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Chirurgia Plastica 31/10/14 INTRODUZIONE AL CORSO Iniziamo con una lezione introduttiva sulla chirurgia plastica, vorremmo essere sicuri che voi sappiate di che tratta la chirurgia plastica, quali sono gli argomenti d’interesse di questa disciplina. Un po’ di storia anche se in realtà possiamo soprassedere sull’argomento, lo trovate su qualsiasi libro di testo, in realtà la chirurgia plastica è la chirurgia ricostruttiva, nasce come chirurgia ricostruttiva sebbene attualmente sia più associata ad interventi di tipo estetico. Per chirurgia plastica intendiamo automaticamente la chirurgia ricostruttiva, la chirurgia estetica si chiama chirurgia estetica. E già dai tempi dell’800 in realtà sono stati descritti degli interventi soprattutto di ricostruzione del naso in soggetti traumatizzati piuttosto che in amputazioni del naso che venivano procurate alle donne che facevano le cattive. La chirurgia ricostruttiva in realtà è una chirurgia che ha trovato largo interesse soprattutto in epoca bellica e si trattava prevalentemente di ricostruzioni che riguardavano gli arti, le mani. Malformazioni congenite Ci occupiamo in realtà come argomento d’interesse attuale innanzitutto delle malformazioni congenite. Le malformazioni congenite possono essere malformazioni dell’estremo cefalico così come degli arti; nel caso specifico vedete una labioschisi [riferendosi alla slide]. Come penso sappiate già le malformazioni congenite in genere sono multifattoriali e multidisciplinari: la labioschisi nello specifico molto spesso si associa anche ad una palatoschisi e quindi la chirurgia plastica inizia a configurarsi come una disciplina di interazione con molte altre discipline. Nello specifico interagiamo con i chirurghi maxillo-facciali e interagiamo con i chirurgi senologi. In realtà il nostro lavoro è quello di dare una restitutio ad integrum successivamente ad una chirurgia più amputativa. Nel caso delle malformazioni congenite ovviamente non è così, per cui interagiamo con altre discipline per ricostituire la funzionalità normale nel caso di malformazioni congenite e quindi soggetti specifici che hanno poi numerose patologie. Normalmente la labioschisi trova una sua possibilità ricostruttiva già entro i primi due anni di vita, ovviamente in questi casi [riferendosi alle slides] parliamo di malformazioni molto più complesse quindi è evidente che le problematiche possono essere problematiche neurochirurgiche, problematiche ortopediche e quindi non soltanto plastico-ricostruttive. Ciò nonostante possiamo garantire nel tempo e negli anni (non parliamo mai di un unico intervento) una restitutio ad integrum e un ripristino della funzionalità. Per l’arto superiore invece abbiamo le sindattilie (stiamo facendo una carrellata di tutto quelli che saranno poi gli argomenti che andremo a studiare in maniera più specifica e che saranno poi materia d’esame). Nelle sindattilie chiaramente possiamo avere delle sindattilie semplici o psudosindattilie, dove l’interesse è soltanto ricostruire la porzione cutanea e i tegumenti, quando parliamo invece delle sindattile complesse abbiamo una fusione oppure una ipogenesia dell’elemento osseo e dell’elemento cartilagineo e quindi immaginerete quanto sia più complicata la ricostruzione. Le sindattile spesso non riguardano soltanto due dita, ma spesso abbiamo una fusione di tutto l’arto superiore. Sui genitali esterni prevalentemente quello che andremo a studiare sarà l’ipospadia così come tutte le fimosi, le parafimosi, insomma sono argomenti più leggeri, e le malformazioni congenite della regione toracica e quindi la regione mammaria. In questo caso parliamo di ipomastie oppure agenesie monolaterali della mammella. La cosa importante è la diagnosi differenziale proprio per la differenza che facevamo prima tra la parte ricostruttiva e la parte estetica. Diciamo che ci sono situazioni che vengono considerate limite: nel caso in cui ci sia una ghiandola mammaria completamente formata e l’altra malformata è evidente che si tratta di un problema malformativo, un problema che interviene già quando la paziente è in età della pubertà. È chiaro che ci sono delle pazienti che presentano delle ipomastie severe che vanno quasi all’agenesia della mammella e allora a quel punto sarà la vostra WWW.SUNHOPE.IT

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Chirurgia Plastica 31/10/14

INTRODUZIONE AL CORSO Iniziamo con una lezione introduttiva sulla chirurgia plastica, vorremmo essere sicuri che voi sappiate di che tratta la chirurgia plastica, quali sono gli argomenti d’interesse di questa disciplina. Un po’ di storia anche se in realtà possiamo soprassedere sull’argomento, lo trovate su qualsiasi libro di testo, in realtà la chirurgia plastica è la chirurgia ricostruttiva, nasce come chirurgia ricostruttiva sebbene attualmente sia più associata ad interventi di tipo estetico. Per chirurgia plastica intendiamo automaticamente la chirurgia ricostruttiva, la chirurgia estetica si chiama chirurgia estetica. E già dai tempi dell’800 in realtà sono stati descritti degli interventi soprattutto di ricostruzione del naso in soggetti traumatizzati piuttosto che in amputazioni del naso che venivano procurate alle donne che facevano le cattive. La chirurgia ricostruttiva in realtà è una chirurgia che ha trovato largo interesse soprattutto in epoca bellica e si trattava prevalentemente di ricostruzioni che riguardavano gli arti, le mani.

Malformazioni congenite Ci occupiamo in realtà come argomento d’interesse attuale innanzitutto delle malformazioni congenite. Le malformazioni congenite possono essere malformazioni dell’estremo cefalico così come degli arti; nel caso specifico vedete una labioschisi [riferendosi alla slide]. Come penso sappiate già le malformazioni congenite in genere sono multifattoriali e multidisciplinari: la labioschisi nello specifico molto spesso si associa anche ad una palatoschisi e quindi la chirurgia plastica inizia a configurarsi come una disciplina di interazione con molte altre discipline. Nello specifico interagiamo con i chirurghi maxillo-facciali e interagiamo con i chirurgi senologi. In realtà il nostro lavoro è quello di dare una restitutio ad integrum successivamente ad una chirurgia più amputativa. Nel caso delle malformazioni congenite ovviamente non è così, per cui interagiamo con altre discipline per ricostituire la funzionalità normale nel caso di malformazioni congenite e quindi soggetti specifici che hanno poi numerose patologie. Normalmente la labioschisi trova una sua possibilità ricostruttiva già entro i primi due anni di vita, ovviamente in questi casi [riferendosi alle slides] parliamo di malformazioni molto più complesse quindi è evidente che le problematiche possono essere problematiche neurochirurgiche, problematiche ortopediche e quindi non soltanto plastico-ricostruttive. Ciò nonostante possiamo garantire nel tempo e negli anni (non parliamo mai di un unico intervento) una restitutio ad integrum e un ripristino della funzionalità. Per l’arto superiore invece abbiamo le sindattilie (stiamo facendo una carrellata di tutto quelli che saranno poi gli argomenti che andremo a studiare in maniera più specifica e che saranno poi materia d’esame). Nelle sindattilie chiaramente possiamo avere delle sindattilie semplici o psudosindattilie, dove l’interesse è soltanto ricostruire la porzione cutanea e i tegumenti, quando parliamo invece delle sindattile complesse abbiamo una fusione oppure una ipogenesia dell’elemento osseo e dell’elemento cartilagineo e quindi immaginerete quanto sia più complicata la ricostruzione. Le sindattile spesso non riguardano soltanto due dita, ma spesso abbiamo una fusione di tutto l’arto superiore. Sui genitali esterni prevalentemente quello che andremo a studiare sarà l’ipospadia così come tutte le fimosi, le parafimosi, insomma sono argomenti più leggeri, e le malformazioni congenite della regione toracica e quindi la regione mammaria. In questo caso parliamo di ipomastie oppure agenesie monolaterali della mammella. La cosa importante è la diagnosi differenziale proprio per la differenza che facevamo prima tra la parte ricostruttiva e la parte estetica. Diciamo che ci sono situazioni che vengono considerate limite: nel caso in cui ci sia una ghiandola mammaria completamente formata e l’altra malformata è evidente che si tratta di un problema malformativo, un problema che interviene già quando la paziente è in età della pubertà. È chiaro che ci sono delle pazienti che presentano delle ipomastie severe che vanno quasi all’agenesia della mammella e allora a quel punto sarà la vostra

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capacità discriminante a farvi capire se si tratta di un problema ricostruttivo in senso ampio, perché poi in realtà il ripristino della funzione voi lo dovete sempre considerare in senso più ampio, quindi non soltanto in senso specifico anatomico ma anche in senso relazionale della possibilità di sviluppo della persona a 360° ed è una cosa che vedremo in vari ambiti. Questo è il motivo per cui la ricostruzione della mammella viene considerata uno dei livelli essenziali di assistenza, perché il ripristino della funzione magari in una donna che ha già allattato, ha già avuto figli o una donna di 50 anni, dici perché devo ricostruire la mammella? In realtà per ripristino della funzione voi dovete intendere anche la capacità di relazionarsi. Traumi Ancora, trattiamo patologie di origine traumatica che prevedono quindi un deficit di qualsiasi tipo di funzione e che sono spesso poi associate a dei traumi ben più complessi come fratture, dislocazione e via dicendo. Per patologia traumatica intendiamo anche patologie dei tegumenti specifici: questo è un morso di cane [indicando la slide] che ha distaccato tutta la porzione della pinna del naso e la porzione cartilaginea, quindi in questo caso si va a ricostruire non soltanto il tegumento ma anche la cartilagine mancante. Sempre per le patologie traumatiche intendiamo ferite al volto. In genere si tratta di incidenti stradali per la maggior parte delle volte (perché le ustioni hanno poi un capitolo a parte) in cui le possibilità ricostruttive intervengono chiaramente dilazionate nei tempi e nelle possibilità che abbiamo rispetto alla situazione di partenza per dare poi un risultato che è poi quanto meno se non soddisfacente, più o meno soddisfacente [Il discorso della prof in questo caso non è perfettamente limpido, ma più o meno il senso lo si capisce: gli interventi ricostruttivi sono dilazionati nel tempo e l’esito dipende dalla situazione di partenza, cercando comunque di ottenere un risultato soddisfacente]. Sempre tra i traumi complessi troviamo le fratture di tutta quanta la porzione cranio-facciale e per questo che spesso la chirurgia plastica sconfina un pochino nella maxillo-facciale anche se normalmente tendiamo a collaborare serenamente. Microchirurgia La parte microchirurgica è relativamente nuova in chirurgia plastica perché ci consente attraverso l’utilizzo di microscopi di confezionare delle anastomosi che sono anastomosi artero-venose, e quindi vascolari, oppure anastomosi tendinee o anastomosi nervose, dipende da di che distretto andiamo a parlare. Chiaramente l’avvento della microchirurgia ha cambiato molto anche gli interventi di routine della chirurgia plastico-ricostruttiva per cui abbiamo la possibilità di utilizzare dei lembi anche a distanza, lembi che prima venivano confezionati con intascamento, quindi si aspettava un’autonomizzazione del tessuto che doveva andare a coprire una grossa perdita di sostanza. Attualmente, spesso, vengono invece sostituiti da lembi microchirurgici per cui possiamo prelevare un lembo anche molto distante dalla porzione cutanea e muscolare e anastomizzarlo con la regione ricevente. Una perdita traumatica della mano viene anastomizzata sia dal punto di vista vascolare che nervoso e si spera, la maggior parte delle volte, di avere anche un ripristino della funzione e non soltanto dell’integrità anatomica. Ustioni Le ustioni sono un capitolo a parte della chirurgia plastica e in realtà è l’unica parte, diciamo così, di pronto soccorso del nostro ambito. Le ustioni chiaramente anche qui sono delle patologie multifattoriali e multidisciplinari e normalmente anche dell’area medica, perché un soggetto gravemente ustionato ha prima un problema di tipo sistemico e poi un problema di tipo tegumentario, per cui è chiaro che la cura di questi pazienti è una cura sempre integrata, sono pazienti di terapia intensiva. Ovviamente oltre che all’ustione in senso acuto, andiamo a fare terapia sugli esiti delle ustioni. Gli esiti delle ustioni sono caratteristici perché oltre a dare queste cicatrici retraenti, che chiaramente se sono in delle zone importanti… sono tutte zone importanti, ma chiaramente parliamo

