la morte delle ideologie

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Saggio storico-politico di DANILO CARUSO / Palermo, dicembre 2011

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Donde existe una necesidad nace un derecho.

EVA PERÓN

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LA MORTE DELLE IDEOLOGIEDanilo

Caruso

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INTRODUZIONEa più recente novità in campo diconcetti politici nell’ultimo ven-tennio e a conclusione dello scorso

secolo è stata l’invenzione della morte del-le ideologie. Antistene il cinico  rimprove-rava a Platone di vedere il cavallo  e non

la cavallinità. A tutti coloro che hannosostenuto la scomparsa delle idealità sipotrebbe chiedere come un’idea –  quasi avolerla intendere in senso platonico  –  possa morire: se così fosse non dovrebbeessere più pensata, non far più parte delnostro patrimonio conoscitivo. Per con-tro accade che scompaiano le esperienzestoriche, mentre gli ideali entrano a far

parte del pensiero acquisito. Quando lastoria e la storiografia hanno bocciatodelle esperienze, o perché le loro idee era-no inammissibili e intollerabili o perchél’attuazione è stata fallimentare e negati-va, ciò non si è tradotto nella radicalecancellazione dell’ideologico. Tant’è veroche se ne continua a parlare non solo perfare archeologia storica  ma anche con lo

scopo pedagogico di mettere in guardial’umanità dal ripetere stessi errori. Le tregrandi concezioni politiche del ’900 sonosempre rivisitabili dall’analisi nella storiae nel sistema concettuale per trarre indi-cazioni tenendo i due piani divisi al fineappunto di separare lo storico dall’ideale.Il fascismo, il comunismo, il nazionalso-cialismo  –   in gradi e con responsabilitàdiversi –  hanno connotato negativamenteil secolo breve. Addentrarsi nelle dinami-che storiche per guadagnare una visione

nitida dei meccanismi non è né può maidivenire procedura giustificatoria: capireil  perché  è stato così  non può né devetrasformarsi in giustificazione. Le causee le radici della nascita del nazismo stan-no negli esiti della Grande guerra: diffe-

renti sarebbero stati gli eventi se la co-munità internazionale avesse accompa-gnato e assecondato un processo di svi-luppo democratico della Germania po-stbellica, colpita dalla crisi economicamondiale del ’29 al punto tale di spianarela via del potere a una ideologia razzistairrazionale che si richiamava a tradizioniinterne neopagane e al più ampio versan-

te dell’antiebraismo (il quale aveva moltisecoli di esistenza e fatti ugualmente a-scrivibili ante litteram  ai crimini control’umanità). Non è da trascurare in tuttaEuropa l’effetto che esercitò la paura delcomunismo (prima e dopo la Rivoluzioned’ottobre del ’17). Il clima europeo d’iniziosecolo, che portò alla prima guerra mon-diale, era in fermento: l’affermazione del

capitalismo aveva introdotto nuove e for-tissime tensioni sociali che turbavano leincipienti forme di moderna democrazia.Nel panorama di questa instabilità erasorto pure il fascismo a cui furono apertele stanze del governo per superare il peri-colo rosso. Col tempo  –  prima del secondoconflitto mondiale e durante  –   nacqueronel continente regimi e governi antico-munisti, che è sbagliato definire fascistianche se amici e alleati dell’Italia musso-liniana. Il fascismo fu un complesso fe-

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nomeno –  trasformatosi poi in dittatura –  che aveva al suo interno varie matrici dipensiero: una di fondo socialista (con ve-nature di massimalismo), cui si sovrappo-sero soprattutto quella nazionalista, equindi quella monarchica, e in tono mi-nore quella liberale. I non correttamentecatalogati come fascismi europei non ave-vano questo humus, erano più vicini al

nazismo. Anche parlare di nazifascismocome ideologia è inesatto: il fascismo as-sunse dal nazismo particolari dottrine si-no a emanare per questioni di allinea-mento politico le leggi razziali nel ’38promulgate da Vittorio Emanuele III.Dopo la seconda guerra d’Etiopia Musso-lini aveva intrapreso la strada sbagliatadell’alleanza con la Germania allonta-

nandosi definitivamente dalle democrazieoccidentali che avevano mostrato nei suoiconfronti parole di apprezzamento. Nelbene e nel male il fascismo del primo do-poguerra aveva prodotto una stabilità inItalia che, in assenza di una compiutademocrazia, era preferibile a una cruentarivoluzione comunista. In seguito subìun’inaccettabile involuzione razzista. La

tragedia della seconda guerra mondialemostrò l’intensità degli errori umani epolitici dei capi fascisti filonazisti: il pesostorico di ciò che avvenne oscurò la partedi buono realizzata sotto il regime guida-to da Mussolini (la quale già da primaconviveva con degli aspetti negativi): purricordando dei lati positivi non si puòdimenticare la catastrofe finale in cui ilfascismo e la monarchia portarono il pae-se. Come il comunismo il movimento fa-scista partiva in alcune situazioni da cor-

rette istanze di giustizia sociale (non perniente sono entrambi nati dal socialismo)cui seppe dare delle risposte: per fare unesempio, la difesa della nazione dai ri-svolti della crisi del ’29. La complicitàcon il nazionalsocialismo nella persecu-zione e nello sterminio degli Ebrei (fattisalvi i casi d’eccezione) ha comportatouna precisa condanna della sua esperien-

za storica. La quale condanna colpisce,con altre motivazioni e per altri eventi,parimenti il comunismo, la cui teorizza-zione da parte di Karl Marx era scaturitada sincere basi di denuncia sociale: tutta-via in nessuna circostanza la violenza puòessere considerata strumento d’eccellenzao privilegiato per migliorare la società. Ilfascismo, il comunismo, il nazionalsocia-

lismo hanno provocato vittime. E anchese quelle a carico del fascismo sono menodi quelle del nazismo (sei milioni di E-brei) e del comunismo (cento milioni diperseguitati) non si può minimamentecredere di mettere la questione su un i-numano e parziale piano di contabilità.Delle discusse tre ideologie se si può sal-vare qualcosa è solo dalle dottrine eco-

nomico-sociali del fascismo e del comuni-smo, separandolo di netto dal violentocontesto storico di provenienza per attin-gerlo dal mondo delle idee. Un’operazionedel genere fu quella da cui nacque il  giu-stizialismo peronista, che rappresentaun’ottima ed eclettica costruzione ideolo-gica, la migliore del ’900. Questa ideolo-gia non è stata condizionata dalla passatae travagliata storia argentina: essa èsempre stata democratica e di  giustiziasociale, potremmo dire di sinistra nazio-

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nale non marxista (qualcuno direbbe didestra sociale, ma in termini di filosofiapolitica classica parlare di destra sociale ècontraddittorio). In Italia non c’è un par-tito simile, malgrado tutto il Partido ju-sticialista poteva forse essere paragonatoad Alleanza nazionale. Le idee nonmuoiono, chi dice questo sostiene unaforma di nichilismo e promuove il disin-

teresse. Nessuna persona civile desiderascontri ideologici come quelli che hannoportato ad atti di terrorismo, ma ognuno

da responsabile vorrebbe unicamente pa-cifici confronti su idee. Una politica senzaideologie che politica è? L’ideologia èl’anima di un sistema. Alla storia  e allastoriografia spetta il difficilissimo ufficiodi mostrare nelle loro pagine e nelle loroimmagini il bene e il male delle esperienzepassate, affinché quest’ultimo non abbiapiù a ripetersi e dell’altro si faccia tesoro

a vantaggio di un futuro migliore perl’umanità. 

1. LA MORALITÀ DELLA POLITICA

e riflessioni sul come dev’essereuna buona o efficiente arte di go-verno risalgono all’antichità classi-

ca e si sono protratte nei secoli sin a oggiin cui il tema è dibattuto ancora dentro efuori dei partiti. Prima di valutare in chemaniera far correttamente una cosa èmeglio definire questo da farsi. Che cos’èla politica? Questa attività è un comples-

so di iniziative pratiche intraprese e ri-volte al benessere di una comunità nellasua interezza, che poggia questa prassi suun sistema di pensiero (filosofia della po-litica). La politica oggigiorno è sotto variaspetti tendenzialmente insana perchéfrequentemente vi predomina la logicaclientelare, la quale ha il precipuo scopodi procacciare voti in cambio di qualcosa.Dunque questa attività per tale versonon ha niente a che vedere con il benecollettivo che anzi danneggia pericolosa-

mente poiché le sperequazioni socialiconducono prima o poi a proteste di mas-sa più o meno violente: esempio eclatanteè stato la Rivoluzione francese. Quandosi parla della fine delle ideologie non sipuò fare a meno di chiedersi su quali basidovrebbe posare la pratica di governo:infatti è rimasto solamente un sostanzialenichilismo a insegnare l’utilità di parte. I

meritevoli non vengono naturalmenteapprezzati se non inseriti in quello sche-ma, che anzi predilige i mediocri in quan-to figure più innocue e controllabili. Lascienza amministrativa ha origine daun’attività intellettuale per tradursi inazione. Se i politici non sono all’altezzanon giovano alla politica né alla gestionedi un ente pubblico. Questo ruolo di con-duzione dovrebbe essere compito di unacategoria disinteressata: le cose vannomale perché la dialettica tra i vari gruppi

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per la conquista democratica del potereporta al clientelismo escludendo sempreuna fetta di società. È paradossale direquesto di una democrazia e sottolineareinvece che un regime diverso mirerebbeall’appoggio della totalità per mantener-si. Il modo in cui la politica affronta iproblemi è da alcune parti malaugurata-mente insufficiente. Lo Stato nasce per

diritto naturale come tutore universaledella società intera la quale gli delega del-le precise mansioni di salvaguardia delbenessere di tutti (singole persone e fami-glie). Una classe politica che agisce inmaniera partigiana rovina lo Stato, unadelle più nobili costruzioni della naturaumana. La degenerazione è causa d’insta-bilità sociale. Il migliore rimedio è quello

indicato da Platone nella Repubblica  lad-dove parla della formazione del gover-nante della cosa pubblica: se lo spazio-della-politica è diventato luogo di contra-sto e di speculazione si deve sostituire ilcontenuto. Questo spazio spetta alla mi-gliore espressione del pensiero umano: laprassi politica deve essere fondata su unafilosofia della materia e sulla conoscenza

della realtà. L’incapacità di governo chenon comprende gli alti fini della politica,che crea sperequazioni e ulteriori disagi,devia verso la logica utilitaristica e pro-duce il clientelismo. In una retta praticadi amministrazione, che si traduce in ser-vizio reale alla collettività, il servizio è

solo conseguenza della rettitudine, non èun fine esplicito se non in presenza di unacattiva politica. Niccolò Machiavelli teo-rizzò la separazione tra morale e politica,ma ciononostante riconosceva al principeaspetti qualitativi che vanno ben oltre lagenerale mediocrità d’oggi.  Con tutti isuoi aspetti moralmente negativi il prin-cipe doveva essere una persona di vaglia.

Nel malessere odierno della politica c’èpoco di principesco (anche machiavelli-camente inteso): la dialettica tra politiciscade anche nel volgare e nell’insignifi-canza, che sono indici del personalismonichilista. Non viene più proposto aglielettori di seguire un’ideologia, bensì unleader o un capo-clientela. E qui l’auten-tica arte del governo è morta. E a capirlo

ci vuole poco, basta un piccolo approfon-dimento: un insieme di individui che e-legge i propri rappresentanti pubblici ve-drà per lo più gli elettori di un eletto fa-voriti nella possibilità di ricevere benefici(che servono a curare la clientela), men-tre tutti gli altri che non hanno un refe-rente vincente rischiano di subire ingiu-stamente l’aumento della pressione tribu-

taria che servirebbe a sovvenzionare i co-sti del clientelismo. Nei partiti soventec’è verbalmente un richiamo all’insegna-mento sociale della Chiesa cattolica, ma èpoco cristiano speculare sui bisogni dellagente per fini che non sono attinenti alleradici su cui si fonda uno Stato.

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2. LA CRISI DEL CAPITALISMOmercati, le attività finanziarie e quel-le produttive attraversano ciclica-mente nel sistema capitalista dei

momenti critici di durata variabile: acca-de che i prezzi aumentino, le vendite di-minuiscano e la disoccupazione aumenti.

