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Provincia di Bergamo Settore Politiche Sociali La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario ATTI DEL CONVEGNO DEL 6 NOVEMBRE 2007 STRUMENTI OPERATIVI PRODOTTI DAL TAVOLO PROVINCIALE: - Guida al ritorno a casa I a edizione - Guida al ritorno a casa II a edizione - Sostenere Percorsi dentro e fuori casa

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Provincia di BergamoSettore Politiche Sociali

La gravecerebrolesione acquisita.Costruire qualità di vitatra sociale e sanitario

• ATTI DEL CONVEGNO DEL 6 NOVEMBRE 2007• STRUMENTI OPERATIVI PRODOTTI DAL TAVOLO PROVINCIALE:

- Guida al ritorno a casa Ia edizione- Guida al ritorno a casa IIa edizione- Sostenere Percorsi dentro e fuori casa

Coordinamento editoriale:Silvano Gherardi – Dirigente del Settore

La pubblicazione è a cura di:Simona Colpani – Pedagogista, Consulente del SettoreAlessandra Piantoni – Settore Politiche Sociali

Stampa:Studio Lito Clap snc - Bergamo

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INDICE

PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7

I SALUTI ISTITUZIONALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9

Bianco Speranza, Assessorealle Politiche Sociali della Provincia di Bergamo . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9

Mirio Bocchi, Presidentedel Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13

Luciano Nicoli, ResponsabileUnità Operativa Attività Socio-Sanitarie Disabili . . . . . . . . . . . . . . . pag. 17

Marco Salmoiraghi, Direttore SanitarioOspedali Riuniti di Bergamo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 19

SESSIONE MATTUTINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 21

Giovanni Pietro Salvi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23La Conferenza Nazionale di Consenso: da Modena 2000 a Verona 2005

Mariangela Taricco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 27Qualità di vita, opportunità di scelta, ruolo delle famiglie dei soggetti congcla. Risultati di un gruppo di lavoro della Conferenza di consenso di Verona

Antonio De Tanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37Analisi dei profili di bisogno sociale e sanitario, delle persone con GCAe delle loro famiglie. Individuazione dei criteri per la definizione deipercorsi di presa in carico

Giambattista Guizzetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 49La Conferenza di Roma e gli Stati Vegetativi

DIBATTITO A CONCLUSIONE DELLA MATTINATA . . . . . . . . pag. 55

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SESSIONE POMERIDIANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 63

Giovanni Melizza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 65Dall’ospedale al territorio

Stefano Pelliccioli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 75La ricerca di una nuova identità. L’esperienza delle famiglie

Giancarla Panizza, Viviana Vertua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 79Tutta l’autonomia possibile: l’esperienza di due Cooperativedel territorio bergamasco

Alberto Bacchini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 99Un esempio di buona prassi: la Special Bergamo Sport e lo sport

Elena Poma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 107Esplorazione di un bisogno aperto. Quali prospettive?

Luciano Nicoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 117Il ruolo dell’ASL attuale e futuro

Simona Colpani, Valter Tarchini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 125Il tavolo provinciale sulle lesioni cerebrali e vertebromidollari.Storia e prodotti

ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133

GUIDA AL RITORNO A CASA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 134

GUIDA AL RITORNO A CASA IIa versione . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 140

SOSTENERE PERCORSI DENTRO E FUORI CASA . . . . . . . . . . pag. 147

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Le disabilità acquisite sono una realtà in continuo aumento e riguardano,oggi, non solo la popolazione anziana, ma anche quella giovane.

Le patologie degenerative nell’anziano (Alzheimer, Parkinson,..), gli inci-denti domestici, quelli stradali, per citare solo alcuni dei possibili esempi, sonooggi gestiti con tecniche mediche che offrono risultati che, solo una decina dianni fa, erano insperati. Il rovescio della medaglia è che, a fronte di tante per-sone salvate e curate, ne permane un significativo numero che riporta graviconseguenze.

Il convegno di cui pubblichiamo gli atti ha preso in considerazione solo unaparte della problematica sopra descritta: quella delle gravi cerebrolesione ac-quisite, soprattutto in relazione ad un evento traumatico.

Pur non essendoci dati statistici complessivi, i medici che hanno in caricoqueste situazioni in provincia di Bergamo riferiscono che si può complessiva-mente parlare di circa un nuovo caso alla settimana di persone tra i 15 e i 50/55anni che riporta gravi o gravissime conseguenze provocate dalla suddettacausa, ossia la lesione cerebrale di origine traumatica.

Seppure sia un numero in significativo aumento ogni anno, la quantità di si-tuazioni che un’assistente sociale di un comune può trovarsi a seguire è, per ilmomento, esigua o nulla. Questo dato ha una ricaduta concreta sulla tipologiadi servizi: seppur venga raccomandato di non considerare il percorso di unapersona con disabilità acquisita alla pari di una persona con disabilità conge-nita, la realtà ad oggi della provincia di Bergamo è che esiste un solo CentroDiurno dedicato alle persone con disabilità acquisita.

Se la quantità di soggetti presenti ad oggi nei comuni può essere elementoche contiene la partecipazione a momenti di formazione, è pur vero che, perogni persona - in gran parte ancora giovane - colpita da un evento come que-sto, così come per i suoi familiari, è assolutamente necessario essere in gradodi offrire informazioni e forme di accompagnamento competenti.

PRESENTAZIONE

Per le ragioni sopra descritte il problema delle persone con gravi lesioni ce-rebrali da evento traumatico è oggi un problema percepito come urgente moltopiù dal mondo sanitario che da quello sociale, tanto che, a fronte di una nu-merosa e qualificata partecipazione, anche da fuori provincia, di figure afferential mondo medico e riabilitativo, il numero di operatori sociali ed educativi cheha partecipato al convegno è stato esiguo.

Per questo motivo abbiamo ritenuto importante la pubblicazione degli atti:ci auguriamo che questo testo possa offrire cornici di significato e spunti ope-rativi a cui, nel momento in cui vi sia l’esigenza, ogni assistente sociale odeducatore o figura che intenda conoscere ed approfondire l’argomento possaattingere.

L’Assessore alle Politiche Sociali Il PresidenteBianco Speranza Valerio Bettoni

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Grazie. Buongiorno anche da parte mia. Voglio ringraziarvi intanto per la partecipazione ai lavori di questa giornata, inparticolare ringrazio i relatori per il loro contributo significativo, per la pro-fessionalità e l’esperienza su questo tema. Sono contento e orgoglioso di presentare oggi questo importante convegno, daltitolo “Grave cerebrolesione acquisita, costruire qualità di vita tra sociale e sa-nitario”, che affronta in particolare il momento delle dimissioni da una strut-tura ospedaliera che, idealmente desiderato da tutti, diviene per i familiari diuna persona che ha subito un grave trauma cranico un vero e proprio salto nelvuoto. Le dimissioni sono proprio il punto di connessione tra sanitario e sociale,tra il dentro e fuori. Perché non venga percepito in termini di frattura è indi-spensabile creare dei contesti nei quali i due ambiti si incontrino. Il Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo dal 2004 coordina il Ta-volo di Lavoro che vede presenti le realtà maggiormente significative del ter-ritorio sul tema della grave disabilità acquisita da cerebrolesione e da traumavertebro midollare: gli Ospedali Riuniti di Bergamo con l’Unità di Riabilita-zione di Mozzo, il Centro Don Orione, la Clinica Quarenghi, l’associazione“Amici traumatizzati cranici”, l’associazione “Disabili bergamaschi”, l’asso-ciazione “Genesis” e la cooperativa “Progettazione”.Il primo prodotto del Tavolo è stato il documento “Osservazioni sulla situa-zione presente in provincia di Bergamo e prime ipotesi di lavoro” quale puntodi partenza per le successive azioni.L’anno successivo ha avviato una riflessione sul tema del sollievo, sia sulla ti-picità che sulle caratteristiche di questo bisogno per la famiglia e la personastessa, rapportandolo anche a riflessioni più generali sulla disabilità acquisitacongenita. Contemporaneamente iniziava la Seconda Conferenza Nazionale di

Bianco SperanzaAssessore alle Politiche Sociali della Provincia di Bergamo

I SALUTIISTITUZIONALI

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Consenso alla quale hanno partecipato come attori quasi tutti i componenti checollaborano con noi. Si è quindi scelto di attendere le conclusioni ufficiali chesi sarebbero avute per il giugno 2005 a Verona, così che le azioni da noi pro-mosse al tavolo potessero essere coerenti con le linee guida nazionali.La Conferenza Nazionale ha raccolto attorno ad un unico tema di lavoro i mag-giori esponenti italiani del contesto medico ed ospedaliero, oltre che dell'asso-ciazionismo familiare e della cooperazione. A Verona, in particolare, la ri-flessione si è incentrata sul reinserimento sociale a partire dal tempo vissuto al-l'interno della struttura ospedaliera.Consapevoli che uno dei momenti emotivamente difficili per le famiglie è rap-presentato dalle dimissioni, assumendo esperienze positive messe in campo alivello nazionale abbiamo realizzato “La guida al ritorno a casa” che ha con-cluso in questi giorni i primi sei mesi di sperimentazione. Questo strumentovuole innanzitutto essere un aiuto sia nella vita quotidiana sia quando si decidedi contattare i servizi sociali del territorio. Il Tavolo di Lavoro Provinciale hainfine coinvolto alcuni assistenti sociali quali referenti degli Ambiti Territo-riali e ha elaborato un opuscolo informativo, “Sostenere percorsi dentro e fuoricasa”, destinato non solo ai familiari ma anche alle persone che a diverso titoloentrano in contatto con questa realtà: amici, vicini di casa, colleghi di lavoro.La Provincia di Bergamo vuole qui presentare le azioni condivise e promossesul nostro territorio. La giornata di oggi nella sua impostazione presenta contenuti diversificati. Lasessione mattutina, coordinata dal dottor Francesco Biroli, direttore del Di-partimento di Neuroscienze degli Ospedali Riuniti di Bergamo, che ringrazioanche per la sua competenza, vedrà l'intervento di relatori illustri che ci porte-ranno le riflessioni e le conclusioni della Conferenza Nazionale di Consenso.Alla sessione pomeridiana parteciperanno realtà attive sul nostro territorio: gliOspedali Riuniti di Bergamo, le associazioni dei genitori, le cooperative, un’as-sociazione sportiva, gli Ambiti Territoriali rappresentati dall’Assessore di Se-riate Elena Poma, e l’Asl di Bergamo con il dottor Luciano Nicoli responsabiledell’Unità Operativa Attività Socio-Sanitarie Disabili. Infine la dottoressa Si-mona Colpani consulente dell'Assessorato Politiche Sociali, con Valter Tar-chini che ha supportato l'ultima fase di lavoro, porteranno spunti di riflessionisu storia e prodotti del tavolo provinciale.Le persone con disabilità acquisita da cerebrolesione o da trauma vertebro mi-dollare e le loro famiglie vedono ruotare attorno a sé tante professionalità di-verse con eterogeneità di linguaggi e di competenze che oggi dimostrano ladisponibilità a trovare elementi da condividere. Sono riconoscente alle personeche con costanza partecipano al Tavolo di Lavoro Provinciale. È un momento di confronto che vede fianco a fianco genitori, medici dirigenti,fisiatri, persone che hanno vissuto e che vivono in prima persona un grave

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trauma invalidante e la disabilità acquisita. È un luogo che consente di fare dia-logare punti di vista differenti, anche opposti fra di loro, in relazione ad una re-altà che muta a seconda della prospettiva da cui viene guardata.Con questo convegno ci proponiamo di arricchire le nostre esperienze e fina-lizzarle al reinserimento sociale superando gli aspetti più critici che ostacolanola ricostruzione di una identità personale e sociale. Dobbiamo ricordarci, purtroppo e amaramente, che la grave cerebrolesione ac-quisita e i traumi vertebro midollari continuano ad essere un’epidemia silen-ziosa. Le statistiche ci dicono che negli ultimi 10 anni gli incidenti stradali cheportano queste conseguenze sono raddoppiati nonostante l’aumento dei con-trolli da parte delle forze dell'ordine. Inoltre possiamo rammentare che po-chissime strutture (esattamente 5 su 18 da quanto emerge, se è corretta, da unaricerca SPAN – che è la società di psicologici dell'area neuropsicologica –) di-spongono della presenza di uno psicologo o neuropsicologo dedicato al recu-pero delle funzionalità cognitive e comportamentali.Io termino augurandovi un buon lavoro sperando che la giornata possa essereper ognuno di voi la più proficua possibile. Grazie.

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Grazie di questo invito e di questa opportunitàper i Comuni a parlare ad un convegno cosìimportante. Credo che i Comuni debbano anome dei propri cittadini ringraziare tutti co-loro che si impegnano su questo tema della di-sabilità e soprattutto della disabilità grave perché chi tocca o è costretto atoccare con mano questa esperienza io credo che ancora oggi, nonostantetutto il fervore delle iniziative che si fanno a livello territoriale per venire in-contro a queste famiglie, tocchi con mano come l'organizzazione dei serviziè ancora abbastanza poco efficiente e a volte anche poco efficace. E allora ben venga questo convegno, questa iniziativa della Provincia percercare di mettere a fuoco alcuni aspetti. Io mi limito ovviamente a quelli percui sono qui, che non sono quelli legati agli operatori o ai professionisti diquesto settore ma che sono quelli di un'espressione politica territoriale chesono i Comuni. E non a caso, non per pura iniziativa di rappresentanza, sonoqui anche oggi.I Comuni toccano con mano, come i loro cittadini, questo problema dellagrave disabilità. La prima questione politica che si pone quando si affrontanoquesti temi è quello delle risorse. Insomma senza risorse si può fare tantabuona programmazione o pianificazione, o iniziative, però se non ci sono lerisorse che pagano il sistema di azione territoriale per venire incontro a que-ste questioni così gravi non se ne esce. Il problema delle risorse è un pro-blema critico della bergamasca, ritorna frequentemente il tema delle risorseperché Bergamo non è per nulla premiata, invece, per la sua capacità diazione e di programmazione. Bergamo ha un forte tessuto sociale, un for-tissimo tessuto familiare che regge ancora, una forte presenza del volonta-riato o dell'associazionismo, una grande capacità di iniziativa da parte diprofessionisti. Io credo che manchi ancora in quel settore importantissimodei rapporti politici, e quindi anche nello spostamento della forza politica,che è proprio l'iniziativa istituzionale e politica del territorio bergamasco.La Regione Lombardia non fa di suo questo sforzo di premiare le realtà ter-ritoriali più virtuose come la nostra e alla fine ci troviamo con un territoriopieno di problemi con risorse molto scarse. Siccome però poi chi ammini-stra gli enti locali sa che alla fine bisogna riuscire a trovare una soluzioneecco che la nostra provincia e il nostro territorio, i nostri comuni, trovano il

Mirio BocchiPresidente del Consiglio di Rappresentanzadei Sindaci

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modo per sopperire a questa carenza politica e istituzionale di fondo di cuiio ho detto anche in modo critico. E non è la prima volta che lo dico.E allora bisogna cercare di ridurre il danno della carenza di risorse con unaefficienza ancora più alta del sistema assistenziale. Qui si pone appunto un'altra questione rilevante. Noi ci troviamo di fronteproprio nello specifico dell'oggetto del vostro convegno ad una presenzaframmentata delle azioni di riabilitazione che vanno dal sanitario puro,quindi dalla specialistica, e arrivano fino al sociale. In queste azioni noi tro-viamo diversi operatori, molti professionisti, molta buona volontà, spessoperò tocchiamo con mano come gli anelli della catena sono disgiunti gli unidagli altri. E la famiglia o il soggetto che ha a che fare purtroppo con que-sta organizzazione dei servizi tocca con mano come, a volte, la questionedell’integrazione o dello sforzo che si fa per integrare questi anelli della ca-tena è una cosa che avvilisce un po' gli sforzi che invece si fanno per com-porre una unità di operazioni e di azioni sul territorio.Credo che questo sia uno dei problemi più rilevanti. Quindi non la carenzadi preparazione, non la carenza di programmazione, sì la carenza di risorse,ma anche un sistema normativo che pone in difficoltà il territorio. Oggi per garantire un'assistenza continuativa con tutti questi segmenti inte-ressati da diverse competenze bisognerebbe avere nel territorio bergamascoun centro di coordinamento forte che oggi normativamente manca. Oggi di-pendiamo in gran parte dalla Regione che a volte è distante: Milano è di-stante quanto Roma. Oggi tocchiamo anche con mano come l’incapacità delterritorio di avere, o meglio più che l'incapacità l'impossibilità per il territo-rio, di avere norme che lo inducano ad avere maggiore responsabilità direttanell’organizzazione dei servizi pone il sistema in queste difficoltà che noitocchiamo tutti i giorni. Se voi immaginate che i Centri Diurni Disabili cheservono una disabilità medio grave, oppure le case invece più protette e piùgarantite come assistenza continuativa, ma anche nello specifico caso nellafattispecie delle gravi cerebrolesioni e tutta la sequela di cronicità che nesegue, questo filone e questa capacità di governare dal centro del territoriobergamasco questo problema così segmentato e così frammentato diventadavvero l’urgenza politica di fondo.Dicevo che il mio saluto non può prescindere da questa valutazione politicae istituzionale perché farei una operazione molto superficiale che non entraper quanto mi compete al cuore del problema. Non è difficile ottenere questo, bastano piccole variazioni della norma na-zionale che è la 502 del 92, e bastano variazioni corrispondenti alla legge 31del 97 per spostare l'organizzazione del socio sanitario, quindi le norme equindi il governo istituzionale del socio sanitario, più vicino alla cittadi-nanza che ne può avere il beneficio e il sostegno.

