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Libertá di Parola 4/2015 —— CODICE A S-BARRE APPI PAPI INVIATI NEL MONDO a pagina 14 Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire) continua a pagina 2 a pagina 13 a pagina 7 a pagina 4 PANKAROCK di Stefano Venuto Ogni anno alla Panka ci sono una miriade di cosa da progettare, realizzare, af- finare, sperimentare ed an- che consolidare. Quando ad inizio anno si fa il punto del pregresso e si programmano le azioni future, si susseguo- no momenti concitati, dove ognuno di noi pensa a cosa sarebbe meglio fare, cosa modificare, cosa inventare. Non è scontato trovare un accordo immediato, trovare una linea comune d’azione è un processo. Quando però, quest’anno, ci siamo accor- ti che correvano i 20 anni dalla formazione del gruppo che ha dato vita poi all’As- sociazione, ci siamo detti: «Dobbiamo festeggiare: si. Dobbiamo realizzare qual- cosa che resti nel tempo: si. Facciamo un libro: si». Ecco, da questa unanime volontà è partito il percorso che ci ha portato alla realizzazione del libro “I nostri primi vent’anni. Storia di un sogno“ e a realiz- zare, il 22 ottobre scorso all’Ex Convento di San Francesco a Pordenone, la festa di com- pleanno, con la presentazio- ne del libro stesso e con il concerto dell’Ensemble “La Frontera” Mistral Vento di Pas- sioni. Abbiamo regalato alla città, ai presenti, a noi stessi, un momento, un’occasione, una condivisione per dirsi grazie e per dirsi scusa. Gra- zie perché senza nessuno in ascolto non c’è nulla da rac- contare; scusa perché spesso le risposte ed i racconti sono stati feroci, taglienti. Da que- sto mondo di emozioni all’e- stremo siamo arrivati ed in questo mondo di emozioni all’estremo continuiamo ad esistere. L’occasione per sta- re assieme ha voluto essere però un terreno amico, dove la cultura detta le sue regole e racconta le sue storie senza pregiudizi e senza diversità, ottenendo risposte che sono proposte di miglioramento. Il sogno è il collante di tutto. Il sogno è stato la forza per ini- ziare, ha dato alla partenza la dimensione del “nostro”, ci ha accompagnati nei primi agiti, che ci hanno fatto co- noscere, capire, apprezzare o anche solo accettare, ha arricchito i 20 anni di quel- la sana instabilità che ci ha permesso di diventare “sto- ria”. Il sogno è anche la via grazie alla quale sogniamo i nostri prossimi 20 anni, storia di sogni, perché a sognare azioni che diventano realtà si produce storia, che gene- ra la scintillante potenza da cui noi proveniamo e verso la quale tutti noi tendiamo, la cultura. Questa è l’Associa- zione “I Ragazzi della Panchi- na”. I nostri hobby, dal cilismo alla musica, all'automobilismo La mia folle vita da padre La Svezia vista in quattro giorni La Dave Matthews Band in concerto a pagina 16 NON DOLO SPORT Parkour, cos'è e dove si pratica APPROFONDIMENTO Fumettomania La provincia di Porde- none è un'oasi felice per il fumetto, l'arte di comu- nicare fondendo insieme in narrazione testi ed immagini. Quì si contano più fumettisti professionisti di qualsiasi città italiana. L'altro dato significativo è che da decenni, grazie ad un dialogo intergener- azionale, sono i giovani a costituire le colonne por- tanti del fumetto indipen- dente ed autoprodotto. In entrambi i casi le parole d'ordine sono: immagin- azione e sperimentazione. a pagina 9 BUON COMPLEANNO ... RAGAZZI !

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Ldp 4/2015 Libertá di Parola. Trimestrale d'Informazione dei Ragazzi della Panchina di Pordenone

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Libertá di ParolaN°4/2015 ——

CODICE A S-BARRE

APPI PAPI

INVIATI NEL MONDO

a pagina 14

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

continua a pagina 2

a pagina 13

a pagina 7

a pagina 4

PANKAROCK

di Stefano Venuto

Ogni anno alla Panka ci sono una miriade di cosa da progettare, realizzare, af-finare, sperimentare ed an-che consolidare. Quando ad inizio anno si fa il punto del pregresso e si programmano le azioni future, si susseguo-no momenti concitati, dove ognuno di noi pensa a cosa sarebbe meglio fare, cosa modificare, cosa inventare. Non è scontato trovare un accordo immediato, trovare una linea comune d’azione è un processo. Quando però, quest’anno, ci siamo accor-ti che correvano i 20 anni dalla formazione del gruppo che ha dato vita poi all’As-sociazione, ci siamo detti: «Dobbiamo festeggiare: si. Dobbiamo realizzare qual-cosa che resti nel tempo: si. Facciamo un libro: si». Ecco, da questa unanime volontà è partito il percorso che ci ha portato alla realizzazione del

libro “I nostri primi vent’anni. Storia di un sogno“ e a realiz-zare, il 22 ottobre scorso all’Ex Convento di San Francesco a Pordenone, la festa di com-pleanno, con la presentazio-ne del libro stesso e con il concerto dell’Ensemble “La Frontera” Mistral Vento di Pas-sioni. Abbiamo regalato alla città, ai presenti, a noi stessi, un momento, un’occasione, una condivisione per dirsi grazie e per dirsi scusa. Gra-zie perché senza nessuno in ascolto non c’è nulla da rac-contare; scusa perché spesso le risposte ed i racconti sono stati feroci, taglienti. Da que-sto mondo di emozioni all’e-stremo siamo arrivati ed in questo mondo di emozioni all’estremo continuiamo ad esistere. L’occasione per sta-re assieme ha voluto essere però un terreno amico, dove la cultura detta le sue regole e racconta le sue storie senza

pregiudizi e senza diversità, ottenendo risposte che sono proposte di miglioramento. Il sogno è il collante di tutto. Il sogno è stato la forza per ini-ziare, ha dato alla partenza la dimensione del “nostro”, ci ha accompagnati nei primi agiti, che ci hanno fatto co-noscere, capire, apprezzare o anche solo accettare, ha arricchito i 20 anni di quel-la sana instabilità che ci ha permesso di diventare “sto-ria”. Il sogno è anche la via grazie alla quale sogniamo i nostri prossimi 20 anni, storia di sogni, perché a sognare azioni che diventano realtà si produce storia, che gene-ra la scintillante potenza da cui noi proveniamo e verso la quale tutti noi tendiamo, la cultura. Questa è l’Associa-zione “I Ragazzi della Panchi-na”.

I nostri hobby, dal cilismo alla musica, all'automobilismo

La mia folle vita da padre

La Svezia vista in quattro giorni

La Dave Matthews Band in concerto

a pagina 16

NON DOLO SPORT

Parkour, cos'è e dove si pratica

APPROFONDIMENTO

FumettomaniaLa provincia di Porde-none è un'oasi felice per il fumetto, l'arte di comu-nicare fondendo insieme in narrazione testi ed immagini. Quì si contano più fumettisti professionisti di qualsiasi città italiana. L'altro dato significativo è che da decenni, grazie ad un dialogo intergener-azionale, sono i giovani a costituire le colonne por-tanti del fumetto indipen-dente ed autoprodotto. In entrambi i casi le parole d'ordine sono: immagin-azione e sperimentazione.

a pagina 9

BUON COMPLEANNO ... RAGAZZI !

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La serata del 22 è stata emo-zionante. Presenti circa 120 persone con i più svariati ruo-li, interessi, significati. Partendo dai rappresentanti politici e dei Servizi che sono saliti sul palco per portare la loro voce rispetto al legame con l’Asso-ciazione nominiamo la dotto-

ressa Roberta Sabbion, diret-trice del Dipartimento per le Dipendenze di Pordenone, il direttore generale dell’Aas n°5 Paolo Bordon ed il dottor Ales-sandro Zamai, medico del Ser.T di Pordenone e referente del Servizio per l’Associazione. Poi ancora sono intervenuti il sindaco di Pordenone, Clau-dio Pedrotti, e il vice presiden-

te della Regione Friuli Vene-zia Giulia, Sergio Bolzonello, già sindaco di Pordenone dal 2001 al 2011. Presenti in sala c’erano rappresentanti del Comune di Pordenone, dei Servizi Sociali del Comune di Pordenone, dell’Ambito Urba-no 6.5, dell’Aas n°5, del Terzo Settore e dell’associazionismo locale. Importante sottolineare

continua dalla prima pagina la presenza di una ventina di ragazzi della Comunità Tera-peutica “La Piccola” di Cone-gliano che si sono organizzati, assieme agli educatori, con furgoni e macchine per parte-cipare alla serata. Questo stra-ordinario regalo, inaspettato, ha impreziosito ulteriormente una serata dalle emozioni for-ti. Oltre a tutti loro c’era poi la

Un rifiuto, che si è и trasformato in amore«Ero contraria alla sede dei Ragazzi: li ho conosciuti e ho cambiato idea»di Graziella Zambon

IL TEMA

Sono Graziella Zambon, spo-sata Boccalon. La mia storia con I Ragazzi della Panchina prende il via alla fine degli anni Novanta, quando in città si inizia a parlare dell’i-dea di aprire una sede per quest’associazione, proprio vi-cino all’istituto Don Bosco, ma soprattutto adiacente a dove io e mio marito avevamo un negozio di alimentari. Erava-mo assolutamente contrari a questa iniziativa, ed il nostro primo pensiero, condiviso da tutti nel quartiere, è stato: «Siete matti ad aprire la sede qui!». Inoltre anche i clienti del nostro negozio ci diceva-no: «Vedrete che perderete i clienti, perché non verranno a spendere in un negozio dove vicino ci sono i drogati». E noi, che dovevamo lavora-re, ci siamo schierati contro l’apertura della sede. Que-sta dell’associazione era una cosa nuova per noi ed era-vamo ignoranti in materia,

non capivamo cosa sarebbe successo. Ci immaginavamo, però, la presenza costante di drogati che passavano il loro tempo bevendo birra, dalla mattina alla sera. Io e mio marito, pertanto, abbiamo deciso di fare una petizione contro l’apertura di questa sede ed abbiamo raccolto le firme tra i vicini di casa, i clienti del nostro negozio e le persone che frequentavano il Don Bosco, che dovevano portare i bambini in asilo e che, per questo, avrebbero dovuto passare davanti alla sede. Per un anno abbiamo sostenuto con forza questa nostra “battaglia” contro l’a-pertura della sede: siamo an-dati agli incontri organizzati dal Vescovo e dal Comune, abbiamo realizzato riunioni nel quartiere e perfino una fiaccolata dietro l’ospedale. Quest’idea era, infatti, un’in-decenza! Nonostante la peti-zione e le discussioni, la sede

de I Ragazzi della Panchina è stata comunque aperta. (…) Un giorno una decina di ragazzi hanno iniziato a ripu-lire la cancellata della sede, che era in pessime condizio-ni, e abbiamo avuto modo di osservarli. Era una giornata caldissima, così ho detto a mio marito: «Roberto, senti, fa davvero caldo, quelli sono lì a grattare la ringhiera sotto il sole, a me fanno pena». E mio marito: «Lascia stare, non immischiarti». Gli ho risposto: «Io vado fuori!... quanti sono? dieci? Perfetto, dieci coca-co-la fresche e qualche crostino con il prosciutto». Ho preso un vassoio e sono uscita in stra-da e mi sono avvicinata di-cendo: «Ragazzi, ho visto che lavorate come i muli, non vi vedo mai, almeno prendete qualcosa da bere». Andrea, l’operatore del tempo, ha insistito perchè entrassi nella loro sede e così, per la prima volta, mi sono trovata den-

tro a quella casa con questi ragazzi che non conoscevo, come non conoscevo tutti i loro problemi. Da quel giorno è nato un legame, un’amici-zia così grande da non riu-scire ad immaginare. È così che io e mio marito abbiamo cambiato idea su di loro. (…) Lo ammetto, da contraria che ero, ho cambiato idea, anche grazie ai confronti avuti con il dottore Alessandro Zamai e alle riunioni in cui si spie-gavano gli obiettivi del grup-po e della sede de I Ragazzi della Panchina. Negli anni Settanta, nel quartiere, ogni famiglia aveva un ragazzo con problemi di droga. Par-liamo di ragazzi di 15-16 anni di buona famiglia, che però venivano visti come disgra-ziati. Io e mio marito, che non avevamo figli, condannava-mo questi giovani. Ma biso-gna anche ammettere quan-do si sbaglia. Dopo averli conosciuti, infatti, ho visto la

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Dalle pagine della cronaca nera, ad essere promotori di un cambiamento culturaledi Sara Lenardon

