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L’AMMINISTRAZIONE NELLE DEMOCRAZIE CONTEMPORANEE (E. GUALMINI) La teoria comparata della burocrazia In questo capitolo intendo ripercorrere le origini e lo sviluppo dell’analisi comparata dei sistemi amministrativi iniziando da un movimento intellettuale che si diffuse negli stati uniti tra gli anni 50 e 60, il Comparative Administrative Group, nell’ambito del quale venne fondato lo studio non giuridico delle burocrazie. Cercherò poi di presentare le evoluzioni successive di quella letteratura identificando altri due importanti filoni di ricerca. Il primo è incentrato sull’analisi delle relazioni che intercorrono tra politici e burocrati, nato a partire dagli anni 70 grazie ai lavori di Putman e protrattosi fino ai giorni nostri. Il secondo riguarda gli approcci e i paradigmi prescrittivi finalizzati a fornire gli strumenti di intervento per migliorare l’efficienza e l’efficacia della prestazione amministrativa. Dopo aver presentato lo stato dell’arte della letteratura, cercherò di argomentare come un modo adeguato per recuperare lo studio comparato dei sistemi amministrativi senza limitarlo all’indagine di loro singole componenti sia fornito dalla prospettiva neo-istituzionale diffusasi nell’arco degli anni 80 e 90 all’interno della scienza politica. Gli studi comparati sulla PA ebbero origine negli usa tra gli anni 50 e 60 nell’ambito della Comparative Administrative Group (CAG) che, sulla base di un consistente finanziamento accordato dalla fondazione Ford, lanciò un ampia serie di progetti di ricerca internazionali sulle caratteristiche di funzionamento della PA nelle democrazie occidentali e nei paesi in via di sviluppo. L’istituzione del CAG, nel 1960, segnò un punto di svolta nella storia della letteratura, perché segnalava un chiaro spostamento dell’interesse dall’area degli studi ideografici all’area delle ricerche empiriche comparate. Nel 1960 Fred Riggs fu nominato presidente del neonato CAG e vennero avviati una serie di progetti di ricerca di ampio respiro, insieme ad un imponente attività convegnistica e seminariale. Nel 1968 circa 500 persone, tra accademici, consulenti e operatori, statunitensi e non, potevano annoverarsi come membri del CAG. Nel 1969 venne anche fondata la rivista del movimento, il “Journal of Comparative Administration”. Nel 1962 Riggs formulò il “modello prismatico” di amministrazione che aspirava a diventare il punto di riferimento per l’analisi degli apparati burocratici dei paesi in via di sviluppo. Aspirazione tuttavia destinata a rimanere disattesa, proprio perché l’intento di Riggs non era tanto quello di ricollegare rigidamente il modello prismatico a una specifica realtà geografica, quanto di edificare un paradigma interpretativo universale in grado di cogliere gli elementi caratterizzanti dei sistemi politici che ancora non avevano percorso per intero il cammino della democratizzazione e dello sviluppo. Riggs mise a punto due modelli di burocrazia tra i quali veniva a collocarsi quello prismatico. Il primo caratterizza le società primitive e viene definito “concentrato o fuso”; in esso la divisione dei ruoli è appena abbozzata o inesistente e la struttura dell’economia è di tipo prevalentemente agricolo. Al polo opposto si trova il modello “diffratto” che è proprio delle società occidentali, in cui il sistema dei ruoli è fortemente differenziato e l’economia si fonda sul settore industriale. Il modello “prismatico” invece si posiziona a metà tra i due idealtipi, in quanto combina elementi di modernità (diffratti) con elementi tradizionali (concentrati); il riferimento è appunto alle società in transazione. All’interno di questo

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L’AMMINISTRAZIONE NELLE DEMOCRAZIE CONTEMPORANEE (E. GUALMINI)

La teoria comparata della burocrazia In questo capitolo intendo ripercorrere le origini e lo sviluppo dell’analisi comparata dei sistemi amministrativi iniziando da un movimento intellettuale che si diffuse negli stati uniti tra gli anni 50 e 60, il Comparative Administrative Group, nell’ambito del quale venne fondato lo studio non giuridico delle burocrazie. Cercherò poi di presentare le evoluzioni successive di quella letteratura identificando altri due importanti filoni di ricerca. Il primo è incentrato sull’analisi delle relazioni che intercorrono tra politici e burocrati, nato a partire dagli anni 70 grazie ai lavori di Putman e protrattosi fino ai giorni nostri. Il secondo riguarda gli approcci e i paradigmi prescrittivi finalizzati a fornire gli strumenti di intervento per migliorare l’efficienza e l’efficacia della prestazione amministrativa.

Dopo aver presentato lo stato dell’arte della letteratura, cercherò di argomentare come un modo adeguato per recuperare lo studio comparato dei sistemi amministrativi senza limitarlo all’indagine di loro singole componenti sia fornito dalla prospettiva neo-istituzionale diffusasi nell’arco degli anni 80 e 90 all’interno della scienza politica.

• Gli studi comparati sulla PA ebbero origine negli usa tra gli anni 50 e 60 nell’ambito della Comparative Administrative Group (CAG) che, sulla base di un consistente finanziamento accordato dalla fondazione Ford, lanciò un ampia serie di progetti di ricerca internazionali sulle caratteristiche di funzionamento della PA nelle democrazie occidentali e nei paesi in via di sviluppo. L’istituzione del CAG, nel 1960, segnò un punto di svolta nella storia della letteratura, perché segnalava un chiaro spostamento dell’interesse dall’area degli studi ideografici all’area delle ricerche empiriche comparate. Nel 1960 Fred Riggs fu nominato presidente del neonato CAG e vennero avviati una serie di progetti di ricerca di ampio respiro, insieme ad un imponente attività convegnistica e seminariale. Nel 1968 circa 500 persone, tra accademici, consulenti e operatori, statunitensi e non, potevano annoverarsi come membri del CAG. Nel 1969 venne anche fondata la rivista del movimento, il “Journal of Comparative Administration”. Nel 1962 Riggs formulò il “modello prismatico” di amministrazione che aspirava a diventare il punto di riferimento per l’analisi degli apparati burocratici dei paesi in via di sviluppo. Aspirazione tuttavia destinata a rimanere disattesa, proprio perché l’intento di Riggs non era tanto quello di ricollegare rigidamente il modello prismatico a una specifica realtà geografica, quanto di edificare un paradigma interpretativo universale in grado di cogliere gli elementi caratterizzanti dei sistemi politici che ancora non avevano percorso per intero il cammino della democratizzazione e dello sviluppo. Riggs mise a punto due modelli di burocrazia tra i quali veniva a collocarsi quello prismatico. Il primo caratterizza le società primitive e viene definito “concentrato o fuso”; in esso la divisione dei ruoli è appena abbozzata o inesistente e la struttura dell’economia è di tipo prevalentemente agricolo. Al polo opposto si trova il modello “diffratto” che è proprio delle società occidentali, in cui il sistema dei ruoli è fortemente differenziato e l’economia si fonda sul settore industriale. Il modello “prismatico” invece si posiziona a metà tra i due idealtipi, in quanto combina elementi di modernità (diffratti) con elementi tradizionali (concentrati); il riferimento è appunto alle società in transazione. All’interno di questo

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modello il sottosistema amministrativo viene definito “sala”, in modo da distinguerlo dal “bureau” occidentale e dalla “camera” tribale. A partire dagli anni 70 il CAG entrò in declino. La crisi della CAG significò la graduale scomparsa delle ricerche di tipo macro sugli apparati amministrativi, che sono state progressivamente sostituite da approcci cosiddetti di “medio raggio” sulle diverse componenti degli apparati burocratici e dall’analisi delle politiche pubbliche.

• Una seconda generazione di studi di matrice comparata ha posto al centro dell’interesse l’analisi delle relazioni che intercorrono fra le istituzioni politico-rappresentative, responsabili di formulare gli indirizzi programmatici di governo, e gli apparati burocratici, preposti all’esecuzione di tali indirizzi. La ragione della diffusione degli studi sul rapporto tra politica e amministrazione è principalmente il declino della Comparative Public Administration che dimostrò la crescente insoddisfazione nei confronti degli approcci che intendevano pervenire a teorizzazioni universali, e la conseguente ricerca di nuove categorie concettuali, collocabili a un livello minore della scala di astrazione che, tramite procedimenti empirici e induttivi, potessero essere adeguate a cogliere le specificità e quindi le differenza tra i contesti nazionali. Sono dunque questi approcci di “medio raggio”. La ricerca forse più nota all’interno di questo settore di studi è quella svolta da Aberbach, Putnam e Rockman nella seconda metà degli anni 70 e pubblicata nel 1981, basata su una vastissima indagine empirica che coinvolse sette democrazie occidentali (Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Olanda, Svezia e USA). L’obiettivo principale era quello di verificare la diffusione e l’applicabilità di quattro distinti modelli del rapporto tra politica e amministrazione. 1) La prima immagine è quella della separazione tra politica e amministrazione, secondo la quale i burocratici sono i semplici esecutori delle direttive provenienti dal personale di nomina elettiva. L’autonomia dei funzionari è scarsa. 2) La seconda immagine presuppone che tanti i primi che i secondi contribuiscano al processo di policy making, ma con compiti diversi: i funzionari tramite i fatti e le conoscenze empiriche, i politici tramite gli interessi e i valori. 3) La terza immagine è quella definita della contrapposizione tra l’energia e l’equilibrio. In questo caso i funzionari svolgono un ruolo politico e si differenziano dai politici perché trattano tematiche specialistiche mentre i politici sono portatori di interessi e temi generali. 4) La quarta immagine è quella denominata dell'“ibrido puro”, data dalla completa sovrapposizione delle funzioni politiche e amministrative, e cioè della politicizzazione della sfera burocratica e della burocratizzazione della politica. I risultati della ricerca empirica mostrarono come l’immagine prevalente nei paesi considerati fosse la terza, benché anche la seconda fosse presente in alcuni casi. Ciononostante vennero evidenziate numerose differenze tra i paesi (negli USA si osservò una maggiore sovrapposizione tra le due funzioni rispetto ai paesi europei, mentre il caso italiano era, invece, quello più prossimo all’immagine della separazione tra politica e amministrazione).

• A partire dagli anni 80 sono stati elaborati una serie di paradigmi che hanno ispirato l’intervento dei governi nell’attività di riforma del settore pubblico. Il centro dell’attenzione si è dunque spostato dallo studio delle proprietà strutturali degli assetti amministrativi a quello delle politiche pubbliche volte a modificarli e a modernizzarli. Ci si riferisce a due stili di governance particolarmente prolifici negli anni 90:

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o New Public Management (NPM) che prende le mosse dalla tradizione di business administration statunitense che dai lavori di Taylor in avanti si è particolarmente diffusa nel contesto anglosassone e che ha avuto come priorità quella di migliorare l’efficienza e l’economicità del settore pubblico. Le origini e l’evoluzione del NPM sono state efficacemente descritte da Hood in un noto saggio del 1991. La nascita del NPM può essere considerata come la risposta ad alcuni mutamenti che negli anni 80 hanno coinvolto le democrazie occidentali: l’esigenza di rallentare la crescita del settore pubblico, la tendenza a denazionalizzare e a privatizzare le società pubbliche, i progressi compiuti dalla tecnologia dell’informazione e la loro applicazione all’erogazione di servizi pubblici e la crescente interdipendenza della agende politiche dei governi. E infatti, proprio a partire dagli anni 80, a seguito della crescente crisi fiscale che aveva colpito una gran parte delle democrazie industrializzate, alcune organizzazioni internazionali, tra cui l’OCSE e la comunità europea, cominciarono a sollecitare i governi nazionali perché si adoperassero a migliorare la competitività del settore pubblico attraverso la riduzione e il controllo della spesa, la riorganizzazione del personale e l’adozione di tecniche e strumenti per la misurazione dei costi, già sperimentati nel settore privato. Hood identifica sette elementi portanti del nuovo paradigma. Il primo è dato dall’introduzione di una gestione più professionale dell’attività pubblica, basata su meccanismi di autonomizzazione e di responsabilizzazione dei dirigenti considerati alla stregua di manager privati. Il secondo elemento si riflette nell’adozione di parametri predefiniti a cui le diverse attività amministrative dovrebbero ancorarsi e di indicatori per misurare la qualità e l’efficienza delle prestazioni. Collegato a questo, vi è il terzo principio che si sostanzia nell’enfasi sul controllo degli output e dei servizi effettuati. Ancora, il NPM sostiene l’inserimento di principi di competizione e di concorrenza nei confronti del settore privato e quindi l’utilizzo di stili aziendali di gestione delle attività e delle risorse umane. Infine, l'ultima componente del paradigma consiste in un invito al potenziamento dell’autodisciplina da parte dei dipendenti pubblici e all’uso della parsimonia nell’allocazione delle risorse. Numerosi autori hanno cercato di esaminare se e in che modo gli apparati amministrativi siano stati in grado di recepire e applicare gli insegnamenti del NPM. Gli esiti della ricerca permettono di distinguere fra tre gruppi di paesi. Il primo (Regno Unito, Finlandia e Olanda) che grazie all’assenza del diritto amministrativo e alla presenza di esecutivi stabili, si è registrata una veloce transazione verso una nuova identità dei funzionari pubblici. Il secondo (Italia, Francia) ha mostrato una media transazione al NPM. Infine, l’ultimo gruppo (Germania, Spagna) ha mostrato una transazione minima al nuovo modello.

o Governance Theory il cui approccio costituisce invece una sorta di risposta europea al managerialismo americano, che fa leva sui valori dell’equità e della partecipazione, intesi come obiettivi strategici di qualsiasi riforma del settore pubblico. Il concetto di governance assume un’estensione ampia, venendo a coincidere con quello più generale di coordinamento e con le diverse forme di organizzazione del potere politico e decisionale, rendendo difficile il suo utilizzo al fine di classificare le diverse esperienze nazionali. L’autore principale è Rhodes per il quale il termine governance significa che la distribuzione del potere segue uno schema orizzontale dove nessuno detiene realmente il potere che diviene cooperazione, proprio delle strutture internazionali come l'UE e il termine Governament viene inteso come la distribuzione del potere locale seguendo lo

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schema rigido verticale, proprio degli Stati. Rhodes individua nella governance without governement il modello emergente di policy making del Regno Unito. L’approccio della governance fornirebbe una prospettiva interpretativa più appropriata, in quanto non esclusivamente fondata sul perseguimento dell’efficienza, ma anche su obiettivi quali la legittimità dell’azione pubblica, la responsabilità dei dirigenti e l’equità dei servizi erogati.

