ipertensione & alimentazione

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HEINZ BECKRistorante “La Pergola”, Roma

IpertensioneAlimentazione&

FONDAZIONE

SIIAper la ricerca sull’Ipertensione Arteriosa,le patologie correlate e laprevenzione cardiovascolare

Page 3: Ipertensione & Alimentazione

© Copyright 2010 by

Edizioni Internazionali srlDivisione EDIMES - Edizioni Medico-Scientifiche - PaviaVia Riviera, 39 - 27100 PaviaTel. 0382/526253 r.a. - Fax 0382/423120E-mail: [email protected]

Tutti i diritti sono riservati.Nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo(compresi i microfilm e le copie fotostatiche)senza il permesso scritto dell’editore.

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Prefazione 5Bruno Trimarco

Le abitudini alimentari nella prevenzione e nel trattamentodell’ipertensione arteriosa 7Pasquale Strazzullo

Sovrappeso ed ipertensionela vera storia (ed i rischi) del Signor X 23Andrea Semplicini

Commento nutrizionale 36Marika Dello Russo

Sovrappeso ed ipertensionela vera storia (ed i rischi) del Signor X Andrea Semplicini

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IL RICETTARIO 37

• Infuso di erbe e fava di Tonka con tartare di tonno e sorbetto al tè verde 40 • Spaghetti all’acqua di pomodoro e tartufi di mare 42 • Filetto di vitello alle erbe su verdure autunnali 44 • Albicocche cotte al forno con gelato allo yogurt 46

• Tartare di ricciola con avocado e pesca 50 • Maccheroncini integrali al ferretto con gamberi rossi, purea di melanzana aff umicata e croccante di pane 52 • Filetto di dentice e vongole in carta fata 54 • Millefoglie di tapioca e sorbetto al mango 56

• Carpaccio tiepido di tonno su “pappa di pomodoro” 60 • Crema di erbe spontanee con orzo e trota fario aff umicata 62 • Filetto di rombo con verdure a julienne ai frutti rossi 64 • Carpaccio e mousse leggera di ananas e fragole 66

• Carpaccio di cappesante su amaranto al mais nero con olio allo zenzero 70 • Infuso di parmigiano con carote liofi lizzate,

quinoa ed erbe 72 • Spigola in crosta di pane con pomodorini 74 • Gelatina di melograno con gelato di pinoli 76

• Insalata di erbe e ortaggi con papaia e cialde al tartufo e mandorle 80 • Risotto ai mandarini con carpaccio di scampi 82 • Agnello con pomodoro e ricotta salata 84 • Zuppa di carote con sorbetto alle pesche 86

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L’importanza dell’alimentazione nel determinismo della malattie cardiovascolari, ed in particolare dell’ipertensione arteriosa, è certa-mente ben nota e spesso associata alla necessità di rinunciare ai piaceri della tavola a favore di un alimentazione sana ma tristemente poco gu-stosa.

Una concezione questa ben esemplificata nella risposta di un me-dico ad un paziente che gli chiedeva quanti anni di vita avrebbe guada-gnato attenendosi alle prescrizioni dietetiche: “Non so quanti anni gua-dagnerà, ma so che la vita le sembrerà interminabile!”

Per smantellare questo luogo comune la Fondazione della Socie-tà Italiana dell’Ipertensione Arteriosa ha ritenuto opportuno pubblicare questo volume con l’intento di divulgare notizie più corrette ed accre-scere l’aderenza alle prescrizioni dietetiche.

Alimentazione sana non significa necessariamente rinunciare a cibi gustosi ed è per questo che il progetto ha tra i suoi protagonisti il mitico Heinz Beck, chef del ristorante La Pergola di Roma. Heinz Beck è infatti tra gli chef più famosi al mondo e deve la sua fama oltre all’im-pareggiabile gusto delle Sue pietanze, anche al rispetto delle regole per una cucina sana e salutare.

Significativo è il supporto dato a questa particolare iniziativa da TEVA/RATIOPHARM, aziende leaders nella produzione di farmaci equivalenti, ad ulteriore testimonianza della sua attenzione nel proporre campagne mirate a rafforzare una maggiore sensibilità verso una scelta per la salute consapevole e di costo-efficacia: appare evidente difatti la necessità, nella nostra società, di attuare stili di vita migliori che accre-scano il livello di salute, e quindi contribuiscano alla sostenibilità del sistema sanitario diminuendo la necessità di prestazioni clinico-diagno-stiche e terapeutiche superflue o non appropriate.

