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La crisi finanziaria internazionale Raccontata nei suoi sviluppi da un osservatore bancario di Luciano Camaggio

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La crisi finanziaria internazionaleRaccontata nei suoi sviluppi da un osservatore bancario

diLuciano Camaggio

Indice

INTRODUZIONE - L’autore......................................................................... 1. La crisi finanziaria internazionale e il sistema bancario italiano........... 2. La crisi economica internazionale.........................................................3. Il microcredito.......................................................................................4. La crisi finanziaria economica e sociale.................................................5. Oltre il P.I.L............................................................................................6. La riforma dei mercati finanziari...........................................................7. La crisi greca e l’attacco all’euro............................................................8. L’onda lunga della crisi...........................................................................9. Le banche europee alla sfida di Basilea.................................................10. La finanza etica....................................................................................11. La crisi e la globalizzazione..................................................................12. La crisi della governance globale, l’attacco all’euro e i debiti sovrani.13. La distribuzione della ricchezza in Italia..............................................14. Le agenzie di rating: il vero problema?...............................................15. Come va la crisi?..................................................................................16. La crisi finanziaria internazionale in pillole.............................................

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P. 9P. 13P. 15P. 17P. 21P. 23P. 25P. 27P. 29P. 31P. 33P. 35P. 37P. 39P. 41P. 45

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Introduzione

L’autore: Luciano Camaggio

IL VOLONTARIATO

Nel 2008, in seguito ad una vertenza con la Telecom Italia, mi sono rivolto alla Lega Consumatori ACLI di Forlì per ottenere assistenza. In tale occasione il coordinatore, conoscendo la mia espe-rienza di lavoro bancario, mi ha chiesto se fossi disponibile a svolgere, in qua-lità di volontario, una attività di consu-lenza bancaria a favore di utenti che si rivolgevano alla loro associazione per problematiche con le banche. Decisi di accettare e di mettere a disposizione la mia esperienza a favore delle persone bisognose.

In seguito allo scoppio della crisi finan-ziaria internazionale del 2008, poiché la Lega Consumatori pubblica il periodico bimestrale “Consumi e Servizi - Osservatorio sociologico contro i soprusi e l’imbroglio”, diretto dal Dr. Lanfranco Tuppolano, mi fu chiesto, vista la mia esperienza di bancario, di spiegare in un articolo con parole semplici e com-prensibili alla maggior parte delle persone a digiuno di termini economici, la complessità di tale fenomeno. Ciò in quanto la massa delle notizie fornite da parte dei media (carta stampata e televisione), induceva molti cittadini ad un disorientamento. Tale collaborazione è proseguita sui successivi numeri del giornale, sempre con l’intento di spiegare gli sviluppi della crisi fino alla situa-zione attuale.

Nel frattempo, nel 2008, sono entrato a far parte, come volontario, della Cari-tas diocesana di Forlì-Bertinoro, prevalentemente come consulente di bilan-cio, prima come socio della Associazione INCONTRI, con l’incarico di tesoriere

e poi dell’Associazione Centro di Ascolto e Prima Accoglienza “Buon Pastore”, per la quale mi occupo della redazione dei bilanci, nonché della contabilità del Fondo di Solidarietà e del Microcredito. In seguito alla trasformazione, attual-mente in corso, del Centro di Ascolto in Fondazione “Buon Pastore”, sono sta-to nominato consigliere di amministrazione ed è previsto che ricopra l’incarico di tesoriere.

In occasione del Report 2011 dell’Osservatorio Diocesano Povertà e Risorse della Caritas, mi è stato chiesto di fare il punto sullo stato della crisi finanziaria con un articolo dal titolo: “Come va la crisi?”.

CURRICULUM BANCARIO

Il Dott. CAMAGGIO LUCIANO è nato a Bari il 18/03/1941 ed è residente a Forlì. Laureato in Economia e Commercio all’Università degli Studi di Bari con 110 e lode.

Assunto dal 2/12/1968 alla Banca Nazionale del Lavoro presso la quale ha svol-to i seguenti incarichi:- dall’1/12/68 impiegato presso la filiale di Bari con diverse mansioni in “Uffici Esecutivi e di Direzione”;- dal 21/7/75 in missione presso la Filiale di Lecce;- dal 1/10/75 promosso funzionario con diversi incarichi presso le Filiali di Lec-ce, Crotone, Catanzaro, Palermo e Voghera;- dal 31/7/88 nominato Sostituto del Direttore alla Filiale di Forlì;- dal 1/9/92 promosso Direttore alla Filiale di Macerata;- dal 4/11/96 al 31/12/99 alla Direzione Generale della Banca a Roma, prima come Responsabile della normativa antiriciclaggio, e poi alla Direzione Com-merciale, come Responsabile Tassi e Condizioni. In quest’ultima mansione ha partecipato più volte al Comitato di Liquidità della Banca, in rappresentanza del preposto alla Direzione Commerciale.

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La crisi finanziaria internazionalee il sistema bancario italiano

pubblicato su “Consumi e Servizi” e “Il Momento”Novembre 2008

Come noto, la crisi finanziaria internazionale è scoppiata in America nell’agosto 2007 a causa prevalentemente di tre fenomeni:

1) I MUTUI SUBPRIME1

In Italia i mutui sono erogati sulla base di due parametri e cioè il valore dell’im-mobile concesso in garanzia e la capacità di rimborso del nucleo familiare. In America gli istituti di credito fondiario e le agenzie immobiliari avevano conces-so ai privati mutui in misura elevata sul valore degli immobili presi a garanzia e non si era tenuto in alcun conto la capacità di rimborso dei mutuatari, rappre-sentati in maggior parte da immigrati in condizioni, sia finanziare che di lavoro, precarie. Pertanto non si è trattato di un fulmine a ciel sereno in quanto di bolla speculativa immobiliare in America si parlava già da qualche anno.

2) IL CONSUMO FONDATO SUI DEBITIL’altro fenomeno è stato un notevole incremento di acquisto di beni di consu-mo a rate, con utilizzo di carte di credito, da parte delle famiglie, aldilà delle possibilità reddituali dei propri nuclei e quindi, anche in questo caso, delle re-lative capacità di rimborso. Questa miscela e’ stata propugnata dalle autorità governative americane per incrementare il P.I.L.2, nel convincimento che il libe-ro mercato si sarebbe autoregolamentato.

3) LA FINANZA CREATIVAGli istituti di credito fondiario, quando hanno capito che tale situazione stava per degenerare, hanno, con la complicità perversa di banche d’affari, compa-gnie di assicurazione e società di rating, cartolarizzato detti crediti e li hanno offerti sul mercato finanziario internazionale, come prodotti con rendimenti

1- Mutui subprime: mutui ad alto rischio 2 - P.I.L.: prodotto interno lordo

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appetibili. Quando le famiglie americane non sono state più in grado di effet-tuare i rimborsi, gli istituti di credito hanno aggredito gli immobili ipotecati, nel frattempo deprezzati a causa dello scoppio della bolla immobiliare e quindi si sono trovati con una garanzia reale insufficiente. Di conseguenza alcuni istituti di credito hanno dovuto dichiarare “Default”3.

A questo fenomeno va aggiunta l’ulteriore “fi-nanza creativa” delle più importanti banche d’affari che hanno sem-pre più fatto ricorso a prodotti sofisticati (In-dex Linked4, Hedge fun-ds5, derivati6 e struttu-rati7) il cui rendimento era collegato ad uno o più indici con scommes-se sull’andamento delle

borse o di alcune materie prime. Hanno creato così problemi non solo di remu-nerazione dei titoli ormai chiamati tossici, ma anche di riduzione nell’entità del capitale.Purtroppo, nel mercato globale detti fenomeni contagiano le strutture finan-ziarie di tutti i paesi, salvando solo gli Stati in possesso di grandi liquidità in petroldollari (Fondi sovrani8). Possiamo concludere dicendo che la “finanza creativa” si è rivelata una “finan-za distruttiva”, ovvero ha prima creato valori fasulli, per poi distruggere valo-ri reali. In definitiva gli squilibri macroeconomici alla radice della crisi attuale sono stati:

1) l’eccesso di indebitamento delle famiglie;2) una dissennata politica fiscale;3) una politica monetaria lassista;4) l’allentarsi delle regole e dei controlli sul mercato;5) l’avvitarsi incontrollato del debito pubblico e dei deficit commerciali esterni.

3 - Default: stato di insolvenza4 - Index Linked: polizze vita indicizzate5 - Edge funds: fondi speculativi6 - Derivati: prodotti finanziari indicizzati ad un solo parametro7 - Strutturati: prodotti finanziari indicizzati a diversi parametri8 - Fondi sovrani: fondi di investimento statali, alimentati da petroldollari

Fenomeni tutti che il libero mercato non è stato in grado di autoregolamentare.

