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L’ANNO LITURGICO E LE SUE CELEBRAZIONI Appunti dalle lezioni di don Massimo Canova L’anno liturgico è il ciclo temporale che comprende tutto il mistero Cristologico. L’anno liturgico non è una serie di settimane affastellate una dopo l’altra ma è una PERSONA, è il MISTERO DI CRISTO. È una realtà che si iscrive nella logica del tempo ed ha un ritmo temporale. La sequenza dell’anno liturgico si può così sintetizzare: AVVENTO; NATALE; Tutte le festività collegate al tempo di Natale; il BATTESIMO di GESÙ che conclude il periodo di Natale; TEMPO ORDINARIO che si conclude con il MERCOLEDÌ delle CENERI che dà inizio alla QUARESIMA (l’ultima domenica di Quaresima è detta delle Palme); la SETTIMANA SANTA (che inizia dalle Palme) ed è il fulcro di tutto l’anno liturgico. Da evidenziare nella Settimana Santa il TRIDUO PASQUALE: giovedì santo, Venerdì Santo, Veglia Pasquale e la Domenica di Pasqua; la DOMENICA di PASQUA dalla quale inizia tutto il ciclo del tempo Pasquale. TEMPO PASQUALE; la PENTECOSTE che è l’ultima domenica del tempo Pasquale; riprende il Tempo Ordinario che si conclude con: la domenica di CRISTO RE con la quale si chiude l’anno liturgico e la settimana dopo riprende l’Avvento. L’Anno Liturgico quindi non è una scansione temporale ma è la Persona di Gesù. Definizione di Liturgia Quando il Concilio Vaticano II ha parlato di Liturgia ha emanato la Costituzione dogmatica che tratta della Liturgia, il: “ Sacrosanctum Concilium”. Il Sacrosanctum Concilium definisce così la Liturgia: “La Liturgia è la prima indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino Spirito Cristiano”. Questa è una definizione molto importante, basilare, sulla quale vale la pena soffermarsi a riflettere. La Liturgia quindi è la PRIMA fonte ed è INDISPENSABILE sorgente. Alla sorgente si va per abbeverarsi. Nella Liturgia quindi si va a bere lo “Spirito Cristiano”. Di conseguenza chi ha a che fare con la Liturgia (quindi anche i musicisti, animatori liturgici, ecc) lavora, mette le mani sulla “sorgente che alimenta la vita della Chiesa”. Non si sta lavorando sui riccioli, sulle decorazioni , stiamo ponendo mano su un aspetto della vita della Chiesa, di cui la Chiesa stessa si nutre. Una volta che abbiamo “avvelenato” col nostro maldestro modo di fare questa sorgente, avveleniamo la fonte. Allora il musicista di chiesa, l’organista, il direttore di coro, l’animatore liturgico, deve rendersi conto che sta ponendo mano su una cosa molto delicata e importante. Quando si svolge un servizio pur volenteroso e onestamente intenzionato si deve sapere a cosa si sta mettendo mano per non rischiare di “inquinare” la sorgente. La Liturgia, infatti, è il “ primo indispensabile” (non ce n’è un altro) deposito da dove attingo il nutrimento della Chiesa, della mia Comunità, un Ente concreto a me vicino (il parroco, i nostri figli, parenti e tutte le persone che frequento in Parrocchia). Il nostro lavoro quindi non si rivolge all’estetica della Liturgia o almeno non solo ad essa (il canto è anche bellezza), ma è molto di più.

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L’ANNO LITURGICO E LE SUE CELEBRAZIONI Appunti dalle lezioni di don Massimo Canova

L’anno liturgico è il ciclo temporale che comprende tutto il mistero Cristologico. L’anno liturgico non è una serie di settimane affastellate una dopo l’altra ma è una PERSONA, è il MISTERO DI CRISTO. È una realtà che si iscrive nella logica del tempo ed ha un ritmo temporale. La sequenza dell’anno liturgico si può così sintetizzare:

� AVVENTO; � NATALE; � Tutte le festività collegate al tempo di Natale; � il BATTESIMO di GESÙ che conclude il periodo di Natale; � TEMPO ORDINARIO che si conclude con il � MERCOLEDÌ delle CENERI che dà inizio alla � QUARESIMA (l’ultima domenica di Quaresima è detta delle Palme); � la SETTIMANA SANTA (che inizia dalle Palme) ed è il fulcro di tutto l’anno liturgico. Da evidenziare nella

Settimana Santa il TRIDUO PASQUALE: giovedì santo, Venerdì Santo, Veglia Pasquale e la Domenica di Pasqua;

� la DOMENICA di PASQUA dalla quale inizia tutto il ciclo del tempo Pasquale. � TEMPO PASQUALE; � la PENTECOSTE che è l’ultima domenica del tempo Pasquale; � riprende il Tempo Ordinario che si conclude con: � la domenica di CRISTO RE con la quale si chiude l’anno liturgico e la settimana dopo riprende l’Avvento.

L’Anno Liturgico quindi non è una scansione temporale ma è la Persona di Gesù.

Definizione di Liturgia Quando il Concilio Vaticano II ha parlato di Liturgia ha emanato la Costituzione dogmatica che tratta della Liturgia, il: “Sacrosanctum Concilium”. Il Sacrosanctum Concilium definisce così la Liturgia:

“La Liturgia è la prima indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino Spirito Cristiano”.

Questa è una definizione molto importante, basilare, sulla quale vale la pena soffermarsi a riflettere. La Liturgia quindi è la PRIMA fonte ed è INDISPENSABILE sorgente. Alla sorgente si va per abbeverarsi. Nella Liturgia quindi si va a bere lo “Spirito Cristiano”. Di conseguenza chi ha a che fare con la Liturgia (quindi anche i musicisti, animatori liturgici, ecc) lavora, mette le mani sulla “sorgente che alimenta la vita della Chiesa”. Non si sta lavorando sui riccioli, sulle decorazioni, stiamo ponendo mano su un aspetto della vita della Chiesa, di cui la Chiesa stessa si nutre. Una volta che abbiamo “avvelenato” col nostro maldestro modo di fare questa sorgente, avveleniamo la fonte. Allora il musicista di chiesa, l’organista, il direttore di coro, l’animatore liturgico, deve rendersi conto che sta ponendo mano su una cosa molto delicata e importante. Quando si svolge un servizio pur volenteroso e onestamente intenzionato si deve sapere a cosa si sta mettendo mano per non rischiare di “inquinare” la sorgente. La Liturgia, infatti, è il “primo indispensabile” (non ce n’è un altro) deposito da dove attingo il nutrimento della Chiesa, della mia Comunità, un Ente concreto a me vicino (il parroco, i nostri figli, parenti e tutte le persone che frequento in Parrocchia). Il nostro lavoro quindi non si rivolge all’estetica della Liturgia o almeno non solo ad essa (il canto è anche bellezza), ma è molto di più.

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Cosa si celebra nella Liturgia? Ma vediamo ora cosa avviene nella Liturgia. Cosa si celebra in essa? A che cosa serve la celebrazione e perché la facciamo? Nella Liturgia si ascolta la parola di Dio e si risponde alla Parola di Dio tramite il Salmo e si celebra il memoriale (cioè l’attualizzazione della passione morte e risurrezione di Cristo; l’evento si realizza di nuovo, si rende presente). La Liturgia ci serve per nutrirci. Perché questa salvezza entra nell’esperienza delle persone. Noi celebriamo la Messa perché abbiamo bisogno di nutrirci. La comunione è un gesto simbolico, è il segno del Pane che genera la vita, che ci nutre. La Liturgia quindi viene celebrata per ricevere quella salvezza che il Padre ci ha dato in Cristo. Quindi noi celebriamo la Liturgia, l’anno liturgico scandito da tutte le feste, da tutti i tempi, dalle domeniche d’Avvento, Pasqua, ecc., perché abbiamo bisogno di nutrimento per la nostra fede, per la nostra vita spirituale. Dentro questa logica, mi nutro perché ho bisogno di crescere nell’esperienza della fede; il nutrimento serve perché dobbiamo crescere nella fede. Ecco spiegato il senso della definizione della Liturgia data dal Sacrosanctum Concilium.

Significato storico della celebrazione Per capire l’anno liturgico da dove si deve partire? Innanzi tutto dall’Antico Testamento, dall’esperienza dell’antico popolo d’Israele che era un popolo di pastori di nomadi. Per loro celebrare la festa significava celebrare un Dio che dava loro la natura, gli animali, ecc. Se la stagione andava bene e le pecore mangiavano, c’erano gli armenti floridi. Ma se questo non avveniva pativano la fame. Quindi per loro la Liturgia è prima di tutto una “richiesta”. Un’evoluzione, avviene quando Dio si fa conoscere (liberando Israele dalla schiavitù e tramite l’esodo) e avviene anche un passo verso la maturazione del popolo perché quando celebra la festa non celebra più soltanto per “chiedere” (ad esempio la pioggia utile alle coltivazioni) ma anche e soprattutto per ringraziare di averli liberati dalla schiavitù. Quello che si rileva però in questa evoluzione dell’antico popolo d’Israele è il modo, il ricordo attualizzante di questa storia di salvezza di cui il popolo era stato protagonista. Non era soltanto un “ricordo” ma una salvezza che continuamente veniva garantita da Dio. Era una realtà salvifica che si rinnovava. Per concludere e riassumere:

� 1° passo del popolo d’Israele: richiesta di protezione, benedizione (abbiamo bisogno di…); � 2° passo: abbiamo ricevuto, ci hai dimostrato che ci ami, ci hai liberati dalla schiavitù perciò quando noi ti

celebriamo, non celebriamo solo soltanto il bene che ci hai dato ma ti ringraziamo del bene più grande che è la salvezza stessa.

Quindi da una parte “i beni”, dall’altra “il bene” cioè la SALVEZZA. Questo è quello che gli Ebrei celebrano nella loro Liturgia. A noi Cristiani questo non basta. Abbiamo detto sopra che l’anno liturgico non è la scansione temporale del tempo (giorni, settimane, mesi) ma è la persona stessa di Gesù Cristo e allora tutto questo concetto che era proprio dell’antico popolo dell’alleanza viene rivisitato e compreso dentro il mistero di Cristo. Non è che tutto quello che era precedente a Gesù viene cancellato o rinnegato, anzi. Ci si pone in continuità. Quello che celebriamo noi cristiani è uno sviluppo naturale di quello che era già stato vissuto dall’antico popolo, tant’è che la Chiesa, nelle lettere di S.Paolo, viene rappresentata, con riferimento all’antico Israele, come il NUOVO ISRAELE. L’antico popolo non è stato cancellato o rinnegato, tutt’altro. Noi siamo il NUOVO e, secondo la teologia Paolina, il VERO ISRAELE, mentre Israele si è chiusa dentro i suoi limiti (non ci sono missionari ebrei, l’ebraismo non è una religione missionaria) e non è stato fedele a Dio credendo che l’aver avuto i loro patriarchi, profeti e le sacre scritture fosse sufficiente alla salvezza. Di conseguenza gli Ebrei non vogliono avere niente a che fare coi Cristiani. San Paolo sostiene che la Chiesa, la comunità cristiana è il NUOVO e il VERO ISRAELE, quello che non si è chiuso dentro alle proprie certezze ma è un popolo che si sente chiamato ad essere nel mondo per annunciare, per portare il Vangelo, la nuova notizia (andate, battezzate, fate popolo di Dio tutte le genti). Entriamo allora nella logica in cui i Cristiani hanno capito che Gesù Cristo (quelli che l’hanno conosciuto hanno capito che non era una fantasia, un’elucubrazione mentale, ma era realtà) e l’anno liturgico in senso stretto, quello che ci riguarda da vicino, in realtà altro non è che la contemplazione, la riflessione sulla persona di Gesù. L’anno liturgico cioè ci porta a contemplare la persona di Gesù Cristo.

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In questo grande mistero cristologico l’elemento di novità assoluta è la RISURREZIONE. Da sempre nella storia dell’umanità ci sono stati uomini che hanno fatto cose straordinarie, martiri ce ne sono sempre stati. Gesù ha avuto una cosa in più rispetto a tutti: la “risurrezione”. Il primo nucleo dell’anno liturgico gira tutto attorno al mistero della risurrezione di Cristo. Tutto parte dalla risurrezione. Quindi, ricapitolando le nostre riflessioni sul che cosa noi celebriamo nella Liturgia, dopo che abbiamo visto che cosa significava celebrare per gli Ebrei (invocazione e ringraziamento) passiamo a Gesù Cristo e all’interno del mistero di Gesù Cristo, la risurrezione, su cui ruota il primo nucleo liturgico. All’inizio si celebrava l’Eucaristia voluta da Gesù (fate questo in memoria di me). Le prime Eucaristie celebrate da Pietro e dagli Apostoli non venivano celebrate col Messale, non avevano la strutturazione di oggi. C’era l’anima di tutto questo, si celebrava la Pasqua. Ogni volta che si celebravano il “fate questo in memoria di me” celebravano la Pasqua del Signore. Poi questa Pasqua si è posta all’inizio di ogni settimana. Il primo giorno della settimana, infatti, non è il lunedì ma la domenica, quindi si celebrava di domenica. Comincia la prima strutturazione dell’anno liturgico, siamo verso il 148-150 d.C. È un periodo particolare, difficile per i Cristiani perché è il periodo delle persecuzioni della Chiesa. Le celebrazioni non sono strutturate come pensiamo noi e si svolgono di nascosto nelle “domus ecclesiae” (non c’erano le chiese, i tempi cristiani). I Cristiani si trovavano di nascosto nelle loro case con gli Apostoli voluti da Pietro, persone consacrate. Si comincia così a strutturare il ministero (i preti non c’erano, c’erano solo gli Apostoli che si possono considerare i Vescovi di allora). Nacque via via tutta la catena del ministero (da minus = servizio). Si celebrava la Pasqua di Cristo perché era la grande novità. Dentro questa logica ritroviamo i valori fondamentali anche per noi. Guardare alle origini non è fare cultura (almeno non solo) ma serve soprattutto a capire noi oggi cosa celebriamo.

Celebrare la Pasqua dei martiri Una seconda sottolineatura importante che si vuole fare è che non si celebrava solo la Pasqua di Cristo ma anche la Pasqua dei Cristiani. In questo tempo di persecuzioni, infatti, molti erano i martiri: Vescovi, sacerdoti e molti giovani (la novità del Cristianesimo, una diversa visione della vita suscitavano l’entusiasmo dei giovani che erano i primi a rimetterci la vita) ma anche soldati, ecc. Quindi si celebrava non solo la morte e risurrezione di Gesù ma anche la morte e risurrezione del Vescovo martirizzato, del proprio figlio, del proprio parente, perché la Pasqua è anche per loro. La loro vita di fede rientra in questa logica. Allora, subito dopo la Pasqua di Gesù, la Chiesa nella Liturgia celebra la Pasqua dei martiri, dei testimoni.

Come sono nati i tempi liturgici Dal momento in cui si celebra la Pasqua, piano piano la Chiesa capisce che per vivere bene questo momento importante che è il “mistero di Cristo”, c’è anche bisogno di entrare in una certa “logica pedagogica” e sente il bisogno di strutturare un percorso che ci pervada. Questo percorso però non è istantaneo, nasce col passare dei secoli. Quando l’avvenimento della Pasqua comincia a diventare lontano (centinaia di anni) si capisce che per andare a pescare il nutrimento spirituale si ha bisogno di fissare un percorso graduale che rimetta il cristiano di ogni tempo in contatto con l’evento. Ecco allora la strutturazione dell’anno liturgico che ha anche la “funzione pedagogica” ossia di preparazione graduale alla comprensione. Se il centro è la risurrezione di Gesù Cristo, allora si sente il bisogno (dopo che naturalmente si celebra anche la Pasqua dei propri cari) di prepararsi alla Pasqua. Si è fissato così un tempo, ci si è dati un tempo che si è stabilito sia la QUARESIMA (non molti decenni fa) per prepararsi meglio alla Pasqua. La Quaresima è questo tempo di preparazione.

Nascita della festività del Natale e dell’Avvento Se andiamo a ripercorrere gli eventi del V secolo si vedrà che la Chiesa dovette difendersi da alcune correnti sorte all’interno di essa. Infatti, l’eretico Ario affermava sì che Gesù era vero Dio ma che non era anche vero uomo, ossia non aveva la natura umana (o sei uomo o sei Dio). Gesù avrebbe fatto finta di essere un uomo. La Chiesa allora, per far fronte a questa affermazione eretica (a cui avevano aderito in molti tra cui anche dei Vescovi)

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che metteva in crisi l’incarnazione, per ribadire la natura umana di Gesù, liturgicamente ha creato il NATALE sulla festa pagana del “sol invictus” (o "Sole invitto" o, per esteso, Deus Sol Invictus: "Dio Sole invitto", era un appellativo religioso usato per tre diverse divinità nel tardo Impero Romano) per affermare che il sole non è l’astro dei pagani. Per noi il sole che è venuto dall’alto per illuminare l’umanità è Gesù Cristo. E allora, dato che serviva una festa che sottolineasse l’incarnazione di Gesù, il Bambino, la carne: ecco il NATALE. E dal V secolo (prima non troviamo traccia di questo) si è cominciato a celebrare il Natale e come per la Pasqua per la quale si è fissato un tempo di preparazione così è stato per il Natale definendo il tempo dell’AVVENTO. Nei primi secoli non tutte le chiese celebravano l’Avvento. A Roma rispetto all’oriente è arrivato dopo e via via si è strutturato anche l’Avvento, così come lo celebriamo oggi, in quattro settimane.