LA NOSTRA STORIA SCRITTA DAI GIORNALI

Anni ’80: il consumo di so-stanze diventa un problema di massa. In questo contesto, anche la città di Pordenone si trova a vivere significati-vamente il disagio tanto da essere dichiarato “problema di ordine pubblico”. I prota-gonisti sono loro, quei ragazzi che, iniziando come gruppo spontaneo, oggi a distanza di vent’anni sono conosciuti come “I Ragazzi della Pan-china”, messi in primo piano in molte pagine dei gior-nali. Erano gli anni ’90 quando a Pordenone si parlava di “emergenza morti” legati all’uso di sostanze e alle malattie ad esse correlate; i gior-nali in quegli anni pre-sentavano il problema in maniera eclatante, la modalità di scrit-tura per lo più fredda e in-differente nei confronti della situazione por-denonese. Come a specchio dell’o-pinione cittadina, l’attenzione mirava ad evidenziare le moltepli-ci morti da overdose o gli episodi di disordine pub-blico legati allo spaccio e ai reclami per quanto riguarda-va la scarsa sicurezza dettata dal caos del momento. La cronaca nera della Pordeno-ne di vent’anni fa metteva in risalto una città divisa in due mondi tanto lontani quanto vicini perché conviventi; vi-geva un clima di paura della diversità e di giudizio dettato, probabilmente, dalla poca conoscenza dell’argomento “tossicodipendenze”. Tra il ’95 e il ’96 la distanza iniziò ad assottigliarsi grazie a un pri-mo spiraglio di speranza dato dall’incontro, richiesto dai ra-gazzi, con il poeta Andrea Zanzotto. In tale occasione i giornali non mancarono di mettere in risalto il riscontro positivo che l’iniziativa aveva avuto, toccando nel profondo non solo i ragazzi ma la citta-dinanza stessa. Trovandosi a dialogare sui temi della mor-te, della dignità e della ver-gogna, Zanzotto catturò infatti l’interesse generale e risvegliò in tutti i presenti degli interro-

gativi e delle riflessioni che crearono una situazione di accomunamento di pensiero senza precedenti fino a quel momento. Da quell'incontro cominciò un percorso ricco di sfide e di mete che permise di creare qualcosa di duratu-ro tra i ragazzi e le diverse di-mensioni della società porde-nonese; infatti, a partire dalle collaborazioni con i servizi, con gli enti pubblici, le istitu-zioni e con la cittadinan-za, nel 1999

ven-ne co-

stituita l’Asso-ciazione Onlus “I Ragazzi della Panchina” e nel 2000 la Panchina, trovò la sua prima “casa” in viale Grigoletti. Il “sì” dato dal Comune all’epoca portò a diverse polemiche da parte delle forze politiche e a molte titubanze nell’acco-glienza da parte degli abi-tanti circostanti viale Grigolet-ti, allo stesso tempo c’era chi, come l’Azienda Sanitaria e la comunità ecclesiale, riteneva importante creare delle con-dizioni il più ottimali possibili affinché la sperimentazione avesse successo. Dall’apertu-ra della sede fino al 2009, il gruppo promosse molte ini-ziative di informativa, sensi-bilizzazione e collaborazione; ma in quell’anno si presentò una nuova sfida, ovvero il primo avviso di sfratto dalla sede. I media locali ne parla-rono molto mettendo in luce il caso e descrivendone le diverse sfumature: i tentativi di rinvio, la protesta da parte dell’Associazione stessa e an-

che i diversi commenti degli abitanti di viale Grigoletti che negli anni avevano imparato a conoscere e rispettare quel gruppo di ragazzi che inizial-mente rifiutavano. Dopo un iter lungo tre anni, nel 2012, la sede venne definitivamente chiusa e l’Associazione si tro-vò, probabilmente, ad affron-tare il suo periodo più difficile. È in questi anni che emerse maggiormente agli occhi dell’opinione pubblica la ma-

nifestazione di solidarietà nei confronti del gruppo da parte di tanti che so-stenevano quella che il Gazzettino definì la “Battaglia per una sede che risollevi la panchi-

na”. Fu evidenziato infatti l’impegno

della città nella restituzione di un luogo d’incon-tro per il grup-po e come in questa lotta

presero parte anche diversi volti

famosi della cultu-ra e dello spettacolo che, collaborando con l’Associazione, ne rico-noscevano l’importanza nell’essere diventata un punto di riferimento per

tante forme di disagio. Finalmente, nel 2013, venne assegnato un nuovo locale comunale in vicolo Selvati-co e, ripercorrendo la storia dell’Associazione da quel momento ad oggi, può esser-ne riconosciuta la crescita e la valenza sottolineata anche dalla stampa locale che non mancò di rendere pubbliche tutte le mete raggiunte e le diverse progettualità attivate. In conclusione a questo ex-cursus è doveroso evidenzia-re come in questi vent’anni la presenza del gruppo nel territorio pordenonese non sia parsa inosservata e come abbia concorso a dar inizio ad un’evoluzione dell’opinio-ne pubblica. Partiti dalla pura descrizione di morti e disagi, negli anni anche i giornali hanno cambiato modalità di scrittura, maturando la consa-pevolezza che la speranza è un bene e un diritto comune che va promosso anche met-tendolo nero su bianco.

cittadinanza, la gente, i nostri ragazzi, insomma c’erano tutti quelli che sono il nostro terre-no di battaglia e di conquista, senza i quali nulla di questi primi 20 anni sarebbe stato possibile e grazie ai quali la storia è diventata la nostra storia. Una mezz’ora per pre-sentare il libro, per dire de I Ragazzi della Panchina e poi il concerto dei nostri amici, La Frontera, meravigliosi autori di musica che parte e arriva all’anima, da sempre presen-ti ad ogni nostro evento im-portante. Degna conclusione di una vera festa di comple-anno, la torta. La pasticce-ria Cossetti ha realizzato una vera e propria opera d’arte, confezionando una torta di quasi due metri di lunghezza per 50 centimetri di larghezza con tanto di loghi e di scritte. I nostri primi 20 annii sono sta-ti scritti e festeggiati, adesso abbiamo la responsabilità di costruirne, scriverne e festeg-giarne ancora.

disperazione che c’era dentro di loro, nelle loro anime e, da cattolica credente, mi sono pentita, sono andata in chie-sa, ho pregato e ho detto: «Si-gnore perdonami. Io cattolica, credente, mi sono permessa di criticare gli ultimi». Questa è la mia esperienza, che è partita da un rifiuto, ma che poi è diventata Amore. È sta-ta una lezione di vita, perché in ogni famiglia ci sono cose che vanno e che non vanno, ma da quella volta ho capi-to che non bisogna mai giu-dicare, bensì comprendere, pregare e cercare sempre di far funzionare le cose. Io l’ho fatto dopo questa esperienza, che mi ha dato tanto e che probabilmente mi ha aiutata ad affrontare anche la morte di mio marito. Per la chiusura della sede ho pianto, perché quando aprivo le finestre non vedevo più i ragazzi che mi salutavano, che si fermavano a parlare; mi facevano una grande compagnia. Alla fine, erano come i miei figli. Dopo averli conosciuti agli amici, ai clienti, alla gente del quar-tiere ho sempre detto: «Tutto quello che abbiamo fatto, anche se per il bene, era sbagliato. Questi sono ragazzi che hanno bisogno di aiuto e di una sede!». Adesso mi manca vederli, mi mancano le chiacchierate che veniva-no a fare in negozio. Adesso, questi ragazzi che erano diventati la mia secon-da famiglia, mi mancano da morire.

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Prosegue il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codi-ce a s-barre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.

tà ciclistica locale: mi hanno attrezzato di bicicletta, divise, scarpe, caschetto e ho comin-ciato ad allenarmi con loro. All’inizio di questa avventura mi sentivo forte e imbattibile, ma dopo le prime gare mi sono ricreduto, i risultati non erano molto soddisfacenti. Quello che invece ho appu-rato subito è stato che il ci-clismo è uno sport molto fa-ticoso. Andando avanti con gli allenamenti, ancora nella categoria Giovanissimi, ho cominciato a realizzare dei

«Il ciclismo, una passione che oggi rimpiango»Gli inizi e la carriera fino alla categoria esordienti. Poi gli amori e il divertimento posero fine al tuttodi Adriano

Pensando agli hobby che ho avuto nella mia vita, me ne vengono in mente almeno una mezza dozzina. Il primo che ho praticato, quando ero ancora bambino, era corre-re in bicicletta. Abitavo in un paese dove questo sport era piuttosto diffuso. Inoltre i miei genitori gestivano un ristoran-te molto frequentato da corri-dori, dato che era punto di ri-trovo per gli allenamenti: così ho potuto conoscere alcuni di loro. Una cosa tira l’altra e sono entrato in una socie-

buoni piazzamenti: mi posi-zionavo sempre tra i primi 5 o 6 posti, ma non ottenevo an-cora nessun podio. Questo ar-rivò poco tempo dopo in una gara per la quale mi ero pre-parato particolarmente bene. Quella volta infatti arrivai fi-nalmente terzo: medaglia di bronzo e coppa. Proseguen-do mi sono preso altre soddi-sfazioni riuscendo a strappare a fine stagione 2 o 3 vittorie. Ricordo bene il mio diretto avversario: nell’ultimo anno tra i Giovanissimi era sempre battaglia aperta tra noi due. L’anno seguente passai alla categoria Esordienti: gareg-giavamo con quelli del se-condo anno, quindi più vec-chi e più forti, ma nonostante questo anche lì mi sono preso qualche piccola soddisfazio-ne. Il secondo anno fu l’an-no delle vittorie, ben 13 in 23 gare. Ad ogni gara salivo sul podio e quando vincevo, ol-tre alla medaglia d’oro e la coppa, mi davano un bellis-simo mazzo di fiori che, con immenso piacere, portavo a mia madre che non manca-va di esibirli al bar. L’anno successivo, passato di catego-

ria, si faceva veramente sul serio, basti pensare che fa-cevamo 100/120 chilometri a gara ed altrettanti ogni alle-namento. In quel periodo ho scoperto però che c’erano al-tre cose oltre al ciclismo: le ra-gazze, le moto e la discoteca e quindi il mio interesse per la bicicletta cominciò ad af-fievolirsi sempre di più. Salta-vo allenamenti, gare, finché un giorno ho smesso del tutto per dedicarmi alla bella vita, coe succede a quell’età. Suc-cessivamente però ho un po’ rimpianto la mia scelta: forse sarei diventato un corridore importante, ma a quell’età gli ormoni sono troppo in sub-buglio. Questa comunque è stata la passione più grande e duratura che ho avuto in tutta la mia vita. Ce ne sono state altre come tennis, chitar-ra e calcio, ma solo a livello amatoriale, per divertimento. Sono anche un bravo sciato-re, mi piace lo sci e lo pratico tuttora, quando ne ho la pos-sibilità. Al giorno d’oggi, però, tra problemi personali, crisi e mancanza di lavoro, non posso fare più nulla. Spero in un futuro migliore.

Il potere della musica «Ha la capacità di far nascere dentro ognuno di noi una persona nuova e migliore. Io l'ho sperimentato in prima personadi Gianluca

La musica è un amalgama di suoni e, spesso, anche di voci, capace di suscitare di-verse emozioni in chi l’ascol-ta. È capace di dare energia, sollievo, di far commuovere; riesce a trasformare l’umore di ogni essere umano. Ci sono persone che dicono di non ascoltare musica, ma non si rendono conto che anche il semplice canto degli uccel-li, il suono delle onde che si infrangono sugli scogli, il ven-to che soffia tra i rami degli alberi, sono musica. Ci sono, poi, persone come me: quelli che sentono musica in ogni suono, che spaziano in ogni genere, prediligendo proprio i brani o i pezzi che riescono a trasmettere emozioni; quel-li che nella musica hanno trovato una preziosa amica, una compagna incapace di tradire; quelli che associano a un momento particolare della propria vita una canzone o una parte di essa; quelli che grazie alla musica hanno vo-luto provare a far parte della grande famiglia di musicisti o compositori. Mi sono avvicina-to alla musica già alle scuole

elementari, quando una ma-estra ci ha insegnato a suona-re il flauto. In quegli stessi anni, grazie a mia nonna materna, che spesso e volentieri mi re-galava dischi e musicassette, ho iniziato ad amare il suono della chitarra, attraverso grup-pi come Toto e Van Halen, e ho chiesto a mia zia di inse-gnarmi a suonare qualche passaggio. Poi, attorno ai 12 anni ho iniziato ad ascoltare musica un po’ più pesante, come i Guns’n’ Roses, Motley Crue, Alice Cooper, anche grazie ai video che passava-

no talvolta su qualche canale televisivo dedicato alla musi-ca. Allora mi sono innamora-to della parte ritmica e, dopo aver tentato la strada della batteria, abbandonata dopo poco per problemi logistici, mi sono orientato sul basso, che suono tuttora anche se forse non egregiamente. Da qualche anno ho iniziato an-che a suonare in vari gruppi come parte ritmica di suppor-to e con alcuni amici abbia-mo fondato un gruppo con il quale suoniamo sia cover di pezzi famosi, anche pop ma

arrangiati con musica metal, sia pezzi nostri. Con il grup-po spaziamo dal gotic metal al power metal, arrivando al symphonic black con due voci maschili e una femmini-le. Negli ultimi anni, ascoltan-do prevalentemente musica poco commerciale, ho iniziato ad amare il suono del vio-lino mescolato con i classici dell’hard rock. Chissà, magari ora, alla soglia degli “anta”, potrei iniziare a studiare se-riamente questo strumento ed accrescere le mie competen-ze musicali. Credo fermamen-te nelle capacità terapeutiche della musica, perché, come nel mio caso, è uno strumento per vincere la timidezza e le difficoltà nelle relazioni socia-li, perché aiuta ad incontra-re altre persone con gli stessi gusti e magari con la stessa passione. Quindi mi sento di poter consigliare a chiunque di rifugiarsi nella musica, sia come semplice ascoltatore, sia come musicista, perché essa ha il potere di far na-scere una persona nuova, e senza dubbio migliore, dentro ognuno di noi.

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La mia passione per la Formula Driver«Ho iniziato a correre a 17 anni: è stata una strada in salita che mi ha dato tanta soddisfazione»di Andrea B.