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Quindi la riabilitazione oggi è un grande tema. È un grande tema che ponei problemi alla politica socio sanitaria e anche alla politica sociale. Qui dentro ci sono credo molti esponenti anche della cooperazione, sannobene cosa vuol dire quando una persona affetta da queste gravi patologiecroniche esce da quello che è il percorso all'interno del sanitario o del sociosanitario ad alta prestazione sanitaria, e sanno bene quanto sia difficile poida soli o in compagnia dei Comuni, che non hanno un potere specifico suquesto e non hanno risorse adeguate su questo, cosa vuol dire accompagnareuna persona per lunghi anni all'interno della famiglia, all'interno del lavoro,all'interno delle relazioni sociali e consentire a queste persone di svolgereuna vita dignitosa in mezzo alle persone che noi consideriamo normodotateo normali.Io credo che quindi il tema politico di fondo, ed è un suggerimento e fini-sco, è proprio questo: cerchiamo di passare da una constatazione di diffi-coltà ad una proposta istituzionale che compete a tutti noi, che sia alta, cheveda come il problema non può essere sempre parcellizzato, come le rispo-ste non possono essere risposte una ad una perché sono risposte che nondanno beneficio a chi viene dopo di noi. Ma invece il problema va ricondottoalla sua origine, alla sua unità. E come unitario deve essere lo sforzo di unterritorio, di una comunità vasta come quella bergamasca, per ottenere que-sta modifica normativa e organizzativa del sistema della riabilitazione al-trettanto io credo - e la partecipazione vostra ne è una prova evidente - c’èla volontà e il desiderio di tutti noi di avere presto una soluzione ancora piùefficace. Si tenga conto, e chiudo, che la preoccupazione maggiore ora viene da un’al-tra questione, ancora qui politica ma che ha risvolti sul lavoro che fate tuttivoi. Quando si dice che il sociale è di competenza degli enti locali e dei Co-muni, soprattutto dei Comuni e delle famiglie, vuol dire che se partiamo conla situazione di oggi Bergamo parte praticamente con delle risorse assolu-tamente inadeguate. Cercare di sfiancare il cavallo su cui si deve cavalcareper ucciderlo io credo che sia la cosa peggiore. Bisogna immaginare che i ca-valli devono essere tanti per poter correre su questo tema e dobbiamo averetutti insieme una forza sufficiente, ognuno per la organizzazione che rap-presenta, ognuno per la volontà e la capacità anche individuale che ha, diunire gli sforzi perché quando si passa dal sanitario, che è un grosso mondogovernato, al sociale che invece oggi rappresenta davvero l’elemento più de-bole del sistema lombardo, quando si passa da questo sanitario al sociale cisia tutta una serie di proposizioni, di azioni, volte a far sì che anche in man-canza di nuove risorse si spostino le risorse dal sanitario inutile al sociale in-dispensabile. Perché la sfida dei prossimi anni non è quella di pietire risorse,ormai questo l’abbiamo capito, ma di utilizzare tutte quelle che ci sono per

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evitare doppioni nel campo della sanità, per evitare che ci siano sprechi nelcampo della sanità e che le risorse vadano impegnate di più nelle patologiecroniche che sono quelle che danno davvero la maggiore pesantezza alle no-stre famiglie e alle nostre comunità locali. Grazie.

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Buongiorno a tutti. Porgo i saluti e le scuse del dottor Rocchi che haavuto una convocazione urgente dal collegio diieri sera per cui non può presenziare all'incontro.Confermo le indicazioni del Direttore Generale rispetto all’attenzione aziendalelegata al problema della disabilità. Facendo casomai il distinguo sull’attenzionestorica che la Asl ha sempre dedicato alla disabilità cronica, ma anche l’attenzionein termini aziendali rispetto alla disabilità acquisita quale la grave cerebrolesione.Come poi emergerà dall'incontro del pomeriggio dove specifico, come ambito delservizio disabili, verrà indicata quale è stata la disponibilità in termini aziendalinell’arco degli anni di muoversi all’interno delle normative nazionali e regionaliper cercare di dare delle risposte ai cittadini.Per cui intanto è semplicemente un saluto e verranno maggiormente citati ilnuovo intervento della Asl di questo ponte di collegamento tra l'ospedale e il ter-ritorio rispetto a quelli che sono i vari interventi e iniziative regionali e nazionali.

Luciano Nicoli Responsabile Unità OperativaAttività Socio-Sanitarie Disabili

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Grazie e buongiorno a tutti. Un brevissimo saluto da parte dell’azienda ospe-daliera molto ben rappresentata anche negli in-terventi che ho visto si articoleranno nell’arcodella giornata.Ho trovato estremamente interessante, come sempre, lo spunto che ha lanciato ildottor Bocchi e partirei, in questo brevissimo saluto, proprio da una considera-zione su questo spunto che lui ha voluto offrire. Non so se è poi così indispen-sabile colmare questa carenza normativa che deve effettivamente aiutare efavorire la continuità nell'assistenza sanitaria e sociale dei pazienti. Penso chemolto si possa fare già adesso - sono convinto che anche lui la pensa allo stessomodo - se a capo delle istituzioni ci sono delle persone che hanno bene inchio-dato in testa che questo percorso è un percorso unico e continuo. Se c’è questacondivisione, questa cultura, questa determinazione nei responsabili delle Istitu-zioni credo che già oggi si potrebbe fare molto per migliorare. E dobbiamo, ioparlo per me e per noi, fare molto per migliorare questi percorsi che sono ancoraun po’ troppo frammentati e quindi per migliorare ulteriormente l’efficienza cheè già alta, penso, nel territorio della nostra provincia.A che cosa alludo? Alludo al fatto per esempio che oltre al tavolo provinciale, chemolto bene è stato ricordato negli interventi di apertura, esiste anche, su questoargomento specifico, un altro tavolo tecnico che è stato aperto da un paio d’annia questa parte che è prevalentemente sanitario, per non dire prettamente sanita-rio, e che la Asl di Bergamo assieme alle aziende ospedaliere pubbliche e privateaccreditate ha aperto proprio con una doppia finalità: quella di migliorare quelpercorso di dimissione e di assistenza post ospedaliera e post riabilitativa, e se-condo, di migliorare l’organizzazione a rete tra le strutture sanitarie ospedaliereper acuti nella provincia di Bergamo.È tutto perfetto? Io direi assolutamente di no. Credo che sicuramente in questi dueanni si sia fatta un po’ di strada. C'è il dottor Biroli qui in sala che è stato indivi-duato quale coordinatore di questo tavolo tecnico: abbiamo per ora soltanto forsetracciato la strada, ma abbiamo ancora tanto terreno da percorrere. Credo che unamaggiore integrazione e coordinamento tra questi due tavoli tecnici già potrebbeessere una strada o uno strumento per camminare un po’ più speditamente tutti.Da parte dell’Azienda Ospedali Riuniti di Bergamo questa volontà c’è. Noi suquesto argomento siamo coinvolti direttamente, tanto con le unità ospedaliere di

Marco SalmoiraghiDirettore Sanitario Ospedali Riunitidi Bergamo

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neurochirurgica e di neurologia che con l’unità di riabilitazione di Mozzo. E inquesta unità operativa lavorano molti operatori, non soltanto medici, che hannoaccumulato tanta esperienza e hanno ancora tanta volontà di migliorare e di co-struire un percorso unico.Qualche cosa si sta muovendo anche a livello di risorse: non sono mai tantis-sime, però qualcosa si muove. Ieri sera leggevo un documento della ConferenzaStato Regioni approvato nell'agosto del 2007 che ancora parla di ulteriori finan-ziamenti che si intende mettere a disposizione per sostenere alcuni progetti, fi-nalizzati a migliorare l’assistenza di pazienti affetti da questo tipo di patologia. Certo che questi finanziamenti a progetto sono sicuramente un buon aiuto mahanno secondo me un rischio: bisogna essere molto attenti ad individuare le ini-ziative giuste. I finanziamenti a progetto hanno per definizione un inizio e unafine e bisogna fare in modo che quando finisce il progetto il lavoro che si è co-struito abbia la possibilità e le gambe per poter camminare con i finanziamentiistituzionali. Però anche questo forse non è del tutto impossibile. Abbiamo avuto un mese fa dalla Regione l’ok per un piccolo finanziamento cheabbiamo chiesto congiuntamente noi e la Asl di Bergamo che partirà nelle pros-sime settimane e che ci dovrebbe consentire per un anno di avere a disposizionealcuni professionisti che favoriranno la dimissione protetta e la protezione nelmomento della dimissione del paziente a domicilio. L’intenzione è di offrire al ter-ritorio competenze specialistiche dedicate a far sentire meno soli chi nel terri-torio o a casa accoglie questi pazienti che vengono dimessi. Chi lavorerà su questo progetto sa che questi professionisti sono una risorsa ag-giuntiva che ci viene messa a disposizione solo per la fase di avvio che per defi-nizione richiede una attività più intensa ed onerosa. Il progetto deve prevedere chepoi gli operatori che lavorano all'interno di queste unità operative crescano e checresca la loro sensibilizzazione e la loro cultura, in modo che poi questa attivitàdiventi una parte della loro attività quotidiana. Non è facile, non è forse la cosamigliore in assoluto, sarebbe sicuramente più facile potere avere delle risorse piùstabili che possano dedicarsi a questo. È sicuramente vero e lo condivido. Peròdobbiamo a mio avviso cogliere anche da queste disponibilità e da questi contri-buti l’opportunità di crescere e di migliorare.Chiudo augurandovi un buon lavoro e una buona giornata. Mi sembra molto in-tensa e cercheremo come ospedale di continuare a fare la nostra parte. Grazie.

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Sessione Mattutina

La sessione mattutinaè stata moderata da

Francesco BiroliDirettore del Dipartimentodi Neuroscienze Ospedali Riuniti di Bergamo

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Grazie Francesco. Grazie a Bianco Speranza che noi tutti consideriamo il nostropadre spirituale perché quando abbiamo bisogno di qualche cosa, di qualche con-siglio ci precipitiamo in Provincia e solitamente ci ascolta e ci aiuta.Vorrei fare prima un po’ di storia perché due sono stati i momenti storici di questianni: la conferenza di Modena e quella di Verona.Alla fine degli anni 90 ci siamo trovati noi riabilitatori con l’esigenza di incon-trarci, discutere le nostre operazioni, le nostre linee guida, per vedere se riusci-vamo a trovare un documento comune, una sorta di Vangelo a cui ispirarci perpoter procedere nei nostri lavori. Venivamo tutti da esperienze diverse, chi francesi,chi austriache, chi italiane, chi anglosassoni, e quindi avevamo capito che era il mo-mento di trovarci e confrontarci. È nata così la conferenza di Modena di cui ora viillustrerò.I temi che ci siamo dati erano questi: come trattare questi pazienti in fase acuta,come trasferirli e quando trasferirli nelle strutture riabilitative e indicare per ognitipo di paziente il miglior percorso. Sull’esperienza americana è stato organizzatoquesto gruppo di lavoro dove i promotori sono stati la dottoressa Taricco, il dottorDe Tanti, l’allora Presidente della SINFER sezione cranici, Boldrini, e il dottor Gatta.Taricco e De Tanti sono qui con noi e gli dobbiamo tanto; gli vogliamo bene per-ché oltre ad essere degli stimati colleghi come diciamo tra di noi, sono anche dellebrave persone e degli ottimi amici.Questo gruppo di lavoro come vedete era formato da medici, dalle famiglie, per-ché in questo gruppo per la prima volta siamo riusciti a coinvolgere le famiglie af-finché il disagio che solitamente c’è tra medico e famiglia fosse il più attutitopossibile, dagli amministratori per gli aspetti organizzativi e poi vi era una giuriache giudicava il lavoro fatto da queste commissioni da cui poi ne uscivano delle rac-comandazioni.

Giovanni Pietro SalviResponsabile Unità Operativa di Recupero e riabilitazione funzionaleClinica Quarenghi, San Pellegrino Terme (Bg)

LA CONFERENZANAZIONALEDI CONSENSO:DA MODENA 2000A VERONA 2005

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Che domande sono state fatte alla giuria? Prima: qual è l’epidemiologia. Perché in tanti anni la domanda che ci facevamo erasempre questa, ma quanti sono i traumi cranici in un anno in Italia? Poi la seconda domanda: il trattamento riabilitativo precoce nei reparti di terapiaintensiva è utile o non è utile? Perché questo era un altro punto di dibattito su cuidiscutevano sempre. Alcuni sostenevano di sì, altri sostenevano di no. I lavori cheavevamo cercato in letteratura non erano poi così tanti e così efficaci. Poi: se sì,qual’era il trattamento consigliato in fase acuta.Poi: il trasferimento precoce in una struttura a carattere riabilitativo è utile? Biso-gna farlo presto? Quando bisogna farlo? E quali erano i criteri per trasferirli in si-curezza? Perché le strutture riabilitative sovente sono distanti dalle struttureintensive e quindi vi è un certo rischio, dunque dovevamo risolvere questo proble-ma e trovare accordo tra di noi. Poi: il modello organizzativo più efficace all’interno di una Regione, all’interno diuna Provincia, qual è? E, trovatolo, potevamo proporlo su tutto il territorio nazio-nale?Poi: per ogni paziente che ha una gravità diversa vi è un percorso diverso? Dove-vamo cercare di riunire questi pazienti in alcune categorie, infatti ne abbiamo iden-tificate tre o quattro dove collocare queste persone e trasferirle nel posto più idoneoper loro.Infine: quali sono i quesiti a cui la ricerca deve ancora rispondere?Dopo aver lavorato per giorni e dopo aver ottenuto le risposte la giuria ha conclusoi lavori dandoci 10 raccomandazioni: i 10 comandamenti. Prima raccomandazione: è urgente migliorare le conoscenze epidemiologiche sultrauma cranico, perché tutti i dati che avevamo portato in quella conferenza prati-camente afferivano solo alla Regione Emilia Romagna, quelli delle altre Regionierano difficili da reperire perché non è facile, bisogna passare dal pronto soccorso,dalle schede nosologiche e così via, per cui raccogliere i dati non era una cosa sem-plice. L’unica che era riuscita a fare un lavoro di un certo rilievo e di una certa si-curezza è stata l’Emilia Romagna e su quei dati si è basata la Conferenza diConsenso di Modena per quanto riguarda i dati statistici.Seconda raccomandazione: si è raccomandato che in fase acuta l’intervento riabi-litativo deve essere precoce per limitare i danni, minimizzare le menomazioni e fa-cilitare la ripresa di contatto con l’ambiente. Questa era una sensazione cheavevamo tutti, cioè se questi pazienti venivano trattati presto i danni secondari e ter-ziari di sicuro venivano limitati. Per cui la giuria ha recepito questa raccomanda-zione.Terza raccomandazione: il dibattito tra intensa stimolazione in fase acuta o nonstimolazione in fase acuta è stato risolto con questa conclusione. Non devono es-sere raccomandati in fase acuta i programmi di stimolazione intensiva multisen-soriale perché si è visto che oltre a non dare beneficio probabilmente potevano