Un economista inglese vissuto tra ’700 e’800 riteneva che la causa del disagio incui versasse la schiera dei diseredati risie-desse in loro, nel perpetuare questa geniadi disgraziati, e che i loro mali sarebberoterminati con loro stessi. La modernaglobalizzazione ha allargato pregi e difettidel capitalismo a livello mondiale senzaoperare una generalizzazione del benesse-

re collettivo (che già non era perfetto neipaesi di provenienza). Sembra che la crisiattuale voglia riproporre quel darwinismosociale di Thomas Malthus nel tentativodi provocare la soppressione di tutte quel-le categorie umane che non dispongono dirisorse stabili per sopravvivere. A partiredal “terzo mondo” milioni di individuisoffrono a causa della sperequazione dei

beni prodotti. L’attività umana produt-tiva è alla base del sostentamento, il la-voro ha una funzione centrale. Questafunzione dovrebbe essere quella di pro-durre non mirando alla ricerca di un gua-dagno anche attraverso le cose più inutilio dannose, ma mirando a ottenere i mezziper una quanto meno dignitosa esistenzanell’ottica di contribuire, dall’imprendito-re al lavoratore, alla tutela della prosperi-tà dell’intero insieme civile. Le impreseprivate tengono in piedi l’apparato eco-

nomico-sociale per il fatto che da loroproviene la contribuzione tributaria piùautentica. Il servizio pubblico non sem-pre è pienamente efficiente e a volte è pa-rassitario, produce in alcuni casi meno diquello che dovrebbe o potrebbe: i dipen-

denti pubblici sono retribuiti con soldipresi dalle imprese, e non c’è da stupirsiche poi esista l’evasione fiscale di fronte asprechi e gestioni clientelari della ricchez-za tributaria. Il cattivo servizio pubblicoè l’esempio di inutile e sterile produzionecon spreco di denaro, come inutile produ-zione è quella di imprese che mettono sulmercato prodotti di nessuna utilità, o ad-

dirittura nocivi alla salute umana, conl’induzione a comprarli per una questionedi adeguamento a status-symbol. La logi-ca del profitto crea squilibrio sociale purepoiché la pressione fiscale sulle imprese siripercuote sui loro dipendenti: una mag-giore tassazione equivale a una riduzionedei lavoratori o dei loro stipendi. È chiaroche non tutti i principi del liberismo siano

condivisibili sino ai loro estremi: uno chepersegue il proprio interesse cerca solo ilsuo bene e si serve degli altri con cui è co-stretto a condividere il suo successo eco-nomico (in passato c’erano gli schiavi cuibastava dare il minimo necessario per so-pravvivere); il mercato non è un organi-smo autonomo che si regola da sé, èanch’esso un risultato delle attivitàdell’uomo. Il recupero di un’economia sa-na avrebbe bisogno di riformare il capita-lismo sostituendo nei suoi principi alla

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logica del profitto e degli interessi di par-te la logica dell’utilità collettiva: sanità,trasporti, etc. pubblici e privati trovanocontributori ben disposti. Nessuno èspontaneamente disposto ad acquistareservizi e prodotti scadenti a meno chenon sia raggirato. La legislazione sul la-voro sarebbe migliorata se accogliesse al-tri provvedimenti ispirati a canoni di giu-

stizia sociale per difendere un’equilibratapartizione del benessere globale.a) Il primo sarebbe una legge sul dirittoal lavoro che garantirebbe a ogni nucleofamiliare almeno una fonte di reddito, eche stabilirebbe la distribuzione dei postinel pubblico impiego secondo merito esecondo necessità (abolendo parzialmentei concorsi).

b) Il secondo riguarderebbe la riformadell’impresa privata.  A capo ne rimar-rebbe sempre l’ideatore (che solitamente èanche colui che investe il capitale di ri-schio): una parte dello stipendio dei di-pendenti dovrebbe essere ancorata in per-centuale ai guadagni complessivi: i lavo-ratori contribuiscono all’eventuale fortu-na economica e pare ipotesi naturale la

loro partecipazione ai dividendi così comeil caso del giusto licenziamento.c) Un terzo provvedimento sarebbe di ca-rattere generale e fiscale poiché statui-rebbe il principio di imponibilità nei con-fronti dei soli redditi: si concentrerebbe latassazione unicamente sui guadagni sop-primendo le imposte sulle cose che nonabbiano prodotto denaro.Non conviene allo Stato restare estraneoal gioco economico-finanziario, anzi per icompiti di garanzia che assume è lecito

che ne prenda parte con discreta funzionedi arbitro e di moderatore delle parti qua-lora queste non siano in armonia. Priva-tizzare servizi importanti per migliorarli ècosa contraddittoria: è lo Stato sussidia-rio, non il privato. I pessimi servizi pub-blici andrebbero perfezionati rimuovendotutti i problemi. Non sembra buonosmantellare la macchina statale che fun-

zioni male mutilandola a favore di inte-ressi particolari. Un’economia mista, inun regime di libertà e di controllo, pare lapiù auspicabile. Le partecipazioni statalimirate hanno impedito nei frangenti diprofonda crisi che il sistema andasse inrovina. Il capitalismo senza regole e senzalimiti non ha senso ed è espressione di ir-razionalità: giunge sempre un momento

in cui la produzione e la vendita assumo-no una tendenza al ribasso poiché non sipuò produrre per vendere indefinitamen-te. La massima ambizione del capitalistaè il profitto infinito a discapito di tutto edi tutti. Un’economia che al criterio delprofitto sostituisse quello della sussisten-za del genere umano non produrrebbel’inutile superfluo non commerciabile che

genera le crisi. Il mondo del lavoro intel-lettuale e manuale consente la sopravvi-venza della civiltà: per ottenere meglioquesto fine è possibile lavorare tutti (enon far finta come capita in alcune circo-stanze), lavorare meno pro capite (conacquisizione di maggiore tempo libero),risolvere quindi il problema della disoc-cupazione e avere più ricchezza da redi-stribuire (senza lasciare sacche di disa-gio).

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3. L’EREDITÀ DEL MARXISMOl pensiero filosofico di Karl Marx, svi-luppato nella speculazione politica aopera di Lenin (ne è nato il marxi-

smo-leninismo), dall’Ottocento ha in-fluenzato sotto molteplici aspetti le vi-cende storiche e i modi d’interpretare la

società e la realtà intera. Va innanzituttorilevato che le istanze da cui Marx partìerano valide: il disumano maltrattamen-to capitalistico della classe proletaria fuun fenomeno che non poteva rimaneresottaciuto dalla filosofia. La sua denun-zia e la sua analisi  –  per vari tratti  –  nonfanno una grinza nell’evidenziare quelleproblematiche. Quello che la storia ha

condannato è il sistema di rimedi teorici epratici del comunismo. Voler ribaltare ilsistema capitalista con il suo opposto si-gnifica sostituire un problema con un al-tro: da un eccesso in un verso si passaall’altro di segno opposto. E tutto ciò ascapito della libertà: niente proprietàprivata (solo il “possesso” dell’essenzia-le), niente imprese (lo Stato si occupa di

tutto). Se questo non è accettabile dallaragione, lo è soprattutto in quell’ottica incui Marx prevedeva che allo Stato socia-lista dovessero seguire la sua scomparsa el’instaurazione di un’anarchica comu-nanza universale (stadio evolutivo  –  det-to “comunismo” –  mai realizzatosi, in cuila famiglia non sarebbe esistita e le donnesarebbero state in comune). È inoltrecontraddittorio che Lenin avesse riserva-to la guida del suddetto rovesciamentosociale a un’elite di borghesi illuminati,

ed è per niente lecito che questo sia di na-tura dichiaratamente violenta. La ditta-tura del proletariato nelle mani di chiproletario non è non ha molto senso: ilproletariato sarebbe interpretato in rap-porto a una dottrina, ma non sarebbe li-

bero di esprimersi (del resto si troverebbesotto una dittatura). «TUTTI GLI A-NIMALI SONO UGUALI / MA ALCU-NI SONO PIÙ UGUALI DI ALTRI»,così nelle ultime pagine de “La fattoriadegli animali (1945)” di George Orwelluna norma esprime il punto di arrivo diquell’allegorica società innovatrice, spec-chio del comunismo sovietico. Il diritto di

natura non gradisce un modello stataledel genere perché è innaturale privare gliuomini senza una giusta motivazione del-le personali libertà e perché questo Statonascerebbe su radici inadeguate (gli uo-mini si consorziano in modo incruento espontaneo in vista di un fine di equilibra-to benessere collettivo). In ambito socia-lista, nonostante l’ateismo e l’anticlerica-

lismo, è migliore il pensiero di RobertOwen fautore nell’Ottocento di cambia-menti nelle condizioni dei lavoratori enon di sanguinosi rivolgimenti (poi nel1917 i comunisti in Russia andarono alpotere attraverso un colpo di Stato e nonper mezzo di una propria rivoluzione). Alcongresso dei laburisti inglesi del 1923l’economista Sidney James Webb sotto-lineò che «il fondatore del socialismo in-glese non è stato Karl Marx, ma RobertOwen e che Robert Owen non predicava

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la lotta di classe, ma la dottrina della fra-tellanza umana». Per quanto la parteschiettamente politica del marxismo-leninismo sia di tipo totalitaristico e pre-scrittivo (pensiamo al materialismo eall’ateismo di Stato che sposa) d’altro la-to nel settore dell’analisi della condizionelavorativa  –   come nelle considerazionisociologiche sulla strumentalizzazione

della credulità religiosa popolare  –   KarlMarx è stato più condivisibile. La dottri-na del plusvalore non ha perso efficacia,benché questa sia stata elaborata in vistadell’unica circostanza di successo dell’im-presa: Marx non ha tenuto conto del ri-schio d’impresa da parte dell’imprendito-re e del fatto che se costui fosse fallito isuoi dipendenti avrebbero perso il posto

di lavoro. È vero che un datore di lavorodei suoi tempi pagando a un prestatored’opera la sua semplice stentata soprav-vivenza grazie al resto del guadagno sipoteva arricchire: questa differenza è ilplusvalore a cui il lavoratore concorrevain maniera inconsapevole a causa diun’alienazione soggettiva del proprio o-perato la quale lo poneva al di fuori della

coscienza produttiva. La situazione ainostri giorni è del tutto cambiata nei Pa-esi moderni: ci sono gli assegni familiari ei versamenti dei contributi pensionisticiassieme a salari onesti equilibranti quelplusvalore incamerato dall’imprenditore.Anche in relazione a questo tema, ecce-zion fatta davanti allo sfruttamento dimanodopera nei Paesi poveri, arretrati esottosviluppati, il marxismo è perlopiùparziale perché i tempi sono mutati. Ri-sulta pure poco facile comprendere coloro

che, di sinistra marxista, sono contrarialla globalizzazione e non attuano un ap-proccio diverso a essa: per Marx questasarebbe stata il preludio della rivoluzioneuniversale dei lavoratori. Il problema nonè la globalizzazione in sé, è rappresentatoinvece da quei casi in cui il plusvalore dicui parlava è un abuso ancora reale (unsuo discutibile giudizio definisce «im-

mondizia dei popoli» tutti quelli che nonhanno raggiunto uno stadio capitalistico,ritenuti quindi da eliminare a vantaggiodegli altri). La Chiesa cattolica ha presta-to attenzione  –   con iniziale ritardo suitempi  –   all’incidenza dei cambiamentieconomici sulla società, basti ricordare leencicliche sociali, mantenendo una posi-zione di equilibrio tra le due formule del

capitalismo e del socialismo, equilibrioche media le esigenze di libera iniziativa edi solidarietà comune (san Francescod’Assisi ricordò col caritatevole esempiola funzione naturale della proprietà pri-vata come strumento di sostegno al be-nessere comune, fino al punto di rinun-ciarvi allorquando questa rinnega il pro-getto di cui Dio ha reso l’uomo artefice e

diviene fonte di smisurato arricchimentodi pochi). È lontana ormai l’epoca delloscontro fra cattolici e comunisti, la“guerra fredda” è finita e l’URSS è cadu-ta da sola per motivi endogeni fra moltecontraddizioni. Tra queste: i nazisti pre-sero a modello attuando le loro persecu-zioni, l’allestimento di campi di concen-tramento e l’addestramento di repartil’Unione Sovietica di Stalin; il singolosterminio comunista degli Ucraini  (“holo-domor”, che vuol dire genocidio: 7 milio-

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ni di morti causati da inedia nella primametà degli anni ’30) supera nel numero labarbarie della Shoah; i Sovietici instaura-rono un rapporto di collaborazione coiTedeschi durato sino al giugno 1941 checontemplò coi futuri nemici la spartizionedella Polonia, l’occupazione da parte diMosca di Lituania, Lettonia, Estonia e diterritori finlandesi e romeni, e per di più

la riconsegna di Ebrei profughi ai nazistie la fornitura a questi di aiuti militari ealimentari. Oggi sono sopravvissuti i par-titi politici che si richiamano a Marx: unaparte di essi ha abbandonato il pro-gramma rivoluzionario e mantenutol’ideologia di giustizia sociale. Il comuni-smo nel ’900 ha però provocato circa 100milioni di morti a livello mondiale laddo-

ve ha operato: il suo schema politico to-talitario, fondato sul materialismo (“sto-rico” –  in base a cui le vicende umane sa-rebbero lotta di classe  –   e “dialettico”),non è storicamente riproponibile (Anto-nio Gramsci introdusse nel contesto dellariflessione marxista un’alternativa –   dalcarattere spiritualista  –   all’idea di storiacome lotta di classe, secondo la quale sa-

rebbe invece dialettica di ideologie). Si de-ve far tesoro di quest’esperienza (perchénon si ripeta, custodendo i positivi aspet-ti delle analisi marxiane) poiché malgra-do le soluzioni proposte fossero peggioridei problemi su cui intervenire questistessi non furono un’invenzione del mar-xismo.

