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Accademia dei Concordi Rovigo AFAM-MIUR Conservatorio Statale di Musica Francesco Venezze Rovigo La Domenica ai Concordi Musica e Poesia Musica e Pittura edizione 2014

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Page 1: La Domenica ai Concordi Musica e Poesia Musica e Pittura · di silenzio di Gian Francesco Malipiero, l’agognata serenità della notte di Natale frantumata dagli eventi bellici di

Accademia dei ConcordiRovigo

AFAM-MIURConservatorio Statale di Musica

Francesco Venezze Rovigo

La Domenica ai Concordi

Musica e Poesia Musica e Pittura

edizione 2014

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Virgilio Milani, Tomba Ugo Schiesari (1918), Cimitero comunale di Rovigo

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Le rassegne Musica e Poesia e Musica e Pittura, promosse in continuità da Fondazione Banca delMonte di Rovigo, Conservatorio “Francesco Venezze” e Accademia dei Concordi, nascono come dueazioni separate solo formalmente, e oggi sostanzialmente unificate, che si propongono di valorizzare leenergie di tre enti per divulgare la cultura, con particolare riferimento al patrimonio e ai talenti del Polesine.Questa coesione fra enti, che appartengono alla comunità di Rovigo, costituisce il messaggio più altoperché ha il fine di rafforzare la consapevolezza del valore identitario del territorio e segnalare a tutti,comprese le forze politiche, la rilevanza e la capacità di fornire risultati per la collettività che fruisce ditale comunanza di intenti e di obiettivi.La tradizionale proposta di coniugare musica e pittura e musica e poesia, giunta alla diciannovesima edi-zione, s’innova in quanto intende portare alla conoscenza dei cittadini di Rovigo le opere pittoriche pre-senti nelle collezioni Concordiana e Silvestriana, oltre a poesie di celebri autori pubblicate in prezioseedizioni d’epoca conservate nella Biblioteca dei Concordi, cui si accompagnano brani di grande valoremusicale, eseguiti da maestri e allievi del Conservatorio “Francesco Venezze”, vanto cittadino noto a li-vello mondiale.L’iniziativa del 2014 realizza così un ulteriore consolidamento nei rapporti fra Fondazione Banca del Montedi Rovigo, Conservatorio “Francesco Venezze” e Accademia dei Concordi che, condividendo finalità e me-todologia di lavoro, continuano a presentare qualificati programmi culturali alla città e alla sua provincia.

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Fondazione Banca del Monte di Rovigo

PresidenteLuigi Costato

Conservatorio “Francesco Venezze”di Rovigo

PresidenteFausto Merchiori

Accademia dei Concordi di Rovigo

PresidenteEnrico Zerbinati

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Virgilio Milani, fregio decorativo, Casa del Mutilato (1952-54) particolare, Rovigo

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Perché abbiamo ridotto l’uomo a individuo, la verità a un concetto,

la bontà a una legalità e il fiore alla sua utilità?

Raimon Panikkar

Gli otto appuntamenti proposti nel presente libretto, ci offrono l’occasione di immergerci in un’esperienzasinestesica tra suoni, colori e parole, che contribuisce a far nascere in noi la viva e pulsante consapevo-lezza del nostro essere “uomini” dotati di una sensibilità artistica. Una rara e preziosa forma di cono-scenza sensibile per il gusto della bellezza, per il piacere del bene, per l’anelito alla verità. Valori che nonpossiamo assolutamente permetterci di vedere svanire nel nulla o di assistere inermi a una loro mecca-nicità comportamentale.Grazie all’appoggio finanziario della Banca del Monte di Rovigo e alla collaborazione con l’Accademiadei Concordi, al Conservatorio “Francesco Venezze” viene data un’ulteriore opportunità di palesare, allacittadinanza rodigina, la poliedricità e originalità delle attività culturali che possono e prendono forma alsuo interno. Studenti e docenti, in un gioco continuo di ruoli diversi, ora solistici ora cameristici, ora vocali e stru-mentali ora compositivi, danno vita a un repertorio di musiche tese a rievocare i sentimenti e i vissutiemozionali dei poeti e dei musicisti che della Grande guerra ne sono stati i diretti testimoni. Tra questi leviolente immagini di guerra di Francesco Balilla Pratella e di Alfredo Casella, le tragiche e laceranti pausedi silenzio di Gian Francesco Malipiero, l’agognata serenità della notte di Natale frantumata dagli eventibellici di Giuseppe Ungaretti. A queste drammatiche immagini commemorative nel centenario della Prima Guerra Mondiale, altri dipintidi ritratti, ispirati alla parola, verranno arricchiti dai colori ammantati di soavi e più consonanti sonorità,i cui titoli dei brani lascio al lettore/ascoltatore scoprire all’interno di questo opuscolo.Nel ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione di questa prestigiosa rassegna, voglioesprimere il mio più sentito auspicio affinché l’omaggio floreale di questi otto boccioli venga apprezzatoper la sua fragrante bellezza ancor prima di valutarne l’utilità.

M° Vincenzo Soravia

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ProgrammaMUSICA E POESIA

DOMENICA 5 OTTOBRE - ORE 11.00Il Soldato e la Madre - Duplice ossessione d’attesa

Soprano e voce recitante Selena ColomberaTenore e voce recitante Alberto Pometto

Pianoforte Song KyounghaPianoforte Maddalena Altieri

DOMENICA 12 OTTOBRE - ORE 11.00“Non c’è più rugiada, non c’è più alba sul mondo” - Luoghi della guerra combattuta

Ensemble vocale del Conservatorio “Francesco Venezze”Direttori Patrizio Marchiori e Michele Peguri

Pianoforte Giuseppe FagnocchiPianoforte Nicola Rigato

Voce recitante Matteo Cesarotto

DOMENICA 19 OTTOBRE - ORE 11.0028 Giugno 1914 - 11 novembre 1918… Sunt lacrymae rerum

Meditazioni e preci sulla Morte

Violino Elisa SpremulliPianoforte Francesco De Poli

Voce recitante Lisa Castrignanò

DOMENICA 26 OTTOBRE - ORE 11.00Esami di coscienza di letterati e musicisti sulla Grande Guerra

Soprano Selena ColomberaPianoforte Song Kyoungha e Maddalena Altieri

Percussioni Sebastiano Girotto e Leonardo SpoladoreVoce recitante Elisabetta AndreaniRegia del suono Nicola Evangelisti

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POETI E ARTISTI ITALIANI NELLA TEMPERIE DELLA GRANDE GUERRA

L’aveva ben capito, e subito, il ministro degli esteri ingleseEdward Grey, che, nell’imminenza di quella tragedia chesarebbe stata la prima guerra mondiale, aveva esclamato«le luci si stanno spegnendo su tutta l’Europa. Nel corsodella nostra vita non le vedremo più accese». E per la veritàquelle luci continuarono a restare spente anche in seguito,perché l’Europa non sarebbe più stata la stessa e si sa-rebbe perduta per sempre (sì, anche oggi!) con una guerrasuccessiva, appena ventidue anni dopo, ancora più mici-diale. Ma il mito e la retorica restano appannaggio di quella“grande guerra”, che aveva mostrato chiaramente, consu-mati i primi entusiasmi, il vero volto della distruzione e dellacorsa verso l’annichilimento. E la neve di molti di quei cri-nali alpini sarebbe rimasta per sempre arrossata del san-gue dei soldati che si affrontavano, tra le grida di dolore ele fucilate micidiali, gli slanci delle sortite e il crepitio dellemitragliatrici, il rimbombo degli obici e gli assalti all’armabianca. Si trattò di un inconsulto e inutile massacro.

Ma è anche vero che la grande guerra, più di quanto pen-siamo e crediamo, fa parte ormai del nostro immaginariocollettivo, come ben testimoniano tutti quei monumenti aicaduti, che, nelle piazze di ogni città e di ogni paese, rappresentano quasi esclusivamente l’umile fante del1915-18. A voler focalizzare l’attenzione sugli scrittori e gli intellet-tuali che in quel momento, quasi unanimemente, condivi-sero gli entusiasmi della prima ora, per poi risvegliarsi nelfreddo letale delle trincee, vale la pena di riprendere unaosservazione di Umberto Saba, che aveva indicato due di-versi soggetti: i poeti che avevano fatto la guerra come sol-dati e i soldati che, la guerra, l’avevano fatta come poeti.E non è una distinzione da poco, perché va al cuore di unatteggiamento duplice, ma non ambiguo, dato che il fer-vido consenso alla guerra era frutto di un malinteso epigo-nismo di carattere vagamente messianico che siprotendeva verso un «cataclisma purificatore e rigenera-tore». Non senza implicazioni estetiche e ideologiche, cosìche la guerra diventava prima attesa, poi festa e cerimoniae, paradossalmente, umana comunione.

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Umberto Boccioni Gabriele DʼAnnunzio e il pilota Natale Palli

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È il caso di Filippo Tommaso Marinetti e di tanti scrittori eartisti futuristi, che in guerra ci andarono anche con un va-riopinto battaglione di Volontari Ciclisti Automobilisti, tra iquali era anche Umberto Boccioni destinato, come moltialtri ahimè, non fare ritorno. Ma anche oltralpe si inneggiava alla guerra con crepitantie audaci poemi e romanzi, si pensi al volontario ErnestJünger travolto dalle “tempeste d’acciaio” e, in terra diFrancia, a Guillaume Apollinaire che cantò l’ambiguo fa-scino delle trincee («Com’è bella la guerra mio Dio / Con isuoi canti e il suo lungo oziare»), dimenticando che neiprimi mesi del ‘14 avevano perso la vita in battaglia scrittoriancora giovani e destinati a restare nella storia, come AlainFournier e Charles Péguy e che lui stesso sarebbe tornatocon una grave ferita che sarebbe stata fra le cause dellasua morte precoce.Non era da meno il nostro Corrado Govoni, che, dismessii panni del crepuscolare, aveva scritto «tira in quel vecchiomonastero / un proiettile come un sasso / lanciato in unacolombaia» e, naturalmente, il solito D’Annunzio, che tut-tavia all’esperienza del fronte e della trincea aveva preferitoi gesti clamorosi e le imprese eclatanti (i voli su Trieste esu Trento, nel 1915; il volo su Vienna, il 9 agosto 1918 e lacosiddetta beffa di Buccari).All’opposto, Renato Serra, nell’Esame di coscienza di unletterato, rilevava che «la guerra non cambia niente; nonmigliora, non redime, non cancella; per sé sola. Non fa mi-racoli. Non paga i debiti, non lava i peccati» ed è già unaprefigurazione della sua morte prematura avvenuta a soli31 anni il 20 luglio 1915, durante un accanito combatti-mento sul monte Podgora nei pressi di Gorizia. «La guerra, aveva scritto, è un fatto, come tanti altri in que-sto mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri,che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglienulla. Non cambia nulla, assolutamente nulla, nel mondo.Neanche la letteratura». Non diversamente Camillo Sbarbaro, che non aveva man-cato di osservare che “quando mi inflissero un fucile, den-

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Giuseppe Ungaretti

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tro mi raggrinzii, vergine violentata dal mascalzone» e cosìanche Aldo Palazzeschi (soldato del Genio che riuscì adevitare il fronte): «noi che eravamo adulti in quella fine diluglio del 1914, fummo sorpresi dalla notizia più inaspettatae incredibile: la guerra, la guerra di cui avevamo solo lettonella storia e nelle cronache, che ci era apparsa una cosairreale e irrealizzabile». Né manca il sussurro accorato diDiego Valeri: «giovani morti questa primavera / fiorirà, fio-rirà senza di voi» e ancora «croci di legno confitte nel cuore/ di tutta la straziata umanità».Ma, a conti fatti, la voce più persuasiva e dolente, capacedi conciliare ogni posizione, è quella di Giuseppe Ungaretti,che aveva combattuto come ufficiale di fanteria sul Carso.Proprio l’esperienza della guerra aveva profondamente in-ciso sul suo fare poesia, in una assoluta depurazione dellaforma e della parola, in una semplicità che era in realtà ri-gore lucido. Versi brevi e concentrati, niente più (o quasi)punteggiatura, sintassi spoglia, sovente affidando il signi-ficato alla suggestione di una sola immagine e perfino diuna parola («Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le fo-glie»). La guerra, allora, diventa espressione vera e pro-fonda della condizione umana («Come questa pietra del S.Michele così fredda / così dura / così prosciugata / così refrattaria / così totalmente / disanimata / Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede / La morte / si sconta / vivendo»).L’ascetismo ungarettiano svuota e rende inconsistentequalsiasi retorica, il dolore diventa un consapevole balbet-tio, in cui gli uomini, nella tragedia e nell’inferno delle trin-cee e dei reticolati, nel fango in cui i vivi non si distinguonopiù dai morti, diventano finalmente fratelli e la natura e ilpaesaggio l’immagine della devastazione: «Di queste case / Non è rimasto / Che qualche / Brandellodi muro / Di tanti / Che mi corrispondevano / Non è rimasto/ Neppure tanto / Ma nel cuore / Nessuna croce manca / È il mio cuore / Il paese più straziato».

Sergio Garbato

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Aldo Palazzeschi

Renato Serra

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ARMA VIRUMQUE CANOMusiche per la Grande Guerra in Italia

1. Appelli prebellici e moniti postbelliciA nulla valsero gli appelli che la forte coscienza degli intel-lettuali di tutta Europa – letterati, artisti figurativi e musicisti– lanciarono al mondo intero nel presentire l’avvicinarsisempre più inesorabile della grande Apocalisse della mo-dernità in un’epoca resa terribilmente inquieta dalla fratturatra un progresso tecnologico eccessivamente dirompenteed efficentista e una crisi esistenziale e spirituale lacerantel’interiorità dell’individuo. A livello musicale due sono i pezzi simbolo di questo dram-matico campanello d’allarme: - gli aforistici Sechs kleine Klavierstücke per pianoforte op.19 del compositore austriaco Arnold Schönberg, compostinel 1911, l’ultimo dei quali costituito da frammenti melodicidi pochissime note appena percepibili sopra lunghissimiaccordi smorzati fino alle soglie del silenzio, separati traloro da spettrali pause;- il celeberrimo Sacre du printemps per grande orchestraproposto da Igor Stravinsky a Parigi nel 1913, un ampio af-fresco di cangianti e sempre lucenti sonorità, espresse at-traverso un elevato e preciso virtuosismo strumentale, cheracchiudono però al loro interno insistenti moduli ritmicisovente sovrapposti tra loro e inquietamente deformati, ri-velando figure di danze di macabra iniziazione tribale, diregressione dell’umanità a uno stadio di primitiva violenza.A tali segnali di “allarme” prebellico faranno a posteriori dapendant opere di denuncia dell’inevitabile disagio psichicosofferto da tutta la generazione di coloro che, pur soprav-vivendo, indossarono la divisa e combatterono in unaguerra le cui condizioni, giorno dopo giorno, divennerosempre più disumane. “Testimoni” di questo disagio sonodue lavori teatrali (diversissimi tra loro) dedicati alla figuradel soldato, Wozzeck dell’austriaco Alban Berg, comple-tato nel 1921, storia di una depravazione che porta il protagonista dapprima omicida allo stesso autoannienta-

mento e Histoire du soldat ancora una volta di Igor Stra-vinsky (1918-1919), dove l’uomo disorientato e privo di so-lidi riferimenti culturali e morali, come spesso fu nella realtàper i veterani al difficile rientro nella vita civile, è dispostoa mercanteggiare tutto, compresa la propria anima “fau-stianamente” venduta al diavolo.

2. La letteratura musicale di guerraDiversi saranno gli esiti e le scelte per le musiche scritteesplicitamente per la guerra dai principali compositori eu-ropei: in particolare emergeranno le composizioni elabo-rate dai musicisti francesi e da quelli italiani, grazie apagine di enorme interesse sia per l’elevato valore artistico,sia per il ruolo storico da esse rivestito.In Francia la “letteratura di guerra” è opera prevalente didue tra i “padri” del Novecento storico, Maurice Ravel eClaude Debussy. L’inquietudine creata dall’ossessionedell’attesa per un evento che a molti sembrava potesse of-frire la catartica purificazione da un mondo irrimediabil-mente malato e non più vivibile, trova una delle suemassime espressioni nel Trio in la minore per pianoforte,violino e violoncello di Ravel, il cui iniziale entusiasmo perla guerra, proclamata come più nobile della stessa rivolu-zione del 1789, divenne ben presto all’impatto con la realevita sul fronte, di grande sofferenza per il musicista sempresull’orlo di gravissime crisi nervose. Tra le successive pa-gine di guerra raveliane ricordiamo la suite Tombeau deCouperin per pianoforte solo e Frontispice per pianofortea cinque mani. Oltre alla Sonata per violino e pianoforte, facente parte diun corpus di sonate dedicate alla gioventù francese, ancheDebussy affidò prevalentemente al pianoforte il suo “cata-logo di guerra” a iniziare dalla delicatissima e struggenteBerceuse héroique scritta nel 1914 per il King Albert’sBook, antologia di testi letterari, figurativi e musicali dedi-cati al re e al popolo belga dopo l’invasione tedesca. Inparticolare va ricordato il successivo En blanc et noir perdue pianoforti (1915) il cui movimento centrale è figura di

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una vera e propria battaglia sul fronte occidentale tra eser-cito tedesco e francese, conflitto tra la Kultur espressadalla citazione del celebre corale luterano Ein feste Burgist unser Gott e la civilisation culminante nel rintocco dellenote della Marsigliese.In Italia l’omaggio alla Grande Guerra – introdotto dalla bre-vissima pagina d’album per pianoforte solo riportante il si-gnificativo titolo virgiliano Sunt lacrymae rerum con cuiPietro Mascagni diedel’unico contributo musicaleitaliano all’interno del KingAlbert’s Book – fu celebratoprevalentemente da tremaestri appartenenti allac.d. generazione dell’Ot-tanta: Gian Francesco Ma-lipiero, Ildebrando Pizzettie Alfredo Casella.La produzione “di guerra”di Gian Francesco Mali-piero (1882 - 1973) è carat-terizzata soprattutto da unampio catalogo di operepianistiche quali Preludiautunnali, Poemi asolani tracui la “soffocata” Notte deimorti iniziale, Barlumi, Ri-sonanze e Maschere chepassano, cui possiamo ag-giungere la riduzione perpianoforte a quattro mani dell’opera orchestrale Pause delsilenzio. “Descrizioni” delle impressioni che il compositorericeveva dal fronte vicino al quale si trovava, in esse do-mina – come osservò già nel 1920 Leigh Henry – un crudovigore primitivo che si fonde con una proiezione visionaria,per non dire apocalittica, della realtà immersa nella guerra.Come denotano titoli quali Risonanze, Barlumi o Maschereche passano, Malipiero si immerge nella dimensione psi-

cologica della coscienza, nei suoi flussi molteplici privi diun unico centro di controllo. Secondo l’analisi di Fedeled’Amico in questi lavori si attua un drammatico e radicaleconflitto tra «fissi dualismi, senza possibilità di progresso,di storia: l’amore e l’odio, la felicità e la disperazione, la vitae la morte», in cui tende a prevalere l’aspetto negativo, ditragica angoscia, pur se permeato dai bagliori di antichi ri-cordi attraverso l’uso delle modalità e della storia italiana

e attraverso un personalis-simo colore in cui – com-menta questa volta AlfredoCasella – «è ancora im-pressa un’armonia nellaquale rimangono vivi epossenti gli echi della mag-giore coralità nostra [italica]e della scuola venezianacinquecentesca … accantoai quali egli oppone le con-quiste più legittime dell’at-tualità» mutuate dai grandimaestri europei. Ma è specialmente lostesso Malipiero a fornirciindicazioni sulla sua mu-sica “di guerra” dalle qualiestrapoliamo le seguentiimmagini. La malinconiadel Preludi autunnali (Vene-zia 1914) «è forse effetto

della guerra appena cominciata e non ancora sentita» eculmina con il linguaggio violento e grottesco dell’ultimorichiamante i contemporanei Nove pezzi op. 24 di Casella;il pezzo “forte” della raccolta è però senza dubbio il fune-reo e lugubre terzo movimento, auspice di non certo feliciprofezie. Dai Poemi asolani (Asolo 1916) emerge la “sim-patia” per il primo: «Solo La notte dei morti, cioè il primodei tre, è veramente lo specchio di me. Dai colli asolani

