la crisi dell’euro: cause e rimedi_intervento francesco boccia

6

Click here to load reader

Upload: francescoboccia

Post on 08-Jul-2015

49 views

Category:

Government & Nonprofit


0 download

DESCRIPTION

Lectio magistralis Stiglitz, Camera dei Deputati 230914

TRANSCRIPT

Page 1: La crisi dell’euro: cause e rimedi_Intervento Francesco Boccia

1

La crisi dell’euro: cause e rimedi

Prima questione: crisi dell’euro o crisi dell’eurozona?. Il tema va circoscritto alla

moneta o coinvolge il complessivo quadro macroeconomico della zona?. Il dato di

fatto1 è che attualmente quella europea è l’unica importante economia del pianeta

(insieme a quella giapponese, ma quest’ultima ha troppe specificità per essere

agevolmente comparabile) a non crescere, configurandosi come un’area che,

pertanto, perde progressivamente peso rispetto a tutte le altre, in particolare quella

americana, cinese e quelle di altri paesi emergenti. Ma è anche l’area che, a fronte di

circa il 25% del prodotto lordo mondiale e del 7% della popolazione, sostiene il 50%

delle spese mondiali per il welfare: spese che, com’è noto, la bassa dinamica

demografica tende a far crescere. Un dato che, a prescindere da giudizi di merito,

pesa sulla competitività, euro o non euro.

Seconda questione: all’inizio della crisi, alla fine del 2007, l’area euro si presenta

con un debito pubblico (mediamente il 66,4% nei 17 paesi della zona euro) ed una

spesa pubblica, al 2008 (45 % del Pil.) superiore a quella degli altri paesi avanzati

(Giappone a parte), e tali due fattori conferiscono ai paesi dell’area un minor

margine per stabilizzare il ciclo, indipendentemente dagli effetti della moneta.

Ciò accennato, una riflessione sulle regole europee sembra al momento

opportuna.

Si tratta di regole che in presenza di una situazione di bassa crescita e di

deflazione vanno riconsiderate? Potrebbe essere il caso dell’effetto congiunto

della regola del pareggio di bilancio (rectius, Obiettivo di medio termine, Mto) e

regola sul debito. Occorre ricordare come la regola del rispetto del Mto è più

stringente della seconda, e in condizioni normali, il rispetto della prima implica il

rispetto della seconda. Le condizioni normali sono quelle in cui il Pil nominale

cresce, sia pur di poco, anche in assenza di crescita reale, per l’aumento del

livello generale dei prezzi. Poiché, con riguardo agli effetti sul debito, ciò che di

esso va ridotto di un ventesimo in media all’anno, ai sensi del Six-Pack, non è lo

stock di debito in valore assoluto, bensì il rapporto tra due variabili espresse in

termini nominali (il debito a numeratore, il Pil a denominatore), si può dimostrare

che, in presenza di un sostanziale equilibrio di bilancio (assenza o quasi di

nuovo indebitamento, vale a dire rispetto dell’Mto), la crescita del Pil nominale

tende a ridurre il rapporto debito/Pil, con la possibile conseguenza che

possono evitarsi manovre correttive addizionali (oltre a quelle per mantenere

l’equilibrio). Il problema si pone, invece, quando il Pil nominale si riduce. Un

evento che, nel nostro Paese è capitato finora solo tre volte del dopoguerra2, ma

tutte e tre nel corso della crisi economica post-2008: nel 2009, nel 2012 e nel

1 Corriere della sera 15 agosto 2014 a firma D.Taino.

2 In attesa di vedere come andrà nel 2014, che rischia di essere la quarta volta.

Page 2: La crisi dell’euro: cause e rimedi_Intervento Francesco Boccia

2

2013. A questa situazione, fonte di possibili gravi problemi – anzi gravissimi –

non sembra assolutamente possibile farsi fronte con la incerta flessibilità

prevista attualmente dalla complessa impalcatura delle regole europee:

flessibilità non trasparente, ma soprattutto né sufficiente, né abbastanza certa e

tempestiva da compensare, nelle situazioni più gravi - come quella italiana, la

mancanza di una politica anticiclica discrezionale di livello europeo (quale

sarebbe consentita da un robusto bilancio federale, come negli Stati Uniti) o

quantomeno coordinata in modo vincolante tra tutti i paesi dell’Unione monetaria.