4. LA FABBRICA DEL MALEl nazionalsocialismo è stato nella sto-ria dell’umanità tra le peggiori ideo-logie che hanno ispirato e provocato

comportamenti la cui portata talmentenegativa le qualifica come ideologie delmale. Sarebbe bastato il solo programmapolitico nazista, esposto da Adolf Hitlernel suo libro “Mein kampf ” (La mia bat-taglia), per esprimere un tale giudizio aldi là dell’esperienza storica della Germa-nia hitleriana dal 1933 al 1945. Le radicidel nazismo si trovavano in aspetti delpatrimonio culturale tedesco senza lequali il suo attecchimento e il suo svilup-po sarebbero stati più difficili. L’antise-

mitismo, il pangermanismo e l’avversio-ne alla democrazia, che lo connotarono inmaniera peculiare, avevano illustri pre-

cedenti da Lutero al Romanticismo tede-sco fino a Friedrich Nietzsche. Questo,miscuglio sovrappostosi alla sconfittadella Germania nella Grande guerra, creòla base su cui i nazisti avrebbero costrui-to la via per l’instaurazione di uno Statototalitario. Nel cammino verso il governocostoro specularono sulle disgrazie deiTedeschi nel dopoguerra: l’instabilità so-cioeconomica garantì il considerevole ap-poggio dei capitalisti, che durante la dit-tatura ebbero a disposizione lavoratori

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privati dei loro diritti di categoria e to-talmente asserviti ai piani di rilancio e-conomico e di riarmo (ciò comportò lanetta riduzione del tasso di disoccupazio-ne e produsse un effetto di tolleranza daparte del proletariato nei riguardi del re-gime; il nazionalsocialismo ripristinò lamedievale ereditarietà delle professioni, einventò anche un servizio civile per i gio-

vani di entrambi i sessi, un anno di lavo-ro obbligatorio che servì d’altro canto alivellare le differenze sociali e che gli atti-rò un’ulteriore acquiescenza); prima delladittatura la sinistra del partito che por-tava avanti punti programmatici sociali-sti intercettò e convogliò il malcontentodelle masse (nel 1934 i rivoluzionari nazi-sti  furono eliminati fisicamente: Hitler

preferì l’intesa interna col capitale e conl’esercito in cambio della presidenza dellarepubblica, che così si univa in lui al ran-go di capo del governo). Il socialismo delnazionalsocialismo  esistette come letteramorta solo sulla carta. Nel 1933-45 i Te-deschi furono privati dei diritti più ele-mentari in una normale democrazia. Tut-to (informazione, educazione, gestione

dell’economia, governo della cosa pubbli-ca, etc.) era in mano ai nazisti: l’ammini-strazione della giustizia e le forze dell’or-dine divennero lo strumento del controllosociale e della soppressione degli opposi-tori. A questa azione repressiva si ag-giungeva la produzione del consenso edell’indottrinamento condotta attraversoistituzioni di partito e pubbliche. Tutti, aseconda dei casi, erano inquadrati nel si-stema nazificato, non vi era spazio per ildissenso. Le cosiddette leggi di Norimber-

 ga  (1935) diedero primo corpo al pro-gramma antisemita: gli Ebrei tedeschifurono emarginati dalla società al paridegli Iloti sotto gli Spartani, e l’interaGermania sembrò somigliare moltissimoall’antica Sparta. L’irrazionale concettodella superiorità razziale ariana (e in par-ticolare dei nordici germanici) spinsebarbaramente i nazisti durante il secondo

conflitto mondiale all’uccisione nei campidi concentramento di sei milioni di Ebrei.Nessuna forma di pensiero poteva e potràmai giustificare una tale azione immoti-vata di odio e di morte che resta durevolenella storia a severissimo monito con lasua condanna irrevocabile verso i respon-sabili. Il nazionalsocialismo ebbe i suoicardini nell’idea di una grande Germania

(che si espandesse nell’est europeo)  e inquesto sentimento di antisemitismo. Lasinistra del partito non ebbe mai vita fa-cile e finì con lo scomparire negli anni digoverno. Per una serie di motivazioni,sotto il profilo delle idee, non è correttoaccostare il fascismo italiano al nazismonel cosiddetto nazifascismo, un ibrido chenon può facilmente assurgere a categoria

politico-filosofica, mentre è più giustoparlare di alleanza politico-militare traItalia e Germania. È vero che in Italiafurono emanate  –  con l’approvazione delre Vittorio Emanuele III  –  nel 1938 leggirazziali, ma furono lo sciagurato e pro-fondamente ingiustificato frutto di uninnaturale allineamento dell’ideologiafascista. Il fascismo ebbe in sé dannosidiversi difetti, tuttavia l’antisemitismocome connotato ideologico lo prese dalnazismo (compiendo uno dei più tragici e

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significativi suoi errori) e non da una suacorrente interna preponderante. Il chenon lo solleva da colpe, però chiarisce ladinamica della storia. Il fascismo coltiva-va il suo socialismo spiritualista, e si scon-trò col capitalismo italiano (le vicendedella Repubblica sociale italiana  lo dimo-strarono), le sue leggi razziali non aveva-no l’intensità di quelle tedesche, e inoltre

nonostante gli altalenanti rapporti con laChiesa cattolica (che va detto soddisfecein parecchio: dai Patti lateranensi  allaconcessione di alcuni privilegi) mai pro-gettò invece come il nazismo di ritornareal paganesimo (nel 1933 la Santa sede e ilgoverno di Hitler avevano stipulato unconcordato). Il legame tra Italia fascistae Germania nazista nacque in un contesto

di politica estera. Dopo la conquista ita-liana dell’Abissinia nella seconda guerrad’Etiopia (1935-36) Inghilterra e Francia,precedenti alleate nella Grande guerra, sierano schierate contro l’Italia, la Germa-nia no. Hitler era ammiratore di Mussoli-ni (il contrario non era vero) e fece inmodo di avvicinarglisi: la strada della di-struzione era spianata perché il fascismo

per non restare isolato all’estero si legòmalauguratamente ai nazisti. In Germa-nia i campi di concentramento per gli op-positori esistevano già prima del secondoconflitto mondiale, in Italia c’era il con-fino che, seppur parimenti inaccettabile,era molto diverso. L’amicizia tedescaprovocò l’involuzione del fascismo, la suaentrata in guerra contro le potenze demo-cratiche occidentali (da cui si era allonta-nato definitivamente) e la mancata pos-sibile sua futura e incruenta evoluzione

verso la democrazia (similmente al fran-chismo). L’opera socio-politica fascistadel periodo prebellico  –   sempre non di-menticando che era una dittatura anti-democratica  –   non è paragonabile nellospirito alla difesa degli interessi del capi-tale praticata dai nazisti né alla completae radicale restrizione delle libertà attuatada questi ultimi e altrove da regimi ditta-

toriali comunisti o conservatori: in Italiac’erano la Chiesa e la monarchia sabaudache mantenevano propri spazi d’azione.Sul fascismo pesano le vittime e le rovinedell’ultima guerra e lo sviamento nazistacon l’Olocausto  in modo incancellabile,unitamente alla sua originaria vocazioneantidemocratica e all’uso della violenzainterna nel suo primo frangente: queste

sono le maggiori affinità con il nazional-socialismo rispetto a cui ebbe genesi e vi-ta diverse fino al connubio (Mussoliniguidava il governo italiano già dalla finedel 1922 e manifestò l’intenzione di alle-arsi con i Tedeschi solo dopo la svoltadella metà degli anni ’30). L’intellettualeitaliano genuinamente più incline al raz-zismo, il filosofo Julius Evola, parados-

salmente fu mal visto dai nazisti a causadi divergenze d’impostazione teorica etenuto ai margini dai fascisti che gli pre-ferivano il neohegeliano Giovanni Genti-le. Nella seconda metà del Novecento,sebbene la memoria della Shoah  fosse vi-va e presente come oggi ma più vicinaagli eventi, gli Occidentali mantenneromentalità discriminatorie verso i rappre-sentanti di altre etnie e specialmente neiconfronti dei neri. I casi degli USA e delSudafrica sono tra quelli emblematici: in

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Sudafrica i bianchi instaurarono un go-verno segregazionista, durato dal 1948 al1990, non dissimile da quello nazista, e

negli Stati Uniti il Ku Klux Klan e gliassassini di leaders neri sono storia anco-ra recente.

DAI PUNTI DEL PROGRAMMA DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA (1920)

1  - Noi chiediamo la costituzione di unaGrande Germania che riunisca tutti i Tede-schi, sulla base del diritto all’autodeter -minazione dei popoli.3 - Noi chiediamo terra e colonie per nutri-re il nostro popolo e per collocare l’eccesso

di popolazione.4 - Cittadino può essere soltanto chi è con-nazionale.

Può essere connazionale solo chi è di san- gue tedesco, senza riguardo alla confessionereligiosa. Nessun Ebreo può quindi essereconnazionale.5  - Chi non è cittadino può vivere in Ger-mania solo come ospite e deve sottostare allalegislazione per gli stranieri.6  - Il diritto di determinare l’orientamento

e le leggi dello Stato è riservato ai soli citta-dini. […] 7  - Noi chiediamo che lo Stato si impegniad assicurare a tutti i cittadini i mezzi pervivere. Se questo paese non può garantire ilsostentamento a tutta la popolazione, chinon è cittadino dovrà essere espulso dalReich.8 - Bisogna impedire ogni nuova immigra-zione di non Tedeschi. […] 10 - Primo dovere di ogni cittadino è il la-voro, fisico o intellettuale. L’attività del

singolo non deve nuocere agli interessi della

collettività, ma inserirsi nel quadro di que-sta e per il bene comune. Per questo noichiediamo:11 - La soppressione del reddito di chi nonlavora e non fatica, la soppressione dellaschiavitù dell’interesse. 13 - Noi chiediamo la nazionalizzazione ditutti i gruppi esistenti d’imprese che eserci-tano un monopolio.

14  - Una partecipazione agli utili nelle grandi imprese.16 - Noi chiediamo la creazione e la prote-zione di un sano ceto medio, che i grandimagazzini vengano immediatamente affi-dati alle amministrazioni comunali e chesiano affittati a poco prezzo ai piccolicommercianti. La priorità deve essere ac-cordata ai piccoli commercianti e indu-

striali per tutte le forniture allo Stato, alleregioni o ai comuni.17  - Noi chiediamo una riforma agrariaadatta ai nostri bisogni nazionali, la pro-mulgazione di una Legge che permettal’es proprio, senza indennizzo, del suolo per fini di utilità pubblica, la soppressionedell’interesse fondiario e il blocco di ogni

speculazione fondiaria.18 - Noi chiediamo una lotta senza treguacontro coloro che con la loro attività noccio-no all’interesse pubblico. […] 

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19  - Noi chiediamo che un diritto comunetedesco sostituisca il diritto romano che è alservizio dell’ordinamento materialistico delmondo.20  - L’estensione del nostro sistema scola-stico deve permettere a tutti i Tedeschi dota-ti e attivi di accedere a una educazione su- periore e con questa a posti direttivi. […]

Lo spirito nazionale deve essere inculcato

nella scuola fin dall’età della r a gione. […] 21 - Lo Stato deve provvedere a migliorarela salute pubblica, proteggendo la madre eil fanciullo, proibendo il lavoro dei fanciul-li, introducendo mezzi atti a sviluppare leattitudini fisiche mediante l’obbligo di pr a-ticare lo sport e la ginnastica e mediante un forte sostegno a tutte le associazioni che sioccupano dell’educazione fisica della gio-

ventù.23 - Noi chiediamo la lotta legale contro lamenzogna politica cosciente e la sua diffu-sione a mezzo della stampa. […] I giornali che contrastano con l’interesse

 pubblico devono essere vietati. Noi chie-diamo che la legge combatta l’insegnamento

letterario e artistico che esercita un’influen-

za disgregatrice sulla nostra vita nazionale,e la soppressione delle organizzazioni checontravvengono alle disposizioni sopra e-sposte.24  - Noi chiediamo la libertà nell’ambito

dello Stato per tutte le confessioni religiose,nella misura in cui esse non mettano in pericolo la sua esistenza o non offendano ilsentimento morale della razza germanica.

Il partito, come tale, difende la concezionedi un Cristianesimo positivo, ma non silega a una confessione specifica. Esso com-batte lo spirito giudaico-materialistaall’interno e all’esterno ed è convinto che unrisanamento duraturo del nostro popolonon può avvenire che dall’interno, sulla

base del principio: l’interesse generale pr e-vale su quello particolare.

25  - Per realizzare tutto questo, noi chie-diamo la creazione di un potere centrale forte, l’autorità assoluta del comitato politi-co su tutto il Reich e sui suoi organismi einoltre la creazione di camere professionalie di uffici municipali incaricati di attuarenei vari Laender le leggi generali promul- gate dal Reich. […] 

5.1. LA DEMOCRAZIA CORPORATIVAl criterio della rappresentanza parla-mentare corporativa (cioè per sezionidella società) fu uno dei cavalli di

battaglia del vecchio Movimento socialeitaliano, un modello che era stato eredita-to dalla parte concettualmente salvabiledell’ideologia fascista. Sebbene il corpo-

rativismo si porti appresso la tara del fa-scismo non fu questo a introdurlo nellastoria delle idee: il primo corporativista èstato Platone. Nella “Repubblica” la tri-partizione del popolo in  governanti  –  di- fensori  –  produttori  risponde all’esigenzadi porre ogni essere umano in virtù delle

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sue capacità, e non in seguito a privilegidi nascita o di raccomandazione, nellacategoria migliore corrispondente alle sueattitudini e agli interessi collettivi. APlatone era ancora estraneo il concetto di persona, ragione per la quale la sua con-cezione di Stato (etico) è involontaria-mente molto simile a quella gentiliano-fascista (il cittadino in funzione dello

Stato). Il  filosofo ateniese  venne inseritonella critica dei sistemi totalitari condot-ta da Karl Popper (da ricordare che Pla-tone legittimava anche la schiavitù  –  di-fetto comune a tutta l’antichità – , i cuirappresentanti erano in fin dei conti unaquarta categoria di servi). Questa idea didare a ognuno il ruolo giusto ricomparirànella teoria attrattiva del lavoro di Charles 

Fourier. I limiti della “Repubblica” pla-tonica, che prospettava pure programmieugenetici di ascendenza spartana, mache a posteriori rievocano molto quellinazisti, sono da collocare e conoscere nel-la loro dimensione storica (sempre noncondividendoli). Non perché il corporati-vismo è stato riproposto e riattualizzatodal fascismo dovrebbe essere oggetto di

abominio: preso per sé è un’ipotesi dirappresentanza con una sua dignità.L’opportunità di un’assemblea legislativacorporativa può essere giudicata diver-samente se ripresentata correttamente.Ai tempi del fascismo, prima dell’istitu-zione della Camera dei fasci e delle corpo-razioni, l’esistenza del partito unico e del-la lista bloccata di tutti i deputati (sotto-posta a referendum) era stata accompa-gnata dal calo (di circa 1/5) dell’elettorato.Se il liberalismo inglese sosteneva no ta-

xation without representation (nessuna im-posizione di tasse a coloro che non godo-no del diritto di voto, per cui ci sia il suf-fragio popolare), il fascismo invertì i ter-mini, pur rimanendo sulla stessa lineaconcettuale: no representation  without ta-xation (nessuna facoltà di voto a chi haredditi più bassi e che non contribuisce albilancio pubblico significativamente).