Veniamo ora al sistema bancario italiano che, come noto, è stato sempre accu-sato di essere molto rigido e prudente nelle erogazioni del credito; al contrario tale difetto si e’ rivelato un pregio.D’altro canto occorre considerare che buona parte del sistema bancario italia-no e’ formato da Casse di Risparmio, Banche Popolari e Banche di Credito Coo-perative, cioè di banche non di notevoli dimensioni e ben radicate nel tessuto economico del territorio, formato prevalentemente da piccole e medie azien-de. Quindi i risparmiatori italiani possono stare tranquilli (tra l’altro sappiamo che in Italia c’è il Fondo interbancario di garanzia, che garantisce i depositi fino a 103.000 euro). Hanno invece dei problemi da non sottovalutare le famiglie che hanno contratto un mutuo a tasso variabile, dato l’andamento dell’Euri-bor9. Il vero problema al momento riguarda il fermo del credito interbancario, cioè i prestiti che le banche si fanno reciprocamente; cio’ in quanto ciascuna banca non ha fiducia dell’altra. Le autorita’ governative e di vigilanza, mentre chiedono ai risparmiatori di aver fiducia nelle banche, non invitano perento-riamente le stesse a fornire dettagli, non solo sul proprio portafoglio titoli, ma anche su quelli piazzati alla clientela, in modo da rilanciare i flussi del credito interbancario, determinanti per il finanziamento alle aziende.Un ultimo fenomeno sommerso in Italia è quello dei contratti derivati, stipulati sia dai privati che dagli enti pubblici.

Infine, riandando all’esperienza bancaria degli anni ’70, ricordo che il ruolo più prestigioso era quello di far parte del settore “finanza d’impresa” (oggi Corpo-rate), che comportava analisi dei bilanci, esame dei progetti di sviluppo azien-dale, con visite agli stabilimenti, in modo da calibrare gli interventi creditizi più appropriati, sia a breve che a medio-lungo termine.All’inizio degli anni ’90, invece, tale ruolo cominciò ad essere gradualmente su-perato e mortificato, in prestigio e remunerazione, dall’operatore in titoli, che in sostanza produceva introiti di livello sempre più elevati, senza rischi connessi ai crediti bancari. Concludo dicendo di ritenere che la maggior parte di quei giovani visti uscire dalle banche americane con gli scatoloni in mano siano i cosiddetti “guru della finanza” e non i bancari tradizionali, i quali, sia pur con molto ritardo, possono oggi registrare con soddisfazione una rivincita morale.

9 - Euribor: tasso applicato ai prestiti interbancari.

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La crisi economica internazionale

pubblicato su “Consumi e Servizi”Marzo 2009

La crisi finanziaria internazionale, come era prevedibile, ha avuto notevoli ri-flessi sull’economia reale e oggi possiamo forse dire che la crisi economica glo-bale è entrata nella fase culminante.L’epicentro di questo fenomeno è ancora negli USA e coinvolge le banche, le imprese, la domanda, il reddito, l’occupazione.Il nuovo Presidente americano, per fronteggiare la crisi ha scelto la strada del “deficit spending”, mettendo in campo cifre da fantascienza (circa 4 trilioni di dollari), per puntellare le industrie, il sistema bancario e la domanda dei consu-matori, confidando di vedere i primi effetti già nel secondo trimestre dell’anno in corso.Considerata l’integrazione globale dell’economia, tale situazione ha fatto regi-strare conseguenze pesanti anche sull’economia dell’Unione Europea.

L’Europa, inoltre, ha recentemente scoperto un altro fenomeno dalle dimen-sioni devastanti e cioè l’insolvenza dei Paesi dell’EST, avviati all’economia di mercato grazie a massicci investimenti privati e bancari dell’occidente (Austria, Svezia, Germania, Francia, Italia, ecc.).Si calcola che per fronteggiare tale ulteriore crisi servono 200 miliardi di euro, difficili da reperire nell’attuale situazione dei paesi membri dell’Unione Euro-pea, i quali nel corso di un recente “meeting” non hanno inteso prevedere una soluzione globale, preferendo esaminare le situazioni delle singole economie.Per quanto riguarda l’Italia, il governo, per puntellare il sistema bancario, ha mobilitato 12 miliardi di euro, i famosi “Tremonti bond”, prestito obbligazio-nario a scadenza pluriennale, al tasso medio dell’8%, da sottoscrivere da parte del Tesoro.

Tale provvedimento viene considerato, da alcuni economisti, completamente inutile, per i seguenti motivi:

1) si calcola che al sistema bancario italiano, per assorbire le perdite dell’at-

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Il Microcredito

pubblicato su “Consumi e Servizi” e “Il Momento”Maggio 2009

L‘idea del microcredito è nata nel 1976 in Bangladesh ad opera di Muhammed Yunus, premio nobel della pace, con la creazione della Grameen Bank, una sor-ta di banca del villaggio non finalizzata al profitto, ma dedicata alla concessione di piccoli prestiti (massimo 200 dollari), senza la richiesta di alcuna garanzia, se non quella della credibilità del richiedente.

In sostanza si consente a commercianti ambulanti, piccoli artigiani e agricolto-ri, di acquistare le merci e/o le materie prime per la vendita e/o per l’avvio del ciclo produttivo, con restituzione dei prestiti nella quasi totalità e nei termini previsti, tanto che la Grameen Bank ha una “ sofferenza” di appena il 2%, una delle più basse nel settore in senso assoluto.

Possiamo ben dire che in pratica si concedono prestiti a persone che in Italia definiremmo “non bancabili”, cioè privi dei requisiti necessari per accedere al credito bancario.

Pertanto sul microcredito possiamo fare tre considerazioni:1) ha restituito al denaro il suo ruolo di “strumento” per ottenere qualco-sa, privandolo della natura di “ obiettivo ultimo”, nell’ambito delle relazioni umane; quindi il denaro ritorna ad essere uno strumento (e non un fine) per costruire delle relazioni positive;2) ha conferito al denaro la natura di “ strumento di fiducia”: è l’affidabilità della persona che garantisce l’accesso al microcredito; è quindi il valore del-la persona il parametro che determina l’affidabilità del credito;3) si colloca come specifica operazione di “finanza etica” sulla scia di tutte quelle iniziative che si pongono come obiettivo quello di far emergere le migliori qualità dell’uomo.

Venendo all’Italia, la CARITAS di Forlì ha di recente promosso due incontri di

tivo (svalutazione degli immobili, dei titoli tossici, delle azioni, dei valori di avviamento da aggregazione e delle sofferenze) e riportare il patrimonio all’8% delle attività rischiose, servirebbero 130 miliardi di euro;2) non rafforza il patrimonio, ma aumenta l’indebitamento delle banche;3) l’onerosità delle condizioni; il costo medio dell’8%, con un guadagno di circa il 4% per il Tesoro, dovrebbe comportare una richiesta per le Piccole e Medie Imprese, destinatarie prioritarie dei flussi di credito, di un tasso intorno al 12%, non sostenibile (naturalmente il “moltiplicatore dei flussi” dovrebbe consentire alla banche di contenere il livello dei tassi).

A questo punto sarebbe forse auspicabile un in-tervento statale nel ca-pitale, attraverso sotto-scrizioni di azioni, come avvenuto in America per Citigroup, nella du-plice speranza che tale situazione sia limitata nel tempo e che si eviti il rischio di lottizzazio-ne politica. Spero come cittadino che i bilanci

dell’esercizio 2008, in corso di elaborazione, siano in grado di smentire, con trasparenza, le citate analisi.

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approfondimento sul tema del microcredito, nei quali alcuni relatori hanno il-lustrato tre esperienze concrete di unità operanti in Emilia Romagna e cioè la “MICRO.BO” di Bologna, la “ CARITAS” di Reggio Emilia e “l’ASSOCIAZIONE FAMIGLIE INSIEME” di Rimini

Le caratteristiche prin-cipali di intervento ri-guardano due settori:1) “autonomia e lavo-ro”, a sostegno di piccoli commercianti, artigiani e agricoltori;2) “microcredito socia-le”, a favore delle fami-glie in difficoltà ;in entrambi i casi con un’attenzione partico-lare alla persona, attra-

verso l’ascolto, l’accoglienza e l’accompagnamento, anche con finalità educati-ve, istruttive e formative.

In sintesi le caratteristiche principali degli interventi sono:- importo da 2000 a 5000 euro;- tasso microcredito sociale 2,75-3,25%;- tasso microcredito alle imprese 8%;- durata da 24 a 48 mesi- sofferenze microcredito sociale 30%; microcredito alle imprese 10%.