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essere anche dannosi vista la situazione encefalica in fase acuta. Al contrario laquarta raccomandazione dice che in fase acuta ci deve essere un minimo di assi-stenza riabilitativa al paziente, che consta in questi consigli: cambiare le posturenell'arco della giornata il più frequentemente possibile, per evitare la formazionedelle piaghe da decubito, cosa che nelle terapie intensive e nelle neurochirurgie dioggi raramente si vedono a differenza degli anni passati in cui era quasi la regola;praticare il trattamento passivo pluriarticolare proprio per evitare le contrazioni ele retrazioni e le rigidità articolari; monitorare lo stato di coscienza, altra cosa im-portante proprio per rendersi conto del percorso che il paziente sta facendo in faseacuta; gli interventi di riabilitazione respiratoria sono importanti perché così riu-sciamo a svezzarli dalle macchine; il trattamento, se si riesce, della disfagia che quinon ho segnato ma è altrettanto importante.Quinta raccomandazione era la trasferibilità. Il paziente deve essere sufficiente-mente stabile dal punto di vista medico e dal punto di vista neurochirurgico. La pre-senza di canula, di catetere e di sondino e di crisi epilettiche non ancora controllatenon è considerato un criterio di controindicazione al trasferimento. Per i pazientisono state considerate tre distinte tipologie in base alla gravità: i pazienti con unbuon recupero potrebbero essere curati e trattati in regime ambulatoriale o in re-gime di day hospital; i pazienti con moderata disabilità potrebbero entrare nelle ria-bilitazioni intensive; i pazienti più gravi in stato vegetativo o con minima coscienzapotrebbero entrare nelle strutture di riabilitazione intensiva per sei mesi semprecon queste finalità, dopo i sei mesi se hanno recuperato si può continuare il trat-tamento, altrimenti è consigliato di spostarli nelle strutture di lungo degenza e ria-bilitazione estensiva, oppure se c'è una buona organizzazione anche a domicilio.La famiglia è sempre stato un problema e allora l’abbiamo coinvolta: così la fa-miglia è diventata un perno essenziale nel trattamento di queste persone.Per quanto riguarda l'organizzazione delle reti, per malati acuti, esse sono orga-nizzate con i reparti di terapia intensiva, subintensiva e di neurochirurgia. La ria-bilitazione è stata divisa in tre livelli: ad alta specialità di terzo livello, intensiva disecondo livello ed estensiva di primo livello. Questa è un po’ l’organizzazione chec’è su tutto il territorio nazionale.La nona e la decima raccomandazione sono state rivolte al Ministero della sanitàal fine di considerare sempre il trauma cranico come una priorità all’interno delprogramma di ricerca sanitaria finalizzata.Prima di concludere voglio dire ancora due parole. Come Presidente dell'associa-zione “Genesis” giro l’Italia, quindi conosco un po’ la realtà riabilitativa italiana.Direi che in questi anni da Modena a Verona molto è stato fatto; Bergamo direi cheè un’isola felice, pur con tutte le difficoltà che ancora ci sono. Molto resta ancorada fare, ma sono certo che siamo sulla giusta strada. Grazie.

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a nome del gruppo di lavoro “Qualità di vita, autodeterminazione e ruolo dellafamiglia” *

* Gruppo di lavoroMariangela Taricco, UO Recupero e rieducazione funzionale, Ospedale, Pas-sirana di Rho (Mi)Paola Mosconi, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, MilanoMirna Bergamini, Associazione volontari AVULS, FerraraLuisella Bosisio Fazzi, Coordinamento Nazionale Associazioni TraumaCranico, Monza (Mi)Cinzia Colombo, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, MilanoMarinella Corti, Ass. La Nostra Famiglia – IRCCS “E. Medea”, Bosisio Pa-rini (Lc)Dario Giobbe, Associazione ALICE, BresciaMassimo Guerreschi, Ass. La Nostra Famiglia – IRCCS “E. Medea”, Bosi-sio Parini (Lc)Maria Rita Magnarella, Dipartimento di Medicina Riabilitativa, Ferrara

Mariangela TariccoFisiatra Dipartimento di RiabilitazioneOspedale Passirana di Rhò (Mi)Coordinatore del Gruppo 3 dellaConferenza Nazionale di Consenso

QUALITÀ DI VITA, OPPORTUNITÀDI SCELTA, RUOLO DELLE FAMIGLIEDEI SOGGETTI CON GCLARisultati di un gruppo di lavoro della Conferenzadi consenso di Verona

L’intervento della dottoressa Taricco è stato sostituito, in questa pubblicazione,da un articolo che la stessa ci ha consegnato che, in modo più compiuto ed ar-ticolato della sua relazione verbale, illustra i contenuti portati al convegno.

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Giovanni Sallemi, Ass. La Nostra Famiglia, - IRCCS “E. Medea” - Polo Venetodi Conegliano (Tv)

PremessaPer l’organizzazione della Conferenza di Consenso di Verona 2005 su “Bisogniriabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da grave cerebro-lesioneacquisita (GCLA) e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera”, è stata or-ganizzata un’attività preparatoria affidata a gruppi di lavoro incaricati di realiz-zare documenti di approfondimento destinati alla Giuria. Sono stati perciò attivatitre gruppi inter-professionali che hanno lavorato rispettivamente sui seguentiaspetti:1. Conoscenza dei dati epidemiologici con particolare riguardo alla prevalenzadei differenti esiti a lungo termine delle cerebrolesioni e all’analisi dell’offerta diservizi esistenti. 2. Analisi dei profili di bisogno, sociale e sanitario, delle persone con GCA edelle loro famiglie,in funzione dei diversi livelli di gravità e della tipologie degli esiti, e individua-zione di percorsi appropriati di presa in carico ed integrazione socio-sanitaria3. Analisi dei principali ambiti di criticità nel processo di reintegrazione socialedelle persone con disabilità da Grave Cerebrolesione Acquisita: la vita indipen-dente, la partecipazione sociale, il ruolo della famiglia, l’autodeterminazione, laqualità di vita del soggetto e della famiglia.Il gruppo di lavoro “Qualità di vita, autodeterminazione e ruolo della famiglia”,ha operato nell’ambito del progetto PartecipaSalute1 coordinato dall’Istituto diRicerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. Il gruppo multidisciplinare eracomposto da familiari di pazienti con grave cerebrolesione acquisita (GCLA), vo-lontari/rappresentanti di associazioni e operatori socio-sanitari ed è stato così co-stituito per rispondere alla necessità di uno scambio di informazioni ed esperienzetra coloro che vivono, o hanno vissuto, le difficoltà intrinseche del periodo postospedaliero e coloro che hanno fornito assistenza. Quindi non solo la famiglia inprima persona, ma anche il volontario che supporta ed aiuta la famiglia, nonchéil gestore del servizio, come interlocutore tra domanda dei nuclei familiari e deipazienti e offerta del servizio sanitario.

IntroduzioneOgni grave lesione cerebrale comporta inevitabilmente un trauma all’intero si-stema familiare. Anzi, proprio perché spesso i pazienti non sono totalmente con-

1. Mosconi P, Colombo C. Costruire un’alleanza strategica tra associazioni di pazienti & cittadini e comunità medico scien-tifica: il progetto PartecipaSalute. Clinical Governance in press.

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sapevoli della loro situazione, è la famiglia la vittima principale del trauma. La le-sione cerebrale, in quanto evento che in modo improvviso e imprevedibile fa spe-rimentare la perdita temporanea o permanente di un membro del “sistemafamiglia”, disorganizza e destabilizza l’intero nucleo, distrugge progetti e, in de-finitiva, modifica quel naturale “ciclo di vita” tipico di ogni famiglia. Le reazionidel “sistema famiglia” variano nelle diverse fasi della malattia, ma soprattutto a se-conda delle differenti capacità di adattamento intrinseche ad ogni nucleo. Nellaprima fase acuta, la famiglia vive solitamente una situazione di crisi e di emer-genza, in cui predomina uno stato di disperazione, confusione e disorientamento.Nella fase post acuta, che si svolge solitamente in un reparto di riabilitazione, l’in-certezza per il futuro è predominante e comincia a gravare sulla famiglia un dupliceonere: quello “oggettivo”, spesso molto gravoso, legato alla fatica dei compiti diassistenza e alle rinunce ai propri spazi personali, e quello “soggettivo”, che si ma-nifesta con sintomi connessi alla faticosa ricerca di meccanismi che permettano dielaborare la perdita di autonomia del congiunto 2,3,4,5. Il momento della dimissionee del reinserimento socio-familiare dei pazienti con esiti gravi costituisce poi l'en-nesimo momento di crisi, poiché quasi sempre il nucleo familiare si trova all'im-provviso privato del sostegno di un'équipe medica competente ed è sprovvisto dimezzi per affrontare la complessità e la gravità del compito6.Vi sono numerose conferme, sia della letteratura sia da esperienze locali in alcunicentri, dell’utilità di una presa in carico strutturata della famiglia all’interno di unaéquipe multidisciplinare ben integrata. È stato ad esempio osservato che, quantopiù la famiglia è in grado di far fronte e adattarsi agli esiti del trauma, tanto piùgli interventi riabilitativi risultano essere efficaci nel migliorare gli esiti a lungotermine7. Un primo passo, almeno sul piano della definizione di “percorsi idealidi comportamento”, è stato fatto con l’organizzazione della Conferenza di Con-senso di Modena (2000)8, dove sono state stilate precise raccomandazioni sul-l’informazione e sul coinvolgimento delle famiglie. Nonostante gli sforzi che lestrutture sanitarie stanno compiendo in questa direzione, esistono ancora impor-tanti carenze specialmente nella fase post ospedaliera.

2. Cattelani R. Elementi di Psicologia Clinica “Le difficoltà psicologiche delle famiglie di pazienti con neurolesioni acquisite”Cap 9, Carocci Faber Editore 2003.

3. Wood RLl, Yurdakul LK. Change in relationship status following traumatic brain injury. Brain Injury 1997; 11: 491-502.4. Kosciulek JF. Relationship of family schema to family adaptation to brain injury. Brain Injury 1997; 11: 821-830.5. Gillen R, Tennen H, Affleck G, Steinpreis R. Distress, depressive symptoms, and depressive disorder among caregivers of

patients with brain injury. Journal of Head Trauma Rehabilitation 1998; 13: 31-43.6. Consensus Conference Modena 2000. Implicazioni psicosociali: il punto di vista delle famiglie. Documento del gruppo di

lavoro delle famiglie. Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa 2001; 15: 73-77.7. Cattelani R, Belloni L, Gambarati F, Brianti R. Esperienza con un gruppo di familiari di gravi traumatizzati cranici in fase

sub-acuta. Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa 2001; 15: 27-34.8. Consensus Conference Modena 2000. Documento conclusivo della Giuria e Raccomandazioni. Giornale Italiano di Medi-

cina Riabilitativa 2001; 15: 29-39.

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Lo scopo di questa ricerca è quello di indagare direttamente sui protagonisti iproblemi pratici quotidiani, il carico emotivo e oggettivo legato alle disabilità delpaziente, la qualità della vita della famiglia anche dal punto di vista delle rela-zioni esterne e interne alla famiglia stessa. La finestra temporale che abbiamo va-lutato è quella tra l’uscita dalla struttura ospedaliera (comprendendo la prepara-zione della dimissione) e l’organizzazione dell’assistenza presso la famiglia, oltreche i problemi connessi alla reintegrazione nel tessuto sociale, scolastico e/o la-vorativo.

Metodologia di StudioLo studio GISCAR ha reclutato nell’arco di due anni 2.592 pazienti afferenti a52 centri di riabilitazione italiani. Nel mese di settembre 2004 è iniziata la fasedi follow-up e al momento d’inizio della nostra ricerca erano stati valutati 535 pa-zienti provenienti da 16 centri.Il campione reclutato per questa indagine è rappresentato da un gruppo di pazientiche al momento del follow-up GISCAR ha dato l’assenso a essere contattato tra-mite un questionario postale. Analogamente sono stati reclutati soggetti afferential centro “La Nostra Famiglia” di Bosisio Parini (solo adolescenti), e all’IRCCS“E. Medea” Polo Veneto di Conegliano.Il questionario ad hoc auto somministrato è stato messo a punto dal gruppo di la-voro sulla base delle esperienze dei componenti, in particolare alcune domandesono state tratte da un questionario messo a punto nel Dipartimento di Riabilita-zione di Ferrara e sperimentato su un piccolo campione di pazienti 9. Il questionario ha indagato la fase di preparazione della dimissione dall’ospe-dale, la fase successiva all’uscita dall’ospedale e la qualità della vita del nucleofamiliare in termini di bisogni, situazione lavorativa ed economica, tempo libero,relazioni sociali e familiari, attraverso domande per la maggior parte a rispostachiusa. Un modulo ad hoc è stato inoltre previsto per i soggetti che frequentanola scuola. Per tutti i soggetti reclutati sono state anche raccolte alcune informa-zioni socio-demografiche e cliniche.Il questionario è stato inviato alle famiglie per posta con una lettera di accom-pagnamento che spiegava le motivazioni della richiesta. Ogni nucleo non ri-spondente è stato sollecitato per posta una seconda volta: il sollecito è statopossibile solo per i pazienti reclutati dal gruppo GISCAR.Sono stati contattati un totale di 434 pazienti: 290 del campione GISCAR, 68soggetti adolescenti del centro “La Nostra Famiglia” Bosisio Parini e 76 soggettidell’IRCCS "E. Medea" Polo Veneto di Conegliano.

9. Magnarella MR, Basaglia N, Boldrini P, Crepaldi M. Adattamento del nucleo familiare alla disabilità. Valutazione in ungruppo di pazienti con grave danno cerebrale. Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa 2002; 16: 19-29.

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RISULTATI

La Tabella 1 riassume le caratteristiche del campione eleggibile (434) e delgruppo dei rispondenti (234) e non rispondenti (200). La prevalenza del sesso ma-schile (70%) e della eziologia traumatica (71%) confermano la tipologia dei pa-zienti GCLA riportata in letteratura; l’età mediana è di 35 anni, la maggior partedei pazienti risiede nel Nord (75%), la gravità alle dimissioni evidenzia una di-stribuzione prevalente nelle classi 2 e 3 della GOS (64%), con un 8% di stati ve-getativi. Il tempo mediano dalla lesione è di 4 anni. Tra rispondenti e non rispondenti si rilevano piccole differenze per sesso, etàanagrafica, area di residenza, scolarità, essendo mediamente i pazienti dei nucleifamiliari rispondenti residenti al Nord, più giovani e con una scolarità maggiorerispetto ai non rispondenti, tuttavia tali differenze non sono statisticamente si-gnificative. In generale il nucleo familiare dei soggetti si è sentito coinvolto ed informato perla maggior parte degli aspetti considerati (percorso di riabilitazione, problemi fi-sici, emotivi e cognitivi del paziente ecc.), un minore coinvolgimento viene ri-portato riguardo ai problemi economici e agli aspetti di inserimento scolasti-co/lavorativo. Quest’ultimo dato potrebbe essere messo in relazione con la carenza di figureprofessionali quali l’assistente sociale in molte équipe riabilitative ospedaliere,

Tabella 1 - Caratteristiche del campione

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e alla difficoltà di reperire sulterritorio interlocutori utili perconsentire la continuità assi-stenziale. Le famiglie riferiscono, per lamaggior parte, che le aspetta-tive per il futuro riguardo airapporti familiari e al reinseri-mento sociale sono state og-getto di discussione al mo-mento della dimissione, tutta-via il 36% e il 42% dei rispon-denti rispettivamente non havisto affrontati questi aspetti. Nella maggior parte dei casi il

nucleo familiare si è sentito assistito e coinvolto nella fase di dimissione, anchese il 17% dei rispondenti riporta di non essere stato coinvolto e un 7% lamentala mancanza di informazione su risultati e obiettivi raggiunti durante il periododi riabilitazione. Per quanto riguarda la presentazione della situazione sul terri-torio e ai servizi, vengono riportate in tabella solo le risposte “no” e “non so”, datal’alta percentuale ottenuta da queste opzioni di risposta. In generale il campioneriporta una situazione da considerarsi insoddisfacente per quel che riguarda i rap-porti con le strutture e i servizi territoriali. L’alta percentuale di rispondenti “no”e “non so” fa supporre importanti difficoltà e problemi nel garantire la conti-nuità del progetto riabilitativo dopo la dimissione ospedaliera. Le prospettive fu-ture per quanto riguarda la salute, l’autonomia e la integrazione sociale sonofornite in modo chiaro e completo in meno della metà dei casi considerati. Unaltro dato meritevole di commento riguarda il follow-up (perlomeno come visitadi controllo) che nel 37% dei casi non viene richiesto dal centro che dimette ilpaziente. È chiaro quindi che esistono alcune carenze di tipo organizzativo e di integrazionetra i centri ospedalieri e i servizi territoriali, che giustificano il risultato dell’ul-tima domanda riportata in tabella, riguardo all’accompagnamento ad un succes-sivo momento del processo di cura, alla quale solo il 35% dei rispondenti harisposto “Sì, in modo chiaro e completo”. I risultati riguardo al momento successivo alla dimissione ospedaliera, confer-mano le difficoltà riportate in precedenza: solo nel 47% dei casi il percorso pro-segue in modo totalmente coerente con gli obiettivi indicati nella fase di ricoveroospedaliero; in molti casi (38% e 20% di “non so”) viene riportato che le strut-ture non sono in contatto tra di loro per garantire una gestione organizzata del pa-ziente.