Questa procedura fascista riflette inqualche modo il pensiero di John Stuart Mill di rendere lecita singolarmente laformulazione di più voti ai cittadini ca-paci di valutare le scelte politiche: il fa-scismo intervenne per difetto. Mantenneil meccanismo di un voto pro capite, peròcosì facendo lo tolse a coloro strumenta-lizzabili più vicini disgraziatamente a ca-

renze di acculturazione (il Senato rimane-va di nomina regia, mentre venne ridottoil numero dei deputati allora non stipen-diati). Ancor prima, alla fine del ’25, uni-camente per le elezioni amministrative,era stato introdotto il suffragio femminileche durò sino all’abolizione dei consiglielettivi (10 mesi per le comunali, 32 per leprovinciali). Tutto ciò è modernamente

inaccettabile e contraddittorio, qualun-que siano le sue derivazioni prossime olontane: la sovranità risiede nel popo-lo indistintamente nei suoi cittadinidi ambo i sessi che abbiano compiutola maggiore età, lo Stato deve garan-tire a tutti l’informazione e l’istruzio-ne adatte a poter esprimere delle de-cisioni mature nelle libere e pluraliconsultazioni elettorali. Una democra-zia esclusivamente corporativa è da re-spingere poiché esclude il ruolo dei partiti

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politici come mediatori ideologici e stru-menti del pluralismo, e la dialettica sisposta a un piano sconosciuto. Unoschema misto bicamerale (la normalecamera dei partiti e la camera delle cor-porazioni, con specificazione delle rispet-tive attribuzioni) sarebbe per la propostacorporativista soluzione migliore e piùequilibrata. Oggigiorno, con compiti con-

sultivi e progettuali, presso gli enti localiesistono particolari consulte e consigli va-ri che non sono nient’altro che organicorporativi. Dare a una camera delle cor- porazioni  la possibilità di approvare inprima lettura i suoi disegni di legge, chenecessiterebbero di un successivo passag-gio alla camera dei deputati (per il dibatti-to, eventuali emendamenti, il giudizio

finale), non equivale a menomare o im-pedire la democrazia. Un problema è sta-bilire i parlamentari corporativi: chi,quanti, come e perché. Per quest’ultimonodo che si lega all’arbitrio di veduta ap-pare preferibile che siano i partiti stessi,nella democrazia classica, a dar spazio alproprio interno e nelle candidature arappresentanti delle varie categorie socia-

li e sindacali in modo più concreto e pro-ficuo di quanto accada. Tuttavia i settoripiù generali della società sembrano esserequesti: 1) casalinghe, 2) studenti, 3) disoc-cupati, 4)  pensionati, 5) lavoratori e datoridi lavoro, 6) operatori di culto. Il numerodi seggi nella loro camera potrebbe essereper ciascuno nel complesso proporzionalea quello degli iscritti (ogni cittadino ver-rebbe inserito nella corporazione dellasua posizione attuale principale), il tuttodovrebbe essere aggiornato in vista del

rinnovo. Tutte le organizzazioni che ab-biano avuto riconoscimento pubblico inrelazione a una corporazione (o le loroaggregazioni) potrebbero concorrere allasua rappresentanza. Ogni iscritto sarebbechiamato a votare. La cornice statale diun simile esperimento non dovrebbe na-turalmente essere a imitazione del model-lo hegeliano-fascista: ci vorrebbe comun-

que uno Stato etico, ma di una eticità di-versa, in funzione del cittadino; dunqueuno Stato laico, garante di libertà e digiustizia sociale, al servizio della personae della collettività a protezione dei qualiesiste (e non viceversa). Occorre dire percorrettezza storiografica che il governofascista accanto ai suoi gravissimi limitistorici e ideologici da condannare  –   una

gamma che va dall’uso della violenza edai dichiarati propositi antidemocraticiall’adesione all’antiebraismo e alle impre-se militari  –  si sforzò in campo nazionalee coloniale di migliorare le condizioni divita materiale e di combattere le spere-quazioni prodotte dal capitalismo (convarie opere pubbliche; istituzioni perl’assistenza sociale e il sostegno all’econo-

mia: IRI, IMI, INPS, INAIL, etc.; prov-vedimenti normativi: leggi sull’orario dilavoro ridotto a 8 ore quotidiane e a 40settimanali con la domenica e un altrogiorno di pausa, esenzioni tributarie allefamiglie numerose, assicurazione controla disoccupazione, etc.) raggiungendo deirisultati i quali meritano studio formalepiù attento che iniziale riprovazioned’insieme. Quale tipo di funzionamento edi suddivisione possa avere nel suo senola Camera delle corporazioni è difficile sta-

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bilirlo per il fatto che questi parlamentarinon proverrebbero da partiti: i rischi so-no quelli del radicalismo delle provenien-ze settoriali, che impedirebbe un produt-tivo svolgimento dei lavori, e di unaframmentazione dell’azione propositiva ecostruttiva, con risultanti confusione eimproduttività. Tutti i possibili inconve-

nienti sollecitano un ripensamento delprogetto di un’assemblea legislativa dinatura corporativa, e suggeriscono dimantenere l’ambito di semplici e specificiorgani rappresentativi al livello degli entilocali e il loro ruolo a quello consultivo-propositivo.

5.2. L’“UTOPIA” DELLA RSI egli affari di Stato il tentativo dicogliere l’opportunità al volo aprescindere da considerazioni di

carattere ideologico e morale è un tenta-

tivo che non sempre ha successo e nonsempre paga. Questo è stato il fondamen-tale errore dell’Italia fascista alla fine de-gli anni ’30: l’avvicinamento, pure sul pi-ano della condotta, alla Germania nazistaè equivalso a un’alleanza con una ideolo- gia del male. Con l’emanazione delle leggirazziali (1938) il fascismo si è deteriorato,e da movimento che aveva ottenuto la

simpatia e l’appoggio delle masse, percompiacenza verso i nazisti, introdusse inItalia norme inaccettabili e si legò a unalleato che lo avrebbe portato alla rovina.La tardiva partecipazione all’ultimo con-flitto mondiale, dieci mesi dopo il suo ini-zio, è la riprova di voler stare dalla partedei potenziali vincitori (i Tedeschi) neltimore inoltre che questi dopo aver scon-fitto Francia e Inghilterra non avesserodifficoltà a prendere di mira in un secon-do momento anche l’Italia che era stata a

guardare. Una strategia politica guidataquasi esclusivamente da opportunismopuò portare al disastro e alla sconfitta,come è effettivamente successo. L’allean-

za tra Germania nazista e Italia fascistaera un’alleanza di politica estera: il nazi-smo e il fascismo non avevano ideologiemolto simili, e anzi i fascisti  –  che non e-rano stati antisemiti fino al ’38, né tantomeno paganeggianti  –  non avevano vistodi buon occhio l’emergente nazismo (ilcancelliere austriaco filofascista Dollfussera stato ucciso da terroristi nazisti, e

Mussolini in un discorso pubblico avevaricordato che le popolazioni germanichevivevano in uno stato barbarico quando aRoma antica c’erano Augusto e Virgilio).L’avvicinamento tra i due movimentiavvenne dopo la seconda guerra d’Etiopia

(1935-36), durante la quale l’Inghilterrafu tra coloro che votarono alla Società del-le nazioni  le sanzioni contro l’Italia perl’impresa di conquista, ma gli Inglesi die-tro la cessione dei diritti sui pozzi petroli-feri dell’AGIP in Iraq f ecero passare le

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navi di rifornimento italiane dal Canaledi Suez: fu quest’atteggiamento di ambi-guità a spingere nel contesto politico este-ro l’Italia verso la Germania  e ad allon-tanarla dai compagni della vittoria cosid-detta mutilata  nella prima guerra mon-diale. Un’ipotesi vorrebbe l’ingresso inguerra degli Italiani sollecitata da Chur-chill, perché paventava in caso di sconfit-

ta di trovarsi a disagio davanti alla solaGermania vincitrice, mentre il governoitaliano, anch’esso in prospettiva futuratra i vincitori, avrebbe potuto moderarele pretese dei nazisti e l’urto della sconfit-ta: qui però si entra in un campo che ri-guarda il famoso carteggio Churchill-Mussolini, e non è possibile fondare ungiudizio storico inoppugnabile. In parole

povere quando il buon senso negli annidella guerra consigliava di non schierarsicon la Germania (come fu fatto per quasiun anno) tutto finì per congiurare a favo-re di una partecipazione militare che conl’allargamento delle ostilità a livellomondiale non sembrò più foriera di vitto-ria. Non fu però solo la Germania a sca-tenare lo scoppio della guerra in Europa:

bisogna ricordare che con il  patto Ribben-trop-Molotov Tedeschi e Russi si erano di-visi la Polonia, per la cui difesa Inghilter-ra e Francia dichiararono guerra allaGermania; perché non anche all’URSScon cui anzi si allearono dopo che questafu attaccata nel ’41? Anche l’Unione so-vietica ha delle responsabilità per la con-divisione dei piani espansionistici tede-schi: perché l’URSS non difese la Polo-nia? L’Italia dal canto suo sbagliò ad al-linearsi con chi sembrava più forte, a-

vrebbe dovuto invece difendersi allorchéfosse stata attaccata da chiunque. Laguerra, come tutte le guerre, fu tragicasino alla caduta del fascismo, ma quelloche accadde dopo fu ancora più tragico eluttuoso. Dopo il 25 luglio 1943 quelloche accadde è frutto dell’operato del nuo-vo governo che firmò l’armistizio. Un go-verno diverso per il dopo Mussolini, come

era negli accordi tra monarchia e dissi-denti fascisti guidati dal filoinglese Gran-di, formato da fascisti, tecnici e politici dialtre forze, si sarebbe fatto trovare moltoprobabilmente più preparato. L’esistenzastorica della Repubblica sociale italiana  èignorata da molti, e tra quelli che ne san-no la considerazione è quasi esclusiva-mente quella di uno Stato fantoccio al

servizio dei Tedeschi occupatori: questa èuna parte della verità, la verità sostanzia-le, a volte mal inquadrata nella dinamicadegli eventi. Gli antefatti che vanno dal25 luglio all’8 settembre 1943 hanno in séle radici che spiegano i due anni di storiasuccessiva fino al 25 aprile 1945, una sto-ria che viene vista, come giusto dato ac-quisito, di liberazione dall’invasore nazi-

sta e di parziale guerra civile (dopol’armistizio con gli Alleati un’invasionetedesca in Italia ci sarebbe stata quasicertamente comunque). Mussolini fu ar-restato subito dopo essersi dimesso da ca-po del governo, la monarchia progettavada prima una congiura e non compreseche l’arresto di un Mussolini dimissiona-rio avrebbe peggiorato la situazione: ilduce era uscito dalla scena politica spon-taneamente, bastava organizzare sola-mente il previsto governo. Ma anche qui

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la monarchia si comportò inadeguata-mente: provocò la caduta completa delregime con cui aveva coabitato per unventennio, non rispettò l’accordo, e tuttofinì d’un colpo allo sbando. Il nuovo go-verno Badoglio non seppe organizzaretempestivamente nulla se non la fuga conil re. Non esisteva alcun progetto di dife-sa da una prevedibile invasione tedesca.

Se il re fosse rimasto a Roma con un altrogoverno più premuroso e più cauto, cheavesse mantenuto soprattutto l’unità na-zionale, è possibile che i Tedeschi non an-dassero più a sud della Pianura Padana eche nel giro di pochi mesi, con il sostegnodegli Alleati, fossero ricacciati al di là del-le Alpi. Non ci sarebbe stata la Repubblicasociale italiana  –  canto del cigno del fasci-

smo  – , non ci sarebbe stata la legittimaguerra partigiana, molti di meno sarebbe-ro stati gli Italiani catturati dai Tedeschi.Di un’altra storia si sarebbe parlato oggi,una storia che non avrebbe avuto né vin-citori né vinti, né odi né rancori che sonoperdurati per decenni, per chi costretto ascegliere si trovò a stare da una parte odall’altra. Dopo l’8 settembre i nazisti

invasori avevano in mente uno Stato fan-toccio alla “Vichy”: era papabile per lasua guida Roberto Farinacci, fascista fi-lonazista, però dopo che i Tedeschi libera-rono dalla prigionia Mussolini e lo ebberoin pugno quest’ultimo non si poté tirareindietro. Non si guarda il lato ideale diquella repubblica, obiettivamente contutti i suoi aspetti negativi, per un’analisistoriografica più articolata, perché è so-praffatto da un insopprimibile peso. I latipiù negativi della RSI consistono nella

prosecuzione della guerra accanto all’alle-ato precedente (con tutte le sue conse-guenze) e nel mantenimento delle leggirazziali. Se il distacco dall’alleanza ger-manica fosse stato meno «ignobile» (comelo definisce l’inno della Xma MAS) il sensodell’onore e della coerenza, pur fuori luo-go e mal giustificato, forse non avrebbespinto molti fascisti a ritornare a sbaglia-

re: in aggiunta alla caduta del regime ilgoverno Badoglio dopo un mese e mezzodi continuazione nel conflitto, tenendoall’oscuro i Tedeschi dei suoi propositi,firmò l’armistizio. Esistevano modi piùdignitosi e meno traumatici per uscire dauna guerra in cui assolutamente l’Italianon doveva entrare come promotrice ac-canto ai nazisti. Il percorso ideologico

dell’ultimo fascismo monarchico fu carat-terizzato dall’indelebile e gravissima re-sponsabilità nell’adozione di provvedi-menti discriminatori verso gli Ebrei se-guendo il pessimo e tragico esempio nazi-sta. Bisogna ricordare che l’antisemitismomoderno ebbe una gestazione religiosache ne assecondò la diffusione, tant’è chenel caso fascista si accennava a richiami

di norme antisemite emanate in alcuniconcili (quello Lateranense del 1215,quello di Bezieres del 1246 e quello di Or-leans del 1553), e che tra le varie persona-lità di spicco a mostrare plauso per le leg-gi razziali italiane ci furono, per farequalche significativo esempio, RomoloMurri, Luigi Gedda, Amintore Fanfani,Pietro Badoglio e Giovanni Guareschi.Addirittura l’espressione «oremus properfidis Iudaeis (preghiamo per i perfidiEbrei)» scomparirà dalla liturgia cattoli-

