l'angelo di ferragosto
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Un esperienza diretta di una signora italiana riguardo a un argomento molto discusso. Il racconto vero di un estate indimenticabile. ATTENZIONE: PER ADULTI - FOR ADULTS ONLYTRANSCRIPT
GIOVANNA'S
L'angelo d'estate
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©Giovanna S. - 2014
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Indice dei contenuti
Prologo
ANNUS MIRABILIS
L'ANGELO D'AGOSTO
Uno
Due
Tre
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PROLOGO
Avevo trovato l’utile e il dilettevole ed ero
grata al
destinoche mi aveva concesso quel colpo di
fortuna.Insomma, quell’estate avevo vinto
uno “stage” presso un importante albergo
della capitale, una notizia capitata
all’improvviso, tra capo e collo, e proprio
non avrei saputo come risolvere la
questione dell’alloggio. Per fortuna, ne
parlai al telefono con mia madre dalla
stanza che condividevo, a Milano, con
Monica la mia collega alla IULM.
Monica era di origine calabrese e, una
volta capita la mia esigenza, esternò tutto il
suo entusiasmo, poi mi raccomandò di
aspettare l’indomani perchè, forse, aveva
una risposta ai mio problema.
E fu proprio così: Monica, che da quel
giorno divenne la mia “Fata Madrina”, con
un tocco di -bacchetta magica, fece di me
una ragazza fortunata.
A Roma, ai Parioli, ci viveva la sua vecchia
nonna con il figlio, scapolone e zio della mia
amica. Ora il caso volle che lo zio di Monica
volesse da tempo fare un viaggio in
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America, per andare a trovare i cugini che
non vedeva da anni.
Quale occasione migliore? La nonna non
avrebbe mai accettato in caso una badante,
era una tipa all’antica, ma sarebbe stata
felice di ospitare me, la migliore amica della
sua nipotina preferita!
Insomma, il puzzle si ricompose e il
lunedì successivo ero a Roma, in una
bellissima casa padronale, a poche fermate
di bus dall’Hotel Cavour, dove avrei
lavorato per le prossime quindici settimane.
La nonna di Monica era una signora
anziana, non brutta, di un’età indefinita che
di certo superava i settanta. Adesso, l’età
doveva averla un po’ piegata ma da giovane
doveva essere stata alta, bruna e fiera, come
le donne del suo paese.
Era bruna e, probabilmente, dava ai
capelli una botta di tintura, il viso aveva
poche rughe e una bella pelle, che sembrava
sempre abbronzata.
Gli occhi verdi aggiungevano un tocco di
dolcezza al suo sguardo saggio e a volte
melanconico.
Era molto riservata e fu un’ospite
impeccabile. In quei pochi giorni mi
affezionai talmente a lei, ne fui talmente
conquistata che, alla fine, le chiesi se potevo
chiamarla zia.
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Lei finse di pensarci su un momento e poi
acconsentì allegra:
- Certo, zia sì ma non nonna! Non come
quella maleducata di Monica che si ostina a
pensare che sono una vecchia! – ridemmo
insieme pensando a Monica, anche lei
impegnata, da qualche parte nel mondo, a
tentare di costruirsi un futuro decente.
Due cose mi sono rimaste impresse della
signora Stefania: la sua cucina eccellente e il
racconto che mi fece una sera,
sorprendendomi talmente che, ancora
adesso, mi riesce difficile immaginare
come, la vecchia nonnina, si fosse potuta
“dar da fare” in maniera talmente
spregiudicata, da meritarsi l’appellativo di
“angelo del Ferragosto”.
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ANNUS MIRABILIS
Annus Mirabilis
La rivoluzione sessuale, iniziò
(forse un po’ tardi per me)
nel 'novecentosessantatre:
quando il romanzo di Lady Chatterley
uscì dalla clausura
e il primo LP dei Beatles
passò la censura!
Fino a quell'anno
il piacere non era godimento
ma una specie di patto per l'anello,
una promessa di fidanzamento.
Il pudore mi prese a sedici anni
e contagiò per tanto la mia vita.
Poi si risolse ogni tenzone
e appianammo la situazione,
ogni vita riprese valore
ognuno era importante, finalmente.
Tutti vincemmo,
non si perdeva più niente.
