La Consulenza di Processo

Il problema della collaborazione

� Uno dei problemi che si presentano al consulente con maggiore frequenza consiste nella scelta del modo in cui essere di aiuto in situazioni nelle quali esiste una reale alternativa tra:

� fornire consigli, indicando ad altri cosa fare, sostenendo il ruolo di esperto;

� aiutare i clienti a trovare da sé la soluzione, facilitandone i ragionamenti di ricerca.

La consulenza può significare … (I)

� Fornire informazioni che non sono disponibili altrimenti.

� Analizzare informazioni per mezzo di tecniche specialistiche di cui i clienti non dispongono.

� Diagnosticare problemi organizzativi o aziendali complessi.

� Addestrare i clienti all’uso di strumenti di supporto ai processi decisionali.

� Ascoltare, sostenere, confortare e dar consiglio nei momenti difficili.

� Aiutare ad eseguire decisioni difficili o impopolari.

� Premiare o punire certi tipi di condotta, avvalendosi della prerogativa di osservatore indipendente esterno come fonte di particolare autorevolezza.

� Sbloccare o attivare i flussi informativi verso livelli gerarchici superiori o equidistanti.

� Prendere decisioni e impartire ordini sul da farsi se, per qualche motivo, il management operativo non è in grado di farlo.

� Assumere la responsabilità delle decisioni, attenuare l’ansietà derivante dall’incertezza relativa al futuro, fornire solidità emotiva per aiutare gli altri a superare le situazioni difficili.

La consulenza può significare … (II)

Modelli di consulenza e loro assunti

impliciti

� Il miglior modo di operare una distinzione tra processi di consulenza e aiuto consiste nell’analizzare i loro assunti impliciti su clienti, natura dell’aiuto, ruolo del consulente e natura della realtà in cui cliente e consulente operano

I 3 modelli

� I 3 modelli di consulenza proposti da Schein (1992; 2001) possono essere considerati sistemi operativi diversi e sono caratterizzati dai 3 diversi ruoli in cui i consulenti possono operare nello svolgimento del loro lavoro.

� Secondo l’autore il motivo principale perché si debba distinguere fra i modelli è che chi dà aiuto deve scegliere secondo il momento quale ruolo assumere o quale tipo di aiuto offrire, ma tutti e tre i modelli implicano che l’aiuto è la funzione centrale della consulenza

Principio 1: cerca sempre di essere d’aiuto

� La consulenza consiste nel fornire aiuto. Ovviamente, quindi, se non ho intenzione di rendermi utile e di impegnarmi in questo sforzo è improbabile che riesca a creare una relazione d’aiuto. Se possibile ogni contatto dovrebbe essere visto in questa luce

Principio 2: rimani sempre aderente alla

realtà

� Non posso fornire aiuto se non conosco la realtà di quello che succede in me e nel sistema cliente, pertanto ogni contatto con qualunque persona del sistema cliente dovrebbe fornire sia al cliente sia a me informazioni diagnostiche sullo stato attuale del sistema cliente e sulla relazione esistente tra il cliente e me.

Modello1: il modello di acquisizione di

informazioni o di competenze

� Il punto centrale di questo modello consiste nel fatto che il cliente ha già identificato e definito il problema, ha già individuato il tipo di intervento necessario e anche a chi bisogna rivolgersi per ricevere tale aiuto.

Condizioni di efficacia

� Il cliente ha eseguito una diagnosi corretta del problema.

� Il cliente ha comunicato il problema e la natura dell’esperienza o dell’informazione da acquisire.

� Il cliente ha accertato che il consulente dispone realmente delle capacità e competenze professionali richieste.

� Il cliente ha riflettuto e accettato le potenziali conseguenze derivanti dall’ottenimento delle informazioni o del servizio richiesto.

� Può essere necessario verificare l’esistenza o meno di una realtà esterna che possa essere studiata per ricavarne conoscenza utili al cliente.

Principio 3: riconosci la tua ignoranza

� L’unica maniera in cui mi sia possibile scoprire la mia realtà intrinseca consiste nell’apprendere a distinguere quello che so da quello che presumo di sapere, e da quello che non so affatto.

Modello 2: il modello medico-paziente

� Il punto centrale di questo modello consiste nel fatto che, in questo caso, viene conferito al consulente il compito aggiuntivo di effettuare una diagnosi del problema e di indicare le informazioni e le competenze necessarie a risolverlo.