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ca anni dopo l’Olocausto con il ConcilioVaticano II (1962-65). Durante il periododella Repubblica sociale  fascisti e nazistinon andarono perfettamente d’accordo: iTedeschi allargando i propri confini eranoarrivati fino all’Adriatico  e un canto fa-scista recitava: «guai a chi dal Brennero ilcippo sposterà»; inoltre i nazisti non gra-divano lo spostamento a sinistra della po-

litica sociale di Salò (lo Stato stava perchiamarsi REPUBBLICA SOCIALISTAITALIANA).Il fascismo repubblicano si riallacciò alleproprie origini del primo dopoguerramondiale (il sansepolcrismo). Il filosofoGiovanni Gentile che aderì alla RSI (co-me, tra altri, Nicola Bombacci, uno deifondatori del PCI) aveva definito i comu-

nisti «corporativisti impetuosi». Leninanni addietro era stato un estimatore delMussolini socialista massimalista. Il cor-porativismo dell’ultimo fascismo propo-neva l’armonizzazione integrale del mon-do del lavoro attraverso la soppressionedella dicotomia “datori di lavoro / presta-tori d’opera” e la creazione di un unitarioorganismo sindacale (da ogni base corpo-

rativa era pure prevista l’elezione di ogniministro del governo nazionale). La socia-lizzazione delle imprese fu un esperimentoche spodestava radicalmente il capitaledal suo tradizionale predominio per con-segnare la direzione imprenditoriale pri-vata a meccanismi di democrazia internache concedevano larghissimi spazi ai la-voratori.Sotto questo profilo sociale d’analisi ri-sultano interessanti a) il punto 15 delManifesto del Partito fascista repubblicano 

(diritto alla casa) e b) gli articoli 113-124del  progetto costituzionale della Repubblica (diritto al lavoro).

a)Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. IlPartito inscrive nel suo programma la crea-zione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale, assorbendo l’Istituto esi-

stente e ampliandone al massimo l’azione, provvede a fornire in proprietà la casa alle famiglie di lavoratori di ogni categoria, me-diante diretta costruzione di nuove abita-zioni o graduale riscatto di quelle esistenti.In proposito è da affermare il principio ge-nerale che l’affitto – una volta rimborsato ilcapitale pagato nel giusto frutto  –  costitui-sce titolo di acquisto. Come primo compito

l’Ente risolverà i problemi derivanti dalledistruzioni di guerra con la requisizione e ladistribuzione di locali inutilizzati e con co-struzioni provvisorie. 

b)113 - Il lavoro è il soggetto e il fondamentodell’economia produttiva.114 - Il lavoro, sotto tutte le sue forme orga-nizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche

e manuali è un dovere nazionale. Soltantoil cittadino che adempie il dovere del lavoroha la pienezza della capacità giuridica, po-litica e civile.115  - Come l’adempimento del dovere di

svolgere l’attività lavorativa secondo le ca- pacità e attitudini di ognuno è pari titolo dionore e di dignità, così la Repubblica assi-cura la piena uguaglianza giuridica di tuttii lavoratori.116  - La Repubblica garantisce a ogni cit-tadino il diritto al lavoro, mediante l’orga-

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nizzazione e l’incremento della prod uzione emediante il controllo e la disciplina delladomanda e dell’offerta di lavoro. Il collo-camento dei lavoratori è funzione pubblica,svolta gratuitamente da idonei uffici dell’or - ganizzazione professionale riconosciuta.117 - Poiché la attuazione, rigorosa e inde-rogabile, delle condizioni fondamentali co-stituenti garanzia del lavoro è di preminente

interesse pubblico, la disciplina del rapportodi lavoro è affidata alla legge o alle normeda emanarsi dall’organizzazione professio-nale riconosciuta. Tali norme si inserisconoautomaticamente nei contratti individuali, iquali possono contenere norme diverse masoltanto più favorevoli al lavoratore.118 - La retribuzione del prestatore di lavo-ro deve corrispondere alle esigenze normali

di vita, alle possibilità della produzione e alrendimento del lavoro. Oltre alla retribuzio-ne normale saranno corrisposti al lavoratoreanche nello spirito di solidarietà tra i varielementi della produzione, assegni in rela-zione agli oneri familiari.119  - L’orario ordinario di lavoro non puòsuperare le 44 ore settimanali e le 8 ore giornaliere, salvo esigenze di ordine pubbli-

co per periodi determinati e per settori pro-duttivi da stabilirsi per legge. La legge o lenorme emanate dalle associazioni profes-sionali riconosciute stabiliscono i casi e ilimiti di ammissibilità del lavoro straordi-nario e notturno e la misura della maggio-razione di retribuzione rispetto a quella do-vuta per il lavoro ordinario.120 - Il lavoratore ha diritto a un giorno diriposo ogni settimana, di regola in coinci-denza con la domenica e a un periodo an-nuale di ferie retribuito.

121 - Ogni lavoratore ha diritto a sciogliereil rapporto di lavoro a tempo indeterminato.Se il licenziamento avviene senza sua colpa,il lavoratore ha diritto, oltre a un congruo preavviso, a un’indennità proporzionata

agli anni di servizio.122 - In caso di morte del lavoratore, quantoa questo spetterebbe se fosse licenziato senzasua colpa, spetta ai figli, al coniuge, ai pa-

renti conviventi a carico o agli eredi, neimodi stabiliti dalla legge.123  - La previdenza è un’alta manifesta-zione del principio di collaborazione tra tut-ti gli elementi della produzione, che debbonoconcorrere agli oneri di essa. La Repubblicacoordina e integra tale azione di previdenza,a mezzo dell’organizzazione professionale, e

con la costituzione di speciali Istituti per

l’incremento e la maggiore estensione delleassicurazioni sociali. L’opera convergente

dello Stato e delle categorie interessate deve garantire a tutti i lavoratori piena assisten-za per la vecchiaia, l’invalidità, gli infortu-ni sul lavoro, le malattie, la gravidanza e puerperio, la disoccupazione involontaria,il richiamo alle armi.124  - Allo scopo di dare e accrescere la ca-

 pacità tecnica e produttiva e il valore moraledei lavoratori e di agevolare l’azione seletti-va tra questi, la Repubblica, anche a mezzodell’associazione professionale riconosciuta, promuove e sviluppa l’istruzione professio-nale.A distanza di tanti anni da quegli eventisi parla del “sangue dei vinti”, il giornali-sta Giampaolo Pansa ha affrontato in al-cuni suoi libri un rovescio della medagliapoco noto. Se il fascismo fu protagonistae promotore di violenza e guerre, ferma-

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mente da condannare, in frangenti dellasua azione, in contesti vari in cui non ef-ficace fu la mediazione per evitare il peg-gio e queste vie trovavano facile accesso,è anche vero che i fascisti di Salò, checredevano in idee solamente in parte leci-te, subirono violenze altrettanto ingiusti-ficabili. Pansa ha trattato lunghe serie diepisodi riguardanti i cosiddetti “repubbli-

chini”. Mai un male può giustificarne unaltro: la violenza è incompatibile con laciviltà umana e con la democrazia, en-trambe vanno difese da qualsiasi attaccoe dal pericolo di disordini sociali, conflittibellici e discriminazioni di tutti i tipi. LaRepubblica sociale  ebbe a carico un enor-me numero di vittime a causa della guer-ra e dell’occupazione militare straniera, il

suo patrimonio d’idee può essere analiz-zato per vedere ciò che non porta il segnodel male. Il corporativismo fascista noncoinvolge ideologicamente l’antisemiti-smo, e il primo considerato per sé può es-sere studiato come dottrina socio-econo-mica autonoma. Da una ideologia chenon sia integralmente votata al male,come invece lo fu il nazionalsocialismo, la

parte concettualmente sana può distin-guersi, tenendo ben chiaro e inamovibileche la netta e universale condanna matu-rata verso tutte le persecuzioni e lo ster-minio degli Ebrei perseguiti dai nazisti edai loro alleati non può in nessun tempo ein nessun luogo essere rimossa o corrottada forme di negazionismo o menomata daqualsiasi analisi.

6.1. IL GIUSTIZIALISMO PERONISTAl justicialismo è un sistema di pensie-ro politico formatosi in Argentinanegli anni ’40  a opera del generale

Juan Domingo Perón (1895-1974):quand’era ancora colonnello era stato inItalia ed era rimasto colpito dagli espe-rimenti e dalla dottrina sociale fascisti. Ilgolpe militare del 1943 sostenuto da uffi-ciali progressisti, di cui lui faceva parte,destituì un governo argentino che eracontrollato dall’oligarchia conservatriceborghese che controllava il paese attra-verso i grandi latifondi e le grandi impre-se, e che lo aveva posto alla mercé delcapitale inglese e americano. Perón (che

qualcuno pensò fosse diventato comuni-sta), avendo avuto nel nuovo regime laresponsabilità delle politiche del lavoro,

avviò una serie di significative misure, incollaborazione con l’altro colonnelloMercante (figura considerevole del primoperonismo), a difesa della classe lavora-trice: creazione dei tribunali del lavoro,stipula di contratti collettivi di lavoro,aumenti salariali, indennità di licenzia-mento, statuti del bracciante agricolo edel giornalista, regolamentazioni delleassociazioni professionali, unificazionedel sistema di previdenza sociale, pensio-ni, creazione dell’ospedale per i ferrovia-

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ri, scuole tecniche per operai, proibizionedi agenzie di collocamento private. Lecondizioni della classe operaia e brac-ciantile argentina cambiarono a tal pun-to che a causa della sua popolarità il go-verno allarmato lo fece arrestare nell’ot-tobre del ’45 (allora era vicepresidentedella repubblica, ministro della difesa,segretario al lavoro). La colossale mobili-

tazione di popolo promossa dai sindacatiperonisti costrinse la dittatura a rimette-re in libertà Perón e a garantire libereelezioni. Una marea di Argentini davantialla Casa rosada in Plaza de mayo a Bue-nos Aires gridava a ripetizione: «Quere-mos a Perón!!!». Il quale il 17 ottobre(celebrato nel peronismo come el día de lalealtad ) parlò dal balcone del palazzo pre-

sidenziale rassicurando tutti. Le elezionisi tennero nel febbraio del ’46 (il sistemaamministrativo argentino ricalca quellostatunitense): a suffragio maschile vinsePerón, senza brogli e senza raccogliereuna maggioranza bulgara, per circa1.500.000 voti contro 1.200.000. Avevaavuto contro uno schieramento di partitiche andava dalla sinistra alla destra, so-

stenuto dagli USA e dagli Inglesi cheperderanno il controllo economico e poli-tico dell’Argentina. Durante il governoperonista, accanto al quale fu Evita(1919-1952), moglie del presidente e infa-ticabile portabandiera degli umili e deidiseredati (abanderada de los humildes), ilpaese fu modernizzato sotto tutti i puntidi vista. Perón attuò un programma chediede tanti risultati: nazionalizzazioni diservizi pubblici (ferrovia, telefonia, ser-vizi del gas, etc.) e gestione statale del

commercio estero in modo da liberarsi dacondizionamenti stranieri; nazionalizza-zione della banca nazionale e divieto diesportare i capitali per difendere lo svi-luppo economico interno; case, infra-strutture (reti idriche e fognarie, etc.);politiche sanitarie (assistenza gratuita,aumento dei posti letto, campagne medi-che contro malattie); diminuzione della

mortalità infantile e innalzamento delperiodo medio di vita; comparsa dellatelevisione (Televisión Radio Belgrano,oggi Canal 7 ); gratuità dell’istruzione,abolizione delle tasse universitarie, crea-zione dell’Università operaia, aumentodel tasso di scolarizzazione; aumenti sa-lariali, partecipazione agli utili d’impresada parte dei lavoratori, periodi di vacan-

za per le loro famiglie a carico dello Sta-to; riforma agraria; politiche contro ladisoccupazione; pensioni; etc.Unitamente, la FUNDACIÓN EVAPERÓN , da Evita stessa diretta, operòmeritevolmente su vasta scala per solle-vare gli indigenti dal bisogno producendomolto: costruzione di ospedali, asili,scuole, colonie di vacanza, abitazioni,

strutture di accoglienza per bambini,donne nubili, impiegate, anziani; promo-zione della donna, scuole per infermiere;borse di studio, sport per i giovani; aiutialle famiglie più povere; etc.Alcuni ne parlano come una macchinaclientelare: perché aiutare il prossimodeve diventare clientelismo? E poi qualeclientelismo nell’aiutare pure popolazioniestere sudamericane colpite da terremotio persino il neonato Stato d’Israele? Qui,riguardo a Israele, è opportuno soffer-