È auspicabile che anche a Forlì possa nascere una iniziativa nel settore micro-credito, per aiutare sia le piccole imprese che le famiglie, in questo periodo di particolare difficoltà, a causa della crisi economica che ha investito il nostro paese.

La crisi finanziaria, economica e socialepubblicato su “Consumi e Servizi”, “Il Momento”

e Rassegna Stampa del Comune di ForlìOttobre 2009

Dobbiamo, innanzitutto, prendere atto, con immenso sollievo, che la temuta grande “catastrofe” è stata evitata, attraverso interventi strategici dei governi, in primis quello americano, con immissioni nel sistema finanziario di ingenti liquidità (trilioni di dollari), seguito da analoghi provvedimenti di altri paesi, prevalentemente occidentali.Aumentano, anzi, in quest’ultimo periodo i pareri di autorità monetarie (FMI, FED, OCSE), sulla fase di superamento della crisi finanziaria, prendendo so-prattutto come parametro l’andamento molto favorevole delle borse interna-zionali.Ciò sta, in effetti, consentendo alle banche americane di ottenere risultati eco-nomici positivi rispetto alle previsioni, con aumento dei ricavi da operazioni su titoli, a conferma, purtroppo, che si preferisce far ripartire la speculazione, piuttosto che finanziare l’economia reale.

E’ importante, quindi, verificare se siamo in presenza di un andamento specu-lativo, oppure di un nuovo trend di medio periodo, alimentato da un allinea-mento delle quotazioni di borsa, ai valori reali delle aziende.Permane, comunque, un grande “rammarico”, ovvero quello di constatare che non si è approfittato di questa grande crisi, per operare una radicale riforma dei mercati finanziari a livello internazionale, cioè di non essere riusciti a stabi-lire i cosiddetti “GLOBAL LEGAL STANDARDS”.

Si tratta in sostanza di stabilire delle regole che attacchino frontalmente tre fenomeni e cioè la speculazione, il segreto bancario e i paradisi fiscali.Si farebbe una vera rivoluzione, se si definissero nuovi strumenti giuridici per vincolare le attività economiche e finanziarie agli interessi dei Paesi e ai diritti sociali e ambientali.Ciò rivela, ancora una volta, che i governi hanno avuto paura di affrontare e ri-solvere i nodi del sistema finanziario, in ossequio ai grandi poteri economici.

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In punto per rilevare che, anche nella recente riunione del G.20 a Pittsburg, più che adottare misure forti e concrete, sono state enunciate una serie di buone intenzioni, che si spera possano trovare, nel tempo, adeguate realizzazioni.

Appare, invece, importante l’aver, in tale sede, deciso di affidare la “governan-ce dell’economia mondiale” non più al G.8 ma al G.20 ( per coinvolgere i paesi emergenti) e con la collaborazione del F.M.I. e del FINANCIAL STABILITY BO-ARD.

Sulla crisi economica, ai risultati positivi (in termini di PIL) del secondo trime-stre del 2009, fatti registrare da Francia e Germania, che sembrano essere usci-te dalla recessione, si affiancano le recenti previsioni favorevoli sull’economia americana, che dovrebbe far registrare, già nel terzo trimestre dell’anno in cor-so, un aumento del PIL.Permane anche in questo settore una necessità di rivedere i meccanismi di valutazione dell’andamento dell’economia, ritenendo il PIL un dato ormai in-sufficiente, almeno per i paesi sviluppati.Si ritiene cioè che non sempre ad un aumento,sia pur consistente, del PIL, cor-risponda un miglioramento della qualità della vita, ovvero il concetto di “svilup-po ecosostenibile”, con i relativi “Indici del Benessere Economico Sostenibile”.

Ci sono diversi organi-smi, sia a livello inter-nazionale (la commis-sione Stiglitz/Amartya Sen/Fitussi, voluta in Francia da Sarkosi), che nazionale (l’associa-zione “Sbilanciamoci” con i “QUARS” – Quali-tà Regionale dello Svi-luppo”), che si stanno occupando di queste complesse tematiche.

Si tratta di affiancare al PIL nuovi indicatori sociali ed ecologici, in grado di for-nire un quadro più attendibile della qualità della vita del pianeta.Di tale parere sembra essere anche il nuovo Presidente dell’ISTAT, prof. Gio-vannini.Il discorso cambia se si guarda ai cosiddetti Paesi emergenti (Cina, India, Brasi-le, ecc.), nei quali all’acquisto di auto e/o di elettrodomestici, specie se per la prima volta, corrisponde un miglioramento della qualità della vita.

Più drammatica è al momento la crisi sociale, alimentata soprattutto dalla di-soccupazione, che si teme aumenterà non solo in questi ultimi mesi dell’anno in corso, ma anche nel prossimo anno.Per l’Italia si prevedono nuove perdite di posti di lavoro (tra settecentomila e un milione), per la chiusura di molte piccole/medie aziende, strozzate anche dalle restrizioni creditizie da parte delle banche.E’ un fenomeno preoccupante, che ha già fatto registrare una crescita della cosiddetta “fragilità sociale”.I dati della Caritas rilevano che da circa un anno ai servizi nati per “i senza fissa dimora”, accedono anche famiglie e disoccupati.

E’ necessario, pertanto, attuare politiche che consentano di evitare chiusure di aziende e conseguenti nuovi licenziamenti, ma anche di incremento degli am-mortizzatori sociali (nella entità, nella durata e nell’allargamento degli aventi diritto) e di detassazione dei redditi, per incrementare la quota destinata ai consumi.Il tutto in attesa che l’economia mondiale riprenda a crescere, ma senza ali-mentare un clima di falsi ottimismi, in quanto in assenza di incrementi consi-stenti del PIL, per ritornare alla situazione ante crisi, ci vorranno diversi anni.

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Oltre il P.I.L.pubblicato su “Consumi e Servizi” e “Il Momento”

Novembre 2009

Si discute da circa un decennio se il PIL sia un indicatore sufficiente per valuta-re l’andamento dell’economia, cioè se ad un aumento, sia pur consistente del PIL, corrisponda un miglioramento della qualità della vita. Recentemente tale argomento è stato affrontato da due organismi internazionali:

1. LA COMMISSIONE EUROPEA2. LA COMMISSIONE STIGLITZ, voluta dal presidente francese Sarkozy.

La Commissione Europea si è posta il quesito se “ il prodotto interno lordo rimane la migliore unità di misura dello stato di salute del mercato economi-co”, con una comunicazione dal titolo “Non solo PIL-Misurare il progresso del mondo in cambiamento”, inviata lo scorso mese di agosto al Consiglio e al Par-lamento Europeo, nonché ai singoli paesi dell’U.E. per le rispettive valutazioni.In tale comunicazione la Commissione, oltre ad elencare i motivi per cui il PIL non è sufficiente, definisce un percorso per avviare nuovi indicatori entro il 2012, sia da parte dei singoli paesi, che da parte della Commissione, ovvero “Le politiche nazionali e comunitarie saranno valutate sulla loro capacità o meno, di raggiungere i suddetti obbiettivi ( sociali, economici ed ambientali) e di mi-gliorare il benessere dei cittadini europei”.La Commissione europea entra poi nel merito delle tematiche, proponendo cinque azioni:

1. completare il PIL con indicatori ambientali e sociali;2. fornire informazioni quasi in tempo reale a sostegno del processo deci-sionale;3. ottenere informazioni più precise su distribuzione e disuguaglianze;4. elaborare una tabella europea di valutazione dello sviluppo sostenibile;5. estendere i conti nazionali alle questioni ambientali e sociali.

La Commissione STIGLITZ, quasi in contemporanea, ha pubblicato il rappor-to sulla “Misurazione della performance economica e del progresso sociale”,

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proponendo un cambiamento di filosofia: dalla quantità nella produzione alla qualità, cioè considerare solo indicatori quantitativi ( come la quantità della merce prodotta e venduta) non è più sufficiente per valutare l’indice di benes-sere di un paese.Quindi oltre il PIL, occorre un set di indicatori e cioè le condizioni materiali ( reddito, consumi, ricchezza), la salute, l’educazione, il lavoro e il tempo libero, la partecipazione politica, le relazioni interpersonali, l’ambiente, l’insicurezza ( economica, ma anche in senso più ampio). Con una dimensione extra, trasver-sale: ”la sostenibilità”.