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di zone del volto, zone di flesso-estensione tutta quanta la zona palpebrale, periorifiziale della bocca, prevedono degli interventi anche a distanza superata la fase acuta, diciamo così, della problematica dell’ustione. Tumori cutanei La collaborazione con i dermatologi è una collaborazione costante, perché chiaramente la parte chirurgica dei tumori cutanei compete normalmente a noi, laddove spesso i tumori cutanei sono localizzati in delle zone molto particolari in cui non si può semplicemente procurare un exeresi del tumore e una chiusura, perché questo darebbe chiaramente delle difficoltà nelle funzioni specifiche. [La prof inizia a commentare una serie di slides] Vedete ad esempio un tumore della porzione del canto. In una rimozione oncologicamente corretta, in cui dovete includere anche una parte di tessuto sano, si avrebbe chiaramente una problematica, in questo caso, della chiusura della rima. O ancora tumori grandi, come nei melanomi che sono localizzati a livello del dorso, sono impossibili da chiudere in maniera diretta volendo procurare una exeresi oncologicamente corretta e quindi includendo larga parte del tessuto sano. In questo caso… insomma è un pochino vecchia quest’immagine perché attualmente si preferisce inizialmente non dare dei margini così ampi per dare la possibilità di seguire il linfonodo sentinella, ma comunque sia per i tumori cutanei dobbiamo pensare a delle exeresi molto grandi e quindi come chirurgi plastici, diciamo, ci inventiamo delle possibilità di chiusura che poi andremo a vedere man mano nel corso. Quindi prevalentemente attraverso lembi di avanzamento, lembi di rotazione che ci permettono di distribuire le forze di tensione a livello della cute. Ancora qualche esempio: questa è una chiusura diretta e quindi una cosa estremamente semplice. In regioni particolari, ad esempio a livello del labbro, uno spinalioma a livello del labbro, quindi l’exeresi deve essere un exeresi a tutto spessore, non è soltanto cute, c’è il muscolo nella porzione sottostante e quindi le exeresi sono abbastanza ampie e sono già precostituite. Vedete che i nostri pazienti vengono sempre disegnati perché il disegno ci permette una corretta programmazione non solo dell’intervento, diciamo così, oncologico, ma anche dell’intervento ricostruttivo. In questo caso vengono fatti degli scalini che ci permettono di migliorare la possibilità di chiusura dell’orifizio della bocca. Questo è il post-operatorio [immagine del labbro ricostruito]. Ancora nei tumori ampi della porzione del visto vengono confezionati dei lembi particolarmente ampi, questo è un lembo di rotazione, e servono appunto a chiudere la porzione che viene tolta, che viene rimossa, questo lembo viene sollevato (ma su questo faremo una lezione specifica) e viene ruotato a chiudere questa porzione. La porzione posteriore che è la porzione che rimane, diciamo così, scoperta viene chiusa con sutura diretta. Queste tecniche ci permettono di sfruttare le linee di maggiore elasticità e minore tensione sostanzialmente. E qui ancora la collaborazione con altre specialità. Vi dicevo prima dei chirurghi senologi: la ricostruzione della mammella è uno dei nostri maggiori ambiti d’interesse e chiaramente noi interveniamo dopo (dopo in senso continuativo però, nella maggior parte delle volte nella stessa seduta operatoria) il chirurgo senologo che procura la rimozione del tumore. Questo nello specifico è invece una ricostruzione mammaria fatta in tempo differito, quindi quando ancora si facevano delle grossissime mastectomie e si cercava di ricostruire quello che poi rimaneva. Per fortuna da una parte adesso i chirurghi senologi sono meno destruenti, perché adesso c’è una diagnosi precoce del tumore del seno e quindi permette di fare una chirurgia meno invasiva, meno amputativa e quindi anche la parte ricostruttiva nostra è diventata, per così dire, non solo più semplice ma che consente dei risultati sicuramente migliori. Chiaramente nelle donne mastectomizzate procuriamo poi una ricostruzione completa, quindi non soltanto della salienza e del tegumento mammario, ma anche del complesso areola-capezzolo. Ancora con gli ortopedici, tutti quanti i traumi complessi e quindi che riguardano sia le fratture delle ossa e poi il ripristino dei tegumenti, in questo caso c’è stata una perdita anche muscolare. Quindi cerchiamo di ricostruire in questo caso con dei lembi a distanza perché così diamo anche la copertura muscolare e successivamente poi anche la copertura cutanea.

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Estetica La parte di estetica, ripeto, è una parte di chirurgia plastica. La maggior parte degli interventi che riguardano l’estetica penso che li conoscete: parliamo della rinoplastica in cui non soltanto c’è un miglioramento dell’estetica, del naso e quindi interveniamo sulla porzione ossea e sulla porzione cartilaginea con risollevamento della punta laddove necessario, ma in genere questi tipi di problematiche sono sempre associate anche ad un deficit della funzione respiratoria con deviazioni del setto che chiaramente anche nell’intervento di estetica vengono corrette. Queste sono delle deviazioni particolari [sempre riferendosi alle slides], in realtà questa è una deviazione di tipo estetico, ma questi tipi di deviazione sono deviazioni che troviamo anche nei soggetti operati di labio-palatoschisi in cui poi tipicamente, proprio la correzione del labbro leporino da poi una problematica di deviazione cartilaginea, perché le retrazioni cicatriziali, nel tempo, non danno la possibilità, in genere dal lato dove era la labioschisi, di crescere correttamente alla porzione cartilaginea e cutanea della punta del naso per cui sono delle correzioni specifiche in cui vengono utilizzati degli innesti cartilaginei per migliorare la asimmetria della punta. La blefaroplastica è una problematica chiaramente di tipo estetico e le orecchie ad ansa… in realtà sulle orecchie ad ansa c’è un piccolo appunto da fare perché, per vostra informazione, entro l’età scolare, e quindi diciamo così vengono considerati i 12 anni fino ai 15 anni, vengono considerate una malformazione congenita e quindi viene operata nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale. Questo perché si è visto che da un punto di vista psicologico e relazionale, per il discorso che vi facevo prima, le orecchie ad ansa possono rappresentare per il bambino in età scolare una problematica di tipo sociale e quindi la correzione delle orecchie ad ansa nei bambini viene fatta proprio in ospedale. È chiaro che se un paziente a 30 anni si sveglia complessato perché c’ha le orecchie ad ansa, insomma, rientra nella problematica estetica. Questo per rimarcarvi il fatto che la ricostruzione intesa come ripristino della funzione va valutata da caso a caso e la stessa problematica può essere una problematica ricostruttiva e funzionale in un soggetto di una certa età e una problematica puramente estetica in un soggetto invece di un età differente, più adulta. Capitolo poi delle protesi mammarie e degli aumenti o rimodellamenti mammari. Le protesi della mammella le studieremo poi in ambito della ricostruzione però vengono utilizzate, come sicuramente già sapete, per la mastoplastica additiva. Le protesi mammarie vedremo poi di che tipi sono e in che modalità vengono inserite e possono essere poi associate anche variamente a lifting del seno, mastopessi o mastoplastiche riduttive con esiti cicatriziali che chiaramente ci sono ma che vengono normalmente nascosti all’interno di indumenti intimi. Ancora addominoplastica. L’addominoplastica, quando parliamo di piccoli addomi e quindi esiti di dimagramento o di lassità cutanea e dei muscoli addominali, rientra chiaramente nelle problematiche estetiche; diverso è se parliamo di soggetti post-obesi, quindi grandi obesi che successivamente a bendaggi gastrici piuttosto che a bypass intestinali procurano un grande dimagramento e allora lì parliamo di problematiche ricostruttive. Collaboriamo con tutta la medicina del metabolismo e i chirurghi bariatrici proprio in quest’ambito perché soggetti che perdono 100kg in un anno immaginate i loro tessuti dove possono arrivare, stiamo parlando di grembiuli dermo-adiposi che arrivano alle ginocchia e allora chiaramente creano delle problematiche non solo relazionali, ma anche funzionali: persone che non riescono a camminare e che hanno difficoltà nella deambulazione e nei movimenti. E allora gli procuriamo delle dermo-lipectomie ma lo facciamo in ambito ricostruttivo.

CICATRIZZAZIONE Allora, partiamo dalle basi sulla guarigione delle ferite: è molto importante per noi procurare una corretta guarigione delle ferite perché da questo dipende moltissimo dell’esito di un intervento, sia per un intervento ricostruttivo sia per un intervento estetico. Vediamo perché. Parliamo di cicatrizzazione, perché se non ci sono chiari i processi di cicatrizzazione, come avviene normalmente o patologicamente la cicatrizzazione non possiamo fare in modo di far guarire correttamente le ferite.

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Dunque la cicatrizzazione prevede chiaramente la rigenerazione e la riparazione di un tessuto. Per “un tessuto” intendiamo sia la parte della superficie epidermica e sia della porzione sottostante, ossia il derma. La cicatrizzazione può avvenire in due modi: per prima intenzione e per seconda intenzione. Conoscete la differenza? [qualcuno risponde, ma non si sente bene] È abbastanza giusto, ma qual è la problematica? [risposta in coro] Esatto, l’accostamento dei lembi. Quindi parliamo di una cicatrizzazione di prima intenzione quando i margini della ferita sono perfettamente accostati, quindi in realtà tutte le ferite chirurgiche sono ferite che cicatrizzano per prima intenzione. Invece, una cicatrizzazione per seconda intenzione è quella che interviene quando tra i margini della ferita c’è uno spazio vuoto, quindi una perdita di sostanza considerevole. Chiaramente capite da soli che la cicatrizzazione per seconda intenzione sarà molto lenta perché non viene in qualche modo aiutata dall’elemento esterno ed è più soggetta a tutte le complicanze della cicatrizzazione, a tutti i livelli, in tutte le fasi. Quali sono queste fasi nel processo di riparazione? Inizialmente si fa la ferita e abbiamo la formazione del coagulo ematico, quindi fase infiammatoria, avremo poi la proliferazione cellulare e la maturazione della ferita. Questo tempo, cioè il tempo di maturazione non è soltanto il tempo in cui materialmente voi vedete la cicatrice che si forma, ma è un tempo che dura fino a 10 mesi ed è una cosa che dovete ricordare perché tutte le possibili migliorie a livello della ferita e della cicatrice possono intervenire anche da sole nei primi 10 mesi. Quindi fare una revisione della cicatrice almeno prima dei 6-7 mesi è assolutamente inutile, perché la cicatrice potrebbe migliorare perfettamente da sola e quindi voi state facendo un intervento inutile al paziente (sottoponendolo chiaramente non solo ad un rischio, che chiaramente è minimo ma è comunque un rischio chirurgico, ma anche, nuovamente, a delle possibili complicanze tipiche di ogni revisione cicatriziale piuttosto che ferita iatrogena). Dunque dicevamo la prima fase, quella della formazione del coagulo ematico. Il coagulo ematico è il primo dispositivo di chiusura temporaneo, di detersione, diciamo così, di pulizia endogena della ferita. Si forma inizialmente una rete di fibrina, c’è una degranulazione piastrinica con tutti i suoi fattori di crescita e la formazione di sostanze vasoattive, fattori di crescita specifici e attivazione della cascata coagulativa. Quello che vedete clinicamente è la formazione del coagulo e l’iperemia, quindi la ferita risulterà arrossata e presumibilmente dolente. Successivamente da un punto di vista cellulare abbiamo l’invasione dei polimorfonucleati, prevalentemente poi ci saranno come cellule i macrofagi che iniziano a fagocitare fibrina, detriti cellulari e una grossa liberazione di enzimi litici. Questo cosa vi fa vedere clinicamente? (Quindi fate sempre questa comparazione cellulare-clinica) L’essudato perilesionale: le ferite sono abbastanza edematose in fase iniziale, ed è assolutamente normale, sono lievemente tumefatte, ed è assolutamente normale, c’è vasodilatazione perilesionale e anche questo è assolutamente normale. Quindi quando vedete in una fase iniziale ferite comunque un po’ essudanti, un po’ vasodilatate e tumefatte è normale. Questa fase dura pochi giorni, successivamente dovreste vedere che l’essudato e la tumefazione diminuiscono. Detto in soldoni, la ferita inizia a seccarsi. Che cosa succede in questa fase? Nella fase sempre di ripristino della continuità epiteliale abbiamo la proliferazione delle celle, quindi migrano i cheratinociti, si forma un tessuto dermico immaturo con la sintesi del collageno di tipo III e c’è una differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasti. Questo perché serve una contrazione della ferita e quindi la differenziazione in miofibroblasti inizialmente ci fa piacere. Nelle cicatrici patologiche non c’è poi lo shift a fibroblasti e quindi avremo una iperproliferazione (come vedremo poi successivamente) delle cicatrici ipertrofiche. Vedete [indicando la slide] un tessuto di granulazione che è roseo e translucido, e piano piano la riduzione dell’ampiezza della cicatrice. Un tessuto di granulazione è un tessuto rosso, translucido e sanguinante ed è un ottimo letto per un innesto. Nel caso in cui decidiamo di non innestare e aspettare la cicatrizzazione per seconda intenzione, i cheratinociti tendono a migrare sia dai margini della ferita che in situ formando dei bottoni epiteliali che piano piano si allargano riducendo l’ampiezza della lesione. Questo in una ferita, diciamo così, ideale che non si infetta, non è particolarmente essudante e in cui il tessuto di granulazione non è debordante.

