lavoratori poveri e decent work

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Versione italiana del pilot study realizzato da Iscos Piemonte nell'ambito del progetto Decent Work e Industrial Relations

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Page 1: Lavoratori poveri e decent work

Relazioni industrialie decent work

LA SITUAZIONE DEI LAVORATORI POVERI IN ITALIA

Page 2: Lavoratori poveri e decent work

IntroduzioneL’Italia è caratterizzata da una grande diffusione di situazioni di povertà: è consid-erato “relativamente povero” chi ha un reddito disponibile inferiore al 60% del red-dito mediano nazionale. Nel Rapporto sulla povertà in Italia pubblicato nel 2011 l’istituto centrale di statistica (Istat) colloca tale soglia, per una famiglia di due per-sone a 992,46 euro al mese1 .La soglia indicata da Istat varia a seconda del numero di componenti del nucleo famigliare come indicato nella tabella che segue:

Secondo l’XI Rapporto annuale su povertà ed esclusione sociale le famiglie al di sotto della soglia di povertà erano 2.734.000 nel 2011 (8.272.000 persone pari al 13,8% della popolazione). Sia il dato relativo alle persone sia quello relativo alle famiglie è in leggero aumento rispetto all’anno precedente2 .UnaUna prima ragione dell’aumento della povertà è sicuramente la riduzione del numero degli occupati: secondo l’ultima edizione dell’annuario statistico dell’Istituto Centrale di Statistica (Istat)3 gli occupati al 31 dicembre 2010 erano circa 23 milioni, 153.000 in meno rispetto all’anno precedente. Questo dato risulta dalla marcata riduzione della componente italiana della forza lavoro parzialmente compensata da un aumento della quota straniera. Istat segnala, inoltre, che nel 2010 vi è stata una riduzione di 285.000 occupati a tempo pieno e indeterminato - occupazioneoccupazione standard – con riduzioni particolarmente forti nei settori industria (-190.000 addetti) e delle costruzioni (-14.000 unità) solo in parte bilanciati dal modesto incremento del settore servizi (+35.000 unità) che, come si dirà in questo pilot study, è uno dei settori a maggior concentrazione di lavoratori a basso reddito per i quali le condizioni del Decent Work non sono sempre accessibili.Come più volte ricordato da autorevoli fonti tra cui Caritas Migrantes l’aumento della componente immigrata della forza lavoro, a sua volta legata al continuo au-mento della popolazione straniera residente (+335.000 unità nel 2010), non inde-bolisce né il mercato del lavoro nel suo complesso né la posizione in esso dei lavora-tori italiani. I lavoratori migranti infatti vanno a occupare posizioni meno qualificate e per le quali non vi è competizione con i lavoratori italiani Il mancato arrivo dei lavoratori migranti non migliorerebbe la situazione ma render-ebbe stabili alcune carenze occupazionali. Va poi detto che attualmente, anche gli immigrati stanno pagando duramente gli ef-fetti della crisi e sono arrivati a incidere per un quinto sui disoccupati4. Una seconda ragione è invece legata alla precarizzazione dei rapporti di lavoro che si manifesta in due modi: con la riduzione del numero di lavoratori dipendenti a cui si applicano i contratti collettivi nazionali e con l’aumento dei lavoratori “indip-endenti”. Secondo dati Istat relativi all’agosto 2011 «i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 66,9% del totale degli occupati dipendenti»5 . Per quanto riguarda i lavoratori indipendenti, categoria che, come vedremo, com-prende al suo interno molte tipologie di rapporti contrattuali, è opportuno citare sia il dato Istat: 5 milioni e 700 mila al 31 dicembre 2010 sia il dato ricavabile dagli ar-chivi dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS): in base al quale il numero degli iscritti è complessivamente diminuito (-82.650).Inoltre è mutata la composizione della forza lavoro per quanto riguarda la tipologia di rapporti: a fronte della diminuzione dei lavoratori dipendenti (-97.215) vi è un forte aumento dei lavoratori indipendenti (+24.613)6 .

1. Istat, La povertà in Italia 2010 Roma, luglio 2011, in: www.istat.it

2. Caritas Italiana Fondazione Zancan: Poveri di diritti, Roma, ottobre 2011.

3. Istat, Annuario statistico 2011, Roma, dicembre 2011, in: www.istat.it

4.4. Caritas Migrantes, XXI Dossier Statis-tico immigrazione, Roma, ottobre 2011

5. Istat, Contratti collettivi e retribuzi-oni contrattuali, Roma, agosto 2011 in: www.istat.it

6. Inps, Rapporto annuale 2010, Roma, maggio 2011, in: www.inps.it

02“Secondo l’XI Rapporto an-nuale su povertà ed esclu-sione sociale le famiglie al di sotto della soglia di pov-ertà erano 2.734.000 nel 2011 (8.272.000 persone pari al 13,8% della popolazione). Sia il dato relativo alle per-sone sia quello relativo alle famiglie è in leggero au-mento rispetto all’anno precedente”

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7. Confindustria, Scenari economici n. 13, dicembre 2011

8.8. Si adotta qui la definizione di Michèle Lelièvre - Eric Marlier - Patrick Pétour, Un nouvel indicateur européen: les tra-vailleurs pauvres, luglio 2004. É la stessa definizione adottata dalla Com-missione Europea (Comitato per la pro-tezione sociale).