Il Trofeo Centro Nord di For-mula Driver è una serie di gare automobilistiche creato per permettere a piloti, più o meno esperti, di poter ga-reggiare in economia, con vetture più o meno prepa-rate o di serie. È composto da 18 gare che si svolgono per la maggior parte nella zona di Pordenone, Aviano, Codroipo e Belluno e sono tutte gare regionali, di cui tre fanno parte del Trofeo Italia. In queste gare quattro por-tano a correre fuori regione e permettono di guadagna-re punti che possono essere usati nel trofeo di velocità in salita, comunemente chia-mato “cronoscalate”. Il trofeo vede partecipare sempre un gran numero di concorren-ti, in diverse categorie, tra le quali la Lady che è forma-ta da sole donne, ma molto agguerrite, in particolare la friulana Emanuela Guarino. Diverse scuderie hanno usa-to per i giovani piloti questo campionato come rampa di lancio per farsi strada nel mondo delle corse automo-bilistiche. Io provengo da una famiglia di meccanici e “piloti” e fin da piccolo ho iniziato a seguire questo sport e, proprio mio padre che lo praticava, mi ha trasmesso

la passione per questa di-sciplina. Così a 17 anni ho disputato il mio primo cam-pionato di velocità su terra. Devo dire però che la strada per seguire questa passione è stata per la maggior parte in salita. Per prima cosa ho iniziato dalla preparazione dell’auto che ho allestito da solo, seguendo il regolamen-to e, nel mentre, ho ottenuto la licenza di concorrente con-duttore seguendo dei corsi di guida sicura e facendo alcu-ne visite mediche. Quindi ho disputato la mia prima gara a Collalto di Tarcento in un circuito privato, ma omologa-to, e facente parte di una se-

rie di percorsi che ospitavano gare di campionato italiano. Da quella gara, andata più o meno bene, ho cercato di perfezionarmi sempre più. Ho continuato a sviluppare l’au-to e la mia esperienza al vo-lante attraverso corsi e lezio-ni e partecipando a diverse gare di campionato triveneto ed amatoriale, ma sempre e comunque su terra, racco-gliendo qualche punto pilota e qualche vittoria. Il desiderio di voler migliorare diventava sempre più grande e il pas-so dalla terra dei really alle gare su asfalto in pista è sta-to breve. Per prova, mi sono iscritto allo storico Rally delle

Polizie Europee dove mi sono piazzato in quarta posizione assoluta di classe e, subi-to dopo, ho iniziato il Cam-pionato italiano di Formula Driver. E’ stata una stagione stupenda e piena di soddi-sfazioni personali e professio-nali: gare meravigliose, pie-ne di emozioni con le quali mi sono piazzato al sesto po-sto nel campionato italiano. In seguito ho provato anche la velocità in montagna ga-reggiando in diverse località ed ho avuto anche l’oppor-tunità di fare l’istruttore in un corso di guida sicura per disabili: una tra le esperien-ze più belle della mia vita. Questo sport rimane per me una passione che vive nel mio cuore e nella mia testa, anche se ultimamente per diversi motivi la sto trascuran-do. Credo però che appena mi sarà possibile la riprende-rò da dove l’ho lasciata, im-pegnandomi nuovamente al massimo. Sono infatti convin-to che nella vita le passioni vanno coltivate, pur tenendo conto della famiglia e delle proprie possibilità. Inseguite i vostri sogni e le vostre passio-ni, cercate di realizzarle e di realizzarvi al meglio perché la vita non finisce in carcere, fortunatamente.

Quelle estati da sogno«In Croazia con la mia famiglia assaporando la libertà del mare»di Andrea C.

Libertà, viaggio, blu: tre pa-role che mi fanno venire in mente un miliardo di cose, di storie e di cazzate. Ma un ricordo in particolare mi vie-ne in mente più di altri: una sera ero tornato a casa da lavoro, era estate e lei, Da-niela, una brava mamma, mi chiese «Non puoi prender-ti delle ferie?». Io le risposi di sì perché l’azienda era mia, ma volevo sapere il motivo perché dovevo organizzare cantieri e ragazzi. «Per anda-re dove e per quanti giorni?»,

le chiesi. Mi rispose che i suoi genitori ci avevano invitato ad andare in Croazia in bar-ca un mese e mezzo. Non potevo crederci, anche que-sta fortuna avevo avuto dal-la vita. Il giorno della par-tenza, ci siamo diretti verso Aprilia Marittima, dove ho visto una barca enorme con un uomo che caricava moto d’acqua e tender. «Amore non sarà mica quella la bar-ca?», dissi. Era proprio quella. A quel punto mi sono rilas-sato e ho preso in braccio

mio figlio e gli ho detto: «Ni-colò, abbiamo fatto centro». Siamo partiti verso la Croa-zia e subito in mare aperto a manetta. Appena fermati pensavo si scaricassero le moto invece ci siamo fermati solo per i documenti. Siamo ripartiti direzione isola di Pal-mizana, una bella isola at-trezzata e con un ristorantino alla buona in riva al mare gestito da pescatori. Abbia-mo ormeggiato, poi un giro, cena e nanna. La mattina dopo sveglia presto e co-lazione: vedo mio suocero che mette fuori le moto. «An-drea vuoi provare a fare un giro?», mi chiede. «Un giro?», gli dico, e senza pensarci su montai sulla moto. «Ci vedia-mo questa sera!», e poi via. Che “figata”, mi sembrava di stare in un film. Le gior-nate erano più o meno così: sveglia, tuffo in mare, cola-zione, moto, pesca di polipi, tartufi di mare, doccia, cena. Il momento di riunione del-

la famiglia era proprio la cena, si stava seduti assie-me a mangiare riso con ricci di mare, insalata di polipo, aragosta, astice, saraghi, tut-to quello che offriva il mare perché mio suocero fa pesca subacquea quindi sempre pesce fresco e non poteva mancare lo champagne. Finita la cena, ci riposava-mo nel salotto del fly sotto le stelle. Viaggiare in barca è stupendo, nuotare con i del-fini, vedere le isole ed i colori del mare, ti da quel senso di libertà e non pensi a nien-te, ma solo a quello che stai vivendo. È bello girare da un’isola all’altra, da un porto all’altro, è un’esperienza che non dimenticherò mai. Sono state quattro estati intense, me la sono spassata, ma come sempre nella mia vita sono stato capace di buttare via tutto. È successo perché a 34 anni sono stato fermato dalla mia prima carcerazio-ne, durata un anno.

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Ricordo come parlava mia madre, quando io ero bam-bina: con ragionamenti sem-plici cercava di dare una spiegazione a tutto, dal na-scere della pianticella nell’or-to al comportamento da te-nere in casa e fuori. Né una conoscenza né un comando rimanevano senza perché. E in tutto lei cercava di coglie-re la bellezza, il valore. Non sempre ci azzeccava, a volte le sue spiegazioni erano irre-ali, ma ha lasciato in eredità a noi figli un metodo: ogni cosa può essere ragionata e motivata e in ogni cosa c’è qualcosa di positivo da po-ter cogliere, per arricchirci e sentire che la vita è bella, e vale la pena esserci. Si sa che gli esempi avuti in casa sono importanti nel formare il carattere di una persona ed è stato così anche per me, naturalmente. Anche se nel

corso degli anni ho fatto del-le cernite e dei distinguo, ho abbandonato certi schemi mentali e certe conoscenze sorpassate, mi ritrovo ancora dentro quel modo di affronta-re le cose che i miei vecchi mi hanno lasciato e che trovo ancora valido: oggi come ieri è importante parlare in ma-niera razionale e dialogante, trasmettere il senso che, pur avendo ciascuno le proprie sicurezze, siamo tutti in ricerca e nessuno ha in tasca la veri-tà. Questo è anche un modo per costruire la pace. Quan-do invece il proprio punto di vista è dato per assoluto e definitivo, si trasmette rigidità, si arriva inevitabilmente alla contrapposizione e questo succede sia tra persone sin-gole sia nei grandi mezzi di comunicazione. Spesso e vo-lentieri si parla per esclusioni ed insulti e io mi domando:

è questo il nostro progresso, la nostra “civiltà superiore”? Mi preoccupano molto per esem-pio i linguaggi esibiti alla te-levisione: quasi sempre sono banali e carichi di aggressi-vità. Banalità e aggressività che non stanno nei contenuti, ma nel come sono presenta-ti, cioè il “linguaggio” verbale e non verbale. Il linguaggio crea una mentalità, per cui il modo di percepire un fatto è più importante del fatto stes-so. Un piccolo esempio: chia-

mare una persona “terrorista” oppure “combattente” crea nell’ascoltatore una percezio-ne del fatto molto diversa; e il giudizio viene di conseguen-za. I mass media non solo informano, ma creano negli ascoltatori inevitabilmente un modo di percepire la realtà, anche perché presentano i fatti in modo parziale e pri-vilegiano lo scoop. In questi giorni di metà novembre vi sono stati gli atti terroristici di Parigi e ci siamo tutti indigna-

LE CRONACHE DI CHANEL

«Buon giorno umani» Cronache di Chanel parte seconda: pronti per raggiungere la sede di Rdpdi Chanel Giacomelli

Ciao a tutti!! La diva abbaio-sa è ritornata. Riprendiamo il discorso dall’ultimo numero di Ldp. Dunque dicevo che io e il mio padrone siamo arrivati nella sede dei Ragazzi della Panchina. Ebbene zampet-to un po’ in avanti e, aldilà dei tavoli, ci sono due ra-gazze “biondine” ed occhia-lute: so che una si chiama Cristina e l’altra Chiara, sono educatrici. Non capisco che

cosa voglia dire, ma ho già capito che, essendo umane, dovrò pazientare molto dato che ho già sentito che san-no da gatto. Ed avendo loro gatti in casa, mi sa tanto che dovrò rieducarle un po’. Co-munque sia, mi chiamano con voce dolce e scherzosa, in contemporanea! Mica mi sdoppio! Prima vado a slin-guazzare la più vicina poi ov-viamente quella più lontana, ma che tipe ragazzi! A queste non piace essere slinguazza-te allegramente: non ho mai visto un’esemplare femmina

di qualunque razza che non ami un po’ di bava calda e viscidosa, specialmente sul visino! Che difficili ste donne! A parte questa stranezza, so che a loro io piaccio e tanto, d'altronde con questa pellic-cia e questo fisichino (loro se lo sognano, mica hanno un bel pelo come me!) nessuno mi può resistere. Ah ragazzi, devo ancora capire come mai voi simil-primati avete bestiacce parassite in casa (i gatti), mica sono dei real cani! Loro (sempre i gatti) non fan-no altro che dormire, poltrire

sui divani e ruffianarsi per elemosinare cibo ed un posto al caldo sul letto del padrone e qualcuno ha il coraggio di dire che sono cacciatori! Hei, sveglia umani: non siete den-tro a Superquark a vedete nella savana o nella giungla dei veri felini! Noi cani, si che ci meritiamo la pappa ed i biscottini e ogni altro tipo di leccornia, obbediamo ai co-mandi che i nostri padroni or-dinano sbraitando, sembrano tarantolati a volte e per com-passione facciamo quello che vogliono e loro ci ripagano con dolcetti e coccole. Poi fac-ciamo la guardia, li avvisia-mo se qualcuno si avvicina a casa: se io non voglio o se il mio boss non vuole, questi non entrano. I so essere mol-to convincente. Grrr! Noi cani recuperiamo palline e frisbee che i nostri papà ci tirano, ci sono cani poliziotti, da recu-pero umani, bagnini e mol-to altro… volete pure che vi prepariamo il caffè? Quindi

L'ANGOLO DELLA FRANCA

La verità non è mai ovvia, ma va cercata Costruire la pace vuol dire anche saper guardare in profondità ciò che accadedi Franca Merlo

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Il caffè lo berrò dopo adesso non ho tempo dài che andia-mo. Strappo la borsa da terra e tiro giù il cappotto dall'at-taccapanni. Tiro giù anche un porco perché il cappotto non viene, lo tiro lo strappo ma rimane agganciato al portacomecazzosichiama. Rimane agganciato al gan-cio insomma. E staccati caz-zoooo. Tiro ancora finché si rompe. E vien giù anche tutto l'ambaradan. Ma vaffancu-lo. Dài! Muoviti che è tardi.Papà dessi!Sì. Andiamo.Dessi dessi dessi. Acchetto papà.No no andiamo dài. PapààààààààààNon ti impuntare che non ho tempo. Mammmaaaaaaaaa!Eeeee e papà e mamma! E non piangere cazzzooooo! Calma calma: oggi no. Oggi non posso perder tempo. Acchetto dessiiiiii.Non capisco: Parla bene, fatti capireeeee! Calma... Ci provo: amore mio... sono tardi, faccio tardi al lavoro, dobbiamo andare. Acchettodesssssssiiiiii.Chi cazzo èèèèè achettodes-si? Pronto? Dài che andiamo. Sì, buongiorno, mi scusi ma adesso non posso, se non è urgente mi richiami più tardi. E' urgente.Vieni, dammi la mano...Papàààààà!Un attimo mi scusi che ho il bimbo che...Vieni per favore. Metto giù la borsa e ti prendo in braccio Mammaaaaaa!La mamma non c'è. Dài, andiamo. Chiudo la porta, Noooo! La chiave! No, non mi ricordo devo con-trollare ma...

Mammaaaaaaaaaaaa! Noooooo! Merda! Mammaaaa...La mamma non c'è! Mi scusi ma mi deve richia-mare; o la richiamo io appe-na posso. Come vuole... Desssiiiiii!!!La richiamo io! Va bene, ar-rivederci.Fermo lì, aspetta.Pronto? Senti... sì tutto bene, no è che mi son chiuso fuori e ho la borsa dentro: le chia-vi di riserva dove sono?. Mammmaaaaaaaa!No no sta bene è che chiede di te e... dice che non capi-sco... Non mi ricordo... Cos'è che dicevi prima?Mammaaaaa!Sì ma... baretto? Ah! Acchetto. Sacchetto? Dei pesci! Eeeee buonanotte! Come faccio a capirlo? Ah lo dice ogni gior-no. Vabbè, le chiavi? In can-tina, ok, ciao.Aspettami qui che scendo a prendere le chiavi di riserva.Ma che cazzoooo! Lo lascio lì? Ma son scemo? Dammi la manina che an-diamo giù. Dessi acchetto.Sì sì. Ma vieni giù. Non im-puntarti per favore che non è giornata. Merda! Pronto; senti, ritardo dieci minuti; ho problemi col piccolo. Forse venti, non so. Appena risolvo ti chiamo; ah fammi un favore, senti il com-mercialista vedi cosa vuole. Ciao a dopo.Vieni per favore...AcchettooooooooDessiiiiiiiii!Sì te lo dò ma dopo adesso dobbiamo prendere le chia-vi. Capisci? LE CHIAVI! Senza chiavi non possiamo tornare a casa e prendere i pesci, il sacchetto quel cazzo che è! CHIARO? CAPISCI NO? SE VUOI, CAPISCI, VERO? E CHECCAZZO! Andiamo a

prendere 'ste chiavi. Vieni. Dài... Mammaaaaaa!Allora ti prendo io!Desssiiiiiiiiiiiaaarghhhhhhh!!!!Stai fermoooo! Allora? Ho detto... Noooo! No no no! Non pisciare cazzooooooooo! ArghhhhhhhhMa bastaaaaa!Mammapapaaaaacchetto-dessiiiiiiiii!!!Pausa, fermo! Calma... Respi-ra... Rischio di ammazzarti. Calma...Pronto, sì sì tutto a posto. Tro-vate sì... Sto tornando su... Sì, stasera torno alle otto. E no, non ce la faccio prima... Ciao.Vieni dài. Torniamo su. No, non in braccio... Non in brac-cio ho detto! Ma insomma, comandi tu qua? Ma scher-ziamo? E va bene... in braccio! Vieni qua... Entro in casa entro in bagno; apro la porta, apro l'acqua. Non viene calda... non vie-ne calda.... quella caldaia di merda! Mi vien da piange-reeee. Come a lui.Arghhhhhhh! Acchettooooo-Dessssssiiiiiii!Prendo il sacchetto, lo cam-bio velocemente per non fargli prender freddo. Mi cambio lentamente tanto chi cazzo se ne frega del fred-do...Saliamo in macchina. Lo porto a scuola.M a m m a a a a a a a a P a -paaaaadesssiiiiii!Ma vaffanculo!Ecco. La maestra. Prendo fia-to. Glielo consegno. Come un pacco.E io non lo vedrò più. Fino a questa sera. Oh... E' così, no?Sì o no? Vai, vai... Spero ti vada tutto bene, figlio mio.

dopo aver detto le differenze tra noi e loro (i parassiti, i gat-ti) è palese, dovreste capirlo anche voi primati, chi deve star con voi a casa! Ma dopo-tutto la scimmia che è in voi a volte prende il sopravvento e vi rincretinisce per due fusa fatte alla rinfusa. Bhe a parte questo, questo posto qui mi piace ed addirittura appena intravisto un giardinetto che diventerà automaticamente mio! Poi ho sentito odore di cibo e spero che qualcuno mi allunghi un bel boccone dato che sono molto golosa come il mio papi. La Ada mi rega-la le palline da tennis: che fi-gata tutti me le tiran ed io le riprendo le riporto e me le riti-rano poi le rosicchio le spello dalla peluria e alla fine le di-sfo. Che bella vita! Rompo le palle e nessuno mi dice nul-la! Sotterro quello che mi va e faccio mille buche. Che vita da cani. Bene, alla prossima puntata allora. Un bacio. La vostra diva pelosa.

