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1 UNITÀ 6 La guerra nell’Italia del Sud (1860-1861) APPROFONDIMENTO C F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Risorgimento senza retorica Nel 2011, è stato celebrato il 150 o anniversario dell’unificazione italiana, assumendo come data di riferimento il 17 marzo 1861, giorno in cui fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficia- le la legge n. 4671, in virtù della quale Vittorio Emanuele II assumeva il titolo di re d’I- talia per sé e per i suoi successori. La commemorazione della conclusione della vicenda risorgimentale è stata una feconda occasione di dibattiti e di riflessioni, a livello sia poli- tico sia storiografico. Da un lato, certo, una minoranza di nostalgici e alcuni giornalisti in vena di polemiche, preoccupati più di discutere dei problemi attuali dell’Italia, che di ricostruire seriamente il passato, hanno cercato di proporre una vera e propria controsto- ria del Risorgimento, concepito come una vicenda del tutto negativa, da demolire e da smi- tizzare. Gli storici più seri, da parte loro, hanno invece raccolto la sfida della commemo- razione, cioè hanno cercato di valutare freddamente l’insieme della questione e, senza re- torica, hanno tentato di cogliere le grandezze e i limiti del processo di unificazione nazionale, mettendo in evidenza l’inestricabile intreccio di grandi ideali, violenze e ma- chiavellismo politico. Ovviamente, la figura più discussa è stata quella di Garibaldi; ma, più in generale, l’intera operazione di annessione del Sud Italia può e deve essere ogget- to di un’analisi seria e spassionata, per cogliere in quei lontani eventi le radici di nume- rose questioni che hanno caratterizzato l’Italia unita, dal 1861 al XXI secolo. La guerra nell’Italia del Sud (1860-1861) Gerolamo Induno, Lettera dal campo, 1859 (collezione privata). POTERI E CONFLITTI La sfida della commemorazione Dibattito su Garibaldi

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F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Risorgimento senza retoricaNel 2011, è stato celebrato il 150o anniversario dell’unificazione italiana, assumendo comedata di riferimento il 17 marzo 1861, giorno in cui fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficia-le la legge n. 4671, in virtù della quale Vittorio Emanuele II assumeva il titolo di re d’I-talia per sé e per i suoi successori. La commemorazione della conclusione della vicendarisorgimentale è stata una feconda occasione di dibattiti e di riflessioni, a livello sia poli-tico sia storiografico. Da un lato, certo, una minoranza di nostalgici e alcuni giornalistiin vena di polemiche, preoccupati più di discutere dei problemi attuali dell’Italia, che diricostruire seriamente il passato, hanno cercato di proporre una vera e propria controsto-ria del Risorgimento, concepito come una vicenda del tutto negativa, da demolire e da smi-tizzare. Gli storici più seri, da parte loro, hanno invece raccolto la sfida della commemo-razione, cioè hanno cercato di valutare freddamente l’insieme della questione e, senza re-torica, hanno tentato di cogliere le grandezze e i limiti del processo di unificazionenazionale, mettendo in evidenza l’inestricabile intreccio di grandi ideali, violenze e ma-chiavellismo politico. Ovviamente, la figura più discussa è stata quella di Garibaldi; ma,più in generale, l’intera operazione di annessione del Sud Italia può e deve essere ogget-to di un’analisi seria e spassionata, per cogliere in quei lontani eventi le radici di nume-rose questioni che hanno caratterizzato l’Italia unita, dal 1861 al XXI secolo.

La guerranell’Italia del Sud(1860-1861)

Gerolamo Induno,Lettera dal campo, 1859(collezione privata).

POTERIE CONFLITTI

La sfida dellacommemorazione

Dibattito suGaribaldi

Il primo problema che numerosi storici hanno sollevato riguarda lo scenario internazionalein cui la spedizione di Garibaldi e l’intervento piemontese al Sud hanno potuto verificarsi.Tutti gli studiosi concordano sul fatto che risultò decisivo, in alcuni momenti fondamentali,il sostegno politico della Gran Bretagna. Nessuno storico serio, oggi, farebbe propria l’i-dea secondo cui l’unità d’Italia dev’essere considerata solo (o principalmente) l’esito del-la tenace volontà degli italiani di costruire un proprio Stato nazionale: se da un lato nonsi può tralasciare l’importanza delle idee (e, nel caso di Garibaldi, la forza trascinatrice diun leader carismatico, capace di dar forma e progettualità alle aspirazioni nazionali: anzi,di offrire ad esse potenzialità operativa, cioè la possibilità di trasformarsi in un concretoprogramma d’azione), dall’altro sarebbe ingenuo sottovalutare l’abilità diplomatica di Ca-vour e la più vasta e generale situazione politica. L’Inghilterra temeva che, nel cuore del Mediterraneo, potesse indebolirsi la propria po-sizione di indiscussa superiorità. Il Regno delle Due Sicilie, certo, era uno Stato tradizionalista,lontanissimo dal moderno regime liberale vigente sia a Londra che a Torino. Il problemapiù serio, tuttavia, era un altro: il re di Napoli Francesco II di Borbone (salito al trononel 1859, ad appena 23 anni) era alleato, a livello internazionale, della Russia zarista, chela Gran Bretagna, alla metà dell’Ottocento, considerava il suo rivale più temibile e peri-coloso. Inoltre, il Regno delle Due Sicilie aveva una severa legislazione protezioni-stica, che rendeva il suo territorio pressoché impenetrabile per le merci inglesi, anchese la capacità di sviluppo dell’economia e dell’industria del Meridione italiano non deveassolutamente essere sopravvalutata. A Londra si conoscevano le debolezze strutturali del Regno delle Due Sicilie, e si teme-va soprattutto che, ad approfittarne, fosse Napoleone III, che tutto sommato era uscitocon un bottino decisamente magro (Nizza e la Savoia) dalla guerra intrapresa contro l’Au-stria nel 1859. Su questo sfondo, si comprende appieno l’aiuto che il governo inglese, gui-dato a quell’epoca dal liberale Lord Palmerston, diede al progetto di Garibaldi, che a giu-dizio della maggioranza degli studiosi fu esplicitamente sostenuto dagli inglesi in alme-no tre circostanze: lo sbarco a Marsala (11 maggio 1860), la resa di Palermo (6 giugno)e il trasferimento delle truppe garibaldine dalla Sicilia alla Calabria (18 agosto).

La conquista della SiciliaSe gli inglesi permisero a Garibaldi di approdare senza problemi in Sicilia (e, a giudiziodi alcuni studiosi, proprio la presenza di due piroscafi inglesi nel porto di Marsala impedìalle navi borboniche di far fuoco sui garibaldini impegnati nelle operazioni di sbarco), fu-rono l’indecisione e l’inettitudine dei generali napoletani a rendere ben presto irrepa-rabile la situazione militare nell’isola. In larga maggioranza, i comandanti borbonici era-no anziani, di età compresa fra i 60 e i 70 anni, incapaci in genere di prendere rapidedecisioni e di elaborare strategie efficaci che, forse, avrebbero potuto trasformare an-che la spedizione dei Mille (in realtà, i volontari erano 1089) nell’ennesimo fallimento,secondo il tragico copione che aveva visto la morte dei fratelli Bandiera nel 1844 e la di-sfatta di Carlo Pisacane nel 1857. L’occasione più propizia per annientare le camicie rosse fu la battaglia di Calatafimi (15 mag-gio 1860), in cui si affrontarono 2000-2200 borbonici e 1300 tra garibaldini e rivoluzio-nari siciliani aggregatisi alle truppe da poco sbarcate a Marsala. Senza dubbio, il comandantenapoletano (generale Francesco Landi) sottovalutò la forza e la determinazione del nemi-co, cioè ritenne di avere di fronte un’accozzaglia di avventurieri e di banditi, e non un veroesercito, sia pure di dimensioni ancora modeste. Pertanto, invece di attendere rinforzi e diaffrontare l’avversario in condizioni di schiacciante superiorità numerica, accettò la batta-glia, uscendone sconfitto. Non si trattò, in vero, di una disfatta, visto che i garibaldini eb-bero 30 morti e i borbonici circa 150. Per Garibaldi, però fu un vero trionfo morale, unsuccesso che confermò la sua fama di eroe invincibile e che gettò nel panico i generali bor-bonici, che non seppero fare altro che ritirarsi verso Palermo. Non a caso, ben presto, all’e-poca si sparse la voce che il generale Landi era stato corrotto; non siamo in grado di con-