La gente era felice, ecco perchè
fu stupendo il 'novecentosessantatre
(forse un po' tardi ma lo fu anche per me)
quando il romanzo di Lady Chatterley
uscì dalla clausura
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e il primo LP dei Beatles
passò la censura!
(Libera traduzione da: Annus mirabilis di
Philip Larkin, by Giovanna)
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L'ANGELO D'AGOSTOVolontariato
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UNO
Ora ti racconto un fatto che ormai
appartiene al mio
“passato remoto”, un po’ per il piacere di
farlo, perchè voi giovani credete sempre che
tutto il mondo lo avete inventato voi! Non è
così, figlia mia, come dice la Bibbia: non c’è
nulla di nuovo sotto il sole. E voglio
parlartene anche per una forma di piccola
vendetta personale nei confronti di mio
marito che, ormai, è all’altro mondo a
sbrigarsela da solo.
Non l’ho mai raccontato e ora, con te ne
ho l’occasione... raccontare è importante,
perchè, altrimenti, qualsiasi cosa è come se
non fosse mai successa.
Mio marito era un affermato
professionista calabrese; un bell’uomo di
buona famiglia e, a modo suo, bravo padre e
(secondo la mentalità disgustosa e antiquata
che ci circondava) anche buon marito.
Il mio “bravo” marito però non sapeva che
uno dei suoi amici di gioventù era gay, a
quei tempi, in un paesino della Sila, quello
era un argomento taboo.
Amedeo mi era molto affezionato sin da
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ragazzo. Mi confidava tutto e mi avvertiva
anche quando “il maritino” stava per
combinare qualche marachella.
Grazie alle sue soffiate, all’inizio del
matrimonio, riuscii a beccarlo mentre si
stava organizzando qualche avventura con
la puttanella di turno.
In linea di massima lo perdonavo, anche
perchè in Sila fare i separati in casa a
vent’anni, per una donna... è dura.
Per il turismo è sempre stata una zona
meravigliosa: Camigliatello, Spezzano, San
Giovanni in Fiore ma nei lunghi inverni,
soprattutto allora che andare sulla neve era
per pochi, c’era solo solitudine e silenzio.
Poi, dopo un periodo di quiete, me l’ha
fatta veramente sporca e da allora siamo
stati in sostanza divisi, per quasi dieci anni.
Praticamente mi ero scordata persino
come si fa, all’amore.
Si ragazza mia, anche io sono stata bella,
desiderata e... e tutto il resto.
Comunque, il mio congiunto
(approfittando del fatto che ero impegnata e
addolorata per un male di mio padre,
culminato con una difficile operazione) si
scopava la babysitter, una ragazzotta di
paese, appena maggiorenne.
Difficile immaginarla come donna, con le
sue calze pesanti e i guanciotti arrossati
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dalla vita naturale; difficile immaginarla
interessante, per un uomo come lui. Un
professionista affermato che, volendo,
avrebbe potuto permettersi veramente di
meglio ma non finisce qui.
Tornata da Torino, stanca, distrutta, al
paese trovai lui nero e lei disperata.
La ragazza mi raccontò che un giovane
l’aveva messa incinta e adesso non poteva
dirlo a casa, altrimenti il padre l’avrebbe
uccisa.
Ne parlai con mio marito ma lui, che in
quel periodo la detestava, disse che era solo
una “zoccola”, niente a che vedere con
una“santa” donna come me.
E così, “la santa”, che era una donna adulta
ma abbastanza ingenua, ebbe pena della
ragazza.
Mi feci carico del suo guaio ben
conoscendo la mentalità retrograda di quei
piccoli centri di montagna. Alla fine, grazie
alle mie amicizie e sacrificandomi
personalmente (ed economicamente)
riuscimmo a farla abortire pur di non
negarle un futuro, altrimenti la giovane
sarebbe stata segnata a vita.
Pochi giorni dopo il fattaccio, mi accorsi
che tutti erano ritornati felici e contenti,
compreso mio marito, che aveva per me
mille attenzioni.
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Qualche mese più tardi gli comunicai che
Teresa, la ragazza, a casa non serviva più:
che fare?
Lui prese la palla al balzo e disse:
- Sai che possiamo fare? Adesso che con i
miei soci abbiamo aperto lo studio più
grande, la posso far assumere da noi, tanto
lei il diploma se l’è già preso! –
Soluzione perfetta pensai: ormai avevo
preso a cuore la situazione della “povera
pastorella indifesa”.