� In questo caso il cliente delega al consulente non solo l’incarico di trovare un rimedio ma anche il compito di “diagnosticare” la malattia.

Condizioni di efficacia (I)

� Il processo di diagnosi deve essere considerato utile di per sé.

� Il cliente interpreta correttamente i sintomi nell’organizzazione e localizza l’area “malata”.

� La persona o il gruppo definito “malato” fornisce le informazioni pertinenti e necessarie per formulare una diagnosi valida.

� Il cliente comprende e interpreta correttamente la diagnosi fornita da consulente e si attiene alla prescrizioni, qualunque esse siano.

� Le conseguenze derivanti dall’applicazione dei processi diagnostici sono o meno perfettamente comprese e accettate.

� Il cliente è in grado o meno di attuare i cambiamenti consigliati.

Condizioni di efficacia (II)

Principio 4: qualsiasi azione costituisce

intervento

� Come ogni interazione rivela informazioni diagnostiche, allo stesso modo porta conseguenze sia al cliente sia a me. Devo quindi sentirmi responsabile di tutto quello che faccio e valutarne le conseguenze, per assicurarmi che corrispondano al mio proposito di creare una relazione d’aiuto.

Modello3: il modello della consulenza di

processo

� La principale caratteristica di questo modello sta nel modo in cui il consulente imposta la relazione con il cliente, non in ciò che il cliente fa.

� L’avvio del processo può essere simile agli altri due modelli: il cliente richiede delle informazioni, invita il consulente a fare una diagnosi o richiede qualche altro tipo di aiuto, tuttavia questo approccio non obbliga il consulente a rispondere alla lettera alla richiesta esplicita del cliente.

Premessa centrale

� La premessa centrale di questo modello è che il cliente “possiede” il problema all’inizio e per tutta la durata del processo di consulenza.

� Il consulente può aiutare il cliente a trattare il problema ma senza mai “appropriarsene”.

� Diviene fondamentale in questa fase che il consulente chiarisca la sua posizione.

3 ragioni fondamentali…

1. L’interpretazione del consulente può essere in qualche modo errata perché è probabile che intervengano fattori culturali, politici e personali latenti.

2. Anche se il consulente è nel giusto, è probabile che il cliente sia diffidente o non ascolti quanto gli viene suggerito.

3. Il cliente, quand’anche accetti la diagnosi del consulente, potrebbe no riuscire ad effettuare da sé tali diagnosi in futuro.

Condizioni di efficacia (I)

� I clienti ignorano che cosa esattamente non funziona e hanno bisogno di essere aiutati. Tuttavia il problema appartiene a loro.

� I clienti hanno bisogno di essere aiutati a sapere quale tipo di aiuto devono cercare e capire che cosa si debba migliorare e in che modo si debba farlo.

� Solo i clienti sanno che cosa in realtà potrà funzionare nella loro organizzazione.

� La funzione centrale della consulenza di processo è quella di trasmettere le competenze necessarie a diagnosticare e intervenire in maniera costruttiva, permettendo in tal modo ai clienti di migliorare la propria capacità di continuare autonomamente.

� La consulenza di processo impegna il cliente in un processo di apprendimento generativo a due sensi.

� Il modello delle competenze e quello medico-paziente risolvono il problema, mentre la consulenza di processo si propone di incrementare la capacità di imparare del sistema cliente per fare in modo che questo in futuro possa risolvere da solo i propri problemi

Condizioni di efficacia (II)

Principio 5: problema e soluzione

appartengono al cliente

� È mio compito creare una relazione in cui il cliente abbia la possibilità di ricevere aiuto. Non è invece mio compito prendere esclusivamente sulle mie spalle i problemi del cliente, né offrire consigli e soluzioni per situazioni diverse da quelle in cui vivo. La realtà è solo che il cliente deve vivere con le conseguenze del problema e della soluzione, quindi non mi è lecito sollevarlo da ogni responsabilità.

Possibili reazioni e sentimenti del cliente

� Risentimento e atteggiamento difensivo (contro-dipendenza).

� Sollievo per aver condiviso problemi e frustrazione con qualcuno che potrebbe essere in grado di dare aiuto.

