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1 CORRADO MANDIROLA CAMILLA SIESS Le guide di Filodiritto curiosità, problematiche e opportunità nella cessione degli studi professionali in Italia La cessione della clientela negli studi professionali

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CORRADO MANDIROLA CAMILLA SIESS Le

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curiosità, problematiche e opportunità nella cessione degli studi professionali in Italia

La cessione della clientela negli studi professionali

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CORRADO MANDIROLA CAMILLA SIESS

La cessione della clientela negli

studi professionali

curiosità, problematiche e opportunità nella cessione degli studi professionali in Italia

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Indice

Indice 3

Gli autori 4

Parte Prima La cessione di studi professionali non è assimilabile a quella aziendale 7 Parte Seconda La giurisprudenza in materia 10

Parte Terza La sentenza n. 2860 del 2010 della Corte di Cassazione 12 Parte Quarta Valutazione di studi professionali: quali sono i metodi valutativi nella prassi italiana? 15

Parte Quinta Metodo reddituale 19

Calcolo EBITDA 20

Parte Sesta Metodo finanziario 22

Il Discounted Cash Flow 23Il (Discounted Cash Flow) unlevered 24Il (Discounted Cash Flow) levered 24Il (Levered Cash Flow) 24La valutazione del Terminal Value 25

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Parte SettimaMetodo Misto 27

Parte OttavaLa prassi 30

Parte NonaLa fiscalità 37

Parte DecimaLa contrattualistica 40

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La cessIone deLLa cLIenteLa negLI studI professIonaLI

curiosità, problematiche e opportunità nella cessione degli studi professionali in Italia

Corrado Mandirola è Ceo di MpO&Partners

Nei primi anni novanta inizia la propria espe-rienza professionale presso studi legali e tribu-tari in Milano, occupandosi in prevalenza di

operazioni straordinarie e incarichi sindacali.

Dopo la pratica professionale si abilita alla professione di revisore legale.

Verso la metà degli anni 2000 fonda, insieme ad altri colleghi, lo studio asso-ciato legale tributario MpO&Partners, specializzato in operazioni straordinarie.

Attualmente è Amministratore Delegato di MpO&Partners, società spin off dello studio legale e tributario, specializzata nelle operazioni M&A legate degli studi professionali, con sede nelle principali città italiane.

Si occupa in prevalenza di strutturare le operazioni M&A e di seguirne la parte negoziale.

Collabora in qualità di pubblicista con i più importanti quotidiani economici ed è relatore in convegni e seminari.

È uno dei massimi esperti in Italia di operazioni M&A di studi professionali.

Gli Autori

corrado MandIroLaceo DI MPo&Partners

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La cessIone deLLa cLIenteLa negLI studI professIonaLI

curiosità, problematiche e opportunità nella cessione degli studi professionali in Italia

Camilla Siess si è laureata in Economia Azien-dale e Management presso l’Università Com-merciale “Luigi Bocconi” nel 2012.

Da gennaio 2014 è tirocinante presso la società “MpO & Partners”.

caMILLa sIessstuDIo MPo&Partners

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La cessione di studi professionali non è assimilabile a quella aziendaleLa sempre maggiore centralità dell’argomento delle cessioni di studi professionali ha acceso l’attenzione anche su un tema ad esso correlato: all’atto della ces-sione, uno studio professionale può essere assimilato ad un’azienda?Gli elementi comuni, di contatto, tra le professioni intellettuali e le aziende sono numerosi e l’assimila-zione delle libere professioni al mondo imprendito-riale è stata graduale nel tempo, manifestandosi a più livelli nel campo giuridico. Ne troviamo traccia all’art. 50 del trattato UE, che inserisce le libere professioni intellettuali tra i servi-zi ponendo sullo stesso piano le libere professioni e l’attività di carattere imprenditoriale e stabilendo che entrambe sono finalizzate alla produzione di servizi; nel codice del consumo, che, all’art. 33, disciplinan-do le clausole vessatorie accomuna le due tipologie di attività e anche all’art. 34 del trattato di Maastricht, in cui le attività professionali e imprenditoriali ven-gono considerate congiuntamente.In Italia, la stessa abrogazione (nel 1997) dell’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, che vietava la costitu-zione di società per l’esercizio delle professioni intel-lettuali, avvenne proprio per accontentare i profes-sionisti (che volevano ispirarsi ai modelli delle società professionali già presenti in Francia e Germania) e assecondare il loro bisogno di crescita attraverso il

La cessione di studi professionali non è assimilabile a quella aziendale

parte prIMa

L’art. 50 deL trattato ue

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processo dell’aggregazione.Detto questo, però, va sottolineato come questi due campi siano ancora ben solidamente separati, soprat-tutto se pensiamo alla questione, fondamentale in un’operazione di cessione, dell’avviamento professio-nale.In termini aziendali, l’avviamento rappresenta il valo-re intangibile di un’impresa, che riflette la posizione della stessa sul mercato ed è elemento rilevante nel-la composizione del prezzo dell’azienda al momen-to del trasferimento di proprietà; risulta però molto più complicato riuscire a stabilire esattamente in cosa consista (e dunque come possa essere valutato) l’av-viamento professionale in caso di cessione.Il problema fondamentale si riscontra nel momento in cui, sebbene la cessione di studio professionale sia legittimata e autorizzata, non viene stipulata un’ob-bligazione di fare che favorisca il passaggio di tutta la clientela dal vecchio al nuovo dominus, poiché il vecchio professionista non ne detiene proprietà e i clienti dotati di libero arbitrio sono indipendenti nel-la scelta; dunque questo tipo di cessioni può essere strutturato come un insieme di obbligazioni positi-ve di fare e negative di non fare che hanno lo scopo di facilitare il passaggio di proprietà, canalizzando il rapporto fiduciario con il cliente dal vecchio al nuovo professionista.Appare evidente, in questo contesto, come l’avvia-mento dello studio professionale non possa identi-ficarsi con la clientela (che, in ogni caso, ne rappre-senterebbe oggettivamente uno dei tanti elementi) ed è una sentenza della Suprema Corte, n. 5848 del 1979, a spiegare ulteriormente la questione: “è giuridicamente configurabile la cessione di uno stu-dio professionale insieme con il suo avviamento, in quanto questo non si identica con la clientela, il cui trasferimento sarebbe impossibile sotto il profilo giu-

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sent. cass., n. 5848/1979

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ridico, ma consiste in una qualità di detto studio, il quale viene ceduto, quale complesso di elementi organizzati per l’esercizio dell’attività professionale, munito dell’attributo essenziale e necessario costitui-to dall’avviamento”.