L’approccio neo-istituzionalista, sviluppatosi nell'ambito delle scienze sociali negli anni 80 e 90, si presta a rispondere in maniera adeguata ai due interrogativi che dovrebbero essere posti al centro di una strategia di ricerca comparata sulle burocrazie. Il primo quesito riguarda i cambiamenti verificatesi sul versante organizzativo della pubbliche amministrazioni; il secondo interrogativo riguarda il problema dell’utilizzo del metodo comparato: il neo-istituzionalismo mette a disposizione strumenti e ipotesi teoriche che consentono di porre a confronto in prospettiva cross-nazionale i mutamenti avvenuti in un numero anche elevato di casi, ancorandoli alle specificità dei contesti politici nazionali. È da ritenere dunque che la prospettiva neo-istituzionalistica fornisca l’opportunità di riallacciarsi alla public administration e allo stesso tempo liberarla dalle incoerenze del suo primo periodo di sviluppo. Se il CAG aveva avuto il merito di lanciare gli studi comparati sulla amministrazioni dando vita a un nuovo linguaggio ed elevando il grado di sistematicità e di rigore del metodo della ricerca, presentava un grande limite dal punto di vista delle finalità delle indagini, volte all’edificazione di teorie generali in riferimento a contesti geopolitici assai diversi a questo problema, che hanno in parte posto rimedio gli studi sul rapporto tra politici e burocrati. Il principale vantaggio di questo approccio però finisce per costruirne un limite ai fini dell’analisi strutturale comparata: la selezione di una sola variabile (i rapporti tra politica e amministrazione) significa l’esclusione delle dimensioni organizzative interne del settore pubblico che appaiano invece quelle strategicamente rilevanti per comprenderne il funzionamento. Gli approcci sulle riforme amministrative viste poi al punto seguente (3) hanno altresì puntato l’attenzione su finalità di ricerca assai distanti da quelli ritenuti utili per un’indagine comparata, prevalentemente prescrittivi e orientati a “consigliare il principe” sul modo migliore di organizzare l’amministrazione. Il neo-istituzionalismo appare allora maggiormente in grado di superare i problemi riscontrati negli approcci precedenti. Al centro dell’interesse vi è il problema del cambiamento istituzionale, da leggersi come problema di “inerzia istituzionale”, ovvero come incapacità delle istituzioni di evolversi e trasformarsi. Le istituzioni tendono, infatti, a consolidarsi nei contesti in cui sorgono costituendo una legacy difficilmente sradicabile, che continua (con l’andare del tempo) a esercitare i propri effetti sull’evoluzione delle politiche pubbliche inibendo grandi deviazioni rispetto allo status quo. Gli studiosi delle PA ascrivibili alla prospettiva neo-istituzionalista sono ad esempio Heper, Peters, Knill, Clark etc.

Questo volume intende inserirsi nell’ambito della prospettiva neo-istituzionalista proponendo uno schema comparativo che permetta di cogliere e di porre a confronto le trasformazioni avvenute nei sistemi amministrativi cosi come si sono osservate nell’ultimo ventennio in sei paesi caratterizzati da un livello di sviluppo socioeconomico simile. I sei casi verranno esaminati sulla base di tre gruppi di variabili, riguardanti rispettivamente:

• gli assetti strutturali, • l’organizzazione del personale,• le modalità dell’azione amministrativa.

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Le tre famiglie di indicatori verranno tra loro correlate in modo da delineare due modelli polari di amministrazione:

• quello burocratico, che si basa su una struttura organizzativa di tipo gerarchico e sui principi della specializzazione funzionale e della conformità al dato normativo.

• quello imprenditoriale, che privilegia l’orientamento al risultato e si fonda quindi sull’autonomia e la responsabilità dei dirigenti, su una visione del lavoro incentrata sugli obiettivi e su una razionalità di tipo economico.

Entrambi i modelli sono di per sé legittimi, ma hanno caratteristiche di funzionamento diverse.

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L’organizzazione: la struttura dei ministeri Nel corso degli anni 80 e degli anni 90, gli apparati amministrativi centrali, principali delle democrazie occidentali, hanno subito importanti mutamenti. Il grado del cambiamento è stato differente da paese a paese,ma una vicenda comune ha attraversato le diverse esperienze: la trasformazione degli assetti ministeriali a seguito dell’istituzione di unità organizzative indipendenti, variamente denominate (agenzie, moduli, centri di costo etc), a cui sono stati attribuiti compiti di gestione e di erogazione dei servizi, sulla base di convenzioni o accordi quadro negoziati con i dicasteri di riferimento.

Quindi se fino ai primi anni ottanta era possibile a fini classificatori distinguere tra il modello per ministeri e il modello per agenzie, con evidente riferimento alla linea di separazione che intercorreva tra il sistema americano e quello europeo, una tale bipartizione oggi risulta molto più sfumata. Nei paesi dominati dal modello ministeriale si è assistito infatti a un processo di “deverticalizzazione” degli organismi statali.

Gli Stati Uniti : l’amministrazione a rete . Le specificità del caso americano risiedono proprio nel modello di organizzazione per agenzie, dotate di autonomia funzionale e gestionale, collegate a strutture dipartimentali che delegano loro la realizzazione delle politiche e la gestione dei servizi pubblici.L’amministrazione federale statunitense, sotto la presidenza di Bush, arrivato al potere nel gennaio 2001, si compone di 14 dipartimenti. A capo dei dipartimenti è posto il segretario. I termini, che equivalgono a ministero e ministro, denotano il forte nesso di dipendenza nei confronti del presidente. Le differenze rispetto all’Europa stanno nella separazione delle competenze riguardanti le politiche sociali in tre diverse strutture (nei paesi europei è ormai diffusa la tendenza a riunificare le funzioni di welfare nell’ambito di un unico dicastero) e nella presenza di un dipartimento che non ha corrispettivi in Europa (con eccezione della Francia), quello degli affari dei veterani di guerra.Sotto al segretario trovano collocazione i sottosegretari, i vicesottosegretari e i segretari assistenti, i quali rivestono un ruolo di raccordo rispetto alla macchina amministrativa. Dopodiché ci possono essere o dei deputy assistant secretaries posti al vertici dei vari settori funzionali o dei direttori di uffici oppure le agenzie amministrative. È evidente che in quest’ultmo caso la struttura del dipartimento è piuttosto snella e scarsamente verticalizzata, e cioè costituita da una densa costellazione di agenzie che ruotano intorno al segretario, senza rigidi vincoli di subordinazione gerarchica. Risulta piuttosto complicato districarsi tra i vari gruppi di agenzie collegate ai dipartimenti. Il termine “agenzia” viene infatti utilizzato negli USA quasi come sinonimo di “unità amministrativa”. È possibile distinguere tra due gruppi di dipartimenti:

1. quelli dotati di una struttura reticolare → Hanno una struttura reticolare, ad esempio, il dipartimento dell’agricoltura. Articolato intorno a oltre 30 sottounità organizzative tra uffici e agenzie, ma anche quello della sanità, della giustizia, del lavoro e dei trasporti. Se le agenzie sono numerose, il dipartimento si configura come una rete di unità organizzative, dove uffici e servizi interagiscono reciprocamente e si scambiano risorse su un piano di

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sostanziale parità. Ad esempio l'FBI, che si trova all’interno del dipartimento delle giustizia, detiene un potere politico ben superiore rispetto alla struttura di appartenenza.

2. quelli contraddistinti da una struttura gerarchico-funzionale. → casi in cui il modello delle agenzie si intreccia con quello piramidale. Il dipartimento assume una configurazione di tipo funzionale, ramificandosi al proprio interno sino al grado di deputy assistant secretary, al di sotto del quale sono collocati gli uffici e le agenzie. Rientrano in questo gruppo i dipartimenti del tesoro, degli affari veterani, del commercio etc.

Il Regno Unito : il processo di “agencification”. Il fenomeno della “agencification”, ovvero la creazione di agenzie esecutive separate dai dipartimenti e rette da direttori generali nominati e delegati dai ministri, introdotta dal 1988 con il programma Next Steps, ha modificato l’assetto strutturale degli apparati centrali diventando un modello per gli altri paesi europei. L’introduzione delle agenzie ha modificato il ruolo e le dimensioni dei dipartimenti, sottraendo loro compiti e potere decisionale. Il grosso dell’erogazione dei servizi è ormai competenza dei direttori delle agenzie. Nell’anno 2001, nell’ambito del secondo mandato del governo Blair, il numero dei dipartimenti è pari a 13. Essi sono retti da segretari di Stato che sono nominati e rimossi su proposta del primo ministro. I segretari dipartimentali sono affiancati da ministri senza portafoglio, cioè privi di una vera e propria autonomia di spesa. Un’altra caratteristica dei dipartimenti britannici è la presenza dei viceministri, che svolgono un ruolo cerniera tra il vertice politico e la dirigenza burocratica. I viceministri, pur assistendo il ministro ed essendo responsabili di specifiche aree e intrattenendo rapporti con il parlamento, non prendono parte alle riunioni del gabinetto. Al pari del caso statunitense, negli organismi dei dipartimenti britannici non figura il gabinetto del ministro, anche se a partire dalla Thatcher si è ingrossato il numero dei consulenti ministeriali. I viceministri fungono da filtro tra il ministro e i dirigenti amministrativi di vertice. Il gradino più alto è occupato dai segretari generali, a cui seguono i vicesegretari generali, i vicesegretari, i sottosegretari e i segretari assistenti.I dipartimenti sono collegati con alle agenzie esecutive, istituite dal 1988. Il programma NS, curato da Sir Robin Ibbs, venne lanciato dalla Thatcher con la finalità di rendere più efficiente e meno burocratico il funzionamento dello Stato. La versione più moderata e definitiva del rapporto prende le mosse da 5 disfunzioni che il governo si proponeva di correggere:

1. inefficienza nei metodi nell’organizzazione del lavoro sottesi all’erogazione dei servizi; 2. la scarsa esperienza e la debole formazione dei dirigenti pubblici nel campo della gestione

dei servizi; 3. il sovraccarico di attività che gravava sui ministri; 4. la scarsa attenzione ai risultati dell’azione del Paese;5. l’estrema complessità del regime normativo ed economico del pubblico impiego che

impediva una gestione del personale unificata e razionale. Secondo il rapporto NS la soluzione era separare la politica dall’amministrazione e quindi trasferire funzioni dai dipartimenti alle agenzie. Il funzionamento della agenzie venne disciplinato da una serie di regolamenti successivi al rapporto Ibbs e dal Libro Bianco sulla gestione finanziaria e la trasparenza delle agenzie, del 1989. Il numero minimo di dipendenti per ogni agenzia doveva

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essere di 30 e i criteri alla base della creazione delle agenzie si basavano principalmente sulla natura e le caratteristiche del servizio considerato.La struttura organizzativa delle agenzie non è mai stata disciplinata nel dettaglio. Nel complesso, ha un direttore che risponde al ministro. Il direttore negozia gli obiettivi con il ministro, insieme agli standard sulla qualità dei servizi, sull’efficienza e sull’uso delle risorse nell’ambito di frameworks agreements. Gli obiettivi devono essere chiaramente esplicitati e accessibili al pubblico, cosi come gli strumenti utilizzati, i piani di spesa e le retribuzioni dei dipendenti. Ogni agenzia deve poi ogni anno pubblicare un rapporto sui risultati raggiunti e un documento relativo alle previsioni sull’attività e sulla spesa per il lungo termine. La legge sul controllo della prestazione del 1992 ha poi autorizzato il Tesoro a delegare ampi margini di discrezionalità circa la determinazione dei salari e delle condizioni d’impiego dei singoli dipartimenti e delle singole agenzie. Le agenzie esecutive sono stata istituite in tutti i dipartimenti; nel 1998 erano già 135 le agenzie istituite.

La Francia : i centri di responsabilità ovvero la fine del modello dirigistico? Le PA francesi hanno attraversato, durante gli anni 80 e 90, una fase di profonda trasformazione; il modello napoleonico, fondato su un’amministrazione piramidale, accentrata e coesa, è stato scosso alle fondamenta da almeno tre rilevanti riforme: il decentramento amministrativo, le privatizzazioni e la riorganizzazione degli apparati pubblici.Il dibattito sulla devoluzione delle competenze dal centro alla periferia del sistema amministrativo subì una chiara accelerazione all’inizio degli anni 80. Pochi anni prima la Commissione Guichard aveva diagnosticato la sindrome dello “stato gonfio”. L’obiettivo della legge sul decentramento amministrativo del 1982 era quello di promuovere una maggiore autonomia di gestione delle politiche sociali ed economiche a favore delle regioni e degli enti locali. Due leggi successive (n 8 e 633 del 1983) furono ancora più incisive nel trasferimento dei poteri; i governi subnazionali si trovarono a cogestire con lo stato le politiche del territorio, di sviluppo economico, le politiche sociali, sanitarie, culturali e ambientali. In più nel 1992 venne varata la “carta sulla deconcentrazione dello stato”, la cui finalità era quella di allentare lo stile dirigista del passato. Il trasferimento di funzioni dai ministeri agli enti subnazionali si è intrecciato anche con i due cicli di privatizzazioni (1986-1987 e 1993-1995). Cicli di privatizzazioni che comunque hanno “subito” più o meno tutti gli stati interessati dalla nostra indagine.Contemporaneamente veniva sottoposta a revisione anche la struttura organizzativa dei ministeri. Il programma sulla modernizzazione dello stato voluto da Rocard nel 1989 racchiudeva in un unico documento i principi della riorganizzazione in senso manageriale degli apparati pubblici centrali: istituzione dei cosiddetti “centres de responsabilitè”, delega e decentramento nella gestione del personale e introduzione della cultura della valutazione. La riforma degli apparati centrali venne poi perfezionata nel 1995 con una circolare del governo Juppè “riforma dello stato e dei servizi pubblici”. Il provvedimento portava a compimento il processo di separazione tra compiti politico-strategici e compiti amministrativi, contrattualizzava le relazioni tra i ministeri e i servizi decentrati sul territorio e configurava un nuovo assetto ministeriale che vedeva i ministeri trasformati in

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holding articolate intorno alle unità organizzative decentrate e con compiti limitati alla formulazione delle politiche e al controllo e alla valutazione dei risultati.Con riferimento all’anno 2002, sotto il neo costituito governo Raffarin, i ministeri risultano essere 15. Essi sono guidati da ministri, che fanno parte del consiglio dei ministri. Collocati in posizione subordinata ai ministri vi sono i segretari di Stato o sottosegretari, che partecipano alle sedute del Consiglio dei ministri solo in riferimento alle questioni di loro competenza. Una rilevante peculiarità del caso francese è la presenza del gabinetto del ministro a cui si aggiunge non di rado il gabinetto del sottosegretario. Sotto ai gabinetti e ai sottosegretari si diparte la macchina amministrativa, le cui posizioni di vertice sono occupate dalle persone reclutate presso l’ecole techniques. Nel complesso la struttura dei ministeri è accentuatamente gerarchico-funzionale e di gran lunga più ramificata rispetto ai casi anglosassoni. Le direzioni si articolano in sottodirezioni, servizi e uffici. Le direzioni possono essere di due tipi: “verticali”, ovvero responsabili di uno specifico settore, oppure “orizzontali”, responsabili di politiche e questioni comuni alle direzioni verticali.Ma si è già detto, però, come la struttura gerarchica dei ministeri sia stata sottoposta a processi di deverticalizzazione a causa dell’introduzione di unità organizzative dotate di una maggiore autonomia rispetto a quelle appartenenti alla linea gerarchica. Negli anni 60 e 70 la creazione di organismi ad hoc come le Missions e i Commissariats, chiamati a operare in specifici settori come, per esempio, la politica energetica che aveva dato il via al processo di decongestionamento dell’assetto statale. Ma è con la fondazione dei centri di costo (o di responsabilità) che il sistema amminisrativo viene attratto dall’orbita dell’agencification britannica. I centri di responsabilità riprendono da vicino il modello delle agenzie NS pur essendo minori i gradi di flessibilità e di separazione funzionale rispetto al ministero. Hanno poteri di bilancio delegati, nell’ambito di una convenzione triennale stipulata con il ministro e con i ministeri della funzione pubblica e dell’economia, in cui vengono negoziate le risorse e il programma d’azione per il breve-medio periodo. Nella convenzione sono fissati formalmente gli obiettivi del servizio e i suoi costi. Il bilancio è globale cioè comprensivo di tutte le spese necessarie al servizio. Il direttore del centro può inoltre gestire con una certa autonomia il personale, sia dal punto di vista dell’orario di lavoro che delle remunerazioni.