� Dipendenza e subordinazione che il cliente manifesta ricercando soprattutto rassicurazione, consigli e appoggio.

� Transfert basato su esperienze passate in materia di consulenti, di percezioni e sentimenti sul consulente attuale.

Possibili reazioni e sentimenti del

consulente � Utilizzare il potere e l’autorità concessagli per dispensare consigli

e con ciò aggravare ulteriormente la posizione del cliente.� Accettare la dipendenza e reagire in maniera esagerata alla

stessa, in genere dispensando appoggio e rassicurazione anche nei casi in cui questo sia inopportuno.

� Reagire ai meccanismi di difesa aumentando la pressione.� Rifiutare di dar corso alla relazione perché la rinuncia alla

posizione di “potere” derivante dalla propria posizione richiedeche il consulente possa essere influenzato ad apportare dei cambiamenti alla propria percezione della situazione.

� Contro-transfert, vale a dire proiezione sul cliente da parte del consulente di sentimenti e percezioni che ricreano relazioni consulente/cliente del passato.

La relazione d’aiuto

Negoziare ruolo e posizioni impliciti

� Nelle prime fasi della relazione né il consulente né il cliente posseggono una quantità di informazioni sufficiente allo sviluppo del contratto definitivo.

� Si può parlare di esplorazione delle reciproche attese.

Costruzione della relazione attraverso

l’accettazione reciproca

� Il metodo migliore per descrivere questo processo consiste nel considerarlo una serie di test reciproci intesi a controllare fino a che punto ognuna delle due parti possa accettare l’altra.

Principio 6: segui la corrente

� Tutti i sistemi cliente sviluppano delle culture e tentano di proteggere la propria stabilità mantenendole in vigore. Tutti i clienti individuali presentano personalità e stili propri. Pertanto dato che ignoro quali siano queste realtà culturali e personali, devo scoprire le aree motivazionali del cliente e la sua disponibilità a cambiare, e incominciare a costruire su di esse.

Il processo di ricerca attiva

� Il processo della ricerca attiva ha diversi scopi:

� incrementare prestigio e fiducia del cliente;� raccogliere tutte le informazioni possibili sulla

situazione corrente;� indurre il cliente a partecipare al processo di

diagnosi e pianificazione operativa.

Tipi di ricerca attiva (I)

� Ricerca di base. Il cliente controlla sia il processo, sia il contenuto del colloquio.

� Il consulente ha il compito di stimolarlo a raccontare la sua storia e di ascoltarlo con attenzione e obiettività.

� Alcune possibili domande…� Qual è la situazione?� Mi può spiegare cosa sta succedendo?� Che cosa accade?� Mi descriva la situazione.� Mi dica ancora qualche cosa.

Tipi di ricerca attiva (II)

� Ricerca diagnostica. Il consulente inizia a gestire il processo d’analisi ed elaborazione del contenuto, senza però intervenire con osservazioni, suggerimenti, consigli o criteri di scelta.

� Alcune possibili domande…� Indagini sulle reazioni emotive:� Come si è sentito?� Quale reazione ha avuto?� Che cosa ha provato?� Come hanno reagito gli altri?

� Indagini sulle ragioni di azioni e avvenimenti:� Perché ha agito così?� Perché pensa che questo sia avvenuto?� Perché gli altri hanno agito in questo modo?

� Indagini sulle azioni passate, presenti e future:� Che cosa ha fatto a questo proposito?� Che cosa ha intenzione di fare?� Che cosa hanno fatto gli altri?� Quali scelte ha?� Che cosa dovrebbe fare?

Tipi di ricerca attiva (III)� Ricerca di confronto. Il consulente espone le proprie

osservazioni e reazioni personali su processo e contenuto della storia. Così facendo “obbliga” il cliente a pensare alla situazione da un nuovo punto di vista.

� Alcune possibili domande� Osservazioni sul processo:

� Forse avrebbe potuto fare …� Ha pensato a …?� Perché non ha fatto …?� Ha preso in considerazione queste altre soluzioni?� Potrebbe fare …

� Osservazioni sul contenuto:� Ha riflettuto sulla possibilità che la sua reazione sia stata

eccessiva?� Non ha provato collera?� Forse la situazione era in realtà un po’ diversa da come le è

sembrata …

Principio 7: la scelta del momento è

fondamentale

� Uno stesso intervento una volta funziona e un’altra fallisce. Devo pertanto mantenere costantemente un atteggiamento di ricerca attiva e attendere il momento in cui il cliente appaia disposto a concedermi la sua attenzione.