9. Cooperativa sociale: società commer-ciale caratterizzata dallo scopo mutual-istico (cioè il fatto di essere costituita per fornire direttamente ai propri soci beni, servizi od occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul libero mercato), dall’assenza di finalità lucrative e dal fatto di svolgere un’attività in settori di utilità sociale (servizi assistenziali o educativi, inserimento lavorativo di sog-getti svantaggiati).

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DalDal momento che secondo le previsioni economiche 2012 della principale organiz-zazione datoriale italiana7 nei prossimi anni si assisterà a un calo del Prodotto In-terno Lordo -1,6% e degli occupati (-800.000 unità), l’aumento delle attività indip-endenti non sta ad indicare un’economia vitale e fortemente auto-imprenditoriale ma l’impoverimento dei lavoratori costretti a “diventare formalmente lavoratori in-dipendenti” pur restando nella sostanza lavoratori dipendenti (a costo inferiore per il datore di lavoro).Un’ulteriore forma di “lavoro povero” è il lavoro nero (sottratto cioè a qualsiasi im-posizione fiscale e a tutti gli oneri contributivi). Si tratta di un fenomeno difficile da rilevare con statistiche ufficiali ma che secondo Istat ha avuto nel 2010 un’incidenza pari al 17.3% del Prodotto Interno Lordo e che coinvolge soprattutto i cittadini immi-grati senza permesso di soggiorno.A partire da questa ricostruzione del contesto, abbiamo fatto riferimento alla defi-nizione di working poor validata a livello europeo8 : «persona che nell’anno di riferi-mento è principalmente al lavoro – cioè lavora per almeno sei mesi all’anno - come salariato o come indipendente e vive in seno a una famiglia il cui reddito totale si situa al di sotto della soglia del 60% del reddito mediano nazionale equivalente»; Data la situazione italiana, lavoratori che rientrano nella succitata definizione sono presenti in molti settori: l’edilizia, il lavoro di cura, i servizi (in particolare le puli-zie), il commercio (in particolare la grande distribuzione organizzata), le coopera-tive sociali9 e, per le professioni altamente qualificate, gli studi professionali. A tutte queste persone viene di fatto negate il diritto sancito dall’articolo 36 della Costituzione italiana secondo il quale «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».

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Il quadro legislativo Il testo normativo di riferimento è a tutt’oggi il decreto legislativo 276/200310 che su delega del Parlamento11 ha riformato le tipologie di rapporto di lavoro già esistenti e ne ha introdotte di nuove assumendo l’ipotesi che in una congiuntura economica dif-ficile fosse più facile creare lavoro disponendo di tipologie contrattuali più flessibili e meno onerose per il datore di lavoro.L’articolo 4 del decreto legislativo prevede anche l’istituzione di un «albo delle Agenzie per il lavoro», cioè di imprese private che, dopo aver concluso una proce-dura di accreditamento, sono autorizzate a svolgere attività di somministrazione, in-termediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione pro-fessionale.Viene così introdotto anche in Italia il lavoro in somministrazione: nel quale il lavora-tore diventa dipendente dell’agenzia che lo colloca in “missione” presso l’azienda che lo richiede. La legge prevede che le aziende possano fare ricorso al lavoro in somministrazione anche per la loro attività ordinaria ma soltanto «in presenza di ra-gioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e pr-estatori di lavoro più rappresentative»12 .I contratti di somministrazione sono stipulati a tempo determinato con durata equivalente alla missione assegnata al lavoratore, anche se la legge prevede che per alcune specifiche mansioni13 possano essere stipulati contratti di somministrazione a tempo indeterminato (vedremo al paragrafo 5 che questo ha consentito anche lo sviluppo di buone pratiche).SulSul piano delle relazioni industriali la comparsa di un nuovo soggetto datoriale, le Agenzie per il lavoro, crea differenze sostanziali tra lavoratori impiegati nella stessa azienda e addetti alle stesse mansioni che però interloquiscono con controparti di-verse e hanno differenti prospettive di stabilità e continuità dell’occupazione, pur avendo lo stesso contratto nazionale di riferimento Un’altra novità introdotta è la maggiore flessibilità consentita nella gestione dell’orario di lavoro dei dipendenti con contratto part time, grazie alla possibilità che viene data al datore di lavoro di avere meno vincoli nella richiesta di lavoro straordinario o nell’inserimento nei contratti di clausole di flessibilità. Anche qui ri-sulta evidente che questo quadro normativo crea di fatto lavoratori deboli, costretti ad accettare condizioni di lavoro “non decente”.Il decreto legislativo interviene anche sui lavori indipendenti disciplinandone gli isti-tuti in un modo che, nelle intenzioni del legislatore, doveva garantire il passaggio a forme di lavoro più stabili e tutelate ma che nella realtà prolunga nel tempo le situ-azioni di flessibilità trasformandola in precariato. Questa situazione trova conferma nelle tendenze evidenziate nell’introduzione del pilot study facendo riferimento a dati Inps e Istat in relazione al continuo calo dei la-voratori dipendenti e al costante aumento dei lavoratori non dipendenti, Viene ad esempio posto un tetto massimo alle collaborazioni occasionali, cioè quelle per le quali il datore di lavoro non ha alcun onere di protezione sociale e ha soltanto l’onere fiscale (20% sul compenso lordo). Il limite è di 6.250 euro lordi e 30 giornate lavorative nell’anno ed è posto nell’ipotesi che superata tale soglia si passi a rap-porti di lavoro più stabili e garantiti cosa che, però, solitamente non avviene.Dopo la collaborazione occasionale si passa, quando vi sono condizioni favorevoli in termini di prospettive di lavoro e di buoni rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, al contratto a progetto che vedremo non essere né stabile né tutelato.QuandoQuando le condizioni non ci sono (anche solo perché il datore di lavoro sceglie di comprimere al massimo i costi del lavoro per salvaguardare la redditività e la com-petitività della sua azienda) la sola strada che resta accessibile al lavoratore è quella di trasformarsi formalmente in libero professionista, magari già sapendo che non sarà propriamente “libero” nel senso che non potrà né sottrarsi ai vincoli organizza-tivi posti dal suo “datore di lavoro” né prestare la propria opera a più committenti, come dovrebbe essere normale per i liberi professionisti.Questi lavoratori si trovano ad avere mansioni e carichi di lavoro in tutto e per tutto simili a quelle dei lavoratori dipendenti, essendo quindi impossibilitati ad integrare