La commercializzazione di farmaci equivalenti, ossia farmaci che hanno perso la copertura brevettuale e quindi (pur dimostrando stessi profili di efficacia e sicurezza dei corrispondenti farmaci di marca) hanno

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un prezzo inferiore, permette concreti risparmi sia al cittadino che al sistema sanitario stesso, poiché contribuisce alla razionalizzazione della spesa e ad un generale miglioramento nel livello delle cure.

È stato, infatti, dimostrato che i pazienti ai quali sono prescritti farmaci che comportano un contributo economico - parziale o totale - per l’acquisto della terapia mostrano una compliance inferiore rispetto ai criteri prescrittivi con conseguenti risultati, in termini di efficacia cli-nica, sub-ottimali o addirittura pericolosi per la salute, specialmente nel caso di patologie cardiovascolari o metaboliche.

Inoltre, va ricordato che la diffusione del farmaco equivalente libe-ra importanti risorse che vengono impiegate a vantaggio dell’innovazione farmaceutica e consente così un più ampio accesso a cure gratuite, anche per patologie severe come quelle cardiovascolari, senza compromettere i livelli di successo terapeutico e di controllo dei parametri clinici.

Sono certo che il supporto di TEVA/RATIOPHARM a questa iniziativa, ideata e coordinata dalla Fondazione della Società Italiana di Ipertensione Arteriosa, non sia altro che l’inizio di un percorso di co-municazione e condivisione di un’area terapeutica così importante, qua-le quello dell’ipertensione arteriosa, che in definitiva pone il paziente al centro del nostro lavoro, aiutandolo a migliorare il suo stile di vita senza per forza rinunciare ai piaceri della tavola.

Prof. Bruno TrimarcoPresidente Fondazione

Società Italiana Ipertensione Arteriosa

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Le abitudinialimentari

nella prevenzionee nel trattamentodell’ipertensione

arteriosaPasquale Strazzullo

Dipartimento di Medicina Clinica e SperimentaleCentro di Eccellenza per l’Ipertensione Arteriosa

Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli

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INTRODUZIONE

Nonostante l’aumento della consapevolezza generale circa i rischi della pressione alta, la prevalenza dell’ipertensione nella comunità ten-de ad aumentare piuttosto che a diminuire, soprattutto a causa della sempre maggiore diffusione dell’obesità e della persistente tenden-za all’abuso di sale nell’alimentazione abituale. In parte per gli stessi motivi, nonostante la disponibilità di farmaci efficaci e ben tollerati, il controllo dell’ipertensione nella popolazione ipertesa rimane insod-disfacente.

Le più recenti Linee Guida emanate dalle società scientifiche eu-ropee ed americane hanno spostato verso il basso i valori di pressione arteriosa da considerare ottimali per la salute.

Questa scelta è motivata dall’osservazione che l’associazione tra valori pressori e rischio di ictus o infarto cardiaco è potente, graduale ed inizia già a partire da valori pressori relativamente bassi.

Essa è inoltre sostenuta dai risultati di importanti studi di interven-to in pazienti ipertesi che hanno mostrato che più bassi sono i valori pressori raggiunti maggiore è la riduzione del rischio.

Le stesse Linee Guida sostengono con forza il valore delle misure non-farmacologiche nella prevenzione e nel trattamento dell’iperten-sione. Esse ne sostengono l’importanza innanzitutto per chi soffre di ipertensione di grado lieve o presenta valori pressori ai limiti alti della norma, senza avere un rischio cardiovascolare complessivo particolar-mente alto, cioè per la maggioranza degli ipertesi.

Ma ribadiscono che queste misure sono ugualmente raccomanda-bili per coloro che presentano valori più alti di pressione arteriosa e di rischio cardiovascolare e dunque necessitano anche di una terapia farmacologica.

In quest’ultimo caso l’utilità delle modificazioni dell’alimentazione e dello stile di vita consiste nel favorire il miglioramento dei fattori di rischio metabolici associati all’ipertensione (in particolare il so-vrappeso, l’iperlipidemia e la resistenza all’insulina) e nel diminuire il consumo di farmaci con conseguente riduzione dei costi e dei possibili effetti collaterali.

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Passeremo dunque sinteticamente in rassegna le acquisizioni rela-tive a quelle modificazioni nutrizionali il cui valore è ormai universal-mente e ufficialmente riconosciuto.