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La giurisprudenza in materia

parte seconda

Una netta distinzione tra avviamento professionale e d’azienda è data dai giudici tributari di Ferrara in primo grado (sentenza n. 1505 del 1988), i quali precisano che “non ci si trova di fronte ad una cessio-ne d’azienda o a una vendita speculativa tassabile per la plusvalenza eventualmente realizzata, ma piutto-sto ad una pura e semplice liquidazione patrimoniale di una certa entità immateriale, quale la “clientela” o “avviamento professionale””.Con questa decisione si stabilì inoltre che, data que-sta impostazione, in base alla normativa fiscale allora vigente, non fossero tassabili i redditi percepiti per la cessione di uno studio professionale, i quali non configurano nemmeno tra i crediti diversi.Ne consegue un riconoscimento formale della pos-sibilità di cedere il proprio studio professionale, un ulteriore riconoscimento dell’esistenza di avviamento professionale ancora legato alla tradizione aziendale (dunque come elemento immateriale), ma ancora nessuna legislazione per quanto riguarda la tassazione delle plusvalenze derivanti da questo tipo di cessioni.Questo vuoto normativo ha generato, negli anni, molteplici diversità di comportamento.Basti pensare che l’amministrazione finanziaria (cir-colare n. 108, marzo 2002) includeva i corrispettivi della cessione di clientela tra i redditi diversi men-tre, proprio in ragione di questo vuoto normativo, la

trIb. ferrara, sent.1505/1988

cIrc. n. 108/2002

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giurisprudenza di merito escludeva tali redditi dalla tassazione.È solo con l’entrata in vigore dell’art. 36 del decreto legge n. 223 del 2006 (il cosiddetto “decreto Bersa-ni-Visco”) che viene finalmente dettata una direttiva univoca e molti correttivi alle norme riguardanti le libere professioni.Ad esempio, con l’introduzione dei commi 1-bis e 1-ter all’art.54 del TUIR, viene ufficializzata la rile-vanza reddituale di plusvalenze e minusvalenze rea-lizzate attraverso la dismissione dei beni strumenta-li facenti parte dell’attività professionale; andando a evidenziare ulteriormente anche nell’ambito delle professioni intellettuali un principio che prima era di esclusiva pertinenza imprenditoriale.La novità più rilevante, però, è l’introduzione del comma 1-quater il quale prevede espressamente che: “concorrono a formare reddito di lavoro autonomo i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferi-bili all’attività artistica o professionale”.Nonostante il decreto Bersani-Visco riempisse il vuo-to normativo che persisteva da anni, nella prassi quo-tidiana ha continuato ad essere presente, in ambito di cessione di studi professionali, l’inosservanza di tale disposto; atteggiamento che veniva giustificato con l’impossibilità di “parlare” di avviamento in ambito professionale.È stata necessaria la sentenza della Corte di Cassazio-ne, la n. 2860 del 2010 (che definiva la cessione di studio professionale “al pari, pur con le sue specifici-tà, di una vera e propria cessione d’azienda”) per far sì che anche nella pratica venissero applicate le norme sancite dal decreto n. 2006 e si iniziasse realmente ad applicare la tassazione delle plusvalenze.

IL decreto bersanI-vIsco

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La sentenza n. 2860 del 2010 della Corte di Cassazione

parte terZa

Dopo tanti anni di incertezze e incongruenze riguar-do la prassi da adottare per le operazioni di cessio-ne di clientela professionale, la sentenza n. 2860 del 2010 della Suprema Corte rappresenta pietra miliare sull’argomento.Il pronunciamento in questione, infatti, afferma che “è lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio profes-sionale, comprensivo non solo di elementi materiali e arredi, ma anche della clientela, essendo configu-rabile con riferimento a quest’ultima, non una ces-sione in senso tecnico, ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire – attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (attività promozionale di presentazione e canalizzazione) e negativi di non fare (divieto di riprendere ad esercitare la medesima atti-vità nello stesso luogo) – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti e il soggetto suben-trante”.Appare lampante già da queste poche righe come il concetto di cessione venga finalmente ben definito e determinato, al punto che – diversamente da quanto evidenziasse la Bersani-Visco parlando di “cessione di clientela” – si percepisce come sia “sbagliato” parlare di cessione di clientela in quanto siamo di fronte, più

IL pronuncIaMento

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che altro, ad un trasferimento.Sempre all’interno della sentenza n. 2860 del 2010 viene evidenziato come “di tali tendenze è testimone la giurisprudenza di questa Corte quando precisa che anche gli studi professionali possono essere organiz-zati in forma di azienda, ogni qual volta, al profilo personale dell’attività svolta si affianchino un’orga-nizzazione di mezzi e strutture, un numero di titolari e dipendenti ed un’ampiezza di locali adibiti all’at-tività, tali che il fattore organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrastino l’attività professionale del titolare o, quanto meno, si pongano rispetto a essa, come entità giuridica dotata di una propria rilevan-za strutturale e funzionale che, seppur non separata dall’attività del titolare, assuma una rilevanza econo-mica”.Semplificando, la Suprema Corte dice che nelle pro-fessioni intellettuali l’impiego di un’organizzazione interna (elementi personali e reali) presenta un ca-rattere meramente casuale e accessorio e serve solo ad agevolare il compimento delle prestazioni personali. Il risultato di ciò è una sostanziale indipendenza dalle forme organizzate.Alla luce di questa “cronistoria” dell’operazione di cessione di studi professionali, si possono trarre alcu-ne conclusioni, specialmente riguardanti il territorio italiano.L’evoluzione dei mercati professionali, infatti, nel no-stro Paese ha messo in evidenza due fenomeni forte-mente collegati tra di loro: l’affinamento delle com-petenze manageriali da parte del professionista e la crescita, non solo in termini dimensionali, della com-plessità delle organizzazioni volte a sfruttare meglio le sinergie, le economie di scala e le specializzazioni professionali.Conseguenza di tale consapevolezza risulta essere un aumento esponenziale delle concentrazioni tra pro-

Le concLusIonI

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fessionisti, realizzate mediante operazioni di cessio-ne/acquisizione di studi professionali.Per concludere, a conferma di quanto appena det-to, assume particolare rilevanza l’indagine statistica dell’Irdec 2012, dalla quale emerge che il 21% dei commercialisti esercita la professione in uno studio condiviso e il 22% in uno studio associato o società semplice.Parlando, infine, delle dimensioni dello studio l’87,2% dei commercialisti opera in uno studio non più grande di dieci addetti, solo il 9% appartiene ad un network professionale.Attraverso tale approccio collaborativo, si è reso pos-sibile che l’apporto degli operatori del mercato si ma-nifestasse già nella fase ascendente della produzione regolamentare, rendendo la partecipazione del mer-cato ancora più efficace.Successivamente, il 29 marzo 2013 è stato pubblica-to il documento di consultazione recante la proposta di Regolamento in tema di “Raccolta di Capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line” in attuazione dell’art. 30 del d.l. n. 179/2012 (c.d. “decreto crescita bis”, convertito, con modifica-zioni, nella l. n. 221 del 17 dicembre 2012).La consultazione si è chiusa il 30 aprile 2013 ed il testo definitivo del regolamento, modificato alla luce della consultazione espletata, è stato adottato con de-libera n. 18592 del 26 giugno 2013 e pubblicato nel-la Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2013.