Conclusioni In sintesi, quando noi oggi celebriamo la Liturgia e noi collaboriamo alla celebrazione della Liturgia per quello che ci compete, stiamo andando dentro a questo mistero per ricollegarci a quanto prima detto e cioè che la Liturgia è la “sorgente prima e fondamentale della vita cristiana”. Nella Chiesa vi sono certi ordini religiosi che sottolineano questo aspetto (ad es. a S.Giustina a Padova, a Praglia, la Liturgia è tenuta in prima istanza (lavoro e preghiera). Altri ordini religiosi magari questo aspetto della priorità lo sentono meno ma la Liturgia non manca mai perciò quando noi riflettiamo sul compito che abbiamo (noi direttori di coro, musicisti, organisti, ecc.) dobbiamo far memoria di tutto questo non solo per cultura ma anche e soprattutto per motivarci e renderci conto che non stiamo giocando ma stiamo mettendo mano in un ambito delicato.

Relazione tra Pasqua e Natale Si sottolinea infine che quando si celebra la solennità del Natale non ci si può dimenticare della Pasqua (e non c’è Pasqua senza il Natale) ossia, quando noi celebriamo una messa del Tempo Ordinario in essa c’è tutto: Pasqua e Natale. Noi abbiamo “sezionato” il ciclo liturgico per un motivo pedagogico perché serve a noi, ma è impensabile vivere il Natale senza far memoria della Pasqua e viceversa. Questo ci serve quando, come musicisti di chiesa, dobbiamo anche selezionare un repertorio, scegliere quello che può andar bene. Capire se un canto sottolinea bene il singolo momento che si va a celebrare oppure è generico e va sempre bene (esistono canti “Jolly”). Quello che è importante tenere presente è che l’attualizzazione del mistero eucaristico non è temporale.

L’Avvento Prendiamo ora in considerazione il primo dei tempi liturgici: l’Avvento. Abbiamo già affermato che non è chiara l’origine di questo tempo. Si sa che è stato concepito come preparazione del Natale perché nel V secolo si decide, almeno qui in occidente, di valorizzare il Natale per far fronte all’eresia. Le prime notizie dell’Avvento si hanno verso il IV secolo. È un tempo liturgico che è proprio della Chiesa occidentale. La Chiesa orientale non conosce l’Avvento strutturato così come lo conosciamo noi. Da noi per esempio dura un mese, per loro è un tempo brevissimo ed ha un altro senso, un altro valore. Già nel IV secolo si concepisce l’Avvento strutturato in due parti ben distinte. La prima parte richiama l’Avvento non direttamente collegato al Natale ma lo si pensa legato all’avvento ultimo di Gesù Cristo, la Parusia, la fine del mondo. La seconda parte invece, che dura anche un po’ meno, è direttamente collegata alla preparazione della solennità del Natale, alla nascita di Gesù. Di questa divisione in due parti, ovviamente, si dovrà tener conto quando si scelgono i canti.

Struttura dell’Avvento nel Messale. Nel Messale si nota una strutturazione dell’Avvento in due parti. Dalla 1 ̂domenica al 16 dicembre si evidenzia l’aspetto escatologico, cioè la venuta gloriosa, la venuta ultima di Gesù. Dal 17 al 24 dicembre, invece, si sottolinea l’immediata preparazione del Natale, cioè siamo durante l’attesa della nascita di questo Bambino. Noi qui evidenziamo questa suddivisione perché nella scelta che si andrà a fare per quanto riguarda i canti si deve fare

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attenzione a non invertire le due venute. Perciò, quando si sceglie un canto di Avvento si deve analizzare bene il testo per non cadere in banali errori come eseguire un canto che parla della venuta escatologica quando invece si è già nella seconda parte dell’Avvento. A volte però ci possono essere testi che uniscono tutte e due le venute. Se si leggono i prefazi del Natale sul Messale si possono avere delle indicazioni su quello che deve essere il contenuto di un canto adatto. Il prefazio della prima parte dell’Avvento così dice: ( … ) “Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora, in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e splendore. In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova. Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché, lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno”. (…) Come si può notare è tutto imbevuto della Parusia. Il secondo Prefazio invece, quello che si dice dal 17 al 24 dicembre, recita: ( … ) “Egli fu annunziato da tutti i profeti, la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo con ineffabile amore, Giovanni proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo. Lo stesso Signore, che ci invita a preparare il suo Natale, ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode” ( … ). In sintesi, il tema dell’Avvento si può dedurre: dai testi delle letture, dalle collette, dalle preghiere sulle offerte, dalla preghiera dopo la comunione, dai prefazi. Sono testi che all’Assemblea sfuggono perché sono letti dal sacerdote però per noi che siamo “addetti al culto”, come musicisti ad esempio, non ci devono sfuggire queste cose. È bene che con un po’ di pazienza le recuperiamo perché ci ispirano, ci dicono cosa dobbiamo selezionare tra le molteplici proposte che troviamo a disposizione.

La teologia dell’Avvento Vediamo ora qual è il pensiero teologico che viene sviluppato in questo mese di preparazione. Siamo sostanzialmente legati alla dimensione dell’ATTESA. È interessante sottolineare il collegamento tra le due parti dell’attesa perché all’interno della nascita di Gesù fino alla sua venuta nella gloria si inserisce anche la vita della Chiesa, perciò l’attesa è in realtà una dimensione costante della vita del cristiano. Noi la sottolineiamo particolare di quel periodo, come quello di Avvento, ma non perché debba mancare in altri momenti. Precedentemente abbiamo detto che si è strutturato l’anno liturgico in quel modo ma per motivi pedagogici. Non si può tener conto sempre di tutto. Abbiamo bisogno di alcune sottolineature cammin facendo. La dimensione dell’attesa è comunque sempre presente nella vita della Chiesa. Tutto questo lo dobbiamo ritrovare nei testi dei canti che andiamo a scegliere. Non ritroveremo tutti questi aspetti in un singolo canto chiaramente, ma devono essere presenti ora in uno ora in un altro anche se non tutti assieme. Ma qual è l’atteggiamento spirituale di chi attende la venuta ossia della Chiesa che vive l’attesa nel tempo di Avvento? Qual’è l’atteggiamento del cuore, dello spirito? Sicuramente di ATTENZIONE e di VIGILANZA. Sono termini che troviamo anche nei prefazi: “vigilanti nella preghiera ed esultanti nella lode”. Quindi vigilanza e lode perché sta per capitarci un fatto straordinario, un dono incredibile. I personaggi biblici che troviamo nel periodo di Avvento e che per primi hanno vissuto la dimensione dell’attesa sono: la Madonna, Giovanni Battista e, nell’Antico Testamento, il profeta Isaia che è il profeta dell’attesa. Quindi, in un canto di Avvento devono emergere i protagonisti, le icone, i simboli dell’Avvento.

La struttura dell’Avvento Il periodo dell’Avvento consta di quattro settimane così strutturate: nella prima settimana c’è l’assoluta sottolineatura della VIGILANZA che porta all’impegno, alla Chiesa. Tuttavia non è un’attesa inerte, pigra. L’attesa, invece, deve essere operosa, impegnata; nella seconda domenica di Avvento troviamo di solito Giovanni Battista e lui ci indica il dovere di “preparare la strada”. Quindi, da una parte prendere sul serio questa venuta, anche con un certo “santo timor di Dio” che non è “terrorismo psicologico” ma quel timore di Dio che porta a preparare la strada; nella terza domenica che è detta GAUDETE, della GIOIA, perché siamo così prossimi al Natale che la Chiesa non può non mettersi in questa predisposizione d’animo. Da una parte abbiamo la conversione, perché bisogna convertirsi,

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però dall’altra anche la gioia. In sintesi una “conversione gioiosa”; l’ultima domenica di solito c’è il Vangelo dell’ANNUNCIAZIONE, il mistero dell’incarnazione, il richiamo alla disponibilità nell’accogliere il Dono di Dio.

Spiritualità dell’Avvento Volendo riassumere in maniera sistematica la “spiritualità delle domeniche di Avvento, vediamo che esso è: � tempo di grazia; � tempo di attesa; � tempo di ricerca; � tempo di impegno; � tempo di evangelizzazione (dimensione missionaria) perché la Chiesa quando accoglie il Cristo non lo fa per tenerlo

tutto per sé ma è mandata ad annunciarlo.

Preparazione della liturgia di Avvento Una liturgia di Avvento si può attuare sostanzialmente in due modi. 1) Se intendiamo l’Avvento senza la suddivisione in due parti (escatologica e incarnazione), quindi come un unico blocco, il canto d’ingresso che svolge sempre un ruolo qualificante della celebrazione liturgica (è la sigla di apertura) è fondamentale perché dà il tono e potrebbe diventare una sorta di sigla per tutte le domeniche di Avvento. Non è necessario cambiare canto tutte le domeniche. Se vogliamo che la comunità, col tempo, si costruisca un suo repertorio bisogna ripetere per un po’ di tempo lo stesso canto (il canto liturgico, infatti, non è una canzonetta qualsiasi che bisogna cambiare sempre così, tanto per variare o perché una vale l’altra! Il Padre nostro, la preghiera eucaristica, si ripetono! Il RITO è RIPETIZIONE!). 2) Quando invece si considera l’Avvento nelle sue due parti allora i canti vanno scelti secondo i due temi (attesa escatologica e attesa immediata della nascita). Ma quali sono le “parti cantabili” che ci permettono di qualificare bene, caratterizzare le celebrazioni di Avvento? Atto penitenziale: nelle domeniche di Avvento non si canta il Gloria, una ragione in più per enfatizzare l’atto penitenziale. Tra i modi per celebrare l’atto penitenziale quello che meglio mi aiuta a vivere bene il tempo di Avvento è il Kyrie tropato. Il salmo: ogni domenica ha il suo salmo responsoriale ed il ritornello è legato al salmo. Però per avere la possibilità di una partecipazione assembleare, nelle comunità in cui si fatica a far intervenire l’Assemblea col canto, la Chiesa afferma che si può scegliere anche un unico ritornello che, se anche è sganciato dal Salmo, richiama il tempo di Avvento. Quindi si può cantare o il ritornello previsto dal Lezionario diverso ogni domenica o uno unico per tutte le domeniche. La scelta va fatta, quindi, in base alle esigenze e alle possibilità. Il canto d’INGRESSO; Il canto di COMUNIONE e/o di ringraziamento dopo la comunione.

Le fonti Dove si attinge un repertorio di Avvento? Le fonti principali sono:

� Il repertorio nazionale: “CANTI PER LA LITURGIA”

� Il repertorio diocesano: CELEBRIAMO E CANTIAMO

� Il repertorio parrocchiale (non sempre affidabile)

Il tempo dell’Avvento schematicamente Origini: incerte Struttura: due parti Teologia: ATTESA

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Spiritualità: Domeniche (grazia, attesa, ricerca, impegno, evangelizzazione) (vedi anche pag. 31 del testo: “Cantare la liturgia”)

IL NATALE Il tempo del Natale inizia coi PRIMI VESPRI e la prima celebrazione del Natale che è la “MESSA VESPERTINA” della vigilia la quale entra a pieno diritto nel percorso del Natale. La Messa di Mezzanotte non è strettamente necessaria quanto lo è invece la “Messa Vespertina”. Troviamo poi la Messa dell’Aurora e la Messa del Giorno. La veglia prima della Messa di Mezzanotte non fa parte delle celebrazioni previste dal Messale. È una “paraliturgia”. È un’invenzione, una santa, benedetta invenzione, ed è stata introdotta per una ragione molto pratica. La Messa di Mezzanotte è uno di quei pochi momenti (assieme alla Pasqua) in cui tutti vanno a messa. La chiesa si riempie di persone poco abituate al luogo di culto, quasi andassero a teatro. Allora è nata l’esigenza di fare un momento di preghiera mezz’ora prima della messa per aiutare ad entrare nel clima più adatto della celebrazione. Dovrebbe essere un momento di preghiera e non un “recital” con scenette, teatrini e musica varia che non c’entrano niente con la preghiera e anzi fanno cadere nell’equivoco dell’esibizione cui si voleva sottrarsi introducendo la veglia stessa. Deve essere strutturata quindi come un momento di preghiera dove un canto, che può essere adeguatamente accompagnato anche dalla chitarra, può trovare posto adeguato (con accompagnamento decoroso e volume adeguato).

Struttura Il tempo di Natale termina la domenica dopo l’Epifania. Le celebrazioni del tempo di Natale che meritano un’animazione particolare sono:

� la Divina Maternità (Maria Madre di Dio) il 1° gennaio; � la Sacra Famiglia; � la domenica del Battesimo di Gesù.

Storia Per quanto riguarda le motivazioni dell’introduzione della festa del Natale già è stato accennato sopra. Si hanno notizie della sua comparsa verso il 336 e si è scelto il 25 dicembre perché era la festa del Sol Invitto, una festa pagana cui si è dato un significato cristiano, ossia si è trasformato una festa pagana in festa cristiana affinché i Cristiani non adorassero un sole pagano. Ecco quindi il Natale; il sole non è più l’astro pagano ma è la Persona di Gesù. Si “battezza la festa pagana”. Poi col tempo sono nate anche le eresie che mettevano in dubbio l’umanità di Gesù e quindi a maggior ragione si è caricato di significato questa festa.

Teologia del Natale Nella festa del Natale l’aspetto più importante è che la “SALVEZZA DIVENTA ATTUALE”. La salvezza cioè entra nella storia del mondo. La salvezza non è più un pensiero disincarnato ma diventa segno e realizzazione di questa salvezza che è la Persona di Gesù, è l’uomo Gesù.

Spiritualità del Natale Quanto affermato porta a dire che se Dio, che è puro spirito, si fa carne (si incarna), avviene una trasformazione anche nell’uomo perché anche l’uomo diventa partecipe della natura di Dio. Avviene questo “mirabile conversum” (come dicono i santi padri) ossia uno SCAMBIO: Dio entra nel mondo perché il mondo sia trasformato e in qualche modo entri nel mondo di Dio. Questo è alla base di tutta la spiritualità del Natale. Questa parte della spiritualità del Natale è molto importante perché quando noi abbiamo a che fare con la selezione dei canti per la celebrazione della messa non possiamo allontanarci da questo significato altrimenti fuorviamo chi partecipa alla solennità. Non possiamo far cantare dei testi che non abbiano questi valori di fondo. Elementi di questa spiritualità del Natale sono:

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� l’uomo partecipa della natura divina; � l’uomo diventa figlio di Dio ma non è mai un dono da volere in modo individualista. Diventando figli di Dio

siamo trasformati e dobbiamo riconoscere la paternità di Dio e la “fraternità universale” per questo è un “popolo nuovo” che nasce dal Natale.

Ci si può chiedere: ma la comunità non nasce con la Pentecoste? Innanzi tutto la Pentecoste viene dopo il Natale, nasce dalla Pasqua dalla morte e risurrezione di Gesù, ma la Pasqua c’è perché c’è stato il Natale. Il mistero è uno ma per ragioni pedagogiche si è strutturato l’anno liturgico perciò noi viviamo nel tempo alcuni segmenti di questo mistero grande che è il mistero di Gesù. Noi non adoriamo un bambino in quanto tale ma adoriamo quel bambino che è Gesù Cristo che è morto e risorto, che è colui da cui proviene lo Spirito Santo. Quindi Natale e Pasqua si celebrano sempre, anche nel tempo ordinario, ogni giorno, anche in Quaresima. Quando celebriamo la messa, celebriamo la Pasqua però nei tempi forti come l’Avvento sottolineiamo un segmento di questo grande mistero. Se consideriamo per esempio la trasfigurazione di Gesù vediamo che è uno squarcio di luce pasquale che si inserisce nel percorso quaresimale. C’è una logica pedagogica in questo. Gesù lo dirà molto bene. Gesù sa cosa lo sta attendendo a Gerusalemme nella Passione e prepara gli Apostoli. Li prepara e li aiuta a capire, quando successivamente lo vedranno in croce sul Golgota, sofferente, che è lo stesso Gesù che avevano visto nella pienezza della gloria del Padre. La trasfigurazione è la divinità e la gloria di Gesù che risplende nella sua pienezza. Per cui la trasfigurazione avviene affinché gli Apostoli si ricordino che il Gesù del Golgota è lo stesso che hanno visto prima. Anche qui il “prefazio” relativo alla domenica della trasfigurazione è illuminante a riguardo: (…) Dinanzi ai testimoni da Lui prescelti, Egli rivelò la sua gloria e nella sua umanità in tutto simile alla nostra, fece risplendere una luce incomparabile, per preparare i suoi discepoli a sostenere lo scandalo della croce e anticipare nella trasfigurazione la meravigliosa sorte della Chiesa suo mistico corpo”. (….) In poche parole il prefazio riassume il mistero della trasfigurazione.