L’ Italia : dipartimenti o direzioni generali? La legge Cavour del 1853 gettò le fondamenta dell’amministrazione per ministeri. La riforma del 1853 disponeva che l’amministrazione centrale dello stato fosse concentrata in strutture piramidali chiamate “ministeri”. Gli uffici relativi a funzioni omogenee sarebbero stati unificati e avrebbero costituito le direzioni generali. La concentrazione dell’attività amministrativa nei ministeri significò l’abolizione delle aziende speciali che, in precedenza, rappresentavano il braccio esecutivo dei ministeri. La legge 400 del 1988 introduce i dipartimenti presso alcuni dicasteri. Essi possono essere considerati come un’ampia area organizzativa nella quale vengono aggregate le funzioni associate alla realizzazione di un medesimo obiettivo. Si tratta di articolazioni “orizzontali”, che dovrebbero promuovere una più elevata integrazione tra i settori di competenza del ministero, una maggiore responsabilizzazione del personale e un maggiore orientamento al risultato.

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Solo negli anni più recenti, con la legge 300 del 1999, sono state introdotte le agenzie esecutive. E, durante gli anni 90, si è assistito a un imponente ciclo di privatizzazioni, cioè si è assistito alla trasformazione di grandi enti pubblici in S.p.A. per poi procedere al loro accantonamento (un esempio sono IRI,ENEL,ENI,INA). Nel 2002 (governo Berlusconi) i ministeri sono 14, ai quali si affiancano 8 ministeri senza portafoglio, per un totale di 22 ministeri (che con la Legge 13 novembre 2009 dovrebbero essere aumentati fino a 24). Al vertice delle amministrazioni centrali si trovano i ministri che fanno parte del consiglio dei ministri. La struttura organizzativa dei ministeri ha ormai fatto proprio il principio dipartimentale; in dieci ministeri le direzioni generali sono state aggregate nei dipartimenti. L’istituzione dei dipartimenti ha significato in primo luogo l’abolizione del ruolo del segretario generale e la sua sostituzione con la figura del direttore di dipartimento, in secondo luogo la creazione di un collegamento più diretto tra i servizi e i capi dipartimento.I ministri e i viceministri sono affiancati dal gabinetto ministeriale, occupato dalle persone di fiducia del ministro, coordinate da un capogabinetto e da un vicecapogabinetto. Gli uffici di gabinetto hanno, non solo funzioni di tipo tecnico, ma anche rilevanti funzioni politiche. Al di sotto dei ministri si trovano i sottosegretari di Stato, responsabili di curare le relazioni con il parlamento e con la dirigenza burocratica.Bisogna infine parlare delle agenzie introdotte con la legge 300 del 1999. Il provvedimento prevede l’istituzione di 11 agenzie, definite come soggetti pubblici che possono godere o non godere di personalità giuridica di diritto pubblico e che sono addetti a svolgere attività tecnico-operative di interesse pubblico. Dal punto di vista del funzionamento, la legge prevede che, tramite atti regolamentari, vengano emanati degli statuti in cui sono fissati gli obiettivi funzionali dell'agenzia e le attribuzioni del direttore generale, dei dirigenti e del comitato esecutivo. I vincoli di spesa e gli strumenti operativi per l’attuazione degli obiettivi trovano poi specificazione nelle convenzioni stipulate tra il ministro e il direttore dell’agenzia. Le agenzie sono sottoposte infine ai poteri di indirizzo e di vigilanza del ministro di riferimento e al controllo della corte dei conti per quanto riguarda le spese. Le agenzie italiane si distinguono dal modello NS per una più densa regolazione normativa del loro operato e per un maggiore grado di subordinazione rispetto ai vertici politici.Ai cambiamenti che hanno riguardato la struttura dei ministeri non ha contribuito solo la creazioni delle agenzie, ma anche il trasferimento di competenze dal centro alla periferia del sistema amministrativo. Alla seconda metà degli anni 90 si è assistito a una significativa accelerazione del decentramento amministrativo con la legge 59 del 1997 e con la legge 3 del 2001 (riforma del titolo V della costituzione). Secondo il primo provvedimento, ai ministeri sono rimasti compiti di vigilanza e controllo sulle attività dei governi locali insieme alle competenze di esclusivo interesse nazionale; la riforma costituzionale ha poi rovesciato la logica dell’art 117, in cui erano elencate le competenze delle regioni, precisando dapprima le materie in cui lo stato esercita poteri legislativi esclusivi, poi le materie sottoposte a legislazione concorrente e infine affidando ai poteri legislativi esclusivi delle regioni tutte le restanti aree di policy.

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La Spagna : ministeri e “moduli”. Le origini di un sistema amministrativo moderno vanno ricercate nello Statuto di Maura del 1918. Le funzioni dello stato vennero poi affidate a strutture piramidali e con vertice monocratico chiamate ministeri. Dal punto di vista territoriale prevaleva un elevato accentramento. Non era riconosciuto il livello territoriale. Con la costituzione del 1978 l’organizzazione territoriale dello stato spagnolo subì radicali trasformazioni. L’istituzione delle comunità autonome, nate sulla base dell’unificazione delle provincie, generò un veloce trasferimento del potere politico e amministrativo dal centro alla periferia. I nuovi governi regionali,oltre ad essere dotati di uno statuto, di un’assemblea legislativa e di un esecutivo guidato da un presidente eletto dall’assemblea, possiedono rilevanti competenze legislative in numerosi settori di politica pubblica e dispongono di entrate tributarie proprie.Nel 1989, l’assetto organizzativo dei ministeri venne preso in considerazione da un documento del governo che ipotizzava la creazione di nuove strutture in seno ai ministeri, i cosiddetti “moduli”, volti ad aggregare e integrare le attività necessarie all’erogazione di specifici servizi. Si trattava di unità organizzative, costituite intorno ad una vasta area funzionale, organicamente complete in modo da poter funzionare con autonomia di gestione e dotate dei mezzi necessari per la realizzazione degli obiettivi loro assegnati.Per quanto riguarda i ministeri, essi sono diretti da ministri che fanno parte del consiglio dei ministri. Ogni ministro ha un proprio gabinetto collocato in posizione di staff, che rappresenta il centro nevralgico di elaborazione dell’indirizzo politico. Al di sotto dei ministri troviamo i segretari di stato, di nomina politica, posti a capo delle diverse articolazioni funzionali dei ministeri, denominate segreteri di stato. Il loro ruolo, a differenza del caso italiano, non è tanto politico quanto amministrativo-gestionale. Anche i segretari di stato possono disporre di un proprio gabinetto. Al di sotto delle segreterie di stato, si dirama la struttura gerarchico-funzionale; vi sono le direzioni generali, a loro volta suddivise in sottodirezioni che sono raggruppamenti di diversi uffici. In ogni dicastero è presente inoltre una segreteria generale tecnica responsabile delle questioni amministrative.Cosi come in Italia, anche il governo spagnolo ha previsto l’introduzione delle agenzie esecutive con l’obiettivo di rendere più efficiente la gestione e l’implementazione dei servizi. Nel 1991 venne creata, come esperienza pilota, l’agenzia statale di amministrazione tributaria con compiti di assistenza, controllo e ispezione nel settore delle denunce dei redditi. Un anno dopo venne prevista la creazione delle agenzie anche in altri settori dell’amministrazione statale.

La Germania : ministeri e federalismo cooperativo .Le origini della burocrazia tedesca risalgono alle riforme prussiane della prima metà del XIX secolo che dettarono i principi fondamentali dell’organizzazione dello stato: apparati ministeriali centralizzati e verticistici. L’unica differenza con il modello napoleonico era la composizione dell’organo di direzione del ministero, di natura collegiale e non monocratica.Con la legge fondamentale del 1949 il modello ministeriale venne replicato a livello regionale, nell’ambito dei Lander, e a livello locale.L’introduzione del federalismo cooperativo che si fonda su una decisione delle competenze in senso verticale tra il governo federale, preposto ai compiti di formulazione del policy making, e i

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governi regionali, addetti all’implementazione delle politiche pubbliche, comportò poi un significativo spostamento del carico amministrativo dal centro ai ministeri di Land, con un conseguente massiccio travaso di personale.L’assenza di grandi riforme sull’organizzazione dell’amministrazione centrale non ha impedito che si procedesse alla privatizzazione del settore pubblico, anche se con minore intensità rispetto all’Italia, alla Spagna e alla Francia.Nel 2002, nell'ambito del secondo mandato Schroder, i dicasteri sono 13. La struttura organizzativa è fortemente gerarchico-piramidale. Non è previsto il gabinetto del ministro, sostituito in taluni casi da uno o più uffici di staff. Il ministro è coadiuvato da due distinti tipi di sottosegretari, quelli parlamentari, con il compito di intrattenere rapporti con il parlamento, e quelli di stato, responsabili dell’organizzazione generali del ministero. Al di sotto dei sottosegretari si ramifica la struttura funzionale. Vi sono cioè le divisioni, le sottodivisioni e gli uffici. Le divisioni possono essere di natura verticale o orizzontale.A differenza degli altri paesi europei non sono presenti le agenzie. Questo si spiega facendo riferimento all’organizzazione federale dello stato, al fatto cioè che i ministeri federali abbiano già fatto proprio il principio della delega e del decentramento su base territoriale nei confronti dei Lander. I ministeri federali svolgono infatti funzioni tutto sommato contenute e limitate all’amministrazione “di ordine” e non all’amministrazione diretta, che è invece competenza delle regioni e dei governi locali.

Conclusioni.Gli esiti dell’indagine permettono di evidenziare alcune tendenze comuni tra i paesi considerati e alcune divergenze. Da un lato il modello ministeriale risulta ancora fortemente consolidato nei paesi dell’Europa continentale; dall’altro lato nel corso degli anni 80 e 90 esso ha subito una serie di trasformazioni che ne hanno ridotto le distanze rispetto al modello di organizzazione dello stato di tipo anglosassone. La separazione delle attività di gestione da quelle politico-strategiche, si traduce nell’introduzione delle agenzie, e il trasferimento di competenze dal centro alla periferia hanno provocato una progressiva frammentazione degli apparati ministeriali. L’alleggerimento del carico funzionale dei ministeri ha nello stesso tempo comportato una riorganizzazione delle attività secondo una logica di risultato tipica del settore privato; i ruoli o le funzioni sono state concentrate intorno a specifici servizi o obiettivi da realizzare. Le agenzie sono sorte come aggregazione delle competenze necessarie a erogare determinati servizi. Alla riorganizzazione del settore statale hanno contribuito anche le numerose dismissioni di enti e società pubbliche avvenute in tutti i paesi analizzati. Per quanto riguarda le agenzie si possono però rinvenire importanti differenze tra l’esperienza britannica e quella europea-continentale. Nel Regno Unito le agenzie NS hanno acquisito un livello di autonomia e di indipendenza molto elevato da tutti i punti di vista (bilancio, gestione e realizzazione degli obiettivi, politica salariale etc), non assimilabile a quello europeo-continentale.In Francia, Spagna e Italia i centri di responsabilità, i moduli e le agenzie riflettono invece una distinzione tra politica e amministrazione, piuttosto che una completa separazione rispetto al ministero di riferimento. A tutte le agenzie NS poi è stata riconosciuta la personalità giuridica di diritto pubblico, mentre alle agenzie italiane no. Nel Regno Unito, poi, i direttori delle agenzie sono

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pienamente delegati dal ministro a definire gli obiettivi da perseguire, gli strumenti e le risorse collegate e i tempi per la oro attuazione; in Europa continentale invece il ruolo e le funzioni delle agenzie sono fissate da un documento formale e gli obiettivi finanziari e di policy sono concordati tramite un altro provvedimento normativo, quale la convenzione. Rimangono estranei i casi degli USA e della Germania. Negli USA il modello delle agenzie era presente sin dalle origini degli apparati burocratici federali, assai più frammentati e diffusi sul territorio delle amministrazioni europee. In Germania, a causa dell’organizzazione federale dello stato vi erano già una serie di organizzazioni semi-pubbliche delegate a gestire alcune politiche e con il compito di mediare fra le distanze territoriali.

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Il personale: reclutamento, formazione e carriereAll’inizio del XXI secolo occorre chiedersi se il profilo dei funzionari e degli impiegati pubblici corrisponda ancora ai principi cristallizzati dalla teoria weberiana (idealtipo weberiano di burocrazia legale-razionale) oppure se -come i recenti paradigmi sul NPM lascerebbero intendere abbia ceduto il posto al manager neo-taylorista, capace di gestire in piena autonomia l’attuazione delle politiche pubbliche e di essere responsabile dei risultati conseguiti, prima ancora che di fronte ai vertici politici, dinnanzi ai cittadini destinatari dei servizi pubblici.In effetti, l’ondata di riforme che negli anni 80 e 90 ha coinvolto il personale pubblico dei paesi avanzati ha inciso su quasi tutte le componenti dell’idealtipo: la stabilità del posto di lavoro non è più un requisito necessario; si sono previste varie formule di lavoro a tempo determinato; la specialità del rapporto di pubblico impiego è stata messa in discussione; il modello gerarchico di organizzazione delle carriere ha subito ovunque delle trasformazioni; il salario è stato agganciato alla produttività e sono stati estesi i margini di applicazione della contrattazione collettiva nella regolazione dello stato giuridico ed economico del personale pubblico.In questo capitolo si cercherà di esaminare l’evoluzione della regolazione normativa del pubblico impiego nei sei casi considerati cercando di cogliere le discontinuità rispetto ai modelli radicati nel passato.

Gli Stati Uniti : l’eterno dilemma tra politicizzazione e professionalizzazione .La regolazione del pubblico impiego negli Stati Uniti ha storicamente oscillato fra due estremi: quello di rendere più professionale il corpo dei dipendenti pubblici e la tendenza ad ampliare i margini per l’esercizio del potere di nomina del presidente.Il Pandleton Act del 1883 segnò l’avvio del processo di professionalizzazione del pubblico impiego. Il provvedimento introdusse gli esami per concorso, il principio della permanenza della carica e quello della neutralità dei funzionari. Anche se dopo di esso solo il 10% delle cariche pubbliche veniva assegnato sulla base di una competizione per merito; nei decenni successivi il numero cominciò a crescere.Ma l’ondata della professionalizzazione non aveva scalzato la tendenza alla politicizzazione. Già con Nixon, nei primi anni 70, il problema del controllo degli apparati burocratici da parte del governo tornò al centro dell’agenda politica e si inaugurò quella che è stata definita la “presidenza amministrativa”. Le proposte di Nixon vennero successivamente recuperate da Carter e sintetizzate in un ampia legge di riforma dell’impiego pubblico varata nel 1978, il civil service reform act. Riforma che non riuscì a essere cosi incisiva come si proponeva. Quando Regan arrivò a Washington, alcuni anni dopo, a fronte della situazione di casino in cui versava la PA, istituì un organismo apposito per la gestione della PA e vennero inaugurate nuove procedure, sul modello aziendale, per il miglioramento dell’efficienza interna.Negli anni 90 con l’avvento di Clinton e del suo vice Gore, l’organizzazione del pubblico impiego diventò nuovamente una priorità nell’ambito del progetto sulla “reinvenzione del governo”. Annunciando le linee fondamentali del programma di modernizzazione, gli esperti sostennero in primo luogo la necessità di ridurre gli sprechi nel settore pubblico, quindi tagliare il personale.L’assetto dell’impiego federale non ha successivamente conosciuto grandi trasformazioni sotto l’amministrazione di Bush.