APPI PAPI

ti per le stragi; la violenza è inaccettabile e nella storia non ha mai prodotto risultati duraturi. Un giornale italia-no ha titolato il suo pezzo in prima pagina “Bastardi isla-mici”, Hollande ha dichiara-to che la Francia si sente in guerra. Ma io non ho potuto fare a meno di chiedermi se la Francia non sia in guerra già da mesi con la Siria, dove fa i suoi raid aerei... o le bom-be sono “guerra” solo quan-do cadono in casa propria? Le carni straziate, gli affetti straziati, sono solo quelli occi-dentali? E da quanto tempo il mondo occidentale “esporta la democrazia” facendo terra bruciata in quei territori che hanno la disgrazia di avere il petrolio? Non entro in me-rito e non dico di più, dico solo che dovremmo cerca-re, pensare, mettere insieme più aspetti; e dopo aver fatto questa operazione di “raccol-ta dati” e aver espresso un giudizio motivato e non solo emotivo, dovremmo essere consapevoli che non abbia-mo ancora la certezza della verità perché è possibile che molto ancora ci sfugga. Dietro ad ogni fatto c’è sempre più di quanto possiamo imme-diatamente conoscere e ogni occasione è buona per cerca-re altri dati, per approfondire, per confrontarci... e questo ci rende umani, esseri pensanti e capaci di dialogo.

Vita da padriUna mattinata di ordinaria follia con il pupo che piange e i minuti contatidi Andrea Appi

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CELOX

Buon Natale e buona economia Segnali di ripresa nel terzo trimestre 2015, ma di strada da fare ce n’è ancora. Contribuiamo anche noi. In che modo? Innamorandocidi Emanuele Celotto

Siamo al terzo trimestre del 2015 e sembra che i dati si-ano incoraggianti. Lo spread è vicino o sotto i 100 punti, la Grecia (senza tanto rumore) ottiene la seconda tranche di prestiti, aumentano i contrat-ti a tempo indeterminato….. Siamo già a Natale? Non proprio. Finalmente l’Italia si è data una mossa. Renzi ha preso in mano un paese in-gessato, economicamente depresso e intristito dalla crisi. Con qualche gioco di equi-librismo e qualche alleanza un po’ così, però sta portan-do avanti il suo programma.

L’Expo era una mezza scom-messa ed è stato un successo, soprattutto per il senso civico mostrato dalla città. Sono state doppiate le previsioni di crescita economica, è au-mentato il credito a famiglie ed imprese, si è alzato l’indi-ce di fiducia dei cittadini con leggero aumento dei consu-mi. Dati così non si vedevano dal 2007. Certo non ha fatto tutto bene e nemmeno si può accontentare tutti, però i risul-tati ci sono e le previsioni per il 2016 sono più che ottimiste. Come riconosce il premier c’è ancora tanto da fare. Ci sono

categorie di operai che non rinnovano il contratto da 7-8 anni. Confindustria dice che negli ultimi anni sono sta-ti pagati salari indicizzati ad un’inflazione che non c’era. Vero, ma hanno la memoria corta; c’è stata una perdita media del potere di acqui-sto (oltre il 20%) per un bel po’ di anni. Nel programma il taglio delle tasse, lento ma progressivo, che dovrebbe partire dal 2016. Meglio dar-si una toccatina; ogni volta le tasse finiscono per aumenta-re. L’abolizione dell’Imu (ma ci ha ripensato) agevola solo

i ceti medo-alti, che produco-no il 40% del gettito. Hanno trovato giacimenti di petrolio a pochi chilometri dalla co-sta in Basilicata. Sfruttare o no quel petrolio? Parecchi i favo-revoli visto che per fabbiso-gno energetico dipendiamo dall’estero per 80%. Ambien-talisti contrari e a ragione; il nostro petrolio è la ricchezza del paesaggio e del mare. Le trivellazioni sono dannose per l’ecosistema e poi l’Italia è un paese ad elevato rischio si-smico; meglio lasciar perdere! La disoccupazione è calata e i consumi sono un po’ saliti. Cosa possiamo fare noi per dare ulteriore slancio all’eco-nomia?? Facile: innamorarsi! Iniziano i fiori, i regalini, le sca-tole di cioccolatini, le cene. Poi diminuiscono le emissioni ed il consumo energetico visto che gli innamorati finiscono prima o poi per utilizzare un unico appartamento. Morale: innamorarsi fa bene all’eco-nomia. Buon Natale e contri-buite anche voi all’economia.

SPAZIO AMBIENTE

Parliamo di alberi«Ci offrono doni preziosi, sono indispensabili per la vita sulla terra, ma troppo spesso non ce ne curiamo»di Paola Doretto

Parliamo di alberi e comin-ciamo subito col dire una cosa forte: senza di essi la vita sulla terra, intesa nella sua complessità, dall'essere più minuscolo fino all'uomo, non esisterebbe proprio.Noi viviamo insomma perche gli alberi e le piante in gene-re producono ossigeno. Im-magino che ciascuno di noi potrebbe dire che questa non è una notizia e che già lo sa-peva, ma la strana cosa che succede è il cortocircuito tra i nostri pensieri e la realtà, tra quello che sappiamo e quel-lo che facciamo. Così che, in genere, guardiamo gli albe-ri, se li guardiamo, distratta-mente, ci passiamo accanto come se fossero una cosa qualunque quando non suc-cede che addirittura li dan-neggiamo o li abbattiamo (anche se ad abbatterli non siamo più noi singoli cittadi-

ni, ma di solito chi mministra il territorio per noi). Abbia-mo bisogno di parcheggi, di case, di strade? Di ingrandire sempre più i terreni coltivati? Non c'è problema, ecco ar-rivare le motoseghe e poi le ruspe e poi i camion e così

via, con estrema leggerez-za condanniamo noi stessi e l'ambiente in cui viviamo a diventare una triste landa de-solata di cemento. Dove c'e-rano ombra, profumo, colori e aria buona ecco apparire un nuovo paesaggio, desola-to, polveroso, inquinato. Oltre alla loro essenziale funzione di produrre ossigeno però gli alberi ci fanno altri molteplici doni: c'è addirittura una tera-pia, chiamata “silvoterapia", che consiste nell'abbraccia-re i tronchi degli alberi più grandi per farci trasmettere da loro benessere, equilibrio, serenità...(provare per crede-re!). Anche la loro bellezza è un dono, i colori delle foglie che cambiano con le stagio-ni, i ricami che intrecciano

i rami spogli d'inverno, la musica che fanno quando il vento li attraversa, sono bel-lezza che se noi non guar-diamo e ascoltiamo viene colpevolmente sprecata. Per non parlare poi dei nidi che ospitano e delle piccole tane, sono la casa di tante meravi-gliose creature; tutto in loro parla di vita e questa vita risuona anche dentro di noi, se la sappiamo accogliere. Gli alberi quindi sono nostri grandi amici e non dobbia-mo scordarlo mai, dobbiamo loro rispetto e protezione e dobbiamo contrastare chi si prende il diritto di farne ciò che vuole, per esempio ab-batterli, perché gli alberi sono di tutti. Tra tutte le cose del mondo sono, come l'acqua e l'aria, forse la più demo-cratica, proprio perché non sono proprietà di nessuno, e se qualcuno invece se ne ap-propria, e purtroppo questo accade, sta facendo violen-za, dovrebbe essere fermato. Ciascuno di noi, nel proprio piccolo, può cominciare ad averne rispetto semplicemen-te non dimenticandosi della loro esistenza, ricordandoci, per esempio anche quan-do passiamo accanto ad un alberello stento in città, che esso in quel preciso istante ci sta regalando qualcosa, qualcosa di prezioso, che va salvaguardato e protetto.

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L'APPROFONDIMENTO

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FUMETTOMANIA A PORDENONEdi Sara Pavan

Pordenone è un'oasi felice per il fumetto. Un giudizio da non fraintendere: il metro non è il successo personale o la capacità di generare profitto, anche se in provincia si contano più fumettisti professionisti di qualsiasi altra città italiana. Il punto è che a Por-denone si continua da decenni a fare cultura in modo attivo, coi fumetti in particolare, grazie a un costante dialogo intergenerazio-nale, che ha mantenuto vivo un humus fertile incentrato sull’im-maginazione. Nello specifico, questo fa sì che qui i giovani non debbano nascere Will Eisner per sentirsi autorizzati a fare fumetti e proprio loro sono le colonne portanti del fumetto indipenden-te e autoprodotto. Autoproduzione non significa semplicemente pagare da sé la stampa di qualcosa e, soprattutto, il gesto non è accompagnato dall'aura di tristezza, da senza talento all'ultima spiaggia, che qualcuno immagina. Anzi è l'atto più sovversivo e vitalistico che esista: la sfrontatezza di non chiedere il permesso a nessuno e il coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, il tutto senza la debolezza del brutto albo ciclostilato dei, seppur mitici, anni Settanta. Spesso non si tratta nemmeno più di stampare qualcosa, esistono testate la cui vita avviene esclusiva-mente online. Ma anche quando si arriva all'autoproduzione di un oggetto libro, questo non è inteso come mero prodotto. Il fine di chi fa autoproduzione è un altro: innescare un cambiamento nel mondo. Questo perché è mosso da un interesse, che è un con-cetto ben distinto e da non confondere con quello di profitto. Chi autoproduce è come se fosse innamorato: fa cultura senza il com-promesso del mercato; trova, nonostante tutto, il tempo per fare ricerca (di contenuto, estetica e tecnica) per realizzare qualcosa di caldo, che sia punto di contatto con gli altri. Spesso si unisce in col-lettivi, gruppi seri di confronto e crescita artistica e umana. E tra si-mili ci si riconosce, per cui, chi incappa in un'autoproduzione e ha quel tipo di sensibilità nota subito il seme genuino da cui è nata. Gli stessi gruppi hanno una voglia matta di incontrare altri gruppi

mossi dallo stesso sacro fuoco e di condividere con loro ciò che hanno scoperto strada facendo. Si supera così anche il narcisismo, che, se da un lato è un motore necessario per uscire allo scoperto, dall’altro rischia di imprigionare un autore rendendolo sterile e autoreferenziale. Tanti progetti a Pordenone incarnano questo spi-rito di ricerca, qui se ne citano quattro. Il primo, Cane Marcio, ha il piglio provocatorio e sarcastico di chi usa i tabù per risvegliare chi legge, però con un'estetica precisa, quella di chi sa il fatto suo tecnicamente e non vuole far coincidere un tema scabroso con il brutto o il fatto male, anzi, grazie alla cura della forma, acquisi-sce un rigore “scientifico” che rende il disturbante mai gratuito. Il secondo, Blanca, apparentemente porta il lettore in un ambiente più conciliante, ma c'è un pregiudizio da sfatare. Le menti dietro Blanca prima producevano oggetti decorativi (illustrazioni, poster, spillette) e i gadget funzionano sempre, come i video di gattini su YouTube. Il tutto tanto carino quanto vacuo. Blanca avrebbe po-tuto non nascere mai se quello estetico fosse stato l’unico obiettivo. Invece, vedendo altri realizzare antologie collettive, è nata questa rivista che racconta un punto di vista in cui il bello è ingrediente funzionale alla narrazione. Poi, altri due progetti non fumettistici in senso stretto (visto che si occupano anche di musica, arte e cinema) ma che incarnano a pieno lo spirito dell'autoproduzione, con una spiccata multimedialità. Condo, una rivista che in ogni numero scandaglia un tema in prosa, poesia, fotografia, arte, illu-strazione, coinvolge autori e artisti da ogni dove, ha una grafica degna di uno studio newyorkese, ed è scaricabile da internet gratuitamente, per di più la redazione è qui in zona, non nella grande mela. Infine, Ghost.City Collective che lavora molto in am-bito musicale, ma che persegue in ogni aspetto dell'arte e della cultura la più genuina filosofia d.i.y (Do It Yourself). Per questo, leggere il loro manifesto e farlo proprio è un grande regalo che ognuno di noi può fare a se stesso e alla società.