Universo-cosmo-storia La trasfigurazione coinvolge tutta l’umanità che è tutto un cosmo. L’universo, il cosmo, la storia sono “reintegrati” e segnano l’inizio di una nuova creazione.

Il tempo del Natale schematicamente � INIZIO: primi vespri – Messa Vespertina; � STORIA: inizio nel 336 � STRUTTURA: - Divina Maternità 1° gennaio

- Sacra Famiglia - Battesimo di Gesù

� TEOLOGIA: - Salvezza attuale - SCAMBIO

� SPIRITUALITA’ DEL NATALE: � L’uomo partecipa della natura divina; � L’uomo diventa figlio di Dio; � Nascita di un “popolo nuovo”; � Universo – cosmo – storia (reintegrati nel disegno di Dio: è l’inizio di una nuova creazione);

(Vedi anche pag. 36 del testo: “Cantare la liturgia”)

IL TEMPO DI QUARESIMA Dal punto di vista storico la Quaresima nasce verso il IV secolo, in oriente, quando si sente il bisogno di un periodo di preparazione per le comunità cristiane alla celebrazione della Pasqua. In occidente invece arriva verso la fine del IV secolo. A Gerusalemme si celebrava il tempo quaresimale cercando anche di rivivere i momenti salienti della vita di Gesù. A noi è rimasta sostanzialmente la Via Crucis ma all’epoca, soprattutto nel medioevo, c’erano delle celebrazioni, che sarebbe più opportuno chiamare “paraliturgie”, dove era mimato il Giovedì santo, il Venerdì santo, ecc. Erano le

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cosiddette “sacre rappresentazioni” o drammi liturgici. Qualche cosa di questo è rimasto, con qualche differenza, per esempio con la Via Crucis. Lungo i secoli, la Quaresima ha avuto tante connotazioni. Quali sono gli aspetti che qualificano il tempo liturgico della Quaresima? Innanzitutto bisogna dire che Liturgia e spiritualità vanno di pari passo. Il Concilio Vaticano II dice che la prima sorgente della vita cristiana è la Liturgia per cui Liturgia e vita cristiana non possono andare ognuna per conto proprio. Il primo aspetto che si vuole sottolineare col tempo della Quaresima è il recupero della dimensione battesimale ossia dobbiamo ricordarci innanzitutto che siamo stati battezzati. Abbiamo ricevuto il sacramento del battesimo nel quale la Chiesa ci ricorda che siamo stati sepolti con Cristo per risuscitare con lui. Quindi il periodo quaresimale ci è dato per riportare all’attenzione della nostra vita quello che è il sacramento con il quale siamo entrati nella vita cristiana, nella vita della Chiesa e della comunità. Quando comincia la Quaresima? Quando si comincia a mettere la spiritualità quaresimale nelle scelte musicali? La Quaresima inizia col “mercoledì delle ceneri” e dura fino al mercoledì prima del Giovedì santo. Poi, dal Giovedì santo comincia il triduo pasquale: Giovedì santo (messa in cena Domini); Venerdì santo; Veglia e messa pasquale del sabato santo (è già Pasqua!) (Il sabato santo è un giorno aliturgico.) Questo è il periodo sul quale ora concentreremo la nostra attenzione.

Prepararsi alla Pasqua In cosa consiste prepararsi alla Pasqua? Che cosa dice la Chiesa in merito alla spiritualità di questo tempo? In che modo mi preparo? Le parole chiave sono: penitenza, conversione, rinnovamento interiore. Come atteggiamento interiore far penitenza significa riconoscere i propri limiti i propri peccati ma quello che sott’intende la penitenza è il digiuno che è un atteggiamento esteriore, fisico e in particolare il digiuno dalla carne. Il presupposto però è quello di assumere un atteggiamento di rinuncia per scoprire l’essenziale. Il digiuno, infatti, non ci serve per castigarci ma per arrivare a cogliere quello che è la struttura dell’esistenza, l’essenziale dell’esistenza. L’uomo più penitente nella storia della Chiesa è stato San Francesco che amava la penitenza, la povertà non per un gusto masochistico ma proprio per arrivare a cogliere il vero valore dell’esistenza, le cose che contano davvero. Di conseguenza anche nel repertorio penitenziale dobbiamo stare molto attenti perché, soprattutto in passato, si sono cantati testi ambigui. Bisogna recuperare l’aspetto della penitenza non fine a se stessa ma come un qualche cosa che ci rimanda ad una ricchezza che è diversa, ad un’abbondanza che è altro rispetto a quello che noi consideriamo. Oltre al digiuno poi, il secondo atteggiamento da mettere in pratica in Quaresima è la PREGHIERA e poi la CARITÀ. Quindi: digiuno per arrivare a cogliere l’essenziale; preghiera: ascoltare, ricordare le cose di Dio nella Parola (il primo comandamento di Dio è “ascolta Israele”) per arrivare alla; carità: che non è solo elemosina ma consiste soprattutto nel senso di condivisione. Questi tre elementi che sono tipici della spiritualità quaresimale dovrebbero essere inseriti in un testo di preghiera e nei canti quaresimali. Magari non tutti e tre contemporaneamente ma non si può rinunciare a questi temi perché la comunità deve prepararsi alla Pasqua con dei testi, delle parole adeguate. E cantare una cosa è molto di più che dirla. Ecco dove sta la preziosità del canto. La differenza tra il leggere un testo e il cantarlo è che il canto provoca in noi un di più di partecipazione. Non si canta per una questione d’estetica o almeno non solo. Che poi ci sia anche estetica è un bene! La Liturgia è fatta anche d’estetica, deve essere anche bella. Ma la musica liturgica ci porta ad un di più. Io sono più dentro, più presente se canto. Quindi scegliendo un canto devo tenere presenti questi aspetti: penitenza, preghiera, carità fraterna. Tutto questo, in sintesi, per ricuperare l’esperienza della fede. La penitenza, la preghiera e la carità sono, infatti, parte integrante dell’esperienza della la fede in quanto battezzati. Sono tre atteggiamenti dell’anima che, beninteso, ci sono anche in tutti gli altri momenti dell’anno liturgico (si prega, si cerca di vivere il comandamento dell’amore sempre) però in questo momento, visto l’aspetto pedagogico dell’anno liturgico, sono maggiormente messi in rilevo, li

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sottolineiamo. Questi tre atteggiamenti fioriscono dal battesimo, ci servono per operare il senso battesimale della nostra vita a livello personale come individui ma anche a livello comunitario (nella parrocchia, nella comunità). Dimensione battesimale, quindi, personale ed ecclesiale. Un canto che non mettesse abbastanza in evidenza la dimensione comunitaria, ecclesiale della spiritualità quaresimale e della penitenza non sarebbe adatto per questo periodo specifico. Ma cerchiamo di capire cosa significa fare penitenza. La prima cosa che ci serve per fare penitenza è lo spirito interiore che mi dice di detestare il male che ho fatto. Il male l’ho fatto ma non lo accetto più, non lo voglio. Non è scontato questo atteggiamento perché certe volte ci affezioniamo ai nostri peccati, non siamo disposti a detestarli. Altre volte li “rimuoviamo” ossia non li vediamo pur sapendo di commetterli, facciamo finta che non ci sono ma ci logorano dentro. Quindi la prima cosa che noi dovremmo evidenziare in un testo è il rifiuto del peccato. Prima abbiamo parlato della dimensione ecclesiale della Quaresima e della penitenza. Questo significa che il peccato ha anche delle ripercussioni anche al di fuori di me. Sintetizzando, gli elementi che dovremmo trovare nei canti quaresimali sono: lo spirito giusto ossia il rifiuto del peccato; conseguenze del peccato: personali e comunitarie; desiderio, la volontà di rimediare (tramite il sacramento della Penitenza); esperienza della preghiera per noi peccatori (la preghiera in questo percorso di rinnovamento e conversione è fondamentale). Non esiste preghiera, qualsiasi essa sia, se non nasce dal cuore. Si possono recitare tutte le formule che si vuole ma se non parte dal cuore non si è pregato. La preghiera non è il recitare delle formule senza metterci la nostra intenzione. La preghiera verbale è un mezzo utilissimo e necessario per arrivare al contatto con Dio. Se si riesce a pensare a Dio sempre, questa è preghiera. Nel Vangelo è menzionato il modo di pregare dei Farisei, dei grandi personaggi del tempio che pregavano Dio per conto loro e Gesù fa notare che quella non è preghiera. Naturalmente la preghiera deve essere prolungata. Preghiera come scoperta di una dimensione della vita, che è lo spirito stesso della preghiera. Tutto questo, almeno in parte, dovremmo trovarlo nei testi dei canti quaresimali. (Vedi anche pag. 42 del testo: “Cantare la liturgia”).

LA PASQUA Quando si parla di teologia pasquale non dobbiamo mai separare la Pasqua dal Natale. Se c’è la Pasqua vuol dire che prima c’è il Natale. Al mistero pasquale va premesso il ciclo natalizio per una ragione molto semplice. Intanto perché il mistero di Cristo è uno solo e anche perché in questa teologia Natale-Pasqua cogliamo due movimenti. Il primo, che è un movimento discendente, appartiene al mistero del Natale. Dio scende ed entra nella realtà del mondo. Il secondo è un movimento ascendente. Nella Pasqua, il mistero pasquale non è soltanto il mistero della risurrezione perché da esso scaturisce che anche l’uomo sale a Dio, assume dignità divina. Questo in particolare si celebra nell’Ascensione e poi il dono dello Spirito. L’ascensione però non è solo quella di Gesù ma è anche l’ascensione dell’umanità trasfigurata nella realtà del risorto. Quindi c’è questo duplice movimento nel pensiero della Pasqua e del Natale. La Pasqua è anche l’ottavo giorno, il giorno senza fine, è il momento in cui Dio ha rinnovato l’universo e l’ha portato a sé. È il compimento finale dell’esistenza. Tutto questo non è realizzato dall’uomo ma dallo spirito stesso di Dio ed ecco la festa della Pentecoste che appartiene sempre al ciclo pasquale. La nostra fede nella Pasqua, nella risurrezione di Gesù, nel dono dello Spirito, nell’Ascensione, si basa sulla testimonianza degli Apostoli ma è tuttavia una verità di fede. (Bisognerebbe studiare tutti i testi evangelici, i brani delle apparizioni di Gesù, le testimonianze dei discepoli, di Pietro, ecc.) È quindi necessaria la fede ma tutto ha valore soltanto dando fiducia alla testimonianza degli Apostoli. Tutto il mistero pasquale quindi poggia sulle sacre scritture, su quello che è narrato nei Vangeli. Ora poniamo l’attenzione sulle celebrazioni pasquali che consistono sostanzialmente nel TRIDUO PASQUALE che è anche il cuore dell’anno liturgico. Anzi, tutto l’anno liturgico ha l’obiettivo di arrivare al Triduo Pasquale col quale si celebra un mistero che è unico ma che è articolato in tre momenti. Questo fondamentalmente per uno scopo

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pedagogico per cui c’è un continuo rimando dall’uno all’alto momento. Si parte dal Giovedì Santo con la Messa in Cena Domini, si passa al Venerdì Santo dove contempliamo il mistero della morte e della croce (giorno aliturgico come anche il sabato) per arrivare alla veglia del Sabato Santo. Ecco perché si parla di triduo. I giorni di venerdì e sabato non si celebra l’eucaristia, non c’è la messa, ma vi sono dei riti.

Cenni storici Vediamo ora, molto brevemente, dal punto di vista storico, in questi duemila anni di cristianesimo come si è realizzato tutto questo. Individuiamo sostanzialmente due nuclei. Il nucleo più antico è quello dei primissimi anni ed è legato alla dimensione Battesimale. Un secondo nucleo è più tardo ed è legato alla dimensione psicologica. Il primo si rifà al pensiero dei PADRI della Chiesa che sono costituiti dalla generazione immediatamente seguente a quella degli Apostoli. Quando gli Apostoli sono morti hanno lasciato in eredità la loro dottrina ai loro successori che furono i Padri della Chiesa. In questo primo nucleo, che è il più antico, il Triduo Pasquale, che era articolato in maniera diversa dalla nostra, si è modificato via via. Dapprima si celebrava solo la Pasqua, poi si è sentito il bisogno di prepararsi anche perché col passare del tempo veniva meno la memoria di quello che era successo. I Padri quindi dicevano: ci prepariamo alla Pasqua (aiutiamo le comunità Cristiane a prepararsi alla Pasqua) facendo di questo momento, la circostanza in cui la persona entra a far parte della Chiesa. Ecco così i Sacramenti dell’iniziazione cristiana: BATTESIMO, CRESIMA ed EUCARISTIA che sono i tre sacramenti con i quali noi anche oggi entriamo nella Chiesa, diventiamo credenti e cristiani. E questi tre Sacramenti erano celebrati nel Triduo Pasquale. Tutte le prediche e tutte le catechesi antiche che riguardano il Triduo Pasquale sono incentrate su questi tre Sacramenti: Battesimo, Cresima ed Eucaristia. Entrare in questa logica cambiava la vita e quando succedeva che venivano commesse colpe gravissime (aborto, adulterio, apostasia) si veniva esclusi dalla comunità cristiana. Si poteva rientrare dopo che ci si era riconciliati il sabato santo e dopo penitenze lunghe e molto dure. Questo tipo di esperienza d’introduzione alla vita cristiana segnava la vita. Il secondo nucleo, poi, che si è affermato col tempo, era legato più che alla dimensione sacramentale (che non scompare del tutto) alla dimensione psicologica e viene importato in occidente, a Roma, dall’oriente (Gerusalemme) (Vedi: “I viaggi di Eteria”. Eteria, pellegrina cristiana, che ha descritto minuziosamente come venivano celebrati a Gerusalemme i riti pasquali). La preoccupazione dei Vescovi e delle comunità di Gerusalemme era di riprodurre psicologicamente quello che Gesù aveva vissuto. Qui ci potremmo collegare alle tradizioni popolari del nostro sud ma anche della Spagna (Barcellona, Granada, Siviglia) e in Sud America, dove c’è una tradizione straordinaria e si celebrano tutti i vari momenti del Triduo Pasquale come se si fosse in un teatro. Qui evidentemente c’è un approccio diverso, un approccio del sentimento col quale si entra nel mistero di Gesù non tanto con la dimensione sacramentale (che non scompare) ma non è così pregnante come l’elemento psicologico-spettacolare che è proprio della sensibilità orientale. E allora il pellegrino, il credente, il fedele entra nel mistero pasquale rivivendo nella sua psicologia, nel suo cuore, quelli che sono stati i momenti salienti della vita e della morte del Signore. Come si vede sono due modalità diverse di approccio. La prima è più razionale (anche se comunque alla base c’è la fede) e sacramentale, l’altra è un po’ più spettacolare e dovuta probabilmente alla necessità di celebrare fatti così lontani nella storia coinvolgendo non solo la mente ma anche il cuore, col sentimento e l’emozione. Naturalmente vi sono dei rischi in entrambe le visioni. Nella prima un’eccessiva cerebralità (solo razionalità, fede solo di testa) che è il pregio e il limite della cristianità occidentale in cui si rischia di perdere il coinvolgimento emotivo. Dall’altra parte c’è il pericolo contrario ossia cadere nel sentimentalismo senza valorizzare l’elemento sacramentale e razionale.

Scelte musicali Vediamo ora dal punto di vista musicale come tutto questo ricade nelle scelte che dobbiamo fare nell’animare la liturgia. Si premette anzitutto che il Triduo è il CENTRO e l’APICE di tutto l’anno liturgico. Se si immagina l’anno liturgico come una montagna, il Triduo ne è l’apice.