RIDURRE IL CONSUMO DI SODIO E AUMENTARE QUELLO DI POTASSIO

Il ruolo dei sali di sodio e di potassio ai fini della prevenzione e della cura dell’ipertensione è oggetto di ricerca e di discussione da oltre un secolo. Negli ultimi decenni, un crescente numero di studi epidemiologici, clinici e sperimentali ha indicato un ruolo specifico e importante della riduzione del consumo di sali di sodio (il comune sale da cucina) e viceversa del maggior uso di sali di potassio nel prevenire l’ipertensione o favorirne il controllo.

SALE E PRESSIONE ARTERIOSA

Lo studio INTERSALT su oltre 10.000 individui in 32 diversi Paesi ha mostrato che, in alcune popolazioni ai margini della società industriale, ad un basso consumo abituale di sodio si associa una quasi com-pleta assenza di ipertensione così come è assente il fenomeno, tipico delle società in-dustriali, dell’aumento della pressione arteriosa con l’età.

I trial clinici controllati sugli effetti pressori della riduzione del sodio alimentare sono molto numerosi e sono stati oggetto di ripetute metanalisi. Queste sono in larga maggioranza concordi nell’eviden-ziare un significativo effetto della restrizione sodica, soprattutto nelle persone con pressione più alta e più anziane. Una recente metanalisi che ha preso in esame 20 trial controllati in pazienti ipertesi ha mo-strato che ad una riduzione media di 4 grammi e mezzo al giorno del consumo di sale corrisponde una riduzione media di oltre 5 mmHg della pressione sistolica e circa 3 mmHg della diastolica. Riduzioni dei

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nel prevenire l’ipertensione o favorirne il controllo.

dustriali, dell’aumento della pressione arteriosa con

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livelli pressori di questo ordine di grandezza sono clinicamente molto significative se si pensa che il rischio di ictus cerebrale aumenta di 3.5 volte già in soggetti con valori pressori normali-alti in confronto a coloro che hanno i valori pressori nella parte bassa della distribuzione.

È probabile che un consumo di sodio elevato promuova anche lo sviluppo di danno d’organo al di là degli effetti pressori attraverso un aumento della produzione di radicali liberi dell’ossigeno e quindi dello stress ossidativo.

Negli ultimi trent’anni sono stati condotti numerosi studi pro-spettici che hanno fornito informazioni sulla relazione tra consumo abituale di sodio e rischio di malattie cardiovascolari. Una recente metanalisi di questi studi ha fornito la dimostrazione di un’associazione diretta statisticamente significativa tra il consumo abituale di sodio ed il rischio di ictus e di malattie vascolari in generale. È stato stimato che la riduzione da 10 a 5 grammi del consumo individuale di sale com-porta una riduzione del 23% del rischio di ictus e del 17% circa del rischio di malattie vascolari in genere. Su scala planetaria queste cifre corrispondono ad un risparmio di 1.250.000 morti all’anno per ictus cerebrale e di oltre 3.000.000 di morti per malattie vascolari in toto.

Il cloruro di sodio è il sale sodico più diffuso in natura ma è presente negli alimenti in quantità molto modesta. La dieta dell’uomo preisto-rico conteneva poco più di mezzo grammo di sale al giorno, al pari ad esempio della dieta attuale degli chimpanzé, animali geneticamente vi-cini alla specie umana. Un recente studio sperimentale ha mostrato che, se a questi animali viene invece somministrata una dieta ricca in sale, nel corso di pochi mesi la loro pressione arteriosa aumenta sensibilmente, tornando alla norma con il ritorno ad un consumo “normale”. L’au-mento del consumo di sale è avvenuto in epoca relativamente recente, dapprima ai fini della conservazione degli alimenti poi come agente di sapidità, fino all’attuale largo abuso di oltre 10 grammi al giorno in media, dovuto al fatto che, per l’adattamento del gusto, più si consu-mano alimenti salati più si sviluppa una preferenza per questi ultimi.

La grande maggioranza degli individui (specie se ipertesi) presen-ta un calo della pressione arteriosa in risposta alla diminuzione del consumo di sale anche se alcuni individui sono più sensibili di altri, in

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relazione a fattori genetici, a caratteri ormonali e neurovegetativi ma anche alla gravità dell’ipertensione, all’età e alla presenza di sovrap-peso o obesità. La documentata associazione di una maggiore sensibi-lità al sodio con alterazioni metaboliche quali resistenza all’insulina, adiposità centrale e dislipidemia fa sì inoltre che gli ipertesi obesi o diabetici siano esposti ad un rischio cardiovascolare particolarmente alto. Questi pazienti sono anche maggiormente predisposti al danno glomerulare (indicato dalla microalbuminuria) e allo sviluppo di in-sufficienza renale.