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L’Inghilterradifende la suasuperiorità nel

Mediterraneo

Timore di unintervento francese

al Sud Italia

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fermare questa affermazione: forse, più probabilmente, sia luiche i suoi diretti superiori non avevano le capacità strategicheche la delicata situazione siciliana richiedeva.In effetti, pur disponendo di forze notevolmente superioria quelle garibaldine, i napoletani non furono in grado di di-fendere in modo efficace né Palermo (che si arrese il 6 giu-gno, dopo alcuni giorni di furiosi combattimenti tra i sol-dati borbonici, da un lato, le camicie rosse e gli insorti pa-lermitani, dall’altro) né Milazzo (28 luglio). Per il re Fran-cesco II, la Sicilia era ormai completamente perduta, con l’u-nica eccezione della piazzaforte di Messina, che restò inmano borbonica fino al marzo 1861. La situazione milita-re complessiva, tuttavia, non sembrava affatto disperata, peril re di Napoli; durante la campagna di Sicilia, erano cadu-ti al massimo 2000 soldati regi, mentre la maggior parte del-la guarnigione di Palermo aveva potuto imbarcarsi e dirigersisul continente, ove Francesco II (in teoria) poteva contaresu un esercito di 80 000 uomini.Garibaldi aveva truppe di gran lunga inferiori, anche se dalNord arrivavano continuamente rinforzi di volontari ai qua-li le autorità del Regno di Sardegna (formalmente, ancoraneutrale) permetteva di partire senza problemi, una volta as-sicuratesi che fossero dirette verso la Sicilia, e non contro loStato della Chiesa (azioni ostili verso il papa, infatti, avreb-bero scatenato l’immediata reazione di Napoleone III). Traquesti convogli di volontari, ricordiamo la spedizione di 2000 uomini guidata dal gene-rale Giacomo Medici e quella di 2000 diretti dal generale Enrico Cosenz: insieme a NinoBixio (che, tuttavia, era già nel primo gruppo dei Mille) questi due ufficiali sarebbero di-ventati i più stretti collaboratori militari di Garibaldi nel seguito della campagna.

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Copertina della“Domenica del Corriere”che ricostruisce labattaglia di Calatafimidel maggio 1860.

DOCUMENT IIl generale Landi, dopo la battaglia di Calatafimi

La sera stessa del 15 maggio 1860, dopo aver subito la sconfitta di Calatafimi, il generale borbonicoFrancesco Landi scrisse un’accorata lettera al suo diretto superiore, il principe di Castelcicala. Di questotesto colpisce il tono concitato, l’incapacità di capire la realtà della situazione, che non era per nulla com-promessa, dato che le forze di Garibaldi erano, tutto sommato, ancora ridotte e mal organizzate.

Soccorso – pronto soccorso. La metà della mia colonna è uscita di scoverta [in rico-gnizione, n.d.r.] e giunta a portata di far fuoco si è attaccata coi rivoltosi, i quali sbucaronoa migliaia da per ogni dove. Il fuoco fu nutrito, ma le masse di siciliani uniti alla truppa ita-liana sono d’immenso numero…, la mia colonna ha dovuto col fuoco di ritirata ripiegare so-pra Calatafimi, dove mi trovo sulla difensiva, giacché i ribelli in numero immenso fanno mo-stra di volermi aggredire…, le masse sono enormi ed ostinate a combattere…, qui la miacolonna trovasi circondata da nemici senza fine, i quali hanno pure assalito i mulini presa lafarina che doveva panizzarsi [servire a preparare il pane, n.d.r.] per la truppa.

P. PIERI, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Einaudi, Torino 1962, p. 663

Secondo il tuo giudizio, il generale Landi è in preda al panico? Potrebbe esserci un’altra ragione(alternativa o complementare) che lo spinge ad esagerare il numero e la potenza del nemico da cui èstato appena sconfitto?

Secondo il tuo giudizio, per quale ragione il generale ricorda che il nemico si è impadronito anche diun grande quantitativo di farina?

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I problemi sociali della SiciliaIn Sicilia non esisteva quella profonda fedeltà al re che invece registriamo sul continen-te, soprattutto tra i sudditi della Campania o degli Abruzzi; l’isola, infatti, da tempo ri-vendicava la propria autonomia (se non una vera indipendenza) da Napoli, e percepi-va i Borboni come signori stranieri e lontani, non come sovrani legittimi degni di since-ra devozione. Contando su questo diffuso sentimento antinapoletano, il 4 giugno 1860Garibaldi lanciò un solenne appello ai siciliani, chiedendo loro che tutti gli uomini trai 17 e i 50 anni si arruolassero in massa; con tali forze, sarebbe nato l’esercito meridiona-le, che avrebbe proseguito la sua lotta liberatrice fino a Napoli e fino a Roma. In realtà, l’esortazione di Garibaldi fu accolta con scarso entusiasmo e all’appello patriotti-co del Generale risposero decisamente in pochi. La mancata adesione alla chiamata in mas-sa alle armi si spiega in primo luogo con il fatto che in Sicilia non esisteva la coscrizione ob-bligatoria e, quindi, mancava assolutamente l’idea di una cittadinanza o di un popolo in armi:anzi, l’autorità che pretendesse o richiedesse l’arruolamento dei giovani era considerata inmodo del tutto negativo. Man mano che passava l’estate, poi, ai contadini siciliani sfuggìsempre più (o meglio, risultò incomprensibile) il significato dell’agire di Garibaldi.Il 19 maggio 1860, il Generale aveva abolito la tassa sul macinato, una delle imposte piùodiate nell’isola; inoltre il 2 giugno, con un apposito decreto, aveva promesso la distribu-zione delle terre demaniali (di proprietà della Corona) ai capi famiglia privi di proprietàfondiaria. Tuttavia, ben presto cominciarono le occupazioni di tali terreni pubblici e fu-rono minacciati anche i beni dei nobili e dei possidenti. La situazione divenne partico-larmente critica a Bronte, nella Sicilia orientale, ove si trovava la cosiddetta ducea (= terradel duca), una vasta tenuta donata dal re Ferdinando IV all’ammiraglio Horace Nelson. Que-sti, nel 1799, aveva svolto un ruolo decisivo nella eliminazione della cosiddetta Repubbli-ca Partenopea, fondata dai francesi; come ricompensa, il re aveva onorato Nelson del tito-lo di duca e gli aveva concesso, appunto, ampie terre alle falde dell’Etna. Caduto il gover-no borbonico, i contadini di Bronte rivendicarono per loro la ducea: infatti, il decreto del2 giugno prevedeva la confisca dei beni anche di tutti i sostenitori del sovrano di Napoli. I moti di Bronte ebbero luogo il 2 agosto, e furono seguiti, il 5 dello stesso mese, da altre in-surrezioni contadine a Randazzo, Linguaglossa, Adernò, Castiglione, Centuripe e Maletto.A Bronte la violenza si scatenò in modo particolarmente efferato e ci furono 16 morti fra igalantuomini. Oltre tutto, i padroni della tenuta di Bronte (i discendenti dell’ammiraglio Nel-son) erano inglesi; Garibaldi si rese immediatamente conto dei rischi che la sua spedizioneavrebbe corso, in caso di violazione di quella proprietà: sarebbe stato accusato di essere solo

un fomentatore di caos e di anarchia, e avrebbe perso il preziososostegno sia di Cavour che del governo britannico. D’altra par-te, il Generale era comunque convinto che la soluzione dei pro-blemi sociali era secondaria, rispetto alla realizzazione dell’unitànazionale. Di qui la decisione di inviare nell’area dell’Etna Nino Bixio, cheil 6 agosto proclamò lo stato d’assedio e creò subito un tribu-nale speciale, incaricato di giudicare i responsabili dell’eccidio.Il 10 agosto furono fucilate cinque persone, tra cui l’avvocatoNicolò Lombardo, un intellettuale radicale e socialista, che ave-va sostenuto l’idea di una più equa divisione delle terre, ma eradel tutto estraneo alle violenze dei giorni precedenti. Altre 316persone furono poi temporaneamente incarcerate; 32 di esse,un paio d’anni dopo, vennero condannate all’ergastolo dalla Cor-te d’Assise di Catania. Come ha commentato Piero Pieri, «Il Bixionon aveva la minima idea dei problemi e delle necessità delleterre che pur era corso con tanto mirabile valore a liberare, etanto meno della mentalità degli abitanti. Per lui occorreva farel’Italia e ogni ostacolo di qualsiasi genere all’impresa doveva es-sere abbattuto in qualsiasi modo».