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La seconda fase è la fase della maturazione, in cui abbiamo piano piano una riduzione della cellularità e quindi della sintesi proteica, una riorganizzazione del collagene con riorientamento secondo le linee di tensione, una atrofia dei vasi: le cicatrici non sono vascolarizzate. Quindi inizialmente la neovascolarizzazione è funzionale al fatto che ci deve essere un ripristino della continuità epiteliale e sottoepiteliale, successivamente i vasi non servono più, quindi normalmente collabiscono, anche perché sono dei vasi con una struttura endoteliale particolarmente sottile, quindi si chiudono e tipicamente la cicatrice non è vascolarizzata. Dovete saperlo perché in tutte le cicatrici patologiche, ipertrofiche, questo processo non avviene e quindi la cicatrice continua ad essere vascolarizzata se non altro per un tempo più lungo del normale. Quindi abbiamo clinicamente tre cose: -Riduzione cronica, e quindi la cicatrice inizia a diventare bianca e madreperlacea. -Riduzione della consistenza: inizialmente la cicatrice è dura, tutte le cicatrici sono dure. I pazienti vengono da voi dopo un mese “Ah dottore com’è dura questa cicatrice”. Entro i 5 mesi la cicatrice si appiattisce e diventa meno consistente e quindi si auspica una riduzione progressiva della visibilità. Tutto questo accade in 12 mesi… mettiamo così: almeno 8 mesi. Quindi inizialmente la cicatrice è rossa, dura, ancora vascolarizzata, un po’ dolente. Normalmente noi di routine diamo una terapia fisica a questi pazienti: massaggi continuativi con delle pomate specifiche perché i massaggi ci aiutano a far collabire i vasi più velocemente e a migliorare la consistenza. Lo stesso massaggio, che è un massaggio molto energico che fa la stessa paziente da sola, rompe i ponti di fibroblasti e migliora la consistenza e quindi la cicatrice diventa più morbida. Quindi il tessuto cicatriziale ha tre caratteristiche, ricordatevelo per l’esame: - è anelastico - con assenza di annessi pilo-sebacei - è di pigmentazione madreperlacea. Queste sono le tre cose del tessuto cicatriziale.

Fattori che ostacolano la cicatrizzazione Passiamo ai fattori che ostacolano la cicatrizzazione, perché poi dovremo parlare delle cicatrici patologiche. Questi sono i fattori locali, fattori loco-regionali e fattori sistemici. Fattori locali. Sono fattori che intervengono subito o comunque nelle prime fasi della cicatrizzazione a livello locale quindi in un paziente che, diciamo così, non ha altri tipi di problemi. Chiaramente fra i fattori locali viene menzionato l’agente causale. È ovvio che una cicatrice chirurgica sarà una cicatrice che già parte meglio rispetto a una cicatrice data da un danno termico o da un danno chimico in cui c’è una lesione dei tessuti diversa. Sono esempi: -Associazione traumatica, perché chiaramente tutte le associazioni traumatiche possono dare emorragie, possono dare sieromi, possono dare contaminazione da fattori esterni. Quindi un associazione emorragica o raccolte sierose possono intervenire anche in cicatrici chirurgiche se ad esempio non fate bene l’emostasi. -Infezioni, che possono essere chiaramente infezioni locali se non si procurano delle medicazioni e un’asepsi corretta. -Esuberanza del tessuto di granulazione, e questo lo vediamo soprattutto nelle cicatrizzazioni per seconda intenzione. Nell’immagine che vi ho fatto vedere prima c’era un tessuto di granulazione che era al limite dove possono scorrere i cheratinociti, spesso però diventa debordante e se deborda chiaramente non permette lo scorrimento dei cheratinociti. Quindi anche questo va menzionato tra i fattori locali che ostacolano la cicatrizzazione. -Danno iatrogeno, quindi tutto quello che può essere procurato anche con una non corretta disinfezione. Le cicatrici che stanno maturando, le ferite che si stanno cicatrizzando ad esempio non vanno mai disinfettate con l’acqua ossigenata. L’acqua ossigenata infatti è istolesiva, per cui tipicamente se voi mettete acqua ossigenata su un tessuto che si sta formando e quindi che sta

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granuleggiando [?], piuttosto che su cheratinociti che stanno nascendo e che stanno scorrendo, li uccidete e quindi si ricomincia tutto daccapo. E quindi si fa un'altra volta un bel buco. Fattori loco-regionali -Turbe locali della vascolarizzazione, quindi abbiamo visto che nella parte iniziale della cicatrizzazione è molto importante la neoangiogenesi, quindi tutte le turbe della vascolarizzazione inibiscono la cicatrizzazione. -Turbe dell’innervazione, per lo stesso motivo, anche perché sono spesso associate turbe della vascolarizzazione e dell’innervazione. -Esiti distrettuali di terapia radiante, questo è molto importante perché lavorando spesso su pazienti oncologici ci troviamo spesso pazienti che hanno fatto radioterapia. Le problematiche post-radioterapiche, dovete ricordare che continuano nei sei mesi successivi all’ultima esposizione a radioterapia. Quindi qualsiasi intervento chirurgico che dovete effettuare su paziente chirurgico che è stato irradiato, se lo effettuate nei primi sei mesi da quando è stato irradiato, probabilmente darà un problema di cicatrizzazione: probabilmente non cicatrizzerà bene, probabilmente non si chiuderà la ferita probabilmente, avrà dei fattori locali che ne ostacolano la cicatrizzazione. Fattori sistemici -Normalmente tutte le problematiche di deficit vitaminici, così come abitudini del paziente, tipo il fumo, ostacolano la cicatrizzazione, la rallentano moltissimo. Una cicatrizzazione rallentata è una cicatrizzazione che si espone a maggiore possibilità che intervengano dei fattori che inibiscano ulteriormente la cicatrizzazione nel tempo. Se una cicatrizzazione ritarda in un paziente fumatore, più probabilmente quella ferita si infetterà e l’infezione è un altro fenomeno che ostacola la cicatrizzazione e quindi diventa un cane che si morde la coda. -Microangiopatia diabetica, in generale tutti i diabetici cicatrizzano male, lentamente e sono più soggetti chiaramente a problematiche di tipo infettivo sia locali che sistemiche. -Farmaci che inibiscono la cicatrizzazione, che inibiscono la proliferazione cellulare, immunosoppressori, antimetaboliti… ci arrivate da soli al perché. Cicatrici patologiche Parliamo ora delle cicatrici patologiche. Mettiamo quindi che il vostro paziente abbia avuto una problematica nella cicatrizzazione e sviluppi una cicatrice patologica. Le cicatrici patologiche si dividono in due grandi famiglie: le atrofiche e le ipertrofiche. Le ipertrofiche a loro volta si suddividono in altre due mini famiglie: le ipertrofiche semplici e le ipertrofiche cheloidee. Questa differenza deve essere ben chiara perché c’è una differenza di trattamento sostanziale. Molto spesso vengono pazienti da noi che dicono di avere dei cheloidi ma non è vero, hanno delle ipertrofiche [d’ora in avanti la prof utilizzerà il termine “ipertrofiche” unicamente per indicare le ipertrofiche semplici]. Cioè c’è la semplicità nel dire ogni volta che si vede una cicatrice ipertrofica “è un cheloide”. Non è così. Fattori predisponenti: - Cicatrizzazione per seconda intenzione. - Ferita con un orientamento errato. - Natura dell’agente lesivo (e l’abbiamo già detto: le cicatrici chirurgiche in genere non sono predisposte a diventare patologiche; se parliamo di cicatrici da ustione piuttosto che da ustioni chimiche, piuttosto che da ferite lacero-contuse più probabilmente sarà una cicatrice patologica) - Fattori loco-regionali che riguardano la sede. Questa è una cosa che dovete ricordare, esistono delle sedi specifiche in cui abbiamo una maggiore probabilità di sviluppo di cicatrice ipertrofica e sono le regioni sternale, deltoidea, scapolare, periorifiziale e la sottoauricolare. Ora a parte la sottoauricolare, in realtà queste sedi sono delle sedi specifiche perché sono sedi sottoposte a maggiore tensione e ad