Seguono una serie di raccomandazioni per modificare le indagini statistiche, come punto di partenza per aprire il dibattito sul tema degli indicatori del pro-gresso economico e sociale.Di quest’ultima Commissione ha fatto parte anche il Dr. Enrico Giovannini, da qualche mese nuovo Presidente dell’ISTAT e convinto assertore della necessità che il PIL sia affiancato da un set di indicatori, quelli cioè proposti dalla Com-missione STIGLITZ e sopra indicati.Il Dr. Giovannini precisa che trattasi di indicatori, che ciascun paese dovrebbe individuare sulla base di tavole rotonde tra governo, opposizione, parti sociali e società civile.Per quanto riguarda l’ISTAT, assicura che l’ente elabora già qualche indicatore, come l’indagine sulla povertà e quella sul tempo libero, e di avere quindi una buona predisposizione alle nuove tematiche; è in corso una riflessione per pre-parare un piano di azione.Si può pertanto concludere dicendo che è il momento di cambiare, se si vuole andare oltre la crisi e non cadere negli errori del passato.

La riforma dei mercati finanziaripubblicato su “Consumi e Servizi”

Aprile 2010

Come noto, i vari consessi internazionali, in particolare i “G 20”, non sono pur-troppo stati in grado di varare i cosiddetti “GLOBAL LEGAL STANDARD”, cioè le nuove regole internazionale per i mercati finanziari, al fine di evitare che si ripetano i disastri dell’ultimo biennio.

In questi giorni, prendendo lo spunto dalle indagini della SEC sulla Goldman Sachs, per i famosi “titoli tossici” legati ai mutui subprime, il Presidente ameri-cano OBAMA sta conducendo una grande battaglia per una riforma del settore bancario e delle regole della finanza.

Il disegno di legge, che ha già ottenuto l’approvazione della commissione ban-caria del Senato, consta di quattro capitoli:

1) Più controlli e trasparenza sugli hedge fund (fondi speculativi);2) Le banche avranno limiti rigorosi nei titoli derivati, quelli che tra l’altro consentono di speculare su petrolio e materie prime;3) Sarà creata una nuova autority per la protezione del consumatore dei servizi finanziari;4) Una tassa sulle banche andrà ad alimentare il fondo per eventuali salva-taggi di colossi bancari in crisi, ad evitare che anche in futuro debba essere il contribuente a pagare.

Tale impostazione mira in sostanza a porre fine all’era della finanza onnipoten-te, autoreferenziale e incontrollata.

In effetti le accuse alla Goldman Sachs riguardano un’imputazione grave: quel-la di aver frodato i propri clienti, rifilando “titoli tossici” legati ai mutui subpri-me, fatti selezionare da un gestore di hedge fund che puntava sul loro tracollo. Si aggiunge le recenti notizie sul ruolo della Goldman Sachs nel truccare i conti pubblici della Grecia, ingannando la Commissione Europea. Nel frattempo si sta riprendendo l’inflazione delle materie prime, dove la speculazione gioca un

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ruolo nefasto.

Tale situazione costitui-sce un quadro di gran-de opportunità perché il presidente Obama possa affrontare questa enorme battaglia per svincolarsi dall’abbrac-cio condizionante dei banchieri.

Da considerare, infine, che il disegno di legge ha ottenuto anche il pa-

rere favorevole del Fondo Monetario Internazionale.

E’ auspicabile, pertanto, cha tale occasione, probabilmente intesa come ultima spiaggia, non vada perduta, con nuovi inutili rinvii al prossimo “G 20” di giugno in Canada, visto che i precedenti consessi non sono stati in grado di partorire “un topolino”

La crisi greca e l’attacco all’europubblicato su “Consumi e Servizi”

Giugno 2010

Dopo la “tempesta subprime” sui sistemi finanziari, nell’occhio del ciclone sono finiti gli Stati, ovvero il debito Sovrano, cioè i titoli (bond) emessi dai vari Paesi a finanziamento del debito stesso: alcuni la chiamano la “CRISI 2”.

L’epicentro della crisi è stata la Grecia, rea di aver seguito politiche di spesa pubblica irresponsabili, ma soprattutto di aver “truccato i conti”, con l’aiuto della Goldman Sachs, per essere ammessa nella zona euro; la crisi si è poi este-sa, come noto, alla Spagna, al Portogallo e all’Irlanda, i cosiddetti Paesi del PIGS.

Le misure che la Grecia ha dovuto adottare sono recessive e rischiano di peg-giorare la situazione politico-sociale del Paese, riducendo la sua disponibilità a disciplinarsi e ostacolando lo stesso aggiustamento del disavanzo pubblico.

In effetti il “piano Grecia” non ha evitato il rischio di contagio: al contrario la speculazione ha allargato i suoi obiettivi, tanto da parlare di “attacco all’eu-ro”.

Di qui il piano anticrisi varato nella notte tra il 9 e il 10 maggio dagli Stati UE, dalla Commissione e dal Fondo Monetario Internazionale, con una dotazione alla Banca Centrale Europea di 750 miliardi di euro, per acquistare le obbliga-zioni (bond) dei Paesi in crisi, anche se classificati ( dalle “mitiche” società di rating) spazzatura (jung).I paesi utilizzatori dovranno comunque accettare durissime politiche di bilancio restrittive, in altri termini tagli al welfare e minor crescita, con rischi di reces-sione e disoccupazione.

Italia, Francia e Germania hanno, come noto, già varato manovre correttive di entità e durata varia, per cercare di contenere sia lo stock del debito pubblico, che il rapporto debito/PIL.. Alla Germania che ha imboccato la strada di una

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politica di deflazione, non si è ancora contrapposta, da parte di altri Paesi, una politica di stimolo alla crescita.

Rimane, comunque, il rammarico di consta-tare, ancora una volta, che nulla è stato anco-ra fatto sia in termini di regolamentazione dei mercati finanziari (GLO-BAL LEGAL STANDARD), che di tassazione delle rendite finanziarie; or-mai la distanza in cifre tra l’economia reale (rappresentata dal PIL )

e l’economia finanziaria (rappresentata dal cumulo delle transazioni su azioni, obbligazioni, derivati, valute, materie prime e opzioni di svariata natura) è di-ventata stratosferica.

Una riflessione, infine, per quanto concerne l’Italia: è auspicabile che l’espres-sione “economia sociale di mercato” non rimanga uno slogan da evocare nei convegni, ma che venga seguita dall’adozione di seri provvedimenti per poter parlare di un nuovo “umanesimo” etico dell’economia e della finanza.

L’onda lunga della crisipubblicato su “Consumi e Servizi” e “Il Momento”

Settembre 2010

La cosiddetta “crisi subprime” ha compiuto nello scorso mese di agosto 3 anni (agosto 2007/2010) ; ma i suoi effetti sono ben lungi dall’essere esauriti.Al contrario, l’onda lunga della crisi continua, al punto che gli ultimi dati de-scrivono un’economia reale in rallentamento, rispetto alle stime di crescita di inizio anno.Non solo, il “double dip”, ovvero una ricaduta recessiva nell’autunno 2010, an-che se assolutamente da scongiurare, non è purtroppo da escludere.

Occorre comunque precisare che l’economia globale si è fermata all’autun-no2008, all’indomani del fallimento della Lehman Brothers, ma oggi ne stiamo (forse) uscendo in modo diverso, in base alle reazioni dei vari paesi e cioè:

- i paesi emergenti, i cosiddetti “BRIC” (Brasile, India, Russia ed in partico-lare la Cina), hanno continuato un “trend” sostanzialmente ininterrotto di sviluppo;- i paesi europei, anche a causa dei debiti pregressi, dopo un periodo di recessione, stanno uscendo a fatica dalla crisi;- gli Stati Uniti, dopo i dati positivi relativi alla ricostituzione delle scorte e all’incremento dei consumi trascinati dagli incentivi statali, evidenziano un rallentamento, con le esportazioni riflessive, malgrado il calo del dollaro.

Quindi ad una economia mondiale “omogenea”, incentrata sul traino dell’eco-nomia USA, garante della crescita per tutti, si è sostituita una economia com-posta da aree diverse, sulla base dell’impatto della crisi.La ripresa è quindi trainata dai paesi esportatori (Cina e Germania in particola-re), mentre come già accennato il mercato americano non appare più in grado di svolgere il ruolo di “consumatore di ultima istanza”.

Il rischio è quello di assistere ad una forte concorrenza per contendersi quote di domanda globale( l’esempio più eloquente è rappresentato dal mercato glo-bale dell’auto); il tutto potrebbe concludersi con una deflazione globale.