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marsi poiché l’Argentina ospitò nell’ulti-mo dopoguerra criminali nazisti in fuga:il peronismo non era razzista né tantomeno antisemita; l’ospitalità garantita aicriminali di guerra (cosa che costituisceuna macchia non ideologica) era un fe-nomeno precedente l’elezione di Perónalla presidenza. Costoro furono protettiin un contesto che è più ampio, un conte-

sto in cui l’Occidente li riciclava in fun-zione anticomunista (uno di loro in Usafu addirittura dirigente della CIA) e incui gli storici parlano anche di responsa-bilità del Vaticano come centrale di smi-stamento. In Argentina (che già godevadi proprie grandi risorse) i Tedeschi por-tarono capitali imprenditoriali e non: a-verli protetti dalla giustizia internaziona-

le dato che i militari argentini eranoammiratori di quelli tedeschi (non inquanto nazisti) è stato un errore di Peróne di tutto l’Occidente. I nazisti non con-dizionarono il peronismo: sennò perchénel 1951 Golda Meir, allora ministro dellavoro israeliano, si sarebbe recata in SudAmerica per ringraziare personalmenteEva Perón dei summenzionati aiuti della

fondazione? Questa storia dei nazisti, dicui si seppe meglio quando il presidentegiustizialista Menem fece aprire gli ar-chivi nel ’92 è a metà strada tra oppor-tunismo e ammirazione formale. Non ri-torna a onore di Perón, ma non gli è inte-ramente addebitabile poiché il regime del1943-46 non era guidato da lui (lui eraemerso nettamente nel ’44). La situazio-ne che successivamente si trovò (e controcui non intervenne) era condizionata pu-re dal sostegno che ricercava presso la

Chiesa, coinvolta a detta degli storici nel-la faccenda. Il giustizialismo persegue latercera posición tra il socialismo e il capi-talismo, si propone di conciliare tutte leclassi sociali senza antagonismi e senzapresentarsi come ideologia antagonista dialtre: sia la dottrina sociale della Chiesache il fascismo hanno espresso questoconcetto di terza via. Nel  justicialismo 

l’economia è strumento del benessere col-lettivo e perciò deve sottostare al con-trollo e alla regolamentazione pubblicipur rimanendo in una condizione di libe-ro mercato. Un’assemblea costituente,presieduta da Domingo Mercante, nel1949 elaborò una nuova costituzione cheincorporava i principi del giustizialismo.In particolare l’articolo 37 costituziona-

lizzava i diritti dei lavoratori (diritto allavoro, a una giusta retribuzione, allaformazione, a condizioni di lavoro degne,alla preservazione della salute, al benes-sere, alla sicurezza sociale, alla protezio-ne della propria famiglia, al migliora-mento economico, alla difesa degli inte-ressi professionali), i diritti della famigliae i diritti degli anziani (elenco provenuto

dal Decálogo de la ancianidad  proclamatoprecedentemente da Evita: diritto all’as-sistenza, alla casa, all’alimentazione, alvestito, alla cura della salute fisica e mo-rale, allo svago, al lavoro, alla tranquilli-tà, al rispetto). Questo che segue è il ma-nifesto del Partido justicialista con i suoiventi punti così come furono enunziatinel 1950 da Perón.1  - La vera democrazia è quella in cui il governo compie la volontà del popolo e di- fende un solo interesse: quello del popolo.

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2 - Il peronismo è essenzialmente popolare.Ogni fazione politica è antipopolare e per-tanto non è peronista.3  - Il peronista lavora per il movimento.Colui che in nome del partito serve una fa-zione o un caudillo è peronista soltanto dinome.4 - Per il peronismo c’è soltanto una classedi uomini: quella degli uomini che lavora-

no.5  - Nella nuova Argentina il lavoro è undiritto che dà dignità all’uomo, ed è un do-vere perché è giusto che produca almenoquanto consuma.6  - Per un peronista non vi può essereniente di meglio di un altro peronista.7 - Nessun peronista deve sentirsi di più diquello che è, né meno di quello che può esse-

re.Quando un peronista comincia a sentirsisuperiore a quello che è, sta già trasfor-mandosi in un oligarca.8  - Nell’azione politica, la scala dei valori

di ciascun peronista è la seguente: prima la patria, poi il movimento e infine gli uomi-ni.9 - Per noi la politica non è un fine ma sol-

tanto un mezzo per il bene della patria che ècostituito dalla prosperità dei suoi figli edalla sua grandezza nazionale.10  - Le due braccia del peronismo sono la giustizia sociale e l’assistenza sociale. Con

esse diamo al popolo un abbraccio di giu-stizia e di amore.11 - Il peronismo aspira all’unità naziona-le e non alla lotta. Desidera eroi ma nonmartiri.12 - Nella nuova Argentina gli unici privi-legiati sono i bambini.

13  - Un governo senza dottrina è come uncorpo senz’anima. Perciò il peronismo ha

una sua propria dottrina politica, economi-ca e sociale: il giustizialismo.14  - Il giustizialismo è una nuova conce-zione della vita, semplice, pratica, popola-re, profondamente cristiana e profonda-mente umanista.15 - Il giustizialismo, come dottrina politi-

ca, realizza l’equilibrio dell’individuo conquello della comunità.16  - Il giustizialismo, come dottrina eco-nomica realizza l’economia sociale, metten-do il capitale al servizio dell’economia e

quest’ultima al servizio del benessere socia-le.17 - Il giustizialismo, come dottrina socia-le, realizza la giustizia sociale che dà a cia-

scuno il suo diritto in funzione sociale.18  - V ogliamo un’Argentina socialmente

 giusta, economicamente libera e politica-mente sovrana.19  - Costruiamo un governo centralizzato,uno Stato organizzato e un popolo libero.20 - In questo paese ciò che abbiamo di me- glio è il popolo.L’evitismo  fu nel  justicialismo  una com-

ponente integrante determinante chespinse ancor di più verso il raggiungi-mento dei frutti raccolti. La figura diMercante cadde nell’oblio dopo il suo fal-lito tentativo di succedere a Perón nelnovembre del ’51. Il generale sarà rielet-to a suffragio universale con circa4.600.000 voti contro 2.300.000. Nel frat-tempo le donne, grazie all’instancabileimpegno di Evita, avevano ottenuto ilriconoscimento dei propri diritti: con unalegge del ’47 l’elettorato attivo e passivo

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(ci furono infatti peroniste: 23 deputate,6 senatrici, 109 parlamentari nelle pro-vince), con l’art. 37 della nuova costitu-zione (nella parte riguardante la fami-glia) l’uguaglianza giuridica tra i coniugi,l’assistenza alle madri  e ai bambini.L’uguaglianza di diritti politici tra uo-mini e donne aveva comportato la nasci-ta del Partido peronista femenino, cui

spettava un terzo delle candidature giu-stizialiste. La prematura scomparsa diEva Perón segnò un durissimo colpo peril popolo argentino che da allora non l’hamai dimenticata. Il secondo mandatopresidenziale di Perón terminò anticipa-tamente per via del golpe del ’55: egli sene andò spontaneamente in esilio per al-lontanare il pericolo di una guerra civile.

In quel periodo 1952-55 erano venuti agalla i contrasti tra Chiesa e peronismo:la prima cercava un proprio braccio dimanovra politica in un partito democri-stiano a danno del Partito giustizialista,il secondo non tollerava l’ingerenza ec-clesiastica negli affari pubblici. L’episco-pato argentino era contrario all’annulla-mento della discriminazione tra i figli il-

legittimi e quelli legittimi. Il Parlamentoapprovò una legge di equiparazione,l’altra sul divorziò, la legalizzazione dellecase di tolleranza e puntualizzò la sepa-razione tra Stato e Chiesa (l’insegnamen-to religioso nelle scuole fu abolito). Lealte gerarchie ecclesiali argentine eranoalleate dell’oligarchia: nonostante tuttociò la Costituzione del 1949 trattava conmoltissimo riguardo il Cattolicesimo (lososteneva, e prevedeva che il Presidentedovesse essere di religione cattolica: era

stato costituzionalizzato il diritto di pa-tronato nella presentazione dei vescovi, be-neficio di cui lo Stato godeva da tempoaddietro), e le encicliche sociali eranoconsiderate dal giustizialismo spunto i-deologico e movente d’azione pratica (at-tualmente il Partido justicialista è affilia-to all’Internazionale democristiana). Inpolitica estera l’Argentina peronista mirò

infruttuosamente alla creazione di unterzo schieramento mondiale che s’incu-neasse tra quelli di USA e URSS, unblocco dei Paesi latini d’Europa ed’America di cui divenir leader (nel ’46aveva ristabilito relazione con l’Unionesovietica e durante la  guerra di Corea  a-veva ignorato la richiesta d’invio ditruppe rivoltale dagli Stati Uniti). Perón

rientrò in Argentina nel 1973, quando imilitari si arresero alla volontà popolare.Le dittature post-peroniste avevano di-chiarato fuorilegge il Partito giustiziali-sta, revocata la Costituzione del ’49 eriaperto il carcere di Ushuaia (chiuso nel1947 a causa delle sue pessime condizio-ni) per detenervi nemici politici, inoltre(cose non fatte nel 1946-55) messo al

bando il Partito comunista e reintrodot-ta la pena capitale. Gli Argentini vecchi egiovani non avevano abbandonato il ri-cordo di quella società più giusta costrui-ta con la passione di Evita e con la guidadi Perón (per un secolo fino al 1912 eraesistito il voto cantado  ossia l’elettore alseggio rendeva pubblicamente noto perchi votava, il governo peronista avevamantenuto il voto segreto; il dato nazio-nale sulla ripartizione dei guadagnid’impresa aveva assegnato nel 1948 il

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53% ai lavoratori, laddove questo si eraattestato al 44,4% nel ’43). Negli anniseguiti al movimento del ’68 la terza pre-sidenza di Perón (’73-’74, eletto con il62% dei voti) fu condizionata dal suopessimo segretario personale José LópezRega, divenuto ministro, un anticomuni-sta che alimentò tensioni sociali e perse-cuzioni politiche. Un anno dopo la morte

del generale fu costretto a scapparementr’era presidentessa María EstelaMartínez (Isabelita, terza moglie di Pe-rón, succedutagli nella carica in quantovicepresidentessa). Del ’75 era un proget-to di legge giustizialista mirante a dare ailavoratori una forma partecipativa nellagestione delle imprese. Nel ’76 un nuovogolpe depose il governo democratico,

l’ultima dittatura cadrà in seguito alla guerra delle Malvine. Il  justicialismo  nondisprezza il comunismo. Nelle lezioni diEvita alla Scuola superiore peronista  sisottolinea come Marx mettesse a fuoco

problemi reali, ma anche come la via del-la risoluzione traumatica non fosse la piùadatta e la più congeniale all’instaura-zione di un regime di giustizia sociale.Dopo Isabelita i gruppi estremi della si-nistra (peronisti e marxisti) furono per-seguitati dalla dittatura duramente finoa essere annientati (il triste fenomeno deidesaparecidos). I Montoneros erano segua-

ci del peronismo che ambivano al sociali-smo reale e che per cercare di esercitarepressioni su Perón si spinsero fino ad attidi violenza. L’obiettività richiede che siaccenni alla storia dei presunti depositibancari svizzeri di Evita e Perón per direche questa si è rivelata una fantastoriadato che nessuno li ha mai trovati:un’ipotesi, a questo punto, più “storica”

suggerisce di vedere nella visita in Sviz-zera di Eva Perón, durante il suo viaggioin Europa nel ’47, lo scopo di effettuaredei controlli medici personali.

6.2. LA FONDAZIONE “EVA PERÓN” ell’Argentina del passato la ca-rica di presidentessa onorariadella Sociedad de beneficencia 

veniva riservata alla moglie del presiden-te della repubblica in carica. Quando Pe-rón fu eletto tuttavia le dame dell’oligar-chia borghese rifiutarono di concederequesto ruolo a Evita con l’ipocrita giusti-ficazione che fosse troppo giovane e ine-sperta. Quando le rifiutarono pure di

nominare al suo posto la madre, poiché lemotivazioni reali di tutto ciò stavano neldisprezzo, la Società  fu chiusa con attogovernativo il 6 settembre 1946. Potreb-be sembrare che questa misura di scio-glimento sia unicamente un atto di ven-detta, sennonché la pessima gestione diquesta organizzazione, che controllavamolte strutture ospedaliere, era già emer-sa nel 1939: tutti i dipendenti venivano

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sfruttati con pesanti turni lavorativi esottopagati, nelle case-scuola (più similia delle prigioni) anche i bambini eranocostretti a lavorare e persino a mendica-re, solamente il 5% dei fondi raccolti an-dava a sostegno dell’assistenza (tutto ilresto concerneva spese di gestione). Lasua opportuna soppressione diede spazioal riordino, non fu il caso di Evita nella

sostanza a determinarne la fine. La Fun-dación María Eva Duarte de Perón fuistituita a metà del 1948, sempre con at-to governativo (a fine 1950 sarà rideno-minata Fundación Eva Perón). Al ter-mine del 1947 operava però già la Cruza-da de ayuda social María Eva Duartede Perón  con azioni poi proprie dellaFundación.