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Oggi dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’affermare che sia possibile accostare lo studio professionale e le società tra professionisti alle figu-re dell’azienda e dell’imprenditore. Infatti, i metodi di valutazione che vengono utilizzati per uno studio professionale sono stati mutuati dal campo ammini-strativo – contabile e adeguati al caso concreto.Una serie costante di provvedimenti, sia a livello na-zionale che comunitario, da ultimo la legge n. 183 del 2011 (c.d. “legge di stabilità 2012”), hanno con-tribuito ad avvicinare la figura del professionista a quella dell’imprenditore.Tale tendenza ha senz’altro influito sui modelli di va-lutazione degli studi professionali.Nelle cessioni di studi professionali, come avviene nelle classiche cessioni di azienda, prima ancora di capire quale metodologia di valutazione adottare, de-vono identificarsi con chiarezza i requisiti oggettivi e soggettivi della stessa, ovvero la finalità da perseguire e la posizione del soggetto valutatore.Ciò significa che possono desumersi differenti scelte metodologiche anche e, soprattutto, a seconda della posizione del soggetto interessato al processo valuta-tivo.In tal senso, la valutazione di uno studio professionale

Valutazione di studi professionali: quali sono i metodi valutativi nella

prassi italiana?

parte Quarta

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si può affrontare tanto nell’ottica del cedente quanto nell’ottica dell’acquirente, individuandosi, di fatto, un mero valore di “cessione” per i diversi soggetti e non il reale valore economico dello studio.Di conseguenza, è indispensabile che alla valutazione proceda un soggetto terzo, specializzato e indipen-dente, in modo da adottare delle metodologie che, al fine di limitare il relativo margine di soggettività, rispettino i requisiti di razionalità, di neutralità (ri-spetto agli interessi delle parti coinvolte e agli effetti della negoziazione) e di stabilità (il valore non deve essere influenzato da elementi provvisori, mutevoli o da componenti straordinari non ripetibili).In merito alla specifica metodologia da adottare, vi è da dire che, con riferimento esclusivo alla valuta-zione di azienda, fin dagli anni venti/trenta, si sono affermati diversi orientamenti dottrinali: al riguardo, la scuola zappiana ha sostenuto la necessità di ricor-rere, quando possibile, a metodi sintetici basati sul-la capitalizzazione dei redditi prospettici, mentre la prassi ha continuato a prediligere i metodi analitici assegnando un peso spesso preponderante alle infor-mazioni patrimoniali.A partire dagli anni settanta si è delineato un nuovo approccio al fine di ridurre la distanza tra i “modelli teorico-dottrinali” e le “esigenze pratico-professiona-li”, con il suggerimento di seguire quello più idoneo in considerazione delle caratteristiche dell’azienda oggetto di stima e della finalità della transazione.L’approccio si è in un certo senso allontanato dal pro-cesso decisionale orientato alla logica di “piena razio-nalità” per assumere una posizione più vicina alla c.d. “logica soddisfacente”.Da un decennio circa, in effetti, l’obiettivo ultimo in tema di valutazione è diventato quello di realizzare un processo valutativo ispirato a un unico quadro logico, ovvero il c.d. “giudizio integrato di valutazione”, nel

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quale logiche di stima assolute e relative si integrano presupponendo la disponibilità di un’ampia base in-formativa.Ciò premesso, la valutazione degli studi professionali non ha trovato una specifica collocazione nelle im-postazioni dottrinali suesposte perché la cessione di studi, e relativa clientela, costituisce una fattispecie nuova nell’ordinamento giuridico e tributario italia-no, in continua crescita negli ultimi decenni, ma solo di recente inquadrata nei redditi da lavoro autono-mo (art. 54, comma 1-quater del TUIR) e legittimata dalla giurisprudenza (Cassazione, sentenza n. 2860 del 2010).Nello specifico, ad oggi, la prassi tende ad utilizzare anche per gli studi professionali i metodi valutativi tradizionalmente utilizzati per le aziende con oppor-tuni adattamenti, in quanto, la peculiarità, in questi casi, è rappresentata dall’elemento personale sogget-tivo, di natura immateriale, derivante dal rapporto fiduciario tra professionista e cliente (c.d. “valore del pacchetto clienti”).In pratica, dunque, al fine di accentuare le capaci-tà prospettiche dello studio di creare valore, è possi-bile avvalersi di diversi metodi di valutazione, quali i metodi finanziari, i metodi reddituali, il metodo del sovra reddito, il metodo dell’intuitus personae, il metodo del pollice; di solito, si tende ad escludere l’applicabilità dei metodi patrimoniali, in quanto gli stessi si adattano meglio alle realtà dagli ingenti in-vestimenti patrimoniali, tendendo a sottovalutare il capitale economico degli studi professionali.In Italia si va sempre più affermando il metodo misto, il quale costituisce il risultato di una combinazione fra metodo reddituale-finanziario e il c.d. “metodo del pollice”.Questo metodo prevede una valutazione reddituale dello studio analizzando i ricavi dell’ultimo anno di

I sIsteMI dI vaLutaZIone

IL Metodo deL poLLIce

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riferimento, opportunamente rettificati con riferi-mento alla clientela e alle clausole di esclusione della stessa quali: comunicazione di recesso del cliente, li-quidazioni, operazioni concorsuali, etc.Identificati così i ricavi ripetibili dello studio, si procede alla riclassificazione del conto economico andandolo a normalizzare mediante l’esclusione di componenti di costo straordinari e non inerenti, al netto di oneri finanziari e imposte; ottenendo di fat-to l’EBITDA (acronimo inglese che significa earnin-gs before interests, taxes and amortization, ovvero utili prima degli interessi, delle imposte e degli ammorta-menti dei beni immateriali, cioè l’avviamento) quale valore di riferimento.La rideterminazione dei ricavi e dei costi come sopra indicata, permette la costruzione di un business plan capace di evidenziare i flussi finanziari attesi.Abbiamo parlato del fatto che in Italia il metodo va-lutativo preponderante quando si parla di studi pro-fessionali è il “Metodo misto-del pollice”, che unisce due metodi comuni e tradizionali: il metodo reddi-tuale-finanziario e quello del pollice.Andiamo a vedere nel dettaglio in cosa consistono questi metodi valutativi.