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una movimentazione continua e quindi più frequentemente daranno luogo a cicatrici patologiche. Questo lo dovete ricordare perché se possibile dovrete procurarne l’immobilità. Procurare una cicatrice chirurgica in una regione sottoposta continuamente a movimentazione può predisporre più frequentemente ad una cicatrice patologica, in genere ipertrofica. - Fattori sistemici. In realtà le turbe della cicatrizzazione sono anche multifattoriali: sono spesso geneticamente determinate per quanto riguardai i cheloidi, per cui età, razza, sesso, fattori idiopatici e costituzionali rientrano nel possibili fattori predisponenti delle cicatrici patologiche. Riguardo l’età ad esempio gli anziani cicatrizzano più lentamente ma molto bene, difficilmente fanno delle cicatrici patologiche, proprio perché la loro ricostruzione cellulare è più lenta; mentre i neonati e i bambini cicatrizzano molto velocemente ma più spesso le loro cicatrici sono ipertrofiche o addirittura cheloidee. Com’è una cicatrice atrofica? È depressa, slargata e con scarsa resistenza. Chiaramente le cicatrici patologiche atrofiche sono dovute ad una concorrenza d’intervento di fattori che inibiscono la cicatrizzazione a vari livelli: nella fase iniziale, nella fase di cellularità etc. La cicatrice ipertrofica semplice, invece, è dovuta ad un rapido aumento di volume per una ipercellularità nella fase di proliferazione cellulare, però l’ipertrofica semplice ha una tendenza alla regressione spontanea. Questa è una cosa che dovete fissare nella mente, ed è una delle differenze specifiche tra cheloide e ipertrofica: il cheloide non scompare mai, l’ipertrofica invece dopo i primi 6-7 mesi può regredire spontaneamente. Inoltre tipicamente ha un assenza di invasione marginale e questo è proprio il criterio differenziale. Quindi l’ipertrofica può tendere alla regressione spontanea e non invade i margini intorno alla ferita, non c’è invasione marginale. Il cheloide invade sempre il tessuto sano. Quindi se non vedete invasione marginale, potete avere anche un ipertrofica doppia 6cm, è un ipertrofica, non un cheloide. Tipicamente sono rilevate, dure, ipercromiche e anelastiche. Sono rilevate e dure perché abbiamo una ipercellularità e quindi i fibroblasti sono molto presenti, sono ipercromiche perché sono ancora vascolarizzate. Anche queste però, come i cheloidi, sono associate ad una sintomatologia disestesica, algica (ma lievemente algica, non come i cheloidi) e pruriginosa. Le cheloidee, come le ipertrofiche, sono dovute ad un rapido aumento di volume e c’è sempre invasione del tessuto pericicatriziale, quindi invadono il tessuto sano e non hanno mai una tendenza alla regressione spontanea. Va da se che chiaramente la terapia sarà una terapia diversa. I cheloidi possono diventare molto grandi, alcuni vengono paragonati a delle neoformazioni, a dei veri e propri tumori, sebbene non siano tumori maligni. C’è sicuramente nella formazione dei cheloidi un’alterazione, anche geneticamente determinata, dell’equilibrio apoptotico-proliferativo, non c’è l’inibizione da contatto cellulare, e quindi queste cellule continuano a proliferare come se ci fosse sempre una ferita da rimarginare. C’è un enorme persistenza del tessuto fibroblastico, di produzione del collagene e di fattori di crescita di tipo vascolare (Vascular-Endothelial Growth Factor). Questo è il motivo per cui continuano ad essere vascolarizzate, continua ad esserci grande nutrimento per le cellule che proliferano e quindi praticamente non si fermano mai. Spesso succede che queste cicatrici si riattivano, per cui ad esempio avete un paziente che aveva un cheloide, ad un certo punto per una lesione traumatica lieve, piuttosto che per una lesione traumatica da grattamento, questo cheloide inizia a crescere ancora di più: era più piccolo e diventa ancora più grande. Infatti qualsiasi stimolo viene percepito da questo tessuto come se fosse uno stimolo a rigenerare il tessuto. Per cui il paziente si gratta e il cheloide aumenta di volume. C’è sicuramente anche una problematica di tipo familiare e di tipo genetico: questi pazienti fanno cheloidi per cicatrici da acne, piuttosto che perché si forano i lobi dell’orecchio e fanno il buco all’orecchio, spesso semplicemente per le lesioni da grattamento. Come fattore locale l’unico che possiamo menzionare è la tensione cicatriziale. Quindi esistono, in pazienti predisposti, delle zone in cui al 99% faranno il cheloide e che sono la regione soprasternale, la regione deltoidea, tutta la regione del dorso e la regione del torace così come la regione dei lobi dell’orecchio.

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Dunque come facciamo a garantire, o quanto meno sperare, un evoluzione cicatriziale corretta? Vediamo quali sono tutti i passaggi che dobbiamo rispettare per scongiurare una cicatrizzazione patologica (è chiaro, ovviamente, che se il paziente è geneticamente determinato a fare il cheloide, voi potete fare quello che volete ma non c’è niente da fare): Innanzitutto procurare una corretta exeresi e sutura, quindi dobbiamo posizionare i tessuti in maniera corretta, sia nell’orientamento dell’exeresi, nell’accostamento dei margini quando facciamo la sutura. Corretta vuol dire che la sutura va fatta sempre per piani (piano muscolare, piano della fascia, sottocute, anche due strati di sottocute se parliamo di zone in cui il sottocute è molto rappresentato, e infine la porzione cutanea) e quindi accostare i piani perfettamente per garantire il consolidamento di questa cicatrice e migliorare la resistenza alla tensione. Inoltre quando andiamo a fare l’exeresi ad esempio di un tumore piuttosto che l’apertura di una ferita chirurgica, dovremo cercare di procurare questa ferita sempre secondo le linee di Langer. Le linee di Langer sono linee di tensione cutanea che individuano delle zone di maggiore elasticità e minore tensione. Normalmente sono parallele alle rugosità del viso e alle pieghe cutanee e non sono mai opposte al movimento e alla movimentazione muscolare. Che cosa dobbiamo garantire poi? Una immobilizzazione della ferita, una contenzione cutanea, con la sutura, sia interna che esterna (esterna anche con delle bandellette adesive, utilizziamo spesso le steri strip) e suture transcutanee correttamente eseguite. Che cosa facciamo quando viene un paziente da noi e ci dice “questa cicatrice com’è brutta!”? Allora facciamo l’analisi della cicatrice: Per prima cosa valutiamo l’età della cicatrice e se c’è una possibilità di miglioramento spontaneo. Facciamo un analisi della cicatrizzazione del paziente, cioè se ha già altre cicatrici di molti anni prima, già questo ci da un orientamento di come quella cicatrice evolverà. Qual è l’età del paziente: bambino, adulto, anziano. Se ci sono patologie intercorrenti locali, sistemiche. Quindi questa ferita è infetta, questa cicatrice potrebbe essersi infettata, il paziente è diabetico, il paziente fuma, il paziente ha turbe della vascolarizzazione soprattutto degli arti inferiori. Descriviamo il tessuto cicatriziale: che superficie ha, qual è l’orientamento, qual è la colorazione, se è rilevata o meno. Terapia Il trattamento può essere locale, loco-regionale e chirurgico. I trattamenti locali sono soprattutto massaggi. Li prescriviamo non appena la ferita è, diciamo così, chiusa, quindi più o meno nella prima ventina di giorni (perché poi quando faremo le suture vedremo quanto tempo effettivamente le regioni corporee vanno in contro a chiusura. Non sono i cosiddetti sei giorni come si dice “Dopo sei giorni ti togli i punti”, dipende dalla zona corporea). Tipicamente entro i primi 20 giorni prescriviamo dei massaggi. I massaggi vanno fatti in maniera idonea, devono essere dei massaggi a compressione, a sbiancare la cicatrice, quindi a procurare durante il massaggio un collabimento dei vasi e vanno fatti sempre lungo la cicatrice. Altro trattamento è la compressione che viene fatta tramite garze compressive oppure più spesso tramite dei cerotti specifici per la compressione che contengono poi anche silicone. Possono essere applicati dei corticosteroidi sia per via topica che in in situ, può essere prevista una laserterapia o infine, alla fine di tutto, una terapia chirurgica. Soprattutto per i cheloidi, ma anche per le ipertrofiche, la continua compressione aiuta a chiudere i vasi favorendo l’atrofia poiché le cellule non hanno più il sostentamento di tipo vascolare. Vengono utilizzati anche cerotti o gel di silicone con applicazione progressivamente crescenti nel tempo che procurano sia un rilascio di silicone che migliora la consistenza della cicatrice, sia una compressione continua e graduale che, per il motivo che vi dicevo prima, migliora l’esuberanza del tessuto cicatriziale. Infine la terapia con corticosteroidi intralesionali viene riservata normalmente solo ai cheloidi non alle ipertrofiche. Con i trattamenti locali le ipertrofiche reagiscono già benissimo. Il corticosteroide che

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viene utilizzato è sempre il TRIAMCINOLONE ACETONIDE (Kenacort) e questo perché è un corticosteroide a lento rilascio e che diffonde bene nei tessuti. Normalmente è utilizzato in diluizione 1:1 ma vengono praticate anche delle diluizioni 1:2, fino a 1:4, dipende poi dalla consistenza del tessuto cicatriziale. È molto importante, questo dovete fissarlo bene, il trattamento distanziato proprio perché il Kenacort agisce nel tempo e ogni paziente ha dei tempi di reazione differenti, per cui se fate un trattamento di corticosteroidi intralesionali ad un paziente a distanza per esempio di una settimana e gliene fate tre, uno dopo l’altro, presumibilmente quel paziente vi viene con una cicatrice atrofica. Per cui per evitarlo dovete valutare qual è la risposta del singolo paziente, quindi iniziate a fargli un trattamento, lo rivedete dopo 15 giorni e vedete che risposta ha avuto: se la risposta è estremamente veloce, probabilmente dovrete o aumentare la diluizione o distanziare maggiormente il trattamento. È molto importante evitare che la cicatrice diventi poi atrofica perché queste cicatrici danno poi altri problematiche. Infatti essendo slargate hanno minore resistenza, si ulcerano molto spesso e sono delle zone in cui è più probabile che insorga un tumore cutaneo. Infine terminiamo con l’escissione cicatriziale. Moltissimi medici, moltissimi chirurghi vedono un cheloide e dicono “ah togliamolo!” ma se togliete un cheloide in maniera non corretta ad un paziente che tende a fare cheloidi gliene fate uno che è ancora più grande perché andate a stimolare il tessuto sano ad una nuova cicatrizzazione che presumibilmente sarà più esuberante della precedente. Per cui è importante, se fate un’escissione cicatriziale, che questa sia intralesionale, all’interno del cheloide perché voi così non stimolate una nuova proliferazione cellulare, riducete solo la massa. Si fa spesso per cheloidi molto esuberanti in cui fare solo delle infiltrazioni richiederebbe molto tempo e non danno dei risultati ottimali per cui voi riducete la massa e successivamente fate le infiltrazioni per ridurre completamente la consistenza del cheloide. Quindi è molto importante per questo motivo fare bene la diagnosi differenziale e impostare il giusto orientamento terapeutico.

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Chirurgia Plastica

Lezione del 14/11/2014

Innesti

(Siccome durante la lezione la professoressa ha fatto riferimento alle figure delle slide, anziché

metterle tutte qui ne ho riportato il numero corrispondente tra parentesi dove necessario. Le slide

si trovano sul sito di SunHope.)

Definizione (imparatela bene perché spesso viene confusa con la definizione di

lembo): trapianto di uno o più tessuti privi di vascolarizzazione propria e

trasferito interrompendo completamente le connessioni con la sede di prelievo.

La zona da cui si preleva l’innesto prende il nome di area donatrice, quella su cui va

trasferito è l’area ricevente.

I vari tipi di innesti possono essere: autoinnesti; omoinnesti; eteroinnesti.

Quelli che ci interessano sono prevalentemente gli autoinnesti. Può anche essere

utilizzata cute di cadavere, soprattutto nei gravi ustionati, ma in realtà non viene

utilizzata come innesto a permanenza, ma quando non c’è possibilità di prelevare

ampio tessuto e di andare a coprire le zone che servirebbe coprire, per cui per

tamponare viene utilizzata la cute di cadavere, come se fosse una copertura biologica,

onde evitare l’esposizione prolungata di strutture nobili più profonde e quindi una più

facile sovrainfezione batterica.

In rapporto alla loro utilizzazione, parliamo di innesti isotipici ed innesti eterotipici.

In realtà quello che vi interessa è la differenza tra innesti semplici ed innesti

composti. I primi possono riguardare tutte quante le strutture, quindi non solo

cutanee, che utilizziamo negli ustionati. Possono essere adiposi, che vengono

utilizzati nella ricostruzione mammaria oppure negli esiti di trauma in cui abbiamo

delle grosse perdite di sostanza dalle strutture profonde, utilizziamo una tecnica che si

chiama lipofilling, che è a metà tra un innesto adiposo vero e proprio ed un trapianto

di cellule staminali; possono essere innesti tendinei, vascolari, ossei, cartilaginei,

dipende dalla zona che dobbiamo andare a ricostruire. Ad esempio nelle ipogenesie o

agenesie del padiglione auricolare possiamo effettuare una ricostruzione con innesti

cartilaginei prelevati dal ginocchio piuttosto che dal naso, così come per la

ricostruzione del dorso del naso vengono presi degli innesti costali. Quelli composti

sono: dermo-adiposi, condro-utanei ecc.