Per questi motivi, il controllo ottimale della pressione arteriosa e la correzione delle alterazioni metaboliche associate sono partico-larmente importanti e necessari in questi pazienti ai fini di una reale e significativa riduzione del rischio di complicanze cardiovascolari e renali. La prima e più potente arma terapeutica disponibile a questo scopo è una consistente riduzione dell’apporto sodico alimentare che, in questi pazienti, è spesso in grado di indurre una risposta pressoria paragonabile a quella di un farmaco antiipertensivo ed anche in caso di risposta insufficiente favorisce significativamente l’azione del far-maco che successivamente si renda necessario.

Visto che gli alimenti “naturali” contengono po-chissimo sale, la grande maggioranza (oltre tre quarti) del sale che noi introducia-mo è quello aggiunto agli alimenti nel processo di lavorazione industriale o eventualmente da noi stessi a tavola e in cucina. Dunque, per poterlo ridurre, è necessario evitare l’acquisto di prodot-ti ad elevato contenuto di sodio (facendo attenzione alle etichette, quando ci sono), ridurre il più possibile l’aggiunta di sale in cu-cina ed eliminare la saliera dalla tavola. È però in-dispensabile che l’industria alimentare venga incontro a questa urgente necessità riducendo di propria iniziativa o per effetto di misure legi-slative la quantità di sale aggiunto agli alimenti confezionati. In alcuni Paesi sono stati realizzati dei progressi in questa direzione attraverso

di risposta insufficiente favorisce significativamente l’azione del far-maco che successivamente si renda necessario.

Visto che gli alimenti “naturali” contengono po-chissimo sale, la grande maggioranza (oltre

attenzione alle etichette, quando ci sono), ridurre il più possibile l’aggiunta di sale in cu-cina ed eliminare la saliera dalla tavola. È però in-ridurre il più possibile l’aggiunta di sale in cu-cina ed eliminare la saliera dalla tavola. È però in-ridurre il più possibile l’aggiunta di sale in cu-

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la collaborazione tra i governi, gli organi preposti alla salute pubblica e alcuni settori dell’industria che hanno accettato una riformulazione di prodotti alimentari di largo consumo con riduzione del contenuto di sale. Questi sforzi hanno portato ad una riduzione media di circa 1 grammo del consumo di sale nell’arco di quattro anni in Inghilterra.

POTASSIO ALIMENTARE E PRESSIONE ARTERIOSA

Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato una ridotta pre-valenza di ipertensione nelle popolazioni che consumano abitualmente una dieta ad elevato contenuto di potassio oltre che a basso contenuto di sodio. Così pure molti trial clinici controllati hanno dimostrato il significativo effetto antiipertensivo di supplementi orali di potassio o di diete naturalmente ricche di questo elemento. Infine studi sperimen-tali in modelli animali hanno suggerito che diete ad elevato contenuto di potassio esercitino, oltre all’effetto sulla pressione arteriosa, anche un’azione protettiva nei confronti dello sviluppo di lesioni vascolari.

Il potassio è contenuto principalmente nella frutta, nelle verdure, nei legumi e nei semi oleosi, in forma di sali inorganici ed organici. L’apporto medio di potassio in diverse populazioni è compreso tra 25 e 90 mmol/die, con un’ampia variabilità inter- ed intra-individuale.

Le osservazioni epidemiologiche concorda-no sull’esistenza di una relazione inversa

tra apporto dietetico di potassio e pres-sione arteriosa.

Le diverse meta-analisi degli studi di intervento hanno mo-

strato che esiste un rapporto causale tra il supplemento orale di potassio e la ridu-zione pressoria osservata, che l’effetto antiiperten-sivo del potassio è clinica-mente significativo, che il calo pressorio, seppure

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più modesto, osservato in soggetti normotesi ne suggerisce l’utilità anche ai fini della prevenzione primaria dell’ipertensione, e che un maggior apporto alimentare di potassio è ben tollerato ed esente da effetti negativi.

Nello studio retrospettivo americano sulla coorte di Rancho-Bernardo composta da circa 800 anziani, coloro che riportavano, alla osservazione iniziale, un più alto consumo alimentare di potassio, pre-sentarono la più bassa incidenza di eventi cerebrovascolari. In un suc-cessivo studio su circa 10.000 persone seguite per 19 anni, gli individui compresi nel quartile inferiore di consumo abituale di potassio pre-sentarono un’incidenza di malattia cerebrovascolare ischemica signifi-cativamente maggiore. Infine, in uno studio su circa 10.000 soggetti, un consumo di potassio nel tertile più basso della distribuzione era associato ad una mortalità cerebrovascolare significativamente più alta.