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A questo punto servirebbe “ una politica economica internazionale coordinata”, ma come noto nei vari “G8/G20”, ultimo quello di giugno a Toronto,nessuna decisione responsabile è stata assunta e tutti i principali problemi proposti dai Capi di Governo della U.E. ( tassa sulle transazioni finanziarie, tassa sulle ban-che, disciplina dei bilanci degli stati, regolamentazione delle vendite allo sco-perto, controlli sulle agenzie di rating e disciplina del mercato dei credit default swaps-CDS ), sono rimasti senza soluzioni globali.L’unica decisione, a livello europeo, ha riguardato la pubblicazione degli “stress test” sui principali gruppi bancari europei, con le riserve, da parte di alcuni economisti, di una avvenuta attenuazione dei risultati.

Da aggiungere peraltro che per il sistema bancario, le recenti norme sul cosid-detto “Basilea 3”, dovrebbero comportare, tra l’altro, un rafforzamento patri-moniale, sia pur graduale nel tempo, degli istituti di credito.

Per quanto concerne , infine, l’economia italiana si discute in questi giorni se, per ottenere migliori risultati in termini di PIL, si deve guadare al “modello tedesco”, basato essenzialmente sulla tregua salariale, sull’incremento di pro-duttività e quindi sulla competitività, necessaria per ottenere aumenti delle esportazioni.

Ma la questione, invece di essere sottoposta ad una seria e accurata analisi, è al momento al centro di una sterile polemica del Ministro dell’Economia, nei confronti del Governatore della Banca d’Italia.

Le banche europee alla sfida di Basileapubblicato su “Consumi e Servizi”

Febbraio 2011

Nel 1974 la BIS (Bank for International Settlements), in italiano la BRI(Banca dei Regolamenti Internazionali), fonda il “ Comitato di Basilea” per la supervisione bancaria.

Nel 1988 viene approvato il primo regolamento (BASILEA 1), che fissa all’8% delle attività il valore minimo del patrimonio complessivo della banche.

Nel 2004 si ha una revisione dell’accordo (BASILEA 2), con il quale viene im-posto di mettere da parte quote di capitale in proporzione al rischio delle loro attività; accordo che entra in vigore il 2007.

Nel 2010 il Comitato approva l’accordo (BASILEA 3), che prevede i seguenti provvedimenti, con i relativi tempi di attuazione:

- 2013 primo innalzamento dei parametri ( patrimonio base al 3,5%);- 2016 introduzione graduale del “ buffer “, ovvero “ un capitale liquido ag-giuntivo”;- 2019 data fissata per il definitivo adeguamento ai nuovi parametri.

Aldilà degli aspetti tecnici, che appaiono indubbiamente complessi, il principio di base che anima tali provvedimenti è quello di imporre agli Istituti di Credito di accantonare maggiori quantità di capitali, per fronteggiare eventuali nuove crisi finanziarie, senza ricorrere al sostegno pubblico, come avvenuto nel 2007, in particolare negli Stati Uniti.

In sostanza il “Patrimonio base1” parte dal 4,50%, mentre il valore del “ Tier-1 capital2” passa al 6% ed il “capitale totale” resta invariato all’8%.

La vera novità di “BASILEA 3” consiste nell’introduzione del cosiddetto “Buffer 1 - Patrimonio base (common equity): capitale (azioni ordinarie) + riserve2 - Tier-1 capital: patrimonio base + azioni privilegiate

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“, come già detto “un capitale liquido aggiuntivo”, pari al 2,5% delle attività, per cui il “CAPITALE TOTALE3” viene elevato al 10,50%.

E’ prevista, infine, la possibilità di applicare un ulteriore “Buffer aggiuntivo” fino al 2,5%, in situazioni di eccesso del credito.

Si pone, pertanto, per le banche europee un duplice ordine di pro-blemi e cioè la caccia alla ricapitalizzazione, che si farà sentire sulla distribuzione futura dei dividendi, e l’incogni-ta dei cosiddetti “asset tossici4”, cioè titoli ( obbligazioni e derivati), contabilizzati al valore nominale, ma che alle

rispettive scadenze subiranno una sensibile contrazione di valore, imponendo ulteriori necessità di ricapitalizzazione.

Rimane, infine, il paradosso che le banche d’affari americane, principali respon-sabili della crisi finanziaria, non hanno mai applicato le regole di “BASILEA 2”, mentre le nuove regole di “BASILEA 3” potrebbero penalizzare eccessivamente gli istituti di credito europei, producendo un calo dei profitti e una restrizione del credito alle piccole e medie imprese, a vantaggio di eventuali attività spe-culative.

3 - Patrimonio complessivo (capitale totale): somma di tier-1 e tier-2 (strumenti di qualita’ inferiore)4 - Asset tossici: titoli obbligazionzri e derivati svalutati con la crisi finanziaria

La finanza eticapubblicato su “Consumi e Servizi”

Aprile 2011

La grave crisi finanziaria che ha colpito l’economia mondiale e originata, come noto, dai “ mutui subprime”, ha portato ad una riflessione approfondita sulla necessità di poter contare su un settore finanziario alternativo, la cosiddetta “ finanza etica”, come strumento per la creazione di posti di lavoro e per la coesione sociale.

Da circa venticinque anni si assiste alla nascita di strutture finanziarie etiche e alternative, che hanno deciso di affrontare una sfida fondamentale: centrare l’economia sull’essere e non sull’avere, ispirandosi ai principi di cooperazione, fraternità e sostenibilità. Obiettivo precipuo è quello di avere un ruolo di leva economica al servizio dei cittadini, permettendo la creazione di imprese e di posti di lavoro stabili, in sostanza di far ripartire uno sviluppo economico su nuove basi.Mentre la banche tradizionali concedono a fatica prestiti a chi non ha le garan-zie patrimoniali da presentare, le banche etiche premiano i progetti validi, che abbiano un plus di sociale, e permettono a soggetti che sarebbero esclusi dal mercato del lavoro o marginalizzati, come donne, giovani, portatori di handi-cap, ex carcerati, di trovare una propria collocazione, spesso con un contratto di lavoro a tempo determinato.

In Italia il settore vede in prima linea la Banca Popolare Etica, seguita da Etimos e da Cassa Centrale Casse Rurali Trentine, nonchè tutta la galassia delle istitu-zioni che operano nel settore del Microcredito, impegnate anch’esse a fornire finanziamenti agli operatori definiti “non bancabili”.

In Europa ci sono varie esperienze in tutti i paesi, in particolare Francia, Spagna, Belgio, Danimarca, ecc. A livello europeo è stata costituita la “FEBEA” federa-zione europea della finanza e delle banche etiche e alternative, con l’obiettivo di presentare un appello per una “ EUROPA ATTIVA”, per ottenere un riconosci-mento come finanza alternativa e l’applicazione di regole meno rigorose, come

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La crisi e la globalizzazionepubblicato su “Consumi e Servizi”

Giugno 2011

Nel 2005 i cosiddetti “profeti” della globalizzazione ci avevano spiegato che ormai il mondo era diventato “piatto”. Un pianeta in cui, grazie alla tecnologia, le distanze si erano annullate e il mondo non era che un grande campo da gioco in grado di offrire opportunità straordinarie per le imprese, di incrementare gli utili, e per i consumatori, di acquisto di “infinite” merci a prezzi contenuti.

Ma il mondo piatto, cioè dove non solo capitali e merci, ma anche gli uomini, si muovono liberamente, è vulnerabile ed è soggetto ad ogni sorta di crisi ( politico-sociale, economica e naturale), che da locale diventa inevitabilmente globale. I profeti della globalizzazione non si erano preoccupati della nostra capacità di gestire tali rischi.

La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 e il recente terremoto giapponese costi-tuiscono due esempi evidenti di tali rischi e di come , sia i mercati che le società , non sono stati in grado né di prevederli, né di gestirli.

E’ emersa soprattutto la difficoltà nei “sistemi complessi” di valutare i rischi. Gli esperti in campo finanziario e nucleare ci avevano assicurato che le nuove tecnologie avevano pressochè eliminato il rischio di una catastrofe. Ma gli av-venimenti li hanno smentiti categoricamente.

Dobbiamo dedurre che forse, in un mondo meno piatto, ovvero più regolato, tali eventi potrebbero avere impatti meno catastrofici.

quelle previste da “Basilea 3”.

E’ auspicabile che tale obiettivo venga rag-giunto, nell’interesse dell’economia reale, ma non possiamo non evidenziare che il cam-mino sarà molto lungo e pieno di insidie, in quanto la finanza tra-dizionale, malgrado la

recente grave crisi finanziaria, ha rialzato la testa ed è tornata ai livelli anticrisi in termini di posizione dominante e di attività di lobby.