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Tonus e la satira, quel nipotino dispettoso del giornalismo«Non disegno per dire qualcosa, ma se ho qualcosa da dire»di Irene Vendrame

«Ho cominciato a disegnare da piccolo, quando avevo 3-4 anni, e ho continuato a colti-vare la mia passione durante gli anni di scuola, fin dopo le medie, quando ho scelto di studiare all’Istituto d’Arte di Cordenons». Marco Tonus, classe 1982, inizia così a rac-contarci la sua storia di gra-fico e vignettista e prosegue con le sue prime esperienze, quando, a soli 13 anni, riuscì a pubblicare i suoi disegni nella pagina del Gazzettino di Pordenone “Tribù Urbana”, insieme a disegnatori affer-mati come Davide Toffolo e Romeo Toffanetti. Ci racconta quindi della sua collabora-zione, durante gli anni delle superiori, con i giornali satirici “Cuore” e “Il Vernacoliere”, ed infine del progetto “Auagna-magnagna!”, la fanzine auto-prodotta insieme ad altri due amici nei primi anni del 2000, che lo portò a muovere i pri-mi passi anche nell’ambito dell’editoria. Negli anni Tonus

è inoltre riuscito ad avere ri-scontri positivi anche a livello Europeo, essendo stato sele-zionato da Press Cartoon Eu-rope entro i 50 migliori autori di vignette che parlano d’Eu-ropa. La satira a livello loca-le invece non sembra essere in gran fermento, tuttavia, ci

confida: «Nei corsi che tengo a Pordenone, posso dire che ci sono diversi giovani talenti e, se continueranno su quella strada, presto avremmo qual-che nuovo nome pordenone-se». Attualmente Tonus, oltre all’attività di grafico, porta avanti diverse collaborazio-ni, tra cui quelle con i siti di informazione Valigia Blu e Fanpage. Per definire le sue vignette utilizza una metafora bizzarra, ma efficace: dice di disegnare «come quando pu-lisco i carciofi! I carciofi biso-gna pulirli tanto per arrivare al cuore, al buono, ci vuole cura e attenzione; questo è ciò che tento di fare io: arri-vare al massimo della sintesi, ad un equilibrio tra idea e di-segno, al frutto di una selezio-ne rigida, perché la banalità è dietro l’angolo». Si riferisce alla banalità del giornalismo

odierno, il quale, sempre a caccia di scoop, rincor-rendo l’obbietti-vo della tempe-stività, tralascia la qualità della notizia e si trasfor-ma troppo spes-so in chiacchiere inutili. Marco To-nus ha deciso di staccarsi da que-sta tendenza, per produrre qualco-sa che abbia re-almente spesso-re: «Non disegno per dire qualco-sa - spiega infat-ti - ma disegno

quando ho qualcosa da dire. Preferisco ragionare di più e disegnare qualche cosa che, guardata dopo un anno, può comunque essere considera-ta valida». La satira per lui è in altre parole «è il nipotino dispettoso del giornalismo». Essa viene sempre più spesso estrapolata dal suo contesto, in particolare come è succes-so dopo la strage di Charlie Hebdo, a Parigi, quando i vignettisti morti sono stati tra-sformati in martiri moderni, simboli nei quali tutti si iden-tificavano. A quel punto però, quando ormai tutti si erano appiccicati addosso la coper-tina dello Charlie, è emerso che molte delle vignette del giornale erano effettivamente scorrette e si è acceso un di-battito riguardante i limiti che la satira non avrebbe dovuto oltrepassare. «Ma nella satira la libertà sei tu a dartela, sei tu che scegli dove fermar-ti, il pubblico poi sceglie se comprare o meno il giornale - spiega Tonus -. Io ho scelto di fare satira perché mi inte-ressa lo scontro, ma lo scontro di idee, che è indispensabile nella nostra società. Charlie Hebdo ha deciso di pubbli-care determinate vignette, non per fomentare lo scontro, ma per dimostrare in qualche modo che la libertà di parola, che sta alla base della demo-crazia, è anche accettare opi-nioni o affermazioni che sono scomode, che ci urtano, che riteniamo scorrette». L’impatto sul pubblico e sulla società è quindi fondamentale.

Toffolo, alla ricerca di nuovi linguaggiIl chitarrista del gruppo Tre allegri ragazzi morti da vent’anni è tra i fumettisti più famosi in Italiadi Giulia e Rafael

Nel suo essere artista, la mu-sica ispira i fumetti e i fumetti contaminano la musica, ma non solo. Lui è Davide Tof-folo, classe 1965, cantante e chitarrista del gruppo rock Tre allegri ragazzi morti e fumetti-sta di professione. Negli ultimi vent’anni ha portato Pordeno-ne, la sua città, nell'immagi-nario di un pubblico che non l'ha mai vista coi propri occhi, ma che la sente vicina. «Dal 1992 lavoro in modo sistema-tico ai fumetti. In quell’anno ho disegnato la mia prima storia, Animali, che inizial-mente è apparsa all’interno del supplemento “Fuego”, dentro Comic Art. Si tratta-va di una sequenza di storie ambientate a Pordenone, nel quartiere in cui sono cresciuto, Villanova, con un personag-gio, un barbone, che le tene-va insieme. Era un racconto intimo, non una grande av-ventura».

Davide, qual è stata la tua formazione e quali sono i progetti ai quali sei più le-gato?

Mi sono formato a Bologna, frequentando il corso di dise-gno anatomico all’Università e contemporaneamente la scuola serale Zio Feininger, dove ho conosciuto artisti importanti che mi hanno af-fascinato. Ho prodotto tanti libri in questi anni, sono af-fezionato a quasi tutti i miei progetti (quelli degli anni ’90, cioè Pira degli spiriti, Fregoli, Farefumetti, Cristina e Cinque allegri ragazzi morti sono stati ristampati quest’ anno da Pa-nini Comics.) perché ognuno rappresenta una fase, un mio modo diverso di indagare il linguaggio. Sono un viaggio dentro l’idea di un uso diver-so del linguaggio nei fumetti. In questo momento, invece,

sto lavorando ad una biogra-fia di Magnus e alle tre storie nuove dei Cinque allegri ra-gazzi morti, che usciranno ad inizio 2016.

Qual è il processo creativo che fa capo alla nascita di un fumetto?Ogni libro ha una genesi dif-ferente. Un fumetto, per me, nasce dal vissuto personale e dalla volontà di ricerca, soprattutto linguistica; cerco sempre delle modalità diffe-renti. La sfida è reinventarsi. I miei fumetti non sono solo av-ventura, perché penso che sia bella l’idea di un linguaggio che cresce insieme all’autore e ai lettori. Ho sempre pensa-to che la scrittura servisse per

cambiare il mondo, non per tenerlo uguale a prima. Le mie graphic novel, Carnera, Pasolini, Il re bianco, Tres! L’ in-verno d Italia e Graphic Novel is dead sono tutte diverse nel contenuto e nella forma.

Chi sono i tuoi committenti e i tuoi lettori?Non lavoro per committenze in senso stretto; i diversi lavori hanno senso per editori diver-si ed è importante mantenere la possibilità di esprimersi li-beramente. Comunque i libri sono di mia proprietà e agli editori offro una licenza edito-riale. I miei lettori in parte sono i fruitori della musica dei Tre allegri ragazzi morti, in parte sono le persone che ho in-

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Cossi: il fumetto che racconta la Storia «Creo nel silenzio della natura e mi faccio guidare dalla curiosità e dall’immedesimazione»di Cristina Colautti

Curiosità e ricerca sono i due fili conduttori della produzione fumettistica di Paolo Cossi, 35 anni, nato a Pordenone, con alle spalle una formazione prevalentemente da autodi-datta, perfezionata attraverso i corsi dei maestri Davide Tof-folo e Giorgio Cavazzano, ed un esordio precoce, a soli 17 anni, nel mondo del fumetto indipendente con la fanzine Pupak. «Il corso di fumetti che ho seguito con Cavazzano - racconta - è stato anche l’oc-casione per conoscere Sara Pavan ed Emanuele Rosso. Insieme abbiamo fondato Pupak: quest’esperienza arti-stica, a noi, che all’epoca era-vamo ragazzini, ci ha dato la possibilità di confrontarci col mondo del fumetto, in tutti i suoi aspetti. E’ stata una bella palestra». A 22 anni, nel 2002, Cossi ha pubblicato la sua prima graphic novel Mauro Corona, l’uomo del bosco di Erto e, da quel momento, per lui si sono aperte le porte ver-so il grande pubblico. Le sue opere giovanili raccontano storie e personaggi del terri-torio friulano, come Il terre-moto del Friuli e Tina Modotti, perché, a usare le sue parole,

«queste sono atmosfere fami-gliari, storie vicine a casa, che in qualche modo mi appar-tengono e di cui voglio far-mi portavoce». Il Friuli, ed in particolare le sue montagne, sono anche il luogo dove il fumettista si è fermato a vive-re. «Abitavo a Milano, volevo trovare un posto tranquillo e il primo che mi è stato offerto è stato in Valcellina - spiega infatti -. In quella valle ho tra-scorso un periodo molto bello della mia vita. Ho capito l’importanza di stare vicino ad una natura il più possibile incontami-nata, perché in essa ho trovato il modo per staccare la spi-na ed una fonte d’ispirazione non da poco. La natu-ra - sottolinea - ti dà infatti il silenzio utile per poter pensare, leggere, ragionare». In altre parole la giusta dimensione per realizzare un fu-metto. L’ingrediente fondamentale per arrivare ad esso, secondo Cossi, è si-

curamente una viva curiosità che, nel suo caso, gli permet-te di variare stili ed argomen-ti. «Sono anche un appassio-nato di storia - dice - e molti dei miei lavori sono romanzi storici». Tra questi, il più noto è sicuramente Medz Yeghern, il grande male, dedicato al genocidio degli Armeni, con il quale, nel 2009, l’autore ha pubblicato per la prima vol-ta in Francia. E’ stato quello un traguardo importante «al

quale tutti coloro che lavo-rano nel mondo del fumetto ambiscono, perché la Fran-cia è una realtà editoriale e culturale di livello molto alto». Nel 2010, sempre con l’ope-ra Medz Yeghern, Cossi ha inoltre ricevuto dal Parlamen-to francese, in Belgio, il pre-mio Condorcet Aron per la democrazia. «Per me è stato un onore grandissimo - con-fessa - perché il mio fumetto era riuscito a raggiungere il suo obiettivo: informare sul genocidio armeno. E’ stato il libro a vincere, io sono stato semplicemente al servizio di una storia che già c’era». Tra i progetti futuri di Cossi, canta-storie dei nostri tempi, ci sono la realizzazione di un mazzo di tarocchi ed una graphic novel di tre volumi dedica-ta alla fata dell’assenzio. «E’ quest’ultima - spiega - un personaggio che ha sempre ruotato attorno a grandi nomi della storia e che mi permet-te di raccontare un periodo storico a cui sono partico-larmente legato. Nella fata Cloè - dice infatti - c’è molto di me, molte delle esperienze che vivo e poi c’è anche tutto il mondo della letteratura e dell’arte». Del resto Cossi è un fumettista che cerca sempre di immedesimarsi nei suoi personaggi, nei quali, come nel caso di Tina Modotti, in qualche modo, si riconosce. «Per riuscire ad interiorizzare le cose - dice di sé - devo rac-contarle a fumetti. Il fumetto mi serve per capirle, per as-similarle».

contrato in questi venti anni e che si sono affezionate al mio modo di raccontare. Spero ci sia un rapporto tra lo scritto-re e il lettore. Perché alla fine gli autori rappresentano una modalità di vedere il mondo in cui i lettori si possono rico-noscere e riflettere. La novità vera è la moltiplicazione dei punti di produzione. Per me

un fumetto per piacermi deve es-sere un punti di vista originale.

Quanto c'è di te, della tua perso-na, nei tuoi fu-metti?L’ultimo che ho fatto Graphic Novel is dead, è proprio un'auto-biografia, perciò c’è tanto di me, e anche poco, in 120 pagine non puoi raccontare una vita. Analiz-zando i miei la-vori a posteriori posso dire che la

dimensione del vissuto, filtra-to dalla capacità di scrivere e disegnare, per me ha sem-pre avuto una forte importan-za. In Pasolini e Il re bianco io sono un personaggio del-le storie, ma anche Piera e i Cinque allegri ragazzi morti sono pieni del mio vissuto, nel racconto dei luoghi e delle persone.

Qual è il tuo rapporto con la città di Pordenone?Il rapporto con la città è im-portantissimo, anche perché la maggior parte della mia scrittura prende spunto dai luoghi e dalle emozioni che sono quelle della provincia italiana. Pordenone è una provincia dolce, dove l'imma-ginario ha ancora la possibi-lità di volare e dove mi sono sempre sentito a casa. Sono più critico con la città in questi ultimi anni ma lo faccio per-ché io amo Pordenone e la vorrei sempre stimolante e meno borghese.

Come vedi il futuro del fumet-to in provincia di Pordenone: chi sono i nuovi fumettisti del panorama giovanile?Dopo la mia formazione bo-lognese ho cercato di porta-re a casa la mia esperienza; ho insegnato un po’ dapper-tutto, anche perché credevo nell’importanza di incontrarsi e parlare in profondità di ciò che interessa. Da quell’espe-rienza, ma non solo, sono nati tanti nuovi autori: Paolo Cos-

si, Marco Tonus, Sara Pavan, Sara Colaone per dirne al-cuni. C’è stato un movimento orizzontale che ha nutrito let-tori e giovani autori. Adesso esistono delle realtà di collet-tivi, che hanno delle presen-ze pordenonesi, come Cane Marcio e Blanka e artisti di altre città si spostano a Por-denone come Natascia Raffio e gli artisti pop-surrealisti con cui collabora.

Come ci si fa strada nel mondo del fumetto: consigli per i giovani?Col fumetto, se ci sono capaci-tà si notano, è inevitabile. For-mazione e allenamento ro-busto sono necessari: leggete e siate disegnatori indefessi. Poi mantenete una curiosità alta per l'intorno, fate incon-tri interessanti, che facciano crescere e arricchiscano e mantenete un rapporto mor-bido con il tempo, un po' fric-chettone direi. La formazione richiederà un certo impegno, perciò, se volete tutto e subito, non è quella del fumetto la strada giusta.