IL Metodo MIsto-deL poLLIce

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Metodo reddituale

parte QuInta

Dal punto di vista operativo, gli elementi fondamen-tali da considerare nella stima sono:- il reddito medio prospettico;- il tasso di attualizzazione (costituito dal compenso per il trascorrere del tempo e per il rischio);- l’orizzonte temporale di riferimento.È importante ricordare che il reddito medio prospet-tico corrisponde ad un valore stimato; per tale moti-vo, sarebbe conveniente valutare nel tempo i risultati storici poiché gli stessi rappresentano sempre un ele-mento di riferimento attendibile, qualora si conside-rino redditi prospettici oltre i due/tre anni.Dal punto di vista operativo, il reddito da considera-re deve essere “normalizzato”, rettificando le poste del conto economico che risentono degli effetti distorsi-vi provocati da operazioni aziendali straordinarie (ad es., compensi straordinari agli amministratori, cano-ni di locazione finanziaria, ammortamenti applicati secondo i principi della normativa fiscale).Nello specifico, il valore del reddito operativo (c.d. EBIT, ovvero Earnings Before Interests and Taxes, il ri-sultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanziari), essendo al netto del valore degli ammor-tamenti, che non si convertiranno mai in flusso di cassa in uscita, sottostima la capacità dell’impresa di ripagare gli oneri finanziari e, per tale motivo, è pre-feribile utilizzare l’indice EBITDA (o margine opera-tivo lordo), più vicino al concetto di “flusso di cassa” perché in grado di valutare la capacità di copertura degli oneri finanziari da parte della gestione corrente.

gLI eLeMentIfondaMentaLI

ebIt

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Per determinare un reddito normalizzato ante-im-poste, nella prassi la quantificazione avviene consi-derando un tax rate unico (solitamente pari a circa il 30%); ne deriva che, per la necessaria coerenza fra flussi e tassi, i tassi di mercato utilizzati per la quan-tificazione del costo del capitale devono considerare l’analoga aliquota che è stata utilizzata per la quanti-ficazione dei flussi.

Calcolo EBITDA + FATTURATO

- costi per servizi e per godimento di beni di terzi

- altri costi di gestione tipici

= VALORE AGGIUNTO

- costi del personale

= MARGINE OPERATIVO LORDO (EBITDA)*

- ammortamenti

- svalutazione crediti

- accantonamenti a fondi rischi e oneri

= REDDITO OPERATIVO (EBIT o MARGINE OPERATIVO NETTO)

+/- proventi e oneri finanziari

+/- proventi e oneri atipici

= RISULTATO DELLA GESTIONE ORDINARIA – CORRENTE

+/- proventi e oneri straordinari

= RISULTATO ECONOMICO AL LORDO DELLE IMPOSTE

- imposte dell’esercizio

= UTILE (PERDITA) D’ESERCIZIO

IL Metodo dI caLcoLo

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È utile ricordare che il tasso di attualizzazione adot-tato nella determinazione del valore secondo logiche reddituali è il “costo del capitale proprio” (re). In for-mule:

Re = rf + (pm * ß)

dove rf è il rendimento di investimenti risk free (so-litamente Btp decennali), pm è il premio medio di mercato (rischio aggiuntivo dovuto alla maggiore ri-schiosità dell’investimento azionario in un determi-nato Stato) e ß è il rischio sistematico dell’impresa rispetto al settore di appartenenza.L’impatto fiscale su questa formula si ha essenzial-mente sul rendimento rf in quanto occorre conside-rare il rendimento dei titoli al netto dell’imposizione fiscale.

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Le caratterIstIche deL

Metodo fInanZIarIo

Metodo finanziario

parte sesta

La valutazione di uno studio professionale con il metodo finanziario - che rappresenta un’evoluzione del metodo reddituale dove al criterio di competen-za economica si sostituisce quello della competenza finanziaria - si basa sulla capacità futura di generare flussi monetari.Ne consegue che il valore dello studio deriva dalla stima dell’attualizzazione dei flussi finanziari di cassa attesi dall’investimento e dell’attualizzazione del va-lore residuo del patrimonio non monetario.In altri termini il metodo finanziario basa i suoi crite-ri valutativi fondamentalmente sulla liquidità dell’in-vestimento attualizzato ad un tasso che garantisca una adeguata remunerazione delle risorse impiegate.Le caratteristiche principali del metodo finanziario sono:- razionalità: rispetta i principi generali delle valu-tazioni finanziarie divenendo applicabile alle realtà professionali i cui flussi sono stimabili con sufficiente attendibilità;- limitata operatività: dovuta alla difficoltà di stima-re alcune variabili inerenti gli studi che contengono “fattori imprevedibili”;- metodo di riscontro: il metodo finanziario è spesso utilizzato come “conferma” delle valutazioni operate con altri metodi;- manipolabile: in quanto si basa sulla massimizzazio-ne dei risultati futuri che per loro natura sono incerti e “lontani” nel tempo. La sua “scorretta” applicazione genera qualsiasi tipo di risultato;- incertezza: per via di un insieme di operazioni che

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rappresentano la determinazione dei flussi, la scel-ta del tasso di attualizzazione, l’orizzonte temporale di valutazione e l’individuazione delle determinan-ti-chiave del valore.I principali metodi finanziari e le relative caratteristi-che.Con il metodo finanziario il valore dello studio pro-fessionale è stimato alternativamente:- dall’attualizzazione dei flussi di cassa generati;- in base alle risorse generabili in futuro.Si potranno avere i seguenti metodi:- analitico: si caratterizza per prevedere i flussi di cassa analiticamente, ossia anno per anno, per un numero di anni stabilito;- sintetico: si basa sulla costanza di alcuni parametri ritenuti idonei a rappresentare in futuro la dinamica dei flussi di cassa;- analitico-sintetico: si utilizza allorquando l’atten-dibilità dei flussi di cassa a medio-lungo termine è bassa.

Nella prassi quotidiana nel caso di utilizzo del meto-do finanziario si ricorre spesso a metodi misti quale, ad esempio, il metodo finanziario analitico con ter-minal value che permette di stimare:1) analiticamente i flussi annuali;2) sinteticamente il restante periodo di vita dello stu-dio (cd. “Terminal Value”).Questo metodo trova generalmente applicazione in situazioni di disequilibrio temporaneo ed in presen-za di interventi gestionali significativi che tendono a modificarne i flussi per alcuni anni.

Il Discounted Cash Flow

Con l’applicazione di tale metodo lo studio profes-sionale viene valutato in base a due parametri:1) ritorni dell’investimento (in altri termini flussi di cassa);

Quando sI usa

I paraMetrI

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2) rischio dell’investimento.L’analisi dei flussi finanziari è uno strumento che consente di valutare le interrelazioni tra dinamica economica e dinamica finanziaria. Tali flussi, però, necessitano di un processo di normalizzazione che afferiscono generalmente i valori di ammortamento, le plusvalenze e minusvalenze, le rivalutazioni anali-tiche, i beni intangibili e, ove presenti, le politiche di bilancio.