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La crisi della governance globale,l’attacco all’euro e i debiti sovrani

pubblicato su “Consumi e Servizi”Marzo 2012

LA CRISI DELLA GOVERNANCE GLOBALEDopo la crisi finanziaria internazionale, iniziata il 2007 ed esplosa IL 2008 in America (originata, come noto dai mutui subprime), si ritenne necessario, da parte dei più importanti Paesi del pianeta, di darsi nuove regole per la gover-nabilità globale per evitare il collasso dell’economia reale e, per realizzare tale programma, si decise di allargare il consesso degli Stati partecipanti, passando dal “G 8” al “G 20”.

Ma dobbiamo purtroppo rilevare che, nei vari vertici tenuti sull’argomento, i risultati raggiunti sono stati alquanto deludenti in tema di:

1) Lotta ai paradisi fiscali, che in sostanza hanno continuato a prosperare tranquillamente, nascondendo le ricchezze di evasori e criminali;2) Controllo dei derivati, con provvedimenti parziali e in ordine sparso tra Usa ed Europa, senza trovare una soluzione concordata;3) Tassa sulle transazioni finanziarie;4) Controllo dei flussi di capitale;5) Squilibri monetari globali, a partire dai rapporti tra dollaro Usa e Yuan Cinese;6) Politiche di sviluppo per il Sud del Mondo.

Quindi il ruolo di coordinamento che il “G 20” si era assegnato è venuto meno; i pochi tentativi di regolamentazione sono stati lasciati all’iniziativa dei singoli Stati, con il prevalere degli interessi nazionali e i veti reciproci dei Paesi parte-cipanti. I “G20” in definitiva hanno funzionato solo per salvare le Banche, ma non le persone, da eventuali ulteriori future crisi più gravi.

Tutto quanto precede era riportato sulla stampa specializzata, come risultanze di alcuni analisti internazionali fino al giugno 2011 e dimostra ancora una volta che, tutto quello che è successo sui mercati finanziari da agosto in poi non è stato “ un fulmine a ciel sereno”, ma si è trattato di “ nodi venuti al pettine”,

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fenomeno che probabilmente non si poteva eliminare, ma che si doveva tenta-re almeno di arginare. Si calcola che l’economia finanziaria, cioè quella basata sui derivati ed altri titoli tossici, abbia ormai superato da 5 a 8 volte l’economia reale, creando una situazione ormai devastante.

L’ATTACCO ALL’EUROA questo va aggiunto il grave problema dell’Euro, che si è rivelata essere una costruzione molto fragile, basata soltanto sulla moneta unica, ma senza la co-struzione di specifiche istituzioni per le politiche economiche e fiscali, per una politica estera e una strategia militare convincente ( significativo il caso dell’at-tacco alla Libia); il tutto è stato lasciato alle iniziative sparse dei singoli Stati, per arrivare in definitiva al “DIRETTORIO FRANCO-TEDESCO” autonominatosi, in assenza di politiche economiche e finanziarie concordate. Anche in questo caso possiamo dire che i nodi sono venuti al pettine.

I DEBITI SOVRANIPer quanto concerne i “DEBITI SOVRANI”, certamente l’esempio della Grecia, con i bilanci falsificati dalle Banche americane è stato devastante, con le tragi-che conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Il fenomeno della crisi ha poi investito il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna e da ultimo l’Italia.

Per quanto concerne il nostro Paese osserviamo che la bassa crescita fatta regi-strare negli ultimi 15 anni denota una fragilità strutturale di fondo, considerato inoltre l’enorme stock di debito pubblico, che ha raggiunto i 1900 miliardi di Euro.

L’aumento dell’ormai famoso “spread” tra i BTP italiani e i BOND tedeschi, in-torno al 5%, comporta un sensibile incremento della quota interessi, che cer-tamente sottrarrà risorse ai servizi sociali e, in mancanza di serie politiche di sviluppo, porterà ad una situazione di stagnazione, se non ad una recessione.

CONSIDERAZIONI FINALITutta questa serie di fenomeni negativi, dovrebbe forse farci riflettere sul mo-dello di sviluppo finora perseguito e basato sul PIL ( Prodotto Interno Lordo), ovvero sull’incremento della ricchezza comunque prodotta e farci pensare per il futuro ad un nuovo modello di sviluppo eco-sostenibile, che metta al centro la persona e basato sui cosiddetti “ beni comuni” ( acqua, energia, aria, terri-torio, ecc.) e che infine porti al “BIL”, cioè al miglioramento del benessere dei cittadini.

La distribuzione della ricchezza in Italiapubblicato su “Consumi e Servizi” e su “Spunti di riflessione e impegno”

della Caritas diocesana Forlì-BertinoroGennaio 2012

Alcuni economisti e analisti finanziari internazionali hanno di recente espresso l’opinione che l’antefatto della nota crisi finanziaria, iniziata nel 2007 ed esplo-sa nel 2008 in America, sia costituito da un fenomeno che potremmo definire “l’involuzione della distribuzione della ricchezza”, nei paesi industrializzati.

Cioè dall’inizio degli anni novanta e per tutto il primo decennio degli anni 2000, e quindi per un ventennio, si è assistito ad un trasferimento di ricchezza dai ceti poveri e medi, ai ceti più abbienti.

Tale fenomeno in Italia ha avuto una origine di massa nel particolare che gli sti-pendi, i salari e la pensioni hanno subito una riduzione del potere di acquisto, per il parziale adeguamento al costo della vita, mentre altre categorie sociali come dirigenti, industriali, professionisti, commercianti e artigiani sono riusciti a migliorare le proprie posizioni, agevolati in parte dall’elusione e dall’evasione fiscale ( basti pensare ai dati recentemente diffusi dall’Agenzia delle Entrate sui redditi medi denunciati da alcune categorie, come gioiellieri, albergatori, ristoratori, gestori di stabilimenti balneari, ecc.), nonché dalla possibilità di speculare sui prezzi di beni di consumo e dei servizi al momento dell’entrata in vigore dell’Euro.

Un altro esempio eclatante è quello della classe dirigente, sia pubblica che pri-vata, che attraverso “ bonus, stock-option e liquidazioni milionarie”, non sem-pre meritate in considerazione dei risultati raggiunti, si sono arricchiti smisu-ratamente. Si calcola, tanto per avere un ordine di grandezza, che lo stipendio del Prof. Valletta fosse all’incirca 20 volte il salario di un operaio FIAT dell’epoca, mentre quello di Marchionne abbia superato il livello di 2000 volte il salario di un operaio FIAT di oggi. Analoghi esempi potrebbero riguardare altri Ammini-stratori di aziende industriali, bancarie, nonchè di enti e aziende pubbliche.

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Sempre per quanto riguarda il nostro Paese, i dati della Banca d’Italia hanno valutato che la ricchezza netta in possesso dei 24 milioni di famiglie italiane era

pari,nel 2010, a 8640 miliardi (al netto dei mutui e dei prestiti) , a fronte di un debito pub-blico di 1900 miliardi, cioè il patrimonio pri-vato ha un valore di 4,5 volte lo stock del debito pubblico, per cui si può sostenere che per l’Ita-lia non dovrebbe esser-ci rischio di “default”.Vediamo, comunque,

come sarebbe distribuita tale patrimonio:1) Il 50% delle famiglie ( circa 12 milioni), ne possiede il 10% e cioè 860 miliardi di Euro; è la fascia che una volta comprendeva i ceti popolari ( operai e contadini), ma che gradualmente ha investito una parte degli impiegati,degli insegnanti e la massa dei precari e dei cassaintegrati;2) Il 40% delle famiglie (circa 9,6 milioni) ne possiede il 45% e cioè 3890 miliardi di Euro ed è il cosiddetto ceto benestante;3) Il 10% delle famiglie (circa 2,4 milioni), ne possiede il restante 45% , e cioè 3890 miliardi e sarebbe la fascia dei ricchi, all’interno della quale ci sarebbe una ulteriore quota dell’1% di super ricchi.

Peccato che non siamo in possesso dei dati analoghi riferiti al 1990, per poter valutare l’entità di tale fenomeno. Si può comunque affermare che i provvedi-menti governativi per incentivare la crescita e, quindi lo sviluppo economico, dovrebbero contenere politiche di redistribuzione dei redditi, in favore delle classi impoverite, al fine di incrementare i consumi.

Agenzie di rating: il vero problema?pubblicato su “Consumi e Servizi”

Gennaio 2012

La decisione di Standard & Poor’s del gennaio 2012 di declassare i debiti sovra-ni di 9 paesi europei, compresa l’Italia, ha fatto riemergere il problema della disciplina del settore del “rating”.Per analizzare tale problema bisogna partire dal concetto di “rating” e dall’uso che se ne fa oggi sui mercati.