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Per quanto riguarda la qualità della vita del nucleo familiare, la Figura 1 riportagli aspetti più difficili da gestire nella vita di tutti i giorni: su un totale di ben677 risposte fornite in primo luogo vengono indicate le difficoltà fisiche, dimemoria e di comportamento, a cui seguono quelle emotive e di comunica-zione. Per quanto riguarda il carico “oggettivo” legato all’assistenza, il nucleofamiliare trova risposte d’aiuto principalmente nella cerchia famigliare (il 36%da parenti), mentre risultano tra gli ultimi indicati i servizi sociali (11%) e il vo-lontariato (2%) (Figura 2).

Figura 1 - Quali sono i problemi del paziente più difficili da gestirenella vita quotidiana?

Figura 2 - Chi risponde alle sue necessità?

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Interessante è il dato sulle barriere architettoniche, che vengono percepite dal50% circa dei casi come ostacolo al domicilio e nei luoghi pubblici, mentre ascuola e sul lavoro solo nel 19% dei rispondenti. Interessante è anche il risultatoalla domanda “secondo voi chi dovrebbe occuparsi dei problemi delle personecon GCLA?” dove solo il 23% risponde che dovrebbero essere i centri di riabi-litazione, mentre in più della metà dei casi le famiglie ritengono che dovrebberoessere i servizi sociali o strutture create appositamente per questi pazienti. Unaulteriore conferma al senso di isolamento sperimentato dal nucleo famigliare ealle difficoltà di condividere con altri l’esperienza, è indicato dalla bassa per-centuale di persone che frequentano gruppi o associazioni di famiglie con lostesso problema (14%).Emerge chiaramente dai risultati l’impatto sociale (economico e sulla vita di re-lazione della famiglia) legato alla presenza di un soggetto con GCLA. Il 55%dei rispondenti dichiara di aver avuto problemi di carattere economico e in quasila metà dei casi un membro della famiglia ha dovuto cambiare attività lavora-tiva, spesso (nel 42%) abbandonando completamente il lavoro con le ovvie ri-percussioni sulla situazione economica.Anche la vita di relazione e la possibilità di momenti di svago sembrano ridottein modo significativo: nel 75% dei casi il nucleo famigliare riferisce di andare invacanza o fare viaggi di piacere meno di prima, nella maggior parte dei casi pernon affidare il congiunto a persone estranee alla famiglia o per difficoltà a tro-vare luoghi idonei alla condizione del soggetto. Nella Figura 3 si evidenzia comeanche le relazioni sociali sembrano diminuire con il tempo, con un 55% dei casiche riferisce una riduzione dei rapporti con gli amici.

Figura 3 - Come sono cambiati i rapporti sociali?

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DiscussioneDai dati raccolti la famiglia risulta il cardine della assistenza ai pazienti GCLA,l’indagine condotta in parallelo sulle associazioni conferma le segnalazioni dellefamiglie in particolare le carenze assistenziali e organizzative della fase post-ospedaliera, le difficoltà ad avere informazioni chiare sui percorsi riabilitativi esul futuro, le difficoltà pratico-economiche e burocratiche incontrate e non ri-solte nonché l’impatto sulla qualità della vita del nucleo familiare di un pazienteGCLA.Emergono infatti non solo le conseguenze dirette della perdita di produttività delsoggetto ma anche la necessità, per almeno uno dei membri della famiglia, didedicare la maggior parte del proprio tempo alla assistenza e, quindi, di abban-donare il lavoro così come di ridurre drasticamente le attività di svago e il tempolibero. Viene inoltre confermato che, nella fase post ospedaliera, la famiglia viveun importante senso di isolamento e solitudine dovuto sia alla carenza di strut-ture di supporto assistenziale sul territorio ma anche al diradarsi degli atteggia-menti di solidarietà e vicinanza dimostrati nella fase acuta della malattia daiparenti prossimi, amici, colleghi, e vicini di casa. In questo panorama il gruppodi lavoro ritiene sia fondamentale creare e/o potenziare strutture di sollievo a cuiaffidare per brevi periodi il familiare con GCLA.I risultati delle due indagini dimostrano un impatto e registrano richieste ed esi-genze per certi versi differenti tra loro. In particolare, le associazioni riferisconoda parte dei nuclei familiari assistiti una qualità della dimissione peggiore e ca-rente, in cui mancano informazioni, percorsi di assistenza e riabilitazione cheprevedano il coinvolgimento della famiglia, programmi tra loro coerenti. Il cam-pione dei nuclei familiari contattati indica invece una migliore qualità della di-missione dal punto di vista dell’informazione e del coinvolgimento per quantoriguarda il percorso di riabilitazione. Il gruppo di lavoro ha ipotizzato che i dif-ferenti punti di vista emersi siano dovuti a un possibile bias di selezione dei duecampioni indagati: si può supporre che alle associazioni si rivolgano le famigliein condizioni più disperate o che comunque non hanno trovato risposte adeguateda parte delle strutture pubbliche disponibili; la posizione che affiora è quindi dimaggiori difficoltà, carenze, esigenze. Il gruppo dei pazienti intervistati inveceè costituito da nuclei che hanno avuto contatti e il cui familiare è stato curato daospedali e centri organizzati, sensibili ed esperti in tema di GCLA. Il fatto che ilcampione dei rispondenti sia costituito da pazienti seguiti nei centri GISCAR ein due altri centri, tutti altamente specializzati per il problema GCLA, avvaloraquesta ipotesi.In conclusione i nostri dati confermano quelli riportati in letteratura e espressiprecedentemente dai lavori delle associazioni di familiari 6 in particolare perquanto riguarda l’impatto “sociale” legato alla presenza di un soggetto con GCLAin famiglia e confermano la necessità di azioni concrete e urgenti di coordina-

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mento e potenziamento delle strutture - centri ospedalieri, servizi sul territorio eassociazioni di pazienti - che possano in parte alleviare il carico alle famigliepermettendo di migliorare sia la qualità della vita dei pazienti sia quella delle fa-miglie stesse.

RINGRAZIAMENTIIl gruppo di lavoro ringrazia i clinici dei centri GISCAR di Negrar (Vr), Costa-masnaga (Lc), Caraglio (Cn), Roma (Santa Lucia, San Giuseppe), Ferrara, Ber-gamo, Rho (Mi), Quasso al Monte (Va), Parma, Lido di Camaiore (Lu)]; delcentro “La Nostra Famiglia” Bosisio Parini e dell’IRCCS “E. Medea” Polo Ve-neto di Conegliano per aver reso disponibili i dati necessari alla indagine. Inol-tre si ringrazia la signora Gianna Costa dell’Istituto Mario Negri, data managerdel progetto.

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Buongiorno. Grazie a tutti voi per l'invito in questa città alla quale sono sempre più legato permotivi vari, anche personali.Il titolo è lungo, però la mia relazione cercherà di restare nei tempi previsti. Pe-raltro debbo dire che Mariangela Taricco, che mi ha preceduto, mi ha facilitato ildiscorso perché alcune delle notizie che lei ha dato saranno rapidamente sorvo-late nell’analisi che io farò oggi.Lo schema della relazione prevede di:1. ripassare su alcune premesse generali della Conferenza rispetto all'impianto

organizzativo e culturale su cui si è mossa la giuria nell'emettere le sue racco-mandazioni,

2. esaminare quali sono le aree di intervento per le tre categorie di esito indivi-duate; alla fine passare in rassegna quali sono le strutture attualmente disponi-bili sul territorio, soprattutto stressando la scarsa omogeneità di strutture sulterritorio italiano

3. dare una rapida sintesi delle raccomandazioni sull'argomento da parte dellagiuria.

La dottoressa Taricco vi ha rappresentato lo schema organizzativo della Confe-renza di Consenso. In questo caso il gruppo che ha maggiormente contribuito nelpreparare le conclusioni di cui adesso vi parlo oggi è il secondo gruppo di lavoro.Vi hanno contribuito fattivamente, lavorando per un anno, 23 persone che io colgol'occasione per ringraziare. Molte di queste persone sono presenti anche qui oggi

Antonio De TantiFisiatra Direttore Centro CardinalFerrari Fontanellato (Pr)Coordinatore del Gruppo 2 dellaConferenza Nazionale di Consenso

ANALISI DEI PROFILI DI BISOGNO SOCIALEE SANITARIO, DELLE PERSONE CON GCAE DELLE LORO FAMIGLIEIndividuazione dei criteri per la definizione dei percorsidi presa in carico

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e debbo dire che la forza di una Conferenza di Consenso si poggia proprio su que-sto lavoro dietro le quinte estremamente complesso che è durato in questo casoper un anno abbondante. Sono stati prodotti molti documenti preparatori che sono stati forniti alla giuriacome strumento tecnico per poter esprimere dei giudizi e dei pareri e sarebbebello se riusciremo prossimamente a riunirli e renderli disponibili anche per ilpubblico.Fra le premesse che la giuria ha fatto nel suo documento finale che troverete, tral’altro, sul sito WWW.GCA.IT, vi è un concetto fondamentale, cioè l'approccioalla disabilità come una delle condizioni che ostacolano il godimento dei dirittiumani fondamentali. Quindi la tutela di tali diritti si realizza con interventi chesono realizzati da varie persone, da varie figure professionali, in vari ambiti. Si-curamente in ambito medico sanitario ma anche con azioni sociali nell'ambientedi vita delle persone disabili per poter garantire pari opportunità di accesso e dipartecipazione. Questo, secondo me, è il nucleo culturale da cui si è mosso tuttoil lavoro di questa conferenza di consenso.Quali sono queste opportunità? In primis il diritto all’autonomia, intesa comemaggiore indipendenza possibile, compatibilmente con la malattia. Le gravi ce-rebrolesioni comportano dei danni inemendabili, ma malgrado questi bisogna ot-tenere la maggiore indipendenza possibile.Altra cosa molto importante, fino ad oggi non tanto valorizzata in Italia, so-prattutto per le cerebrolesioni, è la maggiore autodeterminazione possibile: èil concetto dell’empowerment, il fatto che ogni paziente anche con i propri li-velli di compromissione possa determinare il proprio percorso di vita anchenella malattia.E poi il diritto al reinserimento in famiglia e nella comunità per tornare ad es-sere dei soggetti attivi e responsabili, il diritto al lavoro come fonte di sostenta-mento, sicuramente, ma anche come strumento di autorealizzazione e dipromozione sociale. Nel nostro mondo il lavoro va oltre alla mera necessità, pe-raltro ineliminabile, di sostentarsi.Infine il diritto all’assistenza sanitaria, lo metto in fondo ma poteva esseremesso all'inizio, ed è il diritto all'adeguata cura per tutti questi soggetti con con-dizioni di grave cerebrolesione.Qual è la fase del percorso lungo la complessa filiera di cura di queste persone,oggetto di analisi da parte della Conferenza di Consenso di Verona? È la fase dellariabilitazione tardiva che già vede collaborare Unità di Riabilitazione e le strut-ture sociali e che può durare mesi e anni anche per la parte sanitaria. E poi la fasedei cosiddetti esiti, del reinserimento sociale, scolastico, lavorativo, domiciliare.Uno dei concetti fondanti espressi nelle conclusioni della giuria è quindi che perfavorire la maggiore partecipazione possibile delle persone con cerebrolesione edelle loro famiglie occorre che ci sia un lavoro congiunto della componente di ria-

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bilitazione sanitaria e di quella della riabilitazione sociale che saranno presentidall'inizio alla fine del lungo percorso di presa in carico di queste persone, pur conobiettivi e difficoltà diverse. Chiaramente, la presa in carico sanitaria risulta pre-valente all'inizio e tende poi progressivamente a calare, anche se – ahimè - nonsempre alla fine arriva al “bisogno zero”; al contrario la componente sociale chedeve fin dall'inizio essere presente, non fosse che per prendere atto dei possibiliproblemi, diventa poi preponderante nelle fasi avanzate e tardive.La presa in carico della persona con grave cerebrolesione acquisita, dopo la faseospedaliera, si connota quindi come un processo ad elevata integrazione socio sa-nitaria. A tal fine si raccomanda la messa in rete - lo abbiamo detto più volte oggie se lo diciamo vuol dire che non siamo ancora riusciti a realizzarlo a pieno - ditutti i servizi e le strutture che in un determinato ambito territoriale sono coinvoltenella gestione dei percorsi riabilitativi sanitari e sociali.Entriamo nel merito di quali siano i bisogni di riabilitazione, di assistenza e direinserimento. Il problema è che noi abbiamo abbracciato con la definizione digrave cerebrolesione acquisita una categoria estremamente vasta di pazienti doveesiste una estrema variabilità a livello clinico perché sappiamo che già la causa diquesto danno cerebrale comporta esiti assolutamente diversi, che sia traumaticao non traumatica, in rapporto alla gravità all'inizio e al livello di gravità alla di-missione dal reparto di riabilitazione. Voi sapete che quanto più ci allontaniamo dell'evento acuto, tanto più siamo ingrado di fare delle previsioni sul futuro e sugli esiti attesi, ma già all’ingresso neinostri reparti ci troveremo con una gamma estremamente diversificata di gravità.C'è inoltre una grande variabilità sociale che contraddistingue ogni persona: lapresenza/assenza di nucleo familiare di appartenenza, nonché le sue caratteristi-che; il livello di integrazione sociale precedente all'evento. Viviamo in una so-cietà particolarmente complessa dove ci possono essere importanti elementi didisagio sociale precedenti già presenti e, secondo alcuni, favorenti ad esempio glistessi eventi traumatici.Occorre ancora considerare la fase del ciclo di vita in cui si è verificata una gravecerebrolesione. Un conto è parlare di un ragazzo quattordicenne che va incontroad un grave trauma cranico e un conto è parlare di un settantenne che ha un arre-sto cardiaco.Se osservate il grafico 1 vedete in rosso la popolazione di pazienti traumaticie in giallo i non traumatici con i vari livelli di gravità a distanza di 1-3 anni dal-l'evento acuto in una raccolta di dati di uno studio multicentrico che è statofatto dalla nostra società scientifica. Vedete come i pazienti rossi traumaticisono molto più spostati verso il buon recupero alla Glasgow Outcome Scale(GOS), e invece i non traumatici ahimè sono più spostati verso il cattivo recu-pero. Questo per ricordare come già solo la variabile eziologica ha un grossoimpatto sulla prognosi.