Dunque, esiste un livello di evidenza consistente in favore di un effetto protettivo di un maggiore consumo alimentare di potassio ri-guardo il rischio di malattia e di morte cerebrovascolare, anche indi-pendentemente dagli effetti sulla pressione arteriosa.

Sebbene nella maggior parte degli studi di intervento siano stati utilizzati sali di potassio (in genere cloruro di potassio) sotto forma di preparati farmacologici, di notevole rilievo ai fini pratici, è la dimostra-zione dell’efficacia antiipertensiva del supplemento di potassio fornito attraverso modificazioni dietetiche. In uno studio randomizzato a lungo termine, è stata dimostrata la possibilità di ridurre significativamente il consumo di farmaci in pazienti ipertesi attraverso il semplice aumento dell’apporto dietetico di potassio. L’intervento dietetico è stato ben tol-lerato e si è associato ad una migliore qualità della vita attribuibile alla ri-duzione degli effetti collaterali conseguente al diminuito uso di farmaci.

Più recentemente lo studio americano DASH ha valutato gli effetti sulla pressione arteriosa di modificazioni dietetiche complesse, che contemplavano comunque un maggior consumo di potassio attraverso una dieta arricchita in frutta e altri alimenti vegetali. I risultati di que-sto trial hanno mostrato che questa dieta riduceva significativamente la pressione arteriosa sistolica e diastolica, sia negli ipertesi che nei normotesi.

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Sulla base dei dati disponibili, le più recenti Linee Guida racco-mandano un apporto di potassio di almeno 90 mmol/die (ca. 3600 mg) ai fini della prevenzione e della terapia dell’ipertensione arteriosa, ammonendo altresì che uno scarso apporto dietetico di potassio può avere come conseguenza un aumento dei valori pressori. Le strategie nutrizionali dirette ad aumentare l’apporto dietetico di potassio pre-vedono l’aumento del consumo di frutta e verdura, e in minor misura, di legumi e semi oleosi.

L’adozione di questo tipo di dieta, relativamente semplice in un Paese come l’Italia e pienamente in accordo con le più recenti Linee Guida nutrizionali, si associa anche ad un aumento del consumo di altri nutrienti con effetti potenzialmente favorevoli, quali fibre, vitamine antiossidanti e altri composti di origine vegetale, i cui effetti salutari si estendono anche alla prevenzione di altre patologie.

CALCIO, VITAMINA D E MAGNESIO

Il ruolo del calcio nel controllo della pressione arteriosa è legato al suo coinvolgimento nei processi cellulari che determinano la con-trazione della muscolatura liscia dei vasi. Nel paziente iperteso sono state descritte in passato diverse anomalie del metabolismo del calcio. Secondo alcuni studi, il paziente iperteso tende ad una condizione di

deficit relativo di calcio dovuta ad una tendenza all’iper-calciuria, a sua volta favorita dall’abuso di sodio

alimentare. L’ipercalciuria espone il paziente iperteso ad un rischio più elevato di calco-

losi renale, come documentato da nume-rose osservazioni epidemiologiche. È

stato ipotizzato che la correzione di questa condizione di carenza relativa di calcio possa avere effetti benefici sulla pressione arteriosa. Gli studi randomizzati e controllati disponi-bili non hanno fornito risultati uni-voci tuttavia, nello studio DASH,

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laddove una dieta ricca in frutta e vegetali si associava a valori pressori significativamente più bassi, il suo ulteriore arricchimento con calcio determinava una riduzione della pressione ancora più marcata.

In diversi studi epidemiologici, anche i livelli di vitamina D nel sangue sono risultati inversamente correlati alla pressione arteriosa, grazie all’effetto della vitamina D sull’assorbimento intestinale di cal-cio ma anche probabilmente per l’effetto inibente della vitamina D sull’attività reninica. La supplementazione della dieta con vitamina D è stata in grado di ridurre la pressione arteriosa in alcuni studi clinici controllati in pazienti ipertesi anziani, più soggetti a carenza.

Per quanto riguarda il magnesio, la più recente revisione critica della letteratura scientifica sulle relazioni esistenti tra supplemento di magnesio e pressione arteriosa ha analizzato i risultati di vari studi clinici randomizzati in pazienti affetti da ipertensione in cui il supple-mento di magnesio è stato somministrato per un periodo variabile da 8 a 26 settimane.