Alcune imprese si quotano in borsa ed emettono obbligazioni ed altri titoli di debito di tipo cosiddetto “primario”. Di queste imprese solo le banche e poche altre istituzioni finanziarie emettono titoli di tipo cosiddetto “secondario”, per lo più collegati a operazioni di finanza strutturata e di cartolarizzazione di attivi. A questi tipi di imprese si uniscono gli Stati e altri enti di tipo sovrano ( Regioni, Comuni,ecc.), che emettono titoli di debito pubblico.

Per i risparmiatori e per chiunque voglia investire in titoli obbligazionari è im-portante conoscere un giudizio di merito, quanto più accurato e indipendente possibile, circa la solvibilità degli emittenti e l’affidabilità dei rispettivi titoli di debito, in sostanza è importante convincersi di poter contare sulla restituzione a scadenza delle somme investite. Esiste pertanto il “rating d’emittente” (issuer rating), riferito ad una impresa o ad uno stato sovrano e il “rating d’emissione” (issue rating), riferito ad una obbligazione o bond specifico dell’emittente stes-so. I “rating” comunemente sono valutazioni richieste dalle stesse imprese che ne pagano i relativi costi di servizio e che vengono divulgati per favorire l’assor-bimento di uno stock di titoli di debito privato. Mentre per i debiti sovrani la procedura di valutazione avviene d’ufficio e senza alcun compenso.

Le principali società di rating sono aziende private e sono essenzialmente tre: Standard & Poor’s e Moody’, entrambe americane e la cui attività inizia nella seconda metà dell’ottocento, e Fitch, di origine francese. Per quanto riguarda Standard & Poor’s, sette sono la classi di giudizio, ovvero di merito del credito e vanno dalla AAA (estremamente forte), alla BBB ( con minimo rischio, ma con deterioramento delle condizioni economiche), alla CCC ( con un giudizio

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di tendenza alla insolvenza, ovvero i cosiddetti “titoli spazzatura”), , più altre quattro classi intermedie. Il “rating”, in definitiva è un giudizio sulla capacità dell’emittente ri ripagare il proprio debito, senza peraltro avere alcuna influen-za sul livello dei tassi di interesse.

Ciò premesso, alla do-manda se i rating fun-zionano, dovremmo rispondere di si, alme-no per il cosiddetto mercato primario, ma dovremmo altresì af-fermare che non sono infallibili; basti ricorda-re i casi ENRON, PAR-MALAT, WORLDCOM e LEHMAN BROTHERS, truffe ideate peraltro,

attraverso frodi contabili, da grandi speculatori, con la complicità di diversi organi di controllo ( dirigenti interni,consulenti e revisori, organi di vigilanza, commissioni di controllo delle borse, fisco e magistratura).Tutto questo non ci induce a prendere per oro colato le Agenzie di rating, che comunque nella grande marea dell’economia finanziaria, sono delle piccole comparse, ovvero degli attori non protagonisti, rispetto alle banche di affari e alle relative lobby di potere.

Potremmo concludere esprimendo l’opinione che può essere accettabile che il “rating” abbia una propria valenza di giudizio per le obbligazioni emesse dalle imprese private, mentre i titoli di debito sovrano dovrebbero essere valutati da organi istituzionali, come potrebbero essere il Fondo Monetario Internaziona-le, la Banca Mondiale o la Banca Centrale Europea. Tale soluzione eviterebbe il sospetto che il collegamento tra le società di rating e la banche di affari ameri-cane, faccia emettere un giudizio politico verso i paesi dell’eurozona, invece di un giudizio economico.

Come va la crisi?pubblicato su Report Osservatorio Povertà e Risorse Caritas diocesana

Aprile 2012

Per comprendere lo stato attuale della crisi finanziaria, iniziata nel 2007 ed esplosa nel 2008 in America, bisogna partire da un fenomeno che potremmo definire “l’involuzione della distribuzione della ricchezza” nei paesi industria-lizzati. Ovvero il fatto che dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso e per tutto il primo decennio degli anni 2000 - e quindi per un ventennio - si è assistito ad un graduale e costante trasferimento di ricchezza dai ceti poveri e medi, ai ceti più ricchi.

In tale contesto, si è innestato il fenomeno prettamente americano dei “mutui subprime”, ovvero dei mutui ad alto rischio, in quanto concessi senza i neces-sari presupposti, sia in termini di valore dell’immobile, che di capacità di rim-borso da parte dei mutuatari. Tale fenomeno, che ha determinato lo scoppio della cosiddetta “ bolla immobiliare”, è stato accompagnato dalla creazione di prodotti finanziari derivati -che hanno invaso tutto il mondo industrializzato- e dall’ incremento sfrenato del credito al consumo, per cui in definitiva si è regi-strata una esplosione del “debito privato”.

Nello stesso periodo, all’interno dell’Eurozona, si è assistito ad un incremento notevole dei “debiti sovrani”, ovvero del debito pubblico di alcuni stati, che ne ha messo a rischio la cosiddetta sostenibilità, sia in termini di corresponsio-ne degli interessi, che di rimborso del capitale.

La crisi che stiamo vivendo, quindi, non è la solita crisi economica - con i suoi andamenti ciclici- che più volte abbiamo vissuto in Italia, e che, sia pure con sacrifici, siamo è riusciti a superare1. Essa è altresì una crisi prevalentemente finanziaria che ha travolto l’economia reale nel suo complesso2, con partico-

1 - Ricordiamo a questo riguardo la crisi medio-orientale (1956), la crisi petrolifera (1973/74) e la crisi monetaria (1992/1993)2 - Si calcola infatti che l’economia finanziaria abbia superato di ben 6/8 volte l’economia reale e che quindi i tracolli e i fallimenti del mondo finanziario trascinino con sé anche soggetti del

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lari riflessi sull’economia di alcuni stati e sui relativi debiti sovrani ( quali Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e la nostra stessa Italia). I protagonisti di questo intreccio perverso sono state le banche di affari, le compagnie di assicurazione, le agenzie di rating e le altre istituzioni finanziarie, che non hanno saputo go-vernare i segnali di crisi nel convincimento che l’economia di mercato avrebbe trovato in sé i necessari correttivi, cosa che purtroppo non è avvenuta. Con l’aggravante che, il grande consesso internazionale dei “G 8” allargato ai “G 20”, per coinvolgere tutti i paesi più influenti, non ha saputo assumere, a causa del prevalere degli egoismi nazionali, i provvedimenti necessari per contrasta-re i fenomeni emersi ( disciplinando il mercato, contrastando i paradisi fiscali, tassando le transazioni finanziarie, controllando i prodotti derivati, ….), e non è stata in grado di programmare ed attuare una exit stategy globale dalla crisi.

Per quanto riguarda l’Italia, stiamo oggi vi-vendo- dopo quella del 2008/2009- una secon-da fase di recessione ( tecnicamente chiama-ta “double dip”),per la quale risulta alquanto difficile fare qualsiasi previsione di supera-mento. Aggiungiamo che il sistema Italia van-ta alcune peculiarità

che costituiscono elementi strutturali di debolezza aggiuntivi per l’economia italiana, e che possiamo riassumere in:

1) una “dilagante corruzione”, non solo a livello politico e di classe dirigen-te pubblica e privata, ma anche a livello di ceto medio, quantificata dalla Corte dei Conti in 60 miliardi l’anno( che pone il nostro Paese al 69° posto nella specifica classifica internazionale sulla trasparenza);2) una “pesante evasione/elusione fiscale”, quantificata dall’Agenzia delle Entrate in circa 120 miliardi l’anno;3) una “economia malavitosa” ( non più localizzata in alcune regioni del Sud, ma che ha ormai invaso tutta l’Italia), difficile da quantificare, ma valu-

mondo produttivo, seppur questi non siano “malati” dal punto di vista della capacità di produr-re e di scambiare merci e servizi

tata in almeno il 15% del PIL nazionale.

Per questi tre fenomeni si ritiene che non sia più sufficiente soltanto una azio-ne repressiva, che va comunque migliorata e resa più efficiente, ma che si tratti anche di un problema di tipo culturale sulla legalità, da affrontare come opera educativa a partire dalle scuole.

Si può dunque concludere che siamo di fronte ad una grave crisi finanziaria, che ha travolto l’economia reale, e che per quel che riguarda l’Italia, è accom-pagnata da una profonda crisi di valori, per la quale è molto difficile poter fare previsioni di superamento della stessa, almeno nel breve periodo. Secondo alcuni esperti sarà infatti difficile parlare di crescita per alcuni anni. Se dunque è questo lo scenario in termini economici, dobbiamo allora auspicare di riu-scire a trasformare tale crisi in una “grande opportunità”, basandoci su di un radicale cambiamento degli stili di vita, passando da una economia di sfrenati consumi, ad una economia di Prossimità, che consenta- attraverso un nuovo protagonismo dei consumatori, come soggetti di scelte diverse- di trasforma-re il mercato in modo da passare dalla logica del PIL ( prodotto interno lordo) a quella del BIL ( benessere interno lordo), come più efficace misuratore della felicità delle Nazioni e dei cittadini.