Distinguiamo gli innesti cutanei per spessore, sono a spessore sottile, medio e

spesso. Gli innesti sottili comprendono soltanto l’epidermide e l’apice delle papille

dermiche, mentre i medi e gli spessi comprendono tutto quanto lo spessore cutaneo e

quindi anche il derma. E’ interessante perché il comportamento di questi innesti è

sempre differente, l’innesto sottile attecchisce più facilmente. Siccome l’innesto

viene completamente isolato dalla porzione vascolare dell’area donatrice, ha

necessità di irrorarsi sulla zona di cellule. Inizialmente l’irrorazione avviene per

diffusione, allora chiaramente più sottile è l’innesto, più facile sarà la diffusione dei

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nutrienti per farlo sopravvivere. Dopo 5-6 giorni c’è la fase di neoangiogenesi e

quindi l’innesto diventa poi autonomo. Viceversa però questi innesti tendono a

detrarre più facilmente, quindi hanno poi una variabile riuscita da un punto di vista

sia funzionale che estetico. Gli innesti a tutto spessore invece attecchiscono più

difficilmente, essendo più spessi il letto deve essere ben preparato altrimenti l’innesto

si perde, però hanno una migliore resa da un punto di vista funzionale ed estetico

perché la cute è molto più spessa e retraggono molto di meno, sono anche poco

tendenti alle discromie. Poi abbiamo gli innesti di Wolfe-Krause, che comprendono la

cute a tutto spessore e quindi sia epidermide che derma in toto, questi rientrano

sempre tra gli innesti spessi (slide n°11).

Tempi chirurgici: ovviamente va fatta una valutazione preoperatoria perché noi

dobbiamo capire quanto grande deve essere il nostro prelievo; la seconda fase è

quella del prelievo, l’innesto a spessore sottile viene prelevato con il dermatomo

elettrico (quello manuale non si usa più), è una rotella elettrica che praticamente

preleva un sottilissimo strato cutaneo e quindi l’innesto non viene preparato, viene

soltanto lavato e messo sul sito ricevente. L’innesto a tutto spessore invece viene

prelevato con il bisturi, quindi è facile che, per quanto si provi a rimanere nel piano

sotto al derma, una parte di ipoderma o un derma molto spesso rimanga a livello

dell’innesto, per cui viene preparato, cioè sgrassato in maniera molto accurata e se il

derma è troppo spesso viene assottigliato anche il derma. Viene poi preparata l’area

ricevente, deve essere un’area ben sanguinante, se c’è il tessuto di granulazione

ancora meglio, comunque il tessuto deve essere vivo, sanguinante, ben deterso, privo

di detriti, non deve essere sporco e soprattutto non deve essere infetto. Deve essere

ben sanguinante ma non in fase emorragica, perché siccome l’innesto deve essere

posto in maniera aderente al suo letto, ogni secrezione (essudato, emorragia) stacca

l’innesto dal suo letto e quindi poi non riesce a nutrirsi, per cui si perde. Proprio per

questo motivo viene immobilizzato, nel senso che viene effettuata una medicazione

tale da rendere impossibile il movimento o lo scivolamento dell’innesto dal suo letto,

rimane così per 5-7 giorni, dopo si visualizza l’innesto e si vede se ha attecchito.

Infine si pratica la medicazione dell’area donatrice.

Innesti a spessore parziale: aree donatrici (slide n°13).

Prima un vostro collega me lo chiedeva, gli innesti vengono utilizzati

prevalentemente nella terapia delle ustioni, ma possono anche essere utilizzati per

grosse exeresi dove non possiamo confezionare dei lembi. In realtà l’applicazione

degli innesti non viene molto utilizzata, dopo l’avvento della microchirurgia si

preferisce sempre questa, ma in alcuni casi e soprattutto quando non siamo sicuri del

problema oncologico, sarebbe meglio apporre un innesto perché lo spostamento di

lembi locali potrebbe non aiutarci nella localizzazione delle recidive, piuttosto che

dei margini. Se i margini non sono puliti e dobbiamo fare un allargamento

dell’exeresi, con i lembi risulta più difficile perché si perdono i margini, apponendo

un innesto invece da un punto di vista oncologico il comportamento è migliore.

(Slide n°18) Questo è un innesto mechato, questo innesto viene fatto passare in questo

apparecchio che si chiama mecher che aumenta di due volte la larghezza dell’innesto.

Questo perché i cheratinociti non crescono soltanto per scivolamento ma anche per

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isole, quando c’è un tessuto di granulazione o comunque un letto ben preparato. Nei

grandi ustionati in cui abbiamo necessità di avere molta cute, ma non possiamo

pensare di fare grandi prelievi in tutto il corpo, preferiamo prendere degli innesti che

sembrano più piccoli ma una volta che vengono mechati si estendono per il doppio

della loro area iniziale di prelievo, vengono apposti sulle superfici ustionate ed in

realtà il fatto che ci siano delle maglie provoca più velocemente lo scivolamento dei

cheratinociti verso le porzioni centrali. Quindi guarisce un po’ più lentamente di un

innesto che va a coprire completamente l‘area ricevente, però sicuramente è

un’ottima modalità per coprire delle larghe zone ustionate. Il risultato estetico non è

eccezionale, ci sono delle zone dicromiche molto ampie e si vede la maglia a rete

anche ad un anno di distanza, però stiamo parlando di una chirurgia salvavita, quindi

la cosa principale è procurare una copertura più ampia possibile nel minor tempo

possibile (slide n°20).

Vantaggi degli innesti parziali: possibilità di ampi prelievi; rapidità di esecuzione;

guarigione spontanea dell’area donatrice, perché procuriamo solo un’abrasione di

questa che viene poi medicata con una garza betadinata e in circa 10 giorni guarisce;

facilità di attecchimento.

Svantaggi degli innesti parziali: aspetto estetico non sempre soddisfacente; possibilità

di discromie; tendenza alla retrazione, questo è un fattore importante perché questo

tipo di innesto non si usa mai per le strutture nobili quali quelle palpebrali, quelle

periorali, quelle di flesso-estensione e a livello delle mani, in quanto procurerebbe

un’ipofunzione importante; insufficiente copertura dei piani profondi.

Innesti a tutto spessore: aree donatrici (slide n°23).

Tempi chirurgici: anche qui abbiamo la valutazione preoperatoria; prelievo

dell’innesto con bisturi; preparazione dell’innesto: sgrassatura; viene preparata l’area

ricevente; applicazione e immobilizzazione dell’innesto; infine si sutura l’area

donatrice. La differenza principale è che negli innesti a spessore sottile abbiamo una

guarigione spontanea dell’area donatrice, negli innesti a tutto spessore abbiamo la

necessità di suturare l’area donatrice. Siccome noi andiamo a procurare una cicatrice

sul paziente, le zone del prelievo sono quelle che abbiamo visto perché sono zone in

cui si va a nascondere la cicatrice procurata.

Questo tipo di innesto viene anche utilizzato nella ricostruzione dell’areola

mammaria, quando non viene utilizzato il tatuaggio dell’areola, possiamo sfruttare

una lieve ipercromia della regione inguinale ed utilizzare un innesto da quella zona, è

chiaro che poi la peluria verrà eliminata col laser per evitare l’ipertricosi tipica della

regione pubo-inguinale.

(Slide n°28) Fate caso che l’innesto viene suturato con dei fili lunghi, questo perché

successivamente la medicazione viene posizionata in maniera compressiva sulla zona

e viene proprio legata per fare in modo che l’innesto aderisca molto bene al letto.

Vantaggi: aspetto estetico migliore; migliore copertura dei piani profondi; minore

tendenza alla retrazione; minore tendenza alle discromie.

Svantaggi: scarsa disponibilità di tessuto, per questo vengono utilizzati più in

oncochirurgia che nel trattamento delle ustioni, tranne che nelle zone nobili di

soggetti ustionati; attecchimento più lungo e delicato.

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Per l’attecchimento è importante: che l’area ricevente sia ben preparata, quindi che

sia in grado di produrre neoformazioni vascolari; poi dobbiamo procurare la massima

aderenza dell’innesto; infine un’accurata immobilizzazione dell’innesto.

(Slide n°36) Questo è un esempio del pacchetto compressivo, quindi l’innesto viene

posizionato, viene suturato lasciando questi fili molto lunghi in maniera tale che la

medicazione, della forma uguale a quella dell’innesto, venga poi legata sull’innesto.

Questo pacchetto compressivo ci da la possibilità di migliorare l’aderenza

dell’innesto all’area ricevente, di evitare che ci siano zone di scollamento e

soprattutto una buona immobilizzazione. Il pacchetto rimane in loco per 5-6 giorni,

dopo si rimuove e si vede se l’innesto ha attecchito. Spesso viene messa una garza

grassa sotto, ma non sempre.

Fase dell’attecchimento: inizialmente l’adesione avviene attraverso i reticoli di

fibrina e la nutrizione è mantenuta dall’essudato, in 5-7 giorni c’è ma

neovascolarizzazione e poi successivamente l’innesto, una volta che ha attecchito,

avrà una piccola fase di estensione in cui si sistema meglio nel letto, ma ormai ha

attecchito e quindi possiamo anche mobilizzarlo e fare della fisioterapia per

migliorarne la distensione. Successivamente se siamo fortunati ci può essere una

neoinnervazione, ma le zone innestate sono sempre scarsamente sensibili per il

paziente.

Gli innesti vengono utilizzati anche per il trattamento dei nevi giganti congeniti,

sicuramente non ha un’ottima riuscita dal punto di vista estetico ma è l’unico modo

per coprirli (slide n°40).

(Slide n°42) Questi sono innesti di tipo mucoso, che possono essere utilizzati per la

ricostruzione della mucosa orale ma anche della congiuntiva e della mucosa interna

del naso.

(Slide n°47) Gli innesti possono essere utilizzati anche per grossi onfaloceli, per le

grosse ernie, in cui necessitiamo una copertura della zona addominale. In realtà

questo tipo di intervento viene effettuato più raramente.

(Slides n°50-53) Questi sono esempi di innesti tendinei e nervosi, che vengono utilizzati

soprattutto nella ricostruzione degli arti di tipo post traumatico.

(Slides n°54-59) Questi sono gli innesti ossei che vengono prelevati a livello costale che

utilizziamo prevalentemente per la ricostruzione del dorso del naso, o innesti misti

osteo-cartilaginei per la ricostruzione della punta del naso. Più spesso questi tipi di

ricostruzione del naso vengono utilizzati o come esiti secondari a rinoplastiche

eseguite in maniera non idonea, con eccessiva rimozione dello scheletro del naso,

oppure per grossi traumi o nelle malformazioni congenite (p.es. palatoschisi).

Errori e complicanze: condizioni generali/distrettuali che ostacolano i fisiologici

processi di cicatrizzazione, danno difficoltà nell’attecchimento dell’innesto;

condizione dell’area ricevente, se c’è perdita di sostanza (soggetto diabetico, ulcera

ecc.) è molto importante effettuare dei tamponi seriati e non innestare finché il

tampone non è negativo; formazione di essudato ed ematomi, per cui vi dicevo che il

letto non deve essere emorragico altrimenti si forma un ematoma tra questo e

l’innesto che poi non attecchisce; insufficiente immobilizzazione, soprattutto se il

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paziente non è collaborativo, soprattutto agli arti; infezioni, anche successive

all’intervento.

Lembi

Definizione: trapianto di uno o più tessuti che mantengono una connessione

vascolare con la sede del prelievo. Tale connessione, che si definisce peduncolo,

assicura la nutrizione al peduncolo stesso.