I risultati dell’analisi hanno evidenziato una riduzione lieve della pressione, statisticamente significativa solo per la diastolica. Allo stato attuale, considerando anche la bassa qualità media degli studi dispo-nibili, l’evidenza in favore di un effetto antiipertensivo del magnesio è abbastanza debole.

MACRONUTRIENTI

Proteine della dieta e pressione arteriosaDiversi studi di popolazione hanno mostrato in generale una cor-

relazione inversa tra contenuto proteico della dieta e pressione arte-riosa. Nello studio INTERMAP, in particolare, un maggiore apporto dietetico di proteine vegetali è risultato associato a valori pressori più bassi, viceversa un maggiore apporto di carni rosse e proteine animali a valori più alti.

L’effetto benefico delle proteine vegetali potrebbe essere dovuto all’azione di specifici aminoacidi, cistina, prolina, serina e fenila-lanina, predominanti nelle proteine vegetali. Nella popolazione di Gubbio è stata osservata analogamente una relazione inversa tra azo-

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to urinario (indicatore di apporto proteico alimentare) e pressione arteriosa ed è stato ipotizzato che l’effetto favorevole di un maggior apporto alimentare di proteine, in particolare di proteine vegetali, sia riconducibile ad un effetto favorente l’eliminazione urinaria di sodio.

Inoltre, in uno studio condotto in pazienti sottoposti a trapianto renale, si è visto che la sostituzione delle proteine animali con protei-ne di soia determinava un significativo miglioramento della funzione dell’endotelio dei vasi.

In definitiva, i dati della letteratura sono tendenzialmente in favore di un effetto favorevole di un maggior consumo di protei-ne vegetali sulla pressione arteriosa, evitando di adottare una dieta iperproteica e quindi sostituendo parte delle proteine animali con proteine vegetali: questo è del resto perfettamente in accordo con il suggerimento di aumentare il contenuto di vegetali e legumi nell’ali-mentazione abituale.

Grassi alimentari e pressione arteriosaGli effetti dei macronutrienti sulla pressione arteriosa dipendo-

no dal tipo di carboidrati, proteine o grassi presi in considerazione. Le differenze sono particolarmente rilevanti nel caso dei li-pidi alimentari. Infatti ben diversi sono gli effetti sulla pressione dei grassi saturi, dei quali è stata riportata la tendenza ad incrementare i valori pressori, da quelli

dei grassi monoinsaturi e polinsaturi per i quali gli studi di intervento propendono

per un’azione favorevole. Lo studio INTER-MAP ha mostrato una associazione inversa tra la pressione arteriosa e i livelli dietetici abituali di acidi grassi polinsaturi, sia omega-6 (in par-ticolare il principale tra questi, l’ac. linoleico) sia gli omega-3 (con la componente vegetale, ac.

linolenico, e quella derivante dagli oli di pesce).

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Fin dagli anni ’80 è stato dimostrato che sostituendo a titolo spe-rimentale in una dieta di tipo mediterraneo grassi saturi al posto dei monoinsaturi (olio di oliva) si provoca un incremento dei valori pres-sori. Più recentemente è stato riportato che i prodotti di ossidazione della cottura degli oli determinano un incremento del rischio di iper-tensione e che un pasto iperlipidico induce un peggioramento della funzione endoteliale.

Al contrario, una dieta povera in colesterolo e grassi saturi sembra ridurre la rigidità della parete arteriosa, una delle cause dell’aumento dei valori pressori con l’età.

Grassi monoinsaturi Numerosi studi di intervento hanno dimostrato una riduzione della

pressione arteriosa nel corso di una alimentazione ricca in olio di oliva.È stato osservato che il consumo di olio di oliva extravergine,

nel quantitativo consigliato per una dieta isocalorica, contribuiva ad un miglior controllo della pressione arteriosa e ad una riduzione del consumo giornaliero di farmaci antiipertensivi, in confronto a una dieta ricca in olio di girasole e quindi in n-6 poliinsaturi. Questa os-servazione è stata confermata recentemente da altri studi.

Grassi poliinsaturiIl consumo di acido linolenico sembra essere associato ad un mi-

nor rischio di ipertensione; così pure, è stato riportato che la som-ministrazione di poliinsaturi nell’infanzia ridurrebbe i valori pressori durante le fasi successive della vita.

Circa gli effetti dell’olio di pesce (n-3 poliinsaturi), vi sono nu-merose evidenze in favore della utilità del consumo di acido eico-sapentaenoico e docosoesaenoico, i principali componenti dell’olio di pesce, nella prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari verosimilmente per il loro effetto antiaritmico; un effetto sulla pres-sione arteriosa sembra, invece, richiedere consumi più elevati.