Il (Discounted Cash Flow) unlevered

Con tale metodo il valore dello studio viene determi-nato in base ai flussi di cassa ottenibili dagli asset e sottraendo il valore dei debiti finanziari.Il cash flow è al lordo degli oneri finanziari (unleve-red).

Il (Discounted Cash Flow) levered

Il valore dello studio è determinato in base ai flussi di cassa spettanti. Il cash flow è al netto degli oneri finanziari (levered).

Il (Levered Cash Flow)

Tale metodo valuta lo studio come valore attuale dei flussi monetari incrementali che un generico acqui-rente può attendersi dal suo possesso. Ne deriva che i flussi finanziari disponibili sono originati dal reddito prospettico. Essi rappresentano la quota parte di red-diti che può essere messa a disposizione dell’acquiren-te senza intaccare o modificare l’equilibrio operativo e finanziario dello studio. Sono espressi al netto degli oneri tributari del rimborso dei debiti e del pagamen-to di interessi.

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La valutazione del Terminal Value

L’ultimo elemento da considerare, ai fini della valuta-zione con metodo finanziario, è il valore residuo (ter-minal value). La sua determinazione è fondamentale poiché può avere un elevata incidenza sul valore com-plessivo dello studio professionale ed in particolare su quelli in fase di start-up.

Le maggiori metodologie di quantificazione sono le seguenti:- modello della crescita costante del flusso di cassa (perpetual growth rate method). Attraverso questo me-todo viene accertato un flusso di cassa “normale” e sostenibile nel tempo, in perpetuo, a partire dall’ulti-mo anno di previsione analitica. - modello dei multipli d’uscita (exit multiples method). Mediante questo modello viene individuato un valo-re probabile alla fine del periodo di valutazione dei flussi da attualizzare. L’aleatorietà di tali stime unitamente alla carenza di oggettività ne mettono in luce i relativi limiti applica-tivi in merito all’attendibilità del risultato.- modello del reddito atteso in perpetuo (economic profit technique). Viene attualizzato l’ultimo flusso di cassa “a regime”, ossia l’ultimo utile netto se in ottica di equity side, o nell’ultimo Net Operating Profit Adju-sted Taxes se in ottica di asset side.Da quanto sopra esposto appare subito evidente che i metodi in analisi si caratterizzano per un alto livello di soggettività in quanto la quantificazione dei para-metri si basa su dati previsionali scelti dal valutatore. Ne consegue che il grado di arbitrarietà di scelta e di attendibilità contenuta nei vari metodi finanziari è elevata. Pertanto la sua applicazione ai fini della valutazione di uno studio professionale, per via della sua com-plessità e qualità dei risultati, è ridotta.

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Metodo misto

parte set tIMa

I due metodi precedenti sono tipicamente caratteri-stici delle realtà aziendali che poco si sposavano con la struttura degli studi professionali, le cui operazioni di cessione non facevano che aumentare con il passa-re del tempo.La prassi italiana dell’ultimo decennio, per ovviare a questo problema di precisione, ha visto i professioni-sti specializzati nella valutazione degli studi seguire un approccio valutativo basato su un “metodo mi-sto”, risultato di una combinazione fra il metodo red-dituale-finanziario e il c.d. metodo del pollice.Tale metodo analizza la situazione reddituale dello studio esaminando i ricavi dell’anno antecedente la cessione, opportunamente rettificati in considerazio-ne di un’accurata analisi della clientela e delle poten-ziali cause di esclusione della stessa, in considerazione del fatto che alcuni clienti potrebbero non proseguire il rapporto con il nuovo acquirente (ad esempio, co-municazione di recesso del cliente, rischio chiusura del cliente per anzianità, liquidazione o operazioni concorsuali, particolari rapporti interpersonali tra cliente e professionista cedente) o, per motivi ricon-ducibili a svariate cause, non essere produttivi di red-dito pur continuando a mantenere il rapporto fidu-ciario (operazioni straordinarie non ripetibili, ritardi nei pagamenti, etc.).L’analisi dei flussi finanziari si perfeziona con la ri-classificazione del conto economico secondo il me-todo reddituale, generalmente su base EBITDA, che consente di normalizzare il reddito prodotto nell’an-no antecedente la cessione mediante l’esclusione di

La prassI ItaLIana

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componenti di costo straordinari e non inerenti, al netto di oneri finanziari e imposte; la suddetta nor-malizzazione permette inoltre la redazione di un bu-siness plan dettagliato, in grado di evidenziare i flussi finanziari attesi (in entrata e in uscita) dell’attività oggetto di cessione.Per determinare una congrua remunerazione del ca-pitale investito nell’operazione nel medio periodo, in considerazione anche di ulteriori elementi extra-con-tabili (es. organizzazione, ubicazione, autonomia del-lo studio, etc.), si applica il c.d. “metodo del pollice” che consente di determinare il valore dello studio applicando un moltiplicatore al volume del fatturato “cedibile”, ovvero del fatturato dell’ultimo anno di riferimento opportunamente normalizzato sulla base delle esclusioni della clientela sopra dette.Il valore ottenuto applicando il moltiplicatore con il metodo del pollice (attestatosi nella prassi attorno all’1,5) deve essere necessariamente supportato dai flussi finanziari del business plan nel breve periodo di 3/5 anni; diversamente, nei limiti della convenienza economico-finanziaria dell’operazione, sia nei con-fronti del professionista cedente che nei confronti dell’acquirente, è sempre possibile procedere ad una rettifica del moltiplicatore utilizzato al fine di ade-guare il valore di cessione alla redditività effettiva del-lo studio oggetto di analisi.