Scarsa risposta deisiciliani all’appello

di Garibaldi

Minacciata laproprietà

dell’ammiraglioinglese Nelson

Ritratto di Nino Bixio.

La conquista di Napoli e lo scontro sul VolturnoIl 18 agosto 1860, le truppe garibaldine passarono lo stretto di Messina. Alla fine di lu-glio, il governo inglese aveva solennemente proclamato il principio del non intervento nel-le faccende del Regno delle Due Sicilie e dichiarato che si sarebbe opposto all’azione diqualsiasi potenza straniera in terra italiana. Di fatto, ciò significò che la flotta inglese pro-tesse le navi che trasportavano Garibaldi sul continente, impedendo a chiunque (fran-cesi e borbonici, ad esempio) di disturbare lo sbarco. In Calabria, Garibaldi trovò una ca-lorosa accoglienza, da parte della popolazione, mentre i comandanti borbonici si dimo-strarono inetti e incompetenti. Il generale Fileno Briganti, che guidava almeno 3500 uomini, si arrese senza combattere. I suoi soldati si ribellarono, lo accusarono di tradimento e lo fucilarono. Per capire la com-plessa situazione che si stava creando nel Meridione italiano, è interessante seguire la vicendadi questi uomini, che avrebbero voluto combattere «per il re e per la religione», ma sisentirono traditi dai loro superiori. Garibaldi li esortò ad unirsi all’esercito meridionale, maquasi nessuno rispose all’appello. Al contrario, la maggioranza tornò alle proprie case, op-pure si riunì ad altri reparti ancora fedeli al re o si diede alla guerriglia proprio contro i ga-ribaldini, che essi ritenevano dei pericolosi banditi stranieri, e non dei patrioti.L’atteggiamento della popolazione fu sempre più freddo, man mano che Garibaldi avan-zava verso Napoli, senza che i borbonici fossero in grado di organizzare alcuna difesa ef-ficace. Il 6 settembre, Francesco II decise di abbandonare la capitale, mentre la situazionestava rapidamente precipitando. Quando Garibaldi arrivò a Napoli, il giorno 7 settem-bre, la città era in pratica nelle mani della camorra, che aveva rapidamente colmato il vuo-to di potere e occupato tutti i principali posti di responsabilità. Nel porto di Napoli, i comandanti di ben 30 navi su 36 si rifiutarono di seguire il re aGaeta, cioè abbandonarono la monarchia borbonica e passarono al Regno di Sardegna,che si era affrettato a mandare in zona una propria flotta, comandata dall’ammiraglio Car-lo Pellion, conte di Persano. Francesco II, dunque, non poteva più contare su forze na-vali. Tuttavia, ai suoi ordini, aveva ancora circa 40 000 uomini, ben armati e determina-ti a combattere. Pertanto, nella regione del fiume Volturno, fu predisposta la controffensivacontro l’esercito meridionale, forte di circa 22 500 volontari, 1700 ufficiali e 24 cannoni.In realtà, nella più grande battaglia della guerra del Sud, che si svolse l’1 e 2 ottobre 1860,i generali napoletani non usarono tutte le proprie forze, ma solo 23 000 soldati: i due eser-citi che si affrontarono, quindi, erano di pari entità. Ancora una volta, si può attribuireai generali napoletani la responsabilità dell’esito della battaglia, che non fu una disfatta,ma non riuscì a sfondare lo schieramento garibaldino e tanto meno, come si proponeva,a riconquistare Napoli.

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Dipinto di IppolitoCaffi che raffigural’ingresso del re VittorioEmanuele a Napoli il 7 novembre 1860(Torino, Palazzo Reale).

Protezione inglese

Soldati fedeli al re

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INO L’ultima fase del processo che portò all’unifica-zione italiana obbliga lo storico a riflettere su un datoimportante: la campagna militare del Sud fu molto di-versa dalla seconda guerra di indipendenza. Comeè stato scritto in un recente volume, di taglio provo-catorio, sul Garigliano, il 26 ottobre 1860 «si sentivaurlare: “Viva ’o Rre!” dalla parte napoletana, cui ri-spondevano: “Savoia!” i fanti piemontesi. Italiani con-tro italiani, a difendere le loro bandiere del momentoe le loro diverse dinastie» (G. Di Fiore). Nel 1859, pos-siamo parlare di una vera lotta di liberazione nazio-nale contro l’occupazione austriaca, e quindi di unconflitto tra italiani e stranieri. La guerra del Sud, alcontrario, fu un conflitto differente, al limite dellaguerra civile (sotto il profilo nazionale), tra soggettiche avevano visioni completamente opposte del fu-turo dell’Italia. Proprio per questo, le vicende deglianni 1860-1861 lasciarono uno strascico di odio e dirancori molto più difficile da ricucire e placare, ri-spetto alle guerre condotte contro lo straniero. Alungo, la retorica nazionalista ha cancellato o negatoogni legittimità a questo problema; di fatto, però, nonsi può evitare di riflettere sul fatto che intorno allaguerra del Sud non esiste ancora una vera memoriacondivisa, come per altro è stato difficile elaborarlaper la seconda guerra mondiale o per altri momentistorici in cui il Paese si è lacerato e diviso su posizioniantagoniste.

Forse, il parallelo più corretto è quello con laguerra civile americana, che iniziò subito dopo laconclusione del processo di unificazione italiano edurò dal 1861 al 1865. In entrambi i casi, da unaparte si voleva una forte struttura politicamente unita,mentre dall’altro si chiedevano autonomia e indipen-denza per le diverse parti che componevano l’in-sieme della nazione. A distanza di un secolo e mezzo,negli Stati Uniti, la concezione che nordisti e sudistihanno del conflitto è ancora molto differente, perquanto gli storici abbiano messo a fuoco che la pro-paganda degli uni, spesso, mascherava l’interesseeconomico, mentre i sogni di libertà degli altri, pro-babilmente, avrebbero avuto corto respiro: come èverosimile pensare che la Confederazione sudista, inbreve tempo, sarebbe diventata un satellite dell’In-ghilterra industrializzata, così la fragile economia delMeridione italiano avrebbe presto subito l’assalto delcapitalismo francese e/o britannico, né più né menodell’Egitto o dell’impero ottomano. Per non parlare,poi, del paradosso ideologico in cui sia i difensori dellaConfederazione che i nostalgici dei Borboni si trovanoinvischiati: in effetti, gli uni si trovano costretti a dovernascondere l’orrore della schiavitù, mentre gli altri fi-niscono per difendere un modello tradizionale e ar-caico, incapace di pensare davvero in termini di si-stema parlamentare, di diritti dell’uomo e del cittadinoe di netta separazione tra Stato e Chiesa.

Memorie non condivise

Bombardamento di Gaeta da parte delle truppe piemontesi, novembre 1860. L’assedio alla fortezza durò fino al febbraiodel 1861 e comportò gravi perdite di vite umane, sia tra i soldati borbonici, sia tra i civili.