In conclusione, i dati della letteratura sono per lo più favorevoli all’impiego di grassi mono e poliinsaturi nella alimentazione quotidia-na del paziente iperteso, in sostituzione dei grassi saturi.

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FIBRA

Le ricerche sull’associazione tra supplemento di fibre e pressione arteriosa hanno fornito risultati controversi. Questo si spiega probabil-mente con il fatto che diversi fattori, come la quantità e il tipo di fibra assunta e l’aderenza alla prescrizione dietetica, possono influenzare sensibilmente i risultati. Il supplemento di fibra, inoltre, è associa-to ad un aumento dell’assunzione di potassio e magnesio, anch’essi potenzialmente in grado di influenzare la pressione arteriosa. Una recente meta-analisi dei trials randomizzati e controllati sull’efficacia antiipertensiva del supplemento di fibre (aumento medio = 11.5 g/die) ha evidenziato un lieve effetto sulla pressione arteriosa, maggiore negli individui più anziani e negli ipertesi.

ALCOOL

Numerosi studi hanno esaminato la relazione esistente tra consumo di alcool e pressione arteriosa e i risultati sono concordi nel mostrare un’associazione tra consumo settimanale di alcool, pressione arteriosa e prevalenza di ipertensione; tale associazione è presente in nume-rose popolazioni e in entrambi i sessi. Alcuni di questi studi hanno

messo, inoltre, in evidenza che la relazione tra alcool e pres-sione arteriosa è di tipo J o U-shaped, tale cioè che i bevitori “lievi-moderati” mostrano valori pressori inferiori sia rispetto ai forti bevitori sia rispetto agli astemi. I livelli di assunzione di alcool considerati ‘protettivi’ sono in genere significativamente

più bassi nelle donne rispetto agli uomini, fattore questo da tenere sempre presente nella valutazione dei livelli consigliati di assunzione di alcool.

Negli studi di popolazione, a differenza degli studi randomizzati di intervento, la stima del consumo indi-viduale di alcool presenta evidenti problemi metodo-logici: esiste in generale una tendenza a sottostimare il proprio consumo di alcool e i forti bevitori non par-tecipano abitualmente a studi di questo tipo. Le nuove

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tendenze nella ricerca in questo campo danno rilievo ad aspetti rimasti in passato largamente inesplorati, quali il ruolo dei drinking patterns e del tipo di bevande alcooliche consumate, oltre che all’associazione con patologie emergenti in campo cardiovascolare quali la sindrome metabolica.

La relazione tra drinking pattern e rischio di ipertensione è stata oggetto di uno studio condotto su un ampio campione di popolazione statunitense. In questo studio, i bevitori abituali mostravano un rischio maggiore rispetto agli astemi, ma tale rischio era statisticamente si-gnificativo solo quando si considerava la quantità di alcool assunta nei precedenti 30 giorni. Nel gruppo dei consumatori di alcool, poi, il rischio era maggiore tra coloro che consumavano abitualmente be-vande alcoliche al di fuori dei pasti, indipendentemente dalla quantità di alcool assunta nei 30 giorni precedenti. L’aumento del rischio di ipertensione osservato in questo gruppo era consistente (64%) anche se non venivano presi in considerazione fattori confondenti associati ai diversi stili di vita dei gruppi a confronto. I risultati di questo studio erano in linea con quelli di un altro studio condotto in precedenza su una coorte di consumatori abituali di vino in Italia. In questo campio-ne, l’abitudine a consumare alcool lontano dai pasti era associata ad una mortalità significativamente maggiore, sia cardiovascolare sia per tutte le cause. Analogamente, in un altro studio, il rischio di infarto del miocardio è risultato significativamente aumentato in coloro che consumavano abitualmente bevande alcoliche lontano dai pasti.

Grande interesse scientifico suscita anche la valutazione dell’effet-to del tipo di bevanda alcolica consumata sul rischio cardiovascolare e la pressione arteriosa. Il consumo di liquori è risultato, in generale, associato a valori pressori più elevati rispetto al consumo di altre be-vande alcoliche. Altri studi hanno invece paragonato specificamente gli effetti cardiovascolari dell’assunzione di birra o vino. Una recente meta-analisi ha evidenziato l’effetto protettivo sul rischio di eventi cardiovascolari di un moderato consumo di vino; tale associazione era presente anche per moderati consumi di birra pur in assenza in questo secondo caso di una chiara relazione lineare. Nell’altro studio prece-dentemente citato, è stato analizzato anche l’effetto del tipo di bevanda