Se inoltre, come molti ritengono – ma la questione è al momento controversa -

la riduzione del Pil potenziale fosse da attribuirsi in misura rilevante alle politiche

di austerity avviate in tutta l’Eurozona su spinta della Commissione, avremmo il

paradosso che una riduzione della crescita potenziale innescata da politiche di

bilancio restrittive provoca un peggioramento dei saldi strutturali, i quali

dovrebbero portare a ulteriori misure di austerity. Ci si troverebbe allora in

presenza non solo in una assenza di strumenti – la possibilità della politica

europea anticiclica – ma piuttosto in un situazione di dannosità delle regole.

Ma nel frattempo quali potrebbero essere i possibili rimedi?

1) Giavazzi-Tabellini ritengono che la stagnazione dell’Eurozona richieda

un’azione politica coordinata tra gli Stati. Tra gli interventi chiave, significativo

taglio delle tasse, estensione degli obiettivi di disavanzo di bilancio ed emissione

di debito pubblico a lungo termine, acquistato dalla Bce, senza sterilizzazione. In

sintesi “quantitative fiscale insieme al quantitative easing”. Quest’ultimo è un

importante strumento per far ripartire l’economia, ma se ci si affida solo ad esso

si sopravvaluta il potere della politica monetaria.

La sfida principale che l’Eurozona si trova ad affrontare è infatti la mancanza di

domanda aggregata: un problema molto più importante rispetto a squilibri interni

o mancanza di competitività in periferia.

Alla fine del 2013:

• i consumi privati nella zona euro sono stati del 2 per cento inferiori rispetto al

2007;

• gli investimenti privati sono diminuiti del 20 per cento in confronto ai dati

registrati nel 2007;

• i prezzi alla produzione sono in calo da oltre un anno.

L’unica nota positiva è l’aumento delle esportazioni di quasi il 10 per cento

dalla fine del 2013.

Negli Stati Uniti, invece, Pil e consumi privati sono del 6-7 per cento superiori

rispetto a sei anni fa e anche gli investimenti sono più alti del livello pre-crisi.

Se il problema è la mancanza di domanda, allora, ritengono i due economisti,

la soluzione può essere trovata solo a livello europeo. La politica fiscale è

Page 3: La crisi dell’euro: cause e rimedi_Intervento Francesco Boccia

3

vincolata dal Patto di stabilità e la politica monetaria è nelle mani della Bce.

Inoltre, gli effetti di ricaduta tra gli Stati membri fanno sì che uno sforzo

coordinato per rilanciare la domanda aggregata siano più efficace rispetto a

isolate azioni specifiche di singoli paesi.

Che cosa si può fare quindi per aumentare la domanda aggregata nella zona

euro?.

• Tutti i paesi dovrebbero varare un significativo taglio delle tasse, per

esempio dell’ordine del 5 per cento del Pil.

• Per ridurre il deficit di bilancio creatosi in seguito al taglio delle tasse, i paesi

dovrebbero avere a disposizione un certo numero di anni (almeno tre o quattro) e

dovrebbero cercare di raggiungere questo obiettivo attraverso una combinazione

di maggiore crescita e minori spese.

• Per finanziare ulteriori deficit, gli Stati membri dovrebbero emettere debito

pubblico a lungo termine, con scadenza a 30 anni, per esempio.

Il debito supplementare dovrebbe essere acquistato integralmente dalla

Bce, senza alcuna sterilizzazione corrispondente, e gli interessi sul debito

dovrebbero essere restituiti agli azionisti della Banca centrale come signoraggio.

Come dimostra la recente esperienza di altri paesi avanzati, la chiave per il

successo della gestione della domanda aggregata è in una giusta

combinazione di espansione monetaria e fiscale. Il quantitative easing di

per sé non servirebbe a molto per rilanciare il credito bancario e la spesa

privata: il credito in Europa passa principalmente attraverso le banche e non nei

mercati finanziari.

D’altra parte, l’espansione fiscale senza allentamento monetario sarebbe quasi

impossibile: il debito pubblico in circolazione è già troppo elevato in molti paesi.

Invece, una simultanea espansione monetaria e fiscale stimolerebbe la

domanda aggregata sia in modo diretto che indiretto, attraverso un tasso di

cambio svalutato. E la conseguente inflazione temporaneamente più elevata

sarebbe utile, in quanto ridurrebbe il problema dell’eccesso di debito e

faciliterebbe il raggiungimento dell’obiettivo di stabilità dei prezzi in capo alla Bce.

Se le obiezioni politiche dovessero impedire un’azione coordinata per

rilanciare la domanda aggregata, entro qualche mese la Bce sarà comunque

costretta ad avviare un quantitative easing, per cercare di combattere la

deflazione. Ma questo non funzionerà. E l’Eurozona rimarrà in depressione,

alimentando così sentimenti anti-europei tra i suoi cittadini.