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Il problema vero, per i napoletani, era la mancanza di tempo: l’11 settembre, infatti, l’e-sercito del Regno di Sardegna (forte di 38 000 uomini e 78 cannoni) era entrato nei ter-ritori dello Stato della Chiesa. Il fatto di non essere riuscito a sconfiggere Garibaldi espo-neva i napoletani al rischio di essere chiusi in una morsa, tra l’esercito meridionale, a sud,e quello piemontese, a nord.Prima di attaccare lo Stato pontificio, Cavour si era consultato con i governi delle prin-cipali potenze europee ed aveva giustificato l’intervento del Regno di Sardegna come unanecessità dettata dall’equilibrio internazionale: Garibaldi, infatti, non nascondeva la suaintenzione di attaccare Roma, un’azione che avrebbe provocato l’inevitabile reazione diNapoleone III, garante, fin dal 1849, dell’indipendenza del papa. Il 18 settembre, nei pres-si di Castelfidardo, i piemontesi sconfissero un esercito di volontari cattolici provenien-ti da vari paesi europei (Austria, Francia, Belgio e Irlanda), determinati a difendere il pon-tefice. Infine, dopo aver occupato Ancona (29 settembre), ai primi di ottobre le truppepiemontesi entrarono nel Regno delle Due Sicilie. Cavour ne difese l’intervento sostenendoche fosse essenziale per bloccare il caos e l’anarchia che regnavano in quella regione. Daquesto momento, la guerra non sarebbe più stata tra le camicie rosse di Garibaldi e le trup-pe borboniche, ma tra due eserciti regolari: quello del Regno delle Due Sicilie e quellodel Regno di Sardegna. Il 21 ottobre, si tennero i plebisciti che sancirono l’annessione della Sicilia e dell’I-talia meridionale al Regno di Sardegna. Garibaldi si rese conto di avere ormai esauri-to il suo compito: incontrò il re Vittorio Emanuele II a Teano il 25 ottobre; gli consegnòil comando dell’esercito meridionale e poi (il 9 novembre) si ritirò nell’isola di Caprera.

La conquista di Capua e di GaetaNegli Abruzzi, l’esercito del Regno di Sardegna dovette combattere una guerra di tipo par-ticolare, contro bande di irregolari, cioè di partigiani che agivano per bande. Il modello diriferimento era la lotta degli spagnoli contro le truppe napoleoniche, all’inizio del XIX se-colo; per molti versi, invece, gli scontri dell’autunno del 1860 anticipano e segnano l’ini-zio del cosiddetto brigantaggio: un fenomeno che non fu per nulla un problema di crimi-nalità comune, ma un vasto movimento di lotta dettato da motivazioni di ordine politi-co (l’ostilità contro i piemontesi, giudicati non come dei patrioti liberatori, ma come de-gli stranieri calati da lontano, per deporre il re e svilire la religione) e sociale (la rabbia deicontadini di fronte ad una situazione che, con il cambio di sovranità, non era per nulla mu-tata ed anzi, a volte, era perfino peggiorata).Sconfitto l’esercito borbonico sul fiume Garigliano, ai piemontesi non restò che da con-quistare le due residue fortezze di Capua e Gaeta. La prima capitolò in fretta, il 3 no-vembre 1860, dopo due giorni di intenso bombardamento (821 colpi in 14 ore); a Gae-ta, invece, si erano rifugiati il re Francesco II, la famiglia reale e gli ultimi 20 000 solda-ti borbonici determinati a combattere. Convinto di essere vittima di un’aggressione in-giustificata e di una grave violazione del diritto internazionale, il sovrano di Napoli speròfino all’ultimo in un intervento delle grandi potenze europee. Questa illusione fu ali-mentata dalla convocazione, a Varsavia, di un convegno cui parteciparono sia lo zar chealti rappresentanti dei governi di Austria e di Prussia, sia dalla presenza al largo delle co-ste campane di una flotta di navi francesi, che impedirono per vari mesi il completo bloc-co di Gaeta dalla parte del mare e, a maggior ragione, l’intervento militare delle navi pie-montesi dell’ammiraglio Persano.L’assedio di Gaeta fu guidato dal generale Enrico Cialdini, che poté giovarsi di una gran-de quantità di moderni cannoni a canna rigata, in dotazione all’esercito piemontese. Gae-ta fu letteralmente sommersa di bombe, mentre all’interno della fortezza, a causa del-le pessime condizioni igieniche che si vennero a creare, scoppiò una violenta epidemiadi tifo. La situazione si fece disperata quando risultò evidente che nessuna delle grandipotenze aveva alcuna seria intenzione di intervenire: Austria, Russia e Prussia non avevanointenzione alcuna di sfidare l’Inghilterra, che invece proteggeva l’azione di Cavour e del

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Il problemadi Roma

Congiungimentodei due eserciti

Il brigantaggio

L’illusionedi Francesco II

DOCUMENT IL’Italia tra Garibaldi e Cavour,secondo Mazzini

Il 20 luglio 1860, Giuseppe Mazzini pubblicò una durissimo attacco contro il conte di Cavour. All’opposto,il leader democratico celebrava Garibaldi, portatore, a suo giudizio, di una visione radicalmente alter-nativa del futuro dell’Italia. Tutto sommato si può dire che il Generale deluse le aspettative di Mazzini.Lo scritto, però, fece molta impressione sui liberali moderati, che non ebbero molte esitazioni a scio-gliere l’esercito garibaldino, una volta che essi ritennero esaurito il suo ruolo. Nel 1861, il timore di Ca-vour e dei moderati era che l’armata dei volontari, da docile strumento della politica regia, potesse tra-sformarsi in pericoloso soggetto autonomo, in contrapposizione all’esercito del Regno d’Italia.

Escito [sic] dall’aristocrazia del paese e aristocraticoper indole, scettico, senza fede, senza teoria, senzascienza fuorché quella, desunta da Machiavelli, degli in-teressi, Cavour non crede nel popolo, non ama il po-polo. Nato di popolo, democratico per abitudini, edu-cato alla Giovine Italia al culto delle idee, dei principii,Garibaldi ama il popolo e crede in esso. Cavour quindi,aborrendo dall’intervento popolare, è costretto a cer-care altrove un sostegno all’opera propria; e lo cerca inuna potenza straniera, scegliendo fra tutte quella allaquale gli interessi proprii possono suggerire ostilità con-tro l’Austria e le necessità della propria esistenza sug-gerisce opposizione dichiarata a ogni cosa ch’è popoloe rivoluzione: nella Francia Imperiale. Garibaldi cerca lapropria forza in Italia, nel suo popolo, nella mirabile at-titudine guerresca della gioventù, nella sua sete di Pa-tria, nella potenza iniziatrice dell’insurrezione, nelle im-mense forze d’un paese chiamato a salvar se stesso.[…] Sta dietro Garibaldi l’Italia non officiale, l’Italia delpopolo, l’Italia dei volontari, l’Italia dei giovani, l’Italia diquanti non guardano che al Dovere, sagrificano, com-battono e vincono; l’Italia che freme Unità, l’Italia del-l’avvenire. Cavour ha rapito Nizza all’Italia: Garibaldiha dato all’Italia la Sicilia. Cavour è forzatamente il Mi-nistro dello straniero: Garibaldi è il soldato cittadino della Patria Italiana. E nel momento incui scriviamo, Garibaldi agita nell’animo il disegno di compier con armi italiane l’impresa ita-liana; Cavour tenta ogni modo per incepparlo e stornarlo, lo ricinge d’agenti avversi a lui eall’Unità, e cerca strappargli, con l’annessione immediata, la libertà degli atti e la base d’o-perazioni. Garibaldi raccoglie, invoca armi, danaro ed uomini per l’emancipazione di tuttal’Italia, Cavour move guerra d’inciampi, gelosie e calunnie a chi fu preposto da Garibaldi al-l’intento. Garibaldi grida all’Italia d’insorgere: Cavour manda circolari alle sue milizie e a’ suoiIntendenti, perché impediscano colla forza ogni aiuto che i fratelli tentassero prestare ai fra-telli oppressi per emanciparsi. Fra i due non è dunque accordo possibile. È tempo che l’I-talia lo intenda e scelga fra i due. È tempo che l’Italia, lasciando ogni tentennamento, ogniesitanza funesta, s’annodi tutta intorno all’una o all’altra delle due bandiere. La prima portascritto: Azione, il paese salvi il paese; battaglia di tutti, vittoria per tutti; Indipendenza da ognistraniero; Unità: – Roma, Varese, Palermo – Garibaldi. La seconda: Diplomazia; il paese ab-dichi e fidi ciecamente nelle arti governative; alleanze col dispotismo straniero; Roma al Papa,al Protettorato imperiale, federazione di principi; Plombières; Villafranca, Nizza – Cavour. Puòesser dubbia la scelta?