Dopo un anno però, il mondo mi crollò
addosso!
Amedeo, il nostro amico gay, litigò di
brutto con mio marito e per togliersi la
pietra dalla scarpa, mi fece una telefonata di
fuoco.
- Guarda io non avevo avuto il coraggio di
dirtelo – affermò – perchè tu sei una brava
donna e non volevo farti più male di quanto
già ne hai ricevuto, ma ti avverto: guardati
intorno perchè, come diciamo noi, ti hanno
messo in mezzo!
Ricordati solo questo, tuo marito è un
vero porco! –
Come un velo di nebbia che si dirada,
dinanzi a me la verità venne a galla. Feci un
po’ d’indagini discrete e scoprii, un po’ alla
volta, il nido di vespe su cui ero stata seduta,
senza accorgermi di nulla.
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Morale della favola: mio marito aveva
sedotto la ragazza, nonostante avesse
venticinque anni di più; quando avevo
seguito mio padre a Torino, se l’erano
spassata talmente che l’aveva messa incinta
e, dulcis in fundo, io stessa, ignara di tutto,
l’avevo aiutata per liberarsi del bambino:
cosa che mi ripugnava, dal punto di vista
morale e religioso.
Adesso che lei lavorava al suo studio,
erano veri e propri amanti e se la godevano
come due piccioncini.
Chissà quante grasse risate si erano fatti
alle mie spalle. Che stupida ero stata.
Piantai un enorme casino, li minacciai di
brutto e la storia finì.
Passai poi un lungo, brutto, periodo
chiusa in casa a piangere e a soffrire,
ripensando a ciò che avevo vissuto.
I rapporti con mio marito erano sempre
tesi e abbiamo dormito divisi per anni.
Anche lui prese una brutta botta. Finita la
storia malefica con quella ragazza, che lo
aveva fatto sentire un “giovanotto” e che, tra
l’altro, gli aveva spillato un sacco di
quattrini, si era ritrovato, solo e malvisto.
Il paese è piccolo, la gente parla e la sua
tresca era diventata di dominio pubblico.
Avevo undici anni meno di lui e,
nonostante tutto, ero una donna molto
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apprezzata.
Avevo un corpo e ben proporzionato. La
vita sana e l’aria buona mi avevano donato
un fisico tonico e formoso.
Le gravidanze mi avevano riempito e fatta
più donna: vestivo in maniera classica, mai
volgare, e portavo sempre la gonna. Allora
che le ragazze andavano in giro in Jeans
sformati e di pessimo gusto, le mie gambe
nervose, trattenute dalle calze di seta nere, e
le scarpe eleganti attraevano gli sguardi
vogliosi, persino quelli dei più giovani.
Poi, un bel giorno, arrivò la telefonata che
mi cambiò la vita.
Era padre Fulvio, un prete che si occupava
di volontariato nel mondo dei disabili, lo
avevo conosciuto a Torino, nell’ospedale.
Era tutto contento perchè mi doveva fare
una bella sorpresa: padre Fulvio era in
Calabria, a Siderno Marina.
C’ero stata un paio di volte, c’era un mare
stupendo e un panorama mozzafiato.
L’associazione di padre Fulvio
organizzava ogni anno delle settimane di
colonia, per i giovani con difficoltà.
Mi pregò di scuotermi dal mio torpore e
di andarlo a trovare per passare una
giornata diversa. Volli spezzare la catena e
uscire finalmente dalle mie quattro mura,
così pochi giorni dopo, accompagnata da
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una mia amica, raggiunsi Siderno e
passammo veramente una bella giornata.
Nel salutarci, il prete mi fece una
proposta: perchè non rendermi utile agli
altri facendo del volontariato?
Insomma, mi chiese di occuparmi per le
due settimane successive, aiutando i ragazzi
del prossimo turno.
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DUE
Non risposi subito di sì, nonostante tutto
sono sempre una
donna all’antica e volevo parlarne con
mio marito.
Lui si mostrò entusiasta, non sopportava
più tanta tensione e sperava che, rompendo
la routine, qualcosa sarebbe cambiato anche
tra noi due.
