione del moto

ondoso; esso applicando una pressione sull’interfaccia mare-aria genera dapprima

delle piccole increspature che man mano aumentano in funzione dell’intensità del

vento e del fenomeno della risonanza fino a divenire onde (onde forzate). Tali onde

continuano a propagarsi arrivando anche in zone prive di vento (onde libere). Il moto

ondoso assume caratteristiche diverse se avviene in mare aperto o in vicinanza della costa. Nel primo caso le onde non risentono dell’attrito col fondale e le onde che si

generano sono chiamate onde di oscillazione. In prossimità di un fondale invece si

generano le così dette onde di traslazione, che oltre alla semplice componente

oscillatoria consentono un trasporto trasversale di acqua rispetto alla linea di costa. In

prossimità della costa infatti l’onda nella porzione inferiore risulterà in ritardo a causa

dell’attrito con il fondale rispetto alla porzione superiore libera; il risultato sarà un’onda che si rovescerà in avanti sotto forma di frangente di spiaggia. Le onde

modellano in questo modo la linea di costa, attraverso un’azione erosiva, la costa

infatti rappresenta il punto dove si incontrano mare e terraferma e dove il secondo

rappresenta un ostacolo. In una singola onda è possibile distinguere: la cresta, la

parte più rilevata, e il ventre, la parte più depressa, l’altezza, la distanza sulla

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verticale tra cresta e ventre, la lunghezza, la distanza orizzontale tra due creste o due

ventri. Così come avviene per qualsiasi tipo di onda, da quella sonora a quella

elettromagnetica anche per studiare il moto ondoso è importante valutare alcuni

importanti parametri fra cui ricordiamo: la velocità di propagazione, lo spazio percorso

da un’onda nell’unità di tempo e il periodo, l’intervallo di tempo che intercorre fra due passaggi consecutivi di una cresta o di un ventre.

Le maree sono oscillazioni periodiche del livello marino che corrispondono ad un

ritmico innalzamento (flusso) e abbassamento (riflusso) provocati dall’azione

gravitazionale della Luna e del Sole sulle masse d’acqua presenti sul pianeta Terra.

Tali oscillazioni avvengono due volte al giorno nelle quali la fase corrispondente al

massimo sollevamento prende il nome di alta marea, mentre quella corrispondente al

massimo abbassamento bassa marea. La differenza fra l’alta e la bassa marea prende il nome di ampiezza di marea. Il movimento delle maree è molto complesso, in ogni

caso è possibile affermare che l’attrazione esercitata dalla Luna è di gran lunga più

influente rispetto a quella del Sole, nonostante la massa del Sole sia maggiore.

Pertanto le maree dipendono essenzialmente dai movimenti lunari. È importante

notare come l’alta marea presente in un punto del globo lo sia anche al suo antipodo e

ciò non è spiegabile con la sola attrazione Terra-Luna. Ciò che interviene oltre all’attrazione lunare è la forza centrifuga dovuta al moto di rivoluzione del sistema

Terra Luna. Le zone di bassa marea sono situate a 90 gradi rispetto a quelle di alta

marea. Esistono due tipi di marea: le maree vive e quelle morte. Le maree vive sono

caratterizzate dalle massime ampiezze e si verificano quando Sole, Terra e Luna sono

allineati (Luna piena o Luna nuova). Le maree morte invece si presentano con minori

ampiezze e si hanno quando le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna formano un angolo retto (Luna al primo o all’ultimo quarto). Nel corso di un mese le ampiezze

delle maree mutano a causa delle variazioni delle posizioni reciproche di Terra, Luna e

Sole.

Uno dei luoghi più famosi dove osservare questo straordinario fenomeno è la cittadina

di Mont Saint Michel nella costa settentrionale della Francia in cui si verificano delle

maree eccezionali (fig.19).

fig.19 La cittadina di Mont

San Michelle durante la

bassa marea

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Un elemento determinante costituente gli oceani sono le correnti oceaniche,

spostamenti orizzontali di masse di acqua che possiedono caratteristiche, quali la

salinità e la temperatura, differenti dalle masse di acqua circostanti e mostrano una

velocità propria ed una direzione quasi costante. La circolazione oceanica è molto

complessa (fig.20) ed in questa lezione verrà trattata in maniera semplificata.

fig.20 La circolazione delle correnti oceaniche

Le correnti oceaniche sono influenzate dai venti e dalla morfologia dei bacini marini e

si distinguono in correnti orizzontali (superficiali e profonde) e verticali (ascendenti e discendenti).

Le correnti marine superficiali sono formate dalle acque poco profonde (superiori a

200 metri) e sono principalmente influenzate dai venti. Tali correnti molto importanti

per la navigazione, in quanto la loro conoscenza permette di ridurre in termini di

tempo gli spostamenti via mare delle imbarcazioni; sono inoltre fondamentali per il

clima, in quanto insieme ai venti trasportano gran parte del calore dalle regioni che ne

hanno in eccesso a quelle che ne hanno in difetto. L’effetto mitigatore delle correnti sul clima è ben noto: un esempio è la corrente Nord atlantica che rende più calde le

zone della Gran Bretagna e di gran parte dell’Europa nordoccidentale rispetto a quanto

ci si aspetta per quelle latitudini; allo stesso modo le correnti fredde mitigano alle

medie latitudini le zone tropicali. Se non ci fosse la rotazione terrestre vedremmo che

in entrambi gli emisferi in superficie un movimento costante di acque calde e tropicali

dirette verso le alte latitudini e in profondità un movimento di acque fredde verso l’Equatore. La forza di Coriolis le devia dal loro percorso originario, e le correnti

tendono a formare dei circuiti chiusi nei singoli emisferi, in senso orario nell’emisfero

boreale e in senso antiorario in quello australe (fig.19). Le correnti verticali possono

essere causate dal vento, come ad esempio avviene nelle coste occidentali

dell’America, oppure da differenze di densità, come avviene in prossimità dei poli. Nel

primo caso si genera una corrente ascendente di acqua fredda e profonda ricca di

nutrienti diretta verso il largo quando un forte vento spira dal continente verso l’oceano (upwelling), mentre si genera una corrente discendente (downwelling)

quando il vento spira dall’oceano verso il continente. Le correnti profonde si generano

a partire dalle correnti discendenti e sono formate da fredde e dense che corrono

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orizzontalmente in profondità. Le correnti profonde si formano in prossimità

dell’Antartide e possono permanere in profondità anche per tempi molto lunghi dando

origine alla circolazione profonda (secondo il modello del nastro trasportatore).

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