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Come rispettare quindi questa supremazia del Triduo nelle scelte musicali? Innanzitutto va detto che il Triduo Pasquale si deve preparare per tempo. Addirittura all’inizio dell’attività canora (settembre–ottobre) tanto è importante questo periodo. Il Triduo Pasquale in quanto apice deve avere il massimo dell’attenzione e dell’investimento di risorse (canore, strumentali, ecc.). Dal punto di vista dell’impiego dei mezzi il Triduo deve essere al massimo rispetto a qualunque altra celebrazione e festività. Inoltre il Triduo Pasquale va inteso come un’unica celebrazione (anche se scandita in tre momenti) e quindi in tutto il periodo va profuso un congruo impegno e impiego di risorse e mezzi, dal Giovedì alla Veglia del Sabato Santo. La celebrazione è UNA. “Il Triduo della passione e della risurrezione del Signore risplende al vertice dell’anno liturgico poiché l’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero pasquale col quale morendo ha distrutto la nostra morte, risorgendo ci ha ridato la vita e la preminenza di cui gode la domenica nella settimana ... nell’anno liturgico. All’interno dell’anno liturgico c’è la Pasqua. Questa è la ragione dell’impegno massimo della preparazione e il fine è la partecipazione attiva dei fedeli. Questa partecipazione è segno della vera solennità”. Tutto quello che io impiegherò come mezzi musicali per la celebrazione del Triduo Pasquale sarà orientato acciocché la mia comunità entri nel mistero pasquale, vi partecipi. Questo ci mette al riparo dal fare una manifestazione puramente esteriore. Bisogna aiutare le persone presenti ad entrare nel mistero. Ma perché cantiamo, cos’è che cambia se cantiamo oppure no? Nessuno ci obbliga a celebrare una liturgia cantata, si può assolvere la celebrazione anche leggendo tutto e così facendo non si contravviene a nulla. Bisogna dire allora che prima di tutto cantando si manifesta la propria gioia e poi perché il canto comporta un supplemento di partecipazione. Se entriamo in questa logica si capisce che la musica e il canto non hanno una funzione esclusivamente estetica (anche se questa ha una sua importanza) ma ci aiutano ad entrare meglio nel mistero. Per questo bisogna però rispettare la natura delle celebrazioni. Per esempio nel Giovedì santo si celebrano determinati valori come l’istituzione dell’Eucaristia, il ministero sacerdotale, ecc. Bisogna stare attenti quindi a non tradire l’autentico contenuto della celebrazione come può essere il celebrare il sacramento della 1 ̂comunione. Porre un segno così il Giovedì Santo va a stravolgere il senso della liturgia. Quindi porre attenzione alla natura delle singole celebrazioni e poi attenzione ai generi e alle forme musicali. Il genere e la forma, infatti, sono importanti. Altro elemento da tenere presente nel preparare il Triduo pasquale è il “contesto in cui si vive”. Ogni paese è una realtà. Ogni comunità ha il proprio percorso, il proprio cammino, la propria tradizione e questo va considerato se non voglio correre il rischio di non farla partecipare. Naturalmente l’assemblea è la mia prima preoccupazione ma non perché debba cantare tutto. Devo far si che la gente partecipi e in alcuni momenti la partecipazione può consistere nell’ascolto. Anche l’ascolto dell’omelia è partecipare. E sempre, tutti quelli che si occupano dell’animazione musicale della liturgia devono porsi una domanda fondamentale: stiamo aiutando le persone a vivere la liturgia? Questa è la prima domanda da porci qualsiasi ministero si svolga nella liturgia. Anche chi legge deve proclamare bene, chi canta cantare bene, ecc. Un altro aspetto molto importante che riguarda tutti è la valorizzazione dei ministeri. Quando si svolge un ruolo non si deve svolgere anche altre mansioni. Ognuno ha il proprio compito. Bisogna fare in modo che non si sovrappongano i compiti anche per allargare “la cerchia” coinvolgere altri nelle varie mansioni.

IL TRIDUO PASQUALE Abbiamo già detto e lo ricordiamo ancora una volta che il triduo Pasquale è il momento vertice di tutto l’anno liturgico e tutto ciò che è celebrato nelle varie solennità dell’anno liturgico ha come momento di convergenza il mistero Pasquale di Gesù che è un unico mistero scandito in tre momenti. Lo ripetiamo ancora una volta: il mistero è uno solo. Qualsiasi celebrazione noi partecipiamo si celebra ogni volta la Pasqua di Gesù anche se si è in Quaresima. Abbiamo anche visto quali ricadute ci sono dal punto di vista della direzione musicale. Non si può immaginare che una liturgia del Triduo Pasquale abbia meno impiego di mezzi rispetto ad altre celebrazioni, pur importanti, (come può essere quella per il patrono della parrocchia che merita senz’altro grande attenzione e partecipazione). Quindi, dal punto di vista dei mezzi musicali e strumentali, dando la massima partecipazione al Triduo Pasquale, all’interno di questa triplice scansione (giovedì, venerdì e sabato santo) si adempie sostanzialmente al momento clou di tutta la celebrazione annuale. Storicamente accenniamo a due aspetti particolarmente importanti: 1) la prima documentazione certa che abbiamo rispetto alla celebrazione annuale della Pasqua, cioè della domenica specifica in cui si celebrava la memoria della Pasqua, risale al II secolo e tutto quanto si è sviluppato a partire dalla

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veglia. Ossia la prima cosa che la Chiesa ha celebrato è stata la veglia Pasquale. La veglia era così importante per le prime comunità cristiane si preparavano con il digiuno a partire dal venerdì. Non si mangiava quindi per due giorni. Durava dal venerdì fino all’Eucaristia della notte di Pasqua. In questo caso allora la scansione era questa: Venerdì santo, sabato santo e domenica. Dopo, quando si è voluto dare più spazio e valore a questo momento forte, anche con il tentativo soprattutto a Gerusalemme di rendere i riti quasi più storicizzati sottolineandone l’aspetto più coreografico (secondo nucleo, vedi sopra) si è cominciato a valorizzare il giovedì santo con la lavanda dei piedi. E da quel momento si è stabilito che il giovedì santo appartiene alla “Cena in messa Domini”, poi c’è il Venerdì santo, la giornata aliturgica, e quindi il Sabato santo (il grande silenzio) in attesa della Veglia Pasquale. 2) Grande impulso ha avuto soprattutto nel medioevo (e i richiami sono presenti anche oggi) la grande Via Crucis del Venerdì Santo. Nel rito romano è prevista questa grande azione liturgica: la lettura del Passio, l’adorazione della Croce, la distribuzione dell’Eucaristia (non c’è la celebrazione della messa per cui il parroco il giovedì santo prevede anche le comunioni che saranno fatte il venerdì consacrando una sufficiente quantità di Eucaristia. Oggi abbiamo la solenne liturgia ma per il passato specie nel periodo medievale si dava grande spazio alla Via Crucis come si usa ancor oggi nei paesi. Allora ha quasi più valore una “paraliturgia” come è la Via Crucis che non la solenne azione liturgica tant’è che nel pomeriggio del venerdì santo si fa la Via Crucis alle tre e la solenne azione liturgica, che normalmente arriva nel tardo pomeriggio se non alla sera dopo cena, spesso è disertata. Passiamo ora a considerare le singole celebrazioni.

Il giovedì santo (Alcuni cenni sono nel testo: Cantare la liturgia vol. 2 pag. 51). Fino al IV secolo nella liturgia romana non c’è traccia di una messa che commemori la cena di Gesù. L’unica liturgia che si faceva fino al IV secolo era quella della Veglia. Dal VII secolo si incomincia ad aggiungere qualcosa, si verifica un’evoluzione. Al mattino del Giovedì Santo si celebravano tre messe: la prima era per la riconciliazione dei penitenti. Fino ad allora nella Veglia non si davano soltanto i sacramenti dell’iniziazione cristiana ma si riaccettavano all’interno della comunione ecclesiale coloro che si erano macchiati dei peccati considerati da scomunica automatica ossia senza che la Chiesa si dovesse pronunciare ufficialmente. Nel Giovedì Santo si celebrava un’Eucaristia quando dopo una congrua penitenza (molto dura come 10 anni a pane e acqua) il Vescovo riammetteva i penitenti nella comunità cristiana. Era il caso degli apostati che avevano rinnegato il cristianesimo per paura delle persecuzioni e che volevano rientrare nella Chiesa. Il Giovedì Santo c’era quindi la riconciliazione dei penitenti. Al mezzogiorno avveniva la consacrazione degli oli (da noi avviene al mattino): l’olio dei battezzati, il Sacro Crisma e l’olio per l’Unzione degli infermi. Alla sera, dal VII secolo in poi, avveniva la messa in Cena Domini. Quali sono i temi che in questa liturgia dovremmo sottolineare con il canto?

� l’istituzione dell’Eucaristia; � l’istituzione del Sacerdozio ministeriale; � dovere del servizio, della carità (che fa riferimento alla lavanda dei piedi).

Quello che possiamo dire è che non bisogna fare teatro, stare attenti a non far diventare la celebrazione una sceneggiata. La lavanda dei piedi non è un segno esteriore ma è uno stile di vita che è tipico del cristiano. Si dice questo perché si sono verificati casi in cui si è celebrato la prima comunione dei bambini alla Messa in cena Domini. Non è questo il contesto adatto. Ma vediamo la struttura del Giovedì Santo. Il clima è decisamente quello Pasquale. Per il contenuto delle letture, dei testi del Messale, è come uno squarcio di luce in mezzo a un dramma che sta per avvenire. Sta per avvenire la crocifissione del Messia però c’è questa luce che viene ad illuminarla. Segno caratteristico è che si canta il Gloria (che in Quaresima non si canta). L’antifona d’ingresso del giovedì santo dice: “Di null’altro mai ci glorieremo se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: Egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati.” È il tema della croce ma non la croce come è vista il venerdì santo. È legata al tema dell’Eucaristia e del servizio, è vista come un’esperienza ineliminabile per arrivare a vivere la carità. Non c’è carità, non c’è amore per il prossimo che non passi attraverso qualcosa di sacrificato, per cui la croce diventa da strumento di morte a strumento di vita. Il tema del canto d’ingresso dovrebbe introdurre già questo tema. Nel testo “Cantare la liturgia” ci sono anche alcune indicazioni di eventuali repertori (diocesano, nazionale, ecc.).

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Le letture del giovedì santo ci presentano la Pasqua dell’antica alleanza, (l’Esodo, il passaggio del Mar Rosso) e la Pasqua della Nuova Alleanza. L’Agnello immolato con cui si faceva memoria del passaggio dalla schiavitù alla libertà, adesso non è più l’Agnello ma è Gesù Cristo. Quindi la Chiesa, la comunità Cristiana celebra questa Pasqua, la Pasqua con il nuovo Agnello, della Nuova Alleanza e l’Eucaristia celebrata non è la celebrazione di un ricordo ma è la ripresentazione di quel mistero qui e ora. Questa è la forza della liturgia che non è un ricordo psicologico. Per noi la celebrazione della Liturgia e nella fattispecie dell’Eucaristia diventa la rievocazione nel momento presente, del mistero che è avvenuto. E quindi ciò che io celebro mi mette in comunione con questa realtà. Abbiamo accennato prima alla lavanda dei piedi. Questo momento dovrebbe essere accompagnato da una serie di canti che indichino lo stile della vita cristiana che si fa servizio, si fa dono, si fa umiltà. Bisogna pensare a come deve essere stato visto il gesto di Gesù dagli Apostoli i quali erano convinti che Gesù dovesse ricostruire il vero Regno di Israele. Un leader che si inginocchia a lavare i piedi! Era una cosa assurda. Dovettero restare allibiti! Noi oggi però dobbiamo entrare in questa logica. In ciò che noi celebriamo in quella liturgia, in quel gesto, dovremmo far si che esprima questa follia di Dio. A tal proposito il Messale fa delle proposte: le lamentazioni, ecc. Di materiale ne esiste molto. Infine, la messa del Giovedì santo non si conclude con la benedizione ma con la deposizione del Santissimo Sacramento e inizia l’adorazione dell’Eucaristia (si può cantare l’Adoro Te devote ad esempio il cui testo sembra risalire a S.Tommaso d’Aquino) quindi si conclude con il momento dell’adorazione. Riassumendo, come animare musicalmente il giovedì santo? Canto d’ingresso inerente al mistero della croce, ma in prospettiva del servizio. Il gloria col suono dell’organo dopodiché non suonerà più (ma può suonare molto delicatamente per sostenere i canti). La lavanda dei piedi con canti inerenti alla vita cristiana come esperienza di servizio, dono, offerta. E canti eucaristici.

Venerdì santo, come si struttura (Vedi anche: Cantare la liturgia vol. 2 pag. 54). Il sacerdote entra coi paramenti rossi e si stende per terra. Questo è un grande segno che sintetizza tutto più di tante parole. Il tutto si svolge in totale silenzio. La preghiera apre la celebrazione e poi si fa la lettura della Passione che si potrebbe intercalare con dei corali. (da: “Cantare la liturgia”) Per l’acclamazione alla lettura della Passione si può far riferimento a quanto indicato per il tempo di Quaresima. Il Repertorio Nazionale (RN) propone, invece, il testo dell’Acclamazione propria del venerdì santo: Gloria e lode a Te (16 o 119). Il canto di brevi strofe corali potrebbe inserirsi opportunamente durante la lettura della Passione. È un’usanza praticata nelle chiese della riforma e potrebbe essere utilmente impiegata anche da noi. Eugenio Costa ha proposto la seguente scansione suggerita dal corale Tu nella notte triste (NCdP 524): Gv 18,1 - 14 prima strofa: Tu nella notte triste; Gv 18,14 - 40 seconda strofa: Tu nel silenzio vile; Gv 19,1-18 terza strofa: Tu dall’ingiusta croce; Gv 19,19 - 42 quarta strofa: Tu dalla tomba muta. Un altro momento importante è quello della preghiera universale. Anche qui ci sono degli elementi che si possono cantare. “La grande preghiera universale non prevede alcun ritornello in canto, tuttavia un brevissimo ritornello (Kyrie eleison, Ascoltaci o Signore) potrebbe essere cantato in risposta alla monizione del ministro.”

Adorazione della Croce. Anche nel momento dell’ostensione della santa Croce è opportuno un canto che non è certamente superfluo e può aiutare a vivere bene questo momento. Per esempio: Ecco avanzare le insegne regali di Sofianopulo, opp: NCdP 526) opp. Ti saluto o Croce santa (NCdP 522), opp: Signore dolce volto. Poi arriviamo al momento della comunione. Sembra che ci sia stato uno scontro tra i Vescovi francesi e il resto dei Vescovi. Questo perché i Vescovi francesi sono sempre strati un po’ più avanti in materia di Liturgia e Teologia e

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asserivano che la comunione non c’entra niente col venerdì santo perciò non si deve fare. Il giovedì santo infatti si celebra lo specifico che è l’istituzione dell’Eucaristia. Lo specifico del venerdì santo invece è l’adorazione della Croce. È un giorno aliturgico, non si celebra la messa e non si deve fare la distribuzione della comunione. E forse sarebbe stata una cosa saggia ma vuoi per la tradizione popolare, vuoi per i legami col passato, mentalità diverse, fatto sta che questo non è stato accettato ed è prevalsa l’usanza di fare la distribuzione dell’Eucaristia che può essere sottolineata con un canto eucaristico (ad es. O sacro convito), magari dal coro, (non è vietato, nessuno lo impedisce) ma si può svolgere anche in silenzio. Altro aspetto da sottolineare è che ogni liturgia del Triduo presenta già le antifone, il contenuto dei canti, (si pensi all’adorazione della Croce, la proposta che fa il Messale per quanto riguarda le antifone, il canto del Servo sofferente, ecc.) sono tutti testi che dovremmo chiedere ai nostri canti. Si dovrebbe, a parità di proposta, dove vedo un testo biblico, scegliere questo. È chiaro che si fa quello che si può in base a quello che si ha ma mai dimenticare che si deve dare la precedenza alla Parola di Dio anche nel canto.