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10. Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30.

11.11. Cfr. legge 30 del 26 febbraio 2003 Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276

12. Art. 20 comma 4 D.lgs. 276/2003

13.13. servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, pulizia, custodia, portineria; trasporto di persone, movi-mentazione di macchinari e merci, ges-tione di biblioteche, parchi, musei, ar-chivi, magazzini, consulenza direzion-ale, marketing, gestione di call centerl'avvio di nuove iniziative imprendito-riali nelle aree Obiettivo 1, costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territo-riali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente

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14. Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368 "Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato con-cluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES" - Legge 24 dicembre 2007 n. 247 Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità - Legge 6 agosto 2008, n. 133 "Conver-sione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo svi-luppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria".

“Il caso dei contratti di collaborazione a progetto è ancora più emblematico di come la flessibilità (introdotta per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro) non si coniughi con la sicurezza dell’occupazione. sicurezza dell’occupazione. Il lavoro flessibile diventa così lavoro precario e questo indebolisce anche la possibile azione delle relazioni industriali e del dialogo sociale”

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il proprio reddito, in genere modesto, offrendo le loro prestazioni ad altri commit-tenti, pur non avendo le garanzie di un rapporto dipendente in termini di salario, condizioni di lavoro e protezione socialeIn questi casi la costruzione delle buone relazioni è lasciata alle scelte dei singoli; raramente un libero professionista che di fatto lavora come se fosse un lavoratore subordinato chieda l’intervento del sindacato per vedere riconosciuta la vera natura del rapporto, sapendo che anche qualora ottenesse il riconoscimento dei suoi diritti si troverebbe a lavorare in condizioni ambientali insostenibili.IlIl caso dei contratti di collaborazione a progetto è ancora più emblematico di come la flessibilità (introdotta per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro) non si coni-ughi con la sicurezza dell’occupazione. Il lavoro flessibile diventa così lavoro pre-cario e questo indebolisce anche la possibile azione delle relazioni industriali e del dialogo sociale.Attivando un contratto a progetto il datore di lavoro non è vincolato alle retribuzioni orarie previste dai contratti nazionali di lavoro e sostiene costi contributivi e fiscali più contenuti rispetto a quelli previsti dal lavoro dipendente, mentre il lavoratore resta formalmente un lavoratore indipendente. Il contratto di collaborazione a pro-getto: - deve contenere informazioni dettagliate sul progetto che viene affidato al la-voratore;- non può essere attivato per mansioni che sono strutturali all’organizzazione e al funzionamento dell’azienda ma deve indicare espressamente un’attività che ha un inizio e una fine;- non può prevedere per il lavoratore né un orario stabilito né un monte ore, né l’obbligo di coordinarsi con l’organizzazione aziendale se non nei limiti dell’attività assegnata;- può essere prorogato una sola volta;QuestiQuesti vincoli sono stati posti con l’obiettivo di far diventare i contratti a progetto dei veri e propri contratti di ingresso che, dopo la sola proroga ammessa, dovrebbero evolvere in contratti di lavoro dipendente.NellaNella realtà però succede che i lavoratori a progetto vengono spesso destinati a man-sioni strutturali per il funzionamento di un’azienda (con conseguente definizione, al di fuori di quanto scritto nel contratto, di un monte ore e di un orario di lavoro) e che il contratto venga rinnovato più volte cambiando, molto spesso solo sulla carta, il progetto affidato al lavoratore.Sul piano delle relazioni industriali il fatto che le garanzie previste dal contratto a progetto non vengano applicate correttamente mette questi lavoratori in una po-sizione di debolezza (vale quanto detto sopra a proposito dei liberi professionisti) talvolta aggravata da una scarsa consapevolezza dei propri diritti e della possibilità di trovare nel sindacato un interlocutore al quale rivolgersi.Il decreto legislativo 276/2003 non interviene, infine sui contratti a termine che sono disciplinati da altre normative14 anch’esse oggetto di recenti interventi miranti a rendere questo tipo di contratto più flessibile e più utilizzabile da parte dei sog-getti datoriali. Anche in questo caso, però misure introdotte per agevolare l’ingesso nel mondo del lavoro finiscono per precarizzare i lavoratori (che non hanno certezze sulla loro prospettiva lavorativa, essendo costretti a passare da un contratto all’altro) e per indebolirli sul piano delle relazioni industriali.