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Nell’ambito di un’analisi delle operazioni di cessione di clientela professionale è importante parlare della prassi francese: sin dall’ottocento dottrina e giuri-sprudenza francese si interrogano riguardo la trasfe-ribilità a titolo oneroso della clientela di attività pro-fessionali.Pur non presentando una netta distinzione tra attivi-tà libero-professionale e imprenditoriale, l’esperienza francese è molto significativa per la realtà italiana, in quanto espressione di una cultura giuridica affine alla nostra.All’inizio del secolo scorso, la clientela professiona-le veniva intesa come un insieme di “relazioni” che si instaurano fra il pubblico e chi esercita un’attivi-tà professionale, mentre più recentemente veniva descritta quale insieme di persone che si legano o si possono legare in modo occasionale o abituale a un individuo o a un gruppo di individui esercitanti una professione.È proprio questa diversa impostazione ad aprire la strada al riconoscimento della configurabilità del tra-sferimento di clientela professionale, che sarebbe ri-sultato impossibile se si fosse considerata la clientela come un insieme di relazioni.Ulteriore conseguenza di questo tipo di definizione è la possibilità di attribuire alla clientela professionale una natura patrimoniale, ove per patrimonialità in-tendiamo l’astratta possibilità di attribuirle una valu-tazione di tipo economico.Più problematica si è rivelata l’individuazione del-la natura di tale patrimonialità, essendo emersi, sin

La prassI francese

parte ot tava

La prassi

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dall’inizio, seri dubbi sulla possibilità di qualificare la clientela in termini di “bene” disponibile. Infat-ti gli studiosi francesi, pur operando in un contesto nell’ambito del quale la clientela professionale veniva considerata come posta attiva del patrimonio di un libero professionista, hanno tendenzialmente escluso la diretta disponibilità del “bene” clientela.Si è ritenuto, pertanto, che il cliente potesse essere associato a una mera aspettativa di guadagno per il professionista, riconoscendogli un valore esclusiva-mente potenziale o, secondo altra tesi, si è ipotizzata la sussistenza della categoria dei diritti c.d. intellet-tuali o di clientela, la quale si aggiungerebbe ai tra-dizionali diritti reali e personali. Altri autori hanno sostenuto invece, fra gli anni 50 e 60, la completa parificazione fra clientela professionale e commercia-le, assoggettando la prima alla medesima disciplina della seconda.Sulla scia di tale elaborazione dottrinale, nell’espe-rienza francese si è pervenuti al riconoscimento non solo della patrimonialità della clientela professionale, ma, persino, della possibilità che la medesima possa essere oggetto di successione mortis causa o di consi-derazione in tema di disciplina della comunione le-gale fra i coniugi.Se tali applicazioni appaiono di problematico inseri-mento nella realtà dell’ordinamento giuridico italia-no, certamente significativa e rilevante appare la tesi, ripetutamente teorizzata nell’esperienza francese, se-condo cui sia possibile considerare autonomamente il valore della clientela rispetto al valore dell’attività finalizzata al trasferimento della stessa.La dottrina francese, da tali premesse, ricava il con-vincimento che la clientela abbia un suo valore indi-pendente dal professionista (e infatti può essere og-getto di successione mortis causa), ma che l’attività posta in essere da quest’ultimo, in quanto finalizzata

IL contratto dI presentaZIone

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ad agevolare il trasferimento del cliente, ne determi-na un aumento del valore.L’attività del professionista cedente si estrinseca, in particolare, nella presentazione del cliente, nonché nell’adempimento di tutta una serie di obbligazioni dirette a consentire la canalizzazione del cliente stesso verso il professionista cessionario.Tale impostazione del contratto di trasferimento della clientela professionale inizialmente ha risposto all’esigenza di superare il divieto di vendita previsto dall’ordinamento francese sino al 2000 (giustificato dall’impossibilità di considerare il cliente un “bene disponibile”), ma successivamente, a fronte dell’abro-gazione di tale divieto, essa è sopravvissuta nella pras-si di tali operazioni, in quanto ritenuta la più confa-cente alla descrizione e regolamentazione di un simile negozio giuridico.Proprio da una siffatta rappresentazione del negozio di trasferimento della clientela professionale, imper-niata sulla previsione di obbligazioni finalizzate alla presentazione del cliente ceduto, hanno preso spunto la dottrina e la giurisprudenza italiana al fine di rico-noscere la legittimità appunto del contratto di ces-sione dello studio professionale e conseguentemente della clientela in esso compresa.Nel nostro ordinamento - a differenza di altri Paesi europei, quali la Francia e l’Inghilterra - solo di re-cente è stato disciplinato, sia da un punto di vista fiscale che privatistico, il tema inerente la cessione degli studi professionali.Il ritardo del nostro paese, colmato sia con il rinno-vato art. 54 TUIR, entrato in vigore nel luglio 2006, sia con la sentenza della Cassazione del 2010, non è sintomo dell’assenza fino ad allora di operazioni di cessione/acquisizione di studi professionali, in quan-to le stesse avvenivano utilizzando “strade alternative” in assenza di regole precise.

La prassI ItaLIana

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La necessità di offrire consulenze sempre più specia-lizzate, in una prospettiva di diversificazione dell’of-ferta di servizi, e di competere con realtà sempre più strutturate ha spinto il professionista italiano, sin dall’inizio degli anni 90, ad unire le competenze in un’ottica di aggregazione.Questi fenomeni di aggregazione si sono realizzati, nella maggior parte dei casi, mediante processi di ac-quisizione da parte di professionisti giovani e dinami-ci, consapevoli del mutare del mondo professionale, nei confronti di professionisti prossimi alla pensione, garantendo sia il trasferimento del know how interge-nerazionale che elevati benefici in termini economici. Nelle operazioni di acquisizione e di cessione di studi professionali gli obiettivi sono, oltre i vantaggi com-petitivi descritti, quelli di garantire:

- la tutela delle parti coinvolte nell’operazione (in particolare, viene assicurata una giusta remunerazio-ne del professionista cedente),- la continuità con il passato nei confronti della clien-tela e, al tempo stesso,- il mantenimento dei posti di lavoro di coloro che a vario titolo e mansione operano nello studio oggetto di cessione.

È rilevante sottolineare come in passato i lavoratori dipendenti di uno studio professionale, prima dello svilupparsi della prassi di cessione degli studi profes-sionali, vedevano terminare il proprio lavoro con la chiusura dello studio creando inevitabili disagi sociali ed economici.Il legislatore, consapevole delle pratiche sopra descrit-te, spesso sottratte all’imposizione fiscale, nel 2006 ha disciplinato la materia, con l’introduzione dell’art. 36, comma 29, decreto legge. n. 223 del 2006, che, novellando l’art. 54 del TUIR, ha introdotto nei red-

IL decreto Legge n. 223/2006

gLI obIettIvI

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diti di lavoro autonomo i corrispettivi derivanti dalla cessione della clientela professionale. L’enunciato articolo si limita a riconoscere e giuri-dicizzare la cessione, ritenendo non più negabile la prassi di cessione di clientela professionale, senza però esplicare le modalità con le quali la stessa debba essere attuata e lasciando tale scelta alla discrezionali-tà delle parti.In Italia, per ovviare a questa mancanza del legislato-re, ci si è rifatti al c.d. “contratto di presentazione” del diritto francese, con il quale il professionista assume un’obbligazione di mezzo e non più di risultato, in cui l’oggetto diventa il trasferimento della proprietà dello studio e la clientela viene individuata come il mezzo tramite il quale porre in essere la cessione.I soggetti che partecipano al contratto di presentazio-ne sono tre:

- il professionista titolare dello studio e interessato alla cessione;- la clientela (ossia il mezzo utilizzato per la cessione);- il professionista interessato all’acquisto dello studio.