Così, nel mese di Agosto, partii con il mio
borsone, come una studentessa alle prime
armi. Portai perfino il costume da bagno...
era tanto che non andavo al mare, chissà
magari trovavo anche il tempo per fare un
tuffo.
Avevo avuto anche un maschietto, così mi
feci coraggio e non ebbi nessuna remora a
trattare con quei giovani, purtroppo
disagiati a causa di varie patologie.
Da loro imparai che l’allegria e la gioia di
vivere si può trovare anche con poco,
imparai ad apprezzare le piccole cose, che
sono sempre le più belle.
Di giorno li aiutavo insieme alle altre
“sorelle”, ci chiamavano così, come fossimo
monache.
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Collaboravo anche a lavarli, li
accompagnavo a fare i bisogni, controllavo
che tutto fosse in efficienza per non
procurare loro ulteriore disagio.
Di sera poi, dopo cena, si parlava a lungo,
specialmente con i più grandi e capii che la
cosa che più gli mancava, era il sesso.
Scoprii che molti si eccitavano
continuamente e si arrangiavano come
potevano.
Ce n’era uno, Samuele, un ragazzo di
ventisei anni, che appena lo toccavo si
eccitava. Lavargli le parti intime non era
facile, perchè il suo pisello, diventava
gigantesco e duro e non sapevo come
piegarglielo nella vasca del bidet.
La situazione, dopo il primo imbarazzo,
divenne comica e ogni volta ci facevamo un
sacco di risate.
In me però, nasceva anche una certa
eccitazione, perchè erano anni che non
facevo niente; quelle risate servivano anche
a esorcizzare il mio turbamento.
Una mattina mentre andavo a fa la spesa
con Colomba, una donna della mia età ma
esperta di volontariato, portai la discussione
sull’argomento: come si comportavano loro
con i ragazzi maschi, quando questi si
eccitavano?
- Beh, cara mia, ognuna si comporta come
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sente, non esiste una regola... sono giovani e,
nonostante tutto, molti hanno le loro
pulsioni: arrapano come chiunque, lo sai
no?– e mi lanciò uno sguardo d’intesa.
- Con un po’ di discrezione, se te la senti,
puoi fare come fanno tante altre... potresti
dargli una mano. – Esitai per un poco, poi
capii:
- Ah, una mano... una mano nel vero
senso della parola? – e con le dita mimai il
gesto di chi tira una sega a un maschio.
Colomba rise di gusto: - Brava, hai capito
al volo! –
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TRE
Due giorni dopo, a Ferragosto,
organizzammo la brace sulla
spiaggia, portammo una chitarra e
cenammo tutti in allegria.
Più tardi, la maggior parte tornò alla
pensione, mentre alcuni dei giovani più
grandi insistettero per restare almeno per
quella notte, sull’arenile.
Mi offrii di far loro da assistente e mi
lasciarono il vecchio pulmino Volkswagen
per ritirarci a nostro piacimento.
Anche Samuele volle rimanere. Eravamo
in quattro: due ragazzi, una ragazza ed io.
Chiacchierammo, giocammo e alla fine si
doveva pagare pegno: io persi
indecorosamente.
Era tardi e sulla spiaggia non c’era quasi
nessuno... lontano qualche altro falò si
spegneva, mentre i nottambuli se ne
andavano via.
Il buio e l’allegria si resero complici delle
nostre parole, il pegno divenne sfida; la sfida
divenne tenzone, poi fu un continuo duello
di... “e tu? e io; e te la senti, e non te la
senti...” eccetera eccetera.
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Insomma alla fine io ero la pesante
signora borghese, che si finge emancipata,
perchè è di moda negli anni sessanta... ma
che non avrebbe saputo uscirsene dai luoghi
comuni.
Incapace di trasgredire... incapace di
godersela in libertà e schiava dei suoi taboo!
Così, il mio pegno prese una piega
inaspettata: dovevo avere il coraggio di
toccare il membro di Samuele davanti agli
altri due.
Per stemperare l’atmosfera, mentre
arrossivo nell’oscurità, dissi:
- E che ci vuole: è una settimana che glielo
tocco... – e risi – Caccialo fuori, su,
vediamolo questo pisellino! – lo presi anche
in giro.