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avevo veduto accendersi tutti i cimiteri della pianura sinoal Monte Grappa e quelle luci, accompagnate dai rintocchidelle campane, stavano già allora a dimostrare che solo imorti potevano ancora dirsi vivi. Eravamo al prologo dellatragedia». In esso straniamenti di rintocchi irregolari dicampane su brandelli appena “sopravvissuti” di melodie,sembrano davvero tracciare la mappa di una No man’sland allucinata nella quale ogni punto di riferimento èperso, così come annichilita è la coscienza dei combattentidi fronte ai lunghi silenzi, interrotti a tratti dal rapido scate-narsi di bombardamenti e inutili attacchi. Risonanze (1918)sembra infine alludere, nella terribile dissonanza vulcanicadell’ultimo movimento, al ritorno verso una concentrata edestremamente intensa forza bruta primordiale nella qualel’umanità è oramai ridotta a Maschere che passano, segnoche la purificazione auspicata dalla guerra è invece forieradi ulteriori, successivi, drammi dell’umanità. Altre “opere di guerra” di Malipiero sono Pantea (1917-1919) per ballerina, coro fuori scena e orchestra, suggeritadalla visione, seguita alla terribile ritirata di Caporetto, di«una donna prigioniera mentre ‘fuori’ infuria la battaglia”,la quale alla fine liberatasi altro non troverà che la figuradella Morte sulla soglia e Sette Canzoni, «sette episodi dame vissuti e che ho creduto di poter tradurre musicalmentesenza contraddire me stesso. […] Passando vicino a unacasa, alle falde del Monte Grappa, quasi sempre udivo unadonna piangere, lamentarsi e intonare delle canzoni infan-tili. Era una madre impazzita dal dolore per la morte del fi-glio, ucciso in guerra. Ora cullava e addormentava unabambola, ora la calpestava […]». Infine occorre ricordare le orchestrali Pause del silenzio dicui ancora Malipiero afferma: «[Esse] vennero concepite durante la guerra (1917) quandoera più difficile trovare il silenzio e quando, se si trovava,molto si temeva d’interromperlo, sia pure musicalmente […] in esse non si riscontrano né sviluppi tematici, né altriartifici […] la prima impressione può chiamarsi pastorale;la seconda fra lo scherzo e la danza; la terza una serenata;

la quarta, una ridda tumultuosa; la quinta, un’elegia fune-bre; la sesta, una fanfara; la settima, un fuoco di ritmi vio-lenti. È facoltà di chi ascolta di dare delle interpretazioniopposte a quelle precisate dall’autore. Lo squillo col quales’iniziano e che ritorna sette volte, è il solo legame tema-tico che esiste fra le sette espressioni sinfoniche ed è unpo’ eroico, perché una voce timida non oserebbe interrom-pere il silenzio». Il pensiero della guerra coinvolse attivamente anche Ilde-brando Pizzetti (1880 - 1968) il quale nel gennaio 1917 scri-veva le seguenti significative parole a Giuseppe DeRobertis: «[…] e vi sono migliaia e centinaia di migliaia diuomini che nell’acqua e nel fango sino ai ginocchi stannoaspettando […] forse la Morte!». Ma fu solo a guerra con-clusa che egli decise di rendere omaggio a tutte le vittimedel conflitto attraverso la Sonata in la per pianoforte e vio-lino (composta nel 1919 e pubblicata a Londra dall’editoreChester) i cui movimenti estremi richiamano rispettiva-mente il dramma della battaglia e l’antica cultura popolareche potrà nuovamente ridare vigore e forza alla solidarietànazionale ferita dai lutti di molte famiglie, mentre il movi-mento centrale, dal titolo Preghiera per gli innocenti, si in-nalza quale vero e proprio Memento attraverso un’ampiae solenne salmodia di purificazione intonata nel tono “ori-ginario” di do maggiore, con carattere intimo e dolce, maintensamente espressivo, nella quale traspaiono le notecardini del tema del Dies Irae. Il canto dai toni ora som-messi e intimi, ora solenni di un organo con tutti i suoi ri-pieni, fu composto da Pizzetti sullo stimolo di un vero eproprio miserere, che egli amava declamare durante la ste-sura della partitura: «Signor Iddio nostro, o Signore, abbipietà di tutti gli innocenti che non sanno perché si debbasoffrire». Tale riflessione ritornerà, pur senza intenti dichia-ratamente programmatici, anche in altre composizioni tracui gli elegiaci e commoventi Tre Canti per violino e piano-forte.Colui che maggiormente ci ha lasciato in eredità fonda-mentali immagini sonore dalla guerra è tuttavia Alfredo Ca-

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sella (1883 - 1947) il quale, allo scoppio del conflitto si tro-vava a Parigi dove, a contatto con le principali avanguardiemusicali europee, elaborò Pagine di guerra (Quattro «films»musicali) per pianoforte a quattro mani, prendendo ispira-zione dalla proiezione di alcuni documentari e offrendo intal modo quattro lavori “cinematici” in cui al movimentodelle immagini è sostituito quello dei suoni. I brani docu-mentano, come testimoniano i titoli, i seguenti luoghi edeventi: I. Nel Belgio: sfilata di artiglieria pesante tedesca, II.In Francia: davanti alle rovine della cattedrale di Reims, III.In Russia: carica di cavalleria cosacca; IV. In Alsazia: crocidi legno…Il primo brano costituisce un evidente omaggio alla nazionebelga ed è caratterizzato da una stridente e ossessiva mar-cia, simbolo dell’invasione di un territorio altrui, dapprimacon chiaro effetto di avvicinamento seguito da un succes-sivo rapido sgretolamento, figura delle rovine procuratedall’invasione.Nel secondo una sospesa e quasi cristalizzata evocazionedi un organo che accompagna la liturgia nella celebrazionedel Mistero della Vita, resa ora impossibile per la distru-zione della cattedrale, esprime la visione pessimistica delmondo colpito da una catastrofe inimmaginabile e la con-seguente crisi spirituale delle coscienze.Il cinematismo futurista domina l’intero terzo movimentonel quale il galoppo della cavalleria si avvicina sempre piùall’ascoltatore, in un doppio incalzare agogico e dinamico,fino alla conclusione del brano. È la percezione di uno spa-zio destinato non a rimanere “altro”, ma a investire, coin-volgendolo direttamente, il pubblico, così come la guerranon si stava mostrando distaccata dal mondo civile maproduceva sempre più il suo terribile ed indelebile influssofisico e psicologico sulle popolazioni.Il movimento finale è una cullante ma allo stesso tempomacabra ninna-nanna, figura di un vero e proprio «requiemæterna dona eis Domine» rivolto ad ogni caduto a causadel conflitto. Le armoniose e sinuose linee legate delle me-lodie paiono davvero disegnare con i loro profili melodici

le numerose croci che la pietas umana aveva cercato didisseminare, quando possibile, sui luoghi delle battaglie ein cimiteri improvvisati lungo le retrovie. Ma il silenzio dellamorte non è totale: dapprima sale il canto di una melodiain modo frigio (da suonare con grande espressione), poi unframmento della Marsigliese (in omaggio alla nazione cheospitava in quei mesi Casella), ad indicare che il sacrificionon è stato vano e troverà nel ricordo dei singoli e dellanazione la perpetua memoria a fronte del martirio anonimoma prezioso di ogni soldato defunto.Il dramma della guerra pervade anche la rimanente produ-zione pianistica – Nove Pezzi op. 24, Sonatina, op. 28, Anotte alta op. 30, Deux contrastes op. 31, Pupazzetti aquattro mani – di quegli anni: in essa Casella cerca di de-lineare un nuovo stile italiano, incastonandolo nella «forteesperienza europea e ben deciso quindi a porre questo ba-gaglio spirituale alla disposizione del mio paese», nel re-cupero del passato dal canto gregoriano alla musicastrumentale barocca, e nei nuovi linguaggi proposti dal jazze dal programma futurista, il tutto mirato alla formazione diuna solida unità nazionale, come egli scriverà da Londra aMalipiero il 15 settembre 1917:«[…] tre anni di conflitto hanno chiaramente dimostratoche, alle spalle dei soldati che combattono, esistono deipopoli i quali sostengono, alimentano, fortificano, moral-mente e materialmente gli eserciti. Dalla resistenza più omeno eroica del nostro popolo, in questo tragico mo-mento, dipenderà la libertà o la schiavitù. È quindi neces-sario che il morale venga a qualunque costo mantenutosaldo ed inalterato. Fra le molteplici categorie di cittadiniche non combattono solamente colle armi, ne esiste unadi numero esiguo, ma di capitale importanza: quella cherappresenta la forza evolutiva del paese, le sue possibilitàdi progresso, il suo avvenire di grande nazione insomma.È altissimo dovere di noi pochi giovani rimasti a casa, diconservare fino all’estremo ogni manifestazione di questaparte essenziale dello spirito nazionale». In coerenza a questo principio, dopo avere orchestrato le

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sue Pagine di guerra, Casella provvederà nel 1918 a inte-grarle con un quinto brano che rendesse omaggio al coin-volgimento italiano nel conflitto: Nell’Adriatico: corazzateitaliane in crociera è il titolo di questo ultimo “futuristico”quadro, celebrativa immagine musicale della vittoria del-l’Italia che si stava profilando agli orizzonti.Ma il capolavoro supremo era già stato compiuto due anniprima, nel 1916: si tratta di Elegia eroica op. 29 per grandeorchestra, a nostro giudizio l’opera “di guerra” più affasci-nante e coinvolgente nella storia della musica europea dicui lo stesso compositore traccia il seguente profilo: «Nell’estate del 1916, avevo concepito un poema funebreche volevo dedicare alla memoria dei figli d’Italia caduti perla sua grandezza. Questo poema, del quale terminai la

composizione nel tardo autunno del medesimo anno, sichiamò Elegia eroica [dedicata Alla memoria di un Soldatomorto in guerra] ed aveva la forma di un vasto trittico, unavera e propria marcia funebre iniziale di carattere eroico,un episodio centrale più intimo e di carattere profonda-mente doloroso, una ultima parte infine ove, ad una rafficadi morte che passava violenta sull’orchestra, subentravauna dolcissima ninna-nanna nella quale veniva evocata lapatria come una madre che culla il figlio morto. Mi consa-crai con tutto l’animo alla creazione di questo poema, nelquale credo di aver dato il meglio di ciò che potevo fare aquei tempi. Il linguaggio ne era duro ed aspro nella primaparte, e poi si riduceva a serena dolcezza verso la fine. Nonera certo una delle solite composizioni di circostanza chei compositori mediocri usano scrivere approfittando di av-venimenti bellici e politici eccezionali. Era l’atto di fede diun italiano che sentiva tutta la tragicità del momento e chedesiderava celebrare colla sua arte e colla maggiore sin-cerità il sacrificio di tante giovani vite e il lutto di tantemadri. La esecuzione avvenne all’Augusteo [a Roma] il 21gennaio 1917 e suscitò uno scandalo memorabile, colquale i miei nemici credettero ingiustamente di liquidarmiper sempre».La provocazione fu indubbiamente simile a quella stravin-skiana del Sacre du printemps, ma solo da questo nuovolinguaggio, nel senso autentico del termine “futurista” atutto tondo, poteva scaturire il valore di Elegia eroica, so-stanzialmente articolata in due ampie sezioni imperniatesu un medesimo ostinato di quattro note discendenti. Laprima, resa sempre più martellante in un crescendo sonorofigura di un bombardamento che si avvicina a grandi passi,culmina nell’esplosione e successiva deflagrazione cuisegue (seconda parte) la desolazione del campo con i suoimorti e i suoi feriti gravi. Immagini foniche quelle di Caselladavvero vicine alla realtà di una violenza acustica impen-sabile prima del 1914, ma anche costituite ex contrario dasuoni quasi impercettibili, figure della nuova e logoranteattenzione uditiva richiesta ai soldati in zona di guerra, nelle

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lunghissime e stressanti attese, per ogni minimo eventoche potesse preannunciare un attacco. A tale desolata oasidi funereo silenzio Casella fa seguire il canto nostalgico dimelodie squisitamente mediterranee e di un inno risorgi-mentale intonato dalle trombe con sordina, flauto e oboe,Fratelli d’Italia, forte elemento di comunione tra vivi e mortinei fanghi putridi delle trincee.La produzione di guerra italiana non si ferma ovviamentea questi autori: anzitutto ricordiamo due compositori dellaterra di Romagna, il cesenate Carlo Bersani (1882 - 1965)e il lughese Francesco Balilla Pratella (1880 - 1955). Il primo dedica alla memoria del suo conterraneo RenatoSerra la propria Sonata – sottotitolata Poema eroico – perpianoforte, composta nel 1916. È possibile individuare inquesto lavoro il grande travaglio umano e intellettuale cheSerra ben espresse a partire dal suo Esame di coscienzadi un letterato ove poco a poco smonta la tesi del non rap-porto tra guerra e opera d’arte («La guerra ha rivelato deisoldati, non degli scrittori […] essa non cambia i valori ar-tistici e non li crea: non cambia nulla nell’universo morale»)per poi avvertire un sempre crescente senso del dovere(«Si ha voglia di camminare, di andare. Ritrovo il contattocol mondo e con gli altri uomini. Questo è un bisogno, unmovimento, un fatto: il più semplice del mondo. Mi assorbetutto nella sua semplicità; mi fa caldo e sostanza […] Pur-ché si vada tutti […] Capaci di appoggiarsi l’uno all’altro,di vivere e di morire insieme, anche senza saperne il perché[…] e non rinunzierò neanche a un minuto dell’attesa chemi appartiene») che lo porterà fino alla morte sul MontePodgora il 20 luglio 1915. Il secondo, oltre a rendere omaggio al suo concittadinoFrancesco Baracca nella “prima” del Poema tragico in mu-sica L’Aviatore Dro e in una canta romagnola su testo delpoeta paroliberista Paolo Buzzi, è autore di un imponentelavoro (in duplice versione, per pianoforte e per orchestra)dal dichiarato titolo programmatico La Guerra / Tre danzeop. 32, la cui prima stesura ebbe luogo nel 1913. Nei tremovimenti intitolati L’Aspettazione, La Battaglia e La Vitto-

ria, a loro volta suddivisi in varie sezioni in cui canti popolarie danze s’intrecciano tra loro con significativi motti (Addio;Danza – Furia; Violenza; Alla carica; Danza. Furia; Esaspe-razione; Funebre; Vicino = Vittoria; Danza della vittoria;Canto di fede; Gioia – Vittoria), gli episodi richiamano siale “battaglie” musicali del rinascimento sia il vitalismo fu-turistico, di cui Pratella fu uno dei principali assertori, at-traverso il martellamento ossessivo di un cluster, ritmidanzanti ora frenetici, ora terribilmente statici, e il continuoritorno di melodie popolari, unici punti di contatto dei sol-dati inviati in guerra con le loro case e i loro affetti. Un cenno a parte merita infine una composizione in cinquemovimenti scritta in Italia – e precisamente sui campi dibattaglia dell’Altopiano di Asiago nel 1917 – dal ceco ErwinSchulhoff (un pianista di grande rinomanza internazionaleche alcuni anni dopo sarà scelto da Malipiero quale solistanelle sue Variazioni senza tema per pianoforte e orchestra),lì inviato a combattere nell’esercito austro-ungarico. Il titoloGrotesques mette in luce il dramma conclusivo di un’epo-pea, ben simboleggiato dall’incerto tratteggio di un valzerviennese oramai irrimediabilmente deformato e senza piùsperanza di resurrezione, chiara figura dell’imminente de-flagrazione di quello che era stato uno dei più grandi imperidel diciannovesimo secolo.