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Non è presente, negli Stati Uniti, un sistema univoco di organizzazione delle carriere. Prevale una certa frammentazione tra i diversi gruppi di personale, per ognuno dei quali vale un medesimo schema retributivo. I principale gruppi sono 5:

1. i funzionari appartenenti al Senior Executive Service (incarichi direttivi), 2. i white collars (competenze tecniche), 3. i blue collars (mansioni esecutive), 4. i dipendenti del servizio postale, 5. il personale di un’ampia categoria residuale dipendente dalle agenzie amministrative che

godono di maggiore economia. Questi 5 gruppi sono collocati al di sotto dell’alta dirigenza (sottosegretari e vicesottosegretari), di esclusiva nomina politica.A differenza dei paesi europei, il reclutamento è fortemente decentrato e dipendente dalle agenzie, seppure sotto il controllo dell’ufficio federale di gestione del personale e di quello del bilancio.L’ingresso può avvenire, per i livelli medio bassi, sulla base dei titoli posseduti senza sostenere esami, mentre per i livelli più alti occorre superare esami competitivi. Ci sono anche alcuni titoli di studio che, se posseduti (come la laurea in giuris), esonerano dal concorso anche per i gradi medio alti. Dopo 15 anni di servizio le cariche ottenute diventano permanenti. Il sistema basato sul merito non è comunque molto esteso nella carriera burocratica statunitense. Per accedere alle posizioni direttive (il SES) gli aspiranti sono chiamati a sostenere dei colloqui e a presentare i propri titoli. Le nomine sono sottoposte all’approvazione del senato anche se lo scrutinio segreto è riservato soltanto alle posizioni apicali. I ministri godono di ampia discrezionalità nelle decisioni finali.La richiesta di competenze tecniche da parte della PA si è intensificata negli anni più recenti, soprattutto grazie alla proliferazione delle agenzie, che hanno richiesto sempre più profili di tipo non giuridico.Per quanto riguarda le caratteristiche sociali del pubblico impiego, le ricerche più recenti evidenziano alcuni significativi mutamenti. Negli anni 50 e 60 con l’ascesa dei movimenti per i diritti civili, il problema della “affermative action”, ovvero la promozione di azioni ad hoc per favorire l’inserimento delle minoranze etniche nella società americana, divenne un punto centrale nelle politiche per il mercato del lavoro. Kennedy istituì il comitato sulle pari opportunità nel mercato del lavoro con lo scopo di agevolare l’accesso agli impieghi federali da parte dei cittadini afroamericani e di lingua ispanica. Le agenzie, inoltre, sono chiamate a formulare specifici programmi per il reclutamento delle minoranze e delle donne e per il loro avanzamento nelle carriere medio alte. Alcune analisi recenti sul personale del SES evidenziano una generale crescita della rappresentatività delle donne e dei membri delle minoranze etniche con ritmi più accelerati durante l’amministrazione Clinton.Per quanto riguarda la determinazione dei salari. A differenza dei paesi europei, la contrattazione collettiva è scarsamente diffusa, ad eccezione delle poste. Negli altri casi, prevale la contrattazione decentrata, a livello di area territoriale o addirittura di singola agenzia, che è alla base di una cinquantina di schemi retributivi accomunati soltanto dalla salvaguardia del principio di comparabilità per gli incrementi salariali con le dinamiche del settore privato. Nelle negoziazioni il potere dei sindacati è venuto irrobustendosi.

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Il Regno Unito : la managerializzazione dell’impiego pubblico. Le origini di una burocrazia moderna e professionale vanno rintracciate nella seconda metà dell’800 e in particolare nel rapporto Northcote-Trevelyan, incaricati da Gladstone di condurre un’indagine sullo stato dei dipendenti pubblici. Il pubblico impiego viene ridisegnato secondo diversi principi, tipo:

a) il reclutamento avrebbe dovuto fondarsi su esami pubblici e competitivi; b) i vincitori avrebbero fatto esperienza in più e diversi settori della PA; c) sarebbero stati collocati su specifici gradini di una scala gerarchica che dal livello più basso

del clerical group arriva sino al livello direttivo più alto dell’amministrative group; d) infine le promozioni sarebbero dovute avvenire sulla base del merito e sotto il controllo

della civil service commission. Da questo momento: funzionari professionisti, neutrali e apolitici. Benché le aspirazioni di questo provvedimento non siano state completamente realizzate, esse rimasero il punto di partenza di ogni successiva riforma. Ad esempio, il Fulton Report del 1968 evidenziava: il predominio dei generalisti; la rigida separazione fra i tre principali gruppi di impiegati (clerical, executive e administrative); la presenza di barriere e ostacoli alle promozioni; la carenza di una formazione gestionale e specialistica; e infine la centralizzazione del controllo in seno al tesoro.Alla pari del rapporto stilato da N-T, il Fulton Report venne in gran parte disatteso per poi diventare, dieci anni dopo, il punto di partenza della rivoluzione manageriale Thatcheriana. Il governo Major, successivamente, riprese la stessa strada della Thatcher annunciando nel libro bianco del 1994 di voler ulteriormente alleggerire le dimensioni dell’impiego ministeriale. Nello stesso documento venne istituita la nuova dirigenza pubblica. Cambiarono dunque le norme che disciplinavano gli incarichi direttivi; vennero incentivate le forme di impiego flessibile (come i contratti a termine), la mobilità e le indennità legate alla prestazione.Insieme alla nuova struttura della dirigenza, nel 1996, è entrato in vigore il codice di condotta per gli impiegati pubblici, basato su un testo incentrato sui diritti e i doveri dei funzionari: responsabilità nei confronti del parlamento, obbligo di informare il pubblico, divieto di utilizzare i mezzi del proprio lavoro, imparzialità e rispetto della legge.Cosi come per gli USA, non esiste un unico schema di organizzazione del personale presso i dipartimenti, bensì diversi gruppi basati su criteri di natura professionale: per esempio, gli impiegati con funzioni amministrative; gli statistici; gli economisti etc. la dirigenza risulta invece strutturata su una scala di 8 livelli.Prima delle riforme introdotte dalla Thatcher il reclutamento avveniva secondo i principi rigidamente universalistici: i titoli degli aspiranti venivano esaminati in vista dell’accesso a un’unica carriera amministrativa. L’avvento della Thatcher segnò alcune rilevanti inversioni di tendenza. In primo luogo una forte politicizzazione del reclutamento e della nomina dei dirigenti ministeriali. In secondo luogo venne rafforzata l’autonomia di reclutamento dei dipartimenti e delle agenzie allo scopo di favorire la selezione non solo di generalisti ma anche di specialisti. Ad oggi, quindi, esistono due diversi sistemi di reclutamento dei funzionari:

1. da un lato il vecchio “sistema Oxbridge”, cioè quello dei generalisti formatosi nelle migliori università del paese;

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2. dall’altro quello dei manager e degli specialisti assunti al di fuori dei canali di reclutamento tradizionali e immediatamente immessi negli organici delle agenzie. Vengono quindi direttamente assunti dai direttori delle agenzie.

È peraltro aumentata la mobilità tra pubblico e privato; non sono rari i casi di funzionari che transitano verso impieghi privati e, viceversa, di manager privati che vengono reclutati dalle agenzie. Diversi sono i meccanismi di nomina dei dirigenti, decisi a livello centrale dal primo ministro su consiglio del capo della home civil service unit presso il gabinetto.Per quanto riguarda la preparazione dei funzionari, è assente, nel Regno Unito, una scuola di alta formazione come L’ena francese; il civil service college (1970) non è mai riuscito a emulare la prestigiosa esperienza francese.Dal punto di vista delle caratteristiche sociali, il grado di rappresentatività degli impiegati del governo britannico risulta inferiore rispetto a quello della burocrazia statunitense.Nel 1990 venne introdotto un programma speciale per evitare le discriminazioni etniche nel reclutamento del personale, poi modificato nel 1993. Nello stesso anno il codice sui lavoratori disabili sollecitava le PA ad assumere persone affette da handicap. Nel 1992 è stato lanciato un ampio programma per le pari opportunità, i cui risultati vengono pubblicati con periodicità annuale.Fino ai primi anni 80 le condizioni di impiego degli impiegati dello stato erano determinate centralmente tramite la contrattazione collettiva fra il tesoro e l’ufficio di gabinetto da una parte e i sindacati dall’altra. Negli anni 80 e 90 il sistema di determinazione del trattamento economico dei civil servants ha dunque subito numerose trasformazioni; da un sistema centralizzato si è passati a un sistema fortemente decentrato, in cui i dirigenti possono negoziare schemi retributivi flessibili con i propri dipendenti, sulla base delle proiezioni fornite da organismi indipendenti, incaricati dal governo di valutare le dinamiche del mercato del lavoro e di fissare i parametri salariali. Si sta inoltre diffondendo rapidamente la contrattazione individuale soprattutto per le posizioni apicali.

La Francia : i grandi e i piccoli “corpi”. I due principale elementi costitutivi della PA francese erano già presenti nell’immediato dopoguerra: un sistema di diritto amministrativo altamente istituzionalizzato e un metodo di formazione della classe dirigente unificato e accentrato, con sede nella capitale.Per quanto riguarda l’assetto delle carriere, a partire dallo statuto del 1946, il personale pubblico in Francia è organizzato in 4 categorie a seconda del livello di istruzione richiesta all’entrata:

1. A (posti di direzione; laurea), 2. B (mansioni impiegatizie; diploma scuola superiore), 3. C (mansioni esecutive; licenza media), 4. D (funzioni ausiliarie; licenza elementare).

Occorre distinguere tra i grandi corpi tecnici e amministrativi che sono le sedi in cui vengono collocati gli alti burocrati usciti dall’ENA, e l’insieme dei corpi professionali specifici che raggruppano il personale all’interno della 4 categorie occupazionali.Si accede agli impieghi pubblici tramite i concorsi, che consentono di inquadrare il personale nei corpi professionali, ognuno con una propria struttura salariale. Lo status cosi acquisito si protrae per tutta la vita lavorativa. Gli avanzamenti sono spesso basati sull’anzianità di servizio, benché vi

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sia anche la possibilità di sostenere concorsi interni per passare da una categoria all’altra. Per gli incarichi dirigenziali gli accessi sono gestiti sempre centralmente e in maniera selettiva tramite i canali forniti dall'ENA e dal politecnico. Completato l’iter di formazione, gli allievi che hanno ottenuto i punteggi migliori vengono direttamente immessi nei grandi corpi. L’ingresso all'ENA può avvenire in via diretta, riservata ai laureati, e tramite la via riservata al personale interno all'apA desideroso di intraprendere una carriere direttiva.Per quanto riguarda le caratteristiche sociali non si registrano mutamenti significativi rispetto agli anni 60 e 70. Un carattere ancora diffuso negli anni 80 è il forte ereditarismo. La partecipazione femminile appare invece più elevata che, per esempio, in Italia. La rappresentatività delle élites burocratiche risulta piuttosto debole, sebbene il discorso si rovesci per i livelli medio bassi della carriera. A questo si aggiunge la scarsa rappresentatività geografica: gli impieghi più importanti sono concentrati a Parigi e nell'Ile de france, benché dagli anni 90 il governo abbia cercato di incentivare i trasferimenti nelle altre provincie.Le retribuzioni dei dipendenti invece sono decise tramite la contrattazione collettiva tra il governo e i rappresentanti dei sindacati. Va sottolineato tuttavia che le negoziazioni sfociano in accordi che il governo non è tenuto a rispettare. L’esecutivo mantiene poi il potere di decidere unilateralmente gli aumenti salariali. A partire dagli anni 90 si è inoltre cercato di delegare la determinazioni di alcuni parametri salariali a livello di dicastero o di agenzia per accrescere il grado di flessibilità e nello stesso tempo di autonomia dei dirigenti. La contrattazione decentrata è quindi destinata a diffondersi in misura crescente come nel resto d’Europa, benché giochi ancora un ruolo subordinato.

L’ Italia : la “privatizzazione” del rapporto di lavoro. Il ciclo di innovazioni avente ad oggetto l’organizzazione del personale è stato intenso e ha avuto per oggetto: la specialità del rapporto di lavoro, l’assetto gerarchico delle carriere e l’uniformità dei parametri per il trattamento giuridico ed economico. Il processo di modernizzazione è culminato nella privatizzazione del rapporto di lavoro e nella conseguente diffusione della contrattazione collettiva. Il punto di partenza è la legge Cavour, che introdusse i principi di uniformità e di gerarchia. Sotto al ministro, l’apparato burocratico si articolava in titoli e gradi: segretario generale, direttore generale, direttore capo di divisione, capo sezione, segretario di 1 e 2 classe, applicato di 1 2 3 4 classe. Per accede ai pubblici impieghi occorreva svolgere un tirocinio pratico della durata di 2 anni con il titolo di volontario per poi acquisire lo status di applicato di 4 classe. Dalla riforma Cavour sino ai primi anni del XX secolo, l’assetto gerarchico del personale non ha subito grosse modifiche. Il primo testo unico sul personale civile dello stato venne promulgato durante il governo Giolitti, nel 1908. Venne riconosciuto un primo insieme di garanzie, promozioni e associazionismo (rimase escluso il diritto di sciopero). Gli impiegati furono divisi in 3 categorie (amministrativi, di ragioneria, d’ordine) e venne confermato il principio gerarchico fra i gradi all’interno della classe e tra gli anni di anzianità all’intero dei gradi. Gli intenti di razionalizzazione degli apparati burocratici, originariamente perseguiti da De Stefani, non ottennero i risultati sperati. Il dibattito sulla modernizzazione del pubblico impiego si fece vivace a partire dal secondo dopo guerra: sulle riviste specialistiche si discuteva della possibilità di introdurre metodi di gestione aziendale.

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Vedi il New Public Management: alla fine degli anni 70 si è aperta, nella maggior parte dei paesi industrializzati, una stagione di riforme amministrative. I motivi (in gran parte comuni) sono: crisi fiscale, trasformazioni accelerate del contesto socio-economico, internazionalizzazione dei mercati, forte insoddisfazione dei cittadini, irresponsabilità delle burocrazie nell’attuazione degli indirizzi di governo lamentata dal potere politico.Anche gli interventi realizzati sono stati ispirati da orientamenti comuni: introduzione di meccanismi di mercato, adozione di logiche e strumenti manageriali, orientamento al risultato, ridefinizione dei rapporti tra politica e amministrazione, decentramento nell’offerta di servizi. Si è trattato di un processo di dimensioni mondiali il quale prende il nome di NPM. Esso ha introdotto un grosso mutamento di prospettiva nella gestione della PA, articolato su due aspetti essenziali: il tentativo di ridurre o persino eliminare la differenza tra settore pubblico e privato e lo spostamento di attenzione dalla responsabilità rispetto al processo alla responsabilità sui risultati. Quindi: più elevato potere discrezionale della dirigenza; standard espliciti, formali e misurabili di performance, focalizzazione sul controllo degli output piuttosto che sul controllo degli input e dei processi. Il paradigma efficentista proprio del NPM, con la sua identificazione tra impresa pubblica e privata, è stato successivamente oggetto di critica, per il cosiddetto “vincolo di scopo”. In Italia il processo è stato avviato con sostanziale ritardo rispetto agli altri paesi. Soltanto negli anni 90 sono stati impostati interventi mirati a realizzare la trasformazione del sistema amministrativo.