Principio 8: sappi approfittare in maniera

costruttiva delle occasioni per mezzo di

interventi di confronto

� Tutti i sistemi cliente hanno zone di instabilità e apertura in cui esiste la motivazione al cambiamento, cerco di cogliere il momento opportuno e di trarne il massimo vantaggio.

Principio 10: in caso di dubbio, condividi il

problema

� Mi trovo spesso nella situazione di non sapere che cosa fare, quale tipo di intervento potrebbe essere adatto. È spesso utile, in situazioni di questo genere, condividere il problema con il cliente e decidere con lui il da farsi.

Principio 9: tutto è fonte di dati, gli errori

sono inevitabili, fanne occasione di

apprendimento

� Potrò sempre dire e fare cose capaci di produrre nel cliente reazioni inaspettate e indesiderabili. Non potrò mai conoscere la realtà del cliente così bene da evitare errori, ma ognuno di essi provoca reazioni da cui posso imparare a migliorare questa conoscenza.

Tipi di clienti (I)

� Clienti iniziali o di contatto. Chi contatta per primo il consulente con una richiesta, una domanda o un problema.

� Clienti intermedi. Le persone o gruppi che partecipano a interviste, riunioni e altre attività nel corso del progetto.

� Clienti primari. Chi ha la proprietà del problema o della questione alla quale si sta lavorando. In genere solo loro a pagare il conto o finanziare con il proprio budget il progetto di consulenza.

� Clienti involontari. Membri dell’organizzazione o sistema di clienti, superiori, inferiori o colleghi del cliente primario, che subiranno gli effetti degli interventi, ma senza essere coscienti

Tipi di clienti (II)

� Clienti finali. La comunità, l’organizzazione nel suo complesso, o qualsiasi altro gruppo di cui il consulente si occupa e il cui interesse deve essere tenuto in considerazione in occasione di qualsiasi intervento consulenziale.

� Clienti non interessati. Possono essere coinvolte persone che si rendono conto di quanto succede ed essere interessate a rallentare l’azione di supporto o a mettervi fine.

Tipi di clienti (III)

7 livelli di problema

1. Livello individuale.2. Livello interpersonale.3. Livello di gruppo.4. Livello intergruppo.5. Livello organizzativo.6. Livello interorganizzativo.7. Livello grandi sistemi.

 PROCESSI INTRAPSICHICI – ORGI Per capire i procedimenti mentali e il conseguente comportamento serve un modello semplificato di processi che semplifichi una realtà complessa. 

 La complessità sorge dal fatto che il nostro 

sistema nervoso è simultaneamente un sistema di raccolta di dati, un sistema di elaborazione e un 

sistema manageriale di gestione. 

 PROCESSI INTRAPSICHICI – ORGI 

 Perché l'intervento dei consulenti sia costruttivo deve essere basato su: ⇒ osservazioni accurate,  ⇒ risposte emotive adeguate, ⇒ ragionamenti che rispecchino tutte le motivazioni in gioco. 

POvvero: 

ROCESSI INTRAPSICHICI – ORGI 

1. OSSERVIAMO (O),  2. REAGIAMO emotivamente a quanto osservato (R),  3. analizziamo, elaboriamo ed esprimiamo GIUDIZI basati sulle nostre osservazioni e la nostra sensibilità (G),  4. agiamo apertamente con lo scopo di produrre degli eventi, cioè INTERVENIAMO (I) 

 

IL CICLO ORGI 

OSSERVAZIONE  È la registrazione accurata, tramite i nostri sensi, di quello che accade nell’ambiente circostante.  Grazie – o a causa – delle nostre esperienze passate, filtriamo gli stimoli sensoriali in arrivo.  Non registriamo passivamente le informazioni: scegliamo da quelle disponibili ciò che ci serve e ciò che vogliamo (anche in senso inconscio del termine). 

segue OSSERVAZDISTORSIONI PERCETTIVE

IONE .  