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Ecco allora la prima raccomandazione della giuria che dice che vista la nu-merosità dei fattori che influenzano il profilo del bisogno è opportuno che lavalutazione dei soggetti sia multidimensionale, interprofessionale e con ilcoinvolgimento attivo della persona e della sua famiglia.Altro elemento di complessità è la variabile temporale. Sicuramente occorre adot-tare a questo punto una prospettiva dinamica che superi i concetti di cronico, distabile, perché assolutamente insufficienti, fuorviante nell’andare a ricercare lameta che deve continuamente essere perseguita del migliorare, dell’aiutare la per-sona ad integrarsi, a partecipare di più. Quindi la raccomandazione della giuria èche la valutazione dei bisogni riabilitativi e assistenziali debba essere pro-lungata nel tempo, aggiornata e verificata con frequenza, adeguata alle pos-sibili modificazioni della persona e dell'ambiente in cui essa abita. Perchéanche l'ambiente cambia: pensiamo solo al problema del dopo di noi, le famigliedei nostri pazienti che invecchiano e quindi cambia totalmente il panorama in cuidobbiamo inserire il nostro intervento.Ulteriore raccomandazione della giuria. La giuria ritiene necessario adottarecomunque una funzione di case manager che aiuti la persona e la sua famigliaa districarsi tra le diverse opzioni in ambiente sanitario e sociale, proprio vista la

Grafico 1

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complessità dei bisogni e la difficoltà del muoversi soprattutto dopo la fase ospe-daliera. Questo per ottenere una risposta veramente personalizzata e coordinataalle proprie necessità di cura, di assistenza e di supporto anche dopo la fase ospe-daliera.Il dottor Salvi nella prima presentazione ha citato la ripartizione in tre categoriedi merito, di gravità. Nella costante necessità di personalizzare gli interventi si è deciso da parte dellagiuria di ristratificare la popolazione dei gravi cerebrolesi per classi relati-vamente omogenee di bisogni: soggetti con ridotta o assente responsività, congrave disabilità, disabilità lieve o moderata. Per dare un’idea del peso relativodelle varie categorie, vi segnalo che in questo nostro studio nazionale di follow-up su 727 pazienti, a distanza di 1-3 anni la percentuale di pazienti con GOS 1 e2, buon recupero e moderata disabilità, è intorno 50%. Quella Glasgow 5, dece-duti, è dell’11%; il restante 39% dei pazienti corrisponde ai gravemente disabilio in stato vegetativo, coloro cioè che avranno presumibilmente grandissimi pro-blemi e bisogni. Quindi dobbiamo interessarci a lungo termine di tutte le catego-rie di esito perché sono tutte rappresentate.Ulteriore raccomandazione della giuria è che ogni intervento riabilitativo do-vrebbe essere basato su conoscenze condivise dalla comunità scientifica, ba-sato su valutazioni di operatori competenti, con il consenso del paziente edella sua famiglia, con una precisa definizione di obiettivi, tempi e modi. Que-sto vuol dire abbandonare la logica dei cicli ripetuti svolti secondo una sorta di ca-lendario riabilitativo/assistenziale predefinito. Al contrario una presa in caricocontinuativa e appropriata, basata sull’analisi dei bisogni richiede che si attinga atutto quello che la comunità scientifica ritiene potenzialmente utile, per arrivarea definire un progetto riabilitativo personalizzato, individuale e costantemente ag-giornato.Anche qui si fa ancora riferimento al case manager.Altra raccomandazione importante, e penso che ognuno di noi nella propria pra-tica clinica lo abbia verificato, la necessità fondamentalmente di chiarire conla famiglia e con la persona la tipologia dei possibili interventi che noi an-diamo a proporre. Un intervento può essere di tipo terapeutico ma può essereanche di tipo assistenziale e di tipo educativo. Occorre, per evitare malintesi oattese non chiare, che sempre il paziente e la sua famiglia sappiano in che ambitoci stiamo muovendo: il sistema sanitario-sociale che si muove sta facendo riabi-litazione perché c’è un obiettivo riabilitativo specifico o sta facendo assistenza osta cercando di educare e istruire la persona e il suo nucleo familiare?Adesso cerco di entrare nel merito di quali sono per ognuna delle tre tipologie dipazienti le aree di bisogno che vengono analizzate. Direi che si può fare una di-cotomia tra aree di bisogno medico-internistico, assistenziale, riabilitativo e anchedi supporto psicologico da un lato, mentre dall’altro lato invece c’è tutta l'area dei

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fattori esterni alla persona che coinvolgono l'ambiente, il contesto di vita in cui an-diamo ad inserire un determinato progetto di assistenza, riabilitazione e cura, l'ana-lisi delle relazioni sociali e gli aspetti economici che ne comportano. Sono cosedi cui anche qui la dottoressa Taricco ha già in parte parlato e quindi vedremo suquello di essere più rapidi.Rispetto al primo gruppo di pazienti, quelli in stato vegetativo o a basso con-tenuto di coscienza, è dimostrato che la durata della loro vita residua è diretta-mente correlata alla nostra capacità di assistere e di curare, e tende ad allungarsianche con il progredire delle tecnologie assistive. Per tutto l’arco della loro vitaresidua esiste la necessità di attuare interventi medico internistici assistenziali chehanno un ruolo di prevenire, se possibile, o curare le complicanze. E le aree cri-tiche con le quali ci confrontiamo costantemente sono l'analisi della corretta idra-tazione e nutrizione, la gestione degli sfinteri, le infezioni ricorrenti che possonoessere di solito urinarie o a carico delle vie aeree, e tutta la serie delle compli-canze connesse alla perdita di mobilità autonoma e alle complicanze tardive deldanno cerebrale. Mi viene da dire, uno per tutti, ad esempio l’idrocefalo tardivoo i quadri di epilessia tardiva.Rispetto agli interventi riabilitativi specifici che trovano indicazione anche in que-sti pazienti ma che devono essere sempre calibrati alla prognosi e al contesto incui si vanno ad attuare è stata riconosciuta la necessità di una valutazione perio-dica del livello di responsività. La letteratura è ormai piena di casi di misdiagnosi,di pazienti cioè erroneamente definiti in stato vegetativo quando non lo erano più.Questo errore è legato al fatto che a un certo punto non si guarda più, si dà perscontata la non possibile evoluzione, oppure mancano nel team assistenziale lepersone con sufficiente competenza professionale per poter attuare questo per-corso di periodica valutazione della presenza/assenza e qualità del contatto conl’ambiente circostante.Occorre poi fare costantemente la prevenzione e il trattamento delle menoma-zioni muscolo scheletriche perché sapete che il danno secondario è costantementein attività anche a livello tardivo, con rischio di nuove o più gravi retrazioni divario genere. La chirurgia funzionale correttiva delle retrazioni è un’opzione che è stata presain considerazione ma deve essere attentamente selezionata in rapporto allo scopoche si ha; l’obbiettivo non può essere in questi casi di recupero funzionale ma difacilitazione delle manovre di assistenza/nursing sui pazienti, per rendere possi-bili posture più agevoli nel letto o in carrozzina, per contrastare posture dolo-rose. È fondamentale che la scelta, la prescrizione e la fornitura di ausili per-sonalizzati oltre all’addestramento dei familiari circa il loro corretto utilizzo partadal reparto di riabilitazione intensiva in cui il paziente si trova ma deve poi esserecostantemente aggiornata nell'ambiente di vita del paziente in rapporto al cam-biare delle sue necessità.

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È stata individuata la necessità di un supporto psicologico, altra cosa di cui siparla ma che non è molto rappresentata nelle nostre realtà. Il supporto deve offrireinterventi di sostegno individuale ai familiari, ai tecnici, ai volontari, a tutto ilmondo che ruota con un ruolo professionale intorno a questi pazienti con cosìbassa possibilità di evoluzione. In questo ambito ricordo poi che l'attivazione digruppi di auto-aiuto fra familiari, laddove è stata messa in atto, ha dato risultatiestremamente interessanti.Rispetto al contesto di vita di questi pazienti è necessario fornire una indicazionechiara fin dal reparto di riabilitazione sulla doppia opzione che una famiglia ha:andare verso casa con tutto quello che comporta in termini di carico psicologicoe organizzativo, o ricerca di struttura protetta. In assenza di dati di evidenza chedefiniscano per il paziente con grave disturbo di coscienza se sia vantaggioso unrientro a tutti i costi a domicilio, la giuria ha sentito la necessità di raccomandareche il reinserimento domiciliare costituisca una libera scelta della famiglia,che deve essere informata delle difficoltà a cui va incontro e deve essere suppor-tata da tutti i servizi del territorio. Ma la famiglia non deve essere penalizzata senon si sente di affrontare quest’opzione, come a volte accade.Nel caso si opti per la soluzione istituzionale (residenza protetta) occorre indivi-duare nel territorio dei nuclei di letti dedicati per gravi cerebrolesioni. E penso chepoi anche il dottor Guizzetti ci parlerà delle conclusioni del documento della com-missione ministeriale su questo argomento. La programmazione dei posti letto vafatta partendo da una stima di 3,5-5 posti per 100.000 abitanti, sapendo che itraumi cranici in queste condizioni stanno calando ma purtroppo i post anossici ei vascolari stanno aumentando. Su questo tema la giuria raccomanda al program-matore di preferire piccole strutture ben attrezzate e possibilmente vicino alluogo di residenza del nucleo familiare, piuttosto che grossi centri a livello re-gionale o nazionale che sembrerebbero proprio una segregazione totale di questepersone e ostacolerebbero la possibilità di mantenere un contatto frequente con ilproprio caro.Rispetto agli aspetti economici, la dottoressa Taricco ve lo ha già ricordato, è statofortemente raccomandato il fatto che sia gratuito l'accesso in queste struttureresidenziali, così come la fornitura di tutti gli ausili di cui questi pazientihanno bisogno e che ancora adesso è legata a normative e a tariffari ministerialiparticolarmente complessi e poco soddisfacenti. Analogamente dovrebbero es-sere gratuiti i supporti riabilitativi e assistenziali. Su questo tema ci sono alcune Regioni che si sono già mosse, altre meno: direiche, nel bene o nel male, la regionalizzazione della sanità sta creando una speciedi mosaico con comportamenti diversificati.Rispetto alla seconda categoria di merito, i pazienti con gravi disabilità, ri-cordiamo che gli interventi medici internistici e assistenziali sono sostanzial-mente gli stessi della categoria precedente anche se con diverso livello di necessità,

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in alcuni casi per una minore ricorrenza di complicanze di tipo internistico e unamaggiore tendenza alla stabilizzazione di questi pazienti.Invece maggiore è il carico di tipo riabilitativo a lungo termine, anche nella fasepost ospedaliera, proprio perché questi pazienti che hanno recuperato il contattocon l’ambiente possono presentare margini maggiori di recupero funzionale, mo-torio e cognitivo, a lunga distanza.Gli interventi riabilitativi specifici servono a completare l'acquisizione delle com-petenze motorie cognitivo-comportamentali, mediante programmi mirati e com-plessi, svolti da professionisti specificamente addestrati. È prevedibile il ricorsoa chirurgia funzionale in casi mirati, con il fine di migliorare l’uso funzionaledegli arti. C’è un ampio margine per programmi di riabilitazione neuropsicologicaanche a distanza di tempo e in progetti personalizzati. Viene suggerita e raccomandata dalla giuria un’attenzione alla valenza eco-logica di questi programmi, viene particolarmente raccomandata la ricerca diautonomia nelle attività della vita quotidiana, soprattutto le autonomie pri-marie, quelle che riguardano la cura della persona. E viene raccomandato comeintervento riabilitativo specifico un supporto che favorisca la ripresa della par-tecipazione sociale con attività di gruppo. In questo caso ancora una volta ilsupporto psicologico è fondamentalmente dedicato ai familiari.Rispetto al contesto di vita di questi pazienti la giuria si è sbilanciata più netta-mente a favore della possibilità di un rientro domiciliare rispetto all’inseri-mento a lungo termine in strutture protette, quando le condizioni ambientalilo consentano, purché non si traduca in una nuova ghettizzazione: il paziente cheè chiuso nella sua casa e lì ci rimane senza contatti e relazioni con il mondoesterno. Proprio perché questo non accada occorre che vengano attivate strut-ture diurne con valenza riabilitativa, occupazionale e di socializzazione so-prattutto per i soggetti più giovani. Su questo tema segnalo la forte richiestadell'associazione dei familiari di non condivisione di queste strutture con altrepatologie, in particolare con i portatori di esiti di danni cerebrali neonatali. Que-sta è una raccomandazione che c'è stata più volte rinnovata dalle associazioni deifamiliari, e che la giuria ha recepito. L’ultima categoria di merito, è costituita dagli stati di disabilità lieve o mo-derata. Spesso questi pazienti rischiano di essere sottovalutati: cioè ci facciamocarico del drammatico stato di necessità delle precedenti categorie e tendiamo asottostimare invece i bisogni di supporto e cura che permangono anche per que-sta categoria di pazienti (e per i loro familiari) che, oltretutto, possono trarregrande beneficio dai nostri interventi.In questa fase hanno poco spazio interventi di carattere medico internistico. Lagiuria fa un richiamo al rischio dell'epilessia tardiva che in questi casi può avereun impatto funzionale maggiore visto che si parla di pazienti che hanno uno stiledi vita più attivo e che quindi possono correre maggiori rischi nel momento in

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cui dovessero incappare in una crisi tardiva. Per i soggetti di questa categoria di-venta ora possibile e utile affrontare la correzione di problematiche con importantevalenza funzionale (ad es. la correzione chirurgica della diplopia) ma si possonoanche programmare interventi di chirurgia plastica, in esiti particolarmente di-sturbanti dal punto di vista estetico, per la forte valenza psicologica dell’immagineche ognuno di noi ha di sé stesso. Rispetto agli interventi riabilitativi specifici è stata fatta una nota negativa, cioè unamessa in guardia contro l’uso inadeguato e improprio di riabilitazione moto-ria prolungata in pazienti che presentano disabilità motoria lieve-moderatao nulla, proprio perché il dubbio è che non abbiano una reale indicazione ma chein realtà siano degli interventi di copertura, cioè diano una risposta scorretta a unacondizione di insufficiente accettazione degli esiti o che coprano bisogni non ab-bastanza esplicitati (bisogno di rompere situazioni di solitudine e di carente rein-serimento socio-lavorativo). Assolutamente utili risultano invece interventi alungo termine per le turbe cognitivo comportamentali. Ahimè, non ci sono an-cora in questo ambito dati di evidenza ma il parere degli esperti è unanime nelraccomandarlo. È stata riconosciuta invece l'utilità di programmi riabilitativi peril recupero dell’autonomia e per il reinserimento professionale inteso come ri-cerca di ricostruzione di abilità professionali. Utili i supporti farmacologici peri disturbi emotivi dell'adattamento, ansia e depressione, che in questi pazienticon un livello molto più elevato di consapevolezza spesso emergono e gravanopesantemente sulla percezione che loro hanno della propria qualità della vita.Il contesto di vita evidentemente privilegiato è quello precedente all'evento.Ma attenzione perché i cambiamenti comportamentali che possono accompagnareanche il paziente con un Level of Cognitive Functioning (LCF) 8, punteggio mas-simo nella scala che valuta il livello di recupero cognitivo comportamentale, pos-sono comportare difficoltà di reinserimento. Questi comportamenti cambiatipossono portare disagio anche all’interno del nucleo familiare: alta percentuale diseparazioni, conflitti familiari, difficoltà nella gestione dei rapporti con i figli pic-coli. Tutte queste cose richiedono supporto psicologico al nucleo familiare e al pa-ziente stesso.In caso di disabilità motoria residua si può essere nelle condizioni di dover adot-tare dei cambiamenti e degli adattamenti ambientali, degli ausili. E potrebberisultare utile una assistenza domiciliare part-time proprio per favorire l’avvioe la partenza di un progetto di vita in totale autonomia, come di fatto è spessopossibile.Per questa categoria di esito è stata stressata la necessità di attivare servizi disupporto per raggiungere una capacità di vita indipendente e per il reinse-rimento sociale. In questa direzione è stato raccomandato di privilegiare l'at-tenzione alla mobilità, necessità di programmi specifici per garantire autonomianella mobilità. Ad esempio presso il nostro centro abbiamo attivato un programma

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specifico per il ritorno alla guida in sicurezza o per il raggiungimento della patentedi guida dopo grave cerebrolesione acquisita. Vista la complessità di queste te-matiche la giuria ricorda ancora la necessità della figura di un case manager, cheaiuti il paziente e la sua famiglia nel rapporto con le molteplici istituzioni pub-bliche e private. Reinserimento lavorativo e scolastico diventano un target es-senziale sapendo che i dati di letteratura ci dicono che circa il 50% delle personein età lavorativa nel resto d’Europa e del mondo possono tornare ad una qualcheforma di lavoro anche se non corrispondente alla precedente. In questo ambito lagiuria sottolinea la totale assenza di programmi standard e quindi il bisogno di tro-vare consensi e di trovare programmi formali condivisi in tutte le realtà italiane suquesto argomento.Passiamo ora in rassegna la situazione attuale italiana. Chi presta l'assistenza nellafase avanzata, post-ospedaliera? Dai dati raccolti nei nostri studi di follow-upemerge una forma di “protagonismo obbligato” dei familiari che in alcune con-dizioni sono l’unica forza, su cui ricade l’onere economico, gestionale e psicolo-gico del supporto ai nostri pazienti. Per i pazienti con grave disabilità, GOS 3, e in stato vegetativo (GOS 2) l’im-pegno assistenziale della famiglia è assolutamente prevalente su quello istituzio-nale. Questa è la situazione attuale e da cui bisogna allontanarsi il più in frettapossibile sapendo, come ci diceva la dottoressa Taricco, che i problemi cognitivisono una forte componente dei bisogni assistenziali ma i bisogni da disabilità mo-toria sono ancora quelli prevalenti nel determinare il carico assistenziale dei sog-getti più compromessi e che spesso coincidono e coesistono gli uni e gli altri.Quali sono le strutture che abbiamo a disposizione? La giuria ha individuatouna tripletta di categorie di strutture. 1. Strutture di residenzialità protetta extraospedaliera alternativa al domici-

lio che possono essere classificabili in base al grado di caratterizzazione sani-taria o assistenziale, alla possibilità che ci sia una permanenza definitiva o solotemporanea, alla copertura oraria del servizio (ciclo diurno, notturno, copertura24 ore), al grado di specializzazione cioè che contengano o meno, ad esempio,nuclei per le gravi cerebrolesioni. Penso che il dottor Guizzetti ci dirà qualcosasull'argomento. Hanno i nomi più diversi nelle varie realtà regionali: RSA, nu-clei residenziali per stati vegetativi, case protette, comunità alloggio, case fa-miglia e così via.