L. VILLARI (a cura di), Il Risorgimento. Storia, documenti, testimonianze 7. 1860-1870. Dall’unificazione aRoma capitale, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2007, pp. 189-193

Spiega l’espressione (tipicamente ottocentesca) secondo cui Cavour agiva aborrendodall’intervento popolare.

Spiega l’espressione: potenza iniziatrice dell’insurrezione.Spiega i seguenti termini, con i quali Mazzini condensa la strategia di Cavour: Plombières;

Villafranca, Nizza.

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Garibaldi e Mazzini sistringono la mano,dipinto del XIX secolo(Torino, Museo delRisorgimento).

Regno di Sardegna. Rendendosi conto della sua inutilità, lo stesso Napoleone III, il 19gennaio 1861, decise di ritirare la flotta francese. Il 13 febbraio 1861, il re e la famigliareale abbandonarono Gaeta e la fortezza si arrese. Nell’insieme pare che – a causa del-le bombe e del tifo – siano morti durante l’assedio 895 soldati borbonici, cui vanno ag-giunti circa 100 civili. La resistenza militare borbonica, tuttavia, non era del tutto esaurita, in quanto resisteva-no ancora le due fortezze di Messina e di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo. Ilgenerale Cialdini ebbe l’ordine di ottenere la resa della piazzaforte siciliana prima dellariunione del nuovo Parlamento che, a Torino, avrebbe proclamato re d’Italia Vittorio Ema-nuele II di Savoia. Come a Gaeta, anche a Messina furono impiegati i nuovi e potenti can-noni rigati, con il risultato che la fortezza si arrese il 12 marzo. Civitella del Tronto capi-tolò invece il 20 marzo. In questa regione, tuttavia, la guarnigione aveva già intessuto so-lidi legami con i briganti. Negli Abruzzi, pertanto, non ci fu alcuna cesura né soluzionedi continuità tra guerra regia, combattuta da soldati in uniforme, e guerriglia, sprezzan-temente liquidata come brigantaggio dalle autorità italiane, che impiegarono anni e mi-gliaia di uomini per pacificare il Meridione italiano.

Garibaldini e borbonici: il destino degli sconfittiI liberali monarchici e moderati, che trovarono in Cavour una guida valida e per moltiversi geniale, vanno considerati i veri vincitori del Risorgimento italiano, mentre è ovvioche il progetto mazziniano – democratico e repubblicano – uscì sconfitto, tant’è vero cheil fondatore della Giovine Italia espresse un giudizio durissimo e sprezzante sulla nuovaentità politica sorta nel 1861. Garibaldi stesso, tuttavia, dev’essere considerato un per-dente, malgrado il contributo determinante che offrì al successo di Cavour e di VittorioEmanuele II.Il re di Sardegna aveva guidato personalmente le truppe piemontesi, nell’ultima fase del-la guerra del Sud, ma non si degnò mai di onorare della sua presenza le truppe garibaldi-ne che, tutto sommato, erano imbarazzanti per il radicalismo politico di molti elementidegli ufficiali e della truppa. Pare che già l’11 novem-bre 1860 il ministro della Guerra, generale ManfredoFanti, abbia proposto al sovrano di sciogliere il più ra-pidamente possibile l’esercito meridionale. L’ope-razione fu iniziata in effetti il 16 novembre, e in po-che settimane furono congedati migliaia di volontari;per primi, furono licenziati i meridionali, cioè coloroche si erano aggregati alle truppe di Garibaldi in Sici-lia e nel corso del tragitto verso Napoli. Un’appositacommissione, poi, valutò con estrema pignoleriaquanti e quali ufficiali garibaldini accogliere nel nuo-vo esercito del Regno d’Italia: alla fine del percorso bu-rocratico, nel dicembre 1862, su 7000 ne furono man-tenuti in servizio soltanto 1584. Garibaldi tentò un’ultima difesa dei suoi uomini in-tervenendo alla Camera dei deputati, durante il tem-pestoso dibattito che ebbe luogo in quella sede nei gior-ni 18-20 aprile 1861. Il Generale, però, non riuscì afar mutare l’orientamento di fondo del governo, chenon si fidava dei volontari. Cavour e Fanti temeva-no che, se fosse stata conservata una forza operativa didimensioni consistenti, Garibaldi avrebbe potuto uti-lizzarla per una spedizione contro Roma o contro il Ve-neto (ancora sotto l’Austria), compiendo un gesto cheavrebbe scavalcato il governo e messo lo Stato italia-

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Francesco II siarrende e si ritira

I soldati del renelle file dei briganti

Angelo Trezzini,Il soldato ferito,1865-1870 (Milano,Fondazione Cariplo).

no in gravi difficoltà. Quanto agli ufficiali, si sapeva che molti di loro erano mazziniani,democratici e repubblicani; quindi, si temeva che un massiccio inserimento di questi ele-menti nell’esercito regolare avrebbe indebolito la fedeltà del corpo ufficiali alla monarchia.Tutto sommato, quindi, pare lecito inserire i garibaldini tra i vinti del Risorgimento.La situazione più difficile fu quella che dovettero affrontare i soldati e gli ufficiali che sierano arresi a Capua (in totale, circa 10 500 uomini); dapprima furono condotti a Na-poli in treno, poi a Genova in nave e, infine, dispersi in varie carceri e centri di raccoltadel Nord Italia. Furono liberati solo nel 1863, a seguito dell’amnistia emanata per riconciliarei garibaldini che avevano partecipato alla sfortunata impresa dell’Aspromonte. Fino a quel-la data, i più sfortunati furono internati nella fortezza di Fenestrelle (in Piemonte) e aSan Maurizio Canavese (in provincia di Torino): si trattava di uomini che si rifiutavanocategoricamente di entrare a far parte nel nuovo esercito italiano ed anzi si dichiaravanoancora fedeli al re di Napoli. Poiché nel Sud il brigantaggio era più vivo che mai, le au-torità militari non si fidavano a rimandarli alle loro case. Secondo i calcoli più recenti,erano circa 1000 i detenuti di Fenestrelle e 6000 quelli di San Maurizio. Anche coloroche furono liberati, però, furono considerati soggetti infidi e pericolosi, tenuti sotto stret-to controllo da parte delle forze di polizia e, spesso, vittime di arresti arbitrari, perquisi-zioni e altri abusi di potere, a causa del contesto di continua emergenza e del clima di la-tente guerra civile che caratterizzò l’Italia del Sud negli anni 1861-1870.

R i fe r i me n t i s t o r i o g r af i c iIl sostegno dell’Inghilterra alla spedizione

dei MilleSenza il consenso della principale potenza marittima dell’Ottocento, non sarebbe stato possibile al-

cun mutamento politico nel cuore del Mediterraneo. L’Inghilterra, in effetti, dapprima sostenne Cavournegli anni 1856-1859, e poi diede un contributo decisivo al successo della spedizione dei Mille. Su que-st’ultima vicenda, la documentazione, ovviamente, è lacunosa, perché gli accordi – se ci furono dav-vero, in termini formali – furono tenuti nascosti e segreti. Resta che il governo inglese, consapevole del-l’appoggio di cui godeva Garibaldi presso l’opinione pubblica britannica, come minimo non fece nullaper ostacolarlo: anzi, secondo alcuni studiosi, gli fornì un appoggio ed un sostegno che risultarono de-terminanti.