Il contratto di presentazione, tuttavia, non è in grado da solo di assolvere la propria funzione e per questo motivo gli operatori del diritto hanno ritenuto ne-cessario l’inserimento di alcune clausole considerate accessorie, ma non per questo marginali, che possono essere cosi distinte e sintetizzate:

1. periodo di affiancamento: periodo durante il quale il professionista cedente si obbliga princi-palmente a presentare la clientela all’acquirente affinché ci sia la prosecuzione del rapporto pro-fessionale tra i vecchi clienti ed il professionista subentrante, facendo anche in modo che esso ac-quisisca la totale padronanza della struttura;

Le cLausoLe deL contratto

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2. subentro: garantire e agevolare il subentro del professionista acquirente nella titolarità delle utenze e, ove presente, nel contratto di locazione dell’immobile in cui viene svolta l’attività oggetto di cessione;

3. obbligo di non concorrenza: il professionista ce-dente si obbliga a non porsi in un regime di con-correnza nei confronti dell’acquirente entro deter-minati limiti di tempo e di luogo. L’inserimento di una clausola in tal senso è fondamentale per la buona riuscita dell’operazione;

4. esclusiva: al professionista acquirente deve essere garantito un diritto di esclusiva. Pertanto Il pro-fessionista cedente si obbliga, con tale clausola, a presentare la clientela solo all’acquirente. Il man-cato inserimento di questa clausola comportereb-be la violazione di un dovere di correttezza.

La cessione strutturata in questo modo - come accen-nato, oggi prevalente in Italia - ha il pregio di accor-dare una tutela maggiore alla figura del cliente. Infat-ti, nel momento stesso in cui prende avvio il periodo di affiancamento, il titolare cedente dello studio pro-fessionale ha l’obbligo di presentare il suo successore al cliente, lasciando a quest’ultimo la possibilità di scegliere autonomamente se continuare il rapporto con il nuovo professionista o meno.A legittimare la cessione di studio professionale così strutturata è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2860 del 2010, la quale riconosce la liceità della cessione di uno studio professionale che avviene a fronte del pagamento di un corrispettivo, e con “[…] un complessivo impegno del cedente volta a favorire - attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare - la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti e il soggetto subentrante”.Infine, per stabilire il corrispettivo dovuto dall’acqui-

La sent. n. 2060/2010 deLLa cassaZIone

n. 2860/2010 2010

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rente al cedente dovranno essere, inoltre, valutati i valori del capitale umano, dei beni mobili e dei beni immobili, e altri fattori che vanno a costituire il valo-re complessivo della cessione.Possiamo concludere dicendo che, a fronte di un quadro normativo e giurisprudenziale ormai deli-neato, le operazioni di acquisizione/cessione di studi professionali hanno conosciuto una crescita impor-tante e rappresentano ormai una prassi consolidata del nostro paese.

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Se le norme che regolano i trasferimenti di clientela professionale non sono ancora ben chiare e definite, ma sono anzi in continuo sviluppo, per quanto ri-guarda la fiscalità la situazione è diversa.L’art. 36, comma 29 del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. “Decreto Bersani-Visco”) ha modificato l’art. 54, comma 1-quater del TUIR, prevedendo espres-samente che “concorrono a formare il reddito (di la-voro autonomo) i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali co-munque riferibili all’attività artistica o professionale” e, ancora, la Cassazione Civile con sentenza n. 2860 del 2010 ha affermato espressamente il principio di liceità del trasferimento di uno studio professionale.Con il nuovo art. 54, comma 1-quater del TUIR, dunque, il legislatore non si è limitato a riconoscere giuridicamente l’esistenza di operazioni di trasferi-mento della clientela professionale, ma ha prospetta-to vere e proprie “cessioni” di clientela riconducendo il relativo corrispettivo ai redditi di lavoro autonomo quando invece, nel passato, la fattispecie era ricom-presa, in via interpretativa, tra i redditi diversi (art. 67 del TUIR).Contestualmente, il decreto ha operato una modifi-ca all’art. 17, comma 1 del TUIR, considerando as-soggettabili a tassazione separata anche i corrispettivi delle cessioni di studi professionali, a condizione che la riscossione avvenga in un’unica soluzione.Il legislatore ha così giuridicizzato il trasferimento oneroso della clientela professionale e, nella breve formulazione della norma, sembrerebbe equiparare,

parte nona

La fiscalità

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utilizzando il termine “cessione”, il trasferimento del-la clientela professionale a una cessione-compraven-dita; ne consegue che oggi lo studio professionale, comprensivo dell’elemento immateriale “clientela” può formare validamente oggetto di una cessione onerosa, tramite contratto atipico rientrante nell’am-bito della disposizione dell’art. 1322 del codice civile.Prima che intervenisse il citato decreto Bersani-Vi-sco, la fattispecie della cessione della clientela era ri-compresa, in via interpretativa, tra i redditi diversi, come anche chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 108/E del 29 marzo 2002, in seguito a specifica istanza di interpello di un professionista che svolgeva attività di consulenza contabile e fiscale in forma individuale.La risoluzione si esprimeva in merito al trattamento fiscale applicabile alla cessione del ramo meramente operativo dell’attività professionale in questione e, in particolare, con riferimento alla parte cedente, soste-neva l’applicabilità dell’art. 67, comma 1, lett. l) del TUIR (previgente art. 81), il quale ricomprendeva tra i “redditi diversi” anche quelli “derivanti da atti-vità di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o per-mettere”.Di fatto, si riteneva che, nel caso osservato, il relati-vo compenso era da assoggettare a tassazione quale “reddito diverso” in quanto si realizzava tra il “ceden-te” e il “cessionario” un rapporto di tipo obbligatorio con l’assunzione di obblighi ben precisi da parte del “cedente” nei confronti della controparte (rinuncia ad esercitare l’attività professionale nei confronti dei clienti ceduti; impegno a favorire la prosecuzione del rapporto tra i clienti e il professionista “acquirente”).D’altro lato, con specifico riferimento alla parte ac-quirente, si riteneva che il costo fosse deducibile in sede di determinazione del reddito, nei limiti e nelle

La rIs. n. 108/e deL 29 MarZo 2002

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condizioni previste dall’art. 54 TUIR (previgente art. 50), in quanto costo inerente all’esercizio dell’attività professionale.Diverso era, invece, l’orientamento di una più data-ta sentenza della Commissione Tributaria di I grado di Ravenna, la n. 1505 del 1988, secondo la quale l’incasso di somme di denaro era soggetto a impo-sizione diretta solo nel caso in cui avesse natura di “reddito” (con riferimento alle disposizioni dell’art. 67 del TUIR), e pertanto, non essendo ritenuto tale il reddito derivante dalla cessione dello studio profes-sionale, lo stesso non era da assoggettare a tassazione.Recentemente, dunque, l’entrata in vigore del decre-to Bersani, introducendo la nuova fattispecie della cessione di clientela, ha di fatto allargato la base im-ponibile dei professionisti individuali, senza alcuna possibilità di diversa interpretazione in merito alla configurazione dei redditi da cessione di studi profes-sionali quali redditi da lavoro autonomo ex art. 54, comma 1-quater del TUIR.