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Autoproduzione ed editoria indipendenteBlanca e Canemarcio sono tra i numerosi collettivi nati come vetrina per i giovani fumettisti. Così inizia la loro carrieradi Irene Coletto

Blanca è un collettivo nato nel 2014 a Bologna ed è il titolo di una pubblicazione. L'esigenza di creare un'auto-produzione, di impegnarsi in un progetto corale, è molto diffusa da qualche anno a questa parte nell'ambiente bolognese, che vede nascere continuamente nuovi colletti-

vi che gravitano in particolar modo attorno all'accademia di Belle Arti di Bologna. La “redazione” di Blanca è for-mata da Eliana, Irene, Marti-na e Noemi. Ci siamo cono-sciute al corso di Fumetto e Illustrazione, dove è nata la nostra amicizia e in seguito la nostra collaborazione. Essere in quattro ci permette di gesti-re abbastanza agevolmente i vari impegni legati ai nostri progetti, in particolar modo la partecipazione alle fiere e l'or-ganizzazione di eventi come piccole mostre e workshop. Per i contenuti e l'aspetto del-le nostre pubblicazioni ci sia-mo lasciate ispirare dalle rivi-ste di inizio Novecento, come il Giornalino della Domenica o il Corriere dei Piccoli; l'idea era quella di realizzare un prodotto elegante rivolto in particolar modo ai bambini. Blanca è stata inizialmente distribuita tramite pdf in un

cd, che conteneva anche cin-que canzoni di gruppi italiani e stranieri ad accompagnare la lettura; in seguito abbiamo fatto una tiratura limitata di copie cartacee. Per il secon-do e terzo numero abbiamo scelto una tipografia online, per ridurre i costi: è stato emo-zionante ricevere il pacco con

cento copie fresche di stampa, anche perché c'è sempre il rischio che qual-cosa sia andato storto nella fase di progettazione. Fare autoproduzioni non si limita a realizza-re fumetti e illustra-zioni, ma impone di essere anche contabili, esperti di social media, pub-blicitari, pr, grafi-ci e chi più ne ha più ne metta. Inuti-le dire che si tratta di un'esperienza stancante, ma per molti versi decisa-mente formativa, incentivata da mez-zi tecnologici alla portata di tutti che consentono di con-cepire prodotti sem-pre più professiona-

li. Ciò che dà soddisfazione è vedere il frutto delle proprie fatiche che viene apprezzato da altre persone, ed è incre-dibile come possa rivelarsi una vera e propria vetrina, una porta d'accesso a molte altre collaborazioni e possi-bilità. Non siamo l'unica re-altà femminile all'interno del mondo dell'autoproduzione, né la scelta è stata in qual-che modo decisa a tavolino. Ci piace lavorare con questa formazione perché ci lega un rapporto di amicizia e un'ana-loga estetica visiva, ma non disdegnamo affatto even-tuali scambi futuri con autori maschi. Ci sono molti collet-tivi formati principalmente o esclusivamente da donne, come Teiera, Amenità, La Tra-ma...possiamo affermare che è più facile trovare un collet-tivo formato da sole donne che da soli uomini. E’ un dato positivo, considerando che il

mondo del fumetto è da sempre consi-derato prettamente maschile. Nel mon-do delle autopro-duzioni, però, non ci è mai capitato di riscontrare episodi di discriminazioni di genere, forse perché è sempre il pro-dotto ad essere al centro di eventuali discussioni. È indub-bio che un'autoproduzione come Blanca risenta di una certa impronta femminile, che porta anche ad avere un pubblico principalmente di ragazze (ancor più che di bambini, che non sono un target facile da incontrare nelle aree fieristiche di edi-toria autoprodotta). Un'altra etichetta di autoproduzioni bolognese vanta un membro pordenonese: Luca Tonin (Il Kittie) fa parte da tre anni del collettivo Canemarcio e la sua formazione artistica è ini-ziata all'Istituto Statale d'Arte di Cordenons. Nato nel 2013 e formato da nove autori, Ca-nemarcio è un collettivo che si occupa principalmente di pubblicare fumetti e illustra-zioni sia di autori interni al collettivo che esterni allo stes-so. Inizialmente le loro storie erano pubblicate online a ca-denza mensile, trattando vol-ta per volta temi diversi. Dopo un esordio al Trevi-so Comic Book festi-val, dove gli autori hanno presentato il progetto, al Na-poli Comicon dello stesso anno sono comparse le prime pubblicazioni in cartaceo. In media il collettivo pubbli-ca all'incirca due o tre libri per anno. Le ultime produzio-ni sono l'antologi-co “La Caccia” e i volumi “Pangea” e “Habitat”, realizzati da autori singoli. Il Treviso Comic Book festival è conside-rato da molti un evento importante e significativo, non solo per l'interesse e il supporto sem-

pre crescente che il festival dimostra ai collettivi di edito-ria indipendente, ma anche perché spesso è un vero e proprio trampolino di lancio per cominciare a diffondere i propri prodotti. Nell'edizione di quest'anno, infatti, la tradi-zione non è stata interrotta e il collettivo bolognese Brace (avente fra i suoi componen-ti anche l'udinese Francesco Saresin), ha presentato il suo primo numero, “Resti”. Per sa-perne di più sul piccolo uni-verso dell'editoria indipen-dente, consiglio la lettura de “Il potere sovversivo della car-ta” di Sara Pavan (curatrice fra l'altro dell'area autoprodu-zioni del Treviso Comic Book Festival). Il libro esplora il fe-nomeno con dovizia di esem-pi, fornendo spunti di riflessio-ne e panoramiche su possibili sviluppi futuri; una lettura utile sia per chi vuole avvicinarsi all'autoproduzione, sia per chi vuole semplicemente capire come funziona e come si sta strutturando nel corso degli anni.

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INVIATI NEL MONDO

Toccata e fuga in Svezia «Quattro giorni sono pochi per conoscerla, ma sufficienti per farsela piacere. Per questo ci tornerò»di Piero Della Putta

Parlare di viaggi, è parla-re dell'essenza di me stesso. Nato per caso a Pordenone, ho scelto scientemente di vi-verci e di provare ad impe-gnarmi per cambiarla, in meglio, questa Pordenone. Non sempre riuscendoci, sia chiaro, ma continuando ad adorare questo microcosmo ricco di eccellenze e, ahimè, altrettanto pregno dei difet-ti di chi è cresciuto troppo in fretta trovandosi all'improvvi-so ricco, privo di quella cu-riosità che ti fa vedere l'altro, il diverso, come una risorsa e non un nemico. Intaccato da altri difetti: quelli di chi, a differenza dei nostri geni-tori e dei nostri nonni, troppo spesso parla senza aver mai mosso il sedere da una sedia, comoda, che altri hanno po-sizionato. Parlare di viaggi è semplice, ed è difficilissimo al contempo. Perché, crescendo, ho modificato radicalmen-te il mio modo di viaggiare: ero convinto della necessità di vedere più cose possibile, sono ora se possibile più con-vinto ancora che, fissati due o tre punti chiave di un viaggio, imperdibili, la cosa più bella sia invece perdersi. Guardare, guardarsi, cambiare, perdersi e guardare ancora. Perdersi. Parlare, conoscere, osservare. Fermarsi. Sono convinto che l'elogio della lentezza sia la cosa più bella che si potesse scrivere. Peccato lo abbiano scritto altri. Ecco: ecco perché, quando Ada mi ha chiesto di scrivere due cose, stavolta ero in difficoltà, e parzialmente lo sono ancora. Quest'anno, dopo un lento ritorno in Asia - Laos e Thailandia -, ho speso, lentamente e per caso, alcu-ni giorni in Svezia. Per caso e non per scelta, anche se i paesi del nord li sognavo sin

da bambino. Per caso perché il caso, e nulla di altro, han portato due amici veri, Paolo e Matteo, a lasciare Pordeno-ne per aprire un ristorante in Svezia. L'avessero aperto a Bi-bione, no, non ci sarei anda-to, a trovarli. A Lysekil, invece, l'avevano aperto. E Lysekil siamo andati, seguendo le orme di Adriano e Anna, e di Chiara, che ci avevano pre-ceduti: seguendo i loro com-menti, entusiasti, che hanno rafforzato la mia e la nostra - eravamo in otto, sette persone più di quelle con le quali sia abituato a viaggiare - con-vinzione sulla bontà di una scelta quasi obbligata. Quat-tro giorni in Svezia, dunque: pochi per conoscere un Pae-se, anche se in quattro giorni c'è chi scrive un libro, di quelli che non voglio leggere e non leggerò mai. Quattro giorni, sufficienti per farsela piacere. Perché si, la Svezia non può che piacere. Piacciono i suoi ritmi, compassati, piacciono i suoi abitanti, colti, gentili, pun-tuali. Piacciono tutte le cose che funzionano, e quelle che ci immaginiamo funzionino. Sanità, scuole, welfare, stra-de. Funzionano. Piacciono i boschi ed i fiordi, piace un verde accecante, selvaggio. Piace la cura per le proprie cose, che nulla è se non cura per gli altri. Piacciono i giardi-ni, piace un ecologismo che non è di facciata e non è mili-tante. Piace la voglia di aprir-si degli svedesi, la loro voglia di mettere tutti a proprio agio, e la loro cura per le fasce de-

boli della popolazione, bam-bini ed anziani. Piacciono le architetture semplici e perfet-tamente integrate con la na-tura, piace la ricerca e il culto del passato in un paese che è modernissimo. Piace meno, sono orgogliosamente italia-no e latino, il rispetto quasi noioso di ogni regola; piace meno questa perfezione, che toglie quasi il gusto dell'im-previsto, scomparso dopo che anche la parola avventura ha perso di significato, sof-focata da telefonini, guide, soccorsi alpini, abiti tecnici e quant'altro. Piacciono meno i sacrosanti cinquanta all’ora, i limiti che tutti rispettano, risul-tano antipatiche la tolleranza zero sugli alcolici e persino sul-le sostanze dopanti alla gui-da. Piace questa dicotomia, sofferta: a casa mi lamento di tutto ciò che non funziona; in Svezia, nella Svezia meravi-gliosa che voglio rivedere, mi lamento del contrario. E ci tor-nerò, presto. Ci tornerò perché i paesini di pescatori e i ca-

panni dove riparano le loro barche non hanno prezzo; perché il salmone e il cervo, a tavola, non temono rivali specie se a cucinarli è uno chef italiano che ci infila dei frutti di bosco e dei porcini. Perché trovarsi in Svezia sen-za saperlo è stato divertente. Perché rocce, vento, oceano e tramonto ed amici sono pa-role che, mescolate assieme, non le dimentichi mai, non le dimenticherai mai. Perché Goteborg è un esempio come e cosa siano la qualità della vita, di come si possa creare e plasmare una città sui cit-tadini, a loro misura. Perché in Svezia ci si può muovere, ovunque, in bicicletta o a pie-di, perché tutto è semplice. Perché fare il bagno in un fiordo, di notte, nudi, vale da solo il prezzo del biglietto, e perché anche quelli che pen-savano - o pensano - fossimo dei deficienti, non ce l’ha mai detto. Perché i colori del cie-lo, del mare, dei laghi sono

colori che regalano pace e serenità interiori. Perché an-che aspettare, se aspetto un traghetto, è un bel momento: non sbuffo, ma mi dipinge un sorriso idiota sul viso. Perché un camping rockabilly non l’avevo mai visto, probabil-mente non lo rivedrò più. Perché anche scoprire che le donne svedesi non siano - tutte - belle come le italiane, beh, ha il suo perché. E mi consente questa chiusura da italiano medio quale in fondo sono. Tornerò, in Svezia.

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PANKAROCK

La Dave Matthews Band, tra genio e sregolatezzaTre ore di concerto al PalaFabris di Padova per la band americana che è tornata in Europa dopo cinque anni. Per la gioia dei suoi fandi Guerrino Faggiani

È tornata. Finalmente la Dave Matthews Band è tornata in Europa. Cinque anni hanno dovuto aspettare i fan per ri-abbracciarla, nonostante le continue richieste anno dopo anno puntualmente andate deluse, finalmente la D’Ales-sandro e Galli è riuscita a ri-portare in Italia la Jam Band statunitense in occasione del Summer Tour Europe 2015. C’era riuscita anche con lo storico concerto al Festival di Lucca del 2009 - «Il nostro concerto della vita» l’aveva definito Dave Matthews - nel quale la band sfogò sul pal-co l’amarezza dell’immatura scomparsa del saxofonista Leroi Moore, cofondatore del gruppo, con il record di tre ore e venti minuti di grande musica. Dimostrando così ai fan e agli osservatori che la Dmb si era rimessa in piedi e aveva superato lo shock. Poi c’era stato il tour europeo del 2010, che fece tappa anche in Italia. Ad ottobre scorso ecco che la band, formatasi nel 1991 a Charlottesville, Vir-ginia, è riapprodata nel vec-chio continente. E l’ha fatto in grande stile con venti date di cui ben quattro in Italia: Mila-no, Firenze, Roma e, il 21 otto-bre, al PalaFabris di Padova, un concerto al quale io non potevo mancare. Ho portato con me anche un compa-gno di vecchie merende e di buona vita, che tra l’altro non

conosceva la Dmb, ma che tempo fa mi aveva confidato, quasi fosse un sogno, che gli sarebbe piaciuto vedere un bel concerto, come capitava ai vecchi tempi da ragazzi, prima che la vita mondana si arenasse davanti alla fami-glia e ai doveri degli uomini che si possono definire tali. E allora via al PalaFabris insie-me, per una sera la famiglia sopravvivrà anche da sola. E poi come potevemo manca-re dopo tanta attesa, sapen-do che sul palco sarebbero saliti niente meno che Dave Matthews, chitarra acustica e voce, autore e leader della formazione, Stefan Lessard al basso, Boyd Tinsley al violino, Tym Reynolds alla chitarra, Jeff Coffin al sax e fiati vari (“el barbeta” ha due trecci-ne di barba che gli pendo-no dal mento) il due piazze Rashawn Ross alla tromba (e dire che ora è anche di-

magrito) e, da ultimo come sempre nelle presentazioni fatte Dave Matthews, l’ama-tissimo Carter Beauford alle percussioni. Una formazione di grande impatto che non si trova a suo agio solamente nelle arene nelle quali ha co-struito il proprio impero e che l’hanno resa una delle band più celebri al mondo. Impo-nente la sua discografia con vendite in tutto il pianeta, ne-gli Usa la Dmb è stata in vetta alle classifiche con sei album consecutivi, strepitoso record assoluto e probabilmente ineguagliabile. Nel 2004 ha pubblicato delle registrazioni dei suoi concerti disponibili solo su ordinazione e tramite download. Ma l’eccessiva do-manda ha messo in difficol-tà il sistema ed ha costretto il produttore a commercializzar-li anche nei negozi. Una volta uscita la band sul palco del PalaFabris dalla penombra

delle quinte, mentre salutava e prendeva possesso degli strumenti, tra le ovazioni e le grida di un pubblico entu-siasta di riaverla finalmente davanti - alcuni come nel mio caso per la prima vol-ta - non sembrava vero che esistesse davvero. Occhi sgra-nati su ognuno di loro, avidi di ogni cosa che facevano. E poi Dave Matthews e com-pagni sono partiti, eccome se sono partiti. Hanno eseguito due session complete sen-za intervalli, ancora con una scaletta nuova, che spazia su tutto il loro imponente reper-torio. Pensate che nelle date italiane solo due pezzi sono stati eseguiti in ogni concer-to: Death On The High Seas, che ha visto Dave Matthews al pianoforte, e la sempre su-perba Don’t Drink The Water. «Niente di più seducente c’è di un’orchestra eccitata e nin-fomane» canta Paolo Conte, e la Dmb si scalda e cresce fino ad estraniarsi dal mon-do e a nutrirsi della propria musica. Musicisti di mestie-re che duettano tra di loro e sorridono alle performance, coinvolgendo il pubblico nel-le loro estrosità. Al PalaFabris si sono fermati dopo quasi tre ore di genio e sregolatezza, e con il gran finale al terzo bis, davanti ad un pubblico mai sazio, di una prodigiosa Two Step in cui Carter Beauford, caldissimo alla sua batteria, ha lasciato un segno indele-bile nella memoria dei pre-senti, che già non erano male impressionati. Poi i saluti, il si-lenzio e la fine della serata. Il mio compagno mi ha rin-graziato con il cuore di aver pensato a lui per un evento così straordinario. Poi però mi ha spiazzato. Nel silenzio del-la notte mentre tornavamo a casa, con le luci che pas-savano e il dondolio della macchina sulla strada mi ha detto: «Prima ho pensato a mio figlio. Chissà se anche lui da lassù ha potuto vedere il concerto».