2) Roberto Perotti non condivide però questa proposta (i paesi dell’Eurozona

dovrebbero tagliare le tasse simultaneamente del 5 per cento del Pil, e la Bce

dovrebbe comprare il debito pubblico risultante. Allo stesso tempo, questi paesi

dovrebbero presentare dei piani credibili per la riduzione della spesa pubblica

Page 4: La crisi dell’euro: cause e rimedi_Intervento Francesco Boccia

4

futura) rilevando come essa comporti, per l’Italia, un taglio alle tasse di 80

miliardi, finanziato dalla Bce e accompagnato da una riduzione della spesa

futura.

Ma nessun paese, nota Perotti, ha mai prodotto un piano credibile di riduzione

di spesa così enorme, e comunque, il piano non funzionerebbe.

Certo, un piano di riduzione della spesa è necessario, ma deve essere, per

l’appunto, credibile. Parecchie economie europee, come l’Italia o la Francia,

hanno bisogno di ridurre permanentemente le tasse. Il vincolo di bilancio

intertemporale dello Stato comporta però che questo può essere ottenuto solo

riducendo la spesa pubblica permanentemente. Un così enorme taglio delle

tasse (del 5 per cento) può essere interpretato come un modo di anticipare i

benefici del taglio medesimo, mentre si attende che i tagli di spesa si

materializzino. Perché questo funzioni, è necessario appunto un piano credibile

di riduzione della spesa in futuro.

Perché? Nel mondo reale, il debito pubblico è rischioso, e ai mercati non piace

che esso cresca, soprattutto in paesi con un alto livello di spesa e debito pubblici.

Senza un piano credibile di riduzione della spesa in futuro, di fronte a un taglio

delle tasse gigantesco come quello proposto da Giavazzi e Tabellini i mercati

finanziari reagirebbero negativamente, perché vedrebbero un ritorno alle

politiche di bilancio irresponsabili del passato; questo avrebbe effetti pesanti sul

settore bancario, ancora molto esposto al debito sovrano, come nel 2011. Il

tentativo di espandere la domanda aggregata attraverso un taglio delle tasse si

trasformerebbe in un boomerang.

Il problema di fondo è che è praticamente impossibile produrre un piano

credibile di riduzione della spesa futura, tantomeno per l’importo enorme che un

taglio delle tasse del 5 percento comporterebbe. L’esempio più chiaro è offerto

dai due piani di consolidamento fiscali più celebri, la Finlandia e la Svezia negli

anni novanta. Tra il 1992 e il 1996, secondo gli annunci ufficiali la Finlandia

avrebbe dovuto ridurre il disavanzo dell’11,4 percento del Pil, di cui 12,1 percento

del Pil in tagli alla spesa; gli stessi numeri per la Svezia erano del 10,6 e del 6,8

percento del Pil, rispettivamente. Tuttavia, questi erano gli annunci; la realtà fu

molto differente. Alla fine di quel quinquennio, la Finlandia ridusse la spesa

pubblica di solo lo 0,4 percento del Pil (contro previsioni di un taglio del 12,1

percento!), la Svezia del 3,6 percento.

Il problema è ancora più complicato perché, ritiene Perotti, la promessa di

monetizzazione del taglio alle tasse della proposta di Giavazzi e Tabellini crea un

insormontabile problema di azzardo morale. Si potrebbe pensare che, se le

cose non dovessero andare come ci si aspetta, si possono sempre ritirare i tagli

alle tasse. Ma un paese come l’Italia non ha mai sperimentato un taglio

discrezionale alle tasse di più del 0,5 percento del Pil. Un taglio e poi un

aumento di tasse di una cifra come 80 miliardi di euro, creerebbero un disastro

politico, ed enorme incertezza economica.

Page 5: La crisi dell’euro: cause e rimedi_Intervento Francesco Boccia

5

Non tutti i disavanzi di bilancio sono uguali. Una cosa è un disavanzo

temporaneo per ricapitalizzare il sistema bancario in un paese con basso debito

e con una storia di politiche fiscali responsabili, come in Gran Bretagna dopo la

crisi finanziaria. Un’altra cosa è un disavanzo di bilancio senza un piano credibile

per ridurre le spese future, in un paese ad alto debito pubblico, con una storia di

politiche di bilancio irresponsabili e con governi tradizionalmente deboli.