- No! – intervenne la ragazza – Devi farlo
tu... deve fare tutto da sola, giusto? – disse,
cercando la complicità dei suoi amici.
Accettai e mi spostai lentamente verso la
sedia di tela su cui stava seduto il ragazzo.
D’un tratto si fece silenzio e tutti si
divennero attenti ai miei gesti.
Con gli occhi bassi e col cuore che batteva
all’impazzata, m’inginocchiai davanti a
Samuele e iniziai delicatamente ad
armeggiare con i bottoni del pantaloncino.
Il suo cazzo, da sotto, gonfiava la patta
tendendo la stoffa sottile. Lo sentivo sotto le
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dita.
Piano piano lo liberai e adesso il suo
affare svettava, duro come la pietra.
Nel buio sembrava una grossa melanzana.
Lo sfiorai con la punta delle dita:
- Ecco, toccato. Avete visto, no? – dissi,
fingendo di aver terminato il mio compito
anche se ero certa che la cosa non sarebbe
finita li.
Nonostante il fresco della notte estiva,
dentro di me bruciavo e anche gli altri
ragazzi erano evidentemente eccitati.
- E questo lo chiami toccare? – disse la
ragazza infilando la mano sotto il costume
del giovane accanto a lei:
- Glielo devi prendere tutto in mano, così!
– e anche se non si vedeva bene, si capiva
che aveva raggiunto il cazzo del ragazzo e lo
stringeva forte, agitandolo a destra e a
sinistra, come un manico di scopa.
- Se per te va bene...? – dissi, interrogando
Samuele con lo sguardo. Nei suoi occhi
leggevo la febbre del piacere: lui non
aspettava altro.
Non mi trattenni più... adesso ero un’altra
donna. Tra le gambe sentivo un fuoco, un
desiderio che non avevo mai provato.
L’eccitazione, troppo a lungo sopita, mi
dava la carica e non pensai più a nulla.
Il mondo intorno scomparve: ora
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desideravo solo sentire quel pene turgido e
liscio riempirmi le mani, desideravo solo
donare piacere col mio corpo a quel giovane
che impazziva di desiderio.
Impugnai saldamente il membro, era
caldo, duro, eretto verso l’alto.
Di sotto, poggiava sullo scroto, gonfio e
pieno, morbido come pasta per pizza
appena lievitata.
Toccai tutto, carezzai tutto, volevo
impadronirmi di quelle sensazioni e
gustarmi quel cazzo completamente
estraneo; erano anni che trattenevo i miei
desideri, avevo conosciuto quasi solo il
membro di mio marito, in fondo.
Sapevo masturbare l’uomo, l’avevo
imparato da ragazza: ormai che c’ero era
inutile fermarsi.
Mi misi di fianco, chinata su Samuele e
iniziai a farglielo delicatamente in mano.
Anche la ragazza, stava masturbando il
suo amico, lo faceva con più rabbia, più
veloce, mentre si concedeva un ditalino
pure lei.
La sua mano era nel costume e andava
dentro e fuori col dito, ritmicamente.
Nessuno aveva più grande interesse per
gli altri, ognuno era perso in se stesso alla
ricerca di un piacere fin troppo negato.
- Sublime, sublime... – diceva Samuele,
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irrigidendosi sulla poltroncina.
Io gli tenevo una mano sulla spalla e l’altra
saliva e scendeva, in modo cadenzato, sulla
sua asta che superava in altezza l’ombelico.
Andavo svelta in su e poi di nuovo in giù
ma con attenzione, aveva ancora la pelle
chiusa sul pene e non volevo fargli male.
Stavo ben attenta a far sgusciare solo
parzialmente il grosso glande, rosso e lucido
come un frutto maturo.
- Baciamelo! – mi ordinò senza
controllarsi, io rimasi interdetta. Era una
pratica che non avevo mai approfondito
troppo con mio marito. Lui me lo aveva
chiesto più volte oppure ci aveva provato
ma io lo avevo accontentato poco e male:
temevo il suo giudizio... dopo il piacere. Di
sicuro avrebbe pensato che, sua moglie,
faceva cose da puttana. E a cosa aveva
portato tanto sacrificio? A nulla!
Persi ogni ritegno e ogni rispetto per
quell’uomo che mi aveva fatto tanto male:
ora toccava a me godere.