2. Poi ci sono strutture a valenza prevalentemente riabilitativa che hanno la fi-nalità di completare i programmi riabilitativi. Anche qui di nomi ce ne sonomolti: centri di riabilitazione intensiva extraospedaliera, centri socio riabilitatividiurni residenziali, CAD, centri socio occupazionali diurni, laboratori protetti.

3. E infine ci sono, o ci dovrebbero essere, strutture orientate alla riqualifica-zione professionale e al reinserimento sapendo che ci possono essere tre li-velli di reinserimento:

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a. occupazionale con prevalente funzione terapeutica, socializzante, e di sollievoal nucleo familiare;

b. lavoro protetto in contesti adattati e semplificati, in cui si compenetrano la com-ponente di supporto al reinserimento lavorativo con una persistente necessitàdi programmi di riabilitazione medica e sociale;

c. inserimento nel lavoro del mondo competitivo, previo eventuale training pre-paratorio e sostegno dei servizi sociali (SIL - SILD) nella ricerca del posto dilavoro.

Anche i nostri studi italiani ci dicono che non più del 50% degli ex pazienti tor-nano al lavoro.Quali sono alla fine le raccomandazioni rispetto alle strutture e servizi che la giu-ria ha fatto in sintesi? 1. Revisione e armonizzazione della denominazione dei servizi. Sembra ba-

nale, ma se chiamassimo le stesse cose con gli stessi nomi forse ci intende-remmo un po’ di più.

2. Necessità di costituire dei registri, degli osservatori locali, che abbiano ilpolso della situazione. Ce lo diceva prima il rappresentante dei Sindaci, è for-temente sentita la necessità che ci sia un nucleo operativo locale che abbia ilpolso della situazione.

3. Necessità di rendere disponibili informazioni sui servizi esistenti nel terri-torio. Questo perché di fatto molti dei nostri pazienti e molti dei centri che do-vrebbero inviare i pazienti hanno una scarsa conoscenza della gammadell’offerta del territorio per sviluppare una insufficiente interazione.

4. Occorre, quando possibile, favorire il rientro a domicilio ma a patto che cisiano dei programmi di supporto alla persona anche con aiuti economici.Questo già accade in alcune Regioni: la Regione Emilia, ad esempio, ha messoa disposizione per i gravi e gravissimi dei fondi economici per un ulteriore sup-porto nei casi in cui la famiglia faccia l'opzione di gestire il paziente a casa.

5. Incentivare la creazione di servizi non residenziali con programmi dedicatiper aiutare la famiglia che ha comunque fatto la scelta di riaccogliere a casa ilpaziente. La dottoressa Taricco vi accennava ad esempio alla necessità di offrirericoveri di sollievo, ma in assoluto tutti i programmi strutturati, dedicato a que-sti pazienti, favorisce la deospedalizzazione e l’abbandono della opzione, spes-so adottata dai familiari con dolore e grandi sensi di colpa, di inserimento delpaziente in strutture istituzionali.

Grazie!

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Il mio intervento vuole riprendere il lavoro di una Commissione istituita pressol’Ufficio di Gabinetto e la Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, deiLivelli Essenziali di Assistenza e dei Principi Etici di Sistema del Ministero dellaSalute Ministeriale e di cui ho avuto l’onore di fare parte, con lo scopo di proget-tare una rete per la presa in carico delle Persone in Stato Vegetativo e in Stato di Co-scienza MinimaAttualmente nel nostro paese non esistono indagini o studi multidisciplinari in gradodi costituire una valida e condivisa matrice di riferimento per l’attività diagnosticae terapeutica in materia, se non limitatamente a questioni parziali, anche se diestrema rilevanza, come la nutrizione e l’idratazione dei soggetti in condizioni dibassa responsività, sostenute dal crescente interesse che va maturando intorno allequestioni di bioetica a seguito degli ultimi eventi di cronacaPeraltro il Piano Sanitario Nazionale prevede la promozione di una rete integratadi servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici e dei soggetti partico-larmente vulnerabili attraverso il miglioramento e la diversificazione delle strut-ture sanitarie al fine di perseguire il miglioramento della qualità della vita dellepersone disabili e dei propri familiari. Da ciò è nata l’esigenza di una commissione tecnico-scientifica con l’obiettivo dipervenire ad un documento che, sulla scorta delle conoscenze epidemiologiche escientifiche attualmente esistenti, possa fornire indicazioni atte a garantire, qualepremessa di una vera continuità assistenziale, una coerente successione ed integra-zione dei diversi interventi e tipologie di setting assistenziali, in funzione delle fasidel processo morboso e delle condizioni cliniche della persona nonché delle situa-zioni familiari ed ambientaliAnche se il primo stato vegetativo di cui abbiamo documentazione risale al 1899- Rhosenblat (Bricolo A, Dolce G, Clinical evolution of severe post tarumatic coma.

Giambattista Guizzetti Direttore del Dipartimento di Neuroscienze – Ospedali Riuniti di Bergamo

LA CONFERENZA DI ROMAE GLI STATI VEGETATIVI

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Minerva Neurochir 1969; 13: 61-8) descrive un paziente sopravvissuto per ottomesi ad un grave trauma cranico e alimentato con un sondino naso gastrico in unacondizione di non responsività all’ambiente - questa condizione si è posta all’at-tenzione dell’opinione pubblica per la sua drammaticità, numerica e di compro-missione funzionale, solo negli ultimi tempi con la comparsa delle tecniche dirianimazione cardiopolmonare e di sostegno delle funzioni vitali, che, se da un latohanno permesso il miglioramento nella prognosi di molte e gravi patologie (infartocardiaco, ictus cerebrale, insufficienza respiratoria, traumi cranici, ecc.), consen-tendo recuperi sino allora inattesi ed insperati, hanno, dall’altro, portato alla com-parsa di questa condizione: “esito non voluto e non auspicato di un interventosanitario sempre più precoce, efficace e diffuso sul territorio”. Nel soggetto in statovegetativo (SV) tutte le funzioni vitali sono conservate, la sua vita non dipendequindi da supporti tecnologici, ma da quello che ognuno di noi necessita per vi-vere: acqua, cibo, igiene, movimento e calore umano. L’approccio assistenziale e riabilitativo alle persone in Stato Vegetativo o di Mi-nima Coscienza rappresenta un problema di grande rilevanza medica e sociale poi-ché il numero e l’aspettativa di vita di questi individui è in progressivo aumento intutti i paesi industrializzati. La prognosi funzionale dei soggetti colpiti da grave cerebropatia è severa, tanto piùse la condizione è causata da un evento anossico e quanto maggiori sono l’età e iltempo trascorso. Per valutare sino in fondo le possibilità di recupero andrebbe lorogarantito un trattamento riabilitativo di almeno 12 mesi nei casi di trauma cranicoe di 3 negli altri (anossie, ischemie, emorragie). Oltre questo periodo, in caso diesito sfavorevole, la complessità e la gravità dei deficit richiedono un impegno as-sistenziale assai gravoso che solo in rari casi può essere erogato a domicilio. Vaquindi per loro programmato un percorso assistenziale che, la dove non si ottengaun accettabile recupero funzionale, sappia successivamente prendersi cura del gravebisogno di cui sono portatori. Senza dimenticare che in taluni casi, qualora vengamantenuta un’intensività di cura, assistenziale e relazionale, è comunque possibileassistere, anche a notevole distanza di tempo dall’evento precipitante, ad un mi-glioramento delle condizioni: recupero di relazione ambientale con riconoscimentodei propri cari e comprensione degli stimoli, rimozione della tracheocannula, ri-presa totale o parziale dell’alimentazione per via orale e dell’eloquio, guarigione deidecubiti. Qualunque siano le cause determinanti, gli stati vegetativi prolungatihanno una storia naturale ed un evoluzione del tutto simili tra loro. È quindi possi-bile, oltre che auspicabile, proporre un unico modello per la loro gestione. Allontanandoci dall’evento acuto le necessità assistenziali, il trattamento riabili-tativo e le stesse professionalità necessarie alla cura si modificano profondamente.Superata la fase precoce, caratterizzata da instabilità clinica, dalla possibile com-parsa di complicanze e da una maggiore mortalità, la presa in carico virerà semprepiù verso il soddisfacimento delle normali esigenze assistenziali di base (igiene,

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nutrizione, idratazione, gestione delle posture,mobilizzazione, ecc.), la prevenzionedel danno secondario e terziario (decubiti, retrazione articolari, anchilosi) e l’ac-coglienza della domanda di sostegno posta dai familiari, in un’ottica biopsicoso-ciale. Un’analoga modificazione riguarda il progetto riabilitativo: la doverosaintensività dei primi mesi deve lasciare spazio ad un intervento sempre più caratte-rizzato dall’estensività. Il trattamento riabilitativo estensivo è volto al persegui-mento del maggior benessere possibile dell'individuo, a prescindere dal grado direcupero delle autonomie ottenibile, e deve continuare per tutto il tempo di duratadella lesione e quindi, per lo stato vegetativo, per tutta la durata della vita residua.Una nursing attenta e sollecita è in grado di rispondere adeguatamente alle due esi-genze: assistenziale e riabilitativa estensiva. È utile sottolineare che un tale ap-proccio non pone le premesse teoriche per giustificare un calo nel livello enell’intensità assistenziale, ma al contrario vuole garantire che in ogni fase dellacondizione sia erogato ciò che effettivamente necessita, evitando sperequazioni esprechi di risorse.Lo stato vegetativo rappresenta, come è noto, la naturale evoluzione dello stato dicoma dovuto a Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA). La necessità di definire unpercorso lineare e precoce per queste persone deriva da una serie di considerazioni:– la condizione di stato vegetativo, almeno nelle fasi iniziali, ha necessità di una

presa in carico intensiva e competente per quanto riguarda sia la gestione clinicache la valutazione dello stato di coscienza

– è documentato che la permanenza delle persone in Stato Vegetativo (SV) o Statodi Minima Coscienza (SMC) nei reparti di cure intensive (rianimazioni) non fa-vorisce il recupero e che pertanto è necessario avviare quanto prima percorsi direcupero

– al pari della permanenza nei reparti di cure intensive la permanenza oltre il ne-cessario nei reparti di riabilitazione intensiva di pazienti cronicamente in SV oin SMC determina un improprio ricovero che tra l’altro impedisce l’accogli-mento di nuovi casi

– è opportuno chiarire sia il percorso che la denominazione delle strutture in gradodi accogliere queste persone anche per non disorientare i familiari.

In sintesi si tratta di ricondurre i percorsi a quelli meglio corrispondenti ai conte-nuti assistenziali dei servizi che a tale condizione clinica andrebbero offerti, al-meno come traguardo, in successione temporale. Solo in tale modo infatti si potràgarantire la necessaria continuità delle cure, superare i problemi di insufficienzadelle strutture e le situazioni di abbandono terapeutico ed assistenziale, oltre che as-sicurare il necessario sostegno alle famiglie in difficoltà. Tali interventi sono im-prescindibili anche per evitare il permanere inappropriato in strutture a maggiorecomplessità, non utili ai fini terapeutici e notevolmente costose.Per facilitare l’illustrazione del percorso si fa riferimento alla flow-chart della pa-gina seguente.

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CONCLUSIONI

Valenza etica dei modelli propostiLa scelta di creare una rete di supporto per le persone con stati neurologici dibasso livello si fonda sul rispetto della persona umana e sul duplice rifiuto del-l’abbandono assistenziale e dell’accanimento terapeutico.Una tale presa in carico contribuirà a far crescere modelli relazionali fondati suprincipi di equità e di solidarietà all’interno del corpo sociale ed a proporre unmodello di civiltà di per sé stessa alternativa ad ogni scelta eutanasica e operosanel prevenirla.Penso valga la pena riportare il parere del Comitato Nazionale di Bioetica(30/09/05) sulla nutrizione ed idratazione nei pazienti in Stato Vegetativo: – La vita umana è un bene indisponibile, indipendentemente dalle condizioni

cliniche del paziente.– La gravità delle condizioni cliniche non altera la dignità ed i diritti della per-

sona.– Il paziente in SV non può essere considerato un malato terminale.– Non sono quindi eticamente giustificabili né la sospensione, né l’affievoli-

mento delle cure, non essendo né il tipo di patologia, né le probabilità di suc-cesso i fondamenti che giustificano il processo di cura.

– Al contrario, quanto più è fragile il paziente, tanto più cogente è il dovere so-ciale di occuparsi di lui.

– I soggetti in SV ed in SMC sono persone portatrici di diritti, primo tra i qualiil diritto alla vita, e che debbono essere trattati nel rispetto dei principi sopracitati di equità nell’accesso alle cure e di solidarietà verso i bisogni delle fa-miglie.

In particolare ritengo che il paziente in SV e SMC abbia diritto a:– cure adeguate nella fase di acuzie;– diagnosi accurata e precoce; – interventi riabilitativi specifici, intensivi, mirati e proporzionati al bisogno

nella diverse fasi di evoluzione del processo patologico, volti a favorire il mas-simo recupero funzionale;

– assistenza e terapie qualificate, appropriate e proporzionate in tutte le fasi dimalattia;

– continuità delle cure nelle diverse sedi di intervento (compreso il domicilio).

Quando l’iter riabilitativo si è concluso, per l’instaurarsi di una condizione dicronicità a bassa speranza di recupero, il soggetto resta portatore del diritto al-l’assistenza di base (comprendente l’idratazione e la nutrizione, l’igiene perso-nale, la mobilizzazione, il riscaldamento). Tale assistenza di base è indispensabile

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per assicurare il diritto alla vita. Il fatto che essa venga assicurata al paziente inSV, come ad ogni altra persona in condizioni di fragilità, costituisce un segno in-confondibile del livello di civiltà di una organizzazione sociale. La sua sospen-sione è inaccettabile se fondata su un giudizio esterno negativo sulla qualità divita del paziente e si configurerebbe, se ammessa, come un atto di eutanasiaomissiva.La Comunità ed il SSN hanno anche il dovere di considerare i bisogni della fa-miglia dei soggetti in SV, necessitando essa di adeguate forme di sostegno ed in-tervento, per evitare il rischio di essere a sua volta disgregata dal caricoassistenziale.

Benefici attesiRitengo che i modelli organizzativi-assistenziali proposti possano costituire unutile strumento per assicurare al paziente, in modo uniforme sul territorio na-zionale, livelli essenziali di assistenza (LEA) tali da garantire alla persona in SVo in SMC il diritto alla cura di è portatrice. Pur considerando la collocazione adomicilio per i pazienti ormai cronici la più auspicabile, va tutelato il diritto perle famiglie che non si sentono o non sono in grado di riaccogliere il paziente inSV o SMC all’interno del domicilio familiare di aver garantita un’adeguata col-locazione istituzionale per il congiunto gravemente disabile. Ma c’è un ultimoaspetto da sottolineare: i modelli proposti, fondati sulla qualificazione e sull’ap-propriatezza degli interventi, rispondono anche alla necessità di garantire un usodelle risorse corretto ed economico, capace di abbattere significativamente i costi,evitando gli sprechi dovuti ad interventi inefficaci o svolti in sedi inidonee, spe-cie se più costose, e prevenendo la duplicazione dei ricoveri e le fughe dei pazientiverso centri esteri.

Dibattito a conclusionedella mattinata

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Francesco Biroli *Grazie Guizzetti perché hai trattato con estrema lucidità e anche con grandis-sima attenzione umana un argomento così impegnativo e così complesso.È stata una mattinata molto densa di argomenti e abbiamo un po’ di tempo perdiscuterli. Io tenterò di fare una sorta di sintesi, almeno con dei titoli, degli ar-gomenti più impegnativi e più importanti che abbiamo dibattuto questa mattinain modo da cercare di orientare la nostra discussione:1) La grande importanza delle Conferenze di Consenso e l’elaborazione di Linee

Guida che magari lentamente e con molta difficoltà, ma alla fine diventanooperative e tracciano davvero la strada del percorso di questi pazienti.

2) Le reti. Rischia di essere pura retorica questa, ma è un argomento di assolutaimportanza. Senza la rete non riusciremo a fare una medicina moderna, e inparticolare nella nostra provincia nella quale stiamo costruendo un ospedalenuovo. La coordinazione delle varie strutture ospedaliere, sanitarie e socialisarà assolutamente indispensabile per permettere il funzionamento di questagrande realizzazione.