La veglia Pasquale La veglia pasquale cristiana si ricollega a un’altra Pasqua, ossia all’Esodo del popolo Ebreo (passaggio del Mar Rosso). Nelle letture e specie nella terza che non può assolutamente mancare, troviamo tutto ciò. Delle sette letture (che si possono ridurre anche a due) non può mancare quella relativa all’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso. Vi è quindi un legame molto stretto tra la Pasqua ebraica e la NUOVA PASQUA, quella cristiana. Già si è ribadito che dal punto di vista musicale, nel corso del triduo pasquale vi dovrebbe essere un crescendo di potenzialità musicali che raggiunge il suo apice nella veglia pasquale. Tecnicamente, dove ci fosse la possibilità, tutta la serie di salmi della veglia andrebbero cantati con le varie possibilità (forma diretta senza ritornello, forma responsoriale tra salmista e assemblea o coro e assemblea o eseguito da tutta l’assemblea, ecc.). Ma si può anche solo leggerlo con un sottofondo leggero arpeggiato di chitarra. Naturalmente chi legge i salmi dovrebbe prepararseli con cura in precedenza. La veglia pasquale comincia al buio che ricorda le tenebre, il caos primordiale che ha il senso delle tenebre dissipate dalla fede in Cristo il quale diventa la Luce del mondo. Dentro questa logica c’è la benedizione del fuoco tenendo presente anche che questo è un rito che si può omettere laddove non ci sono le condizioni che lo permettano. Ad esempio se davanti la chiesa non c’è lo spazio necessario, ma quasi sempre nelle parrocchie si fa. Questo rito è collegato alla preparazione del cero. Questa idea della luce si rifà al “lucernario” della liturgia ebraica quando il venerdì sera in tutte le case venivano accese le luci in attesa del sabato (perché per loro la festa è il sabato). La Chiesa quindi ha recuperato il segno della luce cambiandone però il senso. Il cero non è solo una candela ma il simbolo di Cristo risorto e il simbolo della fede in Gesù. A volte è usanza, oltre alla benedizione del fuoco, all’accensione del cero e delle candele, mettere anche i grani di incenso nel cero oltre alla data, ecc. Sono tutti riti facoltativi legati alla liturgia medioevale che era molto fantasiosa. I cinque chicchi rappresentano le cinque piaghe di Gesù. La liturgia prevede tutte queste cose ma sono tutte facoltative. Successivamente c’è la processione in chiesa. Mentre il sacerdote proclama “Cristo Luce del mondo” per tre volte, aumentando di tonalità, si passa dal buio ad un’illuminazione progressiva.

Il Preconio pasquale Parliamo ora dell’annuncio pasquale, il preconio che è il primo grande momento della veglia pasquale. Il preconio pasquale è di origine incerta ma gli studiosi lo attribuiscono probabilmente a S. Ambrogio di Milano, scritto quindi nel IV secolo. È il primo grosso problema musicale che troviamo perché leggerlo tutto sarebbe banalizzarlo. All’interno del testo stesso ci sono delle parti che sono un po’ superate e si possono omettere perché presentano delle immagini che non sono più espressive per la nostra cultura (sono tra parentesi). Quello che interessa a noi però è capire come celebrare questo testo che è fondamentale e che si legge solo in questo frangente dell’anno liturgico. Molti sono stati i tentativi di interpretarlo. Anche nel repertorio diocesano Celebriamo e cantiamo si trova una proposta (Esulti il coro degli angeli N° 73 di Machetta per Assemblea e solo) che è funzionale. Il testo cantato va ovviamente preparato bene (non si può improvvisare). Se non ci fosse un cantore che si assume la responsabilità di cantarlo tutto (anche perché è molto lungo e richiede una buona preparazione) sarebbe auspicabile che venisse cantato almeno l’incipit del testo, la parte iniziale, piuttosto che non cantare nulla. Bisognerà quindi mettersi d’accordo volta per volta considerate le

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possibilità che si hanno nel momento in cui si celebra. Altra scelta da fare è in riferimento alla lingua. In italiano o in latino? Il latino rimane sempre la lingua della liturgia (nessuno lo ha mai abolito) ma rischia di scadere nell’estetica e si rischia di perderne il significato. L’italiano è sicuramente più comprensibile. Anche il Messale fa delle proposte di melodie ma non sembrano esaltare molto il senso dell’Exultet, sono un po’ “smorte”. Anche usare un modulo ripetitivo (tipo ritornello) non è una buona soluzione. Non è bene riportare tutto alla solita strofa con ritornello! Quindi, riassumendo, con le medie possibilità di una parrocchia, si può realizzare con un cantore e assemblea e coro per l’incipit e poi recitando la seconda parte. Se poi c’è un bravo cantore che canta tutto è il massimo che si può realizzare. Vi sono delle versioni dell’Exultet, come quella in “Celebriamo e cantiamo”, in cui le parti del solista sono intervallate saltuariamente da parti dell’assemblea. In ogni caso è solo provando che si capisce se la modalità è fattibile. Per regola l’Exultet dovrebbe essere cantato o dal sacerdote o dal diacono o da un cantore.

La liturgia della Parola Subito dopo l’Exultet arriviamo alla liturgia della parola. Le letture che vengono lette nella veglia pasquale sono sette del Vecchio Testamento (Genesi, Esodo e Profeti) e due del Nuovo Testamento (dalle lettere degli Apostoli e Vangelo). Per motivi pastorali le letture possono essere ridotte a due ma non deve mai mancare il passaggio del Mar Rosso e quindi l’Epistola e il Vangelo. Il Salmo bisogna cantarlo (o con sottofondo) ma non solo letto! Dopo la lettura del Vecchio Testamento si accendono le candele sull’altare, si accendono tutte le luci possibili e c’è il canto del gloria. In questo momento particolare non si può privare l’Assemblea del canto del gloria nonostante il Messale preveda che possa essere eseguito anche dalla sola schola (come possibilità). Per cui, se non si canta tutto il gloria (tipo il gloria De Angelis in gregoriano) si canti almeno un gloria che prevede un ritornello assembleare noto (Gloria di Lourdes o altro) in cui la comunità celebrante possa partecipare.

Liturgia battesimale La liturgia battesimale è un momento molto complesso perché ci sono tanti interventi vocali. In questo punto inoltre può essere dato l’eventuale sacramento dell’iniziazione cristiana: il battesimo. Qui bisogna vedere cosa prevede il rito caso per caso. In ogni caso gli elementi musicali che non bisogna tralasciare nella liturgia battesimale sono: le litanie dei Santi, il canto di aspersione (dopo che il sacerdote ha benedetto l’acqua), la rinnovazione delle promesse battesimali, canto alla processione di ritorno all’altare e, lì dove si dovesse celebrare un battesimo o una confermazione, dei canti propri. Si ribadisce inoltre che la liturgia battesimale è il cuore della veglia pasquale. Fin dall’antichità nella veglia pasquale venivano somministrati i Sacramenti battesimali ai neofiti.

Liturgia Eucaristica Dopo la liturgia battesimale la liturgia procede normalmente, è una celebrazione eucaristica come le altre e non presenta niente di particolare. Un aspetto da sottolineare è di fare attenzione a “non correre” ossia lasciare che tutto si svolga col proprio ritmo, non affastellare i canti e i riti. Restano quindi il canto di offertorio e tutte le parti cantabili (sanctus, la dossologia, l’anamnesi, l’embolismo, la frazio Panis, ecc.). Si ricordi che una celebrazione è solenne non quando si canta tutto (non solo) ma quando vi è la partecipazione consapevole e attiva dell’Assemblea.

Sequenza pasquale Altra cosa da sottolineare è la sequenza pasquale che si canta a Pasqua (oltre che la domenica di Pentecoste e al Corpus Domini). Se c’è un gruppetto ben preparato a cantarla è molto meglio che la lettura spesso superficiale e a volte frettolosa.

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Considerazioni finali sul tempo pasquale Nel tempo pasquale si può fare la benedizione e l’aspersione (che sostituisce l’atto penitenziale) con l’acqua lustrale ed ecco che si può eseguire un canto specifico. La domenica di Pasqua sostanzialmente si svolge come le altre domeniche, senza particolari celebrazioni. Tutte le celebrazioni del triduo e del tempo pasquale non devono essere fatte di fretta. Vanno vissute con calma e seguendo i tempi psicologici più adatti cercando di coinvolgere il più possibile l’Assemblea ma senza eccedere nei tempi. Il tempo pasquale dura fino al giorno di Pentecoste e quindi fino a questo giorno il segno caratterizzante è il cero pasquale. Per noi musicisti di chiesa questo tempo pasquale dovrebbe essere uno spasso perché possiamo veramente dare “fiato alle trombe”, il canto e la musica sono elevati ell’ennesima potenza ma sempre bisogna incarnarsi nella realtà della propria parrocchia (le persone, il parroco, l’organista, i cantori, le situazioni concrete) col coraggio però di tentare sempre qualcosa in più, “osare”, tendere al meglio. Altra cosa che è opportuno fare alla fine di ogni anno “canoro”, di solito a giugno, è una verifica dell’anno trascorso che serve anche per farci un po’ di complimenti, perché no! Ma è utile prendersi del tempo per considerare ciò che non ha funzionato e che si può fare meglio. Una verifica serve per crescere nella ministerialità del servizio ma anche sul repertorio, sulla partecipazione dell’Assemblea (i canti sono “entrati”) se la gente è entrata nella liturgia, se il gruppo vocale ha “servito” la celebrazione (o se si è servito della celebrazione). Teniamo sempre presente che stiamo ponendo le mani su delle cose che non ci appartengono. Ci sono date perché le serviamo al meglio. Di repertorio per il tempo pasquale ce n’è molto, anche cose recenti.

LE CELEBRAZIONI MARIANE I canti Mariani sono quelli che di solito danno più problemi ai liturgisti per una ragione molto semplice che la tradizione è lunghissima ma non sempre i testi dei canti Mariani hanno avuto una consistenza teologica. Canti che per altro hanno nutrito la fede ma di cui si sente il bisogno di un rinnovamento più che in altri contesti e sostanzialmente una maggior consistenza teologica. (Vedi allegato sui canti Mariani). Non si tratta di eliminare il repertorio Mariano ma bisogna vagliare bene i testi dei canti prima di inserirli in una Messa (ad Esempio “Dell’aurora Tu sorgi più bella” non è un testo liturgico, non ha una consistenza adeguata). Il canto devozionistico non è, infatti, liturgico. Quello che è importante tenere sempre presente è che “non si più sganciare la devozione Mariana dal suo contesto che è Cristologico ed Ecclesiale”. Se si isola un canto Mariano da questo contesto si cade chiaramente nel dovozionismo. Inoltre il canto Mariano per essere veramente liturgico deve tenere conto del TEMPO e del MOMENTO della celebrazione. Quindi, ad esempio, un canto Mariano inserito nella Immacolata concezione (8 dicembre, in pieno Avvento) non potrà avere un testo che richiama l’Assunta. Bisogna fare attenzione al contesto liturgico e al tempo liturgico. In una celebrazione Mariana, quindi, non è corretto eseguire “tutti” canti Mariani perché è inserita in una cornice Cristologica ed ecclesiologica. È il mistero di Cristo che si celebra, non di Maria. Maria è un’espressione di questo mistero. Ancora, bisogna rispettare il momento della celebrazione liturgica (canto di ingresso, di offertorio o di comunione). Anche nelle feste Mariane il canto di comunione non può essere un canto prettamente Mariano ma deve essere o un canto eucaristico o eucaristico Mariano. In questo caso, se il canto è Mariano deve aiutare ad entrare nel mistero Eucaristico e il canto del Magnificat assolve a questo compito in modo meraviglioso. Anche il canto d’ingresso di una celebrazione Mariana può essere benissimo un canto Mariano ma non un canto della devozione popolare ma un canto Mariano il cui testo ci riporta dentro al mistero Cristologico. Se il testo è biblico si va sempre sul sicuro ma bisogna stare attenti nel caso in cui sia un inno di libera invenzione. Anche qui bisogna sempre tenere presente la distinzione tra liturgia eucaristica e le “paraliturgie”: rosario, fioretto, ecc. Quindi, bisogna fare attenzione nelle celebrazioni mariane a non infarcire tutto con canti mariani. Sicuramente il canto d’ingresso non può scostarsi dal tema mariano perché è il canto che da il “LA” alla celebrazione, ossia deve introdurre

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il tema del giorno anche se si deve stare attenti che non sia un canto devozionistico (svuotato di qualsiasi contenuto liturgico) ma abbia un testo riferito al mistero di Cristo e al mistero della Chiesa. All’offertorio poi bisogna valutare se è il caso di inserire un canto di intonazione mariana. Sicuramente non è escluso (Maria, infatti, è esempio di offerta di sé a Dio). Se il canto mariano si esegue all’offertorio alla comunione non è il caso di ritornare a proporne un altro. In una celebrazione Mariana è il caso di inserire un canto Mariano certamente all’ingresso. All’offertorio si valuta anche in base a quello che si propone come canto di comunione (che deve essere assembleare ed eucaristico) ma se c’è il coro può essere che si possa fare qualcosa di Mariano. Se il coro, però, come secondo canto di comunione fa un canto Mariano, è il caso di metterne uno anche all’offertorio? Forse sarebbe un po’ eccessivo. Se poi anche alla fine si esegue un ulteriore canto Mariano si cade veramente nell’eccesso. Bisogna anche tenere conto che laddove si canta tanto, nel momento di passaggio tra la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica (offertorio), può essere opportuno inserire un momento di musica strumentale che come previsto anche da Musica Sacram si può sovrapporre alle parole del Celebrante (in questo caso il Sacerdote recita sottovoce e naturalmente l’Assemblea non risponde). Di per sé è brutto sentire accavallati musica e testo. È importante però che il brano termini contemporaneamente al rito. L’organista quindi esegue il suo brano (restando dentro ai tempi) mentre il Celebrante legge la sua parte sottovoce. Se c’è l’incensazione (nelle solennità) ovviamente l’offertorio durerà un po’ di più. Alcuni scelgono di cantare prima il canto d’offertorio e poi celebrare l’offertorio ma questo crea una dilatazione dei tempi. Altro problema può nascere quando il celebrante alza il tono di voce durante il suono dell’organo all’offertorio (forse non comprendendo bene le modalità previste in questo contesto (vedi Musica Sacram al n° 64. Le varie possibilità sono: suono dell’organo, rivestire di musica il testo del Messale o canto vero e proprio. In quest’ultimo caso il Sacerdote presenta i doni sottovoce e prevale il testo del canto. Se c’è un coro oppure con l’Assemblea stessa si può fare un canto d’offertorio sempre facendo attenzione ai tempi).

Allegato: I canti mariani nella liturgia (di Guerrino Orlandini)

Canti popolari Il settore della pietà popolare che maggiormente si è sviluppato indipendentemente dal ciclo liturgico è quello della pietà mariana. Le principali pratiche mariane (il Rosario, le novene, la preghiera mariana nel mese di maggio, ecc.) non hanno alcun rapporto con i tempi e le feste dell'anno liturgico. Le feste mariane, celebrate come "sagre" nella maggior parte delle nostre parrocchie (la “sagra” della B.M.V. del Carmelo, dell’Addolorata, della Madonna del Rosario, ecc) sono nate dalla devozione popolare, e solo in un secondo tempo hanno avuto un posto (attualmente molto modesto) nel calendario liturgico. Così le feste legate alle più note apparizioni della Madonna: la B.M.V. di Lourdes è memoria facoltativa; la B.M.V. di Fatima non compare neanche nel calendario liturgico. Questo spiega perché la maggior parte dei canti mariani, nati dalla pietà popolare, non hanno (o solo eccezionalmente hanno) un aggancio con quella meravigliosa realtà che il Concilio ha definito "culmine e fonte della vita della Chiesa": la liturgia. Ma, oltre che sganciati dalla liturgia, i canti mariani scaturiti dalla devozione popolare mancano di specifici riferimenti sia alla Sacra Scrittura sia al mistero della Chiesa: fatto spiegabile se si tiene presente l'epoca e il contesto in cui sono nati. Un confronto fra i nostri comuni canti mariani e gli inni mariani della Chiesa orientale mette in evidenza la povertà del nostro repertorio rispetto a quello dei nostri fratelli d'oriente. È difficile trovare in uno qualsiasi dei nostri canti, anche di secoli passati, la ricchezza biblica e spirituale dell'inno "akathistos" della Chiesa orientale. Questo per quanto riguarda il testo. Per quanto riguarda la musica, i canti di tradizione popolare si muovono in una linea molto semplice, con ritmi e cadenze facili che ne agevolano l'apprendimento e l'esecuzione anche da parte di grandi assemblee. Bisogna però ammettere che il facile spesso rasenta il banale, di modo che certi canti mariani di tradizione popolare, e per questo molto usati, sia per il testo sia per la musica, invece di educare, diseducano al culto e della vera pietà mariana. Occorre quindi un intelligente discernimento: se si canta solo per cantare, ovviamente tutto va bene; ma se si vuole cantare per pregare e ancor più se si vuole cantare per celebrare, allora è indispensabile vedere che cosa dice il testo, e come lo dice. Un canto mariano come “Dell'aurora tu sorgi più bella” può suscitare delle vaghe emozioni; ma la preghiera (e, a maggior ragione, la preghiera liturgica) non può ridursi a vaghe emozioni. Operato quindi un sano discernimento, che uso fare dei canti mariani di tradizione popolare? Il loro uso non è (e non

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può essere, per i motivi esposti sopra) all'interno della celebrazione liturgica; ma "nei dintorni", particolarmente: � prima della celebrazione (come preparazione remota, non come canto di ingresso) e dopo essa

(come canto finale); � nei pii esercizi della pietà mariana (mese di maggio, rosario, veglie di preghiera mariana...); � nelle processioni popolari con l’immagine della Vergine Maria.

Un repertorio quindi, non da accantonare o da lasciar cadere, ma da usare con discernimento.