3. La tradizione dei canti di guerraL’immaginario collettivo della Grande Guerra si alimentòdurante il conflitto e negli anni successivi, sopravvivendoancora oggi, della tradizione dei numerosi canti di guerra,spesso presenti in diverse lezioni, adattate alle varie situa-zioni e luoghi in cui essi venivano proposti. Sovente sitrattò di “recuperi” di un repertorio precedente: Ta-pum adesempio era un canto di minatori, e l’onomatopeia del-l’esplosione delle mine diviene ora quella dei colpi di can-none sull’Ortigara. In altri casi, come per la Leggenda delPiave - il canto commemorativo e celebrativo per antono-masia dell’intera campagna 1915-1918 - la composizioneè posteriore: esso fu elaborato nei versi e nella musica du-

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rante la lunga Battaglia del Solstizio del 1918 da un impie-gato delle poste di fede repubblicana, Giovanni ErmeteGaeta, che si firmava con lo pseudonimo di E. A. Mario.Non mancano canti d’autore tra i quali ricordiamo in parti-colare Trento e Trieste, semplice ma non scontata partituradi Francesco Balilla Pratella, nella quale gli elementi ritmicie diastematici idiomaticamente marziali sono abilmentefusi in altri distesamente melodici, e due interessanti rac-colte, Canti di soldati e Inni della terza armata, volte a rin-forzare anche i vincoli tra i soldati, specialmente dopo ilbuio 1917 e il conseguente “degenerare” anche musicalein canzoni di protesta (come avviene in O Gorizia tu sei ma-ledetta) e di denuncia delle inumane condizioni di vita (e dimorte) delle truppe in una guerra che sembrava intermina-bile e inutile strage di tante vite umane staccate dagli affettipiù cari (si pensi a ‘O surdato ‘nnamurato). Nel primo caso si tratta di trentadue testi letterari e musicalipopolari – a iniziare da Quel mazzolin di fiori – raccolti dalpoeta Piero Jahier e armonizzati dal direttore d’orchestraVittorio Gui (entrambi impegnati a combattere sul fronte)ed editi successivamente dalla Casa Musicale Sonzognodi Milano. Come si può leggere nella presentazione essi fu-rono offerti in memoria ai soldati caduti ed elaborati in zonadi guerra mentre «l’Altipiano fiammeggiava dei nostri can-noni vendicatori»; essi «sono i canti della terra veneta checi ha tenuto luogo di casa in questi anni di peregrinazione»,«arie e parole anonime, la più parte antiche come il popoloitaliano, che le ha create; semplici sillabe di bellezza» chedicono: «canta che ti passa la tristezza e resta solo la glo-riosa memoria e ritorni quel ‘bono taliano’ che vincerà lapace». Gli Inni vedono invece la luce in seguito a un concorso pernuovi testi e nuove musiche indetto dal Comando dellaTerza Armata tra la prima e la seconda battaglia del Piave,«all’intento di esprimere e fissare, in degna veste d’arte, isentimenti di particolare fierezza e la coscienza delle tra-dizioni militari che son prezioso patrimonio di tutti i corpi ereparti della Terza Armata, e insieme all’intento di coltivare

l’innato gusto musicale delle nostre truppe, contribuendoalla loro educazione morale”. L’inno doveva rivestire i ca-ratteri del canto popolare e rievocare le “gloriose tradizionimilitari dell’Armata nella presente guerra, facendo partico-lar menzione delle battaglie combattute sul Carso e diquelle sul Piave”. Ottennero la dignità di pubblicazione benventisei componimenti poetici e sette composizioni musi-cali. Per completare il rapido panorama delle musiche “diguerra”, limitatamente all’Italia, occorre infine ricordare unultimo settore, che riteniamo fondamentale per il recuperoe la formazione di un gusto musicale “nazional-popolare”nell’immediato futuro. Esso si collega all’arrivo al fronte delgrammofono: a volte direttamente saccheggiato dai militarinelle case abbandonate, ma poi sempre più spesso inviatoufficialmente e destinato, nelle retrovie, alle Case del sol-dato e agli ospedali militari, tanto che per la Columbia Gra-mophone Company di Milano questo invio divenne uno deisuoi più consistenti affari commerciali specie nel 1917.Così ricorda il cappellano militare don Giovanni Minozzi:«Non scorderò mai l’impressione profonda e dolce che la-sciavano le Opere di Verdi ascoltate al grammofono, sul li-mitar proprio della linea di fuoco, quasi al lampeggiar dellamorte. Ufficiali e soldati rimanevano ore e ore estasiati, cul-lati dall’onda armoniosa, come rapiti in un oblio di sogno.L’animo semplice, rifatto semplice e puro dai perigli su-premi, s’apriva rapido, immediato alla suggestione musi-cale, si abbandonava riposato e lieto alla malia del canto».Ma non solo era solo Verdi, erano anche altri operisti italianie non, erano perfino i maestri dei paesi contro i quali sicombatteva, erano i pezzi “classici”, ancora oggi celebri,di Johann Sebastian Bach e Ludwig van Beethoven, diWolfgang Amadeus Mozart e Franz Schubert. La musica era quindi l’unica forma di unione europea chenon conosceva la terribile frattura tra Kultur e Civilisationdestinata a proseguire ben più drammaticamente oltre ilutti e le rovine provocate dalla Grande Guerra.

Giuseppe Fagnocchi

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DOMENICA 5 OTTOBRE

Il Soldato e la MadreDuplice ossessione d’attesa

Soprano e voce recitante Selena ColomberaTenore e voce recitante Alberto Pometto

Pianoforte Song KyounghaPianoforte Maddalena Altieri

Notte a Bandoliera - Clemente Rèbora[...] Voci osannanti in soffio di sibilla,E frenesia di muscoli ondanti / Per la cupezza emanata:Ossessïone d’attesa, / Truce allegria sospesa [...]Son giunti i violenti e gli eroi / Che svelan momentiDell’impossibile eterno: / I buoni di prima,E i buoni di poi.

Preludi autunnali (1914)Gian Francesco Malipiero

In questo momento - Piero JahierMentre chiedi chi sei, mentre rigiri tra le mani la vita, giocattolo infranto, / in questo momento, senzafede, respiriil soffio d’un forte che muore. [...] Uno che espone il petto prende il tuo posto in questo momento. / Ti scade l’ultima speranza di essere uomo inquesto momento.

Wir müssen - Piero JahierWIR MÜSSEN, WIR MÜSSEN, WIR MÜSSENper la patria e per la patria così in generale.

24 Maggio 1915 - Innoversi di Paolo Reinamusica di Giuseppe Monopoli

Guerra! - Corrado Govoni[...] Bella è la guerra![...] Viva la guerra!

Leggenda di guerra (La madre dell’alpino)versi di Americo Giulianimusica di Giuseppe Bonavolontà

Prima marcia alpina - Piero JahierUno per uno / bastone alla manoe alla salita cantiamo [...] / son io l’alpino, rispondiamoe all’adunata corriamo. [...] / Alpino, tu sei passatoma il compagno che manca è feritola mitraglia l’ha arrivato / dalla croda l’ha distaccatonella gola l’ha tranghiottito.Sei il nostro ferito / ti riprendiamoal paese ti riportiamo [...] Ma il tuo compagno, alpino, è spiratoal paese non può tornare; / ma il suo lamento è dileguatonon ti chiama più a ritrovare. [...]

Monte rosso e Monte neroDa Canti di Soldati raccolti da Piero Jahier e armonizzati da Vittorio Gui

Sul S. Michele (Gaddus, 4 luglio 1917)Carlo Emilio Gadda[...] Il soffio dolce e forte / Nel sonno, nella faticaSoffio della rorida vita / Nel tronco robusto,è spento. / I vostri sogni e i sorrisiE i dolori / Nel vento dissolti / Morirono là. [...]

Gli amici taciturni (ovvero ritorno)Carlo Emilio Gadda[...] [Ma] ecco che tornano i venti,Ma vengono dal freddo oltremonteE portano nella nottePortano un suono ignoto.

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Dev’essere il mondo / Che incontra la notteE vuole la strada / Del profondo.

La notte dei morti (dai Poemi Asolani, 1916)Gian Francesco Malipiero

Impressione - Carlo StuparichOggi la terra fuma, e nebbia vela il leggero vestirsi della primavera. [...]

Stracci di nebbia lenti - Camillo SbarbaroStracci di nebbia lentiE ceneri d’ulivi.Quasi a credere stenti che vivi. [...]

Trucioli - Camillo Sbarbaro[...] E ci conducono arcangeli stellati,soavi alcuni come fanciulle.Cinguettano sulle vie polverose le automobili del Comando.Con occhi di condannati a morte guardiamo i tetri borghi passare.Si marcia. [...]

E Cadorna manda a direDa Canti di Soldati raccolti da Piero Jahier e armonizzati da Vittorio Gui

Marcia nell’aurora - Carlo CarràNon vi sono altri uomini nel paesaggio [...]Cammino sui diamanti della terra e nella cadenza musicaleSfoglio la fresca Rosa della mia giovinezzaDai lacci delle Volontà cosmiche si sgranano frammenti disommità non ancora da Dio toccateNe’ miei occhi dilatati si sono purificatii diamanti dell’irideAssisto alla creazione del secondo spazio.

Barlumi (1917)Gian Francesco Malipiero

Apocalisse - Ettore SerraAll’alba cominciòsilenzïosa, l’orribile pioggiadi foco. Ondeggiamentivasti di turbee disperate fugheed urli ne le fiamme incandescenti. [...]

Mattino - Diego Valeri[...] s’apre una lunga fessura lucente,scoppia uno squarcio di fiamma più su.Un razzo d’oro; e un sussulto, un tremored’oro per l’ombre; oro a rivoli, a onde [...]Più in alto: spiagge di nuvole bionde,calme e profonde lagune di blu.

Apocalisse - Ettore Serra[...] Odo un silenzio:è l’ombra d’una sera ch’orrida, fera,tacitamente cala.È un’ala che da cieloa cielo s’abbandona / a ricoprire il mondo.Cupa la notte. / Sperduto vipistrellopel buio vago / sull’annerito scheletro del mondo.

Il testamento del marescialloDa Canti di Soldati raccolti da Piero Jahier e armonizzati da Vittorio Gui

Mare - Piero Jahier[...] Hanno preso il suo figliolo ànno presoquello che l’era appena rilevatoe per andà non può essere andatoche nel posto più brutto indifeso.Hanno preso il suo tosàt alla mare [...]

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Il ritorno (da Sette Canzoni)libretto e musica Gian Francesco Malipiero

Giorno piovigginoso d’autunno.L’interno di una stanza.Una finestra e una porta, chiuse.

Seduta su di un seggiolone la vecchia madre demente,piange il figlio perduto.

O morte dispietata,Tu m’hai fatto gran torto;tu m’hai tolto mio figlioch’era lo mio conforto.Già mai non vidi giovaneDi cotanto valoreQuanto lo era mio figlioChe mi donò il Signore.

S’interrompe. Le balena il ricordo di un’antica canzone con la quale solea addormentare il suo bambino:

Dolce sonno, dal cielo scendi e vieniVieni a cavallo, e non venire a piedi;Vieni a cavallo in un cavallo bianco,Dove cavalca lo Spirito Santo:Vieni a cavallo in un bel cavallinoDove cavalca anche Gesù Bambino.Falla, la nanna, ne li dolci sonni!Mamma ti canta, e tu, piccino, dormi!

Bruscamente il dolore la riafferra:

O figlio, figlio, figlio amoroso giglio, figlio, chi dà consiglio al cor mio angustiato?Figlio, occhi giocondi, figlio, co non rispondi?Figlio, perché t’ascondi dal petto ove se’ lattato?

Ha un’altra visione, le sembra giuocare col suo bambino:

Fila, fila lunga!La mamma si raggiunga:Si raggiunga la badessa.Si canterà la messa;La messa e il mattutino.Si farà un bello inchino.L’inchino è bello e fatto:Si farà la pappa al gatto.Il gatto non la vòle:Si darà alle gattaiole.Le gattaiole son sotto il letto:Ci daranno un bel confetto.

Ancora più angosciata riprende il lamento:

O figlio, figlio, figlio amoroso giglio, figlio, chi dà consiglio al cor mio angustiato?Figlio, occhi giocondi, figlio, co non rispondi?Figlio, perché t’ascondi dal petto ove se’ lattato?

Passano cantando alcuni giovani:

All’erta all’erta, che il tamburo suona:i Turchi sono armati alla Marina,la povera Rosina è prigioniera.All’erta, che il tamburo suona.

Ella ascolta.A un tratto s’apre la porta e appare il figlio, che si precipita verso la madre. La demente indietreggia, lo respinge quasi ed è presa da un riso convulso e sinistro. Poi s’irrigidisce e fisso lo sguardo nel vuoto cadepesantemente a sedere sul suo seggiolone.Il figlio la guarda immobile.

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Mare - Piero Jahier[...] Anche se tornano non si può più alzare.Hanno preso ànno preso anche la mare.

Risonanze (1918)Gian Francesco Malipiero

Ninnananna - Giuseppe UngarettiDormi, la tua gioia s’acqueti, sogna,Nel sogno risorta parrà infinita.Difesa dalla notte, / Risplendente segreto,Volerà inudita / Di cielo in cielo, libera. [...]Un sole verrà, / Segreto arderà.Risplendente già, / Sui mari vaDel sogno, libertà. / Abbagliando vaLa libertà, / Dei sogni verità.

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Medaglia di gratitudine nazionale decretata alle madri dei caduti per la patria

Virgilio Milani, Monumento ai caduti delle guerre mondiali (1953), Grignano Polesine (Rovigo)

Virgilio Milani, Monumento ai caduti della prima guerra mondiale (1922), Sarzano (Rovigo)

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DOMENICA 12 OTTOBRE

“Non c’è più rugiada, non c’è più alba sul mondo”

Luoghi della guerra combattuta

Ensemble vocale del Conservatorio F. VenezzeAlessandro Bacchiega, Lothar Banse, Matteo Cesarotto,

Cho Ji Hoon, Daniele Cobianchi, Fabio Desiderò, Rodolfo Ghirardello, Attilio Lionello, Giacomo Marchiori,

Patrizio Marchiori, Sergio Oldair Dos Santos,Paolo Pasello, Fabio Siniscarchio, Luigi Spoladore

Direttori Patrizio Marchiori e Michele PeguriPianoforte Giuseppe Fagnocchi

Pianoforte Nicola RigatoVoce recitante Matteo Cesarotto

L’Aspettazione (da La guerra op. 32)Francesco Balilla Pratella

Parole dette in una cena di compagni, all’alba del XXVmaggio MCMXV - Gabriele D’AnnunzioCompagni è l’alba. La nostra vigilia è finita. L’ebrezza incomincia. [...]Non abbiamo ormai altro valore se non quello del nostrosangue da versare; non possiamo essere misurati se non a livello del suolo conquiso. [...]Ecco l’alba, o compagni, ecco la diana; e fra poco saràl’aurora. Abbracciamoci e prendiamo commiato. Quel che abbiamo fatto è fatto. Ora bisogna che ci separiamo e che poi ci ritroviamo. Il nostro Dio ci conceda di ritrovarci, o vivi o morti, in unluogo di luce.

Addio, mia bella addio - canto patriottico

Notturno, Seconda Offerta - Gabriele D’Annunzio[...] Non mi sono mai sentito tanto pieno di musica comenelle pause della battaglia. A volte i suoni e i frammenti dei suoni e le pause disegualisi confondono in una sola armonia che si porta con sé lamia tristezza e qualcosa di ancor più triste che la mia tristezza. [...]

Deux contrastes op. 31Alfredo Casella

Guerra del ‘15 - Giani Stuparich[...] Roma. [...] Siamo nuovi, dalle scarpe al berretto.Gli alamari candidi, orlati di rosso carminio, riderebbero sevi battesse il sole, ma il cielo è grigio [...]Firenze. [...] Albeggia. Le colline in vasto cerchio verde eazzurro stanno dentro un cielo purissimo.Dai vagoni tanfosi saltano giù soldati sbattuti e sudici. [...]Mestre. Non sappiamo la nostra destinazione. Comin-ciamo tuttavia a comprendere verso dove andiamo. [...]Nell’aria c’è il preannuncio d’una vita del tutto diversa daquella che ci lasciamo dietro. [...] Risale il toscano, pallido,le labbra tremanti: “Ci sono migliaia di feriti!” [...] Si bisbigliauna parola: morte. Grava da per tutto un odore acre di san-gue e di iodio. Su un binario non molto lontano dal nostroc’è un treno di feriti del Monte Nero. Chiazze brune filtranoattraverso le bende che cingono le teste, che sostengonole braccia. Alcuni feriti, scesi dai letti, si sono ammassatidietro la sbarra delle porte: facce patite e spaventate, vestiti laceri, sporchi, camicie stracciate. [...]Notte. [...] Arrivati finalmente. Dove? [...] Avanti ancora. [...]Che si fa? Avanti. [...] Si cammina [...] si cammina; [...] tuttosi esaurisce nella strada bianca su cui si cammina [...]Siamo avanzati nel silenzio sacro, come conquistatori primitivi, misurando a larghi passi la terra incontrastata, intrepidi della vergine conquista. [...]

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Guardo anch’io. Nell’argine c’è un’enorme buca, come unbacino, e dentro zaini e fucili e brandelli di stoffa; confusicon questi ci sono anche dei granatieri; uno è disteso bocconi con lo zaino sulla schiena, le braccia allargate, latesta abbandonata sulla terra; un altro giace sul fianco conle mani rattrappite intorno alle ginocchia e la testa rove-sciata; sotto la sua faccia spiccano gli alamari candidi orlatidi rosso. [...]

Monte Canino - canto degli alpini

Notturno, Seconda Offerta - Gabriele D’Annunzio[...] La campana suona a stormo. Il rombo del bronzo penetra in tutte le midolle. Un urlo immenso lo supera. La guerra! La guerra!Suona dal fondo dei secoli morti? Suona dal fondo dei se-coli avvenire? Bandisce la guerra la campana del popolo.Non è più una squilla di bronzo. È una squilla di fuocorosso alla sommità del cielo latino. L’ode tutta la Patria, ebalza. La guerra! La guerra! Lo splendore del vespro è vintoda queste miriadi d’occhi fiammeggianti, da quest’agita-zione di bandiere e di minacce, da questa sublimazione delpopolo libero riposseduto dal suo dio vero. [...]

Pagine di guerra op. 25Quattro films musicali per pianoforte a quattro mani:Belgio - Francia - Russia - AlsaziaAlfredo Casella

Nel BelgioSfilata di artiglieria pesante tedesca: rombo di enormi trat-trici a motore, vortice di tozze, blindate ruote; mostruositàsapiente e matematica di obici colossali, avanzanti comepachidermi verso nuove distruzioni.

Futurista al fronte, da La danza futuristaFilippo Tommaso Marinetti [...] In questa nostra epoca futurista, mentre più di venti

milioni di uomini fasciano la terra con le loro linee di batta-glia, fantastica via lattea di stelle-shrapnels esplose; men-tre la guerra centuplica il vigore delle razze, costringendolea dare il massimo rendimento di audacia, d’istinto e di re-sistenza muscolare, la danza futurista deve glorificarel’uomo eroico che si fonde con le divine macchine di velo-cità e di guerra e domina i grandi esplosivi. [...]Voglio dare fusione della montagna con la parabola delloshrapnel. La fusione della canzone umana carnale col rumore meccanico della shrapnel. Dare la sintesi idealedella guerra: un alpino canta sotto una volta ininterrotta dishrapnels. [...] Voglio dare la carnalità [...] dell’urlo di guerrache si lacera e muore eroicamente a brandelli contro il laminatoio mecccanico geometrico inesorabile del fuocodi mitragliatrice. [...]

In FranciaDavanti alle rovine della cattedrale di Reims: portali mutilati,statue pie infrante; sopravvivenza, nelle grandi linee, dellasimmetria paziente ed ingenua dello stile gotico.

Parole dette nella Casa degli Artisti la sera del XVImaggio MCMXV - Gabriele D’Annunzio[...] Lode a voi! Prima fra tutti in Italia, fervidi fra tutti, voi le-vaste il grido contro le orrendi distruzioni barbariche. Voi palpitaste di dolore e di sdegno quando su la sublimeCattedrale di Francia, edificata e ornata da secoli d’amoree di speranza, s’abbatté la stupida ferocia degli invasori.Ebbene, o amici, o compagni, io vi dico che l’arte vera èinviolabile, che la vera bellezza è inconsumabile. Dalle fon-damenta scosse, dalle volte fendute, l’antico pensiero ri-torna con la purità originaria al popolo rinnovato. Nel vanodella grande Rosa ora s’affaccia il volto divinamente tra-sfigurato della Nazione sanguinante. E, in verità, sembrache la pietra angolare della nova coscienza francese debbaesser tagliata in un di quei blocchi.Alla vigilia di un evento che deve ricreare la nostra unità,salutiamo le potenze eterne della gente latina.

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Ella è l’artefice chiara delle stirpi confuse. In lei soltanto lamateria immensa e incandescente della nova vita troverà igrandi conii perfetti. Ella soltanto, dopo la lotta e dopo la vittoria, ridonerà almondo lo stampo eroico dell’uomo. [...]

In RussiaCarica di cavalleria cosacca: violenza barbarica e frenetica,al ritmo di galoppo dei grandi cavalli asiatici e dei loro terribili cavalieri.