Utilizzo: sopperire a deficit cutanei soprattutto dei piani profondi. Ha una sua

autonomia vascolare e questo è un vantaggio; fornisce un’efficiente riparazione,

soprattutto in termini non solo funzionali ma anche estetici; vengono confezionati

sempre i lembi sfruttando l’elasticità dei tessuti e quindi abbiamo la distribuzione

vettoriale di tutte le forze di trazione sulla struttura. Sfruttiamo aree di elasticità

contigue per diminuire e distribuire le forze di trazione (lide n°4). Andando a

pinzettare la cute si vanno ad individuare quelle che sono le zone di maggiore

scorrimento, è anche importante l’età del paziente. Nel paziente anziano c’è

un’enorme scorrimento e una differenza di trazione tra zona e zona enorme rispetto

ad un paziente giovane in cui c’è una maggiore elasticità ma c’è uno scorrimento

molto inferiore.

C’è una progettazione geometrica di questi lembi, onde evitare la cosiddetta sindrome

da “coperta corta”, quindi confezioniamo un lembo e poi troviamo che questo non

copre la perdita di sostanza. Quindi la programmazione è proprio una misurazione in

centimetri, in cui viene misurato il lembo in maniera tale che posa andare a coprire la

zona che dobbiamo rimuovere. Così questo lembo viene sollevato e portato su questa

zona in maniera tale da chiudere l’area di exeresi. In questa zona ci sono minori forze

di trazione per cui la chiusura può avvenire in maniera diretta.

Classificazione per vascolarizzazione: lembi a peduncolo noto; lembi random, quindi viene utilizzata la vascolarizzazione arboriforme della porzione cutanea e

l’unica cosa che dobbiamo controllare è che il peduncolo sia sufficientemente largo

rispetto alla lunghezza del lembo, altrimenti andrà in necrosi (slide n°10). Quelli a

peduncolo noto invece sono dei lembi che vengono strutturati su degli assi vascolari

noti, quindi ad esempio sulla a. temporale, piuttosto che sulla radiale, che

sull’epigastrica. Quindi noi abbiamo un vaso, sappiamo dov’è, sappiamo qual è il suo

decorso, pendiamo un lembo, che può essere cutaneo ma anche cutaneo-muscolare,

che includa quel vaso.

Classificazione per sede di origine: di vicinanza; di distanza. I lembi di distanza da

intascamento non vengono più utilizzati, vengono utilizzati i lembi microchirurgici.

Classificazione per movimento: avanzamento; trasposizione; rotazione. (Slide

n°17) Questo è un lembo di avanzamento, c’è una x perdita di sostanza in questa zona,

procuriamo un allestimento di un lembo che va a scorrere in avanti e va a chiudere

questa zona, e le zone successive di apertura dopo l’allestimento del lembo vengono

poi suturate. (Slide n°19) I lembi di trasposizione vengono chiamati così perché c’è si

una rotazione, però viene scavalcata un’isola per così dire sana, quindi sono dei lembi

di rotazione in cui tra la zona donatrice e la ricevente c’è una zona sana che viene

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scavalcata. (Slide n°21) Questo è un lembo che viene utilizzato per la ricostruzione sia

cutanea che mucosa, viene sollevato e trasposto e nella parte finale viene

disepitelizzato e ripiegato a costituire la parte interiore. In realtà quando procuriamo

una disepitelizzazione di un lembo e lo mettiamo a contatto con la mucosa, si dice

che questo si mucosalizza. (Slide n°22) Il lembo di rotazione è come quello di

trasposizione solo che in questo caso si effettua un movimento di rotazione per

chiudere il difetto primario, non è una trasposizione, non c’è una zona sana. Il

risultato estetico dipende anche dai pazienti, dal loro tipo di cute, dalla

vascolarizzazione e dalle loro abitudini di vita. I pazienti fumatori hanno delle

difficoltà nella vascolarizzazione e quindi i lembi tendono ad essere più visibili e a

cicatrizzare peggio. Inizialmente i lembi sono tutti abbastanza spessi, abbastanza

edematosi, con il tempo, a cicatrizzazione avvenuta, prescrivendo dei massaggi,

questi si assottigliano e tendono a diventare più omogenei rispetto alla regione

circostante.

Classificazione del peduncolo: quella di permanente e temporaneo è una

classificazione superata, in quanto i peduncoli temporanei erano quelli da

intascamento. Quello che vi interessa è la differenza tra quelli che sono i lembi

semplici e quelli microvascolari, che vengono chiamati “free laps”.

Per quanto riguarda il tessuto possiamo parlare di: lembi cutanei, muscolari, dermo-

adiposi ecc; fascio-cutanei; mio-cutanei; osteo-muscolari; osteo-mio-cutanei.

Possiamo prelevare lo spessore di tessuto che ci occorre, quindi non soltanto lembi

cutanei, per esempio nella ricostruzione della mammella la maggior parte delle volte

vengono utilizzati lembi mio-cutanei.

Lembi microvascolari: il segmento da trasferire è basato su un sistema artero-venoso

specifico che viene anastomizzato ai vasi dell’arca ricevente con tecniche

microchirurgiche. (Sliden°35) Questo ad esempio è un lembo che utilizza l’arteria

radiale e che viene utilizzato per la ricostruzione di una grossa exeresi a livello del

tallone. Vedete che viene prelevato il lembo in tutto il su spessore anche con l’asse

vascolare. Normalmente vengono utilizzati dei vasi noti, se è possibile utilizzarli. E’

chiaro che questi tipi di lembi non sono veloci nel confezionamento come i lembi a

scorrimento o a rotazione, ma necessitano anche di uno studio preoperatorio più

importante. Va fatto un eco-doppler o un’angio-TAC per visualizzare se l’asse

vascolare che andiamo a prelevare è integro, se il calibro è buono, e per andare a

visualizzare anche i vasi riceventi, se sono dei vasi integri e di buon calibro. Questo

tipo di intervento non è per tutti i pazienti, nei diabetici è più difficoltoso, nei

fumatori non si fanno mai perché c’è sempre una problematica di tipo vascolare.

Principi di esecuzione: corretto programma preoperatorio, i lembi sono sempre

disegnati; previsione del risultato finale, distribuzione di forze di trazione e linee di

tensione; rispetto della vascolarizzazione; manipolazione atraumatica.

Complicanze: non dobbiamo incorrere nell’errore di allestire un lembo insufficiente,

quindi è molto importante il programma preoperatorio; cerchiamo di rispettare le

linee di tensione cutanea per garantire un risultato estetico-funzionale abbastanza

valido. Le complicanze possono essere dovute, a un livello preoperatorio, ad un

disegno sbagliato, ad una sottostima delle dimensioni del sito ricevente o allo stato di

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salute del paziente, tutte le condizioni patologiche preesistenti possono in qualche

modo inibire la vascolarizzazione, causando una necrosi parziale del lembo. Quelle

intraoperatorie sono dovute ad errori di tecnica, di scelta dei vasi riceventi o di

giudizio. Quelle postoperatorie possono essere dovute o a una torsione o flessione del

peduncolo, abbiamo visto che il peduncolo viene movimentato nella rotazione, nella

trasposizione o nell’ avanzamento. Delle rotazioni eccessive soprattutto, che possano

in qualche modo schiacciare o torcere il peduncolo vascolare, provocano ovviamente

un’ischemia del drenaggio venoso del lembo che andrà in necrosi. Alle infezioni,

come in tutti i processi cicatriziali. All’ischemia distale, ma questo ha a che fare più

con un’errata programmazione.

Espansione tissutale: si basa sul principio della gravidanza, ossia aumentando il

volume al di sotto di un tessuto abbiamo che questo si espande a coprire l’aumento di

volume. Quindi sollecitazioni continue e progressive applicate ad un tegumento

risultano in un progressivo aumento della superficie sollecitata. (Slide n°43) Questi

sono degli espansori tissutali, non mammari nello specifico, sono una sorta di

palloncini che vengono posti a livello della porzione o sottocutanea o sottomuscolare

per dare una migliore copertura. Sono a valvola distale, quindi normalmente viene

procurato poi uno scollamento più superficiale dove si fa passare questo tubicino con

la valvola che è sempre sottocutanea e si riempie per via percutanea, in maniera

seriata, questo palloncino con soluzione fisiologica. (Slide n°45) Quelli mammari sono

più spesso a valvola integrata. Se possibile poniamo l’espansore al di sotto della

porzione muscolare, questo espansore viene prima riempito molto poco in fase

intraoperatoria, successivamente, tramite delle calamite utilizzare per localizzare la

sede della valvola, per via percutanea entriamo e riempiamo l’espansore con

soluzione fisiologica. Ovviamente il tessuto ha bisogno di tempo per espandersi,

viene fatta un’espansione di 100 cc ogni 15 giorni circa. Dipende anche da come la

tollera la paziente, da come sono i suoi tessuti. Noi mettiamo degli espansori

mammari anche da 380-400 cc, quindi ci vogliono 2-3 mesi per un’espansione

tissutale idonea. Normalmente si procura un iperespansione, soprattutto nella

mammella perché c’è bisogno di un po’ di tessuto in più per la ptosi mammaria.

Enrico Sarchioni

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Ustioni 14/11/2014

L’ustione è una patologia che interessa prevalentemente la chirurgia plastica, rappresenta l'unica patologia

di pronto soccorso per la chirurgia plastica in cui collaboriamo a stretto contatto con intensivisti (nelle terapie

intensive), con fisioterapisti e con altre branche mediche.

Le ustioni possono essere tanto una problematica di tipo locale, loco regionale che generale-sistemica.

Cosa intendiamo per ustione?

Una lesione acuta da calore determinata da un contatto più o meno prolungato di un agente termico con i

tegumenti. Quindi cosa dovrei ricordare in particolare? Il calore, i tegumenti e il tempo di permanenza poiché

le ustioni saranno di varia gravità in base al tempo di esposizione del tegumento all’agente termico.

Sono circa 10.000 i ricoveri l'anno per ustioni con un alto tasso di decesso (circa 400), la maggior parte delle

ustioni si realizza in ambiente domestico quindi la principale variabile, per evitare questa patologia, è

l'informazione.

La maggior parte degli ustionati, circa il 50%, sono bambini che si ustionano in ambiente domestico. Ovviament

e le ustioni in età pediatrica sono molto più gravi di quelle in età adulta.

Gli agenti termici quali possono essere? solidi, liquidi e gassosi.

Per solidi intendiamo metalli caldi per esempio quelli che si usano nelle fabbriche.

Tra i liquidi possiamo annoverare acqua bollente, oli bollenti, ecc.

Per gassosi parliamo soprattutto di gas che provocano incendi.

L'acqua causa la percentuale maggiore di ustioni mentre gli agenti chimici la minor percentuale.

Cosa andiamo a valutare oltre al tempo di permanenza dell’agente ustionante sul tegumento?L'età, la profondit

à e l’estensione e poi chiaramente se ci sono patologie associate, sopratutto quelle croniche preesistenti, che ovv

iamente aggravano il quadro clinico.

Come si calcola l’estensione dell’ustione?

REGOLA DEL 9:viene usata in prima istanza quindi anche in pronto soccorso.

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SCHEDE SPECIFICHE usate nei centri grandi ustionati

Come si valuta la profondità?

Ci sono varie scale per valutare un ustione in base alla profondità. Noi usiamo soprattutto quella che divide l’us

tione in primo, secondo e terzo grado (a volte ho sentito anche parlare del quarto grado ma vi dico che non esiste

),ovviamente quella di terzo grado è la più grave.

Da un punto di vista istologico parliamo di ustioni epidermiche, dermiche superficiali e profonde, e sottodermic

he.

Le epidermiche sono quelle di 1° grado.

Le dermiche superficiali e profonde sono quelle di 2°grado.