Canti liturgici La riflessione teologica, dopo il Concilio Vaticano II, partendo dal cap. VIII della Costituzione Lumen gentium, ci ha proposto una mariologia nuova (che è poi un ritorno all'antica mariologia dei padri) in cui Maria è costantemente contemplata e presentata "nel mistero di Cristo e della Chiesa". Questa visuale è stata ripresa e sviluppata prima dal Papa Paolo VI con l'Esortazione apostolica Marialis cultus (1974), poi dal Papa Giovanni Paolo II nell'Enciclica Redemptoris Mater (1987). Frutto di questa visuale è il Messale mariano, "Raccolta di Messe in onore della B.V.M." per i vari tempi dell'anno liturgico. È a questa visuale che deve ispirarsi il canto liturgico mariano; che non può e non deve essere una generica invocazione a Maria, ma deve aiutare l'assemblea a contemplare, celebrare e cantare Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. La celebrazione liturgica, infatti, è memoria viva del mistero pasquale, in cui Maria ha avuto un ruolo particolare; ma il suo ruolo lo si capisce solo alla luce del mistero di Cristo; se la si isola, si cade nel devozionismo. Inoltre il canto mariano, per essere veramente liturgico, deve tenere conto del tempo e del momento della celebrazione. L'anno liturgico ha dei tempi qualificati, i cosiddetti "tempi forti": Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua. Il canto liturgico (ogni canto liturgico, quindi anche quello mariano) deve riflettere e aiutare l'assemblea a cogliere la natura e quindi il clima spirituale, di ciascuno di questi tempi. E deve rispettare il momento della celebrazione liturgica: altro è il canto che apre la celebrazione, altro quello che accompagna la processione offertoriale, altro quello che richiede il rito di comunione. Circa quest'ultimo, non è inutile ricordare che, anche nelle feste o memorie della B.V.M., il canto di comunione non può essere un canto mariano, ma deve essere o un canto eucaristico o un canto eucaristico-mariano, cioè un canto in cui Maria è presente ma solo per aiutarci a entrare nel mistero eucaristico. Il Cantico di Maria (Magnificat) assolve a questo compito in modo meraviglioso.

IL RITO FUNEBRE

Considerazioni generali Per il rito funebre fare riferimento al “Rito delle Esequie”. La situazione è molto complessa e variegata spesso con situazioni non consone alla liturgia proposte spesso da familiari o amici, pur in buona fede, che non hanno la minima percezione dello svolgimento della liturgia e che spesso vengono accettate senza riuscire a mediare circa il modo e il luogo più opportuno per realizzarle se non addirittura far capire che sono del tutto fuori luogo. (Ad esempio eseguire un canto come Happy day dopo il saluto iniziale del sacerdote: fatto realmente accaduto!) Il funerale è un momento molto particolare e molto delicato. Ai funerali spesso partecipano persone che non praticano tanto o non praticano proprio le liturgie, similmente ai matrimoni, alla messa della notte di Natale, alla messa di Pasqua, ecc., quindi l’attenzione dell’animatore musicale, direttore, organista, è quella di non far sentire estranee queste persone, ma farle sentire accolte. Probabilmente non canteranno niente delle acclamazioni e tanto meno dei canti dal proprio ma ci deve essere un’attenzione. Come il sacerdote si preoccupa che l’omelia di Pasqua entri un po’ anche nel cuore di chi non partecipa normalmente, così è anche per il “segno musica”. Elementi indispensabili per questo tipo di assemblea:

� le acclamazioni (non manchino mai). Partiamo sempre dalle acclamazioni. Ad una assemblea eterogenea domandiamo sempre le acclamazioni;

� il salmo responsoriale da eseguire con un ritornello semplice. È meglio non utilizzare un modulo salmodico per l’assemblea perché è più difficile rispetto al ritornello di un salmo. Quindi, piuttosto che leggere solo il testo del salmo (magari in modo monotono) è preferibile cantarne il ritornello anche se non è l’ideale.

Nei canti per il rito delle esequie devono essere presenti le tematiche della risurrezione. Nel canto d’ingresso

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per esempio da evitare canti di festa e preferire invece quelli che inneggiano alla risurrezione.

Allegato: Celebrare i funerali oggi (di Daniele Casini)

Nella recente Istruzione Redemptionis Sacramentum, che molti hanno avvertito come un esame di coscienza severo e puntiglioso sull'applicazione in corso della riforma liturgica promossa dal Vaticano II, si trova, con grande sorpresa, l'affermazione tesa a salvaguardare il principio di adattamento pastorale delle celebrazioni: "il Vescovo vigili sempre che non venga meno quella libertà, che è prevista dalle norme dei libri liturgici, di adattare, in modo intelligente, la celebrazione sia all'edificio sacro sia al gruppo dei fedeli sia alle circostanze pastorali, cosicché l'intero rito sacro sia effettivamente rispondente alla sensibilità delle persone". L'adattamento delle celebrazioni alla situazione è particolarmente necessario quando si tratta di preparare le esequie. Lo sollecitano diversi motivi: è una celebrazione che raduna tante persone; in alcuni funerali, addirittura,la chiesa è piena di gente come nelle feste più grandi dell'anno. Spesso, la maggior parte dell'assemblea è costituita di non praticanti e non credenti; così da più parti si richiama, in ordine alla missionarietà e all'evangelizzazione, la necessità di valorizzare la celebrazione dei funerali come uno di "quei momenti in cui le parrocchie incontrano concretamente quei battezzati che non partecipano all'eucaristia domenicale".

Un’assemblea speciale Si constata inoltre come ben poche altre celebrazioni ecclesiali abbiano una simile qualità di ascolto: i partecipanti a un funerale staccano per un momento dal vortice della vita che non permette loro di riflettere molto; sono emozionati o sconvolti dalla scomparsa di qualcuno che amavano e dal non senso della morte, specialmente quando questa avviene in modo tragico o improvviso, e si interrogano, attendono una parola che illumini e doni speranza. Il rito funebre è spesso la celebrazione meglio integrata rispetto alla vita concreta. Essa offre una rilettura della vita di una persona e di una comunità, diversi punti di aggancio con i presenti, il ricordo di altri cari defunti (nonni, genitori, il coniuge...) che ci hanno preceduto nel pellegrinaggio terreno. Siamo dunque sollecitati a preparare minuziosamente le celebrazioni esequiali perché possano essere belle e nutrienti per la fede e non siano soggette alla stanca ripetitività o, peggio, alla distaccata esecuzione di un dovere. Certo è una grande fatica pastorale, se si pensa che sulle spalle di un parroco (di comunità grande) può ricadere la preparazione di alcune decine di funerali all'anno. E questo senza il tempo che di solito si ha per preparare tutte le altre celebrazioni: i funerali non si programmano e spesso cadono nelle settimane in cui l'agenda del parroco è già piena di appuntamenti e riunioni. Inoltre, a meno che si tratti di persona. molto conosciuta nella comunità o di un giovane, quasi sempre il prete si trova a dover preparare da solo una celebrazione così impegnativa. Spesso, non c'è chi suona o anima il canto come alla domenica. A volte non c'è neanche un lettore! Prima di chiedersi come celebrare i funerali, si tratta di pensare come coinvolgere ancora di più i diaconi, le religiose e i laici nella preparazione, nel contatto con le famiglie, prima e dopo le esequie.

Il senso dei funerali La liturgia cristiana dei funerali avviene in un clima intenso di preghiera: offrendo il Sacrificio eucaristico, innalzando preghiere e compiendo suffragi, la comunità cristiana accompagna il fratello defunto nel suo passaggio da questo mondo al Padre. È una liturgia dunque di accompagnamento alla pasqua (= passaggio) del fratello che muore in Cristo. Questo clima orante e di fraterna vicinanza risalta particolarmente nella celebrazione tradizionale delle esequie, con la veglia in casa, la preghiera alla chiusura della bara e al momento della partenza dalla casa, la processione verso la chiesa parrocchiale, la celebrazione eucaristica in chiesa (ancora nella maggior parte dei casi i parenti chiedono la Messa, anche quando sono poco praticanti) e il commiato; poi ancora la processione, in cui viene accompagnato il defunto al cimitero e quindi deposto nel sepolcro. Nelle campagne e nei paesi ancora resiste questa "formula" tradizionale, mentre è più difficile da realizzare nelle città oppure quando la salma parte dall'obitorio di un ospedale o di un cimitero.

Accompagnare un fratello verso l’incontro con Dio. II Rito delle Esequie (= RE), in vigore in Italia dalla Pasqua del 1975, si articola in tre tipi di celebrazione, quello tradizionale, appunto, con tre "stazioni" o soste (nella casa del defunto, in chiesa e al cimitero); il secondo tipo ne

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prevede due: nella cappella del cimitero e al sepolcro (questo schema, normalmente, non prevede la Messa, ma solo la liturgia della Parola). Il terzo tipo ha una sola “stazione”, nella casa del defunto ed è una situazione che si verifica quasi esclusivamente nei cosiddetti Paesi di missione (Rito delle Esequie 48). Il rituale che abbiamo a disposizione è una miniera di orazioni, salmi, letture bibliche e anche suggerimenti celebrativi, spesso ignorati perché non conosciuti. La celebrazione che ne scaturisce ha un carattere pasquale, come aveva chiesto esplicitamente il Vaticano II: il fratello che muore, incorporato per il Battesimo a Cristo, morto e risorto, passa con lui dalla morte alla vita; la pasqua di Cristo e la pasqua del defunto vengono celebrate insieme (Rito delle Esequie 1). Un dato tradizionale è rimasto nel nuovo rituale: la Chiesa ha sempre celebrato e pregato la morte dei suoi figli chiamando a raccolta intorno ad essa gli angeli e i santi (“Venite, santi di Dio", "Gli angeli ti conducano in paradiso"), accompagnando dalla terra al paradiso, preparandone l'arrivo trionfale, l'ingresso come nuovi cittadini del cielo: "Al tuo arrivo ti accolgano i martiri, e ti conducano nella santa Gerusalemme". Il defunto viene incamminato dalla Chiesa verso il Padre, che gli apre la sua casa perché Egli è il vivente e il misericordioso. Il nuovo rituale ha introdotto una particolare attenzione, nella sua preghiera, per la famiglia e per i parenti del defunto. La liturgia dei funerali deve rianimare la speranza dei presenti, ravvivare la loro fede nel mistero pasquale e nella risurrezione dei morti; raccomanda però ai sacerdoti di farlo con delicatezza e con tatto in modo che "le loro parole siano di sollievo al cristiano che crede, senza urtare l'uomo che piange" (Rito delle Esequie 17).

La liturgia dei funerali Ogni celebrazione dei funerali in chiesa comporta quattro elementi principali ai quali i sacerdoti e gli animatori liturgici dovranno fare attenzione.

1. Un clima di accoglienza… Come in ogni celebrazione eucaristica, particolare cura bisogna avere per l'accoglienza e il radunarsi insieme: l'importanza della musica d'organo o del canto iniziale, per permettere a ciascuno di trovare il suo posto e per creare il clima di ascolto, di preghiera e partecipazione. Il saluto e la monizione iniziale (in generale è conveniente scriverla, per evitare "frasi fatte" e ripetizioni) per esprimere vicinanza ai congiunti, ma anche attenzione ai presenti e alle diverse motivazioni per la partecipazione di ognuno. Il Rito delle Esequie non suggerisce nessuna formula di atto penitenziale, ma si preferiscano (sempre) le invocazioni al Confesso... e siano, più che un esame di coscienza, un invito a fissare lo sguardo a Cristo, nostra unica speranza.

I segni pasquali della fede Particolare cura bisogna avere per la disposizione degli spazi e dei segni liturgici. Non si lasci il feretro sui carrelli delle onoranze funebri, ma si deponga la bara sul pavimento (tra l'altro spesso la bara sul carrello o sul catafalco, coperta da un cuscino di fiori diventa più alta della mensa eucaristica!). Vicino al feretro (possibilmente a capo) vi sia il cero pasquale: e perché non accenderlo al momento dell'arrivo della bara, durante il canto iniziale (con il tema di "Cristo luce") o dare la possibilità ai familiari di accendere vicino dei ceri? Coinvolgere poi i bambini o gli amici (in un caso di un giovane) portando ciascuno un fiore da porre vicino alla salma. Secondo il Rito delle Esequie 59, sopra il feretro si può posare il Vangelo o la Bibbia o una croce: forse non lo abbiamo mai detto ai fedeli e così si copre la bara (e il suo crocifisso) con un cuscino di fiori. Si può cominciare a educare i fedeli, mettendo vicino il Vangelo (su un leggio adatto) o una croce, se quella dell'altare non è molto visibile. Al funerale di un neonato battezzato ho messo sopra la bara la veste bianca del Battesimo. Per la colletta, si... rileggano tutte le orazioni previste dal Rito (anche quelle della veglia in casa) per scegliere quella che si avvicina di più alla situazione e alla persona del defunto. Non pare opportuna, inoltre, la scelta di chi, travisando l'indicazione del carattere pasquale che dovrebbe avere la celebrazione, fa cantare il Gloria.

2. La Parola per sostenere la speranza. La lettura della Parola di Dio ha una grande importanza nello svolgimento del rito: con essa viene proclamato il mistero pasquale, si ravviva la speranza e la fede dei presenti e si viene sollecitati alla testimonianza di una vita veramente cristiana (Rito delle Esequie 11). Il lezionario offre un'ampia scelta di brani dell'Antico e del Nuovo Testamento, di salmi. Scegliere possibilmente con i familiari le letture; preparare bene la proclamazione, mettere a loro agio i lettori,

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specialmente se sono familiari o amici poco abituati a leggere in chiesa; ritengo che i funerali siano celebrazioni dove il sussidio con le letture sia addirittura raccomandabile (con i mezzi attuali è realizzabile anche in tempi stretti), sia come rispetto alla Parola, che come attenzione al defunto e ai suoi familiari. Il salmo responsoriale è preferibile cantato, con un ritornello a cui possa partecipare l'assemblea. La preghiera universale è un momento assai delicato: ci sono assemblee dove nessuno interviene e allora legge tutte le intenzioni un lettore o il prete stesso; non poche volte, invece, rischia di essere un momento sovraccaricato e di creare disagio. (Spesso è un momento sovraccaricato. Gli interventi non sono coordinati e le invocazioni sono simili o dicono le stesse cose con parole diverse. Questo momento rischia quindi di essere troppo lungo e troppo enfatizzato rispetto al resto della messa. Si ricordi che nella celebrazione le varie parti devono essere equilibrate. Una parte non deve sovrastare le altre). Per questo necessita di una educazione dei fedeli: nessuno vuole vietare le testimonianze di affetto, il dialogo familiare con il defunto (che la morte, giustamente crediamo, non interrompe), ma la testimonianza, il saluto riconoscente sono piuttosto da collocare al momento dell'ultimo commiato (Rito delle Esequie 74), in cui l'assemblea, tra l'altro, può ascoltare seduta. (Una cosa è la preghiera dei fedeli, altra cosa è il ricordo o del defunto o una testimonianza. Sono cose da separare. Anche il ricordo, o l’omaggio al caro defunto deve essere fatto nel modo più opportuno e consono alla liturgia e nel momento più adeguato quale può essere al termine della messa. Sono da evitare per esempio canti profani che nulla hanno a che vedere con la liturgia). Forse bisogna valorizzare di più la preghiera spontanea e altre espressioni di affetto al momento della veglia, specialmente quando questa avviene in chiesa già alla presenza della salma (si tratta di andare oltre lo schema abbastanza rigido del Rosario e di lasciarsi guidare dalle proposte del Rituale, al I capitolo). (Si consiglia di dare un’occhiata al “Nuovo Rituale” che è uscito da poco in Italia. In occasione di funerali particolari, dove magari c’è molta gente, si prepari l’Assemblea prima che entri il feretro, magari sostituendo il solito Rosario con letture di Salmi preghiere, qualche brano organistico, ecc.) 3. Eucaristia: culmine delle esequie o problema? Il terzo momento principale è la liturgia eucaristica che, come detto sopra, viene data per scontata (almeno in Italia) da chi chiede il funerale in chiesa. Tuttavia, non poche volte ci si trova poi che neanche i familiari più stretti partecipino alla Comunione! Certo anche qui molto bisogna fare per aiutare a collegare il mistero pasquale di Cristo, celebrato massimamente nell'Eucaristia, e la pasqua del cristiano verso la vita eterna. Inoltre, l'Eucaristia rinsalda quel vincolo di unità in Cristo tra i vivi e i defunti. Un modo per aiutare i familiari a partecipare all'Eucaristia e per favorire il senso di comunione fraterna, può essere quello di coinvolgerli nella preparazione della mensa eucaristica con la processione offertoriale. O annunciare in questo momento che la famiglia ha pensato di ricordare il defunto con un gesto di carità e di solidarietà. Grande importanza deve avere la proclamazione della preghiera eucaristica; tuttavia rimane il disagio che i Prefazi dei defunti nel Messale (tranne il primo) difficilmente offrono nutrimento per la fede e la preghiera. Inoltre non consentono un aggancio alla situazione concreta. 4. Il commiato dei credenti a chi parte. La celebrazione dei funerali in chiesa non si conclude con la benedizione ai fedeli (molti sacerdoti non hanno ancora compreso che, anzi, viene omessa), ma con il rito di commiato. Esplicitamente viene detto che questo rito non si chiama più "rito di assoluzione" (Rito delle Esequie 6), né di benedizione della salma, ma di "ultima raccomandazione" (a Dio) e di "commiato" (ultimo saluto). È un rito di congedo, l'ultimo "arrivederci" con cui la comunità cristiana saluta un suo membro, prima che il corpo sia portato via o inumato. Un saluto con le parole (abbiamo già detto che questo è il momento più opportuno per interventi di testimonianza, di gratitudine, di saluto), con i gesti della fede, quali l'aspersione in ricordo del Battesimo, che ha iscritto il cristiano nel libro della vita, e l'incensazione, onore reso al corpo defunto come tempio dello Spirito Santo con il canto. Il canto dell'ultimo commiato deve apparire come il culmine del saluto di tutta l'assemblea al defunto: per questo è necessario che vi partecipi tutta l’assemblea. Molta cura deve essere data ai gesti (non ha senso usare un aspersorio da cui escano solo alcune e minuscole gocce d'acqua o avere un turibolo che non fa fumo!); poiché il rituale suggerisce che i gesti possono essere fatti staccati dal canto di commiato (Rito delle Esequie 75), personalmente preferisco farli in silenzio e poi il canto della fede e della speranza. Nel momento del commiato suggerisco di chiamare intorno alla salma i familiari più stretti; sarebbe bello che tutti o