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PANKAKULTURA

PANKA NEWS

Gherardo Colombo: riflessioni su legalità e nuove generazioniIncontro con l’ex magistrato di “Mani Pulite” e scrittore ospite a Pordenoneleggedi Diego e Alessandro

Quest’anno a Pordenoneleg-ge abbiamo avuto l’occasione di assistere alla presentazione del libro “Lettera ad un figlio su mani pulite” dell’ex magi-strato Gherardo Colombo. In esso l’ex magistrato ripercorre gli avvenimenti più eclatanti e significativi che hanno carat-terizzato l’inchiesta/scandalo che ha colpito il nostro paese a partire dai primi anni ’90: Tangentopoli. L’autore nar-ra, in particolare, il suo arrivo alla procura di Milano, la co-stituzione del famoso pool di "Mani pulite", quindi, le fasi dell’inchiesta, l’ambiente, le persone e le sensazioni di quel periodo. Il libro ha una scrittu-ra semplice, scorrevole e risul-ta essere di facile comprensio-ne, in particolare per chi questi fatti li ha vissuti; questo anche perché “Mani pulite”, che è stata l’inchiesta giudiziaria che ha cambiato il volto dei partiti politici, in quegli anni ha ricevuto un’attenzione e

uno spazio notevoli all’interno dei mezzi di comunicazione. Come, infatti, ha detto lo stes-so Colombo «non c’era cana-le tv, quotidiano o rivista che non mettesse in primo piano qualsiasi notizia che emerges-se dall’inchiesta». All’incontro, oltre ad una considerevole presenza di cittadini, vi è stata anche la partecipazione incu-riosita di diverse scolaresche. Lo scrittore, pertanto, ha scelto di interloquire con il pubblico, in particolare con gli studen-ti, scendendo dal palco ed interagendo attraverso una simpatica interrogazione su alcuni dei fatti citati nel libro. Durante il suo intervento, Co-lombo ha così potuto eviden-ziare come l’attuale sistema scolastico raramente prepari i giovani in merito al nostro recente passato, e come, in-vece, sapere la nostra storia recente è più importante di conoscere i sette re di Roma. Al termine dell’incontro, dopo

aver firmato diversi autografi, con estrema disponibilità, l’ex magistrato-scrittore ci ha dedi-cato alcuni minuti per rispon-dere alle curiosità che erano scaturite dalla lettura del suo libro, ma anche dalla sua per-sona, quindi dall’uomo e non solo dal magistrato Gherardo Colombo. Attraverso la nostra prima domanda abbiamo voluto cercare di capire se il tempo dedicato all’inchiesta e, quindi, al lavoro di magistra-to lo avesse in qualche modo sottratto alla vita privata. La risposta del nostro interlocuto-re è stata negativa e lo stesso ha sottolineato che, a parte l’inconveniente della scorta, ogni sera, quando rientrava a casa, riusciva a staccare la vita professionale da quella privata. In secondo luogo ab-biamo chiesto se, oltre alla for-mazione, vi siano altre strade da percorrere al fine di edu-care i giovani al rispetto del-le regole. In questo caso l’ex

magistrato, che da tempo re-alizza numerosi incontri nelle scuole di tutta Italia, ha affer-mato che è attraverso il nostro comportamento quotidiano e, quindi, il nostro esempio che possiamo trasmettere alle nuo-ve generazioni il “senso del vi-vere nella legalità”. Attraverso la terza ed ultima domanda abbiamo voluto “provocato-riamente” chiedere se, dal suo punto di vista, sia possibile in futuro avere una società senza corruzione e compromessi o se questo resterà solo un’infonda-ta chimera. Colombo ha pron-tamente risposto che nei paesi del nord Europa il sentire so-ciale è diverso e, pertanto, il vivere nella legalità è realtà, ma in Italia è necessario cam-biare una mentalità troppo ra-dicata. Dopo aver soddisfatto le nostre curiosità, Colombo ci ha congedati, lasciandoci piacevolmente colpiti dalla sua spontaneità, disponibilità e simpatia.

HIV DAY 2015 IN CITTÀdi Chiara Zorzi

Sabato 5 dicembre si è svol-to in piazza Cavour l’Hiv Day. Anche quest’anno è stata scel-ta una data diversa dal 1° di-cembre, giornata mondiale di lotta all’Hiv-Aids, per testimo-niare che di Hiv-Aids non si può e non si deve parlare un solo giorno all’anno. L’associa-zione I Ragazzi della Panchina e Nps Italia Onlus (Network Persone Sieropositive), in col-laborazione con l’Azienda per l’Assistenza sanitaria n.5 e il Di-partimento per le Dipendenze, con il patrocinio del Comune di Pordenone, hanno voluto organizzare un momento di

informazione e confronto su un tema molto importante, che però tutti pensano riguar-dare gli altri. In piazza Cavour, sotto lo striscione appeso su palazzo Badini, abbiamo alle-stito due gazebi con materia-le informativo, giornali e libri realizzati dall’associazione nel corso degli anni; a caratteriz-zare lo stand c’erano le lettere Hiv giganti sulle quali ognu-

no poteva attaccare un fioco rosso firmato come gesto di condivisione della manifesta-zione. A vivacizzare il pome-riggio il dj set di Barbeat. A chi si è avvicinato allo stand abbiamo parlato di malattie sessualmente trasmissibili e di-stribuito preservativi come uni-co strumento di prevenzione dal contagio. Quest’anno, con il sostegno dell’Associazione

Sviluppo e Territorio, abbiamo coinvolto sempre più commer-cianti del centro cittadino, ai quali rivolgiamo un grande grazie: il risultato è stato la presenza di un fiocco rosso, simbolo della lotta all’Hiv-Aids, esposto nelle vetrine di 148 esercizi commerciali. E’ stato un gesto importante che ci auguriamo sia servito a tutti per iniziare a porsi delle do-mande e per trovare la voglia di cercare risposte.

Tutte le foto dell'evento e delle vetrine del centro sulla pagi-na Fb "Hiv Day"

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NON SOLO SPORT

Il Parkour, ovvero l’arte del movimento E’ una disciplina di spostamento del proprio corpo in modo creativo e personale, interpretando l'ambiente circo-stantedi Nicola Ceccato

Nato nei sobborghi delle cit-tà francesi, il Parkour (dal francese parcous – percorso), prevede un allenamento che trae spunto dalle tecniche di superamento di ostacoli uti-lizzate dai vigili del fuoco, i quali devono essere pronti a recarsi dal punto A al punto B nel minor tempo possibile per soccorrere o spegnere un incendio. Tale procedimento trae le sue radici dal meto-do denominato Hebertismo, che è "un’educazione e una cura della salute e della for-za fisica in maniera ragiona-ta alle condizioni naturali di vita", dove il motto è “essere forti per essere utili". Queste tecniche sono state traman-date dal padre pompiere al figlio, David Belle, il quale ha avuto l'intuizione di adattarle, nella metà degli anni '80, in ambiente urbano o in natura. Negli anni successivi ci fu un incremento di praticanti ed è curioso osservare come que-sta disciplina si sia evoluta

(e si evolverà) con l'apporto e l'accorgimento di altri tipi di sport e conseguenti mo-vimenti, dando il via a uno sport che sarà sempre in pro-gressione. L'arte del Parkour risiede proprio qui, nell'in-terpretare l'ambiente circo-stante e spostarsi in esso con movimenti personali e creati-vi: l'utilizzo del proprio corpo

diventa strumento di espres-sione. La particolarità di que-sto sport (ma come in altri di free-style) è che fin da subito si percepisce l'arredo urbano con un altra prospettiva; la barriera architettonica diven-ta occasione per effettuare un particolare "gesto", le piazze e i luoghi pubblici vengo inter-pretati a proprio piacimento

trovando un proprio percor-so ("traccia") su cui allenarsi: ogni muro, muretto è una sfi-da da affrontare. L'avvento di internet e di Youtube poi ha fatto sì che questa disciplina si diffondesse rapidamente e spopolasse sopratutto tra i più giovani. Il risultato di questa divulgazione mediatica però ha spostato l'attenzione su un elemento fondamentale del Parkour: la preparazione atletica. Alla base di questo sport, infatti, c'è oggi una ri-gorosa preparazione fisica che trae spunto sopratutto da varie discipline quali le arti marziali, l'atletica, la ginnasti-ca artistica e l'arrampicata. Si nota comunque nelle nuove generazioni che si avvicina-no al Parkour una carenza di abilità motorie di base (corre-re, saltare, arrampicare ecc). E’ questa una conseguenza della carenza di spazi e so-prattutto della sedentarietà. La progressione personale, a differenza di quanto si possa immaginare, è lenta e punta molto sulla coscienza di sé e delle proprie capacità: biso-gna porsi degli obbiettivi e lavorare sodo e con tenacia per raggiungerli. Il Parkour in-segna ad individuare i propri limiti, insegna a non fermarsi davanti ad un ostacolo, ma a valutarlo ed analizzarlo per trovare un metodo, un "tuo" metodo per superarlo. Questo sport insegna soppratutto a ri-spettare se stessi e l'ambiente circostante. Per questi motivi questa disciplina porta con sé non solo un lato tecnico e spettacolare ma anche un lato filosofico, personale e so-ciale.

Da alcuni anni è sbarcato anche a Pordenone Unico neo, manca ancora uno spazio in sicurezza ad esso dedicatoNegli ultimi anni anche a Pordenone si vedono questi "fioi che i salta par longo e par largo" negli spazi pubbli-ci urbani. Se dapprima c’era un po’ di sgomento per que-sti "scavezzacollo" e la gente andava via quasi infastidita, ora c’è chi si sofferma e ap-prezza sopratutto le doti acro-batiche di questa disciplina. Oggi la comunità di Porde-none (dai cittadini, ai com-

mercianti, alle forze dell’or-dine) ha capito il valore del Parkour, grazie al lavoro fatto negli ultimi anni dalla Side Motion Crew, un’aggregazio-ne spontanea di ragazzi che ha deciso di praticare questo sport pensando in primis al rispetto di chi vive gli spazi pubblici. Un risultato ottenu-to anche grazie agli eventi e alle esibizioni nel territo-rio, che sono una calamita

per il pubblico e portano in città praticanti da tutto il Tri-veneto. Gli appassionati di Parkour, però, non hanno ancora uno spazio dedica-to in città, che potrebbe di-ventare un centro di aggre-gazione e un nucleo dove avviare un’attività formativa per chi si vuole avvicinare a questa disciplina, adatta sia ai bambini, che agli adulti. Alcune associazioni hanno

fatto partire dei corsi, appog-giandosi alle palestre delle scuole (da anni nella pale-stra del liceo Grigoletti c'è un corso aperto a tutti tenuto da istruttori qualificati). Il sogno per il futuro è poter avere un luogo dedicato alla pra-tica del Parkour con tutte le attrezzature necessarie per praticare questo sport in sicu-rezza, durante tutto l’anno.(n.c.)