Esempi: meccanismi difensivi del diniego (il rifiuto di vedere certe categorie d’informazione in quanto applicabili a noi stessi) e il fenomeno della proiezione (vedere negli altri ciò che in realtà opera in noi stessi).  Pertanto, per essere obiettivi vi è la necessità di ridurre le distorsioni iniziali che il nostro sistema percettivo attiva/attua di default.  

REAZIONESebbene i sentimenti facciano parte della nostra vita impariamo presto che in molte situazioni certi sentimenti devono essere “controllati”, “soffocati”, “superati” o in vari 

altri modi “cancellati” o negati. 

 

Così come impariamo a comportarci come individui sociali all’interno di una particolare 

cultura, allo stesso modo impariamo a distinguere quali sentimenti sono accettabili e quali no, 

quando è opportuno esprimerli e quando no, quali sentimenti sono “buoni” e quali sono “cattivi”. 

segueREAZIONE    Ciò non di meno finiamo, con una certa frequenza, ad agire sotto l’impulso dei sentimenti proprio quando ne siamo meno consapevoli, deludendo quindi la nostra stessa convinzione di agire razionalmente.  Non è possibile controllare o gestire quelle forze di cui non siamo consapevoli. E spesso non notiamo le nostre reazioni emotive.  

segueREAZIONESe impariamo a riconoscere i nostri veri sentimenti e la reazione ad essi, allora 

abbiamo la possibilità di scegliere, ossia di decidere, se cedere o no a tali sentimenti. 

   

Al contrario, se non ne siamo consapevoli, o non ne conosciamo le cause, allora ne siamo vittime de facto. 

Non è l’impulsività di per sé a causare difficoltà, è invece l’agire provocato da impulsi non compresi a livello conscio e che quindi non vengono valutati 

prima dell’azione. 

GIUDIZIOAttuiamo, durante tutto il corso della nostra vita, una continua elaborazione di dati, analisi di 

informazioni e formazione di giudizi. 

 

Ed è proprio questa facoltà di poter analizzare, prima di agire, ciò che ci rende capaci di 

pianificare comportamenti complessi, conseguire obiettivi difficili, sostenere azioni concatenate, ecc. Ma tutte le analisi e i giudizi valgono solo se i dati 

su cui sono basati sono veri. Oggettivi e non soggettivi. 

segueGIUDIZIOSe noi fraintendiamo o se i nostri sentimenti distorcono i dati che usiamo, allora le nostre analisi e i nostri giudizi saranno viziati. 

   

Un esempio frequente di questa dinamica riguarda il nostro timore d’essere aggrediti e posti in posizione svantaggiosa. Succede che il nostro giudizio è “logico” ma è basato su “fatti” che possono essere anche inesatti, per cui il risultato finale potrebbe non essere affatto logico.  Il pericolo allora consiste  nell’attribuire intenzioni e ad avere preconcetti sulla condotta altrui anziché fare attenzione a quello che ci accade realmente attorno. 

 

INTERVENTO  Non appena formulato un certo giudizio si agisce.  Il problema si presenta laddove il giudizio è dato dalla nostra “decisione” di agire sotto l’impulso emotivo, e non ne siamo consapevoli.  

segue INTERVENTOAgire impulsivamente, con reazioni istantanee, comporta, oltre all’aggiramento del processo di giudizio razionale, dare credito eccessivo a osservazioni iniziali e alla reazione emotiva che ne deriva. 

 

Se qualcuno mi attacca e io reagisco contrattaccando istintivamente, può darsi che ciò costituisca un intervento molto opportuno. Ma se io ho frainteso l’altra persona, se questa non mi stava affatto attaccando, allora il mio contrattacco mi farà apparire un aggressore. 

segue INTERVENTOQuando diciamo che qualcuno ha agito “emotivamente” invece che razionalmente, di solito intendiamo che tale persona ha agito in modo inopportuno rispetto alla situazione: cioè che noi non abbiamo visto niente che potesse giustificare un tale comportamento.  

 

Se la condotta è inopportuna, la causa non è dovuta all’irrazionalità ma all’osservazione iniziale erronea. 

segue INTERVENTO Esempio del padre manager che allontana il figlio:  se diventa consapevole dell’erronea percezione dei fatti e del conseguente inopportuno intervento, può cambiare e diventare più accorto in futuro verificando le sue percezioni ed evitando di reagire impulsivamente. E così scoprire che le emozioni non sono automatiche, ma che sono basate sulle nostre percezioni, e che se noi riusciamo a verificarle, possiamo controllare le nostre emozioni. 