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molti potessero anche loro salutare il defunto con l'aspersione, o fare un inchino rispettoso, o un altro gesto che esprima il saluto. I problemi della liturgia oggi sono vari e di varia natura (ho accennato al problema del linguaggio dei prefazi, ad esempio); ma soprattutto insisto sul problema della scarsa conoscenza dei libri liturgici e dello spirito celebrativo che vogliono instillare nei sacerdoti, nei fedeli, nelle comunità. Pertanto non Posso che concludere rinviando ad una conoscenza più approfondita del Rito delle Esequie. (È forse il libro liturgico che un ‘animatore musicale della liturgia dovrebbe conoscere per capire quali scelte fare. L’animatore musicale non si può limitare a scegliere il canto giusto. Deve avere in mente tutto il progetto celebrativo se vuole fare un servizio vero alla comunità e aiutarla a pregare).

RITO DEL MATRIMONIO Anche nel caso del rito del matrimonio si va incontro a una serie di problematiche di non poco conto. Spesso le proposte che vengono fatte dagli sposi creano non pochi problemi. Canto e musica per celebrare il rito del matrimonio. In Italia il rito è stato ritoccato ma non sconvolto. È stato inserito un elemento che prima non c’era: il ricordo del Battesimo. Teologicamente si tratta di “ricordare” il gesto compiuto su di noi dai nostri genitori, perché qualsiasi altro sacramento noi riceviamo vale solo se prima c’è il Battesimo. La vita cristiana, infatti, parte dal Battesimo. Qualsiasi altro sacramento va ad innestarsi li. Ed ecco che allora, nel momento in cui ci si sposa e viene somministrato il Sacramento del Matrimonio, la Chiesa vuole valorizzare questo momento in modo che diventi non un momento “altro” ma una esplicitazione per i coniugi di un modo di vivere la fede. Quando ci si sposa si vive la fede in maniera diversa da come la si vivrebbe da soli. È una condivisione di vita. Ecco il senso del ricordo del Battesimo. Questo momento che si pone all’inizio del rito potrebbe essere opportunamente valorizzato con un canto o meglio delle acclamazioni. Il problema dei canti e della musica per il matrimonio è un problema serio in quanto accade di tutto. (C’è chi arriva a proporre come canto d’ingresso brani di operetta di Mozart, “Non più andrai farfallone amoroso….” e come canto di offertorio: Il ballo del qua qua.) Domandandoci innanzitutto se chi si sposa è consapevole di cosa và a celebrare, capita quindi che nei matrimoni si respiri un senso di vuoto cosa che neanche ai funerali succede. Diverso invece è il caso in cui ad animare sia un gruppetto di ragazzi della parrocchia che sono inseriti nel contesto e sanno bene cosa vuol dire celebrare un rito cristiano.

CANTO E MUSICA PER CELEBRARE IL RITO DEL MATRIMONIO (Allegato)

Funzione ministeriale In questo articolo non si troverà (forse) la risposta alla famosa domanda: "ma si può suonare l’Ave Maria di Schubert, ai matrimoni? Si può suonare la Marcia Nuziale?". È giunto il momento di superare questa fase, quella cioè di chi si chiede con polemica o con nostalgia se si possa suonare questo o quel brano. Il problema va spostato, e radicalmente. La "parola-chiave" su cui riflettere è servizio. (Ecco:vogliamo dirlo una volta per tutte? Il SERVIZIO che la musica offre al rito liturgico. O la musica si mette al servizio della liturgia o non è liturgica o celebra se stessa) Dal punto di vista della ministerialità, cioè del servizio, suonare e cantare durante un matrimonio non è poi molto diverso che cantare e suonare in qualunque altra celebrazione liturgica: in entrambi i casi si tratta di mettere la propria musica e la propria voce al servizio di una assemblea che celebra Cristo risorto, assemblea che diviene essa stessa presenza reale di Cristo risorto (PNMR n.7). Nel caso specifico del matrimonio, la propria ministerialità musicale verso l'assemblea tende a far risaltare il clima di festa perché, in Cristo, due persone dell'assemblea sono ministri del loro sacramento. In entrambi i casi, dunque, è la presenza di Cristo risorto che rende vera la celebrazione, la presenza di Cristo e niente altro. Il Concilio ricorda (Sacrosanctum Concilium n. 112) che nel rendere l'assemblea consapevole di essere corpo di Cristo risorto, la musica ha una parte "necessaria e integrante". Come dire: la musica non è indispensabile, ma gioca un ruolo decisivo nel favorire o nel distogliere la consapevolezza che si vive una azione "in Cristo". Ecco allora la prima

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serie di domande, per riflettere: � come musicista che suona durante una celebrazione del matrimonio, che concezione ho di

"assemblea"? Mi sta a cuore di servirla, di aiutarla a sentirsi corpo di Cristo risorto? (qui si va a toccare la spiritualità dell’animatore, di chi serve l’Assemblea con la musica sacra);

� se sono lontano anni-luce dal pensare che l'assemblea radunata in chiesa per celebrare diviene corpo di Cristo, come posso con disinvoltura accettare di suonare a un matrimonio? Precisiamo subito: non si tratta di sindacare sulla fede di chi suona e canta in chiesa, non c'è un esame da sostenere, del tipo "se hai fede suoni, se non hai fede no", anzi... Tuttavia è giusto che chi mette le sue qualità musicali a servizio di un’assemblea che celebra, almeno si ponga il problema, altrimenti, suonare rischia di diventare una pura esibizione di talento;

� e ancora: conosco bene i riti nei quali inserisco la mia musica? So, ad esempio, qual è la funzione dell'Alleluia, del Santo, del canto dopo la comunione? Se ci si accontenta di "cantare ai matrimoni", basta saper cantare, se si vuole offrire un servizio che aiuti a percepire la presenza di Cristo risorto, occorre dell'altro...

� ci sono persone che suonano e cantano abitualmente ai matrimoni in chiesa, ma che mai lo farebbero durante una celebrazione liturgica ordinaria. Perché?

La priorità e la centralità dell'idea di servizio contrasta con la situazione a volte presente in certe celebrazioni del matrimonio, dove un solista canta di tutto, compresi testi in inglese, dicendo che "tanto la gente non capisce, anche se le parole non c'entrano, fa lo stesso..."; il tutto accompagnato da un organo o da una "workstation", tastiera in grado di produrre basi musicali a effetto, a volte troppo appariscenti. Niente contro le canzoni in inglese, niente contro le basi preparate in precedenza: non si vuole dire un "no" generalizzato: rimane però valida la domanda di fondo: quando scelgo la musica e i canti da eseguire a un matrimonio, mi sta a cuore di servire l'assemblea e di aiutarla a percepirsi nella straordinarietà della presenza di Cristo?

Il servizio della musica e del canto: in pratica Nella pratica, ogni comunità ha la sua tradizione: si va dalla parrocchia con il coro (polifonico o no, "classico" o "moderno"), a quella dove al coro si affiancano solisti e strumentisti vari (chitarre, percussioni, flauto, ecc.), alla comunità in cui l'organista suona tutto da solo a quella dove l'organo suona insieme a uno o più strumentisti. Con il coro Meglio il canto o meglio solo il suono? Meglio il coro o meglio i solisti? Diciamo subito che, dove le situazioni lo consentano, la presenza del canto di un coro in dialogo con l'assemblea pare la soluzione da preferire: rende più evidente che chi si sposa è parte di una assemblea che celebra unita; rende più tangibile l'immagine di una comunità di persone che insieme fa festa; inoltre vale per il matrimonio inserito nella messa quanto già altre volte detto per la Messa in generale: vi sono canti che sono in realtà azioni rituali dell'assemblea, non semplici pezzi di musica da eseguire. Che senso ha se un cantante, anche bravo, canta da solo l'Alleluia prima del vangelo? Se non si vive dal di dentro l'esperienza del rito, si può dire che il canto di un solista è bello lo stesso... Ma qual è il senso di cantare Alleluia, se non quello di professare la propria fede che il Vangelo proclamato è Cristo stesso che parla a una comunità riunita in ascolto? (bisogna sempre tenere presente il senso del gesto che il canto va a sottolineare). Dove inserire allora il canto? Anzitutto negli interventi proposti dalla Preghiera Eucaristica: Santo, Anamnesi, e Amen finale. Non è conforme allo spirito della celebrazione liturgica dire che "visto che questo è un matrimonio e si canta già tanto, saltiamo il Santo o l'Amen, così facciamo prima...". Allo stesso modo non è conforme al senso di questi canti che sia solo il coro a occuparsi di essi. Più specifico del rito del matrimonio è poi la possibilità di sottolineare con un canto, anche abbastanza lungo, lo scambio della pace. Sono evidenti i valori simbolici di questo canto in un contesto così festoso. Altra opportunità, ancora più specifica, è quella di inserire un canto di invocazione allo Spirito Santo prima del rito vero e proprio (vedi ad es. le proposte in CC. n.0, pagg. 16-17 e n.6, pagg. 16-17). Seppure non richiesto obbligatoriamente dal rito, anche in questo caso, il valore di questa preghiera è evidente anche per i non addetti ai lavori. Sempre nell'ambito del rito, si può inserire un canto di festa subito dopo il consenso, tipo “Jubilate Deo” o “Danza con me”, presentato in questo numero di CC.

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Dal punto di vista strettamente antropologico, il canto di inizio è molto importante: se è abbastanza lungo e ricco di entusiasmo nel testo e nella musica, può far "decollare" il clima di festa e di celebrazione; favorisce il placarsi dell'inevitabile brusio e che la tensione, spesso palpabile, si stemperi un poco. Piccoli dettagli, ma importanti. Da sottolineare poi l'importanza di un canto adatto dopo la comunione. Già più volte si è detto che il momento di silenzio dopo la comunione è quello dei progetti, della presa di responsabilità, di impegno. Questo è allora il momento per un canto di invocazione perché la potenza di Cristo risorto assista la nuova famiglia nell'impegno che intraprende, perché sia sempre più evidente che l'impegno di vivere insieme non lo si prende soli, fondando sulla sola propria buona volontà, ma lo si prende nella fede, in Cristo. Durante le firme e alla fine c'è spazio per diversi momenti di musica e canto. Se per la vita della coppia un canto o una musica sono particolarmente significativi e non è stato possibile introdurli nella celebrazione per via di un testo non adatto o di una musica che sarebbe stata fonte distrazione, qui c'è (eventualmente) spazio per introdurli. Il momento celebrativo-liturgico in Cristo è terminato, non è ancora terminato invece il sapore di festa strettamente umano, che può essere anzi sottolineato e prolungato. Attenzione però a non cadere in eccessi da spettacolo fine a se stesso. Ricordare che si è comunque in chiesa e che chi vuole ha il diritto di fermarsi a pregare, non disturbato da musica o parole fuori posto. Dignità e rispetto. Senza il coro In effetti in molti casi il coro non c'è, sia per scelta o per necessità. Anche la sola musica può rendere un ottimo servizio, a condizione che chi suona si senta in prima persona parte di una assemblea in preghiera. Il musicista anche professionista, che viene dall'esterno non solo del gruppo di amici che celebra con gli sposi, ma dall'esterno dell'agire liturgico, tende il più delle volte a mettere la musica al primo posto. Ecco che allora nascono i problemi e le malcomprensioni. “Perché non posso suonare quando il sacerdote parla da solo dopo l'offertorio?" (leggi il paragrafo: “durante la Preghiera Eucaristica”). “Perché non posso suonare questo o quel pezzo? Agli sposi piace...” “Perché il prete ha voluto a tutti i costi cantare l'Alleluia?” "Perché il prete-la gente-i giovani... non capiscono che nei matrimoni ci vuole l’organo?” La risposta a queste domande (colte al volo, dal vero) e a altre simili, non può venire se non nel contesto di una esperienza di chiesa; in caso contrario si rischia la polemica fine a se stessa. Lo spazio per la sola musica comunque c'è, eccome. All'inizio, ad esempio, e poi durante la presentazione dei doni, durante la comunione, durante le firme, alla fine... Ma sempre musica al servizio della celebrazione, mai musica al primo posto, con la celebrazione che deve adattarsi a essa. Quanto poi al repertorio, è vero che gli sposi chiedono più o meno sempre le stesse cose, tuttavia:

� gli sposi, se non sono degli esperti in campo musicale, chiedono le stesse musiche che hanno sentito, forse perché conoscono solo quelle...

� sta a chi suona avere un atteggiamento propositivo, far conoscere che c'è dell'altro; � se le musiche hanno in sé degli evidenti richiami a contesti che distolgono l'attenzione dalla

preghiera, meglio evitarle. Discorso a parte quando la parte musicale è affidata a musica e cantante solista. Vi sono interventi cantati in cui il canto di una voce solista è contrario alle norme e allo spirito dell'agire liturgico: non si affida a un solista un gesto comunitario. E sono gesti-riti comunitari:

� l'atto penitenziale (Signore pietà); � l'Alleluia; � il canto degli interventi della Preghiera Eucaristica; � il Padre nostro; � l'Agnello di Dio.

Accettare che il solista si occupi di questi interventi è delegare a una sola persona un gesto di una assemblea. Va evitato. Lo spazio principale della voce solista è invece il canto del Salmo tra le letture; qui chi canta ha addirittura la funzione di dare voce alla Scrittura, di rendere viva la presenza di Dio che parla...

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Accettabile poi che una voce solista si occupi del canto d'offertorio, del canto di comunione, dei canti finali... Tuttavia, se si può far cantare una comunità, il valore simbolico è ben diverso. Inoltre, se proprio non c'è altra soluzione che una voce solista, che almeno l'atteggiamento di chi canta sia rispettoso del luogo e del momento di preghiera. Sembra scontato, ma credo che in molti abbiano fatto l'esperienza di persone che già dal modo di vestire appaiono del tutto avulse dal contesto celebrativo, dall'idea di servizio. (Purtroppo non c’è una linea di comportamento comune tra i sacerdoti per cui c’è chi lascia libertà assoluta e chi invece pone dei limiti ben precisi e passa per “cattivo”)

In ogni caso: attenzione ai testi Sia che canti un coro, sia che canti una sola persona, attenzione ai testi! In nome dell' "amore", a volte si cantano cose che nulla hanno a che fare con una celebrazione in Cristo. Qui bisogna essere rigorosi. Sono da evitare tutti quei testi vaghi e vuoti che pretendono di parlare d’amore senza dire nulla. Esempio (vero): Io, sono qui e ti amerò, /dico sì, ci proverò, /nella prova, tenterò, /nel dolore, spererò. Senza commento. Sono poi decisamente da eliminare quei testi ricchi di errori teologici, che confondono il mettersi alla presenza di Dio con qualunque altra azione umana. Altro esempio (anche questo vero): Che differenza c'è tra Dio e la donna / vivono d'amore, e tu lo sai... Che differenza c'è tra Dio e la donna / forse Dio è una donna e non lo sa… Vergognoso. Blasfemo. Purtroppo colto dal vero. Due domande per concludere A chi suona e canta: visto che il sacerdote e i futuri sposi fanno diversi incontri, prima del matrimonio, perché a (almeno) uno di questi incontri non prende parte anche chi si dovrà occupare della musica? Sarà più facile far in modo che la musica e il canto siano un tutt'uno con il resto della celebrazione e non qualcosa di appiccicato dall'esterno. Ai sacerdoti: perché non chiedere di visionare i testi dei canti che verranno eseguiti? Certo, se il sacerdote conosce chi verrà a suonare e cantare può anche fidarsi, non è necessario un rigoroso controllo ogni volta… Ma neppure lavarsene completamente le mani pare essere un atteggiamento produttivo. L'esperienza insegna.