Nel 1950 venne creato l’ufficio per la riforma burocratica, che avrebbe dovuto guidare i processi di innovazione; ma i tempi non erano ancora maturi. Lo statuto del 1957 sostituì le qualifiche e trasformò i gruppi in carriere (direttiva, di concetto, esecutiva, con l’aggiunta di quella ausiliaria per il personale subalterno). I primi passi verso la delegificazione del rapporto di lavoro pubblico vennero compiuti negli anni 70. Una legge delega stabilì che le mansioni e i trattamenti di quiescenza degli operai e degli impiegati della carriere esecutive, di concetto e ausiliarie sarebbero stati disciplinati con regolamenti. Nel 1975 venne poi annunciato che il trattamento economico sarebbe stato concordato tramite accordi sindacali recepiti da un atto del governo, ferma restando la riserva de legge sulle spese incidenti sul bilancio dello stato. Nel frattempo la legge 748 del 1972, per la prima volta, riconosceva uno status a sé stante alla dirigenza ministeriale che veniva articolata in 3 qualifiche (dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente). L’intento era quello di estendere i margini di autonomia ai vertici burocratici, sul modello dell’impresa privata, e di scinderne le competenze rispetto ai vertici politici. Nel 1983 la legge quadro sul pubblico impiego (93), per la prima volta applicata a tutte le amministrazioni, sottrasse alla regolamentazione legislativa alcune materie relative al trattamento economico, all’orario di lavoro e al lavoro straordinario, affidandole alla contrattazione tra le parti, lasciando intatta la riserva di legge per lo stato giuridico e l’organizzazione degli uffici. Il processo di contrattualizzazione del pubblico impiego però è stato portato a compimento negli anni 90 e in particolare grazie al

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d.lgs. 29 del 1993 che ha inteso spingere l’acceleratore sui processi di managerializzazione dell’amministrazione. Il decreto 29 introduce una serie numerosa di innovazioni:

a) In particolare il provvedimento ha ricondotto la regolazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici al codice civile e alle leggi di lavoro sui rapporti di lavoro dipendenti nell’impresa, cosi come le controversie di lavoro sono state affidate al giudice ordinario. Sono rimaste escluse solo alcune figure: magistrati, polizia, docenti universitari, dirigenti generali (questi ultimi fino al 1998).

b) In secondo luogo è stata sancita la separazione tra funzioni di indirizzo politico, affidate agli organi politici, e funzioni di gestione amministrativa, assegnate ai dirigenti, sulla base delle quali i dirigenti sono diventati responsabili della gestione e dei risultati dell’azione amministrativa.

c) Sempre ai fini del miglioramento/efficacia dell’azione pubblica sono state ridotte le qualifiche dirigenziali da tre a due, nell’ambito di un unico ruolo dirigenziale, ed è stato modificato il sistema di accesso attraverso l’individuazione di due distinte procedure, una per i dipendenti di ruolo laureati con almeno 5 anni di servizio, e l’altra per il personale esterno in possesso di adeguati titoli professionali.

d) Fra le altre innovazioni sono stati previsti i nuclei di valutazione con il compito di verificare il corretto perseguimento degli obbiettivi,e la riduzione del personale dirigenziale nella misura del 10% dell’organico.

e) Anche la mobilità è stata incentivata. Dal punto di vista dei rapporti con i cittadini sono stati istituiti gli uffici per le relazioni con il pubblico, che hanno il compito di fornire informazioni sull’attività e i servizi della PA e di promuovere la partecipazione degli utenti.

f) È stata infine istituita l’ARAN, l’agenzia per la rappresentanza negoziale del pubblico impiego, responsabile di rappresentare la PA nella stipula dei contratti.

Il decreto 29 è stato ripreso dal d.lgs. 80 del 1998 che ha esteso la privatizzazione del rapporto di lavoro ai dirigenti di primo livello dei ministeri e delle amministrazioni autonome, affidando la determinazione del trattamento economico alla contrattazione individuale.Un altro cambiamento ha riguardato la classificazione del personale. Sino alla tornata contrattuale 1998-2000, il personale era diviso in qualifiche funzionali introdotte dalla legge 312 del 1980, in numero di 8 per gli enti locali e di 9 per i ministeri, intese come gruppi di mansioni omogenee. Con i contratti del triennio 1998-2000, firmati nel 1999, sono invece state introdotte le categorie che raggruppano profili professionali specifici ma che continuano a basarsi sul titolo di studio posseduto. Le categorie sono 3 per i ministeri (A B C) , 4 per gli enti locali, le regioni e le aziende sanitarie (A B C D) e 4, ma con definizioni diverse, per le università (B C D ed EP che indica le posizioni elevate).In Italia per tutto il XX secolo il reclutamento è avvenuto prevalentemente per concorso pubblico. Si sta tuttavia velocemente incrementando il numero dei contratti a tempo determinato sia la qualità di rapporti flessibili di impiego.Non esistono nel nostro paese percorsi di formazione specifici. La maggior parte del personale ha una formazione di tipo giuridico. La scuola superiore di pubblica amministrazione (1957) non ha mai eguagliato il caso francese della ENA. Nel 1972 è stato introdotto il corso-concorso, che prevede l’ammissione a un periodo di formazione di 15 mesi presso la scuola superiore e poi la

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nomina a incarichi di natura direttiva. Ad eccezioni di questi ingressi laterali, le promozioni avvengono ancora in gran parte sulla base dell’anzianità di servizio. Un discorso diverso vale per la dirigenza, se si pensa che, come effetto delle recenti riforme del governo Berlusconi, tutte le posizioni di vertice sono legate alle scelte discrezionali del governo di turno. La mobilità, poco diffusa in Italia, è di tipo verticale, intesa cioè come un avanzamento di carriera interno. Esempi di passaggi dal pubblico al privato sono piuttosto rari. Per quanto riguarda le caratteristiche sociali dei dipendenti invece possiamo rilevare che per la provenienza si rileva una certa continuità con il passato: se negli anni 50 il 78% proveniva dal centro sud, nel 1995 questa quota è scesa appena al 73%. L’età della dirigenza ministeriale è piuttosto elevata. Sul piano della presenza femminile, si riscontra, come negli altri paesi esaminati, una maggiore concentrazione nei livelli intermedi della carriera.Passando infine alla politiche salariali, il decreto 29 del 1993 ha introdotto alcune modifiche rispetto al passato. Il nuovo sistema poggia ancora su due livelli, quello della contrattazione collettiva nazionale e quello della contrattazione decentrata (a livello di amministrazione o di territorio), ma è contraddistinto dal ruolo di potenziamento di quest’ultima. A ciò si aggiunge il fatto che per i dirigenti sia di primo che di secondo livello vengano stipulati contratti individuali. Al posto del governo c'è un agenzia indipendente, l’ARAN, che negozia con i sindacati. La contrattazione decentrata risulta complementare a quella nazionale.

La Spagna : il personale pubblico fra il controllo politico e modello gerarchico. La creazione di un pubblico impiego professionale e permanente in Spagna risale allo statuto di Maura del 1918 con il quale, in periodo di grave crisi economica successiva alla prima guerra mondiale, si cercò di assicurare ai dipendenti pubblici migliori condizioni di lavoro e di retribuzione. Vennero istituiti esami competitivi per favorire un accesso democratico alle carriere e venne sancito il principio di sicurezza sul posto di lavoro. Lo statuto costituì il primo ampio tentativo di modernizzare la PA e di renderla più simile alle altre esperienze europee. La costituzione del 1978, se incideva profondamente sull’organizzazione territoriale dello stato, riconoscendo il pluralismo amministrativo e istituendo le comunità autonome, non esercitò un impatto rilevante sull’organizzazione del personale pubblico. A partire dalla fine degli anni 80, anche in Spagna cominciarono a rieccheggiare i richiami all’adozione di uno stile di gestione manageriale nel settore pubblico formulati dall'OCSE e della commissione europea e teorizzati nell’ambito del NPM. Nel 1989 un rapporto del governo socialista “riflessioni sulla modernizzazione dell’amministrazione” auspicava l’avvio di un’analisi a tutto campo sul funzionamento delle PA per coglierne i problemi e i nodi critici, proponeva la sostituzione di un approccio giuridico-formale con metodi più innovativi mutuati dal settore privato e caldeggiava una più nitida separazione tra attività di formulazione delle linee politiche e attività di gestione. Questa revisione in senso manageriale della PA avrebbe dovuto coinvolgere tutte le sue componenti: le strutture, le funzioni e le risorse umane. Le intuizioni sviluppate nel rapporto si tradussero in atti di riforma solo negli anni 90, con un provvedimento del 1992 sul procedimento amministrativo e sulla separazione tra politica e amministrazione e con le leggi del 1997: la legge sull’organizzazione del governo, la legge sull’organizzazione e il funzionamento dell’amministrazione generale dello stato e la revisione delle legge sulla funzione pubblica. I principali risultati delle riforme sono stati:

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1. accelerazione della separazione tra politica e amministrazione, modifiche in materia di nomina della dirigenza e accresciuta flessibilizzazione dei rapporti di lavoro. Come in Italia (d.lgs. 29) anche il governo spagnolo ha enfatizzato la separazione tra politica e amministrazione. L’obbiettivo era quello di precisare la sfera delle competenze dirigenziali, assicurando l’autonomia necessaria al loro svolgimento. La riforma spagnola è stata meno incisiva: non è stata accompagnata dallo smantellamento del regime speciale per i funzionari pubblici.

2. Per quanto riguarda la nomina dei dirigenti, si è cercato di ridurre l’ambito delle nomine politiche e di adottare meccanismi più professionali di selezione e di reclutamento dei vertici. La dirigenza ministeriale spagnola si articolava in due livelli: i cosiddetti altos cargos (sottosegretari, segretari generali etc) e i quadri direttivi (proposti alla gestione tecnica dei procedimenti amministrativi). Prima del 1997 per selezionare questo secondo livello di dirigenti si applicava il principio della “libera designazione”, procedura pubblica, cioè bando sulla GU. I titolari erano poi scelti tra i candidati a seconda dei titoli posseduti e con piena discrezionalità da parte dei vertici politici. Gli alti dirigenti invece venivano nominati sulla base di criteri di affidabilità politica in assenza di qualsiasi procedura pubblica. Le riforme del 1997 hanno ricondotto anche i meccanismi di selezione dell’alta dirigenza alla libera designazione, al fine di evitare l’abuso della nomina politica, e hanno ridotto anche il numero delle posizioni dirigenziali.

3. La terza novità è stata rafforzare la possibilità di reclutare personale dall’esterno con contratti a tempo determinato o più semplicemente “a contratto”, cioè per periodi di tempo molto limitati. Si è poi infoltita la schiera dei consulenti e collaboratori dei ministri in grado di transitare con straordinaria rapidità tra il settore pubblico e quello privato.

Passando alla organizzazione delle carriere, si rilevano in Spagna 5 categorie di personale, dalla A alla E, secondo il grado di istruzione, e 23 livelli da 7 a 30. Il gruppi si riferiscono: ai laureati, al diploma di scuola tecnica, agli altri diplomati, alla licenza media e al titolo di scuola elementare. Fino al livello 29 si accede per concorso per merito, per il livello 30 invece prevalgono altri meccanismi. Una parte importante del personale appartiene ai corpi che possono avere natura generalista o specialistica. Prevalgono comunque gli specialisti. Al di sopra della carriera impiegatizia ci sono le due fasce dei dirigenti di cui si è detto (i dirigenti e gli altos cargos) e poi vi è il livello dei vertici politici (segretari di stato e ministri). Nel complesso si giunge a una sorta di “doppio regime” del pubblico impiego; da una parte la carriera impiegatizia regolata secondo i rigidi criteri burocratici, dall’altra l’ampio ventaglio delle posizioni dirigenziali governate secondo parametri ampiamente discrezionali.L’accesso ai pubblici impieghi avviene prevalentemente per concorso pubblico il cui controllo spetta all’ufficio per il pubblico impiego. Nei primi tre mesi di ogni anno le amministrazioni sono chiamate a rendere pubblica la lista delle posizioni vacanti in modo che possano prendere avvio le procedure di selezione. Il reclutamento risulta piuttosto decentrato e posto in capo ad ogni dicastero (prima ogni corpo decideva quando era il momento di reclutare nuoco personale). Dal punto di vista della formazione, l’organo responsabile è l’istituto nazionale di amministrazione

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pubblica (1987), che gestisce una serie di corsi di qualificazioni di base e di specializzazione. I risultati conseguiti durante gli esami diventano titoli per i concorsi successivi. Pur non eguagliando l’ENA, l’INAP detiene una sorte di monopolio sulla formazione avanzata dei funzionari pubblici. La preparazione di base dei funzionari e dei dirigenti pubblici è comunque, come in Italia, di tipo prevalentemente giuridico.Per quanto riguarda le caratteristiche sociali dobbiamo partire dalla dirigenza; un elemento distintivo è l’età comparativamente più giovane del personale di vertice. Il vantaggio comparativo non si presenta però con riferimento alla componente femminile del pubblico impiego, sottorappresentata.Sul piano infine della politica salariale, prevale un certo accentramento della contrattazione collettiva. Gli accordi vengono siglati per la parte pubblica dal ministero competente, dal ministro dell’economia e dal ministero delle amministrazioni pubbliche, per la parte dei lavoratori dai sindacati maggiormente rappresentativi il cui personale sia presente almeno per il 10% nelle liste per le elezioni del personale di base. Gli accordi devono ricevere l’avvallo del parlamento e del governo qualora non rispettino i vincoli finanziari fissati dalla legge di bilancio. Il governo può quindi decidere di non riconoscere le decisioni delle parti. Una commissione interministeriale per le retribuzioni del pubblico impiego ha inoltre il compito di coordinare la politica salariale tenendo sotto osservazione l’andamento del mercato del lavoro. A partire dagli anni 90 inoltre ha cominciato a diffondersi la contrattazione decentrata alla quale è stata demandata la regolamentazione dell’indennità di produttività.

La Germania : un doppio regime nella carriera burocratica. Risultano essere poche e scarsamente incisive le riforme introdotte in Germania negli anni 80 e 90. Le ragioni sono ancora una volta di tipo istituzionale. L’assetto federale dello Stato, e cioè la concentrazione del personale burocratico a livello regionale, ha reso limitata la necessità di ridimensionare i confini del settore pubblico a livello centrale, e poi la densa regolamentazione normativa dell’impiego pubblico e la supremazia del diritto amministrativo hanno ostacolato tentativi di riforma radicali.Per quanto riguarda l’organizzazione delle carriere, l’elemento più distintivo è la separazione tra i funzionari da una parte (1/3 dell'impiego pubblico) e gli impiegati dall'altra, suddivisi al loro interno in lavoratori manuali e non. La separazione è basata sul fatto che solo i funzionari godono di uno stato giuridico di diritto pubblico, mentre le altre categorie di personale sono sottoposte a un regime privatistico. I funzionari sono a loro volta divisi in 4 categorie: servizio di base, servizio intermedio, servizio esecutivo e dirigenza. Ogni categoria è strutturata in diversi gradi (da A1 ad A16),ognuno dei quali è legato ad un salario di base fisso cui si aggiungono incrementi biennali in corrispondenza dell’anzianità. Questo meccanismo non vale per l’alta dirigenza (B4-B11), in cui aumenti salariali prescindono dall’anzianità. Al di sopra della gerarchia amministrativa vi sono i segretari generali che secondo la legge federale sulla pubblica amministrazione hanno il compito di coordinare il ministero. Sotto i segretari generali vi sono i direttori generali, i dirigenti e i capisezione che possono essere considerati come funzionari politici sia perché non sempre sono funzionari di carriera sia perché occupano posizioni vicine al vertice politico.