Trincee - Carlo Salsa[...] E via nella nostra fuga, per le steppe distese versol’orizzonte, attraverso valli spalancate come voragini sullasoglia del mondo [...]Poi nella motte crivellata dalle trafitture della neve, la primavedetta italiana, solitaria: piccolo fante armato, così solenne, così alto sulla nostra stanchezza di vinti.“Io ho combattuto sul fronte russo” sillaba, cadenzando l’accento esotico col faticoso equilibrio di chicammini sui trampoli. “La fanteria s’avventava come le folate della tormenta in alta montagna, su dieci, quindici ondate successive, incalzata da un nugolo di cosacchi. Quelli che stavano dietro non avevano armi: raccoglievanoi fucili dei compagni caduti. Passavano solo quando i reticolati venivano sommersi daponti di cadaveri. I tartari! Orribile! Oh, orribile! Sembravano sacerdoti, nellelunghe tonache nere. Avevano gli occhi spiritati dei pazzi.Urlavano. Nulla poteva trattenerli: nulla riusciva ad impie-tosirli: s’ubbriacavano di sangue [...]”Parla a tratti, brancolando per trovare un’espressione impossibile.Quando salutiamo per riprendere il cammino, è ancora là,col mento poggiato sulle braccia incrociate. [...]

Sui Monti Scarpazi - canto popolare

In AlsaziaCroci di legno... piccolo cimitero fiorito in aprile; voce sullontano risuonare di corno eroico, di tutti i morti per la libertà e per la gloria.

Trincee - Carlo Salsa[...] E, ovunque, un seminio di croci, alcune anonime, altrecon nomi ignoti scarabocchiati a matita sui legni fradici,altre compiante da semplici parole commemorative, altrevigilate da un bossolo di granata colmo d’acqua piovanaove qualche fiore gualcito si dondola in un’agonia infinita.Il luogo, fatto tetro dal silenzio e dalla solitudine, evocaimpeti di masse scagliate su per l’erta, vociferazioni d’assalto, oscura frenesia di strage. [...]

Notturno, Seconda Offerta - Gabriele D’Annunzio[...] Penso agli strumenti della Passione appesi al legno chenon porta più la soma del corpo suppliziato. Penso legrandi croci erette su l’esitazione dei crocicchi, le crocisenza crocifisso, alla cui cima è il gallo vigile che non hacantato la terza volta.Quattro essenze di legni componevano la croce del sacri-ficio: il cedro, il cipresso, il palmizio, l’ulivo. Nel nostro Occidente, al palmizio e al cedro non vogliamonoi sostituire il frassino e il pioppo dell’ala eroica? [...]

La Battaglia (da La guerra op. 32)Francesco Balilla Pratella

Un anno sull’altopiano - Emilio Lussu[...] È da oltre un anno che io faccio la guerra, un po’ sututti i fronti, e finora non ho visto in faccia un solo austriaco.Eppure ci uccidiamo a vicenda, tutti i giorni. Uccidersisenza conoscersi, senza neppure vedersi! È orribile! È perquesto che ci ubriachiamo tutti, da una parte e dell’altra.[...] Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!...Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati comenoi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parla-

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vano e prendevano il caffè, proprio come stavano facendodietro di noi, in quell’ora stessa, i nostri stessi compagni.[...] Una vita sconosciuta si mostrava improvvisamente ainostri occhi. Dal modo con cui era vestito, si capiva ch’eraun ufficiale, probabilmente arrivato in quei giorni, forseuscito appena da una scuola militare. [...]Fu un attimo. Il mio atto del puntare, ch’era automatico,divenne ragionato. Dovetti pensare che puntavo, e chepuntavo contro qualcuno. Pensavo. Ero obbligato a pen-sare. [...] La guerra era, per me, una dura necessità, terribilecerto, ma alla quale ubbidivo. [...] Avevo il dovere di tirare.E intanto, non tiravo. [...] Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo che gli sovrastava. [...]Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un Uomo! [...]Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un’altracosa. Uccidere un uomo, così, è assassinare un uomo. [...]“Sai … così … un uomo solo … io non sparo. Tu vuoi?”[...] “Neppure io”. [...]

In Italia: sui campi di battaglia dell’Altopiano di Asiagoda Grotesques (inverno 1917) Erwin Schulhoff

Ortigara (Tapum) - canto degli alpini

La Vittoria (da La Guerra op. 32)Francesco Balilla Pratella

Cantico per l’ottava della vittoria - Gabriele D’Annunzio[...] Eroe, tu m’attendi invano sul tuo fiume lustrale.Ma, se vita è mortale, se la morte è immortale,in te vita e morte oggi invoco. / Nella mia bocca ho il tuosoffio, tra i miei denti il tuo fiato. / Si fa mattutino canto lospirito esalato. / L’agonia si fa melodia. / Patria! Patria!Questa sola parola è tutto il cielo. / La notte pallida s’aprecome si squarcia un velo. / Regna “colui che più s’india”.Come chi chiama la luce pel suo nome divino, come chichiama la luce pel suo nome e al mattino

comanda che nasca dall’acque,o Patria, così ti chiamo. Sono il tuo gridatoree sono il tuo testimonio. Se m’odi, il mio amoresa come questo giorno nacque. / Sto tra la vita e la morte,vate senza corona. / Da oriente a ponente l’inno primo s’intona: “La vita riculmina in gloria!”Sto tra la morte e la vita, sopra il crollo del mondo.Da ostro a settentrione scroscia l’inno secondo:“La morte s’abissa in vittoria!”

Kobilek - Ardengo Soffici[...] Vivo in uno stato di lucida esaltazione, come immersoin una serenità d’esistenza riconquistata. Passo le mie oreripensando a quello che è stato e rivedo nei miei sogni.Quello che è avvenuto mi sembra di una bellezza indicibile.Rimpiango i giorni passati lassù, ne porto un ricordo deli-zioso come di qualche cosa di raggiante e di puro. Sentoche non ritroverò mai momenti così pieni e grandi. Vorrei che tutti fossero alla guerra perché potessero poisentire questa feconda gioia di ricordarla. Scrivo queste memorie per il piacere di rievocare e fissareun periodo tanto importante della mia vita. [...]

Leggenda del Piave - canto patriotticoE.A. Mario, pseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta

Ritorno - Giuseppe Ungaretti (Parigi il 9 gennaio 1919)Trinano le cose un’estesa monotonia di assenzeOra è un pallido involucroL’azzurro scuro delle profondità si è frantoOra è un arido manto

Autobiografia: 14 - Umberto Saba[...] Dell’Europa - pensavo - ecco, è la sera;quella che a noi fanciulli s’annunciavaper gli estremi bagliori in lei fulgenti.

Ai preât la biele stele - canto popolare friulano

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DOMENICA 19 OTTOBRE

28 Giugno 1914 - 11 novembre 1918…Sunt lacrymae rerum

Meditazioni e preci sulla Morte

Violino Elisa SpremulliPianoforte Francesco De Poli

Voce recitante Lisa Castrignanò

Eneide - Publio Virgilio Marone

(Libro Primo, vv. 90-91; vv. 440-441; 450-452; vv. 454-463e Libro Secondo, vv. 368-369; vv. 687-690)

[...] Tuona la volta del cielo e l’etere balena di fittefolgori, e tutto minaccia agli uomini una morte imminente.[...] V’era, in mezzo alla città, un bosco rigogliosod’ombra [...] In questo bosco Enea osò speraresalvezza e avere migliore fiducia nelle avverse vicende.E [...] mentre ammira tra séla fortuna della città, e la mano degli artefici e l’industria delle opere, vede per ordine le iliache battagliee la guerra già nota per fama in tutto il mondo,gli Atridi, e Priamo e Achille, a entrambe le parti crudele.Ristette e disse in lacrime: “Qual luogo ormai, Acate,o regione della terra non riempie il nostro travaglio?Ecco Priamo. Anche qui il valore si pregia.Piange la storia e gli eventi umani commuovono l’animo.[...] Crudele ovunque il dolore,ovunque il terrore, e molteplice immagine di morte.[...] Ma il padre Anchise tese al cielo le mani e la voce:“Giove onnipotente, se alcuna preghiera ti piega,guardaci; ciò solamente, e se meritiamo la tua pietà,dacci ancora un segno, o padre, e conferma gli auspicî”.

Sunt lacrymae rerum per pianofortePietro Mascagni

Le ore del mio pensiero, La meditazione della mortePiero Zama[…] Ogni battaglia ebbe armi rinnovate ed armi spezzate,e si quietò, per un attimo, come se avesse contemplata lavittoria. E il valore della vittoria fu misurato soltanto dalladisillusione. […] Come falangi interminabili, balzarono ebalzano all’assalto idee nuove in nascimento perenne.L’umanità fu e sarà schiava in eterno di questa battaglia;soltanto l’individuo vincerà, e quella sarà l’ora della suamorte.Io sarò, domani, freddo in tutta la mia carne, irrigidito intutti i miei muscoli, raggrumato in tutto il mio sangue, eavrò la bocca serrata e gli occhi chiusi. … Poi sarò scarnitoin tutte le mie ossa, fatto orrendo fossile, sminuzzato econsunto sino alla polvere, e poi sarò nulla. […] Mentre, dilà da questo solco, uomini ignari di me puntano l’ordignodella mia carneficina, lasciate che vi interroghi oggi di quelmistero di cui mi affanno, e nel quale dovrò perdermi frapoco: io dovrò, io debbo perdermi: forse in una rivelazioneche è tutto, o forse in un oblio che è nulla?Ditemi, oggi, se nell’istante in cui cessa il palpito del cuoree l’ultima vena langue nell’attesa dell’ultimo balzo, è fattala luce eterna o la tenebra senza fine.Nella morte è tutta la nostra grandezza, poiché noi siamograndi in virtù del suo mistero. […] Nella morte è tutta la nostra gioia, perché la gioia può na-scere soltanto dal possesso dell’infinito e, finché la vita ciserra, tutto è finito e solo quella speranza ci lusinga.La morte pertanto è l’unico nostro bene, e vale la pena diaccettare la vita solamente per quella divina avventura.

Notturno, Prima Offerta - Gabriele D’Annunzio[…] L’anima sapeva la morte essere una vittoria, ma noncosì grande.La vita era il suo limite, ed ora è la sua libertà.

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Ella è portata dal corpo come dall’impeto d’una bellezzacreatrice. […] Come il rapimento di una melodia che sorge improvvisa daun’orchestra profonda; come la rivelazione d’un verso chene sveglia il suono segreto; come il messaggio del ventoche è la rapidità dell’infinito in cammino; con uno spiritosenza riva, con un corpo senza forma, con un gaudio chesembra terrore, io sento l’idealità del mondo. […]

Romanza per violino e pianoforteOttorino Respighi

Notturno, Seconda Offerta - Gabriele D’Annunzio[…] La morte non mi appare se non come la forma dellamia perfezione.Eternerà tutti gli elementi che la vita commuove e commutain me con una perpetua alchimia.Quale inno accompagnerà il mio transito? […]Inebriatemi di musica.Fatemi piangere ancora lacrime d’anima.Toccate con la melodia il fondo della mia piaga, a suscitarvii colori indicibili che non appariscono se non nello spettroluminoso delle stelle. […]

Tre canti per violino e pianoforte Ildebrando Pizzetti

I. AFFETTUOSO

Inno alla morte - Giuseppe Ungaretti[…] Immemore sorella, morte,L’uguale mi farai del sognoBaciandomi.Avrò il tuo passo,Andrò senza lasciare impronta.Mi darai il cuore immobileD’un iddio, sarò innocente,Non avrò più pensieri né bontà.

Colla mente murata,Cogli occhi caduti in oblio,Farò da guida alla felicità.

II. QUASI GRAVE E COMMOSSO

Preghiera - Giuseppe UngarettiQuando mi desteròdal barbaglio della promiscuitàin una limpida e attonita sferaQuando il mio peso mi sarà leggeroIl naufragio concedimi Signoredi quel giovane giorno al primo grido

III. APPASSIONATO]

1914-1915 - Giuseppe Ungaretti[…] Colla grazia fatale dei millenniRiprendendo a parlare ad ogni senso,Patria fruttuosa, rinascevi prode,Degna che uno per te muoia d’amore.

Notturno, Seconda Offerta - Gabriele D’Annunzio[…] A volte i suoni e i frammenti dei suoni e le pause dise-guali si confondono in una sola armonia che si porta consé la mia tristezza e qualcosa di ancor più triste che la miatristezza. […]

Ricordi di guerra - Giovanni Minozzi[…] Non scorderò mia l’impressione profonda e dolce chelasciavano le opere ascoltate al grammofono, sul limitarproprio della linea di fuoco, quasi al lampeggiar dellamorte. Ufficiali e soldati rimanevano ore e ore estasiati, cullatidall’onda armoniosa, come rapiti in un oblio di sogno.L’animo semplice, rifatto semplice e puro dai perigli su-premi, s’apriva rapido, immediato alla suggestione musi-cale, si abbandonava riposato e lieto alla malia del canto.

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Meditation (da Thais)Jules Massenet

Notturno, Terza Offerta - Gabriele D’Annunzio[…] Non ebbi mai tanto rammarico nello svegliarmi. […]Prego uno dei sonatori che mi lasci vedere il suo stru-mento. Egli me lo porta, delicatamente con un sorriso mo-desto. […]Così parla l’artigliere emiliano vestito di grigio-verde: […]“C’è una comunanza misteriosa fra la struttura dell’uomoe quella dello strumento. C’è una relazione certa fra la sa-nità del sonatore e la qualità del suono. […] L’osso è mu-sicale. Sembra che l’osso d’un buon sonatore debbaessere rempiuto d’aria piuttosto che di midolla. […]Tra il legno dell’arco e quello dello strumento non ci puònon essere una rispondenza vitale. […] La fibra del legno,non piegato a fuoco, trasmette immediatamente l’inten-zione della mano. Ecco un “Tourte”, nervoso […] ecco un Dodd inglese […]ed eccone uno senza nome e disadorno, anzi poverello,un vero arco francescano da Cantico delle creature, chebuono non ha se non il colore rosso-bruno del suo legnointonato col mio Guarneri. […]S’intendono. A ben considerare i due legni, c’è da credereche quest’arco gli sia stato tratto fuori dalla fascia comeEva dalla costola di Adamo”.L’artigliere si mette a ridere d’un buon riso infantile e piz-zica il cantino.Io gli dico: “Può essere. Gli strumenti sono di natura de-moniaca. I maestri vecchi nell’alto del manico, invece delriccio, mettevano qualche volta la figura del bellissimo Ne-mico. Nel mio paese d’Abruzzi ho visto una viola d’amorecon nel manico una specie di strige dal lungo collo che siripiega verso il sonatore a tentarlo e gli insinua nel cuore ilsuo fascino perfido”.L’artigliere non celia più: “Non c’è dubbio. Il grande liutaioè mago. Nella scelta dei legni non può illuminarlo se nonla magia. E perché invece un Guarneri del Gesù non dà

grande importanza alla scelta, sentendosi capace di mu-tare qualunque legno con la sua influenza misteriosa?Ecco un vero poeta occulto. Non lavora se non per ispira-zione. Ti taglia nella faccia del violino due effe imperiose,due effe prepotenti; e la faccia vive, esprime, favella, è impaziente di cantare”.E mi suona una giga, una corrente, una gagliarda. […]A mezzo della gagliarda udiamo l’ululo lugubre della sirenaseguito dal colpo di cannone. […]In un tiro di sbarramento la batteria aveva fatto strage dei nostri.Il mucchio sanguinoso era lontano ma pareva approssi-marsi con uno strisciare di viscere. Io lo sentivo, come in ascolto si sente l’avanzare di una compagnia carponi tra sassate e cespugli.Gli uomini erano là, davanti al capo accigliato.La voce del capo scrosciò. Il sole in quel momento scen-deva a dorare il pallore degli uomini.Si disputava di carne cristiana, di carne paesana, di poveracarne nostra. […]

Corrente e GagliardaMartino Pesenti

O morti che siete in terra come in cieloGabriele D’AnnunzioO morti che siete in terra come in cielo,sieno santificati i vostri nomi,avvenga il regno del vostro spirito,sia fatta in terra la vostra volontà.Date il pane cotidiano alla nostra fede.Tenete acceso in noi l’odio santo,come noi non rinnegheremo mai il vostro amore.Allontanate da noi ogni tentazione infame,liberateci da ogni dubbio vile.E, se è necessario,combatteremo non fino all’ultima goccia del nostro sangue

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ma con voi fino all’ultimo granello della nostra cenere.Se è necessario,combatteremo fino a che l’Iddio giustonon venga a giudicare i vivi e i morti.Così sia.

Dalla Sonata in la maggiore per violino e pianoforte:II. Preghiera per gli innocenti, Molto largoIldebrando Pizzetti

Due imperi... mancati - Aldo Palazzeschi[…] Dicono che piangete perché è morta la guerra. […]No, no, siete tristi perché la pace che è nei confini del vostro paese non vi è ancora penetrata in quelli del cuore.Che pace è questa mai?Stringetevi con quello che fu il vostro nemico, guardatevibene negli occhi con lui e piangete insieme. Sia quellastretta una promessa, un giuramento, l’oblio. […]Aspettano i poeti, e tutti gli uomini della Germania la nostramano, siamo noi che dobbiamo porgergliela, per vivere elavorare con essi, produrre insieme il bene di cui l’umanitàè ora riarsa.Oh! Siete innocenti, non temete, non siete colpevoli diquello che avete fatto. […]Lavoreremo insieme e ci comprenderemo ed ameremo, egioveremo a farci comprendere ed amare dagli altri, datutti, e tutti ci seguiranno.Spiriti universali di Goethe, di Beethoven, di Wagner, spiritidi Heine e di Nietzsche sposati alla latinità, sia per voi pronunziata la vostra parola più bella: amore. […]E con quale immagine [troverete] la forza di immortalarequesta sublime grandezza?Non un regno, né un impero, ma una donna, una semplicedonna col suo bambino in braccio.Pensate alla Vergine, pensate a Lei. Quale immagine piùgrande di questa? Quale amore più puro del vostro perEssa? […][…] Si può disperare dell’anima umana quando fu capace

di germinare un fiore come questo?Tornate, tornate su quella via, e nuove grandezze, nuoviregni celesti vi saranno aperti.Udite o dimentichi, udite dove siete potuti arrivare:

Vergine madre, figlia del tuo figlio,Umile ed alta più che creatura,Termine fisso d’eterno consiglio,

Tu se’ colei che l’umana naturaNobilitasti sì, che il suo FattoreNon disdegnò di farsi sua fattura. […]

Or questi, che dall’infima lacunaDell’universo infin qui ha vedute Le vite spirituali ad una ad una,

Supplica a te per grazia di virtuteTanto che possa con gli occhi levarsiPiù alto verso l’ultima salute.