BATTESIMO (Allegato) Canto e musica hanno funzione peculiare e insostituibile: concorrono a sottolineare la dimensione comunitaria ed ecclesiale del sacramento: gioia dell'essere riuniti insieme nel nome di Cristo. esprimono la dimensione pasquale del battesimo: esprime il canto della "vita nuova". instaurano un clima di festa: a nuova vita, annunciano la novità del messaggio di Gesù che coinvolge la vita in tutte le sue dimensioni. Nel rito ci sono molti momenti che richiedono o suggeriscono il canto. Non si deve cantare tutto. La scelta di valorizzare l'uno o l'altro momento dipende dalla possibilità di evidenziare i punti cardine e dalla situazione effettiva in cui il rito viene celebrato. Anche qui vige il principio della gradualità. Tra il nulla e il tutto c'è una ampia gamma di possibilità. Il fine rimane quello di assimilare i gesti liturgici più importanti. Non cantare nulla porta a un atteggiamento di passività.

Articolazione del rito

1) Riti di accoglienza: � saluto, richiesta del nome, segno della croce che indica l'accoglienza del bambino nella comunità della

chiesa; � canto di lode o solo musica strumentale; � Liturgia della Parola: Letture bibliche, omelia, preghiera dei fedeli, orazione di esorcismo, unzione con I'olio

dei catecumeni. Nell'orazione di esorcismo si chiede che il bambino sia liberato dal peccato originale e trasformato in tempio dello Spirito Santo. L'unzione con l'olio dei catecumeni che conclude questa parte

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significa il conferimento di forza per la lotta contro il male e per la loro difesa della fede. Lo scopo di questi gesti e di queste parole hanno, lo scopo di risvegliare la fede dei genitori e dei presenti.

� Salmo responsoriale. � Acclamazione al Vangelo.

2) Liturgia del sacramento: � preghiera di benedizione dell'acqua o rendimento di grazie per I'acqua già benedetta; � triplice rinuncia e triplice professione di fede. � volontà di battezzare i bambini nella fede della Chiesa.

3) Il battesimo. Seguono i gesti esplicativi: � L'unzione con il Crisma: è segno del sacerdozio regale e dell'incorporazione alla Chiesa. � La consegna della veste bianca: è segno della nuova dignità del cristiano, rivestito di Cristo. � La consegna del cero: Battesimo come illuminazione. � Apertura delle orecchie e della bocca: abilitazione ad ascoltare e a proclamare la fede. Quando cantare?

� Mentre ci si avvia al fonte battesimale � Durante la benedizione dell'acqua � Al termine della professione di fede � Dopo l'immersione sacramentale (non dovrebbe mancare mai) � Canti per i gesti rituali seguenti: unzione crismale, consegna del cero, consegna della veste bianca.

4) Riti di conclusione � Recita del Padre Nostro. Preghiera recitata a nome di chi è stato battezzato e diventato Figlio di Dio. � La benedizione è in tre formule. Rivolta al padre, alla madre e a tutti i partecipanti. � Canto processionale mentre si va all'altare. (Canto battesimale). � Dopo la benedizione: Canto di lode, Magnificat, anche il suono d'organo.

IL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE (allegato)

Nell'itinerario della iniziazione cristiana La Cresima (nome derivato dal “crisma” con cui si fa l'unzione sulla fronte dei candidati) è il secondo dei tre sacramenti che scandiscono l'itinerario della iniziazione cristiana: Battesimo, Cresima, Eucaristia. Nei primi secoli era intimamente legato al Battesimo, ed era celebrato, come rito complementare, subito dopo iI Battesimo. Ben presto, però, in occidente, è stato separato dal Battesimo e celebrato come rito a sé stante, assumendo il nome di Confermazione,in quanto destinato a confermare la grazia battesimale e portarla a compimento. A questa interpretazione della Cresima, come sacramento che conferma la grazia battesimale, Iungo i secoli se ne sono sovrapposte altre: sacramento della crescita cristiana, sacramento della forza per il combattimento contro le forze del male, sacramento della maturità, sacramento dell'impegno e della testimonianza cristiana. È stato in forza di queste interpretazioni che il sacramento della Cresima, dopo essere stato avulso dal Battesimo, gradatamente è stato differito ad una età più alta: e poiché contemporaneamente, a partire dalla fine del secolo scorso, si è abbassata I'età della prima Comunione, a poco a poco si è affermata la prassi, tuttora in vigore, di celebrare la Cresima dopo la Eucaristia, alterando in questo modo l’itinerario della iniziazione cristiana. È un problema aperto del quale si attende una soluzione: soluzione che dovrà tener conto sia dell'antica tradizione sia della attuale situazione socio-religiosa.

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Nella luce della Pentecoste Evidentemente il sacramento della Confermazione ha un rapporto con l'evento della Pentecoste: il Prefazio della Messa parla di una "rinnovata Pentecoste". Ma la Pentecoste non si può dissociare dalla Pasqua. Come ogni sacramento, anche la Confermazione ha le sue radici nel mistero pasquale, di cui la Pentecoste è il compimento: "Per Cristo tutto si compie nella Pasqua. La Pentecoste quindi non viene ad aggiungere qualcosa “in più”: viene solo a rivelare la portata della sua risurrezione per l'umanità... Anche per il cristiano, tutto è dato nel Battesimo, incluso certamente lo Spirito. La Confermazione non aggiunge qualcosa che mancherebbe al Battesimo, ma ne sviluppa il significato maggiore e, così, ne manifesta la pienezza... La Confermazione viene quindi a indicare a ciascuno il compito di manifestare concretamente ciò che il Battesimo ha fatto di lui, a dare corpo al suo Battesimo, un po' come la Pentecoste viene a rivelare agli uomini la portata concreta della Pasqua di Cristo. Anche se separati nel tempo, Battesimo e Confermazione restano una unità sacramentale.

Una celebrazione nello Spirito Se ogni liturgia è "celebrazione nello Spirito", la liturgia della Confermazione, che ha come effetto l'effusione dello Spirito, lo è (e lo deve essere) in modo tutto particolare. Normalmente, nelle nostre comunità parrocchiali, si inserisce nella Eucaristia domenicale; e si articola in quattro momenti. 1) La presentazione dei candidati È un momento significativo, previsto e suggerito dal Rito della Confermazione (n. 24), anche se non obbligatorio. Si può fare o all'inizio della celebrazione o prima (non dopo) I'omelia; e si può usare la formula del rito delle ordinazioni: i candidati, chiamati per nome, rispondono "Eccomi" ed entrano nel presbiterio, disponendosi in ordine davanti al Presidente. Se non ha luogo la presentazione e i candidati accedono alla loro sede processionalmente, sarebbe bene che in testa alla processione un diacono o un accolito (o qualsiasi membro della assemblea), affiancato da due ceroferari, portasse su un vassoio il crisma, che poi depone sull'altare o su una mensa appositamente preparata. 2. La rinnovazione delle promesse È l'elemento che lega ritualmente la Confermazione alla liturgia battesimale. Più che rinnovazione degli impegni, è atto di fede: quattro delle cinque domande che il Presidente rivolge ai candidati riguardano la professione di fede. Sarebbe bene concluderla con una acclamazione (o un canto di stile acclamatorio) che esprima la fede della Chiesa e coinvolga tutta I'assemblea. Se non è stata usata come canto di ingresso,la sequenza “Vieni, Santo Spirito” può essere cantata all'inizio del rito della Confermazione, quindi prima delle rinnovazioni delle promesse battesimali, o anche, accordandosi con iI Presidente, immediatamente prima della imposizione delle mani. 3. L'imposizione delle mani Il Presidente "stende le mani e invoca I'effusione abbondante dello Spirito, continuando il gesto degli apostoli e mostrando il legame che unisce i cresimandi alla Chiesa" (La verità, vi farà liberi, Cat. degli adulti, CEI, 1995, p. 325). L'imposizione delle mani è preceduta da un invito alla preghiera, rivolto dal Vescovo all'assemblea: all’invito dovrebbe seguire un momento di silenzio che dovrebbe aiutare i presenti, anche i più distratti, a cogliere il senso del rito che si sta celebrando. 4. L'unzione con il crisma Il Presidente "unge sulla fronte con il crisma ciascun candidato, esprimendo la partecipazione alla consacrazione messianica di Gesù e il dono dello Spirito per la testimonianza evangelica" (ivi). E conclude il rito con iI segno della pace. È il momento più forte della celebrazione. Secondo il rito della Confermazione, durante l'unzione "si può eseguire un canto adatto" (n. 33). Se l'unzione non si protrae troppo, è preferibile che il rito si svolga in silenzio (o con un canto a cànone, ma a mezza voce, quasi come fondo) e con un intelligente uso del microfono, in modo che I'assemblea possa udire sia il nome del candidato, quando viene proclamato dal padrino o dalla madrina, sia la formula dell'unzione e del gesto di pace, sia le risposte del cresimato. Un canto gioioso invece è quanto mai opportuno al termine della crismazione: un canto di lode e di benedizione, che coinvolga tutta I'Assemblea e che copra il tempo in cui il Presidente si lava le mani.

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IL RITO DELLA CONFERMAZIONE

Festa della comunità Il principio fondamentale dell'animazione musicale della Confermazione è il carattere festivo. È una festa che coinvolge tutta la comunità. Festa e dimensione comunitaria sono da sottolineare anche col canto. Il gruppo dei cresimandi va coinvolto al massimo. L'animazione musicale sarà quella di una celebrazione domenicale importante. I canti andranno scelti in base alla tematica del rito, ma tenendo conto anche delle caratteristiche specifiche del tempo liturgico corrente.

Protagonisti i cresimandi Per far sentire protagonisti i cresimandi è opportuno che al momento dell'assenso di fede, dopo la rinnovazione delle promesse battesimali, eseguano un breve canto, o al termine del rito della crismazione. Potrebbe essere un “canto guida” che ha preparato la loro preparazione. È essenziale comunque che possano cantare insieme all'assemblea i canti rituali più importanti, soprattutto il Salmo responsoriale, l’acclamazione al Vangelo, i canti della Preghiera Eucaristica e il Padre Nostro. Bisogna scegliere canti adatti per testo e musica alle possibilità dei ragazzi. Inserire nel corso di catechismo immediato l'apprendimento dei canti. È l'occasione per spiegare i testi e il loro significato rituale.

L’Assemblea Per l'animazione dell'Assemblea è opportuno un animatore del canto. Da evitare assolutamente di delegare completamente la gestione del canto a un coro, per non ridurre il canto a una vernice esteriore estranea al rito celebrato. Magari con la scusa che c'è il Vescovo e bisogna fare le cose solenni.

Temi: � Effusione dello Spirito � Inserimento nella Chiesa � Crescita nella fede � Testimonianza cristiana

Rito Nella liturgia del sacramento il rituale dice di eseguire un canto adatto. Non è importante la quantità di canti che coprano tutto il rito. Anzi è raccomandabile che tra un canto e l'altro si sentano le parole della liturgia, il dialogo sacramentale tra il Vescovo e il cresimando. Siano canti di ascolto ma non solo dei riempitivi. Il testo deve essere coerente con ciò che si sta celebrando, cioè musica liturgica. Può essere anche musica strumentale con dei testi letti che si sovrappongono alla musica. Gli ostinati alla Taizè funzionano bene.

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L’ANNO LITURGICO E LE SUE CELEBRAZIONI APPUNTI DALLE LEZIONI DI DON MASSIMO CANOVA ............................................................................................................................................ 1

DEFINIZIONE DI LITURGIA .................................................................................................................................. 1 COSA SI CELEBRA NELLA LITURGIA? ................................................................................................................ 2 SIGNIFICATO STORICO DELLA CELEBRAZIONE .................................................................................................. 2 CELEBRARE LA PASQUA DEI MARTIRI ............................................................................................................... 3 COME SONO NATI I TEMPI LITURGICI ................................................................................................................. 3 NASCITA DELLA FESTIVITÀ DEL NATALE E DELL’A VVENTO ........................................................................... 3 CONCLUSIONI ...................................................................................................................................................... 4 RELAZIONE TRA PASQUA E NATALE ................................................................................................................. 4

L’AVVENTO ....................................................................................................................................... 4

STRUTTURA DELL’A VVENTO NEL MESSALE. ................................................................................................... 4 LA TEOLOGIA DELL’A VVENTO .......................................................................................................................... 5 LA STRUTTURA DELL’A VVENTO ....................................................................................................................... 5 SPIRITUALITÀ DELL ’A VVENTO .......................................................................................................................... 6 PREPARAZIONE DELLA LITURGIA DI AVVENTO ................................................................................................ 6 LE FONTI .............................................................................................................................................................. 6 IL TEMPO DELL’A VVENTO SCHEMATICAMENTE ............................................................................................... 6

IL NATALE ........................................................................................................................................... 7

STRUTTURA ......................................................................................................................................................... 7 STORIA ................................................................................................................................................................. 7 TEOLOGIA DEL NATALE ..................................................................................................................................... 7 SPIRITUALITÀ DEL NATALE ................................................................................................................................ 7

Universo-cosmo-storia ................................................................................................................................. 8 IL TEMPO DEL NATALE SCHEMATICAMENTE .................................................................................................... 8

IL TEMPO DI QUARESIMA ........................................................................................................................... 8

PREPARARSI ALLA PASQUA ................................................................................................................................ 9

LA PASQUA ........................................................................................................................................................ 10

CENNI STORICI ................................................................................................................................................... 11 SCELTE MUSICALI ............................................................................................................................................. 11

IL TRIDUO PASQUALE ................................................................................................................................. 12

IL GIOVEDÌ SANTO ............................................................................................................................................. 13 VENERDÌ SANTO, COME SI STRUTTURA ........................................................................................................... 14

Adorazione della Croce.............................................................................................................................. 14 LA VEGLIA PASQUALE ...................................................................................................................................... 15

Il Preconio pasquale ................................................................................................................................... 15 La liturgia della Parola .............................................................................................................................. 16 Liturgia battesimale .................................................................................................................................... 16 Liturgia Eucaristica .................................................................................................................................... 16 Sequenza pasquale ...................................................................................................................................... 16

CONSIDERAZIONI FINALI SUL TEMPO PASQUALE ............................................................................................ 17

LE CELEBRAZIONI MARIANE .................................................................................................................. 17

ALLEGATO: I CANTI MARIANI NELLA LITURGIA (DI GUERRINO ORLANDINI) .......................... 18

31

Canti popolari ............................................................................................................................................. 18 Canti liturgici .............................................................................................................................................. 19

IL RITO FUNEBRE .......................................................................................................................................... 19

CONSIDERAZIONI GENERALI .......................................................................................................... 19 ALLEGATO: CELEBRARE I FUNERALI OGGI (DI DANIELE CASINI) .......................................................... 20

Un’assemblea speciale ............................................................................................................................... 20 Il senso dei funerali ..................................................................................................................................... 20 Accompagnare un fratello verso l’incontro con Dio. ............................................................................. 20 La liturgia dei funerali ............................................................................................................................... 21

RITO DEL MATRIMONIO ............................................................................................................................ 23

CANTO E MUSICA PER CELEBRARE IL RITO DEL MATRIMONIO ............. 23 Funzione ministeriale ................................................................................................................................. 23 Il servizio della musica e del canto: in pratica ........................................................................................ 24

BATTESIMO (ALLEGATO) ........................................................................................................................... 26

ARTICOLAZIONE DEL RITO ............................................................................................................................... 26 1) Riti di accoglienza: ................................................................................................................................. 26 2) Liturgia del sacramento: ....................................................................................................................... 27 3) Il battesimo. ............................................................................................................................................. 27 4) Riti di conclusione .................................................................................................................................. 27

IL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE (ALLEGATO) ...................................................... 27

NELL'ITINERARIO DELLA INIZIAZIONE CRISTIANA .......................................................................................... 27 NELLA LUCE DELLA PENTECOSTE ................................................................................................................... 28 UNA CELEBRAZIONE NELLO SPIRITO ............................................................................................................... 28 IL RITO DELLA CONFERMAZIONE ....................................................................................................... 29

Festa della comunità .................................................................................................................................. 29 Protagonisti i cresimandi ........................................................................................................................... 29 L’Assemblea ................................................................................................................................................ 29 Temi: ............................................................................................................................................................ 29 Rito ............................................................................................................................................................... 29