CONCLUSIONI ORGI 

Con la pratica si impara a discriminare ciò che è osservazione, ciò che è sensazione, giudizio e intervento comportamentale 

manifesto. Si giunge cosi a migliorare le proprie capacità di osservazione e evitare così i 

giudizi prematuri e la condotta inopportuna. 

osservazione

intervento giudizio

reazione

CICLO ORGI

Avvenimenti esterni

Nuovi avvenimenti esterni

Attese, pregiudizi

1

4

2

3

1= fraintendimenti

2= risposte emotive inadeguate

3= analisi basate su dati non corretti

4= interventi basati su dati non corretti

Come evitare le trappole

� Identificare le cause di possibili malintesi� Assunti culturali indiscussi� Inclinazioni e filtri difensivi personali� Attese contingenti basate su esperienze passate

� Identificare la propria predisposizione emotiva� Identificare gli assunti culturali nei giudizi e nel modo

di pensare� Istituire sistematiche procedure di verifica

� Domande esplicite� Il silenzio come intervento� Mantenere vivo lo spirito di ricerca

AVVIO E GESTIONE  DEL CAMBIAMENTO 

La richiesta di una consulenza ha l’obiettivo di modificare lo status quo. 

Insito in questa intervento è il concetto di cambiamento. 

Produrre "un cambiamento" significa condurre il cliente a vedere e agire in modo diverso ma senza sminuirne le sue attuali 

concezioni. 

 AVVIO E GESTIONE DEL CAMBIAMENTO 

 Il cambiamento è un processo che consiste di 

un certo numero di fasi, che si possono sovrapporre e attuarsi in tempi molto brevi, 

ma sono concettualmente distinte. Ed è importante sapere chiaramente in quale 

fase si sta lavorando. 

 FASI DEL CAMBIAMENTO 

 Secondo la terminologia originale di Lewin le 

fasi sono:  

1. Scongelamento; 2. Cambiamento; 3. Ricongelamento. 

 

LE FASI DEL CAMBIAMENTO  

 Fase 1. SCONGELAMENTO 

“Scongelare” un sistema significa creare una motivazione e una disponibilità a cambiare. 

Ma vi deve essere una motivazione sufficientemente forte a ricercare aiuto 

ovvero il verificarsi di una qualche sofferenza o di uno squilibrio. 

Altra premessa necessaria: il cliente deve essere capace e predisposto ad accettare 

l’aiuto.  

segue Fase SCONGELAMENTO   

Per superare i disturbi e gli squilibri è necessario non solo imparare qualcosa di nuovo ma soprattutto scartare un vecchio 

comportamento. E disimparare è la parte più difficile, quella 

che usa la massima resistenza al cambiamento, poiché comporta il disagio di dover rinunciare ad abitudini o a cose a cui si 

e legati. 

segue Fase SCONGELAMENTO Disimparare costituisce una minaccia per la propria immagine in quanto comporta aver operato in passato in modo sbagliato o 

inefficiente, e considera l’inizio di un periodo di incertezza e d'instabilità durante la nuova 

fase di apprendimento. 

 

La ritrattazione o la mancanza di conferma. Per consentire l’avvio del processo di 

“scongelamento” è necessario che vi sia un qualche tipo d’informazione che portino a “ritrattare” una condizione precedente; 

segue Fase SCONGELAMENTO   

Ma questo non e sufficiente. Occorre la presenza simultanea di altri due processi:  

occorre indurre  un senso di colpa o di ansietà  

e creare una condizione di sicurezza psicologica. 

segue Fase SCONGELAMENTO    

L’induzione del senso di colpa o di ansietà L'informazione ritrattante ha maggiori probabilità di essere recepita se rivela il mancato conseguimento di un obiettivo importante (ansietà) o la violazione di un 

ideale personale (senso di colpa). 

segue Fase SCONGELAMENTO   

La creazione di sicurezza psicologica E necessario assicurare un clima di sicurezza 

psicologica a chi è destinato a ricevere informazioni di ritrattazione, clima che gli consenta di tollerare l'ansietà o il senso di 

colpa che ne derivano. 

segue Fase SCONGELAMENTO   

La persona che riceve l’informazione di ritrattazione può accettarla solo se non 

comporta: ⇒ un’umiliazione personale, ⇒ la "perdita della faccia”, ⇒ Se una persona si sente minacciata nella propria stima personale, farà inconsciamente intervenire meccanismi di difesa che deformano o in altro 

modo distruggono l’informazione di ritrattazione. 

una diminuzione della propria immagine. 