Ave MariaFranz Schubert

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DOMENICA 26 OTTOBRE

Esami di coscienza di letterati e musicistisulla Grande Guerra

Soprano Selena ColomberaPianoforte Song Kyoungha e Maddalena Altieri

Percussioni Sebastiano Girotto e Leonardo Spoladore

Voce recitante Elisabetta AndreaniRegia del suono Nicola Evangelisti

Pause del silenzio (1917)Gian Francesco Malipiero

Taccuini di guerra - Scipio Slataper[…] Mai come nel silenzio […] della notte, quando la trinceadorme e dieci metri più in là c’è l’agguato del buio e dellefronde, si sente la presenza della guerra. La guerra non ènello scoppio delle granate o nella fucileria, e neanchenell’attacco corpo a corpo. La guerra non è in ciò che sicrede da lontano la sua realtà tremenda e che da vicino èin fondo una povera cosa che fa pochissima impressione:ma è – come sentì bene il Tolstoj – in quel curioso spazioal di là della propria trincea, silenzioso, placido, col suograno che matura senza scopo. È quel senso di sicuramorte che c’è più in là dove pure c’è il sole e le strade se-colari e le case dei contadini. […]

Il mio carso - Scipio Slataper[…] Ma noi nascemmo in altra generazione. Noi cantammo per le strade:All’armi, all’armi! Non deporrem la spada fin che sull’alpi Giulienon splenda il tricolor.

E a casa trovammo la mamma piangente di affanno e dipaura per noi. […]Di dove venimmo? Lontana è la patria e il nido disfatto. Macommossi d’amore torneremo alla patria nostra Trieste, edi qui cominceremo.Noi vogliam bene a Trieste per l’anima in tormento che ciha data. Essa ci strappa dai nostri piccoli dolori, e ci fasuoi, e ci fa fratelli di tutte le patrie combattute. Essa ci hatirato su per la lotta e il dovere. […]Trieste … noi ti vogliamo bene e ti benediciamo, perchésiamo contenti di magari morire nel tuo fuoco.Noi andremo nel mondo soffrendo con te. Perché noiamiamo la vita nuova che ci aspetta. Essa è forte e dolo-rosa. Dobbiamo patire e tacere […] perché noi vi amiamo,fratelli, e speriamo che ci amerete. […]

Trento e Trieste, Canto di guerra op. 34Francesco Balilla Pratella

Due imperi... mancati - Aldo Palazzeschi[…] C’era una persona dalla quale questa guerra dovevavenire subito condannata e respinta: l’artista, e su tutti ilpoeta. […]Questa superba creatura che ha un cervello e un cuore an-cora miracolosamente puri ed umani doveva ritirarsi livida,offesa, contratta nel suo rifugio, e difendere strenuamenteil proprio tesoro immortale e incorruttibile. […] Quali artistisi rivelarono?

Esame di coscienza di un letterato - Renato Serra[…] La guerra […] son otto mesi, poco più poco meno,ch’io mi domando sotto quale pretesto mi son potuta con-cedere questa licenza di metter da parte tutte le altre cosee di pensare solo a quella. La guerra non mi riguarda. La guerra che altri fanno, laguerra che avremmo potuto fare […] Se c’è uno che lo sap-pia sono io, prima di tutti.È una vecchia lezione! La guerra è un fatto, come tanti altri

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in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto aglialtri, che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vitoglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente, nel mondo.Neanche la letteratura. Ripetiamo dunque, con tutta la semplicità possibile.La guerra non cambia niente. Non migliora, non redime,non cancella; per sé sola. Non fa miracoli. Non paga i de-biti; non lava i peccati. In questo mondo, che non conoscepiù la grazia.La guerra ha rivelato dei soldati, non degli scrittori.Essa non cambia i valori artistici e non li crea: non cambianulla nell’universo morale. E anche nell’ordine delle cosemateriali, anche nel campo della sua azione diretta […]La guerra è passata, devastando e sgominando; e milionidi uomini non se ne sono accorti. Son caduti, fuggiti gli in-dividui; ma la vita è rimasta, irriducibile nella sua animalitàistintiva e primordiale, per cui la vicenda del sole e dellestagioni ha più importanza alla fine che tutte le guerre. Che l’Italia abbia qualche cosa da fare; un dovere da com-piere e un avvenire da preparare o da assicurare, qualchecosa di storicamente determinato e preciso, ai suoi confini,sulla sua strada, lo sappiamo tutti. […] Ma appunto perchéquesto problema è essenziale e sostanziale nella nostrastoria, non possiamo credere che si esaurisca con oggi.Se manca oggi alla chiamata, risponderà forse domani; fracinquant’anni, fra cento; e sarà ancora in tempo. Che cosasono gli anni a un popolo? […]E facciamo magari della letteratura. Perché no?E non parliamo più della guerra. Anzi, parliamone ancora. Adesso ho capito. Ho potuto distruggere nella mia mentetutte le ragioni, ma non ho distrutto quello che era nellamia carne mortale, che è più elementare e irriducibile, laforza che mi stringe il cuore. È la passione. Hanno detto che l’Italia può riparare, se anche manchi que-sta occasione che le è data; la potrà ritrovare. Ma noi,come ripareremo? Invecchieremo falliti. Saremo la genteche ha fallito il suo destino.

E sarà inutile dare la colpa agli altri. La colpa è nostra.Fra mille milioni di vite, c’era un minuto per noi; e nonl’avremo vissuto. Vivere vogliamo e non morire. Ciò fa più semplice e più sicura la nostra passione.Si ha voglia di camminare, di andare. Ritrovo il contatto colmondo e con gli altri uomini, che mi stanno dietro, che pos-sono venire con me. Sento il loro passo, il loro respiro con-fuso col mio. Non ho più altro da pensare. Questo bastaalla mia angoscia; questo che non è un sogno o un’illu-sione, ma un bisogno, un movimento, un fatto; il più sem-plice del mondo. Andare insieme. Così, marciare e fermarsi, riposare e sor-gere, faticare e tacere, insieme; file e file di uomini, che se-guono la stessa traccia, che calcano la stessa terra; caraterra, dura, solida, eterna; ferma sotto i nostri piedi, buonaper i nostri corpi. Capaci di appoggiarsi l’uno all’altro, divivere e di morire insieme, anche senza saperne il perché:se venga l’ora.Oggi è il tempo dell’angoscia e della speranza.E questa è tutta la certezza che mi bisognava. Il presentemi basta; non voglio né vedere né vivere al di là di questaora di passione. Comunque debba finire, essa è la mia; e non rinunzierò neanche a un minuto dell’attesa, che mi appartiene.Dirai che anche questa è letteratura?E va bene. Non sarò io a negarlo? Perché dovrei darti undispiacere? Io sono contento, oggi. […]

Adagio dalla Sonata (poema eroico) dedicata a Renato SerraCarlo Bersani

Ragioni d’una poesia - Giuseppe Ungaretti[…] Nelle mie carte, trovo alcune mie prime annotazioni […] da pensieri, quali erano quelli che ispiravano il mio libroscritto nella tragicità della trincea, pensieri di stretta essen-zialità espressiva, tutta ristretta nel vocabolo. […]

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Ho, ed è naturale, riflettuto come qualsiasi scrittore o arti-sta, sui problemi dell’espressione poetica e dello stile; manon vi ho riflettuto se non per le difficoltà che via vial’espressione mi opponeva esigendo d’essere posta ingrado di corrispondere integralmente alla mia vita d’uomo.[…] Il poeta d’oggi ha il senso acuto della natura, è poetache ha partecipato e che partecipa a rivolgimenti fra i piùtremendi della storia. Da molto vicino ha provato e proval’orrore e la verità della morte. Ha imparato ciò che valel’istante nel quale conta solo l’istinto.Non c’è oggetto che non glielo rifletta, il naufragio: è la suavita stessa, da capo a fondo […]Ecco come dal poeta è colta oggi la parola, una parola inistato di crisi. Ecco un primo perché la sua poesia san-guina, è come uno schianto di nervi e delle ossa che aprail volo a fiori di fuoco, a cruda lucidità che per vertigine fac-cia salire l’espressione all’infinito distacco del sogno.Ecco perché si muove la sua parola dalla necessità distrappare la maschera al reale, di restituire dignità alla na-tura, di riconferire alla natura la tragica maestà.

Pause del silenzio (1917)Gian Francesco Malipiero

Ragioni d’una poesia - Giuseppe Ungaretti[…] Una parola che tenda a risuonare di silenzio nel segretodell’anima […] che si protende per tornare a meravigliarsidella sua originaria purezza. […]Soltanto la poesia – l’ho imparato terribilmente, lo so – lapoesia sola può recuperare l’uomo, persino quando ogniocchio s’accorge, per l’accumularsi delle disgrazie, che lanatura domina la ragione e che l’uomo è molto meno re-golato dalla propria opera che non sia alla mercé dell’Ele-mento. […]Certo, la vera poesia si presenta innanzi tutto a noi nellasua segretezza. È sempre accaduto così. Più giungiamo atrasferire la nostra emozione e la novità delle nostre visioninei vocaboli, e più i vocaboli giungono a velarsi d’una

musica che sarà la prima rivelazione della loro profonditàpoetica oltre ogni limite di significato. […]

Commiato - Giuseppe UngarettiGentile / Ettore Serra / poesia è il mondo l’umanità / la propria vitafioriti dalla parola / la limpida meravigliadi un delirante fermento / Quando trovoin questo mio silenzio / una parolascavata è nella mia vita / come un abisso

Natale (da L’Allegria - Naufragi) - Giuseppe UngarettiNapoli il 26 dicembre 1916Musica di Fabrizio Spada (1914-2004)

Non ho voglia / di tuffarmiin un gomitolo / di strade

Ho tanta / stanchezza / sulle spalle

Lasciatemi così / come una / cosa / posatain un / angolo / e dimenticata

Qui / non si sente / altro / che il caldo buono

Sto / con le quattro / capriole / di fumo / del focolare

Note a L’Allegria a cura di:Giuseppe Ungaretti e Ariodante MarianniIl primitivo titolo […] era Allegria di Naufragi. Strano se tuttonon fosse naufragio, se tutto non fosse travolto, soffocato,consumato dal tempo. Esultanza che l’attimo, avvenendo,dà perché fuggitivo, attimo che soltanto amore può strap-pare al tempo, l’amore più forte che non possa essere lamorte. È il punto dal quale scatta quell’esultanza d’un at-timo, quell’allegria che, quale fonte, non avrà mai se non ilsentimento della presenza della morte da scongiurare.[…] L’Allegria di Naufragi è la presa di coscienza di sé,

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[…] volontà di vivere nonostante tutto, stringendo i pugni,nonostante il tempo, nonostante la morte. […]

Primo amore (da Sentimento del tempo - Leggende)Giuseppe UngarettiMusica di Andreina Costantini (1963)

Era una notte urbana,Rosea e sulfurea era la poca luceDove, come da un muoversi dell’ombra,Pareva salisse la forma.

Era una notte afosaQuando improvvise vidi zanne violaIn un’ascella che fingeva pace.

Da quella notte nuova ed infeliceE dal fondo del mio sangue straniatoSchiavo loro mi fecero segreti.

Note a Sentimento del Tempo a cura di:Giuseppe Ungaretti e Ariodante MarianniIl Sentimento è […] la clausura dell’uomo, [dell’]uomo ch’iosono, prigioniero della propria libertà, poiché come ognialtro essere vivente colpito dall’espiazione d’un’oscuracolpa, non ha potuto non fare sorgere la presenza d’unsogno d’innocenza. Di innocenza preadamitica, quelladell’universo prima dell’uomo. Sogno dal quale non si saquale altro battesimo potrebbe riscattarci, togliendoci didosso la persecuzione della memoria.

In Galleria (da L’Allegria - Ultime) - Giuseppe UngarettiMusica di Andreina Costantini

Un occhio di stelle / ci spia da quello stagnoe filtra la sua benedizione ghiacciatasu quest’acquario / di sonnambula noia

Premessa di Giuseppe Ungaretti all’edizione pubblicataa Milano da Giulio Preda nel 1931 Il Porto Sepolto [...] è un diario, [...] una sua bella biografia.Le sue poesie rappresentano dunque i suoi tormenti for-mali, ma vorrebbe si riconoscesse una buona volta che laforma lo tormenta solo perché la esige aderente alle varia-zioni del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto comeartista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezioneraggiunta come uomo. […] Senza mai negare le necessitàuniversali della poesia, ha sempre pensato che, per la-sciarsi immaginare, l’universale deve attraverso un senti-mento storico, accordarsi colla voce singolare del poeta.[…]

Silenzio (da L’Allegria - Porto sepolto)Giuseppe UngarettiMariano il 27 giugno 1916Musica di Andreina Costantini

Conosco una città / che ogni giorno s’empie di solee tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio / delle cicale

Dal bastimento / verniciato di bianco / ho vistola mia città sparire / lasciando / un poco / un abbraccio di lumi nell’aria torbida / sospesi

Note a L’Allegria a cura di:Giuseppe Ungaretti e Ariodante Marianni[…] Ero in presenza della morte, in presenza della natura,di una natura che imparavo a conoscere in modo nuovo,in modo terribile. Dal momento che arrivo ad essere unuomo che fa la guerra, non è l’idea di uccidere o di essereucciso che mi tormenta: ero un uomo che non voleva altroper sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che erarappresentato dalla morte, non dal pericolo, che era rap-

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presentato da quella tragedia che portava l’uomo a incon-trarsi nel massacro. Nella mia poesia non c’è traccia d’odioper il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienzadella condizione umana, della fraternità degli uomini nellasofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione,[…] quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale,dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimitàe dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamonella contraddizione. […]Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono,anzi, un uomo della pace. Non l’amavo neanche allora, mapareva che la guerra s’imponesse per eliminare finalmentela guerra. Erano bubbole, ma gli uomini a volte s’illudonoe si mettono in fila dietro le bubbole […]

Lapides II per voce e due percussionisti (2014)Musiche di Nicola Evangelisti (1964), ispirate a:Sono una creatura (da L’Allegria - Il Porto Sepolto)Giuseppe UngarettiValloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

Come questa pietra /del S. Michelecosì fredda / così duracosì prosciugata / così refrattariacosì totalmente / disanimata

Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede

La morte / si sconta / vivendo

Note a Lapides II a cura di: Nicola EvangelistiLapides (in latino “pietre”) è stato scritto originariamenteper voce femminile e flauto Paetzold Contrabbasso in FA,un flauto dolce di ideazione moderna, in legno, ad ampiasezione quadrata e con un registro assai grave. Il timbromolto particolare di questo strumento ha portato natural-mente alla versione preparata per questo concerto in cui il

flauto viene sostituito, o meglio completamente trasfor-mato in strumenti a percussione, che con la loro ricchezzatimbrica e l’ampiezza della dinamica amplificano ulterior-mente il tessuto musicale.La composizione è scritta ispirandosi liberamente al testodi “Sono una creatura” tratta dalla raccolta “Il porto se-polto” di Giuseppe Ungaretti, lirica scritta durante laGrande Guerra quando il poeta si trovava al fronte; la liricasi basa essenzialmente sulla metafora secondo cui la pie-tra carsica della montagna in cui si svolge il conflitto è pa-ragonata alla condizione dell’uomo, alla sua anima, al suopianto per la desolazione che lo circonda, per la totale di-sumanizzazione della guerra. La musica tende ad interpre-tare e amplificare ogni verso, anzi ogni singola parola deltesto poetico creando una tessitura continua attorno adesso e cercando di cogliere e di trasformare in vibrazionemusicale ogni immagine, seguendo l’intensa e vibrante in-terpretazione che Ungaretti stesso ha fissato in una pre-ziosa registrazione storica pervenuta fino a noi.

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Giovane soldato rodigino in posa nello studio fotografico Bari.

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Il cortile del seminario vescovile di Rovigo adibito a provvisorio ospedale militare

L'istituto Roccati trasformato in ospedale militare nel 1917

Reparto militare in ritirata transita per Arqua Polesine dopo Caporetto Soldati e giovani simpatizzanti davanti alla Gran Guardiatrasformata in casa del soldato

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ProgrammaMUSICA E PITTURA

DOMENICA 9 NOVEMBRE - ORE 11.00Il Seicento in Musica: cantate, scherzi, e duetti dei compositori

che hanno reso Venezia la musicalissima patria del canto barocco italiano

Soprano Chiara Ardolino - Soprano Emma De PoliSoprano Matsuo Yuko - Soprano Vittoria Giacobazzi

Clavicembalo Keiko Imai - Contrabbasso Luca Ballotta

DOMENICA 16 NOVEMBRE - ORE 11.00Humane Passioni et echi instrumentali

Baritono Francesco TosoFlauto traverso Marco VenturuzzoClavicembalo Giuseppe Fagnocchi

DOMENICA 23 NOVEMBRE - ORE 11.00Danze da suonare

Violino Claudia LapollaChitarra Mauro Lombardo

DOMENICA 30 NOVEMBRE - ORE 11.00Antonio Vivaldi Le Quattro Stagioni

Orchestra GAV - Giovani Archi Veneti

Violino principale Alberto Stiffoni (Primavera) - Mitja Briscik (Estate)

Valeria Zanella (Autunno) - Leonardo Giovine (Inverno)

Violoncello principaleRiccardo Giovine - Marta Storer

Direttore Lucia Visentin

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LA PITTURA IN VENETO: IL SEICENTO

Il Seicento pittorico veneziano propriamente detto iniziadopo gli anni Venti, per opera del ritorno a Venezia di Sa-raceni e di Padovanino, ma indubbiamente anche l’apportodei pittori ‘foresti’ Fetti, Liss, Renieri e Strozzi fu fondamen-tale per il rinnovamento del linguaggio artistico, non soloper l’introduzione di novità ma soprattutto perché permisela riscoperta dei valori fondanti della tradizione pittorica la-gunare cinquecentesca. La generazione degli artisti veneti, nati nei primi decennidel secolo, intese pienamente la lezione apportata dai fo-resti: cioè fu in grado di mettere a frutto quel lavoro di pre-zioso rinnovamento della tradizione pittorica lagunarefondata sui valori di colore e di atmosfera, liberandola dalleforme tardomanieriste, per darne una interpretazione inno-vativa ed originale. E’ la generazione dei pittori veneti che annovera artisti diprima grandezza, come i veneziani Pietro della Vecchia eGiulio Carpioni, i padovani Gerolamo Forabosco e PietroLiberi, il vicentino Francesco Maffei. Tali pittori, per un cin-quantennio almeno, cioè tra il 1630 ed il 1680, ottenneroprestigiose commissioni a Venezia, a Padova e a Vicenza;alcuni di essi, come Pietro Liberi, si distinsero anche neipaesi di lingua tedesca. Si potrebbe addirittura sostenere che l’affermarsi di unacultura artistica veneta pienamente ‘autonoma’, facilitò l’in-gresso di nuove personalità pittoriche provenienti dalla To-scana, dall’Emilia e dalla Lombardia; la rinnovata pitturabarocca veneta creò inoltre le condizioni per il fiorire di unmercato artistico rinnovato e moderno. Gli artisti infattidalla metà del Seicento, non ricevettero più solo pubblichecommittenze civili e religiose, ma anche importanti incari-chi da privati, costituiti da una nuova classe sociale di ric-chi mercanti che avevano ormai acquisito titoli nobiliari esuntuose dimore. Esempio di pittore che completa la schiera degli artisti ‘rin-novati e barocchi’, operanti a Venezia dopo la metà del Sei

cento, è proprio un ‘foresto’: si tratta del fiorentino Seba-stiano Mazzoni, artista che unì l’estro inventivo di cui siera nutrito in terra toscana al gusto per la tradizione pitto-rica veneta. Mazzoni, con la sua bizzarra visione barocca,si ambientò genialmente a Venezia ricevendo importantiincarichi artistici.Dopo gli anni Sessanta del Seicento, tale generazione diartisti veneti, pare essere contrastata dalla nuova schieradei pittori ‘tenebrosi’ e della ‘realtà’; un movimento questo,destinato ben presto ad assumere il predominio nel campodella cultura pittorica non solo lagunare ma in tutto il Ve-neto, tanto da diventare la corrente di gusto predominantetra il Settimo e l’Ottavo decennio del Seicento. Per comprendere il mutamento di gusto che si affermònella pittura veneziana del sesto decennio del Seicento,con il diffondersi della poetica dei tenebrosi, occorre ricor-dare l’arrivo a Venezia di Luca Giordano, poco dopo il1650, e in seguito quello di Giovan Battista Langetti, artistagenovese che si stabilì in laguna, attirando nel proprio en-tourage altri artisti, tra i quali citiamo il pittore di origine ba-varese Johann Carl Loth, giunto a Venezia intorno al 1663. E’ sintomatico dall’altra parte che anche Monsù Bernardo,un danese di ascendenza tedesca di nome Eberhard Keil,soggiorni a Venezia tra il 1651 ed il 1654 prima di trasferirsia Roma; egli portò a Venezia un’arte fondata su una caricadi naturalismo realista secondo la maniera pittorica popo-laresca nordica. Keil era stato infatti allievo di Rembrandtad Amsterdam una decina di anni prima del suo arrivo inItalia. Non estraneo alla lezione del maestro danese è Pie-tro Bellotti da Volciano, che a Venezia si contraddistingueper la carica naturalistica ed il vivido realismo delle sueopere, distinguendosi così dalla corrente dei tenebrosi. In ogni caso dopo il 1650 la pittura veneziana, si spogliadelle sue qualità coloristiche, assumendo cupe atmosferechiaroscurali e preferendo opere di intensa drammaticità odal linguaggio volutamente realistico.