3) Il coordinamento. Abbiamo sentito più volte quanto è importante che i singolisegmenti di assistenza, a volte davvero straordinari ed eccellenti sia per qua-lità di tipo tecnico che per qualità di tipo sociale e relazionale, devono essereben collegati tra di loro. È necessario un coordinamento, ma da operatore dicoche sudo freddo quando sento parlare di burocrazia o di commissioni. È dav-vero necessario che il coordinamento sia un coordinamento agile, fattivo eche agevoli e renda più rapido il lavoro degli operatori.

4) La situazione post ospedaliera, su cui è stato posto un grande accento in que-ste relazioni, e che è probabilmente una delle sfide importanti che ci aspettaper il futuro e che è fatta di territorio, di famiglie, di associazioni. Un brevissimo commento alle associazioni e alle famiglie: esse sono un va-lore straordinario. È molto importante, però, che anche queste rientrino in unprogetto di coordinazione unitario con quelle che sono le strutture sanitarie esociali presenti sul territorio.

5) Infine un interrogativo che è quasi più di tipo etico che amministrativo, ma chenon possiamo eludere. Abbiamo delle risorse economiche che sono limitate.Come le utilizziamo? Come selezioniamo i pazienti per i quali queste risorsevanno indirizzate?

E ancora un’altra domanda che è estremamente pesante dal punto di vista eticoma che è ineludibile e a cui ha accennato anche Guizzetti. A volte gli stati ve-getativi sono il frutto avvelenato della grande tecnologia medica che ha dato deirisultati straordinari, che ha contribuito a salvare un’enorme quantità di vite

* Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Ospedali Riuniti di Bergamo

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umane e a migliorare la qualità di queste vite, ma che forse - lo sottolineo, è uninterrogativo che dobbiamo porci - a volte sconfina nell'accanimento o forse inquella che si chiama medicina difensiva. Sono argomenti sui quali dobbiamoriflettere.Iniziamo la discussione su questi punti. Non vorrei avere gelato l’uditorio.

Domanda:Volevo fare una domanda io per rompere il ghiaccio alla Taricco. I dati che haipresentato sulle famiglie secondo me sono troppo buoni, cioè la realtà delle fa-miglie è molto più grave e molto più disastrata di quello che hai presentato tu. Per-ché forse voi avete preso questi dati da centri di eccellenza per cui magari già lìattorno c'era una rete che funzionava. Girando con le associazioni una delle richieste drammatiche è proprio quella del-l'aiuto, ma soprattutto degli aspetti psicologici, economici.Da De Tanti mi interessa sapere di più sul contributo che la Regione Emilia Ro-magna dà alle famiglie delle persone con disabilità acquisita perché questo è unaiuto concreto e importante che da noi ancora non esiste.

Risposta: Mariangela TariccoIo ho detto che sono tante 450 famiglie, però erano abbastanza distribuite perchéi centri da cui li abbiamo presi, distribuite come sono distribuiti i centri italiani,quello più a sud era quello di Roma del Santa Lucia. I dati che ci hanno dato le as-sociazioni sono molto peggio di quelli che ci hanno dato le famiglie. E questoanche l’ho detto, cioè quando noi le stesse domande le ponevamo alle associazioniqueste ci rispondevano per quello che loro conoscevano dalle famiglie che segui-vano. E, ripeto, sottolineavano molto di più questo senso di abbandono. Io direi che se dobbiamo vedere qual è il punto principale che viene fuori da que-sto piccolo campione, ma che è abbastanza rappresentativo, è soprattutto la soli-tudine. La solitudine che poi non è neanche tanto la mancanza di fondi economicima più che altro la mancanza di strumenti per gestire queste cose. Ecco, io credoche sia questo il punto su cui noi come strutture, sia sanitarie che sociali, dobbiamointerrogarci. Non tanto quello di dare dei fondi, qui poi risponderà Antonio.Ma io vedo anche certe Regioni che hanno fatto questa politica del fondo. Io noncredo che sia una buona idea se si limita al fondo. Ne parlavo con l’Assessoredella sanità della Sardegna l’anno scorso che sta cercando di promuovere, e peri disabili loro fanno solo questa cosa qui. Secondo me può creare delle distorsionipazzesche, cioè che questi fondi vengano usati dalla famiglia per le cose più as-surde, mentre invece mancano proprio i servizi di base dove anche la famigliadeve essere guidata. Cioè è un po’ come dire: ti dò un po’ di soldi, scegliti tu ilterapista piuttosto che l’infermiere, quello di cui hai bisogno. Ma la famiglia devesapere quello di cui ha bisogno perché se deve giudicare da sola magari pensa che

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assumendo un fisioterapista a tempo pieno risolve tutti i problemi. E invece nonè così. Deve essere anche guidata. Certo che l’aiuto economico va dato, però secondo me non si può darlo così, inmodo indiscriminato.

Risposta: Antonio De TantiSì, pienamente d'accordo.La norma a cui facevo riferimento io è la direttiva regionale 20/68 del 2005, lacosiddetta direttiva per i gravi/gravissimi, che ha individuato dei fondi, cioè deifondi aggiuntivi alle provvidenze già istituite - l’invalidità civile, l'assegno di ac-compagnamento - proprio per andare incontro alle necessità economiche dellefamiglie che optano per la soluzione domiciliare. Questo era stato fatto con ildoppio intento, di tipo etico e sociale, di favorire le intenzioni della famiglia diriaccoglimento nell'ambiente di vita naturale del paziente, ma anche per una lo-gica economica della comunità: da un lato si aiuta la famiglia, pur sapendo checomunque quei fondi non coprono tutte le spese di cui si fa carico; dall’altro latola comunità, che è comunque carente di posti in strutture con letti dedicati, rie-sce a ridurre le necessità di ulteriori posti ad alta valenza assistenziale in RSA.Tutto questo può andar bene e da alcune famiglie è stato accettato favorevol-mente a patto che parallelamente al supporto economico si sviluppi un piano disupporto, cioè che ci sia il case manager e che ci siano le risorse territoriali cheindirizzino, sostengano e mettano a disposizione, nei tempi utili, anche le personee i tecnici di cui c’è bisogno. C'è anche tutto un lavoro di coinvolgimento dei me-dici di medicina generale, ad esempio attraverso organizzazione di country ho-spital, aggregazione di medici di medicina generale che si associano percondividere competenze e prendersi meglio carico in modo più continuativo,delle esigenze di pazienti così fragili e complessi.

Francesco Biroli: Abbiamo spazio ancora per una domanda o un commento. Prego.

Maria Grazia InzaghiIo sono Maria Grazia Inzaghi, sono Presidente della SPAN che è la società deglipsicologi dell’area neuropsicologica e sono calata nel territorio bergamasco inquanto responsabile del laboratorio di neuropsicologia della clinica Quarenghi diSan Pellegrino.Io volevo focalizzare un attimo l’attenzione sul problema della neuropsicologia.Abbiamo sentito dalle relazioni della dottoressa Taricco e del dottor De Tantiquanto il problema del deficit neuropsicologico cognitivo e comportamentale sial’ostacolo più grosso che devono fronteggiare i familiari. E sappiamo che il mancato reinserimento socio lavorativo è attribuibile per la

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quasi totalità dei casi ai deficit neuropsicologici e non ai deficit di natura fisica. Da un lato i dati di letteratura ci dicono che c'è spazio per la riabilitazione in am-bito neuropsicologico e che si ottengono dei risultati purché questa sia prolungataper un tempo adeguato.E allora a questo punto c’è da chiedersi: bene, analizziamo la situazione dellaprovincia di Bergamo relativamente all'offerta della riabilitazione neuropsicolo-gica.Come aveva già accennato nella sua introduzione l’Assessore Speranza l'indagineche la SPAN ha effettuato nella provincia di Bergamo è un po' deludente. Ci sonopochissime strutture che offrono questa tipologia di intervento ma soprattuttopochissimi posti letto che in qualche modo danno questa opportunità.Da una nostra indagine ci sono circa 100 posti letto nella provincia di Bergamoin cui è garantita la presenza di un neuropsicologo; ci sono 100 posti letto in cuiè garantita in modo parziale, si intende un paio d'ore alla settimana solo per qual-che patologia e non si capisce quali sì e quali no; e poi ahimè ci sono 250 postiletto in cui non c'è un neuropsicologo a disposizione per un intervento adeguato.Questo direi che è un grave problema. Quando io ho esposto questa situazione in Regione Lombardia mi è stato rispo-sto che l'utenza può scegliere in quale struttura andare a ricoverarsi, se andare aricoverarsi in una struttura che offre la riabilitazione neuropsicologica oppureno. Io non credo che sia così perché il Mario Rossi che ha il parente con un gravedeficit e a cui ha detto “entro la settimana è dimesso dall'ospedale” non può per-mettersi di scegliere.Soprattutto manca la conoscenza rispetto a che cosa è meglio, e quindi ci si af-fida al primo posto che si libera e al posto più vicino a casa sperando che unastruttura sia uguale all'altra.Questa è la mia richiesta, che occorra da un lato diffondere queste informazioniperché la popolazione sappia quali sono i propri diritti. Occorre una sensibilitàmaggiore da parte delle strutture che si occupano di riabilitazione perché inve-stano dei fondi per garantire questo tipo di servizio. Sapendo che quando il pa-ziente grazie alla riabilitazione neuropsicologica migliora nel suo percorso nepossono beneficiare tutti gli operatori della struttura oltre che i familiari. E soprattutto ci si chiede perché le istituzioni in qualche modo non tengano contodi questi dati e in qualche modo non siano sensibilizzate a creare delle richiestepiù precise a tutte le istituzioni che vogliono dedicarsi alla riabilitazione.Grazie.

Francesco Biroli: La ringrazio di questo commento che è veramente molto importante.Ovviamente non c'è una risposta immediata e una ricetta immediata da darle,però c'è una osservazione. Che la frontiera di tutte le neuroscienze, e in partico-

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lare della riabilitazione, si è spostata su quello che è l'aspetto di tipo cognitivoneuropsicologico espressivo e relazionale. Mentre una volta ci accontentavamodi valutare il movimento - sono rozzo ma credo che si renda l'idea - adesso la verafrontiera, il vero punto su cui impegnarsi, è l'aspetto cognitivo e neuropsicologico.Io chiederei al dottor Speranza di fare un commento finale di chiusura a questaseduta mattutina che è stata estremamente interessante e per la quale ringraziotutti voi di essere stati qui fino ad ora. Ringrazio in particolare ancora il dottorSperanza per averla organizzata così bene.

Conclusioni dell’Ass. Bianco SperanzaVolevo concludere con delle riflessioni. Ho ascoltato con molta attenzione gliinterventi degli illustri relatori di stamattina e ho percepito con sofferenza qualecatena di eventi provocano queste disabilità dal punto di vista sanitario, riabili-tativo, sociale, affettivo, emotivo.La Provincia di Bergamo non gestisce questi servizi però ha una funzione di co-ordinamento, di supporto tecnico, di collaborazione. Abbiamo avuto questo tavolo sulla disabilità acquisita perché ci preoccupanotutte le disabilità in genere. Abbiamo affrontato anche questo tema in manieradirei molto proficua mettendo attorno a un tavolo di lavoro tutte le realtà che sioccupano di questa problematica.Si fanno tanti tavoli di lavoro. Questo è stato un tavolo di lavoro proficuo ed ef-ficace perché confrontandoci abbiamo capito e abbiamo percepito come si lavoranei vari comparti in modo da fare in modo che ci possa essere questa tanto desi-derata continuità. Stamattina si è parlato di questa frazione fa sanitario e sociale. Dobbiamo cercaredi eliminarla, integrare il socio sanitario in modo che il soggetto possa avere unastoria di eventi positivi per lui.Voglio concludere accennando anche al problema delle risorse. Effettivamente siparla sempre di risorse che sono sempre scarse. Le risorse ci sono e possono es-sere scarse, ma ci sono problemi che continuano ad aumentare. Quindi ci vor-rebbero più risorse. Da un punto di vista strettamente legato all'argomento che oggi abbiamo affron-tato, essendo anch'io medico, condivido quello che ha detto il collega Biroli: at-tenzione all'accanimento terapeutico, facciamo le cose in modo da gestire almeglio le nostre risorse, razionare le risorse non per renderle improduttive, maper renderle produttive.

Vi ringrazio per l'ascolto e ci vediamo nel pomeriggio.

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Sessione Pomeridiana

La sessione pomeridianaè stata moderata da

Simona ColpaniPedagogista, consulentedel Settore

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La riabilitazione (che si avvale anche e non solo della fisioterapia), è in sintesiun processo orientato al recupero dell’autonomia (soprattutto fuori dall’ospe-dale) persa a causa di una patologia. È un intervento che può essere attuato inregime di degenza, day hospital o ambulatoriale, seguendo l’evoluzione cli-nica e la riduzione della disabilità del paziente. Si avvale non solo della fisio-terapia motoria ma anche della riabilitazione neuropsicologica. Accanto alpercorso sanitario la riabilitazione necessita di un percorso sociale e lavora-tivo.Nel caso della Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) il recupero dell’auto-nomia passa attraverso la ripresa di alcune funzioni quotidiane perse quali ve-stirsi, mangiare, lavarsi, usare il wc, spostarsi etc, ma anche più specificata-mente attraverso il miglioramento delle funzioni cognitive, spesso alterate, chepossono far diminuire la capacità di comunicare, di orientarsi, di ricordare, diprogrammare gli atti della propria vita, di consentire una normale capacità direlazione, di riprendere il lavoro o gli studi, di avere un comportamento ade-guato al contesto. Per altro in alcuni casi vi è la necessità, a causa di una scarsa evoluzione cli-nica, come nello stato vegetativo o di minima coscienza, dover trovare soluzionidiverse per garantire l’assistenza al di fuori dell’ospedale .La riabilitazione delle gravi cerebrolesioni si realizza attraverso un percorsoriabilitativo ed assistenziale che schematicamente viene suddiviso in tre fasi:fase acuta (stabilizzazioni delle funzioni vitali), fase subacuta (o acuta riabili-tativa), fase degli esiti (con il coinvolgimento anche delle strutture sociali)(Diapositiva 2).Spesso è un percorso che dura mesi od anni, è comunque sempre individualesia nei confronti del malato che della sua famiglia.

Giovanni MelizzaFisiatra, Responsabile di U.S. per i traumi cranio encefalici presso la U.S.C.di medicina fisica e riabilitazione Ospedali Riuniti di Bergamo

DALL’OSPEDALEAL TERRITORIO

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La collaborazione e la condivisione del percorso con i familiari è per noi fon-damentale, considerando che nelle fasi iniziali le capacità relazionali del ma-lato sono spesso inesistenti o limitate.Possono essere difatti persone con scarsa vigilanza (anche stati vegetativi ocon minima coscienza) od in fase ancora di marcata menomazione cognitiva.Nella consapevolezza che anche la famiglia è essa stessa “vittima della cere-brolesione”, in linea con le indicazioni delle Conferenze di Consenso sulle ce-rebrolesioni acquisite di Modena 2000 e Verona 2005, abbiamo cercato nellanostra organizzazione di favorire il sostegno dei parenti attraverso le proceduremostrate nella diapositiva 4.L’informazione della gravità della malattia viene fornita pertanto nel tempo esi confronta con le fasi di elaborazione del trauma da parte dei familiari. Spessoè necessario gestire sentimenti di rabbia, negazione, sofferenza e difficoltà do-vuta ai cambiamenti di ruolo familiare. Tali problematiche si ripercuotono nellerelazioni con gli operatori sanitari.Metodologicamente per favorire lo scambio di informazioni viene formato perogni paziente un team riabilitativo interprofessionale e, all’interno di riunionistrutturate, viene definito un progetto riabilitativo formato da vari programmiriabilitativi. Tale progetto viene condiviso con i parenti dopo aver fornito lorotutte le informazioni cliniche necessarie alla comprensione delle conseguenzepossibili della patologia .Il team iniziale può essere modificato ed integrato da altri operatori durante ilpercorso in relazione all’evoluzione del quadro clinico, dei bisogni e degliobiettivi perseguibili secondo ancora lo schema della diapositiva 3.