Le sottodermiche sono quelle di 3° grado (ustioni che vanno a colpire dal sottoderma in giù, quindi l’ipoderma,

la fascia i muscoli fino ad arrivare a tutto spessore)

Da un punto di vista anatomo patologico vengono divise in eritematose, flittene e necrotiche. Questa divisione

viene fatta su base clinica visto che ognuna di queste sono clinicamente distinguibili per alcuni segni differenti.

Le eritematose sono quelle di 1° grado.

Le flittene sono di 2° grado.

Le necrotiche(escara) sono di 3° grado.

Ovviamente se abbiamo un ustione grave di secondo grado molto estesa non è certamente tutta di secondo grado

ma un grado può sfociare in un altro, questa è una distinzione che facciamo didatticamente , clinicamente più so

no estese le ustioni e più avrei diverse profondità di ustione, quindi bisogna saperle riconoscere.

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E’ ovvio che la mortalità massima si ha negli ustionati di età giovanile e superficie ustionata ampia.

Abbiamo patologie associate che possono essere malattie sistemiche o traumi. Come sapete le ustioni si trovano

in gran numero in pazienti che hanno subito un incidente stradale grave e quindi il problema delle ustioni si asso

cia ad altri problemi. Mentre per malattie sistemiche intendiamo quelle malattie che già sono preesistenti nel pa

ziente e che non conosciamo se non al momento del ricovero del paziente.

Sintomatologia locale

1. Lesione di 1° grado

Edema lieve

eritema urente

desquamazione superficiale

queste ustioni vanno incontro ad una risoluzione spontanea semplicemente con detersione, lavaggi e app

licando pomate adatte.

2. Lesioni di 2°grado

Edema importante

Essudato

Bolle o flittene (bolle molto più grandi con essudato e trasudato all’interno,estremamente Dol

orose)

n.b. le flittene possono essere risolte o con evaquazione o asportazione, ci sono pensieri differenti sul comporta

mento da avere con le flittene. Se abbiamo una piccola flittena allora la si evaqua si lascia in loco la porzione su

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perficiale e aspettiamo la guarigione. Nelle flittene ampie si deve operare in ambiente sterile con paziente incan

ulato perché il paziente può andare in shock senza le dovute precauzioni.

Risoluzione spontanea(se non si tratta) :

Lesioni superficiali 12-15 gg senza esiti

Lesioni profonde 20-30 gg rimangono cicatrici patologiche(sempre se nn vengono infet

tate), queste sicuramente non verranno mai lasciate in risoluzione spontanea

3. Lesioni di 3° grado

Edema importante

Dolore importante

Escara(tipica)

Secca(da solidi)

Umida(da liquidi)

L’escara se non trattata va incontro a demarcazione, colliquazione e granulazione in circa 21 giorni, ma questo

non succede mai perché viene sempre trattata chirurgicamente con asportazione e innesto di pelle, prima che si a

rrivi alla demarcazione.

È importante la rimozione dell’escara poiché se non la si toglie non sapremo mai a che livello di profondità sia a

rrivata la lesione da ustione.

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MALATTIA DA USTIONE

L’ustione diventa patologica e viene chiamata “malattia da ustione” quando si ha un’estensione della superficie

ustionata che nell’adulto supera il 15% e nel bambino il 10%.

La malattia da ustione è di tipo sistemico e va curata nei centri ustioni.

Si divide in fase:

Acuta:in questa fase abbiamo shock generalizzato , danno termico con ipovolemia, il rene soffre abbia

mo prevalentemente anuria. Successivamente si ha rapido passaggio da shock latente a conclamato con

agitazione del sistema psicomotorio e disorientamento ,aumento della pressione sistemica, obnubilame

nto del sensorio oligo o anuria.

Subacuta: fase tossinfettiva in cui si ha riassorbimento di sostanze tossiche e subito infezione. Il pazie

nte viene trattato nei centri appositi subito con antibiotici ad ampio spettro. Ma cmq, essendo delle fasi

che si susseguono molto velocemente , una grande percentuale va incontro ad infezioni.

Cronica: fase di scompenso avanzato in cui una piccolissima percentuale di pazienti riesce ad arrivare

ancora viva.

PRIMO SOCCORSO

Rimuovere subito l’agente ustionante è vero ma anche no.

Certamente, quando vi trovate a soccorrere un uomo in fiamme, lo si aiuta a spegnere l’incendio in qualsiasi mo

do però, rimuovere gli indumenti, non sempre è un beneficio soprattutto quando la temperatura dei suddetti già s

i è abbassata da sola poiché si va letteralmente a squoiare il paziente visto che, ad alte temperature, gli indumen

ti si vanno praticamente ad incollare sui tegumenti.

Se ci si trova, per esempio, in casa e dobbiamo agire in modo immediato si va a fare un lavaggio immediato dell

a parte ustionata (mai con acqua fredda perché si ha uno shock termico che peggiora la gravità dell’ustione) con

acqua a temperatura ambiente e poi asportare gli indumenti.

N.B. se non si sa da quanto tempo l’indumento sta bruciando addosso ad una persona , la procedura migliore è la

vare con acqua a temperatura ambiente e portare subito il paziente al pronto soccorso ovviamente senza applicar

e nessun tipo di medicamento.

Al pronto soccorso si monitorizza il paziente in toto con tutti i parametri associati e, se la gravità dell’ustione lo

permette, si fa un’anamnesi velocissima e si valuta la gravità con la regola del 9. Il paziente viene incanulato e c

ateterizzato nel caso ci fosse una fase di shock successiva ,si pratica terapia infusionale e farmacologia e poi va t

rasferito al centro ustioni.

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ESCARATOMIA RADIALE

Nelle ustioni circonferenziali di 3° grado va sempre fatta poiché è una procedura SALVAVITA dato che i tes

suti necrotici fanno una tipica sindrome da compressione acuta , quindi avremo problemi a vari distretti dell’org

anismo fino alla morte. Questa è una procedura che dovrebbe essere applicata subito in pronto soccorso.

Al centro ustioni viene instaurata una TERAPIA GENERALIZZATA: antishock, antinfettiva e nutrizionale,

e poi una TERAPIA LOCALE che è una terapia medica chirurgica e fisioterapica.

Nelle USTIONI SUPERFICIALI si va a pulire il tutto con un disinfettante blando, ma mai con acqua ossigenata

, si va a coprire con garze vasellinate e possono essere utilizzati anche farmaci tipo katoxyn, sofagen.

FLITTENE evaquate o asportate.

Indicazioni alla TERAPIA CHIRURGICA(che è quella che ci interessa di più) ustioni di 2° grado profonde o

di 3° grado. Ovviamente la terapia chirurgica combatte la tossiemia e previene le infezioni poiché rimoviamo il

tessuto necrotico che non viene riassorbito. Inoltre si migliorano i tempi di degenza poiché velocizza tutto il pro

cesso di guarigione del neotessuto e miglioriamo anche i risultati estetici(si spera).

L’ESCARA si rimuove o con i vecchi dermatomi manuali, fino ad arrivare ad un tessuto vivo e sanguinante, o

ppure più facilmente con bisturi . Oggigiorno vengono usati dei manipoli con un getto d’acqua talmente forte

che funziona da lama ed è anche più pulito e facile da usare. Una volta rimossa l’escara vengono applicati degli i

nnesti cutanei. E’ importantissimo pulire tt le aree necrotichecosì da renderci conto della zona da innestare e gar

antire una copertura ottimale che, dal punto di vista funzionale, rispetta l’obiettivo da raggiungere ( un po’ meno

dal punto di vista estetico).

INNESTO A TUTTO SPESSORE (Di Wolfe Krause: comprende la cute a tutto spessore, dunque epidermide e

derma in toto) utilizzato nelle regioni nobili : la regione orale, perioorale, palpebrale, inguinale, dove innesti più

sottili vanno incontro a più problemi. Ovviamente se la regione ustionata è molto estesa, le zone da innestare so

no molteplici e quindi possiamo dire che è più un calvario che altro per il povero paziente.

Ovviamente si deve approcciare il paziente anche con un:

TRATTAMENTO RIABILITATIVO (dove entrano in gioco altre figure professionali):

Kinesioterapia in fase acuta

Fisio-kinesio terapia (di preparazione all’intervento chirurgico) fase subacuta

TERAPIA CHIRURGICA

Fisio-kinesioterapia post chirurgica

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COMPLICANZE:

Direttamente dovute all’agente termico

Secondarie :immobilizzazione , infezioni, disturbi tempo dipendenti , chirurgiche dipendenti.

La prognosi è sempre riservata.

Precoci : tutte quelle cardiache , digestive , insufficienza respiratoria acuta, sepsi , complicanze polmo

nari, insufficienza renale acuta, infine se siamo fortunati ci possono essere complicanze di retrazione o

(…).

Ricordatevi che tt le aree sottoposte ad ustione, sia trattate che non, hanno una maggiore percentuale

di contrarre un tumore cutaneo(basocellulari o spinaliomi) quindi cmq si continuano i controlli, nelle

aree trattate o non, ogni 6 mesi (come un paziente oncologico).

Tardive: cicatrici che possono essere differenziate in Ipertrofiche, Cheloidee, Distrofiche.

Nelle retrazioni cicatriziali normalmente la terapia è una plastica z,plastica di allungamento.

È chiaro che nelle ustioni molto gravi la prima cosa da fare è andare a ridurre il tessuto necrotico ustion

ato e innestare pelle.

Esempio di spaziatori cutanei così da migliorare la situazione della donna e svolgere più facilmente i movi

menti di una vita normale.

GRAZIE

Marino Lo Sapio

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27/11/2014 Prof. D’Andrea

Chirurgia plastica di tipo estetico

E’ una materia che rientra nell’ambito dell’attività del chirurgo plastico ed è di

estrema attualità. Attraverso i mass media, vengono trasmessi messaggi talora

molto sbagliati su un argomento che è in realtà molto delicato. La chirurgia plastica,

già nella sua definizione, prevede una manipolazione dei tessuti, soprattutto della

morfologia, anche in condizioni francamente patologiche (ustioni acute o croniche,

esiti cicatriziali, traumi) in cui c’è comunque un fine estetico, come ad esempio la

ricostruzione della mammella in seguito a mastectomia per tumore.

La chirurgia estetica agisce su persone sane in cui vi è un tipo di anomalia che porta

ad un disagio psicologico che può essere più o meno forte. Quindi la chirurgia

estetica interviene su più livelli e in più tipologie di difetti a seconda dei casi.

Distinguiamo una chirurgia estetica del viso e una chirurgia estetica del corpo.

Già nell’800 si correggevano palpebre con borse, nasi con gobba. Da allora sono stati

fatti passi da gigante: le indicazioni sono state ampliate e la sicurezza è

incrementata.

CHIRURGIA ESTETICA DEL VOLTO

In questo ambito distinguiamo due tipologie di inestetismi:

-di tipo costituzionale (che si sviluppano con la crescita)

-inestetismi che si manifestano con l’età avanzata, cioè con il processo di

invecchiamento.

Otoplastica: rientra nell’ambito di una patologia in cui vi è alterazione dello sviluppo

del padiglione auricolare e delle pieghe. Nel soggetto normale, vi sono più pieghe e

ben definite (elice, antelice, trago) e il padiglione auricolare è accostato al processo

mastoideo. Se la cartilagine non si sviluppa in maniera corretta, le pieghe non sono

presenti e l’orecchio si distanzia dal processo mastoideo formando un angolo

maggiore di 90°. Questo comporta un’alterazione nell’armonia del contorno del viso

che si ripercuote sulla sfera psicologica. Questo avviene già in età precoce perché lo

sviluppo delle cartilagini si completa intorno ai dieci anni e può diventare motivo di

derisione in ambiente scolare e già a questa età si può intervenire. Lo scopo

dell’intervento è il rimodellamento delle cartilagini; si effettua un taglio nella zona

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posteriore del padiglione (punto nascosto) e, attraverso questo accesso, con delle

microincisioni si rimodellano le pieghe.