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Al ritmo del Boogie Woogie Anna e Simone coppia nella vita e nel ballo, con la passione sfrenata per gli anni Cinquantadi Anna e Simone

Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Elvis Presley, Little Richard, Ed-die Cochran, Johnny Cash, chi non riuscirebbe a muove-re il proprio corpo a Rhythm and Blues ascoltando questi fantastici artisti e la loro mu-sica? Solo al sentir vibrare le corde del contrabbasso o il battere della grancassa i pie-di iniziano a muoversi e le dita schioccano quasi a cer-care di entrare in quei fanta-stici anni Cinquanta. Ma che cos’è il Boogie Woogie? Oltre ad essere uno stile musicale, è pure un ballo di coppia che risale agli anni Cinquanta e prende piede in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Tutto è iniziato quando ci sia-mo accorti che in qualsiasi momento e luogo ci trovava-mo, ascoltando questa musi-ca i nostri corpi iniziavano a muoversi. Dovevamo trovare il modo di manifestare questo nostro desiderio, questa vo-glia di ballare! Una sera sul bancone di un bar di Sacile, un volantino ha catturato la nostra attenzione: “Corsi di Bol-gie Woogie” a Chions organiz-zati dall’associazione X°group (Decimo group). Quest’asso-ciazione cerca di far rivivere i favolosi anni Cinquanta, pro-muovendo e organizzando eventi a tema, oltre che, tra i mesi di settembre e maggio, corsi di ballo di livello base, intermedio e avanzato, presso la palestra di Chions; questa è l’unica realtà della provin-cia di Pordenone. Solo guar-dandoci, avevamo già capito qual’era il pensiero comune: dovevamo fare quel corso. Alla prima lezione i maestri

Matteo e Nadia, dei Doo Wop Boogiedancers, ci dissero: «I pensieri lasciateli fuori, libe-rate la mente e fatevi traspor-tare dalla musica». In seguito, con un’esibizione, ci hanno mostrato su cosa si basava il Boogie Woogie. Quelle mo-venze, quella leggerezza nel muovere i loro corpi e i loro piedi ci hanno affascinato e hanno fatto si che tuttora, dopo quattro anni, siamo an-cora alla continua ricerca di migliorare il nostro stile, al fine di riuscire a trasmettere alle persone quello che proviamo nel ballare. Con questo obiet-tivo, infatti, abbiamo frequen-tato varie scuole e partecipa-to a diversi stage, tra i quali uno con gli attuali campioni del mondo di Boogie Woogie 2015, Thorbjørn Urskog e Flo-ra Bouchereau: un’esperien-za incredibile. L’anno scorso, inoltre, abbiamo avuto l’occa-sione di andare ad un festival a Senigallia: il Summer Jam-

boree, dove ad agosto, per ben dieci giorni c’è la possi-bilità di rivivere i mitici anni Cinquanta. Un’intera città si trasforma tra mercatini, band provenienti da tutto il mondo, ciuffi a volontà, pin-up, cadil-lac, old mobile, e tanta tanta bella gente che crede in tut-to questo. Un’atmosfera ma-gica e travolgente ti rapisce. Un mix di situazioni e perso-ne con un’unica passione in comune: gli anni Cinquanta. Anche nel Pordenonese è possibile rivivere tutto questo in alcune manifestazioni ben organizzate come Sexto Vin-tage, a Sesto al Reghena, che si tiene a maggio, Azzano vintage, ad Azzano Decimo, a giugno ed il Blues Festival, organizzato proprio a Porde-none a fine agosto. Nono-stante siano concentrate in un solo weekend, queste mani-festazioni riescono a regalare un’atmosfera ed un’emozione travolgente che attira molte

persone. Ogni anno gli orga-nizzatori cercano di coinvol-gere un numero sempre più elevato di persone invitando degli artisti particolarmente conosciuti nel mondo della musica Blues. Da apprezzare, inoltre, il fatto che queste ma-nifestazioni sono ad entrata libera e, in questo modo, per-mettono a tutti di avvicinarsi a questo mondo affascinante. A distanza di tempo risuona ancora nelle nostre menti la frase che ci dissero i maestri durante la prima lezione ed, infatti, ogni volta che andia-mo ad ascoltare e a ballare la musica Blues di gruppi live o Dj, che ci riportano indietro nel tempo, ci rapisce quella magia che ci aiuta a lasciare i pensieri alle spalle e a met-tere un sorriso sui nostri volti. Inoltre, anche il nostro rap-porto di coppia si è rafforza-to. Questa passione condivisa ci ha unito ancora di più, in quanto ballando ci sentiamo in sintonia, quasi a diventare un unico corpo che balla, e questo è fantastico. Abbiamo scoperto poco per volta di non riuscire più a fare a meno di questo mondo, come anche di tutte le persone meraviglio-se che abbiamo conosciuto in questo percorso e con le quali abbiamo ormai un rapporto di forte amicizia. C’è poco da fare, il ballo unisce le persone e crea un ambiente gioioso e avvolgente, dal quale è diffi-cile tirarsi fuori. Noi, ormai da quattro anni, siamo stati risuc-chiati da questo vortice che si chiama Boogie Woogie e non abbiamo nessuna intenzione di smettere di ballare.

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LA STORIA

Crisi e rilancio dell’economia negli Usa di RoosveltPrimo Dopoguerra: come si arrivò al crack e come lo si affrontòdi Emanuele Celotto

Usa ottobre 1929: inizia un crollo verticale di Waal Stre-et (giovedì nero) e finisce il martedì nero col crack della borsa. Questa diverrà poi la prima crisi globale. Com’è potuto succedere? Parlia-mo di un’economia che dal 1924 fino ai primi mesi del 1929 aveva fatto profitti altis-simi. Le previsioni future e le dichiarazioni del presidente erano piene di ottimismo; la disoccupazione era al 3% ed i pochi economisti che par-lavano di rischio crisi, più o meno imminente, venivano tacciati come antipatriottici. Sicuramente le cause della crisi furono molteplici ma, in primis, era un’economia gon-fiata. Andiamo un po’ a ritro-so. Dagli anni Venti in poi, i governi repubblicani che si susseguirono, attuarono que-sta strategia economico-po-litico-monetaria: taglio delle tasse con aliquota massima 25%, contenimento della spesa pubblica, basso costo del denaro, nessun interven-

to dello Stato nell’economia e nella finanza. L’ossessione del pareggio in bilancio, fini-va col dare scarsa assistenza sociale e nessun sostegno ai piccoli-medi agricoltori. Non avendo subito danni di guer-ra, gli Usa ebbero un forte au-mento di produttività interna, che all’inizio portò benessere e slancio economico indu-striale. Il mercato dell’auto trainava tutto l’indotto (gom-ma, metallurgia, petrolio) e ne traevano beneficio i consumi in generale. L’eco-nomia agricola prosperava grazie all’export; bassi costi e grande produzione, elevato fabbisogno dei paesi in via di ricostruzione. L’Europa, per rilanciarsi dopo la fine della Grande Guerra, poggiava in larga parte sul credito conces-so dagli Usa, che a sua volta beneficiavano dell’acquisto da parte dei Paesi europei di grandi quantità di grano. Quando il trattato di Versailles addebitò i danni di guerra alla Germania, incomincia-

rono le difficoltà. Il sistema industriale tedesco era ben sviluppato e gli Usa lo soste-nevano con grandi quantità di denaro, permettendo così alla Germania (con grandi sacrifici) di pagare i debiti di guerra; soldi che in gran parte Francia e Inghilterra uti-lizzavano per il pagamento del debito con gli Usa. Un cir-colo di denaro che sarebbe durato fin quando l’America l’avesse sostenuto. Intanto in patria i consumi iniziavano a ristagnare o diminuire; all’au-mento di produttività e profitti, non corrisposero un aumento dei salari e del potere d’ac-quisto. Le banche concessero crediti a carattere speculativo, spesso senza adeguate ga-ranzie, che sommate a una fi-nanza priva di controlli fecero il resto. A livello finanziario si compravano azioni (versan-do il 50% del valore) al solo scopo di rivenderle, senza cu-rarsi della qualità del titolo. Si alzarono il valore delle azioni e dei profitti. Gran parte del ceto medio, che aveva inve-stito in azioni, era destinato a ritrovarsi in mano carta strac-cia. I vari Stati dell’Europa in-trodussero una serie di dazi protezionistici che lasciarono l’economia agricola Usa con una forte eccedenza di grano e priva di sbocchi di merca-to. Crollò il prezzo del grano, piccoli e medi agricoltori fal-lirono ed abbandonarono i campi: iniziava la disoccupa-zione. A tutto questo aggiun-giamo che le banche ritiraro-no gran parte delle aperture di credito. Gli Usa chiesero la restituzione dei prestiti e non immisero soldi nell’economia Europea (soprattutto tedesca). Questo portò al collasso del sistema debiti-crediti che si autoalimentava generando utili. In America il crollo del prezzo del grano, con con-seguente perdita del valore azionario di una parte dei risparmiatori, fu l’innesco del-la crisi. Parecchi risparmiatori, presi dal panico, corsero in banca a ritirare i soldi e que-sto provocò una forte crisi di liquidità. In soli cinque giorni

si arrivò al nefasto crack ed iniziò la crisi. In breve tempo, consumi e produzione subi-rono una forte contrazione, parecchie fabbriche fallirono creando oltre 9 milioni di di-soccupati. Poche ed inutili le misure prese dall’allora presi-dente Usa: aumento del tas-so d’interesse, aiuti a gruppi finanziari, tentativo di mante-nere un approccio ottimistico generale. Nessun intervento a sostegno di famiglie o au-mento dei sussidi ai disoccu-pati. Tra fusioni e fallimenti, alla fine del 1929, 200 impre-se controllavano più di metà del sistema industriale ameri-cano. A livello mondiale furo-no cercate soluzioni collettive alla crisi, ma fallirono tutte. La disoccupazione era ormai ol-tre il 25%. Solo nel 1932 con F.D. Roosvelt e la vittoria dei democratici iniziò una serie di scelte che portarono gli Usa fuori dalla crisi (New Deal). Fu istituito il Social Security Act (con indennità di disoccupa-zione, la previdenza sociale e le pensioni di anzianità) e un’agenzia per il controllo del mercato azionario; venne ri-conosciuta l’importanza del sindacato e iniziò l’interven-to dello Stato nell’economia e nella finanza. Roosvelt si trovò a dover cambiare ra-dicalmente un sacco di cose, soprattutto l’idea di un capi-talismo spensierato e sen-za controlli. Portò anche un cambiamento nello Stato e del modo di pensare in ge-nerale. Si cominciò a mettere mano alla spesa pubblica, dimenticando l’ossessione del pareggio in bilancio. Fu-rono costruite infrastrutture ed un sacco di opere pubbliche che riportarono occupazione, misure agevolate dal fatto che il lavoro non meccaniz-zato richiedeva grandi quan-tità di manodopera. Roosvelt utilizzò il primo mandato per rilanciare gli Usa e si guada-gnò la stima e la fiducia del popolo americano che lo ri-confermò presidente per altri tre mandati. Fu l’unico presi-dente americano a rimanere in carica per quattro.

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LDP - LIBERTÁ DI PAROLAGiornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi

Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009

Direttore ResponsabileMilena Bidinost

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RedazioneStefano Venuto, Graziella Zambon, Sara Lenardon, Adriano, Gianluca, Andrea B., Andrea C., Chanel Giacomelli, Franca Merlo, Andrea Appi, Emanuele Celotto, Paola Doretto, Sara Pavan, Giulia e Rafael, Irene Vendrame, Cristina Colautti, Irene Coletto, Piero Della Putta, Diego e Alessandro, Chiara Zorzi, Ada Moznich.

EditoreAssociazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone

Creazione graficaMaurizio Poletto

ImpaginazioneAda Moznich

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FotografieA cura della redazioneFoto a pagina 6 e 8 dal sito: http://commons.wikimedia.org/wiki/Main_PageFoto a pagina 13 di Piero Della PuttaFoto a pagina 14 dal sito della BandFoto a pagina 16 di Nicola CeccatoFoto a pagina 17 di Anna e Simone

Chi vuole scrivere, segnalare, chiedere o semplicemente conoscerci, contatti la redazione di LDP: [email protected]

Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle dipendenze di Pordenone

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La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00

Hanno collaborato a questo numero

——————————————Guerrino FaggianiSe è vero che della nascita non ci si ricorda nulla, chiedetelo a lui, vi saprà raccontare ogni secondo, è rinato nel 2007! Da cinque anni con la Panka ca-valca la vita, non tanto per sal-tare gli ostacoli, ma proprio per abbatterli

——————————————Milena BidinostIl direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immer-gersi nella bolgia dell’Associa-zione con delicatezza e costan-za, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un arti-colo! Ma confidiamo nella sua amicizia

——————————————Franca MerloPresidentessa onoraria dell’As-sociazione affronta la vita come una eterna sperimentazione. Oggi è a Londra, più avanti.. si vedrà. Non manca mai di commentare il blog, non man-ca mai di sentirsi Panchinara, ovunque sia.

——————————————Cristina ColauttiÈ arrivata in sede in punta di piedi, adesso non le sfugge niente, anzi. Dottoressa in socio-logia Bis, porta a casa un 110 e lode a mani besse! Pare che “ansia” sia il suo secondo nome, ed infatti è la nostra donna per Codice a s-barre, così almeno lì, si sente al sicuro!

——————————————Chiara ZorziS: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso po-etico..." C: ”...si bello, ma non si scrive così in Italiano!” S: "Quin-di?" C: “tienila, ma non è giu-sta!”. Quando scorri, la consa-pevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara

——————————————RafaelProviene da mondi caldi, riem-piti da musiche, danze, sorrisi e sole. Arriva a Pordenone.. e ca-pirete bene che una persona, in un modo o nell’altro, qual-cosa si deve inventare! Entra in sede con delicatezza, disponi-bilità e vestiti puliti.. nuovo edu-catore della sede? chiedono i più.. lui sorride e dice: no, già sofferto abbastanza!

——————————————Stefano VenutoMimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinun-ciare alla fama per conceder-si a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia ve-ramente, penna delicata e po-etica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 18.00!

——————————————Irene VendrameE’ arrivata in redazione una cucciola! Giovanissima, timida e delicata, ma altrettanto deter-minata e ambiziosa. Sogna di diventare una famosa giornali-sta come Oriana Fallaci, così è stata arruolata da LDP per farsi le ossa. Benvenuta Irene!

——————————————Emanuele CelottoScrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante que-sto difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricor-do di antichi fasti e disavventu-re inenarrabili

——————————————Paola DorettoLettrice d’altri tempi, si nar-ra che abbia dichiarato che ci sono troppi pochi autori al mondo per fare in modo che lei riesca a leggere sempre libri nuovi! Si spende ogni giorno per cercare di dare il proprio contributo verso un mondo più giusto e quindi, con naturalez-za, scrive sul nostro giornale.

——————————————Sara lenardonSeguendo le orme del fratello decide di fare il tirocinio da noi.. pazza. Per cui perfetta. Ginnasta di professione, stu-dentessa per cultura, panchi-nara per passione. Scrive il suo primo articolo dall’altra parte del mondo, adesso scrive per-ché da noi ha scoperto un al-tro mondo.

——————————————Chanel GiacomelliChanel, nome che dato ad un cane ricorda un morbido pelo arruffato, occhi dolci, un cane che si muove nei salotti buoni, accarezzato da donne ingio-iellate che sorseggiano the... invece si sta parlando di un pitbull di 23,5 kg che passa il suo tempo tra parchi dismessi e la panka! Ormai è la nostra amata mascotte! Peccato per il padrone...

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ALLA FINE, NON SONO GLI ANNI DELLA TUA VITA CHE CONTANO E' LA VITA CHE C'E' STATA NEI TUOI ANNI ABRAMO LINCOLN

I RAGAZZI DELLA PANCHINACAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALEDE I RAGAZZI DELLA PANCHINA