Così Garibaldi descrive lo sbarco dei Mille a Marsala nelle sue Memorie: «Il primo pro-getto di sbarco fu per Sciocca, ma il giorno essendo avanzato, e temendo d’incontrare in-crociatori nemici, si prese la determinazione di sbarcare nel più vicino porto di Marsala: 11maggio 1860. […] Gli incrociatori borbonici da guerra avevano lasciato il porto di Marsalanella mattina. S’erano diretti a levante, mentre noi giungevamo da ponente, e si trovavanoalla vista verso capo San Marco, quando noi entrammo. Dimodoché quando essi giunseroa tiro di cannone, noi avevamo già sbarcato tutta la gente del Piemonte, e si principiava losbarco del Lombardo [Piemonte e Lombardo sono i nomi delle due navi che trasportaronoin Sicilia da Quarto i 1089 volontari di Garibaldi, n.d.r.]. La presenza dei due legni da guerraInglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de’ legni nemici, naturalmente im-pazienti di fulminarci; e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera diAlbione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di sangue umano; edio, beniamino di codesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto». […]

Lo sbarco dei garibaldini a Marsala, tra le 13 e le 16 dell’11 maggio 1860, dette subitoluogo ad una vivace polemica diplomatica tra il Regno delle Due Sicilie, appoggiato princi-palmente dalla Russia, da una parte, e il Regno di Sardegna e l’Inghilterra dall’altra. Nellanota di protesta per l’atto di «selvaggia pirateria» consumato da un’«orda di briganti», con-segnata il giorno dopo dal ministro degli esteri napoletano, Luigi Carafa, ai rispettivi rap-presentanti a Napoli, Salvatore Pes di Villamarina e sir Henry Elliot [agli ambasciatori del Re-gno di Sardegna e del Regno Unito in servizio a Napoli, n.d.r.], si sottolineava infatti che «iregi legni» della marina borbonica avevano a tiro le due navi dei «briganti», ma che il fuoco

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«dovette essere sospeso per dar tempo a due vapori inglesi,colà giunti poche ore prima, di prendere a bordo dei loro uf-ficiali che si trovavano in terra, e che, imbarcati, gli stessi va-pori riprendessero il largo, ed allora soltanto poté il fuoco ri-cominciare su quei pirati, senza però poterne più impedire losbarco in Marsala». Le ricerche recentemente condotte daMariano Gabriele al Public Record Office, carte dell’Ammi-ragliato, consentono ora di precisare che il governo inglese,anche per effetto delle polemiche parlamentari avutesi in pro-posito a Londra, chiese al comando navale di Malta un re-soconto dettagliato degli eventi svoltisi nelle acque del portodi Marsala l’11 maggio. Quel comando rispose già il 15maggio, trasmettendo il rapporto del comandante di unadelle due navi da guerra inglesi presenti a Marsala, «che ef-ficacemente contesta l’asserzione che il fuoco delle navi na-poletane fu impedito dalle navi di Sua Maestà». Elliot fu in-caricato di darne conoscenza al governo napoletano e diprotestare quindi contro la versione da questo sostenuta«come completamente ingiustificata alla luce dei fatti». […] IlMinistro degli Esteri napoletano rispose, dopo lunga rifles-sione, il 28 maggio, con una nota inconsueta. Mentre riba-diva e meglio illustrava il punto di vista napoletano, accettava,si può ben dire obtorto collo [costretto dalle circostanze, im-possibilitato a fare altrimenti, n.d.r.], quello inglese […]: «Si ri-conosce francamente che, né con intenzione né senza,quelli Uffiziali della Real Marina di Sua Maestà Britannica ab-biano preso parte alcuna di poter impedire o ritardare le ope-razioni dei legni napoletani». […]

Non avendo i condizionamenti di Carafa né gli scrupoli storiografici del Gabriele, che nellasua ricerca al Public Record Office non ha trovato nessun documento esplicitamente atte-stante un preventivo accordo tra Garibaldi e la marina inglese, mi affido anch’io, come eglifa in conclusione, alla testimonianza di Garibaldi riportata all’inizio del capitolo, interpretan-dola però in quel che mi pare il suo più autentico significato: un euforico ringraziamento allamarina inglese per il ruolo da essa avuto nello sbarco dei Mille, perché con la sua presenzaaveva consentito che prendessero terra senza alcuno spargimento di sangue. Di qui le en-fatiche espressioni di essere stato «beniamino di codesta signora degli Oceani» e, ancorauna volta, il suo «protetto». […] Si fa torto alle capacità di condottiero, pur ardito e animoso,di Garibaldi con il ritenere che egli abbia progettato uno sbarco in un porto, e non, comesempre si fa in territorio nemico, su una spiaggia discretamente lontana da alture, senza es-sersi assicurata una adeguata protezione. È vero che Garibaldi nega, in modo per vero al-quanto tenue, nelle sue Memorie l’esistenza di un accordo, ma non stava certo a lui rom-pere l’impegno della segretezza preso sia con gli inglesi che con il governo sardo. Se si hastima di Garibaldi, se si ha presente la sua storia personale, il suo fervente ardore di vederel’Italia unita e indipendente, che portò lui repubblicano, se non proprio mazziniano, a mu-tare fede e aderire alla causa monarchica come punto di riferimento essenziale per rag-giungere l’unità e l’indipendenza del Paese, non si toglie nulla al grande valore del perso-naggio e al contributo determinante da lui offerto all’unità d’Italia, se si cerca di far uscireun po’ dal mito lo sbarco dei Mille a Marsala e si guarda d esso con gli occhi della ragione.[…] La preoccupazione di mantenere l’equilibrio del Mediterraneo a suo favore portava l’In-ghilterra a vedere di cattivo occhio il Regno delle Due Sicilie, non tanto per il suo dispoticoregime interno, sempre criticato a Londra, quanto, e soprattutto, per la sua dipendenza po-litica dalla Russia; ma c’era anche il timore che fosse la Francia ad egemonizzare l’Italia me-ridionale mettendo un suo uomo sul trono di Napoli. È pertanto facile comprendere perchél’Inghilterra decise di appoggiare la spedizione garibaldina in Sicilia, prima favorendone losbarco protetto a Marsala, poi facendo da «neutrale mediatore» per la resa delle truppe bor-boniche a Palermo il 6 giugno, e, infine, bloccando le navi francesi in nome del principio dinon intervento negli affari interni italiani per consentire lo sbarco dei garibaldini sulla costacalabrese il 18 agosto. A differenza di queste ultime due, la prima operazione dovette es-sere condotta non in modo palese ma riservatamente, cosa che le riusciva abbastanza fa-cile, agendo attraverso i suoi fiduciari [agenti di fiducia, n.d.r.] a Genova e attraverso il co-mando navale di Malta.

P. PASTORELLI, 17 marzo 1861. L’Inghilterra e l’Unità d’Italia, Soveria Mannelli,RUBBETTINO, 2011, pp. 63-67 e 66-69

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Quali termini usa ladiplomazianapoletana, perdefinire igaribaldini?All’azione diGaribaldi vengonoriconosciute unavalenza ed unamotivazione di tipopolitico?

Spiega l’espressione:far uscire un po’ dalmito lo sbarco deiMille a Marsala.

Per quali ragionil’Inghilterra guardòcon interesse allaspedizione dei Mille?

Per quali motivi erain contrasto con ilregno delle DueSicilie?

Quale altra potenzaaspirava al controllodell’Italiameridionale?

Auguste Estienne,Ritratto giovanile diGiuseppe Garibaldi,dipinto del 1856(Parigi, Musée del’Armée).

Dalla guerra del Sud al brigantaggio politicoCavour e Vittorio Emanuele II giustificarono l’intervento delle truppe piemontesi nel Regno delle Due

Sicilie affermando che l’Italia meridionale era in preda al caos e all’anarchia, dopo la partenza del reFrancesco II da Napoli il 6 settembre 1860. Negli Abruzzi e in altre regioni, la popolazione accolse i sol-dati del Regno di Sardegna come invasori e conquistatori: in varie località, non ci fu alcuna soluzionedi continuità tra la guerra del Sud e il cosiddetto brigantaggio.