Alessia Vedeva

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CANONI E PASSIONIRitratti musicali del Barocco Veneto

Potremmo identificare come barocco musicale venetol’età compresa tra Claudio Monteverdi (1567 - 1643) e An-tonio Vivaldi (1678 - 1741). Ciò non deve tuttavia preclu-dere e dimenticare né da un lato il più antico Rinascimentonel quale interagiscono polifonia fiamminga con la pre-senza a San Marco di Adrian Willaert, sistematica razio-nalizzazione della musica basata sui rapporti diproporzione tra i suoni con Gioseffo Zarlino da Chioggia,musica strumentale con Andrea e Giovanni Gabrieli e l’or-ganista Claudio Merulo, né dall’altro il proseguimento dellaproduzione nel corso del successivo Settecento con Bal-dassarre Galuppi e Giuseppe Tartini per citare almeno unpaio di nomi fondamentali. Vogliamo inoltre menzionare inapertura di testo la meritoria opera di recupero di questaetà straordinariamente florida e dalle molteplici sfaccetta-ture svolta dal grande maestro veneziano della Genera-zione dell’Ottanta, Gian Francesco Malipiero (1882 -1973), instancabile ordinatore e trascrittore di Monteverdie Vivaldi, e autore di numerosi saggi tra cui l’ampio Armo-nioso labirinto al quale fanno da corollario illuminanti scrittipiù ridotti e specifici, grazie ai quali egli ci conduce dallavisione musicale dell’umanesimo fino a colui che portònella Venezia di inizio Seicento il melodramma, ovvero ildivino Claudio, dipanando un prezioso Filo di Arianna, se-condo il titolo di una ulteriore raccolta di studi nella qualeil Nostro, passando ovviamente attraverso il Prete rosso,si dirige fino ai suoi contemporanei anch’essi fautori delrisveglio della musica antica come Alfredo Casella e IgorStravinsky.Perno del fondamentale passaggio dall’epopea polifonicaalla monodia accompagnata, dalla elaborazione delle pro-porzioni sonore al loro incarnarsi in molteplici passioniumane è Claudio Monteverdi. Si sviluppa allora – grazieall’avvento della “seconda pratica” compositiva compren-dente molteplici conseguenze quali l’introduzione del

basso continuo, l’impiego di una voce solista, il passaggiodalla modalità alla tonalità, il “concerto” tra voci e stru-menti, ma soprattutto l’attenzione per il testo che vieneesaltato da una “concitata” molteplicità di immagini mu-sicali come documentano in primo luogo i Madrigali guer-rieri et amorosi – una straordinaria galleria ritrattisticaall’insegna della meraviglia e dell’enfasi comprendente:personaggi ed eventi mitologici ricavati soprattutto daOvidio, storie e favole di ambientazione pastorale, soggettimisti di personaggi divini e umani, relativi molto spessoalle origini di Roma di cui Venezia sarebbe la reincarna-zione moderna, con possibilità di sviluppi magico-fanta-stici e di amorosi convegni coinvolgenti celebri eroi giàosannati in letteratura, oltre a una innumerevole teoria dipersonaggi comici.Essi portano con sé un repertorio di rappresentazioni degliaffetti ben individuabili in nuovi canoni e tali da esercitaresul pubblico, di un teatro che diviene a pagamento e per-tanto fruibile a più ampie fasce di persone, emozione,commozione e compassione con quanto accade sulpalco, sia esso azione drammatica, danza o musica stru-mentale. Non è infatti solamente la musica vocale, oratorio o melo-dramma, ad essere luogo di passioni e affetti umani: al-trettanto può dirsi per il repertorio strumentale nel qualericorrono copiosamente tempi di danza, quindi immaginidi scene di vita reale. Ne sono prova le sonate in stile da camera, vere e propriesuites con cataloghi di danze provenienti da tutta Europadivenenti nel corso del Settecento piuttosto stilizzate – sianelle forme sia nella sequenza di base costituita da Alle-manda - Corrente - Sarabanda - Giga – in funzione di unaesecuzione essenzialmente strumentale e dotata di unsempre maggior virtuosismo e in nome di una internazio-nale estetica razionalizzante, mentre in precedenza, nelSeicento, un più ampio repertorio di danze di diverse ori-gini e più saldamente legate ai contesti e colori originari –dalla moresca di chiara derivazione araba alla spagnola

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canarie, dall’italiana gagliarda alla francese gavotta– aveva trovato ampio spazio anche in spettacolari varia-zioni e improvvisazioni a fianco di pagine in eccentricostile fantastico.Nella fioritura della musica strumentale un vero e proprioprotagonista si afferma sempre di più: è il violino, principedi numerose raccolte di sonate e anche di concerti solistici– una forma che trova il proprio artefice in Vivaldi al qualespetta anche l’intuizione di fondare un nuovo ensembleflessibile e modulabile di strumenti diversi, una lezione dacui attingerà con maestria Johann Sebastian Bach per ilcorpus dei suoi concerti brandeburghesi, un vero e propriocast multifonico ove spicca in particolar modo anche ilflauto, a sua volta eletto per la prima volta nella storia asolista nei concerti op. 10 (1728), tre dei quali “a pro-gramma”. Tutto ciò rivela un nuovo “ritratto” di musicista,quella del professionista specializzato, ma anche la capa-cità potenziale dello strumento di “cantare”, di dialogarecon i suoi simili, di mostrare tutto se stesso in un reperto-rio di figure fantastiche avulse da un rigido controllo me-trico, di dipingere quindi abilità e sentimenti umani, comeaveva già intuito e proclamato Giovan Battista Doni un se-colo prima:«Fra tutti gl’Instrumenti musicali maravigliosa veramenteè la natura del violino: poiché niuno ve n’ha che meglioesprima la voce humana, non solo nel canto (nel che co-munica pure con alcuni strumenti da fiato) ma nella favellaistessa: la quale imita così bene in quei velocissimi ac-centi, quando da perita mano vien maneggiato ch’è cosadegna di stupore: & questa è sua particolarissima dote».È riguardo a ciò sintomatico che il bresciano (ma operantea Venezia) Biagio Marini avesse già denominato la sua rac-colta strumentale del 1617 come Affetti musicali, alla ri-cerca di uno «statuto logico e retorico di questo [nuovo]repertorio privo del supporto di un testo poetico, statutoatto a fornire una gamma di procedimenti sintattici ingrado di articolarne ‘sensatamente’ il vocabolario musi-cale e di dotare di autonomia semantica e di originale ca-

pacità di seduzione il discorso sonoro: una sorta di meta-linguaggio che, per la natura foneticamente chiaroscuralee contrastata che lo contraddistingue, riesce a incideresull’attenzione del fruitore e a soddisfare le aspettativedelle sue capacità percettive» (Franco Piperno). L’abilità del compositore e dell’esecutore consiste nell’al-ternare elementi ricorrenti tali da essere facilmente inseritinella memoria, con varianti compositive e capacità im-provvisative del solista, ma anche del continuista, al finedi mantenere un elevato grado di tensione e di concentra-zione nell’ascoltatore. Un abile “costruttore” in tale sensoè, già agli inizi del XVII secolo, Dario Castello i cui libri disonate compaiono a Venezia nel 1621 e nel 1629. Dai pro-cedimenti compositivi di Castello trarranno spunto i mae-stri delle generazioni successive tra i quali ricordiamo, perlimitarci all’ambiente veneto, Giovanni Legrenzi le cuiopere strumentali si arricchiscono di elementi contrappun-tistici, di sovrapposizioni e contrasti ritmici. Il ritratto tendea essere proiettato in più dimensioni, non soltanto linearema spaziale, proprio come in una straordinaria prospettivapittorica. La musica affascina non più solamente per labellezza all’ascolto dei contrastanti caratteri umani, maanche a livello visivo, di lettura della partitura la quale tra-smette con immediatezza al lettore molteplici informazioniottiche, figure delle innumerevoli sfaccettature del mondonaturale e antropico. La partitura diviene quindi il vero eproprio teatro delle passioni umane con la sua proposi-zione di danze da tutta Europa, i suoi gesti retorici com-presi nei disegni melodici, ritmici, contrappuntistici maanche nelle diversità di articolazione dell’arco o della lin-gua per i fiati, una complessa e sontuosa festa baroccache ritorna piacevolmente a ogni ascolto, che “ci parla”,nelle arie vocali ma anche nei flussi delle melodie strumen-tali, i cui fantastici arabeschi sono incastonati a rigoroseformule strutturali che si rifanno spesso all’ordo rethoricodel mondo classico.Nel primo Settecento si afferma, a iniziare dalla Francia, ilprincipio in base al quale la musica ha il compito di “di-

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pingere” sia gli affetti umani sia i suoni e i rumori della na-tura. Il nuovo secolo acquista pertanto distanza sempremaggiore rispetto alla seicentesca epopea delle passioni,assumendo come guida il nuovo concetto di imitazione,come commenta Massimo Bruni: «Si determina così una contrapposizione fra la montever-diana imitazione degli affetti e la vivaldiana imitazione dellanatura la quale ci porta nel vivo della questione riguar-dante il rapporto tra l’elemento verbale e l’elemento mu-sicale nell’unità espressiva del canto, particolarmente delcanto destinato alla scena. […] L’ideale monteverdiano pone a elemento vitale del cantorappresentativo i moti della passione, della passione cheun personaggio riversa su di un altro, non importa se pre-sente o assente, se concreto o astratto; donde la ten-denza di esso all’interiezione, all’apostrofe. Meno portato,invece, a riversare al di fuori la propria passione, il perso-naggio di Vivaldi è piuttosto inclinato a farsi lo “storico”del proprio stato emotivo, spesso ponendolo sotto ilsegno di richiamo e un’immagine tratta dal mondo dellanatura». Riteniamo interessante confermare tale passaggio ancheattraverso le parole di Gian Francesco Malipiero:«L’apparizione del basso continuo nei Madrigali di Mon-teverdi segna la decadenza della polifonia vocale che nonriesce più a reggersi senza l’appoggio degli istrumenti odel clavicembalo che completa, improvvisando, gli ac-cordi. [Ciò] altro non è che un melodramma non sceneg-giato e che insieme ad alcuni madrigali del V libro,specialmente con l’aggiunta del basso da realizzare, pre-parano l’Orfeo e l’Arianna, cioè il melodramma. […] In Vivaldi i titoli Concerto delle stagioni, La notte, Il riposo emolti altri ancora, non sottintendono un programma, macorrispondono piuttosto a una visione squisitamente poe-tica, talvolta pittorica, non pittoresca. Il prete rosso vive,come tutti gli innovatori, fuori del tempo; ascoltando peresempio il concerto La notte si sente che è notte pro-fonda, impenetrabile. Non si può analizzare Vivaldi, non si

deve rompere l’incanto, [ma] trattenere il respiro, ascoltarereligiosamente si deve». Teorico in Italia di tale visione estetica è l’abate veneto An-tonio Conti con il suo Trattato dell’imitazione (1756, mafrutto di decenni di riflessioni e viaggi musicali) nel qualetra l’altro afferma:«Non basta che la musica svegli le passioni; conviene an-cora che risvegli l’idee, poiché l’anima non ama menod’appassionarsi che di meditare. Il mormorio dell’acque,il fracasso delle tempeste, il muggito de’ terremoti, il fragorde’ tuoni e de’ fulmini, il sibilo delle foglie, il fischio de’venti, sono varie spezie di strepito, che feriscono diversa-mente il timpano dell’orecchia. Se dunque si trovi la pro-porzione de’ loro suoni, e si dia allo stromento musicale;ogni volta che questo suoni, si crederà d’udir la cosa me-desima imitata […] ma nulla ci fa più piacere, che la voceumana, che più di tutte le altre è conforme al moto del no-stro sangue. […] Indi vediamo per esperienza che i con-certi ove non si fa che strepitare, e nulla s’imita, cipiacciono meno, che quelli ove, qualche cosa imitandosi,si dà luogo al ragionamento». La musica strumentale, rispetto alla vocale, presenta unasempre maggiore stilizzazione delle passioni umane conil vantaggio, nell’europea visione di pensiero settecente-sca e non dirompendo direttamente dal corpo umano, diriprodurre «l’oggetto imitato egualmente in tutti i tempi, intutti i paesi, ed appresso tutte le nazioni». In fondo cosìcome la stessa idea del melodramma era scaturita dal-l’annullamento di alcune voci dell’ordito polifonico a favoredi un primo intervento strumentale, quello del basso con-tinuo – che caratterizza pressoché l’intero panorama delciclo qui presentato – ora non solamente al basso, maanche di concerto con la voce si crea un altro elemento“perno” dato dallo strumento “obbligato”. In tale suggestiva forma di equilibrio il testo proposto dallavoce diviene pretesto del linguaggio simbolico assunto informa assoluta dallo strumento il quale si emancipa e puòdar “legittimamente” adito all’autonomia e compiutezza

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significante di un qualunque organico strumentale, dall’or-chestra ad un flauto o un violino solo. Per questo – sug-gerisce poeticamente Malipiero – Vivaldi «va ascoltato congli occhi chiusi e la mente aperta. […] Certo Vivaldi è unprimitivo, una forza primordiale. Lo immaginiamo conl’orecchio contro il violino per meglio ascoltarsi, per lagioia di vibrare col suo istrumento, noncurante di ciò chela musica fu prima di lui, e sarà dopo la sua scomparsa».Ma, a differenza di quanto sopra evidenziato a propositodi Monteverdi e della stagione seicentesca, in Vivaldi tro-viamo in prevalenza: rappresentazioni di affetti, pittura so-nora di quadri paesaggistici e fenomeni naturali, allusioneonomatopeica al suono di strumenti e canto di uccelli,rappresentazione di contesti geografici, storici e mitologicidiversissimi tra loro e di derivazione persino extraeuropea. Il titolo apposto sovente a sonate e concerti, singoli o inraccolte, individualizza il corpus o la singola opera rispettoai canoni topici di una qualunque altra composizione insiffatta forma. Significativa a tale proposito la raccoltadelle sei sonate per flauto e basso Il pastor fido, opera nonsua nonostante l’attribuzione rimasta per diversi decenniproprio grazie agli stereotipati moduli “vivaldiani” in essapresenti, frammenti e incisi tra i più tipici della sua scrit-tura, incastonati in forme a volte decisamente felici e diconseguenza ingannevoli, ma sovente in strutture “so-spette” per una loro intrinseca debolezza costruttiva cheda modello innovatore e provocatore lo degradavano,senza nulla togliere alla piacevolezza dell’ascolto, a reper-torio epigono e consueto. Tale titolo tradisce la parallela attività di Vivaldi quale pro-tagonista del teatro musicale e la sua volontà di recitare asoggetto: gli strumenti si cimentano ad evocare il teatro,mentre questo suggerisce ad essi un ruolo nuovo di uni-versalizzare e far memoria degli affetti singoli in ogni storiarappresentata. Così commenta efficacemente Cesare Fer-tonani, uno dei più illustri studiosi del Prete rosso: «A contatto con i testi delle arie, l’irrequieta fantasia vival-diana si scopre immaginifica e pittorica, abile nel piegare

con stupefacente efficacia l’astratto gioco sonoro e i suoielementi all’affresco, al ritratto, al cammeo sino alla minia-tura. Nei melodrammi, nelle serenate, nelle cantate e inmolti degli stessi lavori sacri, le immagini naturalisticheforniscono una dinamica visiva alla formazione delle ideemusicali. La similitudine, figura basilare dell’immaginariobarocco e settecentesco che trionfa nelle arie di compa-razione, è catalizzatrice dell’invenzione vivaldiana, agiscecioè su di essa come propellente e non come ostacolo». Un’opera come Arsilda, Regina di Ponto (1716) privilegiacon grande decisione il correlativo mimetico e naturali-stico, specie nel secondo atto, con una dose di originalitàrispetto ai suoi contemporanei non tanto a livello di figurequanto di sintassi e precisione del suo utilizzo. Ciò stagliala figura di Antonio Vivaldi sopra le altre in un momento incui spesso più autori si spingevano a ripercorrere gli stessitemi, sia a livello di storie umane sia a livello d’immagininaturali. Il tema delle stagioni, ad esempio, era stato am-piamente frequentato dai compositori del Seicento, perproseguire poi dopo la fine della grande epopea barocca;esso è quindi norma, ma in Vivaldi diviene unico, l’arti-giano si trasforma in artista e il tono di prosa si eleva apoesia. Così prosegue ancora una volta Fertonani:«Nella cultura razionalistica del primo Settecento, la naturaera vista in una prospettiva umanistica e antropocentrica;Vivaldi invece scorge nelle Stagioni un’umanità sprofon-data nella realtà naturale, e la cui vita è scandita da unritmo circolare e perpetuo. Per questo non si può asso-ciare il Prete rosso alla tradizione pittorica veneta (Carpac-cio, Giorgione, Veronese, ecc.) […] che culmina nelvedutismo settecentesco di Canaletto, Guardi e Bellotto.Panica e omnicomprensiva, la visione vivaldiana non in-dugia, con manierismo arcadico, alla sola elegia; essa ab-braccia il flusso della vita nella sua pienezza, anchedolorosa. … Opera emblematica dell’arte vivaldiana esigla della sua metamorfica vitalità, Le stagioni sono purel’infungibile compendio del vocabolario figurativo decan-tato dal Prete rosso».