Per un tale paese, l’unica alternativa possibile per raggiungere lo scopo più

importante – ridurre le tasse – è di tagliare le tasse insieme alla spesa. Questo

processo richiede tempo, e funzionerà incrementalmente, miliardo di risparmi

di spesa dopo miliardo. Ma è l’unico approccio realistico. L’alternativa non

raggiungerebbe il proposito di aumentare la domanda.

3) La questione rimane comunque al momento ancora incerta, come espone

la replica di Giavazzi/Tabellini, secondo i quali c’è un consenso quasi unanime

tra gli economisti sul fatto che le politiche anti-cicliche messe in atto negli Stati

Uniti e nel Regno Unito, accompagnate da un eccezionale allentamento

monetario, abbiano contribuito a stabilizzare le fluttuazioni cicliche e spieghino la

ripresa molto più veloce di queste economie rispetto all’Eurozona (sebbene

l’epicentro della crisi finanziaria sia stato proprio nei paesi anglosassoni e non

nell’Europa continentale). L’affermazione (di Perotti) che nelle condizioni attuali

una politica fiscale anticiclica accompagnata da quantitative easing sia

economicamente destabilizzante è quindi ritenuta difficile da comprendere,

anche se fosse realizzata interamente attraverso riduzioni di imposte non

accompagnate da tagli di spesa futuri.

Come si è visto, notano Giavazzi/Tabellini, nei paesi anglosassoni il ritorno della

crescita ha contribuito in maniera rilevante a riassorbire i disavanzi. E questo è

esattamente il punto: accadrebbe lo stesso anche nell’Eurozona.

Tra il 2009 e il 2013, dopo che l’output gap nell’Eurozona è passato dal +3,2 per

cento al -3 per cento, il saldo di bilancio complessivo aggiustato per il ciclo si è

ridotto di circa 4 punti percentuali di Pil. In alcuni paesi, la restrizione pro-ciclica è

avvenuta principalmente attraverso tagli alla spese (in Spagna in particolare) ed

è stata più innocua. Altrove, come in Italia, si è basata interamente su un

inasprimento delle tasse e ha prodotto una grave e duratura recessione. Parte

del taglio alle tasse che viene proposto, rilevano gli autori, semplicemente

cancellerebbe gli aumenti pro-ciclici delle imposte varati in questi paesi al

culmine della crisi del debito sovrano. Quando redditi e prezzi cominceranno di

nuovo a salire, una parte dell’espansione di bilancio si ridurrà automaticamente

senza la necessità di alcun intervento, come è avvenuto negli Usa e nel Regno

Unito.

La sequenza corretta, dal punto di vista sia economico che politico, è dunque

una sostituzione intertemporale: tagli alle tasse espansivi ora per far ripartire la

crescita e tagli alla spesa via via che l’economia si riprende. Per dare credibilità

Page 6: La crisi dell’euro: cause e rimedi_Intervento Francesco Boccia

6

alle misure future, i tagli di spesa potrebbero essere votati subito dal Parlamento,

rimandandone però avanti nel tempo l’entrata in vigore, e con un impegno di

legge (una clausola di salvaguardia) ad alzare le tasse di un ammontare

corrispondente se i tagli alla spesa dovessero essere abbandonati.

La strategia alternativa suggerita da Perotti – passi incrementali e simultanei

per ridurre spesa e tassazione allo stesso tempo – può funzionare in tempi

normali, ma, ritengono Giavazzi/Tabellini, è politicamente troppo difficile da

percorrere nelle attuali circostanze. Inoltre, e più importante, non coglie

assolutamente il punto centrale: in questo momento è necessario un importante

sforzo coordinato per far ripartire la domanda aggregata nell’Eurozona. Non si

può lasciare questo compito alla sola Bce, pena il fallimento.

4) Da ultimo, la posizione del CER, nel suo recente rapporto n.2 del 2014.

Le incertezze del quadro internazionale evidenziano i ritardi della politica

economica europea. La normalizzazione della politica monetaria statunitense e

l’aggiustamento dei paesi emergenti sono infatti fenomeni fisiologici rispetto agli

andamenti osservati negli ultimi sei anni, ma di fronte ad essi l’Eurozona si trova

in posizione di vulnerabilità. L’attenzione quasi esclusiva dedicata al tema della

restrizione fiscale e alle procedure di sorveglianza reciproca contribuisce infatti a

prolungare il vuoto di domanda interna, esponendo il ciclo europeo alle

fluttuazione del commercio mondiale. Allo stesso tempo, l’enfasi posta sulle

riforme strutturali perde di credibilità, perché gli effetti di queste ultime dipendono

strettamente dalla presenza di un ambiente espansivo esterno, come quello che

poté sfruttare la Germania nella prima parte del passato decennio.