Fase 2. CAMBIAMENTO TRAMITE LA RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA 

 L’effetto dello “scongelamento” consiste nello svincolare il cliente, per quanto possibile e opportuno, dai suoi preconcetti e schemi mentali precostituiti, di aprirgli la mente a nuove fonti d’informazione e a nuovi concetti che gli consentano di guardare la situazione con nuovi occhi, ossia di realizzare una 

“ristrutturazione cognitiva” di tale situazione.  

segue Fase CAMBIAMENTO TRAMITE LA RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA

Ci sono due meccanismi distinti per mezzo dei quali l’informazione arriva fino a noi e ci consente di ristrutturare il nostro modo di 

percepire: 

  

Identificazione: individuare un ruolo‐modello con cui identificarsi, Esplorazione: avere l’opportunità di esaminare l’ambiente circostante per localizzare nuove possibilità. 

 

Fase 3. RICONGELAMENTO  

Il “ricongelamento” è quella parte del processo di cambiamento che incorpora i nuovi punti di vista sia nel mondo interiore psichico della persona, sia nelle relazioni fra tale persona e gli altri interlocutori principali. Il cambiamento può essere passeggero. (es. 

formazione come apprendimento temporaneo se l’ambiente di lavoro non sostiene i nuovi 

concetti appresi). 

segue Fase RICONGELAMENTO Quindi due aspetti consequenziali del 

ricongelamento: ⇒ Ricongelamento personale: il nuovo punto di vista può essere “assimilato” nei costrutti personali del cliente nella misura in cui può essere comodamente integrato nel resto della personalità; 

⇒ Ricongelamento relazionale: anche gli altri soggetti con cui lavora — il capo, i colleghi, i subordinati — devono appoggiare e non smentire il cambiamento. E questo non è affatto scontato. 

 

IN SINTESI  

Il modello semplificato della teoria del cambiamento sottolinea che il cambiamento è un processo che può essere scomposto in fasi 

logiche entro cui bisogna gestire dei meccanismi di cambiamento 

diversi. 

segue IN SINTESI  

Durante la fase di “scongelamento”, il punto critico sta nel saper fornire informazioni di ritrattazione, nel collegarle a obiettivi o ideali 

importanti in modo da ingenerare una certa dose di ansietà e senso di colpa, e nel provvedere simultaneamente a formare una sicurezza 

psicologica tale da far sì che l’informazione di ritrattazione venga recepita piuttosto che 

ricusata. 

 segue IN SINTESI 

 Se attraverso questi meccanismi il cliente è motivato a disimparare vecchi schemi per 

impararne di nuovi. E lo farà o tramite il meccanismo 

dell’identificazione con un nuovo modello di ruolo oppure scandagliando l’ambiente alla ricerca di informazioni più attinenti al suo 

problema. 

segue IN SINTESI  

Il cambiamento effettivo può quindi essere pensato come una ristrutturazione cognitiva o una 

ridefinizione del suo problema che porta a nuove percezioni, nuove sensazioni, nuovi giudizi, e infine 

a nuovi comportamenti. Ma il processo di cambiamento non sarà stato completato sino a che queste nuove risposte non saranno verificati in termini di coerenza con 

l’immagine di sé e la personalità e infine convalidate nelle relazioni interpersonali del cliente. 

segue IN SINTESI Solo quando le nuove risposte cominciano ad essere confermate da interlocutori importanti, e possibile 

dire che il processo e stato stabilizzato. Molti progetti di cambiamento o di consulenza falliscono perché tentano di ristrutturare le percezioni, la mentalità, gli atteggiamenti e la condotta del cliente prima che sia stato eseguito 

uno scongelamento adeguato. E molti cambiamenti non riescono a sopravvivere perché il nuovo apprendimento non si addice alla personalità del soggetto né ai suoi principali 

interlocutori.