Rinoplastica: è un intervento molto richiesto, volto a modificare il profilo del naso. Il

naso è una struttura particolare, posta al centro del viso, è prominente rispetto al

resto del viso perché ha una sua tridimensionalità. Quindi anche i difetti più piccoli

sono facilmente risolvibili. Anche per questo è uno degli interventi più richiesti, sia

dal sesso femminile che maschile. Un naso prominente, infatti, può essere motivo di

forte disagio psicologico. Uno dei maggiori vantaggi dell’intervento è l’assenza di

cicatrici: infatti esso avviene attraverso un taglio all’interno della narice che

consente il rimodellamento delle strutture responsabili della forma, cioè osso e

cartilagine. Si elimina il di più di queste strutture, attraverso modificazioni anche

minime, modellando leggermente anche la punta. Quando vi è una situazione di

partenza in cui, oltre all’aspetto estetico, vi è anche un’alterazione funzionale, ossia

una deviazione del setto (per traumi o cause congenite) con conseguenti problemi di

tipo respiratorio, è possibile, attraverso l’intervento (rinosettoplastica),sia

modificare il profilo estetico che risolvere il problema funzionale, quindi ripristinare

la funzionalità respiratoria. In questo caso vi è, quindi, anche una patologia alla base.

Mentoplastica: è un intervento che può essere eseguito da solo o insieme alla

rinoplastica. Infatti spesso il naso prominente può accompagnarsi a mento

sfuggente, quindi bisogna sempre andare a valutare l’insieme poiché la sola

correzione del naso prominente può accentuare il difetto del mento sfuggente. E’ un

intervento di tipo additivo o aumentativo che si può eseguire in più modi:

-con presidi come i filler, ossia materiale che viene iniettato nella sinfisi mentoniera

ma che ha un effetto limitato nel tempo, perché viene poi assorbito dall’organismo;

- con materiali protesici permanenti a base di silicone che vengono posizionati

attraverso un’incisione nella bocca che lascerà una cicatrice nascosta.

Il risultato sarà una maggiore proiezione del mento con miglioramento del profilo.

Blefaroplastica: è un intervento che serve a cambiare la posizione delle palpebre e a

rimuovere le borse,ossia prominenze sottocutanee localizzate a livello delle

palpebre. Generalmente si esegue in età avanzata per correggere i segni

dell’invecchiamento o quando, per motivi costituzionali, l’occhio è “predisposto ad

avere le borse”. Le borse altro non sono che il grasso periorbitario che protrude in

avanti, dando l’immagine di un occhio stanco, pesante, anche nel giovane.

L’intervento ha proprio lo scopo di rimodellare il grasso rimuovendo quello in

eccesso. Si effettua un taglio sotto le ciglia o all’interno della congiuntiva. L’occhio

apparirà così più riposato, più giovane. E’ bene agire dall’esterno per rimuovere

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anche la pelle in eccesso. Nei soggetti in cui tali alterazioni sono dovute all’età

avanzata l’intervento è mirato al riposizionamento della pelle cadente piuttosto che

alla rimozione del grasso in eccesso. Si ha così un miglioramento globale dello

sguardo e anche dei segni dell’invecchiamento.

Lifting: intervento esteso a tutto il volto che permette di riposizionare i tessuti

cadenti in seguito ai fenomeni legati all’avanzare dell’età. Si esegue un taglio che

cade dal davanti del padiglione auricolare all’indietro (quindi circonda il padiglione),

si accede agli strati profondi e si effettua un tiraggio verticale per distendere i

tessuti. L’intervento lascerà segni periferici in prossimità del padiglione auricolare,

generalmente invisibili. E’ bene cercare di rispettare la naturalezza, senza andare

oltre: l’artefatto certamente non è bellezza. L’intervento può essere gravato da

alcune complicanze, di cui la più importante è la lesione del nervo facciale che

determina un danno di tipo paretico con conseguenze non indifferenti. E’ quindi

sempre necessario affidarsi a un esperto.

Lipofilling: tecnica usata in chirurgia estetica e ricostruttiva che consiste in un

prelievo, attraverso microcannule, di grasso misto a sangue ed altre sostanze e

posto a centrifugazione per estrarre solo la componente adiposa, ottenendo un

innesto di grasso infiltrato. E’ molto utile per due motivi:

- obiettivi volumetrici;

-presenza di cellule staminali nel tessuto adiposo.

Quindi il grasso prelevato può essere reiniettato ottenendo, così, benefici estetici (in

caso, ad esempio, di volto scavato) e anche di miglioramento della qualità tissutale

grazie alla capacità rigenerativa. Tale tecnica può essere utilizzata anche in ambito

patologico, ad esempio in pazienti HIV-positivi in cui la terapia determina atrofia dei

tessuti sottocutanei oppure in caso di ricostruzione della mammella sottoposta a

quadrantectomia, in caso di ferite difficili, cicatrici patologiche ecc. Quindi è un

intervento che nasce per l’estetica ma che viene esteso anche alla chirurgia

ricostruttiva.

Chirurgia della regione mammaria: Rivolta al settore ricostruttivo ed estetico.

Settore estetico: è praticato in ambito pubblico. E’ indicato in caso di mammelle che

hanno alterazioni di tipo congenito come la sindrome di Poland, patologia rara,

caratterizzata da agenesia della mammella e del muscolo grande pettorale,

condizioni malformative che si manifestano nell’età puberale; in questi casi, anche

se la chirurgia è di tipo ricostruttivo, è comunque sempre assimilabile alla chirurgia

estetica; oppure è indicato in casi di esiti di quadrantectomia (intervento di

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asportazione del tumore della mammella)e in questo caso si effettua ricostruzione

mediante lipofilling. Se invece l’asportazione è totale per la gravità del tumore,

anche in questo caso il confine tra chirurgia ricostruttiva ed estetica è molto sottile,

perché non si restituisce una mammella funzionante ma si riesce a dare un recupero

morfologico non indifferente in una donna che ha avuto la sfortuna di avere il

cancro e anche una mutilazione che si ripercuote enormemente sulla sfera

psicologica. Sono moltissime le tecniche e questo tipo di ricostruzione si esegue con

le stesse protesi del campo estetico. Si inserisce sottomuscolo un dispositivo

gonfiabile, espansore tissutale, sgonfio. Attraverso una valvola, per via

transcutanea, il palloncino viene riempito e sfrutta la capacità dei tessuti di

espandersi se sottoposti a una trazione costante (come in gravidanza o nell’obesità).

Una volta che il palloncino è riempito nel giro di due o tre mesi, si procede con la

ricostruzione definitiva che consiste nel rimuovere il palloncino usando la stessa

cicatrice e inserendo una protesi mammaria definitiva, completando l’intervento

con la ricostruzione del complesso areola- capezzolo.

-Ambito estetico: essendo piuttosto elevata l’incidenza, è molto probabile che un

medico si trovi davanti a pazienti che sono state sottoposte a tale intervento, quindi

è bene conoscerne le basi. L’intervento più richiesto è l’aumento del seno in caso di

seno poco sviluppato o seno cadente in seguito all’avanzare dell’ età o gravidanze

ripetute e allattamenti. Ci sono situazioni in cui il seno poco sviluppato può creare

disagio psicologico e scarsa autostima. Si effettua un taglio molto piccolo intorno

all’areola o nel solco sottomammario, si inserisce al di sotto della ghiandola o del

muscolo grande pettorale una protesi (ve ne sono tantissime in commercio, per

forma e volume, a goccia, anatomiche). Le protesi oggi sono sempre più tollerate

dall’organismo rispetto al passato, non hanno più silicone liquido ma un gel. Quindi

se la protesi si rompe il gel rimane comunque in posizione e non si versa all’esterno.

Il contenente della protesi è, inoltre, rafforzato quindi la rottura è rara. Vi sono

alcune situazioni al limite del patologico quindi ,grazie all’intervento, si ha un

beneficio non indifferente ,considerando che la mammella è comunque un simbolo

di femminilità, fertilità, sessualità.

Bastano piccoli errori per determinare difetti disastrosi, con il risultato di una

mammella innaturale, con una situazione peggiore di quella iniziale. Si possono

avere, inoltre, complicanze legate all’intolleranza alla protesi, con la formazione di

una capsula fibrosa periprotesica molto spinta (volgarmente la gente parla di

rigetto, ma non si tratta di rigetto perché non si ha un trapianto d’organo). In questi

casi è necessario rimuovere la protesi, ma sono comunque un evenienze rare.

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Mastopessi: intervento indicato in caso di mammella cadente o sciupata (per

invecchiamento, post-gravidanza, allattamento, perdita di peso ecc.). Il seno è

abbassato rispetto alla posizione di normalità, quindi l’obiettivo è modificare forma

e posizione. Soprattutto nei casi più spinti, è necessaria una cicatrice più estesa,

intorno a tutta l’areola e, in alcuni casi, anche fino ai quadranti inferiori.

Mastoplastica riduttiva: quando la mammella è troppo grande è possibile ridurne il

volume e riposizionarla più in alto. I casi estremi prendono il nome di gigantomastie

e il problema estetico è spesso secondario a quello funzionale perché la mammella

diventa una sorta di zavorra sul tronco e, quindi, comporta problemi alla colonna

dorsale. Quindi l’intervento ha anche l’obiettivo di migliorare la postura.

Presuppone tagli piuttosto lunghi, si distinguono un taglio verticale intorno all’areola

e una cicatrice verticale al quadrante inferiore. L’obiettivo è migliorare estetica e

funzione.

Chirurgia estetica della regione mammaria nell’uomo: indicata in caso di

ginecomastia che può essere di due tipi: vera, ossia per ipertrofia della ghiandola

mammaria e falsa, dovuta all’obesità. Per entrambe le condizioni vi sono interventi

correttivi: in caso di ginecomastia vera, si effettua mastectomia sottocutanea, nelle

forme false si ricorre a interventi di lipoaspirazione.

Addominoplastica: intervento volto a correggere una ridondanza cutanea e un

eccesso di adipe nei quadranti inferiori dell’ addome. Tale eccesso ha varia origine e

può spaziare da problematiche di tipo estetico a problematiche di tipo funzionale,

fino a casi in cui il problema è quasi patologico, in cui l’eccesso di grasso può

determinare problemi a livello di postura ad esempio. Si effettua un’Incisione

chirurgica piuttosto lunga, negli spazi inferiori dell’addome, in regione sovrapubica

che viene nascosta da slip, costumi. Attraverso questa incisione, si riesce ad

accedere alla parete muscolare addominale formata da muscoli retti in regione

mediana e obliqui in regione laterale, per rafforzare la muscolatura e tendere la cute

una volta asportato il tessuto in eccesso. In questo modo si può correggere l’estetica

e anche problematiche come il laparocele.

Liposuzione: nonostante la notizia di un recente decesso a causa di tale intervento,

per alcune indicazioni è comunque molto efficace e sicuro. Si esegue con

l’inserimento al di sotto dei tessuti cutanei di microcannule di 3-4 mm di spessore

collegate ad un aspiratore con pressione negativa che rimuove, risucchiandolo, il

grasso in eccesso. Nelle piccole liposuzioni i pericoli sono minimi. Il pericolo è

maggiore quando si eccede, perché si aspira anche sangue. Inoltre, se l’operazione

non è eseguita in sterilità totale, vi è elevato rischio di infezione diffusa in tessuti

sottocutanei. Quindi l’esito dipende molto anche dalla professionalità

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dell’operatore. Le piccole incisioni lasciano dei micro-segni che praticamente non si

vedono. Si può effettuare in interno coscia o ginocchia. L’intervento è indicato per le

ginecomastie false, le maniglie dell’amore ecc.

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