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Caratteristiche delle condizioni di lavoro Per comprendere a fondo le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno della pov-ertà lavorativa è necessario superare la distinzione tra lavoratori dipendenti tutelati e lavoratori non dipendenti privi di tutele. Oggi in Italia la forza lavoro è costituita da lavoratori dipendenti standard, lavoratori dipendenti non standard e lavoratori non dipendenti.Lavoratori dipendenti standard - Sono coloro che hanno un contratto a tempo pieno e indeterminato e possono diventare lavoratori poveri se svolgono mansioni poco qualificate o se sono sotto-inquadrati.Di seguito uno schema che riepiloga i livelli massimi e minimi previsti dai contratti nazionali di riferimento:

II dati della tabella precedente che si riferiscono a importi lordi, (comprensivi cioè delle tasse la cui aliquota è del 23% per i redditi fino a 15.000 euro e del 27% per i redditi tra i 15.000 e i 28.000 euro) vanno confrontati con quelli contenuti nella ta-bella di pag. 1 relativa alle soglie Istat di povertà relativa che fanno invece riferi-mento al reddito disponibile. Come si ricorderà la forbice indicata da Istat va da un minimo di di 595,48 euro per le famiglie monopersonali ad un massimo di 2.381 euro per famiglie composte da sette o più persone.MettendoMettendo a confronto i dati risulta abbastanza evidente come i lavoratori che per-cepiscono redditi lordi pari a quelli indicati nella parte sinistra della tabella (colonna A.1) sono poveri (un addetto a lavoro di cura che ha un reddito lordo mensile di 675,50 euro lordi e non vive in un nucleo uni personale) o a forte rischio di povertà (si pensi da esempio ad un lavoratore che guadagna 1.300 euro al mese lordi ma è il solo percettore di reddito in una famiglia di 3-4 persone).I lavoratori che percepiscono redditi lordi pari a quelli riportati nella parte destra della tabella (colonna B.1 godono di una maggiore protezione ma tali livelli redditu-ali si riferiscono soltanto ai livelli più alti e ai contratti full time, in calo sul totale della forza lavoro e sempre meno utilizzato per i giovani: i lavoratori che raggiun-gono i livelli di reddito più elevati indicati in tabella sono dunque relativamente pochi (meno di uno su tre). La situazione dei lavoratori edili è particolare in quanto è vero che il contratto nazi-onale fissa standard retributivi che li collocano al di sopra delle soglie Istat anche quando i livelli di inquadramento sono bassi, è anche vero che in edilizia sono molti i lavoratori in nero, soprattutto cittadini extracomunitari in posizione irregolare, (pagati di solito 3 – 5 euro l’ora) e gli artigiani per i quali il rapporto di lavoro dipendente è “nascosto” da un rapporto di lavoro indipendente.Inoltre nel settore edilizia ci sono spesso problemi per la salute e la sicurezza dei la-voratori, sia per quelli assunti in nero (privi di qualsiasi copertura) sia per quelli as-sunti regolarmente come dipendenti e per i lavoratori indipendenti. Il Codice sugli appalti pubblici , infatti, privilegia l’offerta con il massimo ribasso e questo porta le imprese a competere comprimendo i costi e tagliando proprio sulla sicurezza dei la-voratori, nonostante una normativa che, se applicata correttamente, sarebbe molto tutelante in termini di turni e orari di lavoro, di formazione dei lavoratori e di attrezzature e dispositivi di sicurezza obbligatori.

15. Grande distribuzione organizzata.

16. Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

17. Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, modificato dal Decreto Legislativo n. 106 del 3 agosto 2009.