La precedente Società di beneficenza  nonandava al di là del finanziamento di isti-tuti preesistenti. Evita invece si preoc-cupò di intervenire con la creazione diopere anche in tutti quei campi che il set-tore pubblico non riusciva con facilità atutelare. Dedicava periodicamente moltee intense ore a incontrare personalmentenella sede del Ministero del lavoro  i biso-

gnosi che si recavano a porle richiested’aiuto. In un suo discorso chiarì che la Funda-ción  «fue creada para cubrir lagunas enla organización nacional, porque en todoel país donde se realiza una obra, siemprehay lagunas que cubrir y para ello se de-be estar pronto para realizar una acciónrápida, directa y eficaz». Il denaro dellaFundación, che non passava dalle suemani, proveniva da spontanee contribu-zioni di privati o enti pubblici, o dal get-

tito di misure ad hoc. Tra il ’50  e il ’53furono scelte queste fonti:1) aumento del 3% del biglietto d’ingres-so all’ippodromo di Buenos Aires e tribu-to addizionale del 3% sulle scommesse;2) trattenute degli stipendi del primomaggio e del 12 ottobre, e del 2% delletredicesime;3) l’intero gettito delle multe sui giochi

d’azzardo; 4) deduzioni da miglioramenti salariali aipubblici dipendenti; nelle vertenze di la-voro tra soggetti privati risolte da Evitac’era l’usanza di offrire una percentualedi qualche mensilità;5) il 50% dell’avanzo utile prodotto dalleassicurazioni per le manifestazioni spor-tive.

Si rivela dunque falsa l’accusa che vor-rebbe le opere sostenute con modi estor-tivi. Le imprese private contribuivanospontaneamente senza sollecitazioni oper ringraziamento o per l’ottenimentodel credito bancario presso l’Istituto ar- gentino di promozione industriale che Evi-ta poteva rendere più facile. Eva Perónnon era Eva Kant: una commissione

d’inchiesta della prima dittatura post-peronista accertò che i presunti fatti diestorsione e corruzione erano totalmenteirreali e che tutto si era svolto nel rispet-to della legalità. Il fatto che lo Statomettesse a disposizione della Fundación risorse economiche, materiali e umanesuscitò a suo tempo la reazione dell’op-posizione parlamentare antiperonista, icui esponenti nulla avevano obiettatonegli anni antecedenti riguardo ai cospi-cui finanziamenti pubblici elargiti alla

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Sociedad de beneficencia. Beneficiaronodella straordinaria attività assistenzialediretta da Evita pure decine di paesistranieri, cui furono forniti vestiti, ali-menti e farmaci. In seguito al colpo diStato del 1955 che depose Perón il posi-tivo complesso di ciò che era stato pro-dotto dalla Fundación  o fu destinato aimproprio e pessimo utilizzo o peggio an-

cora radicalmente cancellato.Questo un elenco non esaustivo di quan-to attuato:

 

ogni anno venivano distribuite enormiquantità di macchine per cucire, capi divestiario, alimenti, libri, biciclette e gio-cattoli; 181 punti per la vendita di prodotti diprima necessità a prezzi ridotti furono

creati per sostenere le famiglie più biso-gnose;

 

più di 13.000 donne trovarono un’oc-cupazione; 

quasi 2.400 furono gli alloggiati nellecase per anziani  abbandonati (ne furonoaperte 6); 

più di 16.000 bambini furono ospitatinelle case-scuola  (20 comprese quelle in

costruzione, dislocate in 16 province conuna capacità di più di 25.000 posti);

 

un’opera di monitoraggio medico-sanitario era rivolta a tutti i giovani chepartecipavano agli annuali concorsi na-zionali sportivi (nel 1949 furono120.000); 

la Casa dell’impiegata a Buenos Aires,un edificio di 11 piani di cui 9 dormitori,forniva alloggio a tutte le lavoratrici bo-naerensi senza dimora, con basso redditoe senza riferimenti familiari in città; ave-

va una capienza per 500 donne e offrivaun servizio di mensa quotidiana per1.500 coperti accessibile a tutti e a costiridotti presso cui Evita aveva l’abitudinedi cenare con i suoi collaboratori; 

poco più di 16.000 persone furono o-spitate nelle 3 case di alloggio temporaneo in attesa di ricevere un’abitazione; laFundación fece costruire case assegnate a

decine di migliaia di famiglie (a poco piùdi 20.000 tra queste che emigrate si tro-vavano a Buenos Aires senza redditi erastato consentito nel 1948-50 di ritornarenella provincia d’origine ottenendoun’abitazione e un’occupazione);  

21 ospedali, distribuiti in 11 province,di cui 4 a Buenos Aires (avevano dispo-nibilità di quasi 23.000 posti letto); altre

3 strutture specifiche erano riservate aibimbi e una agli ustionati; il completa-mento di due ospedali, tra cui quello deibambini a Buenos Aires, fu sospeso dopola caduta di Perón;

 

furono edificati un migliaio di scuole ediverse colonie turistiche nel 1948-50; 

un milione e mezzo di bottiglie di sidroe di pan dolce venivano donati annual-

mente per Natale ai meno abbienti.L’architettura e l’arredo delle opere dellaFundación erano di altissimo pregio e ri-flettevano il più autentico spirito di fra-tellanza umana. I servizi offerti eranogratuiti e di ottimo livello. Era costanteun’efficace assistenza socio-sanitaria ri-volta ai soggetti svantaggiati tutelati. Ibambini più disagiati avevano la possibi-lità di raggiungere gli studi universitaripassando per gradi attraverso le acco-glienti e confortevoli case-scuola, città di

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studio e città universitarie. La Ciudad in- fantil  Amanda Allen, intitolata aun’infermiera argentina della Fundación scomparsa in una sciagura aerea durantel’intervento di soccorso alle vittime di unterremoto in Ecuador, accoglieva a Bue-nos Aires soggetti emarginati tra i 2 e i 7anni. Il progetto di recupero seguiva ilpensiero della pedagogista italiana Maria

Montessori. La Ciudad , che accudiva al-cune centinaia di bimbi, fu chiusa dai mi-litari golpisti nel 1955, e la sua connessacittà per piccoli, divenuta quindi parcoper benestanti, fu demolita nel ’64 perlasciare spazio a un parcheggio. Nelle ca-se-scuola  un gruppo di assistenti socialicurava i rapporti con le famiglie di pro-venienza dei bambini (che avevano

un’età compresa tra 4 e 10 anni). Era de-siderio di Evita che costoro non perdes-sero i loro rapporti con l’esterno a secon-da della propria forma di soggiornonell’istituto (in alcuni casi venivano affi-dati a dei tutori). L’abbigliamento, cheera di qualità, veniva rinnovato ogni seimesi e poi distrutto. L’istruzione era cu-rata attentamente anche con aggiuntivo

insegnamento di sostegno, e per le bam-bine c’erano inoltre corsi integrativi chepotevano riguardare l’arte, la musica, ilballo, la cucina e la cucitura. Anche alleragazze era prospettata la prosecuzionedegli studi all’università nella Ciudad u-niversitaria  di Cordova da inaugurarsisecondo le previsioni nel 1956, ma ilcompletamento suo e di quella di Mendo-za dopo Perón fu bloccato dalla dittatu-ra: la prima avrebbe potuto ospitare 400studenti argentini e 150 stranieri. Sulla

stessa falsariga non si giunse neanche aultimare la ciudad estudiantil  femminile,infatti le ragazze seguivano provvisoria-mente l’istruzione secondaria permanen-do nella casa-scuola. Furono costruite 3ciudades estudiantiles  a Buenos Aires,Cordova e Mendoza per gli studenti pro-venienti da fuori. Alla Fundación  si do-veva altresì la mensa universitaria di La

Plata in provincia di Buenos Aires. Ilnuovo governo golpista del ’55 sciolse laFundación  e chiuse le sue istituzioni. Ilsuo capitale fu in parte rubato e le suesostanze materiali illecitamente sottrat-te. I servizi e l’assistenza precedenti fu-rono giudicati fuori luogo, eccessivi epersino lussuosi. I mobili di tutte lestrutture, e i regali ricevuti da Evita nel

suo viaggio in Europa, che in queste sitrovavano, posti come abbellimento, fu-rono rimossi. Si distrussero flaconi per laraccolta del sangue, lenzuola e coperteperché recavano l’etichetta FundaciónEva Perón, i polmoni d’acciaio finironosotto sequestro per lo stesso motivo.Qualche altro esempio del destino che imilitari e gli antiperonisti riservarono ai

frutti dell’amorevole impegno di Evitaper la difesa delle categorie sociali disa-giate: un ospedale per i bambini fu tra-sformato in un hotel-casinò e la ciudadestudiantil di Buenos Aires fu addiritturaadibita a luogo di reclusione di compo-nenti del governo peronista. Dopo parec-chi studenti ebbero l’opportunità di pro-seguire a studiare fuori dell’Argentinacon borse di studio estere grazie alla qua-lità del percorso formativo svolto che erastato all’avanguardia e supportato di

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tutto ciò che occorresse (vestiario, libri,attrezzature scolastiche, e così via).Quanto accaduto in una casa-scuola con-vertita in centro di collocamento lavora-tivo è emblematico. Le bambine, cui erastata tolta la possibilità di apprendereper andare a lavorare nelle abitazioni dei

borghesi, protestarono dal cortile gri-dando: «Queremos que vuelva Perón!!!».Evita era scomparsa nel 1952, ma sinoalla fine la sua fondazione aveva lavora-to, pur avendo perso lo slancio dato dallapropria animatrice, per rimuovere il di-sagio sociale.

7. IL GOLLISMOl generale Charles de Gaulle (1890-1970) ha lasciato alla storia, non solodella Francia, un pesante retaggio di

idee e di prassi assorto a ideologia che dalui prende nome. Cominciò a maturare il

proprio pensiero negli anni ’30 nel conte-sto di ambienti di sinistra democristianae di tendenza filosofica personalista. Du-rante la seconda guerra mondiale fu sot-tosegretario al ministero della guerra(giugno ’40) e dal 18 giugno 1940 orga-nizzò la resistenza contro l’occupazione eil controllo nazisti del suo paese. Tra il 3luglio 1944 e il 20 gennaio 1946 fu espres-

samente capo di governo. Mantenne unorientamento interno di cosiddetta destrasociale: operò il miglioramento del welfa-re, attuò delle nazionalizzazioni e inoltreintrodusse il suffragio femminile. Il golli-smo non accetta in pieno la dottrina eco-nomica liberista. Propone una terza via che superi la contrapposizione tra sociali-smo e capitalismo, non si colloca né a de-stra né a sinistra e rifiuta l’ottica delladivisione sociale poiché le parti non ma-nifestano l’impegno a curare il bene

dell’intera nazione. Prevede un approccioai fatti a prescindere da un punto di vistaobiettivo, propone di risolvere pragmati-camente i problemi e privilegia la volon-tà, determinante per agire a scapito

dell’attesa di fronte allo svolgersi deglieventi o peggio ancora di una sottomis-sione al cospetto di una forza ritenutasuperiore e a cui non sembra possibileopporsi. De Gaulle dopo aver auspicatonegli ultimi anni di guerra un utopico ecircoscritto connubio tra Londra e Pariginei primi del dopoguerra avanzò il pro-getto (bocciato dagli Inglesi) di una con-

federazione di Stati europei. Questa sa-rebbe stata favorita dall’avvicinamentotra la Francia, il suo fulcro, e la Germa-nia libera: avvicinamento ricostruttivonon solo in relazione all’allora recentepassato ma anche in rapporto alla divi-sione nell’843 del Sacro Romano Imperoin tre Stati dalla quale sorsero le due mo-derne nazioni. La confederazione sarebbestata da sostituirsi al poco incisivo Consi- glio d’Europa, e da istituirsi attraversodelle adesioni nazionali espresse da refe-

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rendum e poi con l’elaborazione di unacostituzione varata dal consesso dellerappresentanze dei vari Paesi aderenti.Gli Stati confederati uniti da un atto in-ter-e-sovra-nazionale avrebbero persodella propria sovranità la sola parte dele-gata all’unione confederale europea, cuisarebbe spettata la gestione delle materiepiù importanti (commercio estero, difesa,

etc.). De Gaulle, che tra l’altro è statofautore della moneta unica, prospettavacome modello di amministrazione un con-siglio dei capi di governo accanto a unorgano giudiziario e a due assemblee (unclassico parlamento e un altro di espres-sione regionale e corporativa). Tuttaviauna Comunità europea di difesa  (CED,creata nel ’52), fall ì ben presto a causa

del problema della ricostituzione di unesercito della Repubblica federale tedesca.La cosa era gradita agli USA in funzioneanticomunista nel conflitto di allora trale due Coree, però temuta dai gollisti chein patria s’impegnarono a  non far man-tenere gli accordi di fondazione nel ’54.De Gaulle lamentava pure l’ingerenzadella NATO e la mancanza di un valido

sostrato unitario europeo, necessario asuo avviso nella creazione e nel mante-nimento di una comune e autonoma forzamilitare. Nel ’53 il generale si ritirò unaprima volta dalla politica spinto dal rifiu-to dell’impianto costituzionale della IVRepubblica, posizione che aveva fattopassare il proprio partito dagli inizialisuccessi a forti perdite di consensi. Nel’57 nacque la CEE. Rientrò sulla scena, aconclusione dell’incruenta evoluzione diun golpe filogollista iniziato il 13 maggio

1958, il primo giugno dello stesso annoquando, appoggiato dai sostenitori, as-sunse la guida del governo francese in se-guito alla crisi della IV Repubblica, im-perniata sul parlamentarismo, che avevaavuto nel ’46 una genesi travagliata e poiespresso esecutivi deboli, per via del fra-zionamento partitico, e prodotto conse-guenti insuccessi (motivo del colpo di

mano) nel tentativo di mantenere i do-mini coloniali: gli ultimi in Algeria (checulmineranno nonostante tutto nel ’62con la concessione dell’indipendenza).Perciò il governo gollista propose un di-verso disegno costituzionale approvatodall’85,1% dei votanti al referendum del28 settembre. Il gollismo predilige unoschema politico bipolare e un’architettu-

ra dello Stato in cui l’organo di governo,legato alla figura del presidente della re-pubblica (eletto in maniera diretta daicittadini), abbia larghi poteri allo scopodi privilegiare un legame verticale “ba-se/leader”). In base a questa nuova costi-tuzione il capo dello Stato, che non èchiamato politicamente a rispondere delsuo operato davanti al parlamento: no-

mina (e revoca) come “luogotenente”,allorché vi abbia il sostegno della mag-gioranza, il capo dell’esecutivo (le cuiriunioni presiede comunque e che entra incarica subito senza voto di fiducia); ha lapossibilità di indire elezioni di rinnovodell’Assemblea nazionale (la quale ha ilpotere di sfiduciare il governo) scioglien-dola anticipatamente; indica il presidentedella corte costituzionale e gode, mentre èin carica, della temporanea sospensionedi eventuali procedimenti giudiziari a suo