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Il reclutamento è piuttosto decentrato. I ministeri federali, i Land e i governi locali hanno procedure proprie di assunzione pur facendo riferimento allo strumento del concorso. Alle amministrazioni federali i funzionari accedono dopo aver superato i concorsi banditi con riferimento a una determinata categoria professionale. Tendenzialmente svolgono la loro carriera dal gradino più basso e sono promossi secondo meccanismi misti di anzianità e merito. Per accedere alla dirigenza occorre essere in possesso di un diploma di laurea e di due anni di tirocinio in istituzioni pubbliche o private. A partire dal grado di caposezione gli avanzamenti dipendono da una valutazione congiunta dei dirigenti amministrativi e dei dirigenti politici, dall’assenso del sottosegretario di stato e richiedono infine un’approvazione formale del governo. La categoria degli addetti alle funzioni amministrative, a cui confluisce la maggior parte dei laureati in giurisprudenza, è quella che fornisce il numero più elevato di dirigenti ministeriali.Anche in Germania manca un percorso unificato di alta formazione per i funzionari. La formazione avviene per lo più nei collegi e nelle scuole gestiti a livello regionali. Nel 1969 è stata istituita la scuola federale per il pubblico impiego sulla base del britannico civil service college che venne ad affiancarsi alla scuola di specializzazione in scienze amministrative di Speyer, fondata nel 1949 e cofinanziata dalle regioni e dal governo federale.Accanto alla carriera interna, vi sono gli ingressi che provengono dall’esterno; si tratta dei cosiddetti funzionari nominati per un periodo di tempo limitato in deroga ai meccanismi concorsurali. I ministri hanno infatti la possibilità di collocare a riposo le persone non gradite che occupano ruoli di alta direzione scegliendo discrezionalmente i sostituti. Si aggiunga poi la possibilità di ricorrere a termine per la dirigenza.Per quanto riguarda le caratteristiche sociali, l’indagine più recente è quella svolta dall’università di Potsdam nel '95 su un campione di 683 burocrati con ruoli direttivi a tutti i livelli territoriali. Innanzitutto il personale proveniva da quasi tutte le classi sociali e non da gruppi particolari. I livelli di scolarizzazione degli impiegati e dei funzionari risultano elevati: 37% esame di stato, 26% esame di stato e dottorato e il 18% aveva comunque una formazione accademica. Sul piano della presenza femminile nell’anno 1999 soltanto il 14% delle posizioni dirigenziali era occupato da donne, percentuale che arriva al 20% per i livelli intermedi e al 22% per quelli bassi. Per quanto riguarda l’età il 48% quasi del personale aveva nel 1999 un età compresa fra i 30 e i 49 anni,il 25% fra i 20 e i 29 e il 17% circa fra i 50 e i 59 anni.Passando alle modalità di determinazione dei salari, il tratto più distintivo è l’esistenza di un regime differenziato per i due principali tronconi della carriera burocratica. Il rapporto di lavoro dei funzionari è soggetto alla riserva di legge e di conseguenza a una serie di tutele e vincoli speciali che risultano assenti nel caso degli impiegati. Il rapporto di lavoro degli impiegati è invece assoggettato al diritto privato e viene quindi disciplinato tramite la contrattazione collettiva. Vi sono pertanto due sistemi di relazioni sindacali, caratterizzati l’uno dal potere unilaterale dell’esecutivo che ha solo un dovere di informazione nei confronti del sindacato, l’altro da procedure bilaterali in cui il ministro degli interni contratta con i sindacati gli incrementi retributivi e gli altri aspetti del rapporto di impiego. In questo secondo caso al contratto collettivo nazionale di lavoro fanno da complemento gli accordi decentrati, stipulati ogni 18 mesi e riguardanti le varie indennità. A differenza dei funzionari, il gruppo degli impiegati può ricorrere allo sciopero.

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Conclusioni.• Iniziando dai sistemi di classificazione del personale, emerge una significativa distinzione tra

i paesi anglosassoni, dove il criterio di organizzazione delle carriere è di tipo prevalentemente professionale, e i paesi europeo-continentali in cui il titolo di studio costituisce il parametro di riferimento per l’afferenza delle diverse categorie. Se da un lato prevale quindi la valutazione delle competenze, dall’altro prevale la certificazione del possesso di requisiti legali predeterminati.

• Nell’ultimo ventennio i criteri di organizzazione delle carriere non hanno subito trasformazioni significative; nell’Europa continentale i gradi e i livelli tipici della struttura gerarchica sono stati ricondotti nell’ambito di 3 o 4 categorie (allo scopo di alleggerire il carattere piramidale degli organigrammi) all’interno delle quali è possibile una modalità sia verticale che orizzontale.

• Maggiori innovazioni hanno riguardato il reclutamento, che può avvenire in più modi:1. Il concorso pubblico rimane la modalità più diffusa nelle burocrazie di matrice

weberiana (Italia, Spagna, Francia, Germania), benché la gestione sia sempre più delegata a livello decentrato ovvero ai ministeri e alle agenzie.

2. Una seconda modalità, presente negli States e in Inghilterra, è quella di immissione diretta a seguito di test e colloqui tesi a verificare la congruenza del profilo professionale presentato rispetto ai posti vacanti.

• Accanto alle assunzioni a tempo indeterminato si stanno anche rapidamente diffondendo i contratti a tempo determinato sia per il personale di vertice che per le altre posizioni lavorative, insieme anche ad altre forme flessibili per di impiego, in deroga al principio del posto di lavoro per tutta la vita; questo in tutti i casi analizzati.

• Per l’avanzamento di carriera si riscontrano dei sistemi misti, anche se in Italia, Germania e Spagna il problema dell’anzianità è ancora fortemente presente. Negli altri paesi esso appare maggiormente compenetrato con quello del merito. Il discorso però cambia per le posizioni direttive; le promozioni (e quindi le destituzioni) possono avvenire per scelta discrezionale dei vertici politici.

• Sul piano della formazione professionale, viene confermata l’unicità dell’esperienza francese. Negli altri paesi i tentativi di emulare l’esperienza francese non sono stati cosi radicali. In Europa comunque sono stati introdotti, a partire dagli anni 80 e 90, materie e corsi di insegnamento di tipo manageriale al posto o al fianco delle tematiche giuridico-legali. La ricerca di profili tecnico-specialistici si è fatta più intensa a fronte del mutamento della natura dei compiti pubblici.

• Circa le caratteristiche sociali e il grado di rappresentatività dei dipendenti pubblici, in tutti i casi esaminati, è presente lo sforzo di rendere la PA più aperta e rappresentativa nei confronti della società civile.

• Infine si è notato, in tutti i paesi presi in considerazione, uno sviluppo verso il decentramento della contrattazione.

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I processi: le modalità dell’azione amministrativa. La dimensione su cui le riforme degli anni 80 e 90 hanno maggiormente inciso è sicuramente quella relativa ai processi di gestione del settore pubblico ovvero alle modalità di attuazione delle politiche e di erogazione dei servizi. I paradigmi che hanno guidato le riforme sono sostanzialmente due, quello del NPM e della governance che ha fatto leva su fattori quali l’estensione delle forme di partecipazione e dei diritti di accesso a favore dei cittadini e il miglioramento della qualità dei servizi e la ricettività nei confronti della domanda sociale.

Gli Stati Uniti : la culla del managerialismo Sin dai primi anni del XX secolo, grazie ai contributi di Taylor, negli States si diffuse un crescente favore verso i metodi di gestione aziendale. I principi dell’organizzazione scientifica del lavoro, come la standardizzazione e la razionalizzazione dei compiti, la separazione tra le funzioni di pianificazione e quelle di esecuzione, il coordinamento tramite la gerarchia, vennero estesi assai rapidamente anche al settore pubblico. Il fascino esercitato dal managerialismo è stato il filo rosso che ha attraversato l’operato delle numerose commissioni governative sulla modernizzazione dell’amministrazione, privilegiando una prospettiva di tipo aziendale per la riforma del settore pubblico.Negli anni 60 l’enfasi sui metodi di gestione del settore privato fu alla base della sperimentazione delle tecniche di razionalizzazione del processo di bilancio e di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche. Negli anni 70 non vennero introdotte grandi innovazioni. Solo negli anni 80, con la presidenza di Regan, il processo di managerializzazione riprese a pieno ritmo; alla commissione Grace (1982) venne affidato il compito di delineare i tempi e le modalità della riforma. Ma è con l’arrivo di Clinton che si ha il più importante processo di revisione dell’amministrazione, che si sviluppò attraverso tre fasi:

1. la prima (NPR I “national performance review”) → era incentrata sul passaggio dalla cultura burocratico-formale alla cultura dell’efficienza. I principi fondamentali di questa prima ondata di riforme erano i seguenti: a) eliminare gli sprechi prodotti dalla burocrazia: puntare alla deregolamentazione e

semplificazione burocratica;b) mettere gli utenti/cittadini al primo posto: opera sul versante esterno della PA e

prevede come strumenti i sondaggi e le inchieste per monitorare la domanda sociale, le iniziative per incentivare la concorrenza tra le agenzie di servizi e i progetti per esternalizzare le attività di formazione dei dipendenti e le ispezioni sul lavoro;

c) responsabilizzare i dipendenti rispetto ai risultati: punta sulla delega delle responsabilità verso il basso;

d) tornare alle funzioni essenziali dell’amministrazione: punta sull’eliminazione dei regolamenti obsoleti.

Nonostante le critiche che in gran parte sottolineavano l’enfasi sulla diminuzione dei costi e sul downsizing piuttosto che sul miglioramento dell’organizzazione del lavoro e della qualità dei servizi, la NPR I introdusse alcuni risultati concreti come il risparmio di 108 miliardi di dollari e l'istituzione di ruole come il chief operating officiers dentro ad ogni dipartimento,

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coordinati dal President's Management Council; vennero inoltre creati 200 laboratori interni ai dipartimenti da cui presero forma i progetti di sviluppo del governo elettronico.

2. La seconda (NPR II) era focalizzata sui principi della democrazia e della trasparenza → pubblicato nel 1996, segnava un passo avanti verso l’adozione del modello imprenditoriale. I tre pilastri su cui si poggiava riguardavano:a) l’adozione di una cultura del “buon senso” dal punto di vista della valorizzazione e della

gestione delle risorse umane e strumentali;b) il miglioramento della qualità dei servizi attraverso l’istituzione di standard per il

rendimento;c) lo sviluppo del partenariato nei confronti del mondo imprenditoriale e delle comunità

di cittadini.3. la terza (NPR III) ha portato a compimento la trasformazione dell’amministrazione in senso

imprenditoriale → dato alle stampe nel 1997, sollecitò il completamento del processo di aziendalizzazione tramite la promozione di un cambiamento efficace orientato ai bisogni del contribuente/cliente, l’incentivazione della soddisfazione sul lavoro e il contenimento delle farraginosità burocratiche. Fra i risultati più eclatanti dei vent’anni di riforma amministrativa va sottolineata l’accelerata diffusione dell’e-governement.

L’amministrazione Bush non ha provocato grosse soluzioni di continuità rispetto al cammino tracciato da Clinton. Per quanto riguarda il funzionamento interno dell’amministrazione e i rapporti con gli utenti, i principi della reinvention, benché intrisi dei valori e dell’ideologia democratica, sono stati recuperati per intero dal nuovo presidente.

Il Regno Unito : dalla cultura delle tre “e” alle carte sulla qualità dei servizi. A differenza degli States, nel Regno Unito il processo di trasformazione in senso imprenditoriale delle PA ha agito sul versante dei rapporti con i cittadini, sul miglioramento cioè degli standard di qualità per l’erogazione dei servizi, infatti si è parlato di “charterism” ovvero della tendenza a trasferire il potere di decisione circa le modalità di erogazione dei servizi pubblici ai cittadini, che possono aumentare la competitività fra le agenzie.Più in dettaglio, si sono osservate due distinte fasi di riforma:

1. la prima caratterizzata dall’introduzione, nei dipartimenti e nelle agenzie, di nuove tecniche per accrescere l’efficienza esterna → venne iniziata dalla Thatcher che fece del paradigma delle tre “e” (efficienza,efficacia ed economicità) uno degli obiettivi centrali del suo mandato. Ma il managerialismo non fu solamente un’invenzione thatcheriana, avendo permeato anche altri tentativi di riforma, come quelli contenuti nei rapporti Plowden e Fulton degli anni 60. Comunque quando la Thatcher arrivò al potere, nel 1979, venne istituito l’ufficio per l’efficienza presso il gabinetto, sotto la guida di Rayner. Il suo compito era quello di proporre soluzioni innovative per elevare il livello di efficienza di alcuni programmi dipartimentali, mettendole in opera entro un anno dall’inizio dell’indagine. Nel 1982 è la financial management initiative (FMI), permise di combinare il metodo della pianificazione degli obiettivi con quello del controllo di gestione. Lo scopo principale era quello di incidere sulle caratteristiche della gestione pubblica tramite una serie di accorgimenti: una più efficiente circolazione delle informazioni sia ai vertici che alla base

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della struttura piramidale dei dipartimenti; ampie deleghe alle unità operative e ai quadri intermedi sul piano del controllo del bilancio e della gestione delle risorse umane; la messa a punto di una gamma di indicatori quantitativi per misurare e valutare la prestazione; e infine l’individuazione dei fabbisogni formativi di ogni ministero a cui avrebbe dovuto far seguito il reperimento de consulenti/formatori esterni.

2. la seconda dedicata alla messa a punto delle carte sulla qualità dei servizi e dei codici di comportamento per i burocrati finalizzati a rispondere in maniera più trasparente ed efficace alle domande degli utenti → con l’elezione del successore della Thatcher, Major, nel 1990, le priorità del governo si indirizzano dal managerialismo al monitoraggio degli output della PA, ovvero ai servizi usufruibili dai cittadini. Furono 4 le aree di intervento del nuovo governo: l’incoraggiamento della partecipazione agli atti della PA; l’introduzione delle carte sulla qualità dei servizi; la definizione di nuovi codici di stile e di comportamento per i funzionari; e il contracting out di numerosi servizi pubblici.Dal punto di vista dei diritti di accesso, già con la Thatcher nel 1989 era stato varato l’official secret act che toglieva il vincolo del segreto da numerosi atti del governo ad eccezioni di alcuni settori come la difesa e la sicurezza nazionale. La tendenza proseguì durante il governo Major con la pubblicazione del rapporto open governement, in cui venne sancito il principio della limitazione del segreto solo in presenza di ragioni “valide”. Politiche di partecipazione vennero integrate anche da quelle sulla qualità dei servizi. Nel 1990 venne istituita un’unità speciale presso il gabinetto dedicata alla messa a punto della carte sulle qualità, poi incorporata dall’ufficio per i servizi pubblici. Nel 1991 il libro bianco citizen’s charter rendeva noti gli obiettivi dell’iniziativa: l’individuazione di parametri predefiniti a cui ancorare la misurazione delle qualità dei servizi; l’erogazione di informazioni complete circa le caratteristiche dei servizi e la formulazione di nuove regole deontologiche per i burocrati addetti al front office. Si prevedeva inoltre che qualora i servizi non avessero rispettato gli standard di riferimento l’utente avrebbe potuto ottenere un risarcimento.Parallelamente ai progetti sulla qualità dei servizi, si accese il dibattito sulle nuove regole che avrebbero dovuto guidare la condotta dei burocrati a seguito delle innovazioni manageriali. Vennero cosi emanati: a) il codice del pubblico impiego, che disciplina il ruolo dei servitori della corona

elencando i principi a cui essi devono conformare il proprio operato: integrità, imparzialità, onestà, cortesia ed efficienza verso il pubblico, diffusione delle informazioni, responsabilità verso i ministri etc. il codice sottolinea come in caso di abusi o di mala amministrazione il funzionario sia obbligato a darne notizia al civil sevice commision;

b) il codice sulla gestione, che regolamenta le nomine e gli incarichi all’esterno della PA istituendo un organismo di controllo apposito, l’advisory committee on business appointments.