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18. Tratto da Intervista a Anna, lavora-tore

“Le situazioni di sottoinquadramento si verificano con i lavoratori stranieri (che non sempre hanno gli strumenti necessari per rilevare le violazioni commesse ai loro danni e per far valere i loro diritti ) far valere i loro diritti ) oppure in tutte quelle aziende che lavorano per committenti pubblici o privati attraverso l’aggiudicazione di appalti”

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Il reddito dei lavoratori delle cooperative sociali può essere più basso dei compensi indicati in tabella sia nella fase iniziale del rapporto di lavoro (quando è necessario sottoscrivere la quota sociale che può arrivare anche a 3000 euro) sia nelle fasi suc-cessive quando il lavoratore, in quanto socio è chiamato a ricapitalizzare in caso di perdite di esercizio o quando (e non è infrequente in tempo di crisi) le cooperative vengono pagate in ritardo dai loro committenti pubblici o privati.Le situazioni di sottoinquadramento si verificano con i lavoratori stranieri (che non sempre hanno gli strumenti necessari per rilevare le violazioni commesse ai loro danni e per far valere i loro diritti ) oppure in tutte quelle aziende che lavorano per committenti pubblici o privati attraverso l’aggiudicazione di appalti. Una nuova im-presa che subentra ad un’altra a seguito dell’aggiudicazione di un appalto è tenuta, in base alla cosiddetta “clausola sociale”a confermare i lavoratori impiegati dall’impresa precedente che però rischiano di ricevere un trattamento economico peggiorepeggiore per riduzione del monte ore (gli appalti si vincono con il miglior ribasso e quindi tutte le imprese cercano di ridurre le ore/lavoro impiegate) o a causa del mancato riconoscimento dell’anzianità pregressa.Sulla base di questi dati non si può negare l’esistenza di una crescente vulnerabilità sociale tra i lavoratori standard: ma le loro condizioni di lavoro sono tutelate dalle relazioni industriali anche se il quadro delle relazioni industriali si è fatto sempre più problematico.

Lavoratori dipendenti non standard - Rientrano in questa categoria tutti i lavora-tori dipendenti a tempo parziale o a tempo determinato e i lavoratori somministrati, cioè dipendenti delle Agenzie per il lavoro, che vengono “mandati in missione” presso le aziende richiedenti. Si tratta nella maggior parte dei casi di lavoratori gio-vani (al di sotto dei 35 anni) e di donne (visti i settori in cui queste forme contrattuali sono maggiormente utilizzate).Queste tipologie di contratto sono molto diffuse nel settore servizi, dove riguardano ormai il 22% della forza lavoro, con punte particolarmente elevate negli ambiti ris-torazione e turismo (65%), servizi di supporto alle imprese (59,7%) e commercio (38%).

Questi lavoratori sono a basso reddito perché hanno la stessa paga oraria dei lavora-tori full time ma hanno un monte ore lavoro più basso (un lavoratore part time in-quadrato a livello medio in questi settori raggiunge un reddito di 600 – 700 euro men-sili) e spesso non vivono situazioni di Decent Work in quanto:

- Spesso il part time non è scelto del lavoratore per conciliare i tempi di lavoro e i tempi di vita ma imposto dal datore di lavoro come condizione per il mantenimento dell’occupazione.

- Il monte ore non sempre raggiunge le 20 ore settimanali ed è distribuito con «orari spezzati»18 e turni anche molto brevi: nella grande distribuzione, nelle im-prese di pulizie e nel settore dei servizi socio assistenziali ci sono lavoratori che per raggiungere il luogo di lavoro ed effettuare turni della durata di un’ora impegnano circa metà della loro giornata lavorativa. È evidente che situazioni di questo tipo im-pediscono di conciliare più lavori per raggiungere livelli di reddito più elevati.

- Al lavoratore part time è richiesta un’elevata disponibilità alla flessibilità: sia perché i turni vengono comunicati con un preavviso di quarantotto ore sia perché può essere richiesto di distribuire i suoi turni su diverse sedi operative (fenomeno piuttosto frequente nelle catene della grande distribuzione organizzata che recluta manodopera attraverso le Agenzie per il lavoro).

- Per i lavoratori a tempo determinato, siano essi full time o part time esiste, infine il rischio della discontinuità lavorativa.

LavoLavoratori indipendenti - Rientrano in questo gruppo i collaboratori occasionali, i liberi professionisti e i collaboratori a progetto. Sono in maggioranza giovani con el-evati livelli di istruzione o, nel settore dell’edilizia, cittadini stranieri che trasfor-mano in indipendente un rapporto di lavoro dipendente. Sono lavoratori a basso red-dito perché:

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- I livelli retributivi orari non sono vincolati ai contratti collettivi nazionali.- Il compenso viene in genere definito forfettariamente ed è vincolato al raggi-ungimento di un obiettivo o di un risultato, ma la prestazione convenuta richiede in genere un monte ore rigidamente predeterminato tale per cui la retribuzione oraria effettiva è talvolta molto bassa (7-8 euro l’ora anche per professionalità altamente qualificate).- Il reddito disponibile è ulteriormente abbassato (fino al 50%) poiché sul com-penso ricevuto il lavoratore deve pagare per intero tasse e contributi.Le condizioni di lavoro non decente sono quindi dovute a: - bassa retribuzione (nel caso delle professioni più qualificate è particolarmente grande lo scarto tra la professionalità e il livello retributivo);- livelli di protezione sociale bassi o assenti in caso di malattia;- bassi versamenti previdenziali (i lavoratori di questa categoria saranno i pen-sionati poveri del futuro);- limitati margini di contrattazione nella definizione dei compensi e degli orari di lavoro.