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carico. L’esecutivo può pure proporredelle leggi ai deputati per mezzo di unaprocedura particolare in funzione dellaquale queste si intendono approvate senon sono respinte da sfiducia al governo.Quindi alla fine del ’58 de Gaulle fu elettocol 78,5 % dei voti primo presidente dellaV Repubblica, ma indirettamente da80.000 grandi elettori (parlamentari e

consiglieri di vari livelli amministrativi):verrà rieletto a suffragio universale diret-to, al ballottaggio, nel ’65 dopo la contra-sta innovazione da lui voluta nel ’62.Nell’uso delle notevolissime prerogativepresidenziali, previste dalla costituzione,oltre a usare in questo citato caso la fa-coltà di presentare referendum legislativi(art. 11) in modo inappropriato e far in-

trodurre l’avversata norma non ordinaria(il cui varo avrebbe necessitato dell’ap-provazione parlamentare stando a quan-to dettato dall’art. 89), in precedenza nel’61 aveva esercitato per alcuni mesi lecitipoteri dittatoriali, in virtù dell’art. 16, alfine di sventare l’attuazione di un colpodi Stato. Questo autoritarismo democra-tico fu agevolato da un lato dall’impossi-

bilità costituzionale dei cittadini a pro-muovere referendum (attenuata nel 2008)e dall’altro dal sistema elettivo dei depu-tati basato su un maggioritario a doppioturno con soglia di sbarramento al primo(in luogo del proporzionale della IV Re-pubblica) che contribuì a ridurre la rap-presentanza parlamentare delle sinistre ea far scomparire molti partiti dallo scena-rio. Negli affari esteri de Gaulle manife-stò in principio la volontà di seguire ilcammino comunitario europeo a dispetto

della contrarietà di una parte dei gollistiche paventavano la cancellazionedell’identità e della sovranità francesi. Fudell’inizio degli anni ’60 una proposta diulteriore associazione politica, denomina-ta “piano Fouchet”, non andata in porto.Motivi ostacolanti furono i rifiuti tran-salpini della NATO, dell’ingresso inglesenella CEE e del verticismo antinazionale

degli organi della Comunità: in particola-re Londra, che rifiutava l’idea confedera-tiva di de Gaulle, era giudicata rappre-sentante delle convenienze proprie e ame-ricane. Tale piano contemplava in piùalla guida un collegio presidenziale (com-posto da capi di Stato e primi ministri)supportato da tre commissioni ministe-riali (formate dagli incaricati di difesa,

esteri e istruzione per una gestione unifi-cata delle materie), da un consiglio di bu-rocrati dei vari ministeri degli esteri e daun parlamento dotato di poteri consulti-vi. Malgrado il fallimento un accordo traParigi e Bonn nel ’63 ne mise in attol’aspirazione verso alcuni aspetti. DeGaulle nel ’65 si oppose  ad alcuni ade-guamenti degli organi della CEE già pre-

visti che, secondo lui, avrebbero ridimen-sionato il ruolo della Francia e la tuteladi qualsiasi parte a beneficio di un’artifi-ciosa sfera di potere sovranazionale e diun meccanismo integrativo che avrebbeappiattito le specificità popolari di natu-ra culturale e spirituale. Il confronto siricompose all’inizio dell’anno seguentegrazie all’adozione di misure che mitiga-vano la precedente programmazione co-munitaria: l’auspicio gollista era una con-federazione di Stati, in linea formale col

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pensiero esposto nel tempo di un’Europaunita a due livelli (la singola componentestatale-nazionale legata agli altri daun’egida). L’ambizione di un’Europa chediventasse coesa (dall’Atlantico agli Ura-li, con la Germania riunificata) e ago del-la bilancia nella politica mondiale (auspi-cato terzo polo a vocazione anticomuni-sta, autonomo rispetto agli Stati Uniti)

portò le forze militari francesi, a gradi trail ’59 e il ’66, fuori dell’inquadramentonelle strutture della NATO (ci sono ritor-nate nel 2009) e l’Eliseo a dotarsi di suearmi nucleari. Un piano segreto franco-italo-tedesco, stipulato nel ’56, volto aprodurre armi atomiche a difesa di questiPaesi, non era andato più avanti a causadella diffidenza e della defezione del ri-

tornato de Gaulle. Il settore industrialenazionale però non era così sviluppato alpunto di accompagnare le mire del gene-rale conquistando significativi e ampispazi economici all’estero che ne avrebbe-ro meglio sostenuto la strategia interna-

zionale. I progetti di innovazione internadella seconda metà degli anni ’60 checontemplavano una scuola più professio-nalizzata e tagli per i lavoratori animaro-no un grande moto di contestazione chetoccò l’apice nel maggio del ’68. Superòabilmente quel momento di difficoltà esciolta l’Assemblea nazionale ottenne unsuccesso elettorale a giugno. La personale

parabola neocesariana del generale, accu-sato di antisemitismo d’occasione all’epo-ca della  guerra dei sei giorni  (fu ostile aIsraele, alleato degli USA, cui aveva ap-plicato l’embargo nel ’67) si concluse conle dimissioni il 28 aprile 1969 –  che avevaprospettato in caso di esito negativo  –   aseguito della sconfitta in un referendumlegislativo che avrebbe trasformato il se-

nato francese (eletto da un corpo di gran-di elettori costituito da deputati e pub-blici amministratori) in una camera cor-porativa delle regioni e decentrato dellefunzioni agli enti amministrativi regiona-li.

8. KENNEDY E IL MURO DI BERLINOel secondo dopoguerra BerlinoOvest, posta nel cuore della fra-zione di Germania comunista,

aveva rappresentato una costante preoc-cupazione per i Sovietici, che ambivanoal riconoscimento della Repubblica demo-cratica tedesca sorta nell’ottobre del ’49.Dopo l’elezione presidenziale di John Fi-tzgerald Kennedy (insediatosi il 20 gen-

naio 1961) fu reso noto da Nikita Chru-scev che l’URSS avrebbe lasciato allaRDT la sua formale sovranità di Stato, diconseguenza trasferendo apparentementeil problema della gestione berlinese ai Te-deschi orientali. Il cancelliere della Re- pubblica federale tedesca (nata nel maggiodel ’49), il democristiano Konrad Ade-nauer, si oppose alla formalizzazione del-

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la divisione della Germania, ma il presi-dente statunitense Kennedy accettò, eper evitare l’impressione internazionaleche gli USA subissero il corso degli eventi –  era reduce dal fallito tentativo di apriledel ’61 di rovesciare il governo castristacon lo sbarco armato promosso alla Baiadei porci  di 1.400 fuoriusciti cubani  –   sischierò in difesa della sua accessibilità

territoriale: incontrò infruttuosamenteChruscev a Vienna (2-4 giugno 1961). Lasituazione precipitava: dalla RDT, in sta-to di disagio economico (dal ’55 facevaparte del Patto di Varsavia e del COME-CON), fuggivano verso la RFT sempre dipiù (nel 1960 la media quotidiana fu di1.500 transfughi, nel 1949-61 furonocomplessivamente circa 2.500.000). Co-

sicché il Cremlino accondiscese al proget-to dei Tedeschi orientali di circoscrivere einterdire la zona berlinese occidentale: frail 12 e il 13 agosto 1961 comparve un pre-sidio militare con disposizione di ucciderei fuggiaschi; nei giorni immediatamenteseguenti sarà completata entro il 17l’opera di erezione del muro divisorio, al-to sui 3 m, accompagnato da campi mi-

nati e barriere di filo spinato. I costrutto-ri lo definirono muro della pace (la sua de-nominazione ufficiale era barriera di pro-tezione antifascista), ma passò alla storiacome muro della vergogna. La Casa Biancarispose inviando un reggimento di fante-ria a Berlino Ovest. Circa 50.000 Berline-si orientali persero così il lavoro che svol-gevano nella libera Berlino, il cui borgo-mastro, il socialdemocratico WillyBrandt, guidò una giornata di protestache riunì 300.000 cittadini. La città as-

surse a simbolo di quella  guerra fredda combattuta tra l’Occidente  e il bloccocomunista. Saranno quasi un milione iTedeschi della RDT che riusciranno ascappare nell’epoca del muro sino alla suacaduta (9 novembre 1989) oltre la cortinadi ferro. Gli uccisi nel tentativo di oltre-passare il muro a fronte di circa 5.000 fu-ghe riuscite saranno più o meno 200. Il

confronto fra il mondo comunista e quel-lo liberale produsse nella RFT degli anni’60 la comune adesione allo schieramentooccidentale dei due principali e rivali par-titi politici, quello democristiano e il so-cialdemocratico (quest’ultimo prospetta-va la riunificazione territoriale tedesca).In questo sfondo si pose la visita di Ken-nedy a Berlino nel 1963 durante il suo

giro europeo di giugno-luglio. Dopo laconferenza del ’54 tra i ministri degli af-fari esteri francese, inglese, statunitense esovietico, per trattare il futuro dellaGermania, Berlino ritornava sulla scenadella politica internazionale. Kennedyaveva acceso un moto di aspettative spe-ranzose con il suo concetto di nuova fron-tiera esposto all’atto del suo insediamen-

to: «Io vi dico che noi ci troviamo difronte alla nuova frontiera, lo vogliamo ono. Al di là di essa si estendono i campiinesplorati della scienza e dello spazio, iproblemi non risolti della pace e dellaguerra, le sacche dell’ignoranza e del pre-giudizio non ancora eliminate e le que-stioni ancora senza risposta della povertàe della sovrapproduzione». Mirava a unaconcreta e pacifica coesistenza con Mo-sca. Tra il 16 e il 28 ottobre 1962 la ten-sione USA-URSS era salita al massimo:

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l’installazione di una prima serie di missi-li atomici da parte del Cremlino a Cuba,decisa nel luglio precedente, aveva pro-vocato il blocco navale americanodell’isola. La guerra nucleare fu evitataquando Chruscev ordinò il rientro dellenavi che trasportavano altre testate mis-silistiche e fece smantellare le precedenti,da basi non ancora operative, in cambio

dell’impegno di Washington a non inter-venire in qualsiasi modo in armi contro ilregime di Fidel Castro. A questo si ag-giungeva in quegli anni l’impegno degliUSA per la lotta nel Vietnam del sudcontro i rivoltosi comunisti (Viet Cong)ostili alla dittatura filostatunitense, lottache il presidente americano volle sostene-re con una maggiore presenza militare.

Nel giugno del ’63 Kennedy prima diBerlino Ovest era passato da Bonn, Colo-nia e Francoforte parlando alle platee (e-ra stato più volte in Europa negli anni’30  e a Berlino già nell’estate del 1945).Tenne il 26 giugno 1963 davanti al muroun discorso, divenuto famoso, a una ma-rea di gente radunatasi nella RudolphWilde platz  di fronte al Rathaus Schöne-

berg. La folla lo aveva accolto con accla-mazioni festose dopo che ebbe fatto unsopralluogo a uno degli allora più notipunti di attraversamento del muro, ilCheckpoint Charlie. Oltre il muro anchegruppi di Berlinesi orientali lo ascoltaro-

no sotto il controllo vigile della poliziache impediva qualsiasi esternazione po-polare. Più volte gli applausi degli astantiintercalarono il suo intervento. Pronun-ciò la celebre frase: «Ich bin ein Berli-ner». Nella Germania Ovest l’arrende-volezza americana nel periodo dell’edifi-cazione del muro non era piaciuta, perciòquesta sua dichiarazione di essere Berli-

nese mirante anche a riacquistare le sim-patie dell’opinione pubblica tedesca. Ilsuo discorso al di fuori dell’opportunismo d’occasione fu molto profondo e significa-tivo: «La libertà ha molte difficoltà e lademocrazia non è perfetta, ma noi nonabbiamo mai dovuto mettere un muroper tenere dentro la nostra gente, per im-pedire di lasciarci. […] Il muro è la dimo-

strazione più evidente e vivida dei falli-menti del sistema comunista. […] Tuttigli uomini liberi, ovunque essi vivano,sono cittadini di Berlino, e, quindi, comeuomo libero, sono orgoglioso delle parole“Ich bin ein Berliner”». Suppergiù l’80%dei Berlinesi occidentali era per le stradead ascoltarlo. I rintocchi della campanadella libertà posta nel palazzo municipale

suggellarono quelle parole in quella stori-ca giornata. L’anniversario del 2004 èstato celebrato a Berlino con una mostrafotografica, tenuta nel giugno-settembree allestita alla Cameraworks, dal titoloThe Kennedys.

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INDICE

Introduzione pag. 1

1. La moralità della politica pag. 3

2. La crisi del capitalismo pag. 5

3. L’eredità del marxismo  pag. 7

4. La fabbrica del male pag. 9

5.1. La democrazia corporativa pag. 13

5.2. L’utopia della RSI pag. 16

6.1. Il giustizialismo peronista pag. 21

6.2. La Fondazione “Eva Perón”  pag. 26

7. Il gollismo pag. 30

8. Kennedy e il muro di Berlino pag. 33

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Palermo

dicembre 2011