La lettera di Cavour al barone Antonio Winspeare, inviato straordinario e ministro pleni-potenziario [investito di pieni poteri decisionali, n.d.r.] delle Due Sicilie nella capitale pie-montese, venne consegnata il 6 ottobre, appena quattro giorni dopo la battaglia del Volturno.Scrisse il capo del Governo di Vittorio Emanuele II: «I fatti che accaddero a Napoli negli ul-timi mesi avevano già determinato il governo del Re a spedire in quel porto alcune navi daguerra con truppe destinate a guarentire [garantire, n.d.r.] la sicurezza dei sudditi Sardi. D’al-lora in poi la condizione delle cose in quella città divenne sempre più grave: il Re France-sco II abbandonò la sua capitale ed abdicò così di fatto in faccia ai suoi. La guerra civile cheferve nel territorio Napoletano e la mancanza di un governo regolare fanno correre estremipericoli ai grandi principii sui quali riposa l’ordine sociale. In tali emergenze la cittadinanzaed i Corpi costituiti della città di Napoli mandarono indirizzi muniti d’innumerevoli firme a S.M.il Re Vittorio Emanuele per implorare il soccorso… Il Re, mio Augusto Sovrano, ordinò l’in-vio di un corpo di truppe a Napoli». […]

Il proclama del re del Piemonte, indirizzato ai «popoli dell’Italia meridionale», venne dif-fuso il 9 ottobre 1860 da Ancona. Vi si leggeva: «Le mie truppe si avanzano fra voi per raffor-zare l’ordine: io non vengo ad imporvi la mia volontà, ma a fare rispettare la vostra. Voi po-tete liberamente manifestarla: la Provvidenza, che protegge le cause giuste, ispirerà il votoche deporrete nell’urna. Qualunque sia la gravità degli eventi, io attendo tranquillo il giudi-zio dell’Europa civile e quello della storia, perché ho la coscienza di compiere i miei doveridi re e d’Italiano. In Europa la mia politica non sarà forse inutile a riconciliare il progresso deipopoli colla stabilità delle monarchie. In Italia so ch’io chiudo l’era delle rivoluzioni».

La macchina da guerra dell’esercito regolare piemontese si metteva in moto verso la«bassa Italia». Cominciava la seconda parte della conquista militare delle Due Sicilie. Già dalmattino del 7 ottobre, due giorni prima del proclama del re piemontese, il IV e il V Corpo d’Ar-mata, al comando dei generali Enrico Cialdini ed Enrico Morozzo della Rocca, si misero inmarcia, dopo aver occupato Marche e Umbria. La meta iniziale era Pescara, per proseguireverso Chieti e Isernia e confluire tra il Volturno e il Garigliano fino al piano di Capua. […] L’in-vasione cominciò in una regione dove i borbonici, alle prese con le truppe garibaldine sulVolturno-Garigliano, avevano lasciato solo pochi battaglioni. Era il vero punto debole in quelmomento, lasciato sguarnito per forza di cose, che rendeva non difficile l’entrata nel Regno:

il territorio dei tre Abruzzi [l’area montuosa, quella collinare equella più vicina al mare, n.d.r.] e del contado del Molise. […] Mala regione era tutt’altro che ostile alla dinastia Borbone. France-sco II aveva spedito a Isernia il maggiore Achille de Liguoro surichiesta delle popolazioni locali. E i garibaldini capirono prestoche in quella zona le simpatie nei loro confronti non erano diffuse.Contadini e volontari si allearono con le colonne di de Liguoro,unendosi a loro. Un battaglione garibaldino venne massacrato,lasciando sul terreno 40 morti, 55 prigionieri e decine di feriti. Il17 ottobre, anche la colonna garibaldina al comando del colon-nello bergamasco Francesco Nullo, giunta da Napoli, venne an-nientata a Pettoranello. Il comandante dei garibaldini era statopreceduto da grande fama militare: era uno dei 1089 sbarcati aMarsala; ferito in combattimento, non aveva mollato la bandieradel reggimento. Guidava tre battaglioni, denominati Etna, Maiellae Gran Sasso, per un totale di circa 1000 uomini. Vennero scon-fitti dal maggiore de Liguoro, con 160 gendarmi, uniti a conta-dini e soldati locali. I prigionieri garibaldini furono oltre 372.

In tutta la regione agivano diverse bande di volontari fedeli aFrancesco II. La più consistente era guidata da Teodoro Salzillo,un ricco possidente di Venafro, che aveva raccolto al suo co-mando circa 1000 volontari. Erano una milizia composita, for-mata da guardie urbane, ex soldati sbandati o congedati, gen-darmi fedeli al re Borbone. Gli uomini di Salzillo occuparono paesicome Fornelli e Venafro, combattendo a Pettoranello e Isernia.

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Scena di brigantaggio,metà del XIX secolo

(Bologna, Museo Civicodel Risorgimento).

I volontari si allearono per diversi giorni con la colonna di de Liguoro e rappresentarono unavera spina nel fianco per le truppe regolari piemontesi. Così, mentre anche il castello di Baia,nei dintorni di Napoli, si arrendeva, il re si rese conto che, oltre che sulle truppe regolari, po-teva contare anche sulla fedeltà di gran parte dei suoi sudditi, sull’insofferenza dei conta-dini, sulla voglia di battersi di molti soldati congedati o sbandati. Soldati che, dopo aver ac-cumulato tanta diffidenza verso gli ufficiali borbonici, preferivano combattere da soli control’usurpatore piemontese. Quel bacino di ribellione e fedeltà alla Patria napoletana, concen-trato tra Abruzzi e Molise, sarebbe sfociato, dopo la resa di Gaeta e per tutto il periodo com-preso tra il 1861 ed il 1863, nel brigantaggio cosiddetto politico, che si sarebbe esteso so-prattutto in Lucania, Puglia, Campania, Abruzzi, Calabria. Per il momento, era una forma diresistenza all’invasore affiancata all’esercito regolare ancora presente nel Regno, una truppadi volontari che il re decise di riconoscere formalmente, nominando alla sua guida dei capidi sua stretta fiducia. […]

Quali fossero le idee sulla «campagna nella Bassa Italia» che circolavano tra gli ufficialipiemontesi, gli abitanti delle Due Sicilie lo scoprirono presto. […] Arrivato a Isernia, dove siera installato il quartier generale delle truppe, il luogotenente generale Manfredo Fanti [rap-presentante ufficiale del re durante la campagna militare del 1860, nonché ministro dellaGuerra, n.d.r.] pubblicò un bando, che era una vera e propria minaccia. Scriveva Fanti: «Gliatti nefandi che si vanno commettendo in alcuni paesi da bande armate e brigantaggio vo-gliono essere repressi. S. M. Vittorio Emanuele, nell’intento di ripristinare l’ordine, di tutelarel’onore, la vita, le sostanze degli abitanti e di pacificare il paese, ha ordinato che siano sot-toposti e giudicati da tribunali militari straordinari convocati dall’armata a termini del codicemilitare: 1° i prevenuti in atti di brigantaggio, di saccheggio, di incendi, di ferimenti e di uc-cisioni; 2° tutti coloro che, non appartenendo all’esercito regolare del Governo di Gaeta, op-pongono resistenza alle truppe di Sua Maestà, o si mantengono armata mano in fuori delleistituzioni della guardia nazionale approvata dalle autorità legalmente costituite». Una sortadi avviso a chi pensava di resistere contro quei soldati che riteneva stranieri. Il bando eradel 23 ottobre 1860. […] Con l’invasione piemontese, si codificava la prassi che i Tribunalidi guerra potessero giudicare anche i civili che si ribellavano al nuovo ordine. Nonostantepotessero essere considerati dei partigiani di Francesco II, che in fondo era ancora impe-gnato a combattere per difendere il suo trono, vennero invece ritenuti «ribelli al nuovo or-dine». […] Nelle province meridionali, per almeno cinque anni, a dettare legge furono i mili-tari: i soldati di re Vittorio Emanuele II.