L’ultima delle priorità del governo Major riguardò le esternalizzazioni dei servizi. Nel 1991 venne pubblicato un rapporto del ministero del tesoro che invitava i dirigenti a introdurre le

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cosiddette “prove di mercato” per verificare quali servizi potessero essere privatizzati e per stimolare la concorrenza tra i fornitori in modo da selezionare quello più conveniente.

Rispetto ai governi conservatori, non vi è dubbio che i laburisti, guidati da Blair, abbiano puntato con maggiore convinzione sui valori della trasparenza, della democrazia e dell’equità sociale, pur non abbandonando le ragioni dell’efficienza. Su questo versante però i risultati non sono apparsi ancora del tutto soddisfacenti.

La Francia : il programma di rinnovamento dei servizi pubblici. La modernizzazione dei processi di gestione amministrativa ha preso avvio con il programma di rinnovamento del socialista Rocard nel 1989. Le 4 priorità elencate in quel programma sono diventate i punti di riferimento delle politiche intraprese negli anni successivi:

1. nuovi metodi per la gestione delle riorse umane basati sulla formazione e la qualificazione, la valutazione dei risultati e il decentramento della contrattazione salariale;

2. sviluppo di un sistema di responsabilità fondato sulla delega di funzioni a centri di costo autonomi;

3. introduzione degli strumenti per la valutazione delle politiche pubbliche; 4. miglioramento del rapporto con l’utenza tramite una più rapida circolazione delle

informazioni e l’instaurarsi di relazioni collaborative. Il tema era comunque già presente nell’agenda politica. Ad esempio, negli anni 70 gli sforzi per un ammodernamento della PA viaggiavano in due direzioni: da un lato vennero introdotte le tecniche di razionalizzazione della contabilità dello stato, dall’altro vennero incoraggiati i diritti di accesso agli atti amministrativi.Nel 1978 venne approvata la legge sull’informazione e la libertà che concedeva ai cittadini la possibilità di prendere visione degli atti che li riguardavano e vennero istituite due autorità indipendenti con poteri di vigilanza in materia: la commissione nazionale per l’informazione e le libertà, costituita da membri della corte dei conti e del consiglio di stato, e la commissione di accesso ai documenti amministrativi. Un anno dopo, un secondo provvedimento sanciva il principio dell’obbligatorietà della motivazione in caso di decisioni pubbliche sfavorevoli nei confronti degli individui. Nacquero i primi servizi interministeriali periferici come punti integrati di informazione ai cittadini.Gli anni 80 si aprirono all’insegna del tema della qualità dei servizi e della deregolamentazione. Nel 1986 Chirac si fece promotore di alcune misure di semplificazione riguardanti l’abolizione dell’autorizzazione amministrativa per i licenziamenti, la liberalizzazione dei prezzi e l’eliminazione del controllo sui cambi.Il terreno era dunque fertile per il “renouveau du service public” del secondo governo Rocard, che intendeva portare avanti le iniziative intraprese da Chirac. Il tratto caratterizzante l’esperienza francese è l’attenzione privilegiata ai meccanismi di valutazione dei risultati e dell’impatto delle politiche pubbliche. Sin dal 1990 vennero creati il comitato interministeriale di valutazione, il consiglio scientifico nazionale sulla valutazione e il fondo per il finanziamento di ricerche e sperimentazioni sul tema della valutazione delle politiche pubbliche. Presso l’alto consiglio per l’impiego pubblico, una sezione apposita venne dedicata al monitoraggio delle riforma; ad essa prendevano parte anche le

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parti sociali. Più in concreto, i metodi di valutazione vennero associati alla “gestione per obiettivi”, considerata preliminare a qualsiasi controllo dell’output. Venne chiesto ad ogni dirigente di elaborare dei piani di servizio che potessero rendere più snello ed efficiente il processo di erogazione. Questi piani sugli obiettivi e le risorse dovevano altresì prevedere dei meccanismi di controllo interni. I progetti di servizio avrebbero dovuto essere attuati nell’ambito dei costituendi centri di responsabilità, funzionalmente separati rispetto alle strutture ministeriali. Si diffusero poi nei primi anni 90 le politiche per la promozione dell’orientamento al servizio.Nel marzo 1992 venne introdotta la carta dei servizi con l’intento di inanellare i principi di uguaglianza, neutralità e continuità dell’azione amministrativa nell’ambito di una logica di sussidiarietà secondo cui i centri delegati di erogazione dei servizi risultano complementari rispetto all’azione dei ministeri centrali. La carta si articolava in tre parti riguardanti:

a) i principi su una PA moderna;b) la disciplina dei servizi pubblici nelle principali aree dell’intervento statale;c) le norme sui diritti dei consumatori.

Gli obiettivi comuni erano quelli della ricettività nei confronti della domanda sociale, dell’adattamento dei servizi all’evoluzione dei bisogni delle popolazioni soprattutto nelle aree periferiche, dell’eliminazione dei ritardi e delle procedure inutili e della trasparenza tramite l’istituzione delle conferenze dei servizi e la rimozione del segreto di ufficio.Nel 1993 si proseguì con il piano riformatore, puntando però l’attenzione soprattutto sui problemi dell’accessibilità e della funzionalità dei punti di distribuzione dei servizi soprattutto in territori non urbani.Nel 1995 (Juppè) vennero emanate due circolari:

1. una sul miglioramento dei servizi ai consumatori;2. l’altra sull’implementazione della riforma amministrativa. Quest’ultima si sviluppava in 5

punti che consolidavano gli intenti riformatori dei governi precedenti: a) la ridefinizione dei confini del settore pubblico rispetto a quello privato;b) il miglioramento della qualità e della trasparenza dei servizi; c) la riorganizzazione e il ridimensionamento dello stato; d) la delega di responsabilità;e) il rinnovamento della gestione in senso manageriale.

Nell’ambito delle attività introdotte quella più significativa riguardava la trasformazione di tutte le prefetture in centri di responsabilità (o agenzie) dotati di autonomia contabile e organizzativa.Tra il 1997 e il 2002 (Jospin) si sono prese in mano le redini della modernizzazione amministrativa puntando su temi della qualità, della dislocazione dei centri di servizio in ogni area territoriale e del potenziamento dell e-governement.Nonostante le dismissioni di Jospin dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali del 2002 e il cambio della maggioranza con la nomina di Raffarin, il processo di modernizzazione dell’amministrazione non è interrotto e al centro dell’agenda politica troviamo ancora il tema della qualità dei servizi.

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L’ Italia : la (incerta) trasposizione dei metodi aziendali. Il processo di cambiamento dei modelli di gestione amministrativa ha preso avvio in Italia (in ritardo rispetto al Regno Unito) dagli anni 90. Il rapporto Giannini del 1979 aveva in realtà già tracciato le linee principali della riforma in senso aziendale della PA, ma durante gli anni 80 le condizioni (politiche e sociali) non erano ancora mature.I primi anni 90 inaugurarono invece una stagione intensa di riforma riguardante soprattutto i processi di gestione amministrativa.Gli stili di gestione aziendale sono diventati, come aveva auspicato Giannini, i parametri di riferimento della riforma che ha inciso almeno in 5 direzioni diverse:

1. il procedimento amministrativo → Il primo obiettivo lo si è raggiunto grazie ai principi di trasparenza e di pubblicità degli atti da un lato e di semplificazione amministrativa dall’altro. Sotto il primo profilo abbiamo due legg sulla trasparenza, la 142 del 1990 e la 241 dello stesso anno, le quali perfezionano e potenziano i diritti di partecipazione dei cittadini rispondendo al duplice obiettivo di contenere l’arbitrio della PA e di offrire una tutela ai consumatori dei servizi. Sono stati formalizzati i principi di obbligatorietà di avvio del procedimento e di conclusione entro termini prefissati. A ciò si è aggiunto il vincolo sulla motivazione del procedimento e sull’indicazione del suo responsabile. Infine la legge 241 del 1990 ha dato avvio anche al processo di semplificazione amministrativa. I criteri per la delegificazione possono essere divisi in due categorie: quelli riguardanti le modalità di applicazione della legge che dovrebbero diventare più snelle e orientate al risultato, e quelli che incentivano le amministrazioni e ridefinire le modalità di attuazione dei procedimenti. Il discorso della semplificazione è poi proseguito anche con la legge 127 del 1997 che contiene norme sull’autocertificazione, sulla revisione del funzionamento delle conferenza dei servizi etc.

2. la valutazione dei risultati e il sistema dei controlli → Per quanto riguarda il secondo e il terzo obiettivo, è stato il d.lgs. 29 del 1993, sulla contrattualizzazione del pubblico impiego, ad aver introdotto in Italia la cultura del controllo e della valutazione dei risultati dell’azione amministrativa. Tale decreto ha istituito i cosiddetti nuclei di valutazione, composti da personale interno o esterno all’amministrazione, a cui viene assegnato il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione dei obiettivi.

3. i rapporti con i cittadini → Per questo obiettivo, si deve in particolare a Cassese, ministro della funzione pubblica del governo Ciampi, la progettazione delle principali linee di riforma nell’ambito di un “rapporto sulla modernizzazione delle PA” che denunciava con dovizia di particolari lo stato di arretratezza della burocrazia italiana. Il d.lgs. 29 del 1993 ha cosi istituito gli uffici per le relazioni con il pubblico (URP) che costituiscono dei punti integrati di informazione ai cittadini su tutte le attività degli enti. Sempre nello stesso anno sono stati pubblicati i codici sullo stile e sul comportamento dei funzionari; il primo sul problema del linguaggio e sul tentativo di far adottare ai funzionari un vocabolario immediato, facilmente comprensibile e il secondo imperniato sulle regole deontologiche, quali la correttezza verso l’ufficio, il divieto di abuso di ricevere regali, la disciplina dei conflitti di interesse, l’imparzialità, la cordialità e la cortesia. A partire dal 1994 sono state inoltre introdotte le

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carte dei servizi, inclusive degli standard di qualità riguardanti le varie articolazioni del settore pubblico. Una direttiva del governo nello stesso anno ha fissato poi le regole sul controllo e la valutazione della qualità, sui diritti dei cittadini ai rimborsi e ai reclami, sulle sanzioni per la mancata osservanza degli standard di qualità.

4. la comunicazione e l’informatizzazione → ci sono numerose iniziative concentrate però solo alla fine degli anni 90 e all’inizio degli anni 2000. La legge 150 del 2000 con la quale vengono individuate specifiche strutture (uffici stampa, fiere, manifestazioni etc) e specifici ruoli addetti alla comunicazione, nonché apposite attività di formazione per gli operatori coinvolti. Da ultima, la circolare del ministro Frattini del 2002 ha cercato di spingere ancora sull’accelerazione delle politiche di comunicazione pubblica. Nella direttiva si puntava in particolar modo sulla valorizzazione e la formazione delle risorse umane che rivestono ruoli di contatto con il pubblico e sulla messa a punto di banche dati e di servizi online che rendano più immediato e ricettivo il rapporto con gli utenti. Proprio in tema di e-governement tuttavia rimane ancora molta strada da percorrere da parte della burocrazia italiana, soprattutto nelle regioni del centro-sud.

La Spagna : dalla modernizzazione socialista al libro bianco di Aznar sui servizi pubblici. La paternità delle riforme manageriali della PA va attribuita a un governo socialista, il secondo dei quattro guidati da Felipe Gonzales, e in particolare al ministro delle amministrazioni pubbliche Almunia che, nel 1989, presentò un rapporto sulla “modernizzazione dell’amministrazione dello stato”. Quel documento è il punto di partenza di un ampio processo di cambiamento del settore pubblico.Il passaggio da una cultura amministrativa di tipo burocratico-formale a una cultura manageriale venne solamente preannunciato da un decreto reale del 1982 che sottolineava l’urgenza di procedere alla separazione tra politica e amministrazione, e dalla riforma del 1984 incentrata sulla riorganizzazione delle carriere del pubblico impiego che sosteneva l’introduzione di una maggiore efficienza nei processi amministrativi.Il rapporto del 1989 aveva come obiettivi quello di interrompere la tradizione di legalismo e di formalismo. La seconda finalità era poi quella di rendere noti all’opinione pubblica i principi della riforma, mobilitando funzionari, ministri ed esperti, in modo tale da creare un clima di consenso intorno al cambiamento.Il rapporto individua tre aree di cambiamento:

1. gli assetti strutturali →La prima dimensione faceva riferimento all’istituzione delle agenzia (i moduli). Dal punto di vista delle funzioni venne gradualmente introdotto in tutti i settori il metodo della “pianificazione strategica” che si sviluppa secondo cinque distinte fasi:a) la generazione di consenso intorno agli obiettivi da raggiungere, ovvero la ricerca del

coinvolgimento di funzionari e dirigenti di uno specifico settore;b) la definizione della missione di ogni settore funzionale;c) la selezione dei mezzi/strumenti necessari;d) il controllo periodico sulla gestione;e) la valutazione dei risultati.

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2. le aree funzionali → La pianificazione per obiettivi era anche risposta dell’esigenza di rendere meno frammentati i processi amministrativi a fronte dell’aumento dei compiti e dei servizi gestiti dal settore pubblico. Si prevedeva che fossero le singole unità organizzative dei ministeri a gestire il processo di pianificazione, senza intromissione da parte degli organi politici.

3. la gestione delle risorse umane → Infine, per quanto riguarda la gestione delle risorse umane,vennero incrementate le forme flessibili d’impiego,finalizzate a dare una risposta tempestiva alle esigenze di organico dei singoli enti e vennero introdotti una serie di incentivi per incoraggiare la produttività.

La fase della messa in opera delle riforme venne coordinata, oltre che dal ministro della PA,dall’ispettorato generale sui servizi della PA, istituito nel 1986 con competenze in materia di semplificazione e deburocratizzazione. Negli anni 90 tuttavia esso si trasformò in un vero e proprio organismo di coordinamento della riforma attraverso l’operato delle ispezioni operative dei servizi (IOS) presso ogni dicastero. Gli esperti delle IOS si attivavano su richiesta delle unità da ispezionare e procedevano a diagnosticare le cause delle disfunzioni rilevate. Venivano poi creati dei gruppi di lavoro impegnati a collaborare con i consulenti delle IOS nella fase di predisposizione delle nuove metodologie di lavoro volte a razionalizzare l’attività degli uffici e a ridurre gli sprechi. Il lavoro delle IOS sfociava in dettagliati rapporti contenenti indicazioni pratiche su come modificare l’organizzazione del lavoro. Nel 1991 (secondo governo Gonzales) il ministro dell’industria subentrò al dicastero della PA e nell’aprile del 1992 presentò un programma di riforma dell’amministrazione che si articolava in 204 progetti rivolti ai diversi ministeri e accomunati dalle seguenti priorità: migliorare la comunicazione pubblica e l’informazione ai cittadini; elevare la qualità dei servizi; introdurre tecniche di valutazione dei risultati e di controllo sulla gestione.Nello stesso anno venne siglato un accordo tra il ministero della amministrazioni pubbliche e i sindacati del pubblico impiego, con validità triennale, per attuare quella parte del piano di modernizzazione riferita alle condizioni di lavoro dei dipendenti pubblici. L’accordo prevedeva varie iniziative tra cui: l’introduzione dell’orario flessibile e l’estensione degli orari di apertura degli sportelli, l’istituzione di nuovi servizi di assistenza e dei cartellini identificativi dei funzionari, la creazioni di centri integrati di informazione al pubblico.Nel 1996 sale al governo Aznar (centro-destra). Le riforme dell’anno successivo hanno ripreso senza soluzione di continuità le innovazioni in senso manageriale della PA enfatizzando ancor di più la separazione tra politica e amministrazione ed estendendo i rapporti flessibili di impiego. Ma è stato soprattutto negli anni successivi che si è dato avvio alle politiche di informatizzazione della PA da un lato e di miglioramento della qualità dei servizi dall’altro.Al problema delle relazioni tra PA e cittadini è dedicato il libro bianco sul miglioramento dei servizi pubblici, proposta nelle sua prima edizione dal ministro della funzione pubblica del primo governo Aznar, Acebes Paniagua, e nella seconda edizione del luglio 2000 dal suo successore nel secondo governo Aznar, Posada Moreno. Il libro bianco costituisce un ampio documento programmatico, ricco di raccomandazioni e di proposte concrete circa i temi della partecipazione dei cittadini, della qualità dei servizi, dello sviluppo dell’e-governement e della concorrenza e competizione rispetto al settore privato. Il documento si articola in tre parti, la prima dedicata alle sfida che le PA sono

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chiamate ad affrontare, la seconda sulle politiche e le strategie del cambiamento e, l’ultima, volta a tradurre in azioni concrete gli impegni assunti dal governo (vedi pag 161-162).