Relazioni industriali

La struttura delle relazioni industriali risente della tripartizione della forza lavoro vista nel paragrafo precedente.

I lavoratori standard sono ancora oggi i più tutelati in quanto hanno un quadro nor-mativo stabile, livelli di sindacalizzazione abbastanza elevati (anche se in calo ris-petto al passato) e relazioni industriali consolidate e accessibili (anche se nel con-testo della crisi economica gli ambiti della contrattazione aziendale risultano inde-boliti).

I lavoratori non standard accedono solo parzialmente al consolidato sistema di relazioni industriali. Ad esempio, per le condizioni nelle quali lavorano, non riescono ad esercitare pienamente il diritto di associazione sindacale costituzionalmente gar-antito. Sono piuttosto frequenti storie di lavoratori che, in seguito a «contatti con il sindacato»19 vengono discriminati.

Storie di questo tipo restano spesso nascoste ma trovano un riscontro nel basso tasso di sindacalizzazione dei lavoratori non standard e nel fatto che, soprattutto per i contratti a termine, sono molto pochi i casi di vertenza e si aprono in genere quando il rapporto di lavoro è concluso.

I lavoratori indipendenti non accedono in quanto tali al sistema delle relazioni indus-triali: la contrattazione avviene tra il singolo lavoratore e il datore di lavoro commit-tente.

Di conseguenza le relazioni industriali hanno meno possibilità di incidere sulla creazione di condizioni di lavoro decente sono quelli del lavoro non standard e del lavoro indipendente.

EntrambiEntrambi pongono alle organizzazioni sindacali nuove sfide sul piano culturale e or-ganizzativo: si tratta di raggiungere, organizzare, rappresentare e tutelare lavora-tori «sparsi sul territorio»20, fisicamente e culturalmente distanti dal sindacato in parte perché stranieri (soprattutto i caregiver) e in parte perché hanno poco accesso alle informazioni su quello che può essere il ruolo del sindacato nella difesa dei loro diritti.

Proprio al fine di raggiungere gli obiettivi enunciati sopra, negli ultimi anni i sinda-cati confederali italiani hanno dato vita alle Categorie Sindacali FeLSA CISL21, NIdL22 CGIL, UIL-Tem.p@23, grazie alle quali sono state portate a compimento alcune buone pratiche, e la cui costituzione rappresenta il riconoscimento dei cambiamenti avve-nuti nel mondo del lavoro e della necessità di inserire stabilmente anche i lavoratori non standard e quelli indipendenti in uno schema consolidato di relazioni industriali.

19. Tratto da. intervista a Claudio Tec-chio, Stakeholder

20. Tratto da: intervista a Tiziana Tripodi, Stakeholder

21. FeLSA: Federatione Lavoratori Som-minisdstrati Atipici

22. NIdL: Nuove identità di lavoro

23. Categoria nazionale lavoratori tem-poranei atipici e autonomi

08“I sindacati confederali italiani hanno dato vita alle Categorie Sindacali FeLSA CISL, NIdL CGIL, UIL-Tem.p@ , grazie alle quali sono state portate a compimento alcune buone pratiche, e la cui costituzione rappresenta il riconoscimento rappresenta il riconoscimento dei cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro e della necessità di inserire stabilmente anche i lavoratori non standard e quelli indipendenti in uno schema consolidato di relazioni consolidato di relazioni industriali”

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24. Cfr. http://www.cgil.bg.it/comunicati/2011/stabilizzazione_collaboratori_isonzo.htm

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L’esclusione dei lavoratori non standard dal sistema consolidato delle relazioni in-dustriali condiziona spesso anche il “sistema di gestione delle risorse umane” messo in atto a livello di settore o di azienda.Il lavoratore non standard non è infatti quello che si trova all’inizio del suo percorso lavorativo ma quello che “costa” di meno, vincola di meno l’azienda e, dal punto di vista delle relazioni industriali è quello che si trova in una posizione più debole. La tendenza prevalente, dunque, non è quella di scegliere le tipologie contrattuali più flessibili per facilitare l’ingresso di nuovi lavoratori, accompagnando questi con-tratti con con scelte di investimento sulla qualificazione professionale e sulla crescita dei lavoratori ma di usare queste forme di contratto per contenere i costi e salvaguardare la posizione dell’impresa in termini di competitività.Anche da questo punto di vista le organizzazioni sindacali sono di fronte a grandi sfide: non si tratta soltanto di raggiungere i lavoratori per organizzarli, rappresen-tarli e tutelarli, ma anche di essere tra i promotori di un processo di cambiamento culturale oltre che organizzativo che metta ai primi posti l’investimento sui lavora-tori in termini di conoscenza e crescita professionale.