Decisi di far felice il povero ragazzo; fu
facile, dovetti solo abbassarmi di poco e mi
ritrovai la testa del suo cazzo a pochi
millimetri dalle labbra.
Masturbandolo, il glande mi batteva sulla
bocca, tirai fuori la lingua e lo assaggiai.
Al contatto con quella dolce sfericità sentii
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una gioia elettrica attraversarmi tutta la
schiena e poi esplodere alla base della nuca:
adesso lo volevo e così lo presi,
succhiandolo dentro.
Mi abbassai lentamente, determinata a
prenderlo completamente fino in gola.
Mi sentii invasa, riempita, Samuele
godendosi quel pompino fece il pene ancora
più gonfio.
Per vari minuti nemmeno lo toccai con la
mani, facevo tutto con la bocca, volevo
conoscerlo bene.
Prima lo ingoiai diverse volte, senza
fretta, mentre, dall’ugola, producevo
tantissima saliva e gli gocciolavo addosso
dalla bocca ma non m’importava.
Anche i suoni gutturali di quel lavoro di
bocca erano osceni e arrapanti; accovacciata,
aprii le gambe e tastandomi la figa la trovai
fradicia di liquido trasparente.
Bellissimo.
Mi lasciai andare senza pensare a niente,
volevo solo il cazzo, in quegli istanti.
Farlo per il solo gusto di provare e dare
piacere, senza alcuna implicazione
sentimentale né amore, fu una scoperta
incredibile.
Mi sentivo una porca, credevo di aver
passato il limite, di essere diventata una
depravata e, invece di mortificarmi, questa
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sensazione m’inebriava: mi sentivo forte,
diversa.
A trent’anni passati compresi che il sesso
non s’impara: basta liberare la nostra
naturale libidine per capire tutto e subito.
Capii che il trionfo di quel gioco era il
piacere e che sarebbe stato sancito dallo
spruzzo di Samuele.
Il ragazzo aveva brividi continui e gli
vibravano le mascelle per la goduria.
Non volli esagerare facendolo trattenere
troppo. Spontaneamente glielo presi in
mano e lo masturbai alacremente, mentre
con le labbra non perdevo il contatto col suo
cazzo, mai.
Ci volle poco.
A quella velocità, la sega risultò molto
efficace e quando lui s’inarcò, in un fascio di
nervi tesi, lo sperma passò rapidamente dal
pene alla mia lingua.
Spontaneamente, alle prime gocce di
sborra calda, stavo per sgusciare all’indietro,
come avevo sempre fatto con mio marito...
ma Samuele mi trattenne per la nuca.
Decisi di andare fino in fondo, quella
volta: accettai tutta la sborrata di Samuele!
La mia bocca si riempiva come se ci
spruzzasse dentro della panna spray.
Il ragazzo venne continuamente per quasi
due minuti.
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Mi riempì completamente e, anche se non
avrei voluto, fui costretta a ingoiare una
buona dose di sperma.
Il resto lo sputai sulla rena un attimo dopo
aver finito.
Sedetti sulla sabbia sconvolta, non ero
venuta ma avevo provato un piacere
immenso, sconosciuto, intimo.
L’altra coppia, sdraiati su un telo, stava
scopando come meglio poteva.
Samuele guardava il mare nero, un po’
impacciato ma felice.
Mi prese la mano e restammo così a
lungo, ebbi la sensazione che mi volesse
ringraziare.
Il giorno dopo arrivò anche padre Fulvio
e con lui mi confessai.
Mi diede l’assoluzione molto volentieri e
senza troppi pregiudizi.
Iniziai così la mia “carriera” di angioletto
nelle comunità e, per vari anni, ho dedicato
al volontariato almeno due settimane della
mia estate.
Faccio bene il mio lavoro, m’impegno con
tutta me stessa, specialmente di notte anzi,
la notte direi che tanto angioletto non lo
sono... i ragazzi lo sanno, mi cercano
apposta, soprattutto la notte di Ferragosto.
Con mio marito le cose andarono
meglio... lui non lo sapeva ma avevamo
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pareggiato i conti da tempo.
Delle sue porcate non m’importava più
niente... ero troppo impegnata a organizzare
le mie.
Non mi sento in colpa: tutto ciò che ho
fatto, l’ho fatto a fin di bene.
FINE
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