La Germania : le riforme dal “basso”. L’adozione dei metodi privatistici di gestione del settore pubblico è risultata tardiva e si è prevalentemente concentrata alla periferia del sistema amministrativo, ovvero nell’ambito dei governi locali. Nella letteratura si parla allora di rivoluzione dal basso, di riforme amministrative cioè progettate e messe in opera grazie all’attivismo delle amministrazioni comunali e distrettuali. A livello locale è stato infatti messo a punto, nei primi anni 90, un nuovo modello manageriale di gestione del settore pubblico che riprende da vicino i principi del NPM. Il settore federale invece è stato assai meno interessato dalle riforme, con la sola eccezione di quelle riguardanti la semplificazione e la deburocratizzazione.A partire dal 1989 un’associazione di ricerche e consulenza partecipata dagli enti locali cominciò a produrre una serie di raccomandazioni per il rinnovamento della gestione amministrativa, che sfociarono in un rapporto pubblicato nel 1991. Più in dettaglio, si caldeggiava l’introduzione di una più rigorosa separazione tra politica e amministrazione, del management per contratto, del controllo sugli output e di un tipo di contabilità legati ai risultati e ai meccanismi di competizione tra i comuni. Queste indicazioni confluirono in un modello della nuova gestione pubblica (Neues Steuerungsmodell) che si articolava in almeno 7 distinte fasi:

1. la formulazione di un bilancio orientato agli obiettivi; 2. l’analisi dei costi associati ai prodotti e ai servizi dell’amministrazione; 3. il passaggio a una contabilità di tipo commerciale; 4. il decentramento delle responsabilità; 5. l’orientamento al consumatore; 6. l'esternalizzazione dei servizi;7. l'apertura al benchmarking.

Le regioni più ricettive sono state quelle del sud della Germania.Se dal livello locale saliamo a quello federale il discorso muta radicalmente. Il paradigma del NPM ha avuto scarsa presa nell’agenda decisionale dei governi e anche nel dibattito accademico.Nel 1983 venne istituita una commissione federale indipendente per la semplificazione amministrativa. Tra il 1984 e il 1989 i lavori della commissione vennero recepiti da alcuni progetti sul miglioramento dei procedimenti amministrativi federali, di cui uno venne trasformato in legge.Accanto alla commissione operava poi il commissario federale per l’efficienza amministrativa, competente anche in materia di informatizzazione, che nel 1987 pubblicò un “rapporto sul personale e l’organizzazione della PA” nel quale venne a consolidarsi il sostegno verso la semplificazione amministrativa. Nel 1988 venne formulato il primo programma del governo sulla promozione delle tecnologie dell’informazione. Pochi e poco rilevanti furono i cambiamenti del novo decennio.Proprio la carenza di innovazioni sul versante esterno dell’amministrazione, ovvero sul piano della partecipazione dei cittadini e della qualità dei servizi, contraddistingue il caso tedesco.

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Dal 1976 è diventato possibile per i cittadini prendere visione dei documenti che li riguardano direttamente, a meno che non si creino disfunzioni nella gestione quotidiana degli uffici. Quel provvedimento comunque è rimasto piuttosto isolato. Nel 1994 venne istituito un gruppo di lavoro interministeriale sul miglioramento dell’efficienza dei processi amministrativi federali. Nel 1995 la creazione di un comitato consultivo sullo “snellimento dello stato” era volta a rispondere a due obiettivi:

1. formulare proposte per la modernizzazione dello stato 2. fungere da catalizzatore delle innovazioni sperimentate negli anni precedenti.

Nello stesso anno venne lanciato un programma di azione sull’innovazione della PA. Nel 1998 la nuova coalizione Schroder dedicò dapprima scarsa attenzione alle riforme del management pubblico e poi si concentrò sulla necessità di tornare a uno stato “mediatore e attivatore” dei processi politici e sociali.Questo passo a ritroso nel cammino di adozione delle tecniche manageriali non deve trarre in inganno. In realtà, all’interno dei ministeri del Bund i dirigenti e i funzionari hanno cominciato a impratichirsi con metodi della pianificazione per obiettivi, dell’analisi dei costi/benefici e della distribuzione degli incentivi per la mobilità e la produttività.Il 1 dicembre del 1999 è stato poi pubblicato il libro bianco programmatico intitolato “stato moderno-moderna amministrazione” in cui si elencavano una serie di meccanismi per incoraggiare la trasparenza della gestione, una maggiore responsabilità dei risultati etc.Il 18 settembre del 2000 è stata lanciata l’iniziativa “BundOnline2005” che si propone di potenziare il numero dei servizi pubblici disponibili sulla rete entro il 2005. Nel novembre del 2001, poi, è stato formulato un piano per l’attuazione dell’e-governement nel quali si annuncia che circa una ventina di servizi sono diventati fruibili online.

Conclusioni.È certo che le riforme analizzate in questo capitolo abbiano voluto sostituire all’approccio burocratico stili e modelli di gestione di tipo aziendale. Il NPM da un lato e il paradigma della governance dall’altro, il primo incentrato sull’imperativo dell’efficienza, il secondo su quello della qualità e della trasparenza, costituiscono i perni su cui le riforme hanno ruotato e tutt’ora ruotano.Risultano numerose le aree di convergenza tra i paesi; solo il caso tedesco è apparso distanziato rispetto agli altri, sicuramente a causa della sua struttura istituzionale.È possibile osservare anche come l’adozione delle tecniche manageriali sia stata una policy cavalcata sia dai governi di centro destra (States, Regno Unito) che da quelli di centro sinistra (Italia, Francia, Spagna). Il mito dell’efficienza ha generato fascino diffuso al di là di tutto.Più in dettaglio, per quanto riguarda il funzionamento interno delle amministrazioni, in tutti i paesi considerati è stato adottato il metodo della pianificazione per obiettivi che si scompone nella catena programmazione-gestione-controllo-valutazione. Il Regno Unito ha svolto un ruolo pionieristico a questo proposito con l’introduzione della FMI nel 1982. Gli strumenti per il controllo di gestione e la valutazione dei risultati introdotti in Italia, Francia e Spagna replicano infatti i medesimi principi e le medesime finalità.

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Per quanto riguarda il timing delle riforme, gli anni 80 per il Regno Unito e gli anni 90 per gli altri paesi. Il caso degli States risulta invece eccentrico perché il metodo della pianificazione per obiettivi non rappresenta l’esito originale delle riforme dell’ultimo ventennio bensì la continuazione delle pratiche d’azione già sperimentate nei decenni passati.Meno omogeneo risulta il posizionamento dei casi in merito al secondo gruppo di variabili, riguardanti il versante esterno delle burocrazie. Da una parte, i governi italiano e spagnolo hanno deliberatamente cercato di importare il modello britannico e in particolare la iniziative sul controllo della gestione, sulla competitività dei servizi e sulla trasparenza dei procedimenti. Dall’altra, in Francia e in Germania, il processo di modernizzazione è apparso più selettivo. Nel primo caso è stata dedicata maggiore attenzione alla diffusione della cultura della valutazione e della responsabilità a tutti i livelli di governo territoriale; nel secondo caso ha occupato il centro dell’agenda politica il tema della semplificazione e della deburocratizzazione. Diverso è il discorso per gli States:

1. Primo, i metodi di gestione, le modalità di erogazione dei servizi, cosi come gli approcci nelle relazioni con il pubblico, non sono stati introdotti ex novo ma sono il perfezionamento di iniziative già consolidate.

2. Inoltre è di gran lunga inferiore il grado di formalizzazione di queste pratiche di azione: se in Spagna, Francia e Italia i nuovi metodi di gestione sono stati rigidamente definiti nell’ambito di codici, regolamenti e circolari, negli States essi traggono la propria legittimazione da prassi e norme informali diffuse.

3. Infine, i maggiori sforzi di riforma sono stati riservati, a differenza di quanto avvenuto in Europa, a una piena messa a regime del governo elettronico in tutti i rami dell’amministrazione.

Proprio in merito al grado di realizzazione dell’e-governement si scorgono ancora delle differenze tra i sei paesi. Il primato degli States non è ancora stato eguagliato e lo stesso può dirsi per il record negativo dell’Italia (servizio debole e concentrato solo per alcuni settore/aree geografiche).

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Verso l'amministrazione-azienda?Fino agli 70 al modello piramidale della burocrazia legale-razionale era contrapposto il modello del sistema amministrativo statunitense, organizzato per agenzie e caratterizzato da un elevato grado di decentramento strutturale e funzionale. Delle differenze tra il modello americano e quello europeo ne parlò Giorgio Freddi, nel 1968, che affermava che la ricerca si incentrava sull'analisi del ruolo politico svolto dai funzionari pubblici in alcune democrazie occidentali in correlazione con specifici fattori strutturali e culturali. Ma, comunque, Freddi era interessato a studiare il condizionamento esercitato da variabili strutturali (centralismo gerarchico vs decentramento strutturale; concentrazione vs dispersione funzionale) e da variabili culturali, che riguardavano le caratteristiche del personale direttivo (generalismo vs specialismo; autonomia professionale vs fungibilità professionale; particolarismo vs rappresentatività sociopolitica), sulla possibilità da parte degli apparati amministrativi di prendere parte al policy making facendo valere atteggiamenti e preferenze autonome rispetto alle istituzioni politiche. La tesi principale del libro individua che quanto più la cultura politica si presentava omogenea, tanto più i valori delle élites burocratiche risultavano allineati con gli orientamenti degli organi politico-deliberativi.È per questo motivo che la burocrazia degli USA si caratterizzava per un debole grado di potere politico: l'elevato decentramento strutturale e la dispersione funzionale fomentavo le spinte centrifughe e lo sviluppo di interessi particolaristici in opposizione rispetto agli obiettivi generali del sistema politico. La burocrazia britannica appariva, invece, contraddistinta da gradi elevati di centralismo gerarchico e di concentrazione funzionale e da una forte coesione tanto all'interno dell'administrative class quanto nei confronti della classe politica.Il grado più elevato di potere politico era caratteristica della burocrazia francese, poiché si trovava in un contesto di cultura politica frammentata.Nella seconda parte del XX secolo le amministrazioni centrali europee hanno preso le distanze dal modello burocratico cercando di unire razionalità e tecniche di gestione tipiche del settore privato, maggiormente orientate al risultato. Infatti il modello di organizzazione per dipartimenti e agenzie, basato sul decentramento strutturale e funzionale, sulla separazione tra sfera politica e gestionale, costituisce l'approdo finale del cammino intrapreso dalla maggior parte delle democrazie occidentali.

Nella tabella allegata sono riportati i punteggi assegnati ai sei casi nazionali analizzati con riferimento alle tre principali dimensioni considerate nella ricerca ovvero: la struttura organizzativa dei ministeri e delle agenzie; l'organizzazione delle carriere e del reclutamento del personale e i processi, ovvero le modalità dell'azione amministrativa.C'è da ricordarsi che quanto più i paesi presentano i punteggi pari a 1, tanto più la configurazione organizzativa delle burocrazie centrali risulta prossima al modello dell'amministrazione-azienda; al contrario, nei paesi in cui prevalgono punteggi pari a 0, il modello burocratico risulta ancora dominante e l'adozione del modello manageriale ancora in corso.

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Regno Unito e Stati Uniti sono i più vicini al modello imprenditoriale, seguono Italia, Spagna e Francia e più isolata c'è la Germania.Ovviamente ci sono delle divergenze quali:

1. USA → la burocrazia statunitense si è sviluppata dopo il processo di democratizzazione:• sotto il punto di vista delle strutture e del personale, la burocrazia degli USA è più vicina

all'amministrazione-azienda.• Strutturalmente gli USA ha un decentramento strutturale e funzionale poiché le unità

amministrative hanno margini di autonomia.• Le modalità di promozione e di avanzamento si fondano sia sul merito sia su

meccanismi di tipo politico.• La National Performance Rewiew di Clinton ha ridato slancio ai metodi di pianificazione

per obiettivi, di controllo e di valutazione della prestazione.• L'e-government ha avuto innovazioni e vanta un primato difficilmente pareggiabile.

2. Regno Unito → la burocrazia brittanica ha consolidato lo stile manageriale di gestione pubblica:• Punto di vista strutturale: la creazione delle agenzie Next Steps ha cambiato gli assetti

dipartimentali, che ha portato ai direttori di agenzie le responsabilità e gli ha permesso di avere il ruolo di manager pubblico, in modo da poter contattare in prima persona gli obiettivi e le risorse con i ministri di riferimento.

• Il personale: c'è flessibilità nelle assunzioni, nella mobilità e nell'interscambio tra le pubbliche amministrazioni e le aziende private e l'ingresso di più specialisti nell'ambito pubblico. Grazie al governo Tatcher, inoltre, le promozioni avvengono sia per merito sia per nomina politica.

3. Francia → minor grado di decentramento strutturale della burocrazia:• Struttura: elevato accentramento dei dicasteri e la loro struttura gerarchico-piramidale

sono rimasti tratti dominanti.• Reclutamento: accentrato e gli avanzamenti di carriera si basano su anzianità, merito e

meccanismi di tipo politico. Il governo decide le condizioni di impiego dei dipendenti pubblici.

• Servizi: importazioni tecniche di gestione del settore privato in quello pubblico.4. Italia → la riorganizzazione del settore pubblico è stato discontinuo:

• Struttura: riforma del 1999 ha portato i dipartimenti e ha istituito le agenzie esecutive.• Personale: privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, decentramento e

flessibilizzazione dei meccanismi di reclutamento.• Servizi: scambi inesistenti rispetto al settore privato, esiguo numero di specialisti e

scarsa rappresentatività del personale ministeriale.• Informatica: e-government ha un avanzamento molto lento.

5. Spagna • Struttura: istituzione delle agenzie esecutive• Personale: decentramento del reclutamento e della formazione e aumento della

flessibilità delle forme di impiego.• Informatica: buoni risultati negli ultimi anni sullo sviluppo del governo elettronico.

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6. Germania → non ci sono modifiche di rilievo• Personale: flessibilizzazione dei rapporti di impiego e progressivo decentramento del

reclutamento.• Azione amministrativa: adozione del NPM come risposta a imperativi di efficienza e

come effetto di emulazione dell'esperienza degli enti locali.• Informatica: è faticosa la messa in opera del governo elettronico.