Buone pratiche

Stabilizzazione di lavoratori indipendenti – In alcuni casi questa avviene grazie a una vertenza e quindi si tratta di una “buona” pratica soltanto se serve a far applicare correttamente la normativa in casi analoghi. È il caso di un’importante azienda pri-vata del settore logistica e trasporti che nel maggio 2011 ha trasformato il contratto a progetto di oltre 400 collaboratori in contratto di lavoro dipendente a tempo inde-terminato. La vicenda era iniziata nel 2009 quando i sindacati «avevano chiesto la stabilizzazione ritenendo l’uso della collaborazione a progetto improprio per le mansioni, gli orari prestabiliti e la mancanza di autonomia nello svolgimento dell’attività». Benché questo risultato sia il frutto di relazioni industriali a tratti con-flittuali si può comunque considerare una “buona pratica” per due ordini di ragioni. In primo luogo perché il risultato è stato raggiunto «a seguito della sindacalizzazone dei collaboratori»24 e in secondo luogo perché, dal momento che l’azienda opera su tutto il territorio nazionale, l’accordo è stato esteso a tale ambito.In altri casi alla stabilizzazione si è pervenuti grazie a relazioni industriali non con-flittuali e alla collaborazione delle Agenzie per il lavoro. È quanto è accaduto in due ospedali nei quali 166 operatori socio-sanitari (38 in Piemonte e 128 in Campania), dopo un contratto di somministrazione a tempo determinato, sono stati assunti a tempo indeterminato dalle Agenzie per il lavoro; in Campania è stata coinvolta anche l’Amministrazione regionale che ha sostenuto l’azione delle Agenzie per il lavoro con un incentivo economico).Si tratta in entrambi i casi di pratiche virtuose orientate alla responsabilità sociale d’impresa. Le Agenzie per il lavoro accettano di assumersi una parte del rischio de-rivante dalla necessità di ricollocare i lavoratori: questo rischio è tanto più conte-nuto quanto più sono alte e collocabili le professionalità. Per questa ragione, affin-ché questo modello virtuoso possa trovare ampi spazi di utilizzo è importante com-pletarlo attraverso gli investimenti sulla formazione dei lavoratori.

Concertazione territoriale – È una forma negoziale che ha caratterizzato per lungo tempo il dialogo sociale in Italia e sancisce un ruolo del sindacato nella definizione dei livelli tariffari e degli standard qualitativi dei servizi essenziali, tutelando al tempo stesso il cittadino fruitore di servizi e il lavoratore impiegato nell’erogazione dei servizi.L’esperienza qui riportata è relativa alla “Task Force sulla residenzialità per gli anzi-ani”.«Nel corso di questa esperienza (iniziata nel 2005 e terminata nel 2010) Regione Pie-monte, Comuni, Consorzi, imprenditoria sociale, una Federazione delle organiz-zazioni di volontariato e i sindacati, sia quelli confederali che tutelano gli interessi generali, sia quelli di categoria che tutelano le condizioni di lavoro dei lavoratori

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hanno definito le regole e gli standard dei servizi che dovevano essere offerti in una casa di riposo trovando un punto di equilibrio tra le risorse disponibili e gli obiettivi di qualità»25. Si è così delimitato il perimetro dentro il quale si è lavorato per costru-ire l’offerta dei servizi.Si tratta di una buona pratica di dialogo sociale in quanto il sindacato non interagisce soltanto con la sua “controparte naturale” cioè i datori di lavoro ma anche con le is-tituzioni che hanno la responsabilità politica ed economica dell’erogazione dei servizi essenziali al cittadino.In una fase storica in cui a causa dei tagli ai bilanci pubblici, gli appalti collegati alla fornitura di servizi al cittadino vengono vinti dalle aziende che praticano il prezzo più basso è forte il rischio di un abbassamento della qualità e di un peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori che questi servizi erogano. É allora impor-tante segnalare il coinvolgimento del sindacato in questa Task Force come garante dei diritti di cittadinanza.

Conclusioni Attraverso questo Pilot study è stata delineata una “mappa delle categorie a rischio” di lavoro non decente a basso reddito:

- cittadini stranieri: impiegati nel lavoro di cura o nell’edilizia (spesso in nero);

-- lavoratori giovani (di età inferiore ai 35 anni) che non riescono ad accedere all’area del lavoro standard, entrano nel mercato del lavoro utilizzando gli strumenti di flessibilità previsti dal legislatore (contratti non standard, contratti di lavoro in-dipendente che mascherano un contratto di lavoro dipendente) e non riescono a far evolvere la loro carriera verso contratti più remunerativi e stabili;

- donne: impiegate nei servizi alle imprese (pulizie) e nel settore socio-sanitario con paghe orarie basse, monte ore limitati e grandi richieste di flessibilità da parte del datore di lavoro.

Sono inoltre stati individuati i nodi critici che impediscono di creare un quadro di relazioni industriali che sia ugualmente efficace per tutti i lavoratori :

- uso improprio della normativa vigente in particolare per quanto riguarda i con-tratti non standard;

- tendenza a non operare investimenti sui lavoratori e sul lavoro (anche a livello di gestione delle risorse umane e non solo di relazioni industriali). Si tratta di una tendenza culturale che discende dall’improprio uso della legislazione i cui obiettivi reali (facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro) vengono disattesi sistematica-mente determinando una fragilità e una debolezza strutturale dei lavoratori.