G. DI FIORE, I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli,UTET, Torino 2005, pp. 99-102 e 110-11

I sogni di Garibaldi e lo scioglimentodell’esercito meridionale

Durante le guerre napoleoniche, in Prussia e in altre regioni della Germania fece la sua comparsala figura del volontario. Organizzati in milizia territoriale (o Landwehr), i volontari erano l’espressionedella nazione armata, determinata a cacciare l’invasore francese. Garibaldi assunse questo preceden-te tedesco e sognò a lungo un popolo italiano che, armato e compatto, insorgesse contro lo stranieroe contro i sovrani alleati dell’Austria, per conquistare con le proprie forze unità e indipendenza.

Garibaldi, come sappiamo, era partito da Quarto e sbarcato a Marsala con un grandiosoprogramma: chiamare alle armi i siciliani, e poi le popolazioni del Napoletano, con una spe-cie di leva in massa, e far valanga poi verso Roma, liberare l’Umbria e le Marche, quindi ri-salire fino al Po, trascinando la monarchia e l’esercito regio alla guerra per la liberazione delVeneto. Già nel settembre-ottobre 1859 promuoveva la sottoscrizione per il milione di fucili[chiedeva che tutti gli italiani contribuissero, con il loro denaro, all’acquisto di un milione difucili, da distribuire alla popolazione, in modo da trasformarla in una vera nazione in armi,n.d.r.]; l’eroe proclamava la necessità che l’Italia avesse al più presto 500 000 uomini armatia tale scopo. L’esercito regio sul Mincio [il fiume lombardo che, dal 1860 al 1866, segnavail confine con il Veneto austriaco, n.d.r.] sarebbe stato coadiuvato sul Po dall’esercito dellarivoluzione, il quale avrebbe dovuto avere la funzione della Landwehr prussiana nel 1813 nellaguerra di liberazione contro Napoleone, rappresentando l’elemento ardimentoso e agile difronte all’esercito regolare, più lento, burocratico, metodico. Sogno grandioso, ma sogno.L’Italia meridionale non era la Prussia del 1813; e i contadini siciliani avrebbero innanzi tuttoatteso dalla rivoluzione un miglioramento delle loro misere condizioni di vita, e la chiamatadei siciliani alle armi, proclamata già a Salemi il 14 maggio, era stata nell’insieme una grande

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Quale significato haavuto, secondoCavour, la partenzadi Francesco II daNapoli? Fino a chepunto apparelegittima taleinterpretazione?

A chi era rivolto ilproclama emanatoda Vittorio EmanueleII il 9 ottobre 1860?

Esamina quantoscrisse il reVittorio Emanuele IIil 9 ottobre e ilcontenuto delproclama di Fanti,datato 23 ottobre.I due testi sirivolgono agli stessisoggetti? Tra loro,c’è coerenza ocontraddizione?

delusione; nella parte continentale poi lamassa dei contadini non solo non s’era unitaai garibaldini, ma presto aveva iniziato, sottoforma di brigantaggio, la reazione. Garibaldiil 1° ottobre 1860, alla battaglia del Volturno,aveva 21 000 uomini, per quasi due terzisettentrionali e toscani, con piena capacitàoperativa, e circa altri 30 000 in gran partemeridionali; reparti volontari e guardie na-zionali mobili si trovavano disseminati nel re-gno, in parte occupati a fronteggiare la rea-zione.

Né questo era tutto. Come s’è visto, l’in-vasione delle Marche e dell’Umbria eranostate attuate col permesso di Napoleonedall’esercito regolare, ma proprio col patto disbarrare in compenso la via di Roma a Ga-ribaldi; il che significava poi in sostanza cheanche la guerra sul Mincio non sarebbe statauna cosa immediata, ma rimandata a tempimigliori. E la fase finale della lotta contro le

fortezze borboniche era stata compiuta dall’esercito regolare. Nel lasciare Napoli per tor-narsene in esemplare povertà a Caprera, l’eroe dei Due mondi, aveva bensì dichiarato ai ga-ribaldini che ci si sarebbe ritrovati nella prossima primavera per compiere l’impresa; ma nes-suno si faceva illusioni. Garibaldi aveva poi raccomandato a Vittorio Emanuele l’esercitomeridionale; e forse il sovrano non sarebbe stato contrario a un compromesso. Ma né il Ca-vour né il Fanti, ministro della Guerra, che pure proveniva dalla rivoluzione, e meno che mail’ambiente militare piemontese, volevano saperne di conservare in vita un organismo che sipresentava come un vero contraltare dell’esercito regolare; proprio quando anche laLandwehr in Prussia, se non era stata affatto eliminata come dichiarava il La Marmora allaCamera, era tuttavia diminuita e assorbita, in parte almeno, dall’esercito regolare. Anche ilproblema degli ufficiali si presentava grave, perché i quadri, specialmente negli ultimi tempi,erano cresciuti in maniera impressionante, tanto da numerare 7000 ufficiali in gran parte im-provvisati, su 50 000 complessivi, mentre l’esercito piemontese nel 1859 aveva 3000 uffi-ciali e 65 000 uomini.

È stato tuttavia rilevato che l’esercito meridionale, specialmente nelle sue formazioni vo-lontarie e di guardie mobili, avrebbe pur sempre potuto avere una importante funzione,quella della pacificazione del Mezzogiorno; il brigantaggio infatti avrebbe potuto esser me-glio combattuto, e con meno spargimento di sangue, dagli stessi elementi meridionali; equanto agli ufficiali, pur ammettendo che erano molti, troppi, e di assai svariata origine, eche andava quindi fatta una notevole selezione, si doveva pur tuttavia tener presente chenon mancavano affatto anche elementi buoni e ottimi, e che anche il lato sociale della que-stione andava tenuto presente, colla necessità di dare una posizione a tanti piccoli borghesicui l’attività industriale non offriva un maggior sfogo, come nel Nord. Parve inoltre un’ini-quità che mentre si accoglievano nell’esercito regolare elementi dell’esercito austriaco e deiducati, dell’esercito pontificio e di quello borbonico, per non parlare dell’esercito toscano,[…] si fosse così severi nell’accogliere elementi dell’esercito garibaldino, il quale vantavadelle grandi innegabili benemerenze. Poté così sembrare che l’esercito regio calasse nelMezzogiorno con lo scopo soprattutto di eliminare quell’esercito cui si doveva la parte fon-damentale nella lotta che, dopo Villafranca, aveva portato all’unità d’Italia. Confluirono aspingere il governo, presieduto da Cavour, a quest’opera non simpatica, non solo il timoreche Garibaldi, movendo contro Roma, potesse trascinare a una guerra contro la Franciae contro l’Austria contemporaneamente, rovinando colla sua generosa impazienza quantogià per merito suo e di altri si era quasi miracolosamente raggiunto, ma pure il timore grandeche repubblicani e sovversivi si trovassero ad avere un loro strumento di guerra fra le manie che siffatti elementi non avessero [riuscissero, fossero in grado, n.d.r.] ad inquinare l’e-sercito; che troppi individui, infine, i quali non avevano quasi nessuna preparazione tecnica,e quasi non avevano fatto guerra, e solo profittavano delle circostanze, contribuissero purea guastare uno strumento tuttora delicato e che con grande sforzo si cercava di migliorare.Questo senza parlare della vecchia radicata ostlità dell’elemento militare e conservatore adutilizzare le forze popolari.

P. PIERI, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Einaudi, Torino 1962, pp. 731-733

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F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Spiegal’affermazionesecondo cui lamassa dei contadinipresto aveva iniziato,sotto forma dibrigantaggio,la reazione.

Spiegal’affermazionesecondo cuil’esercitomeridionale eraun vero contraltaredell’esercitoregolare.

Quali vantaggi socialiavrebbe potutooffrire, a moltiesponenti dellapiccola borghesiadel Mezzogiorno,la conservazionedell’esercitomeridionale?

Garibaldi immaginatoa Caprera negli ultimianni della sua vita neldipinto di Baldassarre

Longoni, Tramontodi una coscienza serena,

1908 (Milano,Accademia di Brera).