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Tale vocabolario si svela essotericamente grazie alla ste-sura dei quattro sonetti (scritti probabilmente dallo stessoVivaldi) che costituiscono il dettagliato programma che sidipana lungo il decorso narrativo dei quattro concerti, sot-toponendolo a “varianti” strutturali rispetto alla forma con-venzionale del concerto solistico italiano pur se essa fu dipaternità vivaldiana. Se i testi poetici confermano sempreconvincenti le immagini musicali che ascoltiamo nel lorosusseguirsi, tuttavia un sottile gioco esoterico si cela a chinon può conoscere l’opera omnia del Nostro. Ci limitiamoqui a un solo esempio: il celeberrimo e baldanzoso incipitdella Primavera simboleggia nel Giustino «la rigenerazionedel protagonista addormentato, il risveglio metaforico e larinascita di un bifolco destinato alla gloria politica e mili-tare», ma ricorre anche nel melodramma eroico-pastoraleDorilla in Tempe. Insomma, quaerendo invenietis una gal-leria di ritratti umani e naturali, di affetti ed elementi sim-bolici in una sorprendente unica rete le cui maglierimandano alle numerosissime composizioni vivaldianecon esecuzioni storiche spesso arricchite dalla magnifi-cenza scenica, opera di pittori quali Bernardo Canal “e isuoi figli” – quindi, presumibilmente, lo stesso Canaletto,che contrasta con la leggera ma cangiante filigrana musi-cale data dal ricorso a molteplici strumenti. In Arsilda re-gina di Ponto, ad esempio, oltre agli archi checontribuiscono a dare colore e ambientazione appaionocoppie di trombe, corni e flauti, oltre ad un paio di oboiusati però solamente come raddoppio dei violini. Previstianche l’uso di due clavicembali, di un Violoncello a Soloche si emancipa nel corso di un’aria dal ruolo di continuoe, al contrario, di una realizzazione già creata per un cem-balo solo ribadita dalla precisazione senza bassi d’arco.Nell’Orlando (opera rappresentata al teatro di Sant’Angeloa Venezia nel 1727), oggi nota come Orlando furioso dal-l’aggiunta dell’aggettivo da parte di Claudio Scimone perconferire maggiore vicinanza al poema ariostesco, dominauna pagina di stupefacente arditismo strumentale asse-gnata al Flauto Traversiere nell’aria Sol da te mio dolce

amore, che «costituisce una fondamentale testimonianzadel livello d’eccellenza tecnica raggiunto in Italia nellametà degli anni ’20, testimonianza che lascia ben sup-porre quale diffusione e frequentazione potesse aver vistoquesto strumento prima di produrre frutti così alti. Te-nendo debito che questa rischiosissima parte veniva ese-guita ogni sera in teatro, alla mercé d’un pubblicopotenzialmente crudele, bisogna concludere che il flauti-sta doveva essere un virtuoso di livello eccezionale» (Fe-derico Maria Sardelli). Un interesse, questo per il flauto nelVeneto, confermato anche dalle dodici Sonate op. 2 delnobile veneziano Benedetto Marcello e nella secondametà del secolo dal Saggio per ben sonare il flautotraversodel vicentino Antonio Lorenzoni, e dai contatti di Vivaldicon grandi flautisti internazionali. A prova di ciò citiamo il“solo” nella Cantata All’ombra di sospetto RV 678, sicu-ramente destinato ad essere eseguito da Pierre-GabrielBuffardin e arricchito da Vivaldi con meticolosa cura aiparticolari ornamentali. Qui – continua Sardelli – egli «faun uso doviziosissimo di segni articolatori e ornamentali,tipico del tardo periodo della sua produzione flautistica;appoggiature d’ogni tipo, tierces coulées, trilli e legaturepunteggiano tutta la prima aria; ma più in generale terzine,ritmi lombardi e pointées cooperano a definire uno stilepiuttosto avanzato». La partitura quindi ancora una voltaintesa come ricca tavolozza sulla quale segni anche gra-ficamente suggestivi tracciano la mappa di un ritratto alquale lo strumentista, o il cantante, sono chiamati a ridarvita e immagine nel corso di ogni esecuzione. Concludiamo pertanto richiamando il saggio monito diMalipiero: «Vivaldi va ascoltato con gli occhi chiusi e la menteaperta». E forse in questo modo davvero potranno comparire nelnostro immaginario interiore straordinarie pitture sonore“inimmaginabili” altrimenti.

Giuseppe Fagnocchi

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Claudio Monteverdi Antonio Vivaldi

Carlo Goldoni Giovanni Legrenzi

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DOMENICA 9 NOVEMBRE

Il Seicento in Musica: cantate, scherzi, e duetti dei compositori che hanno reso

Venezia la musicalissima patria del canto barocco italiano

Soprano Chiara Ardolino - Soprano Emma De PoliSoprano Matsuo Yuko - Soprano Vittoria Giacobazzi

Clavicembalo Keiko Imai - Contrabbasso Luca Ballotta

Domenico Gabrielli (1651 - 1690)Stanca di più soffrirti… Vanne, vanne

Recitativo Stanca di più soffrirti, crudel Fileno, ti lascio. A te, belvainumana, consacro un cor di fiero sdegno acceso; a te, chenon curasti mirare un dì pietosa fra deliri d’amore un’almaesangue. Or per saziarti, infido, se fu scherzo il mio duol,vano il pregarti, quanto t’amai, tanto saprò sprezzarti.AriaVanne, vanne involati da miei lumi, fiero barbaro d’empietà. Tiranno orribile, mostro invincibile di crudeltà.

Antonio Vivaldi (1678 - 1741)da Arsilda, Regina di Ponto (1716) - RV 700 Libretto di Domenico Lalli

Aria Un certo non so cheMi giunge e passa il cor, / e pur dolor non è.Un certo non so che, / non so che mi passa il cor, e pur dolor non è / Se questo fosse amor?

Nel suo vorace ardor, / nel suo vorace ardor già posi incauta, posi il piè!

Baldassarre Galuppi (1706 - 1785)Caro son tua cosìCaro son tua così / Che per virtù d’amoreI moti del tuo cor risento anch’ioMi dolgo al tuo dolor / Gioisco al tuo gioirEd ogni tuo desir diventa il mio.

Antonio Vivaldida Ercole sul Termodonte - RV 710Libretto di Antonio Salvi

Aria di Alceste Io sembro appunto quell’augellettoIo sembro appunto quell’augelletto Che alfin scampò da quella rete che ritrovò ascosa tra le frondeChe ben se sciolto solo soletto volando vaPur timido non sa dove rivolga il pièSì del passato rischio si confonde.

Giovanni Legrenzi (1626 - 1690)Mi nudrite di speranzaMi nudrite di speranza, / Luci belle vaghe stelle.Ma d’amor comete aurate / Liberate, liberate questo corNon spera più, non spera più.

Antonio Vivaldidalla Cantata per voce e continuo - RV 672

Filli, di gioia vuoi farmi morirFilli, di gioia vuoi farmi morir et io di pena mi sento languir.Filli, di gioia vuoi farmi languiret io di pena mi sento morir.Donar mi vuoi un ben che non puoie ch’io non posso già mai conseguir.

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Ah, mia bella pietosa et dispietata,a che offerirmi in gentil foglio espressoil generoso don di mille baci,se il mio destino istesso appena vuol ch’io miri il tuo bel volto?Tu mi prometto il bened ogni ben m’è tolto,o per maggior mia dogliami fai provar di Tantalo gli affanni,mi mostri le delizie e poi m’inganni.

Non mi curo che sian mille sparsi al vento i baci tuoi:Fosse vero e fosse un solo per sanar l’acerbo duolo!Ma tu darlo a me non puoi.

Giovanni Legrenzida Giustino, melodramma - testi di Nicolò Berengan

Aria di Giustino O ristoro de’ mortaliO ristoro de’ mortalistendi l’ali / dolce sonno vola a me.Lascia ‘l sen di Pasifea, / ch’all’amata, e vaga dèavolgerai ben tosto ‘l piè. /O ristoro de’ mortalistendi l’ali / dolce sonno, e vola a me.

Antonio Vivaldida L’incoronazione di Dario, dramma per musica Libretto di Adriano Morselli

Aria di Alinda Amorosa la mia spemeAmorosa la mia speme,del tuo amore più non temee già certo è il suo gioir.Brilla il cor tutto contentoché sparito è il suo tormentoe mercede ha il suo martir.

Antonio Lotti (1667 - 1740)da Alessandro Severo di Apostolo Zeno

Il mio vezzoso diletto sposoIl mio vezzoso / Diletto sposoMi sia fedele, / E son contenta.Mio sia quel core; / E del nimicoDestin crudele / L’ira, e il furoreNon mi spaventa.

Antonio Vivaldida Andromeda Liberata - RV Anh. 117 Libretto di Vincenzo Cassani

Duetto Andromeda - PerseoA. Sposo amato,P. Cara sposaA. P. In questo amplesso Stringo al petto il mio tesoro.Dal piacere che sento in essoPuoi saper quanto t’adoro.

Antonio Vivaldida La Senna FesteggianteSerenata per tre voci e strumenti - RV 693 Testo di Domenico Lalli

Duetto L’età dell’oro - La VirtùL’età dell’oroIo qui provo sì caro dilettoche mi fa per dolcezza languir.L’alta gioia sì cara ch’ho in pettoe piacer e pur sembra martir.La virtùQui nel seno ho sì tenero affettoche mi fa per contento languir.La dolcezza che m’entra nel pettoL’è un godere che sembra morir.

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Il Barocco Veneto: GIROLAMO FORABOSCO A PADOVA E A VENEZIA (1604/5-1679)

Relatore Alessia Vedova

La personalità artistica di Girolamo Forabosco è un recu-pero della storiografia contemporanea; questo artista in-fatti, celebrato ai suo tempi tanto da essere definito ‘rivaldella natura’, venne completamente dimenticato nell’Otto-cento, come avvenne per gran parte dei pittori suoi con-temporanei.Il Forabosco (detto anche Ferrabosco) nacque probabil-mente a Venezia verso il 1604/1605 e morì a Padova, al-l’età di settantaquattro anni presso la parrocchia diOgnissanti. E’ probabile che l’artista veneziano abbiasvolto il suo apprendistato presso la bottega veneziana diPadovanino, modernizzando in seguito la lezione tardoma-nierista e accademica del maestro grazie ai contatti con ipittori ‘foresti’ Domenico Fetti e Bernardo Strozzi e al suolegame con la scuola bolognese. Il Forabosco non produsse molto, in quanto, come scriveil Da Canal (1732)“era lungo nelle sue opere”, cioè lentonell’esecuzione oltre che meticoloso e diligente “indefessoe assiduo nelle correzioni”; le fonti attestano che questoartista visse quasi sempre a Venezia – dove risulta iscrittoalla fraglia dei pittori dal 1634 al 1639 - ; si assentò dallacittà lagunare raramente per soggiornare a Padova al finedi “liberarsi delle occupazioni della città et attender a’ suoistudi di pittura”, come si ricava dalla documentazione dalui presentata per dimostrare il suo “stato di libertà” a quasisessant’anni, in occasione del suo matrimonio segreto av-venuto a Venezia nel 1664 con una ragazza diciottenne. E’sintomatico che l’attività di questo artista, come di altri ve-neziani a lui contemporanei, venisse ormai a legare e acongiungere le culture artistiche dei due centri veneti in unasorta di sodalizio artistico.

Al 1646 è databile il telero votivo raffigurante “Il salvataggiomiracoloso” realizzato per la chiesa Arcipretale di Mala-mocco: il dipinto è un vero e proprio ‘ritratto di gruppo’ al-l’interno di una scena di genere. La grande tela inscena unepisodio avvenuto certamente in quel tempo: una gondolacoperta, con donne e bambini a bordo, forse per raggiun-gere Malamocco, si era trovata in difficoltà, colta dalla la-guna in tempesta. Il Forabosco ritrae l’istante in cui inaufraghi scendono a terra, mentre imperversa ancora laburrasca e alcune figure sulla riva ringraziano per lo scam-pato pericolo la Vergine, che appare in cielo tra due Santi.Vividissima è l’orchestrazione cromatica della scena, gio-cata su un colore lieve, spumoso, che da sostanza alle fi-gure, ambientandole in una atmosfera aperta ed ariosa cheanticipa gli esiti della pittura del Settecento.La produzione artistica del Forabosco è costituita essen-zialmente di ritratti; si tratta di opere nelle quali la compat-tezza coloristica del maestro Padovanino, sfuma in unacomposizione più leggera e frantumata – ‘di tocco’ comericordano le fonti- con esiti molto vicini ai ritratti di TiberioTinelli. Nonostante molte opere del pittore veneziano man-tengano ancora una impaginazione monumentale di tipocinquecentesco, tributo in particolare alla lezione tiziane-sca, alcune composizioni grazie al tocco pittorico morbidoe sfumato, dimostrano già una fluidità vaporosa e unapomposità tipicamente baroccheggiante. L’artista infattiproprio nella sfarzosa eleganza dei costumi, trae l’occa-sione per fare sfoggio di un pittoricismo sensualmente ba-rocco.Una atmosfera melodrammatica di impostazione emiliana,che è probabile sia derivata al Forabosco dal contatto conil bolognese Guido Cagnacci – a Venezia alla metà del se-colo – è presente in opere quali “Il suicidio di Sofonisba”(Cesena, Pinacoteca Comunale), l’”Angelica e Medoro”(collezione privata) e “Giuseppe e la moglie di Putifarre”(Rovigo, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi); operequeste nelle quali il tema biblico o letterario viene svoltocon accentuata drammaticità e ravvivato da una materia

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pittorica sensuale. In particolare l’episodio biblico del castoGiuseppe è magistralmente inscenato proprio nel contra-sto tra la protervia della donna, che discinta afferra il brac-cio del giovane, e lo smarrimento di questi, che con lamano destra tenta di sciogliersi dalla stretta. La bella ebreaha i capelli bruni, ornati di fiori rossi, mentre le sue carniprocaci affiorano dall’ombra, risaltando anche sul mantellorosso del Giuseppe dai capelli biondi. L’episodio biblico

appare così romanticizzato e sensualizzato, proprio comenel coevo Angelica e Medoro; tanto da ipotizzare che en-trambe le opere risalgano agli anni sessanta del Seicento.Non si conosce molto della fase tarda dell’artista, ma dallefonti si deduce che fu attivo fino agli ultimi anni della suavita poiché risulta che il pittore veneziano Gregorio Lazza-rini nel 1675 lavorava ancora nella sua bottega a Veneziacome apprendista.

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DOMENICA 16 NOVEMBRE

Humane Passioni et echi instrumentali

Baritono Francesco TosoFlauto traverso Marco VenturuzzoClavicembalo Giuseppe Fagnocchi

Benedetto Marcello (1686 - 1739)Sonata in sol maggiore op. 2 n. 5 Largo - Allegro - Adagio - Allegro

Antonio Vivaldi (1678 - 1741)da Arsilda Regina di Ponto - RV 700Libretto di Domenico Lalli

Aria di Cisardo L’esperto nocchieroL’esperto nocchiero / nel mare incostantetra nubi e procelle / non perde la speme,ma tutto il pensiero / volgendo nel portovi giunge a dispetto / del nembo che freme.

Antonio VivaldiSonata in do maggiore, dal Pastor fidoPreludio - Allegro - Sarabanda - Presto

Baldassare Galuppi (1706 - 1785)da Il filosofo di campagnaLibretto di Carlo Goldoni

Aria di Tritemio La mia ragione è questaLa mia ragion è questa … / mi par ragione onesta.La figlia mi chiedeste, / e la ragion voleste …la mia ragion sta qui. / Non posso dirvi sì,perché vuò dir di no. /Se non vi basta ancora,un’altra ne dirò: / rispondo: “Signor no”,

perché la vuò così. / E son padron di dirlo:la mia ragion sta qui.

Barbara Strozzi (1619 - 1677)

Aria Amor Dormiglione (Venezia 1651)Amor, non dormir più! / Su, su, svegliati omai,che mentre dormi tudormon le gioie mie, vegliano i guai.Non esser, non esser, Amor, dappoco!Strali, strali, foco, / strali, strali, su, su,foco, foco, su, su! / O pigro o tardotu non hai senso, / Amor melensoAmor codardo! / Ahi quale io restoche nel mio ardore / tu dorma Amore:mancava questo!

Benedetto MarcelloSonata in re minore op. 2 n. 2Adagio - Allegro - Largo - Allegro

Antonio Vivaldida Juditha triumphans devicta Holofernes barbarie,Oratorio militare - RV 644 Libretto di Giacomo Cassetti

Aria di Abra Si fulgida per teSi fulgida per te / Propitia caeli faxSi dulci anima spe / Refulsit alma pax,Solum beato / Duci increatoDebetur nostra pax, / Et nostra gloria.Dat ille cordi ardorem, / llle dextrae vigorem,Et manus donum suae / Nostra Victoria.

Se folgorante attraverso teRifulse la propizia face celesteE la pace adorata risplendetteDella cara speranza dell’anima,

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Solo al Dio / Beato e increatoDobbiamo la nostra pace / E la nostra gloria.Egli infonde coraggio nei cuori, / Forza nella destra;Dono della sua mano / È la nostra vittoria.

Antonio Vivaldida Orlando Furioso - RV 728 Libretto di Grazio Braccioli

Aria di Orlando Sorge l’irato nemboSorge l’irato nembo, / e la fatal tempesta,col murmurar dell’onde / ed agita e confondee Cielo e Mar. / Ma fugge in un baleno,l’orrida nube infesta, / e il placido serenoin Cielo appar.