- grandi differenze nel mondo del lavoro e in un mercato definito «duale» in cui a una quota sempre più ristretta di lavoratori “standard” pienamente tutelati dai con-tratti nazionali e da un consolidato sistema di relazioni industriali coesiste con una quota sempre più ampia di lavoratori per i quali queste tutele risultano attenuate (in base alla normativa o in base alla prassi) o inesistenti (come nel caso dei liberi pro-fessionisti e dei lavoratori a progetto);

- difficoltà di azione del sindacato soprattutto nelle aree del lavoro non standard e del lavoro indipendente in cui i lavoratori sono più difficili da raggiungere (anche fisicamente), da organizzare e da rappresentare;

- necessità per le organizzazioni sindacali di essere attive nel promuovere un pro-cesso di cambiamento che intervenga anche sul piano culturale che renda prioritaria la dimensione degli investimenti sulla crescita dei lavoratori e quindi, nel medio-lungo periodo, delle imprese e dell’economia.

- esistenza di buone pratiche sia in tema di relazioni industriali (quando il sin-dacato è parte attiva nello stabilizzare lavoratori precari) sia sul piano del dialogo sociale (quando nelle esperienze di concertazione si pone come garante nei con-fronti del cittadino fruitore di servizi e del lavoratore che quei servizi eroga).

25. Tratto da intervista a Riccardo Negrino – stakeholder

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Raccomandazioni

In sede di raccomandazioni conclusive è opportuno ricordare che la grave crisi in corso richiede a istituzioni, forze politiche, parti sociali e società civile uno sforzo comune per arrivare, senza mettere a rischio la coesione sociale, alle riforme strut-turali che oggi sono al centro del dibattito politico.Particolarmente importante per garantire a tutti condizioni di Decent Work potrebbe essere una riforma del mercato del lavoro con la quale si vada oltre l’attuale uso prolungato di strumenti di flessibilità rendendo accessibile a tutti il lavoro standard e al tempo stesso rendendo possibili e non traumatiche le transizioni professionali. Per la realizzazione di quest’ultimo obiettivo rivestono importanza fondamentale la formazione continua dei lavoratori e il reddito minimo di cittadinanza.AltrettantoAltrettanto importante, e secondo alcuni prioritaria rispetto alle riforme strutturali, è la ripresa degli investimenti pubblici e privati e anche su questo punto le istituzi-oni, le forze sociali e politiche saranno chiamate a confrontarsi.In questo quadro generale vi sono alcune raccomandazioni specifiche che si possono rivolgere:

Alle Istituzioni:

a) Maggiore ricorso alla concertazione territoriale soprattutto laddove sono in gioco i servizi al cittadino pagati con la fiscalità generale e con la partecipazione degli utenti (es. ticket sanitari). La concertazione consente di individuare un punto di equilibrio sostenibile per tutti che non può prescindere dal fatto di garantire lavoro decente ad un più ampio numero di lavoratori.

b)b) Miglioramento della normativa sugli appalti in modo da non usare in maniera prevalente o esclusiva il criterio del massimo ribasso dell’offerta economica soprat-tutto laddove questo mette a rischio la qualità dei servizi erogati al cittadino e le condizioni di lavoro dei lavoratori, come accade spesso nell’edilizia e nel settore socio-sanitario. Si tratta di inserire questa questione nei capitolati degli appalti e di responsabilizzare al rispetto degli stessi sia gli Enti che appaltano sia le imprese che forniscono servizi. I lavoratori, tramite le organizzazioni sindacali, devono potersi rivolgererivolgere a tutte le parti coinvolte in un appalto per far valere i loro diritti quando questi non sono rispettati.

c) Intensificazione dei controlli finalizzati a far emergere il lavoro nero (soprattutto nei cantieri), le situazioni in cui ai lavoratori non vengono riconosciuti tutti i loro di-ritti (soprattutto per quanto riguarda la protezione e la previdenza sociale) e le situ-azioni dei lavoratori indipendenti a cui è di fatto imposto un rapporto di lavoro dipendente (liberi professionisti con un solo cliente, collaboratori a progetto tenuti al rispetto di un monte ore e di un orario). Nel settore dell’edilizia, poi, una mag-giore applicazione dei controlli comporterebbe anche l’emersione del lavoro nero da un lato e il miglioramento della sicurezza delle condizioni di lavoro dall’altro.

Ai datori di lavoro:

a) Investire negli enti bilaterali: cioè i luoghi di confronto tra rappresentanti dei la-voratori e dei datori di lavoro deputati alla regolazione del mercato del lavoro attra-verso attività come la promozione di occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda.

b) Mettere a sistema le buone pratiche di stabilizzazione dei rapporti di lavoro: se è vero che nel tempo della crisi e della globalizzazione alcune scelte delle imprese sono comprensibili a tutela della competitività e della redditività dell’impresa, è anche vero che scegliere di investire sulla forza lavoro e sul territorio in cui si opera potrebbe essere un segnale di responsabilità sociale importante per superare una crisi che è strutturale e che quindi richiede un profondo cambiamento culturale.

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