Ritornando al percorso riabilitativo e schematizzando lo schema della Confe-renza di Consenso di Verona è possibile descrivere 3 principali tipologie evo-lutive del paziente secondo il livello di disabilità:1° tipologia: quadro di stato vegetativo e stato di minima coscienza (permanela dipendenza totale e l’assenza di una reale ed efficace capacità comunica-tiva).Il percorso prevede la collocazione presso unità di riabilitazione intensiva sinoa minimo tre mesi dall’evento lesivo nel caso di anossia cerebrale e sei mesi incaso di trauma cranicoIn tale periodo oltre al trattamento riabilitativo viene ovviamente monitorato lostato di coscienza e le capacità comunicative ed interattive del paziente. Nelcaso di non rilevante evolutività clinica e/o funzionale viene programmata la di-missione che può essere indirizzata su due percorsi alternativi:1. Collocazione nelle degenze della Riabilitazione Generale Geriatrica (come

da disposizione regionale con pagamento della retta da parte ora della Re-gione)

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2. rientro al domicilio su richiesta dei parenti e dopo aver completato la for-mazione all’assistenza degli stessi. In questo caso un’esperienza pilota inItalia realizzata dalla nostra USC di Riabilitazione degli Ospedali Riuniti diBergamo è quella dell’utilizzo di un appartamento all’interno del nostroedificio a Mozzo che consente la verifica delle proprie competenze assi-stenziali da parte dei familiari prima dell’effettivo rientro al domicilio (dia-positiva 5).

2° tipologia: più frequentemente il percorso riabilitativo viene attivato per leproblematiche legate alla grave disabilità.Una lesione cerebrale comporta facilmente difficoltà nel movimento (ad esem-pio paralisi, paresi), deficit sensoriali (ad esempio vista, udito), deficit cogni-tivo come già in precedenza descritto e/o deficit comportamentali gravi; vi èinoltre la necessità di gestire pazienti con cannule trachesotomiche e Peg perl’alimentazione a causa di deficit della deglutizione. Nel caso dei traumi cra-nici vi è spesso la coesistenza di politraumi con lesioni multiorgano e proble-matiche ortopediche. Si tratta di persone che, pur riprendendo coscienza econtatto con il mondo, necessitano di programmi riabilitativi intensi e prolun-gati nel tempo con recuperi di autonomia limitati (diapositiva 6).Per la piena attuazione di questi percorsi l’impegno delle strutture sanitarie èstato quello di potenziare i posti letto ed il personale ad esso dedicato così dapoter dare al massimo numero di pazienti la possibilità di accedere alla riabi-litazione intensiva.Un impegno particolare è stato rivolto alla creazione e al potenziamento dellariabilitazione neuropsicologica come elemento qualificante della riabilitazionesia per la grave disabilità che per quella lieve e moderata anche in considera-zione della giovane età dei soggetti coinvolti, in particolare sia per traumi cheper lesioni vascolari aneurismatiche La consulenza stretta con il Servizio Psichiatrico consente inoltre di gestire ilproblema comportamentale affrontandolo già nella degenza, sia con interventofarmacologico, sia ritardando ove possibile il rientro del paziente al domicilio.

3° tipologia: una possibile evoluzione clinica è rappresentata dalla lieve o mo-derata disabilità che a discapito della definizione “lieve” può rappresentaregrosse problematiche individuali e sociali, che si presentano una volta superatala fase acuta con la dimissione dalla Neurochirurgia ed il rientro a casa, attra-verso difficoltà ad esempio a concentrasi, a ricordare e/o programmare, a man-tenere capacità relazionali con i familiare e non, a riprendere una regolareattività lavorativa, a reggere i ritmi della quotidianità, comparsa di quadri de-pressivi o altre turbe del comportamento. Questo tipo di disabilità, statistica-mente la più diffusa, rischia attualmente di non essere vista anche perché, a

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volte, la classe medica e non solo sottovaluta l’entità delle menomazioni co-gnitive, più difficilmente quantificabili rispetto a quelle di origine motoria edil conseguente impatto sociale. Pertanto non sempre i pazienti accedono allariabilitazione neuropsicologica ed il territorio non sempre è attrezzato a gestirein termini psicologici e farmacologici queste persone che hanno subito undanno organico al cervello (diapositiva 7).Al fine di facilitare il passaggio dal sanitario al sociale all’interno di quegli in-terventi effettuati per sostenere ed informare la famiglia, durante la degenza ria-bilitativa favoriamo momenti di incontro con il Servizio Sociale Ospedaliero,produciamo certificazione medica per inoltro domande di invalidità, effet-tuiamo prescrizioni di ausili o consulenze per il superamento delle barriere ar-chitettoniche, contattiamo i Servizi Territoriali sanitari, sociali e scolastici,attiviamo percorsi individuali di collaborazione con la Cooperativa Progetta-zione ed altro ancora (diapositiva 8).Acquisita la stabilità internistica ed alcune competenze per la mobilità e l’au-tonomia viene concordata con i parenti la dimissione. Ciò non vuol dire che ter-mina la riabilitazione, essa anzi spesso prosegue come già scritto conprogrammi in day hospital o in regime ambulatoriale od anche in seguito anchesolo tramite un monitoraggio delle attività svolte in ambito extraospedaliero(detto ecologico) e la verifica anche a distanza di tempo di eventuali proble-matiche residue o connesse alla patologia cerebrale (diapositiva 9).In conclusione quello che ho descritto rappresenta a grandi linee sia il possi-bile percorso riabilitativo che un paziente affetto da cerebrolesione acquisitacon i propri familiari deve affrontare, sia il tentativo di noi operatori sanitari digestire questo percorso con le risorse disponibili e con l’occhio, sempre attentoin campo riabilitativo, al “dopo ospedale”. Molto rimane da fare perché questipercorsi possano completarsi con un completo percorso riabilitativo sanitarioe sociale.La diapositiva 10 riassume alcuni spunti di possibile discussione e di stimoloper il completamento di questi percorsi su tutto il territorio provinciale.

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Diapositiva 2

Diapositiva 4

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Diapositiva 10

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Il contributo che la Federazione Nazionale Associazione Traumi Cranici portanon è che la testimonianza di soggetti che stanno vivendo il dramma che coin-volge la famiglia quando, in casa, improvvisamente e senza preavviso un solocomponente diventa cerebroleso. Noi non abbiamo scelto di specializzarci nel campo del trauma cranico ma siamostati coinvolti da una telefonata che ci comunicava che un nostro caro aveva avutoun grave incidente. Da quel momento le problematiche del trauma hanno coin-volto e travolto tutta la famiglia ribaltandone l'esistenza. In questa relazione cercheremo di riportare situazioni e sentimenti che si vivonodurante le fasi di recupero da un grave trauma cranico di un proprio Caro a par-tire dalla rianimazione fino al ritorno a casa. Il primo impatto violento è stato con la rianimazione o con il reparto di neuro-chirurgia in cui l’obiettivo primario è lo strapparti alla morte. Gli ambienti arre-dati con monitor e allarmi che suonano in continuazione e ti mettono in agita-zione stravolgono, ancora di più, lo strato di confusione mentale in cui ti trovi,che ondeggia da valutazioni negative ad altre legate ad un tenue filo che tenga invita la persona amata. Non sempre riesci a capire o tradurre quello che ti dicono. Un mondo irreale,inimmaginabile fino a poco prima, incomincia a diventare il tuo vivere quoti-diano. La Famiglia, la Fede, gli Amici ti circondano e ti aiutano. Non sempre seicosciente di quello che sta succedendo e speri che tutto sia un sogno destinato afinire presto. Purtroppo non è quasi mai così. Vinta la battaglia per la morte avviene, ma non per tutti, il ricovero presso l’unitàdelle gravi cerebrolesioni, dove esse esistono, altrimenti viene inviato in struttureospedaliere non sempre con pari specializzazioni. Più passano i giorni e più ti rendi conto della gravità della situazione. L’illusione

Stefano PelliccioliPresidente Associazione Amici Traumatizzati Cranici – FederazioneNazionale Traumi Cranici

LA RICERCA DI UNANUOVA IDENTITÀ.L’ESPERIENZADELLE FAMIGLIE

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di un pronto risveglio, inculcatoci da informazioni lette o viste in tivù, si scontracon realtà di giorni e giorni senza il più piccolo segnale di ripresa, se non addi-rittura di subentro di complicazioni.Il tempo impietoso passa ed anche la cortina di Persone, che ti aveva circondatoaiutandoti a non naufragare, pian piano incomincia a ridursi. Ti trovi così con ildannato dubbio che nelle situazioni più drammatiche si fa sempre più forte: senon uscisse più dal coma?In molti casi subentrano episodi di paresi neurologica che vanno ad aggravare ul-teriormente il quadro clinico. Quando incominci ad avere una stabilizzazionedella situazione improvvisamente una notizia non presa in considerazione finoad allora ti ributta nella disperazione più profonda.Trascorsi alcuni mesi nelle unità speciali per gravi traumatizzati il tuo caro vienedimesso. Un moto di rabbia, di ribellione, di abbandono ti assale. Cosa farà a casa col suo Figlio, una semplice casalinga senza le necessarie pre-parazioni fondamentali? In ospedale i sintomi del malato sono conosciuti e trat-tati da Personale esperto. Ma a casa come farà a soccorrerlo correttamente?A seconda delle forze che Ti circondano riesci più o meno a gestire l’attualità, masempre più forte, nei casi più drammatici, inizia a formarsi un'altra domanda an-cora più terrificante: cosa ne sarà di lui alla nostra morte?Inizia così un pellegrinaggio a ricercare strutture in cui poter tentare di fare tor-nare ad una vita degna di tale nome il tuo Caro. Il trauma cranico è la prima causa di morte dei Ragazzi. Ogni anno circa 7.000morti restano sulla strada, ed ogni giorno sono più di 1.000 i feriti. Della molti-tudine di Soggetti coinvolti ben 20.000 Persone finiscono in coma; in 7.000 sene escono e, per Loro, quel periodo rimane sono un ricordo drammatico; alcunerimangono, per tutta la vita, in stato vegetativo o minimamente responsivo equasi il 65%, pari a 12.000 Soggetti, se ne escono dal coma pur continuando aportare su di se gravi disabilità.Il trauma cranico ha un’evoluzione diversa da uno dall'altro. Abbiamo personeche al momento dell'incidente subiscono lesioni tremende al corpo ma con ridottidanni al cervello, per cui vediamo gente che a soli pochi mesi dall’incidente conil corpo ferito e con danni estetici devastanti parlano già del loro futuro e af-fiancati da strutture competenti tendono a riprendere la vita quotidiana. Abbiamoaltri casi in cui a distanza di mesi o di anni i danni al cervello si manifestano an-cora in tutta la loro drammaticità. Abbiamo persone con notevoli difficoltà, con problemi di memoria, difficoltà aregolare le proprie emozioni, con casi di aggressività che ti obbligano a tenerlilegati in un letto. Abbiamo ragazzi che hanno grossi problemi cognitivi, com-portamentali e caratteriali con personalità difficili da gestire. E non è sufficientesottoporli a qualche terapia saltuaria, slegata da altre, ma vanno inseriti in un pro-getto ben definito, multidisciplinare e seguito nel tempo. Ciò porta ad una diffi-

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coltà d’inserimento sociale con relativo isolamento e senso di frustrazione e di-sistima di sé stessi. Famiglie che si disintegrano, problemi finanziari sempre piùgrandi, l'abbandono del lavoro del Familiare, per supportare i bisogni quotidianidel proprio Caro, non sono che il risultato finale in cui si viene a trovare la Fa-miglia su cui la Società ha scaricato, come se fosse un pacco preconfezionato, inostri Uomini feriti nel corpo e distrutti nella mente.Qualche Famiglia, se questa ha in casa un Traumatizzato, lo avvolge in un cor-done iperprotettivo. Altre Famiglie, rifiutando tutto ciò, lavorano per cercare unarisposta alle esigenze dei Traumatizzati. Iniziano così lunghi anni di riabilita-zioni e di pellegrinazioni in cerca di nuovi centri, non sempre all’altezza delleaspettative, fino alla rincorsa di cure palliative o miracolose. Le terapie acute chesi protraggono per anni sono funzionali ad approcci riabilitativi per singole fun-zioni. Oggi in un Traumatizzato una terapia fisioriabilitativa non è che un pezzo di unmosaico che dovrebbe essere ricomposto, mentre purtroppo nella maggior partedei casi rimane l'unica tessera di quell’insieme: il reinserimento diventa un obiet-tivo arduo e quasi impossibile per i pochi che riescono a raggiungerlo. Nella stragrande maggioranza esiste un futuro di solitudine e di disperazione.Ogni Ragazzo presenta molteplici problematiche e per ognuno, per permettere diritrovare la sua identità, necessità che l'approccio alle attività, gli obiettivi e itempi siano personalizzati.Girando nei vari convegni in Italia raccogliamo sempre maggiori testimonianzedi Genitori che, orgogliosamente accanto ai loro Figli, dimostrano con i fatti chemolte volte anche a fronte di diagnosi mediche disperate, anche se deontologi-camente corrette, è stato possibile portare il Traumatizzato a un livello di auto-nomia accettabile. L’inserimento scolastico o lavorativo, importantissimo, non è che il passaggio fi-nale del percorso effettuato e che vede un Uomo, che è riuscito a trovare una suaidentità, pur restando conscio dei propri limiti, che è teso a vivere tutto il vivibilee con lui tutta la sua Famiglia. Certo, il cammino è lungo e tortuoso ma la presenza costante nelle strutture diNeuropsicologi, di Logopedisti, di Fisioterapisti ed altri Specialisti consente di re-cuperare situazioni che nella stragrande maggioranza venivano diagnosticate nonrecuperabili.Noi non possiamo dimostrare scientificamente come e perché ciò è avvenuto,ma vedere i nostri Cari avviati sulla strada dell'autonomia ci convince della giu-stezza di continuare questa battaglia di civiltà e di giustizia sociale. La cosa che ci sentiamo assolutamente di affermare è che più i nostri Figli ven-gono affiancati nella normale attività da altri Ragazzi, più il cordone ombelicaletra i Genitori e il Traumatizzato, rinato al momento del dramma, si allenta perqueste Persone molte volte inizia una sicura rinascita che li porta alla consape-

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volezza ed accettazione della propria disabilità e di riflesso la volontà di uscirne. Questa società molto attenta più ad apparire che all'essere spendendo € 3.000 algiorno in rianimazione pensa di aver fatto quanto in suo potere. Invece il gridodi dolore e di richiesta di aiuto delle famiglie è teso a far sì che, dopo averlo sal-vato, a questo Figlio sia garantito un ritorno a livello di una vita dignitosa.Noi chiediamo di spegnere l'oscurantismo che permane sul mondo dei post co-matosi e di accendere i riflettori e l'attenzione su questa EPIDEMIA SILEN-ZIOSA. Questa è una descrizione della disabilità acquisita da trauma cranico. Ciò nontoglie che queste caratteristiche di spazio e di recupero di potenzialità residue sipresentino in tantissime patologie. Ed è questa qualità di vita che abbiamo l’ob-bligo di pretendere dalla società e dalle strutture sociali ad esse preposte.Nessuno, e ripeto nessuno, ha il diritto di negare ad un Genitore di lottare contutte le forze per permettere al proprio figlio, vittima di una disabilità, di tornarea un livello di vita che sia degna di tale nome.Quello che è rimasto dopo un grave trauma cranico alcune volte è poco in quantoil destino gli ha tolto quasi tutto. La cosa più drammatica è il dover accettare chea seguito di un incidente stradale con gravi danni al cervello, anche se lo haistrappato alla morte, Tu hai perso un figlio. Inizia una vita parallela alla prece-dente, ma il Figlio che hai davanti non è più quello che avevi prima. Il vero Amoreè amare quello che hai di fronte e non quello che è rimasto nella memoria.C’è un grosso spazio per recuperare qualità di vita, e di riflesso consentire a que-sto Cucciolo di tornare a fregiarsi del titolo di Uomo conscio di diritti e di doveri.Questa nuova Persona forse non assomiglia neanche lontanamente a quella diprima, comunque anche questa nuova realtà e identità vale la pena di essere in-tensamente vissuta e regalata alla Famiglia che ha assistito allo sbocciare di que-sto nuovo Soggetto. Solo allora l’eclissi di sole che al momento del drammaaveva volto nel buio tutta la sua e la nostra esistenza incomincia ad uscire dalcono di ombra che va a sparire e riappare il viso di nostro Figlio a testimoniareche il miracolo della vita continua nonostante tutto il passato. La possibilità di perdere un Figlio è un dramma indescrivibile, un colpo mortaleal cuore ed una devastante emozione.Per concludere è con profonda emozione che ringrazio il dottor Bianco Speranzache ha consentito con la sua determinazione la realizzazione di questo conve-gno. Assieme a lui il mio grazie va a Simona Colpani e a tutti i componenti deltavolo sul trauma cranico che in un anno hanno prodotto quanto è posto in que-sto convegno. Grazie.