A questo riguardo, già nel 2009 la Commissione Europea aveva prodotto una comunicazione dal titolo “Non solo PIL – Misurare il progresso del mondo in cambiamento”, in cui metteva in discussione il fatto che il prodotto interno lordo non fosse la migliore unità di misura dello stato di salute del mercato eco-nomico, ma che altresì fosse necessario che le politiche nazionali e comunitarie fossero valutate sulla loro capacità o meno di raggiungere nuovi obiettivi ( so-ciali, economici e ambientali) e di migliorare il benessere dei cittadini europei”, sulla base di cinque linee di azioni:

1) completare il PIL con indicatori ambientali e sociali;2) fornire informazioni quasi in tempo reale a sostegno del processo deci-sionale;3) migliorare l’ informazione sulla distribuzione della ricchezza e disugua-glianze;4) elaborare una tabella europea di valutazione sulla sostenibilità dello svi-luppo;5) estendere le contabilità nazionali alla registrazione dei fenomeni ambien-tali e sociali.

Dobbiamo purtroppo rilevare che la recente crisi dei debiti sovrani e la ne-

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La crisi finanziaria in pillolevademecum per non dimenticare

pubblicato su “Consumi e Servizi”Ottobre 2012

1 - Globalizzazione dei mercati (allargamento del wto alla Cina e agli altri paesi emergenti, senza stabilire alcune regole ) – anni 90;

2 - Abolizione in America della distinzione tra “banche di affari” e “ banche commerciali” e quindi diventano tutte “banche universali” - anno 1999;

3 - Involuzione della distribuzione della ricchezza nei paesi industrializzati, cioè negli ultimi venti anni si e’ registrato un graduale e costante trasferimento di ricchezza dai ceti medi e poveri ai ceti più ricchi;

4- Mutui subprime, bolla immobiliare, creazione di prodotti finanziari derivati, con un intreccio perverso tra banche di affari, compagnie di assicurazioni, so-cietà di rating ed altre istituzioni finanziarie; esplosione del credito al consu-mo; in America anni 2007/2008;

5 - Incapacità di fronte al fallimento del capitalismo basato sul libero mercato che si autoregolamenta, di trovare a livello istituzionale ( dal G8 al G20) i prov-vedimenti necessari per contrastare i fenomeni emersi ( disciplinare i mercati, controllare i prodotti derivati, combattere i paradisi fiscali, tassare le rendite finanziarie ecc.) e quindi l’impossibilità di programmare una exit strategy glo-bale dalla crisi;

6 - Esplosione nell’eurozona dei debiti sovrani;

7 - Fragilità dell’euro, in quanto moneta unica, senza supporto governativo a livello europeo, ma in balia degli egoismi dei singoli stati;

8 - La BCE non e’ una banca come la FED americana, cioè una banca di ultima

cessità di dover controllare l’esasperata crescita dello “spread” ( ovvero del differenziale tra i rendimenti delle obbligazioni decennali tedesche e quelle degli analoghi titoli di stato degli altri Paesi europei) ha indotto anche il nostro Governo ad attuare politiche monetarie di rigore, attenuando l’attenzione sulle tematiche sopra accennate, che andrebbero invece perseguite con mag-gior convincimento.E’ in definitiva un sentiero molto complesso, ma che si dovrebbe percorrere con la speranza di andare incontro a tempi migliori, poiché capaci di generare un sistema economico dal profilo etico volto, in ultima analisi, alla protezione dei più deboli.

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istanza, con poteri anche di stampare moneta per calmierare la speculazione nei mercati; soltanto di recente Mario Draghi è riuscito a farsi autorizzare la costituzione di un “Fondo Salva Stati” con lo scopo di contenere, attraverso l’acquisto di titoli di stato, lo spread di alcuni paesi, in particolare la Spagna e l’Italia;

9 - La crisi finanziaria ha quindi travolto l’economia reale nel suo complesso;

10 - Il vecchio modello di sviluppo potrebbe andar bene per la Germania e gli altri paesi nordici che hanno saputo varare per tempo le riforme necessarie e attuano da sempre politiche fiscali e sociali di rigore, nonché per i paesi emer-genti come i BRICS ( Brasile, Russia, India, Cina e, da ultimo, Sud Africa);

11 - L’economia italiana è invece caratterizzata da alcuni fattori strutturali di debolezza, come una dilagante corruzione, una pesante evasione/elusione fiscale, una economia malavitosa, una crisi della giustizia ( circa 10 anni per una sentenza civile definitiva) il cosiddetto “capitalismo di relazione” (vedere il recente intreccio Mediobanca/Fonsai/Ligresti) e da ultimo l’articolo 18, che infatti non ha impedito licenziamenti di massa per chiusura di stabilimenti, in seguito a fallimenti e/o a delocalizzazioni;

12 - Ai problemi finanziari, vanno aggiunti per il nostro paese i disastri ambien-tali (l’edilizia selvaggia con l’utilizzo per diversi decenni dell’amianto, l’inqui-namento dei corsi d’acqua, la mancanza di una politica industriale - vedere i recenti episodi dell’Ilva di Taranto, della Fiat, dell’Alcoa, solo per citarne alcuni - la gestione dei rifiuti urbani, la TAV ecc.);

13 - Si e’ in definitiva determinata una profonda crisi di valori;

14 - Da questa crisi ed in particolare dalla recessione in atto, difficilmente si uscirà con la crescita, che ormai per noi rappresenta un mito, ma più probabil-mente con un radicale cambiamento degli stili di vita (dalla logica del PIL al BIL, ovvero al benessere e al buonvivere);

15 - Quindi una distinzione tra diritti sociali (beni comuni, acqua, salute, istru-zione, abitazione) e desideri (beni superflui, come apparecchi elettronici con corsa sfrenata a quelli di ultima generazione: telefonini, I-pod, I-phone, smar-tphone, ecc.)

16 - Altra illusione si sarebbe rivelata, secondo alcuni analisti, il sostenere che

l’industria delle armi rappresenti una fonte importante di ricerca e innovazio-ne, mentre è certamente fonte di morte, di distruzione e di corruzione (vede-re le recenti dichiarazioni di Guarguaglini sulle tangenti della Finmeccanica); è stato dimostrato che le stesse risorse investite in altri settori avrebbero dato risultati migliori e quindi l’opportunità di far ricorso ad una finanza etica;

17 - L’economia reale, oltre ad una crisi generalizzata, presenta uno stato di pro-fonda crisi in settori fondamentali (l’automobile e l’edilizia, con preoccupanti conseguenze occupazionali, i cui effetti negativi, alquanto pesanti, si vedranno a partire dal prossimo autunno). Dobbiamo vivamente augurarci di non dover assistere ad ulteriori tragedie, come il suicidio del forlivese Angelo Di Caro;

18 - Purtroppo la necessità di dover controllare l’esasperata crescita dello spre-ad (ovvero del differenziale tra i rendimenti delle obbligazioni decennali tede-sche e quelli degli analoghi titoli di stato degli altri paesi europei) ha indotto an-che il nostro governo ad adottare politiche monetarie di rigore che in sostanza, hanno colpito, impoverendoli ulteriormente, i ceti medi e poveri; ancor peggio è avvenuto in Grecia, dove ci sono stati certamente gli errori della classe poli-tica, ma i rimedi adottati dalla troika (BCE , FMI e COMMISSIONE EUROPEA), non solo non hanno prodotto i risultati auspicati, ma hanno peggiorato sensi-bilmente le condizioni di vita della popolazione;

19 - Secondo gli economisti Premi Nobel americani KRUGMAN e STIGLITZ le politiche di rigore adottate in una economia in fase di recessione, determinano una spirale perversa negativa, ovvero una contrazione dei consumi, una dimi-nuizione delle entrate fiscali, una sfiducia nel futuro da parte dei consumatori e una riduzione dei programmi di investimento per gli imprenditori; analoga-mente KEYNES sosteneva che le politiche di rigore vanno attuate soltanto in una economia in fase di crescita;

20 - Tutto quanto precede ci deve, in definitiva, far riflettere sul fallimento di un modello di sviluppo, forse non più recuperabile e quindi sulla necessità di trovare una nuova soluzione, con il passaggio da una economia di sfrenati con-sumi ad una economia di prossimità; parallelamente può trovare un ruolo importante la cosiddetta “economia civile di mercato”, che ha avuto un suo sostegno, in particolare, nelle cooperative sociali.