Barbara Strozzi

Baldassare Galuppi Benedetto Marcello

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Pittori ‘foresti’ in Veneto: SEBASTIANO MAZZONI A VENEZIA (c. 1611-1678)

Relatore Sarah Lanzoni

Sebastiano Mazzoni, “poeta e pittore e doppio matto”,come egli stesso si definiva, morì a Venezia nel 1678, a se-guito della caduta da una scala mentre attendeva alla de-corazione ad affresco di Palazzo Donà a Santa Fosca.Essendo morto all’età di sessantasette anni circa, comeattestano le fonti, si ipotizza che sia nato intorno al 1611 aFirenze.Poco conosciamo della sua formazione, ma è certa la suapermanenza presso la bottega del fiorentino Baccio delBianco; il forte ascendente esercitato su di lui dal maestro,bizzarra personalità di pittore, architetto, ingegnere, sce-nografo e straordinario disegnatore di caricature e di ritrattigrotteschi, lasciò tracce durevoli sull’allievo il cui esordiosi deve datare al 1638. A quest’anno infatti corrispondel’iscrizione di Mazzoni all’Accademia del Disegno di Fi-renze e la firma e la data apposte dal pittore ad uno spiri-toso quadretto raffigurante Venere e Marte sorpresi daVulcano di collezione privata.Questo dipinto si caratterizza per l’acutezza delle soluzioniinventive: le figure sono tracciate a punta di pennello concolori accesi, vivacissimo risulta inoltre il senso del movi-mento quasi vorticoso della composizione. Se l’individua-zione di elementi riconducibili all’ambiente pittorico veneto,in particolare a Domenico Fetti, ha fatto supporre che Maz-zoni avesse già fatto brevi soggiorni in territorio lagunare,l’artista sembra in quest’opera ancora influenzato dalla ca-rica arguta e grottesca dei pittori toscani Giovanni di sanGiovanni e Cecco Bravo, in particolare per il tono ironicocon cui viene svolto il tema mitologico. In un periodo col-locabile tra il 1646 e il 1648, Mazzoni si trasferiva a Venezia,dove realizzava le due pale d’altare per la chiesa di San

Benedetto datate 1648 e 1649 e raffiguranti rispettiva-mente il Santo che raccomanda il parroco alla Vergine e ilSanto portato in gloria dalle virtù teologali. Si tratta di tele caratterizzate da un colore e da una pen-nellata strozzesca, ma svolte con impostazione scenica giàpienamente barocca per la forte scorciatura da sotto in sue per il carattere accentuatamente grottesco e ironico concui viene risolto il tema sacro.Varie commissioni pubbliche, destinate a chiese di Vene-zia, tra cui la splendida Annunciazione ora conservata alleGallerie dell’Accademia di Venezia ma realizzata origina-riamente per la chiesa di Santa Caterina, attestano cheMazzoni era sempre più inserito nella cultura artistica dellacittà lagunare, dove in particolare aveva stretto un sodaliziodi amicizia e di lavoro con il pittore Pietro Liberi, per il qualeprogettò anche – in qualità di architetto –un palazzo lungoil Canal Grande.Agli anni sessanta del Seicento risalgono il Banchetto diCleopatra (Washington, National Gallery) e il Sacrificio diJefte (Kansas City, Nelson-Atkins Museum of Art); si trattadi due imponenti tele nelle quali Mazzoni tende ad elementiscenografici sempre più complessi e grandiosi, avvalen-dosi di una visione scorciata dal sotto in su e di ritmi com-positivi dinamici e vorticosi di piena sensibilità barocca,mentre la materia pittorica diventa più soffice e sfrangiata.E’ la fase artistica che è stata definita come ‘centripeta’: aquesto periodo appartengono anche le tele raffiguranti Lefiglie di Loth e La morte di Cleopatra della Pinacotecadell’Accademia dei Concordi di Rovigo; segue poi una pro-duzione artistica più matura, o ‘centrifuga’, in cui lo spaziopittorico pare dilatarsi a profondità indefinite, i movimentisi fanno turbinosi e le figure sembrano quasi ‘distorte’ perla prospettiva fortemente scorciata.

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DOMENICA 23 NOVEMBRE

Danze da suonare

Violino Claudia LapollaChitarra Mauro Lombardo

Dario Castello (c. 1590 - c. 1658)Sonata PrimaAllegro - Adagio - Allegro - Allegro - Adagio

Giulio Cesare Barbetta (1540 - 1603)Gagliarda detta Il BarbetinoMoresca detta Le Canarie

Antonio Vivaldi (1678 - 1741)Sonata in La minore op.2 n.12 - RV 32Preludio (Largo)Capriccio (Presto)GraveAllemanda (Allegro)

Giovanni Battista Fontana (c. 1571 - c. 1630)Sonata SecondaLargo - Presto - Andante - Largo - Allegro

Johann Hieronymus Kapsberger (c. 1580 - 1651)Toccata ArpeggiataCanario

Antonio VivaldiSonata in Re maggiore op. 2 n. 11 - RV 9 Preludio (Andante) Fantasia (Presto)Gavotta (Allegro)

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Dario Castello

Giovanni Girolamo Kapsberger

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I pittori della realtà:IL BRESCIANO PIETRO BELLOTTI (1625-1700)

Relatore Roberta Reali

Pietro Bellotti, dalla riva lombarda del lago di Garda, arrivògiovane a Venezia per svolgere il suo apprendistato pressola bottega del pittore Gerolamo Forabosco e, come il mae-stro, si specializzò nel genere della ritrattistica: di questoartista sono infatti rimasti a testimonianza solo ritratti, aparte un telero di soggetto storico realizzato per PalazzoDucale a Venezia. La pittura di Bellotti, caratterizzata da unvivido naturalismo, che si associa spesso al gusto impor-tato a Venezia dai tenebrosi Luca Giordano e Giovan Bat-tista Langetti, fa parte della ‘corrente realista’ che sisviluppò tra fine Seicento e primi del Settecento tra Veneto,Friuli e Lombardia, in aperto contrasto con la pittura uffi-ciale ed accademica del tempo. Il realismo bellottiano an-ticipa la lezione in terra lombarda del Todeschini e nelSettecento di Giacomo Ceruti. Fu proprio probabilmente grazie al suo estro, alla sua in-ventiva ed alla sua abilità nel caratterizzare i ritratti in ma-niera realistica e quasi spietata con una pennellata liscia emetallica, molto lontana da quella vaporosa e sfumata delmaestro, ma con lo stesso gusto per il particolare, cheBellotti ottenne commissioni molto importanti: dal cardi-nale Maria Ottoboni, a Ferdinando Maria elettore di Baviera– fu infatti pittore alla corte di Monaco nel 1668 -, dal ducadi Ucedo governatore di Milano tra il 1670 ed il 1674, finoal cardinale Mazzarino. Dal 1672 al 1681 Bellotti soggiornòa Mantova dove fu Sovrintendente alle Gallerie ducali; siritirò infine a Gargnano sul Garda, presso un fratello arci-prete, dove morì nel 1700.Le prime opere del Bellotti sono probabilmente da consi-derarsi la Ragazza con il turbante (Braunschweig, Museo)e il Ritratto di Vecchia (Venezia, Ca’ Rezzonico), dati ancorai loro legami con il gusto pittorico del Forabosco. Al 1654

risale la Parca Lachesi di Stoccarda (Stoccarda, Staatsga-lerie), prima opera firmata e datata dall’artista, in cui il pit-tore lombardo si allontana definitivamente dalla resapomposa e aulica dei ritratti del maestro.Si conosce più di una replica di questo soggetto: oltre aquello di Stoccarda infatti, ne esiste una copia alla Pina-coteca Civica di Belluno in cui è conservata con un pen-dant che raffigura un vecchio (filosofo?) dal nome Socrateed una alla Pinacoteca di Feltre; ci sono poi altre redazionidel dipinto ridotte al solo ritratto della testa come quelladella Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo.Con gli attributi di una personificazione mitologica delmondo classico – la parca appunto – il Bellotti rappresentail ritratto di una vecchia contadina, offrendo un brano dicrudo realismo: l’anziana donna è infatti colta di prospetto,con gli occhi sbarrati, il volto segnato dalle rughe ed un vi-stoso fazzoletto a fiori che le cinge il capo. Bellotti sembraproporre un personaggio del mito classico in termini ana-litici di crudo realismo con finalità quasi dissacrante, me-more certo anche della lezione naturalistica del daneseBernardo Keil e del napoletano Luca Giordano. Al 1633 risale il telero storico, realizzato per Palazzo Du-cale, raffigurante La presa del forte turco Margariti in Alba-nia ordinata da Francesco Cornaro: una scenamovimentata, dal colore chiaro e di impostazione accade-mica. L’opera raffigurante Medea che ringiovanisce Esone,della Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo,presenta punti di contatto con il telero ducale ed evidentiaccenti naturalistici soprattutto nella resa anatomica delcorpo del vecchio Esone.E’ difficile stabilire con precisione il percorso artistico delBellotti negli anni seguenti: infatti, come già anticipato, ilpittore fu quasi sempre fuori Venezia, a contatto con di-verse influenze artistiche.L’ultima fase artistica rivela invece il passaggio ad un tipodi pittura nella quale il colore viene vivificato dalla luce e isoggetti e la resa pittorica sono caratterizzati da una aper-tura all’influsso della coeva lezione francese e spagnola.

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DOMENICA 30 NOVEMBREAntonio Vivaldi Le Quattro Stagioni

Orchestra GAV - Giovani Archi Veneti

Violino principale Alberto Stiffoni (Primavera)

Mitja Briscik (Estate)Valeria Zanella (Autunno)

Leonardo Giovine (Inverno)Violoncello principale

Riccardo GiovineMarta Storer

Direttore Lucia Visentin

Concerto in mi maggiore RV 269La Primavera

AllegroGiunt’è la Primavera e festosettiLa Salutan gl’Augei con lieto canto,E i fonti allo Spirar de’ ZeffirettiCon dolce mormorio Scorrono intanto:

Vengon’ coprendo l’aer di nero amantoE Lampi, e tuoni ad annuntiarla elettiIndi tacendo questi gl’Augelletti;Tornan’ di nuovo al lor canoro incanto:

LargoE quindi sul fiorito ameno pratoAl caro mormorio di fronte e pianteDorme ‘l Caprar col fido can’ a lato.

Allegro

Di pastoral Zampogna al suon festanteDanzan Ninfe e Pastor nel tetto amatoDi primavera all’apparir brillante.

Concerto in sol minore RV 315L’Estate

Allegro non molto - AllegroSotto dura Staggion dal Sole accesaLangue l’uom, langue ‘l gregge, ed arde il Pino;Scioglie il Cucco la Voce, e tosto intesaCanta la Tortorella e’l gardelino.

Zèfiro dolce Spira, ma contesaMuove Bòrea improviso al Suo vicino;E piange il Pastorel, perché sospesaTeme fiera borasca, e’l suo destino;

Adagio e piano - Presto e forteToglie alle membra lasse il Suo riposoIl timore de’ Lampi, e tuoni fieriE de mosche e moscon lo Stuol furioso.

PrestoAh, che purtroppo i suoi timor Son veri!Tuona e fulmina il Ciel e grandioso:Tronca il capo alle Spiche ed a’ grani alteri.

Concerto in fa maggiore RV 293 L’Autunno

AllegroCelebra il Vilanel con balli e CantiDel felice raccolto il bel piacereE del liquor de Bacco accesi tantiFiniscono col Sonno il lor godere

Adagio molto

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Fà ch’ogn’uno tralasci e balli e cantiL’aria che temperata dà piacere,E la Stagion ch’invita tanti e tantiD’un dolcissimo Sonno al bel godere.

AllegroI cacciator ala nov’alba a cacciaCon corni, Schioppi, e canni escono fuoreFugge la belva, e Seguono la traccia;

Già Sbigottita, e lassa al gran rumoreDe’ Schioppi e cani, ferita minacciaLanguida di fuggir, ma oppressa muore.

Concerto in fa minore RV 297 L’Inverno

Allegro non moltoAggiacciato tremar trà nevi algentiAl Severo Spirar d’orrido Vento,Correr battendo i piedi ogni momento;e pel Soverchio gel batter i denti;

LargoPassar al foco i di quieti e contentiMentre la pioggia fuor bagna ben centoAllegroCamminar Sopra il giaccio, e à passo lentoPer timor di cader gersene intenti;

Gir forte Sdruzzolar, cader à terraDi nuove ir Sopra ‘l giaccio e correr forteSin ch’ il giaccio si rompe, e si disserra;

Sentir uscir dalle ferrate porteSirocco Borea, e tutti i Venti in guerraQuest’è ‘l verno, mà tal, che gioia apporte.ORCHESTRA GAV

Giovani Archi Veneti

Violini

Lucia Visentin

Agnese Ardolino

Serena Bacchin

Alice Bettiol

Elisa Bisetto

Mitja Briscik

Luca Demetri

Leonardo Giovine

Riccardo Martignago

Francesca Pavan

Alessandro Pelizzo

Antonella Solimine

Teresa Storer

Francesco Tesolin

Stefano Tesolin

Viole

Andrea Bortoletto

Luisa Benedetti

Violoncelli

Maria Chiara Ardolino

Riccardo Giovine

Marta Storer

Contrabbassi

Elena Mazzer

Jacopo De Santis

Clavicembalo

Annamaria Zanetti

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La corrente dei tenebrosi: JOHANN CARL LOTH (1632-1698)

Relatore Sara Surico

I primi insegnamenti l’artista li ricevette in patria, la Ba-viera, dal padre Ulrich, che fu allievo di Carlo Saraceni eche gli trasmise la lezione dei caravaggeschi, e dallamadre, affermata miniaturista. Non è improbabile che agliinizi della sua carriera Loth si sia recato anche a Roma,dove poté incontrare il pittore rembrandtiano WilhelmDrost, le cui opere sono databili al sesto decennio del se-colo. L’artista giunse probabilmente a Venezia poco dopoil 1655, cioè nel momento nel quale si diffondeva la modaper la pittura naturalista e ‘tenebrosa’ importata in am-biente lagunare dal napoletano Luca Giordano e dal geno-vese Giovan Battista Langetti, e subito ripresa dalveneziano Zanchi. Gli esordi artistici del Loth vanno ricon-dotti alla materna arte miniaturistica, ma dall’analisi deiprimi dipinti si ricava che il pittore fu particolarmente col-pito dalle opere del Langetti: lo dimostra per esempio latela raffigurante l’Ebrezza di Noè (Monaco, Alte Pinako-thek), dalla quale derivano anche l’impostazione del Cainoe Abele degli Uffizi ed il Buon Samaritano di Vienna. Sem-pre a Vienna (kunsthistorisches Museum) è conservatoanche il dipinto Giove, Mercurio, Filemone e Bauci, in cuisi notano tensioni chiaroscurali derivate dal naturalismodi origine riberesca di Giordano e di Langetti e , alcuneschiariture di colore ed una pennellata più morbida, di de-rivazione fiamminga. Le opere veneziane del Loth fino al1670, sono accomunate da un forte contrasto chiaroscu-rale e da un impostazione naturalistica che risente princi-palmente della lezione di Luca Giordano e di GiovanBattista Langetti; già dall’inizio dall’ottavo decennio delSeicento il pittore bavarese stempera l’espressione pate-tica e drammatica delle figure in un naturalismo più grade-vole, con modi pittorici meno frantumati e più lisci - ne è

un esempio la pala della chiesa dell’Ospedaletto raffigu-rante Santi adoranti Cristo morto sostenuto da angeli-, finoad accelerare l’abbandono del naturalismo tenebroso,probabilmente dopo la morte del Langetti. Al biennio 1667-1668 va attribuita l’esecuzione della grande pala per la Ba-silica di Santa Giustina a Padova, raffigurante il Martirio diSan Gherardo, la cui redazione in formato minore, conser-vata al museo di Strasburgo (Musée des Beaux Arts), fuerroneamente attribuita a Pietro da Cortona: segno evi-dente che la pittura dell’artista bavarese si andava aprendoalle novità del barocco romano. Nelle tele degli anni Ot-tanta Loth adotta infatti motivi di gusto tipicamente corto-nesco, raggiungendo spesso effetti idealizzanti e quasileziosi tipici del barocchetto del pittore romano Carlo Ma-ratta. Alla fine dell’ottavo decennio del Seicento si datanole importanti commissioni religiose realizzate per la cap-pella del SS. Crocifisso del Duomo di Trento raffigurantil’Adorazione dei pastori e la Resurrezione di Cristo, nellequali le figure si atteggiano nello spazio con movimentataenfasi barocca. Sempre più influenzate dalla pittura delCortona e dalla grazia e dalla leziosità del barocchetto delMaratta sono le ultime opere del pittore bavarese, tra cui ilMartirio di sant’Eugenio (Venezia, Santa Maria del Giglio)ed il Miracolo di San Valentino (Venezia, San Luca), nellequali i colori appaino definitivamente schiariti secondo ilgusto della coeva pittura romana. Particolarmente impor-tante fu la bottega veneziana del Loth, nella quale si for-marono numerosi artisti austriaci e boemi, ma ancheitaliani. L’insegnamento del bavarese nella sua evoluzionedal naturalismo dei ‘tenebrosi’ al barocchetto pre-sette-centesco, si espanse in Baviera, in Austria ed in Boemiaformando quel substrato di arte sacra, che tanta fortunaconobbe tra Seicento e Settecento. Nel 1696 il Loth fu pro-babilmente accompagnatore del gran principe Ferdinandodi Toscana durante il suo secondo soggiorno veneziano.Poco dopo aver redatto il testamento il 26 agosto del 1698,l’artista moriva a Venezia ed i suoi resti venivano sepoltinella chiesa di San Luca.

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Pubblicazione a cura di: Fondazione Banca del Monte di Rovigo

Testi a cura di: Giuseppe Fagnocchi, Sergio Garbato, Alessia Vedova

Referenze fotograficheLe immagini a pag. 11, 14, 25, 29 sono tratte dal volume La Grande Guerra.Il fronte italiano nelle cartoline e nelle stampe degli artisti di Piero Ambrosini,Fabio Fogagnolo, Enrico Meliadò, Cierre, 2012.

Le immagini di pag. 2, 4, 20 sono tratte dal volume Virgilio Milani e la sculturadel Novecento nel Polesine, di Antonello Nave, Minelliana, 2004.

Le immagini della Medaglia di gratitudine nazionale decretata alle madri dei cadutiper la patria a pag. 20 sono di Giuseppe Fagnocchi.

Le immagini di pag. 34, 35 sono di Sergio Garbato.

RingraziamentiSi ringrazia l’Archivio di Stato di Rovigo per avere concesso la fotoriprodu-zione di testate giornalistiche d’epoca (sfondo di copertina e di quarta di co-pertina) e di immagini a pagg. 11, 14, 25, 29 dal volume La Grande Guerra.Il fronte italiano nelle cartoline e nelle stampe degli artisti (Cierre).

Si ringrazia la dott.ssa Antonella Imolesi per la messa a disposizione dellospartito di Francesco Balilla Pratella, La Guerra, conservato nelle RaccoltePiancastelli della Biblioteca Comunale Saffi di Forlì e la dott.ssa Ivana Paganiper la messa a disposizione dello spartito di Gian Francesco Malipiero, Riso-nanze, conservato nel Fondo Pratella della Biblioteca Comunale Trisi di Lugo.

Enti Promotori

Fondazione Banca del Monte di RovigoP.zza Vittorio Emanuele II, 48 - RovigoTel. 0425 422905

Conservatorio Statale di Musica «F. Venezze»Corso del Popolo, 241 - RovigoTel. 0425 22273

Accademia dei ConcordiP.zza Vittorio Emanuele II, 14 - RovigoTel. 0425 27991

Stampa: Tipografia ArtestampA (RO)Tiratura: 600 copie

L’immagine di copertina:Sebastiano Mazzoni (1611 - 1678), Morte di Cleopatra,

I dipinti(pagine 47, 51, 54, 58)

Gerolamo Forabosco (1605 - 1679)Giuseppe e la moglie di PutifarrePinacoteca dellʼAccademia dei Concordi

Sebastiano Mazzoni (1611 - 1678)Morte di CleopatraPinacoteca dellʼAccademia dei Concordi

Pietro Bellotti (1625 - 1700)La Parca LachesiPinacoteca dellʼAccademia dei Concordi

Johann Carl Loth (1632 - 1698)ArchimedePinacoteca dellʼAccademia dei Concordi

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