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Arrivati a questo punto è importante scendere più nel dettaglio e analizzare l’aspetto più pratico delle operazioni di trasferimento di clientela professionale. Sebbene l’oggetto del trasferimento possa essere ri-tenuto “insolito” non dobbiamo dimenticare che si tratta, sempre e comunque, di un’operazione di ces-sione e quindi, come tale, necessita di essere regola-mentata da un contratto.Fondamentale, in questa analisi, è tenere a mente che un contratto di cessione di clientela professionale ha il delicato compito di regolamentare il passaggio di uno Studio professionale da un professionista ad un altro.Esso non regolamenta, dunque, la vendita materiale di un’azienda, bensì un insieme di obbligazioni posi-tive di fare e negative di non fare, le quali costituisco-no obbligazioni di mezzo e non di risultato.

Analizziamo quali siano le clausole che caratterizzano un contratto di cessione di clientela professionale.

Partendo dal presupposto, già emerso nell’esperienza francese, che una cessione di clientela professionale altro non è che un’operazione di presentazione di clientela dietro corrispettivo, appare evidente come l’oggetto del contratto non sia costituito dalla vendita in senso tecnico della clientela, bensì da un insieme di obbligazioni (obbligazioni di mezzo e non di risul-tato) finalizzate a consentire il subentro del professio-nista cessionario nei rapporti di prestazione d’opera professionale in essere con i clienti.

parte decIMa

Contrattualistica

La presentaZIone/canaLIZZaZIone

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Questa differenziazione rispetto alla classica cessio-ne d’azienda è giustificata dalla libertà decisionale del cliente, che deve poter scegliere in totale autonomia, a chi affidare la gestione dei propri affari (c.d. intuitus personae che caratterizza il rapporto professionista e cliente).Per rafforzare ulteriormente il concetto va precisato che il professionista cedente non è tenuto solo ad una semplice presentazione della clientela, ma è obbligato dal contratto a garantire l’integrazione del cessionario tramite l’assunzione di obbligazioni positive “di fare” e negative “di non fare”, le quali hanno lo scopo di realizzare la costituzione di un nuovo rapporto fidu-ciario fra la clientela ed il professionista subentrante.Tra le obbligazioni positive di fare, una specifica clau-sola dei contratti è dedicata al periodo di affianca-mento obbligatorio, durante il quale il professioni-sta cedente si obbliga, per un periodo determinato che in genere varia dai 12 ai 18 mesi, ad affiancare il professionista che gli subentra nello svolgimento dell’attività.Nella pratica, l’affiancamento è il periodo durante il quale il professionista deve presentare la clientela ce-duta per consentire al cessionario di subentrare gra-dualmente nei rapporti professionali in essere.Durante questo periodo il professionista cedente dovrà illustrare com’è organizzato lo studio nel suo complesso (attraverso l’apprendimento delle proce-dure operative impiegate) e le specifiche esigenze dei vari clienti; inoltre dovrà essere agevolata l’ottimale conoscenza dei dipendenti e collaboratori, al fine di entrare in sintonia con i medesimi ed individuare le rispettive responsabilità mansionali all’interno dello Studio.Non è insolito che, in seguito ad un periodo di af-fiancamento ritenuto positivo da entrambe le parti, si decida di optare per un proseguo della collaborazione

affIancaMento

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tra vecchio e nuovo dominus.Questa clausola deriva dai contratti di cessione di aziende, che prevedono il cosiddetto divieto di con-correnza (art. 2557 del codice civile) il quale stabi-lisce che “chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’inizia-re una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazio-ne o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta […] Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento”.La Cassazione (sent. n. 2860 del 2010), trattando un caso relativo alla cessione di uno studio professiona-le, ha stabilito che la cessione indiretta della clientela che si verifica in questi casi è in tutto e per tutto assi-milabile a un trasferimento di attività.Il cedente per tutelare la validità del contratto e la sua esecuzione in buona fede deve, oltre agli obbli-ghi positivi di fare, assumersi dunque anche obblighi negativi come, ad esempio, il divieto di riprendere ad esercitare la stessa attività nello stesso luogo.Le modalità di applicazione della clausola (ad esem-pio la durata, o verso chi essa si rivolge) possono va-riare da contratto a contratto; persiste, però, in caso di violazione del suddetto patto il pagamento di una penale commisurata all’entità del danno cagionato.Questa clausola, invece, sancisce la promessa del pro-fessionista cedente di presentare la clientela solo ed esclusivamente al professionista acquirente.Il patto di esclusiva configura, dunque, una clausola fondamentale per il rispetto della correttezza profes-sionale, in quanto, in sua mancanza, il professionista cedente, pur rispettando il patto di non concorrenza, potrebbe sviare la clientela verso professionisti che, per ipotesi, potrebbero offrire somme maggiori ri-spetto a quelle pattuite.

dIvIeto dI concorrenZa

patto dI escLusIva

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In caso di violazione del patto di esclusiva, la penale è analoga a quella prevista in tema di divieto di con-correnza.Per concludere, considerato l’oggetto principale della cessione di uno studio professionale (ovvero la clien-tela), è evidente come sia necessaria una clausola che tuteli l’acquirente da eventuali recessi della clientela medesima dai rapporti in essere.È una delle clausole fondamentali di questo partico-lare tipo di contratto.Tenuto conto che il pacchetto clienti non può esse-re ceduto con effetti reali, ma può essere contrattu-alizzato esclusivamente l’obbligo di presentazione e canalizzazione, diviene essenziale prevedere un mec-canismo di adeguamento del prezzo, legato alle pos-sibili variazioni del fatturato annuale.In sostanza, se il fatturato annuale diminuisce il cor-rispettivo di cessione verrà conseguentemente dimi-nuito, applicando alla variazione verificatasi lo stesso moltiplicatore utilizzato per la determinazione del prezzo.Una siffatta impostazione della struttura del con-tratto, oltre a essere funzionale al particolare “bene” oggetto di cessione, è avvalorata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 2860 del 2010, con cui si è affermato il principio di diritto secondo cui “è lecita-mente e validamente stipulato il trasferimento a tito-lo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e arredi, ma anche del-la clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest’ultima, non una cessione in senso tecnico ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire – attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare e negativi di non fare – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto suben-trante”.

cLausoLa dI adeguaMento

deL preZZo

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