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alcolica sul rischio di ipertensione ma non è stata riscontrata alcuna associazione significativa. Per quanto riguarda gli studi di intervento, questi non sono a favore di una differenza tra l’effetto pressorio del vino e quello della birra. In uno studio in soggetti normotesi, vino e birra determinavano in acuto un incremento simile della pressione ar-teriosa. Questi risultati nel loro insieme suggeriscono che le differenze osservate negli studi epidemiologici tra gli effetti cardiovascolari del consumo di vino e di birra sono almeno in parte da ascriversi ad altri fattori, quali per esempio i diversi stili di vita dei consumatori di vino rispetto ai consumatori di birra.

CONCLUSIONI

In base all’evidenza disponibile fin qui riassunta risulta chiaro che il ruolo della nutrizione nella prevenzione e nella terapia dell’ipertensio-ne arteriosa rappresenta una realtà scientificamente ben documentata. È vero però che l’elevata intercorrelazione nell’apporto alimentare di molteplici nutrienti rende difficile, talora impossibile, dissociare l’effetto biologico del singolo nutriente rispetto a quello di tutti gli altri e stabilirne esattamente l’entità. Questo deve indurci a valorizzare il concetto di “intervento globale”, inteso come modificazione com-plessiva delle abitudini alimentari e anzi dello stile di vita, ai fini del controllo della pressione arteriosa e, più in generale, della prevenzione cardiovascolare. Il già citato DASH Trial” ha messo a fuoco gli effet-ti sulla pressione arteriosa di uno “stile alimentare”, ovvero l’effetto degli alimenti più che dei singoli nutrienti. Modelli alimentari come quello proposto nel DASH o, ancor meglio, quello ampiamente noto come dieta mediterranea, rispondono alle più consolidate e moderne acquisizioni scientifiche e costituiscono una preziosa integrazione alla terapia farmacologica e una risorsa fondamentale ai fini della preven-zione. Soprattutto l’attenzione al peso corporeo e alla composizione della dieta nel suo insieme, la rinuncia agli abusi di sale e di alcool, e l’impegno nel sostenere un regolare esercizio fisico, sono misure essenziali per il trattamento dell’ipertensione come pure per la sua prevenzione nelle persone predisposte. Tuttavia, la prescrizione di que-

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ste misure una tantum da parte del medico è inefficace se non viene reiterata periodicamente e verificata con frequenza.

Non bisogna sottovalutare le difficoltà che ognuno di noi incontra nel tentativo di modificare in senso favorevole le proprie abitudini di vita: la difficoltà di inserire una attività fisica regolare nel proprio orario di lavoro, quella di reperire e preparare in tempi ragionevoli gli alimenti più idonei al programma dietetico stabilito (problemi si incontrano ad esempio per procurarsi alimenti a basso contenuto di sodio così come per la preparazione di verdure e legumi che richiede tempi relativamente lunghi).

E, ancora, non vanno sottovalutati i maggiori costi di un’alimen-tazione più sana e la necessità di adattare il proprio gusto e quello dei propri familiari alle rinnovate abitudini alimentari.

Date queste difficoltà, le modificazioni dello stile di vita devono essere prospettate come un impegno serio e spiegato dal medico o dai suoi collaboratori impiegando il tempo necessario, in genere sensibil-mente maggiore di quello sufficiente per la prescrizione farmacolo-gica, motivando il paziente a superare le difficoltà iniziali. Il successo nell’applicazione di queste misure è decisivo ai fini dell’affermazione della strategia di prevenzione.

letture consigliate e siti web utili per consultazioneGruppo di Lavoro Intersocietario per la Riduzione del Consumo di Sale in Italia (GIR-

CSI). www.menosalepiusalute.itHe FJ, Mac Gregor GA. Effect of longer-term modest salt reduction on blood pressure.

Cochrane Database of Systematic Reviews 2004, Issue 1. Art. No.: CD004937. Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione. Linee Guida per una sana

alimentazione. www.inran.itStrazzullo P, et al. Salt intake, stroke, and cardiovascular disease: meta-analysis of pro-

spective studies. BMJ 2009; 339: b4567doi: 10.1136Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA). www.siia.itThe Task Force for the Management of Arterial Hypertension of the European Society

of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). 2007 Guidelines for the Management of Arterial Hypertension. J. Hypertens. 2007, 25: 1105-87.

Whelton PK et al. Lifestyle modifications for the prevention and treatment of hyper-tension. Basel, Marcel Dekker New York, 2003.

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