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INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO LORENZO DELLAI RESO AL CONSIGLIO PROVINCIALE IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DELLA MANOVRA DI BILANCIO 2003 Trento, 11 dicembre 2002

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INTERVENTO

DEL PRESIDENTE

DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

LORENZO DELLAI

RESO AL CONSIGLIO PROVINCIALE

IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE

DELLA MANOVRA DI BILANCIO 2003

Trento, 11 dicembre 2002

Signor Presidente,

Colleghe e Colleghi Consiglieri,

vorrei cogliere l’occasione di oggi non tanto per riassumere i contenuti

del Bilancio, quanto piuttosto per proporre un ragionamento sul Trentino e

sulle sue prospettive.

I contenuti del Bilancio – infatti – sono stati ampiamente illustrati ed

esaminati in sede di commissione: i documenti depositati – ivi compresa la

relazione sullo stato di attuazione del programma – sono chiari e dettagliati.

Per questo - oltre i colleghi che certamente li hanno letti con

attenzione – ringrazio in modo particolare i Dirigenti e tutto il personale

delle strutture provinciali che hanno curato i testi ed i relativi rapporti, con

una precisione ed una chiarezza della quale tutti hanno dato atto.

Ugualmente ringrazio le parti sociali e imprenditoriali, con le quali si

è rinnovato, anche in occasione di questa manovra di fine legislatura, il

proficuo rapporto di collaborazione, nonché i rappresentanti dei Comuni

del Trentino, nostri partners istituzionali, in particolare per quanto concerne

la raggiunta intesa per la finanza locale e per la loro adesione responsabile

al patto di stabilità provinciale.

Vorrei dunque concentrare la relazione sui seguenti punti:

Primo. Una lettura realistica del Trentino così come oggi si presenta, con i

suoi punti di forza e di debolezza, anche in rapporto ai territori nostri alleati

o competitori.

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Secondo. Una lettura dello scenario “esterno” entro il quale il Trentino è

chiamato ad agire, giocando le proprie carte nella dialettica tra identità ed

apertura.

Terzo. Una sintesi dei punti forti della nostra politica di governo con

particolare riferimento alle questioni istituzionali e costituzionali; alla

nostra dimensione “esterna”; agli investimenti sul capitale umano; alla

politica per la coesione sociale; alle azioni rivolte alla valorizzazione del

territorio ed allo sviluppo economico.

Quarto. Una organica riflessione, anche in forza degli andamenti della

presente legislatura, sulla finanza provinciale e sulle sue prospettive future;

questione fondamentale, posto che non esiste Autonomia senza autonomia

finanziaria.

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1. IL TRENTINO. UNA LETTURA REALISTICA

Da una lettura realistica del Trentino odierno, ciò che appare in tutta la

sua evidenza è la realtà di una provincia che occupa le posizioni alte tra le

numerose graduatorie che istituti specializzati producono con frequenza.

C'è un'economia sostanzialmente solida, con una miriade di imprese

industriali e artigianali estremamente dinamiche, con alcune filiere di

specializzazione connaturate con il territorio, con un'agricoltura di qualità

ed un turismo che ha ampie potenzialità di miglioramento qualitativo; il

tutto in un contesto ambientale ancora preservato da impatti distruttivi e

con la presenza di un tessuto sociale sufficientemente coeso e solidale.

Questo modello di sviluppo così specifico ha consentito alla Provincia

di Trento di reggere il confronto con le aree del Nord-Est, di cui fa parte,

conservando quasi costantemente indici superiori a quelli medi nazionali;

ciò non di meno, appare evidente, la necessità di operare scelte che

consentano all'economia e alla società trentina di integrarsi al meglio in

questo mondo sempre più competitivo e di condividerne i vantaggi,

preservando al tempo stesso la propria specificità.

Stiamo uscendo dall’epoca della cosiddetta “modernizzazione

protetta”, ovvero aiutata da una forte presenza pubblica, per andare verso

un processo di “modernizzazione equilibrata basata sulla sostenibilità”, in

cui il sistema deve essere capace, a fronte della riduzione delle risorse

pubbliche, di riprodurre dal di dentro le condizioni della propria crescita.

Rispetto a questo scenario in divenire, si collocano i punti di forza e di

debolezza del sistema trentino, sulla cui natura mi pare ci sia una

convergenza di fondo degli attori politici, del mondo imprenditoriale e del

lavoro, della società civile e degli studiosi.

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Vale la pena iniziare con alcuni segnali forti dello sviluppo. Sono in

linea con l'area più accesa della competitività la filiera agro-alimentare,

quella turistica e quella edilizia. Dimostra forza autopropulsiva la piccola

impresa locale. Sta crescendo lo sforzo di qualificazione tecnologica

dell’industria. L'innovazione di processo si muove a grandi ritmi per

l'efficace impiego del flusso di trasferimenti a sostegno dei settori

produttivi. Il mercato del lavoro presenta la sostanziale piena occupazione.

Il patrimonio ambientale è ancora solido ed è monitorato in modo

eccellente. La coesione e la solidarietà sociale mantengono elevati livelli,

così come la qualità della vita e la sicurezza delle persone. Permane una

forte identità culturale.

Vi sono poi, indubitabilmente, indicazioni all'opposto, sulle quali è

necessario lavorare perché si inneschi un circolo virtuoso. V'è, innanzi

tutto, una scarsa dinamica competitiva del sistema economico, insieme a

ritardi nell'innovazione di prodotto e organizzativa e ad una ancora limitata

apertura internazionale. Sono ancora insufficienti le presenze del terziario

avanzato e di forme di new economy. Il turismo non sfrutta appieno le sue

grandi potenzialità e le possibilità di diversificazione dell'offerta.

L'agricoltura sconta l'invecchiamento degli addetti, la frammentazione delle

superfici agricole e la difficile sinergia con gli altri comparti. Faticano la

propensione al partenariato pubblico-privato e quella inter-istituzionale. La

crescita dell'offerta di forza lavoro non è pari al bisogno, mentre è carente il

capitale umano ad alta qualificazione. La dotazione infrastrutturale non è

pari al bisogno di mobilità, e appaiono in parte inadeguati i corridoi di

accessibilità esterna.

Non sono del tutto superate le situazioni di rischio idraulico nel

fondovalle dell'Adige. Ci sono negativi fenomeni di particolarismo

localistico nel comportamento delle comunità. Mostrano segni di difficoltà

5

le tradizionali organizzazioni di secondo livello, sia in campo cooperativo

che associativo. Permane una certa rigidità nell'offerta di servizi di welfare,

soprattutto per gli anziani, la prima infanzia e le nuove forme di povertà.

La sfida a questi punti di debolezza è iniziata fin dagli esordi di questa

Giunta provinciale, che ha concentrato risorse e impegni in un percorso

programmatico esplicitato poi dal Programma di Sviluppo, perché fossero

chiari gli obiettivi a grande scala da conseguire nell'orizzonte di legislatura

e quelli ipotizzabili necessariamente per un termine più lungo.

2. LO SCENARIO ESTERNO

Ragionare sugli scenari “esterni” non è per noi un pedaggio alla moda

di questo tempo.

In realtà, si sta aprendo un ciclo storico che rischia di minacciare la

nostra Autonomia ben più di certe “arie negative” riscontrabili sia in

Parlamento sia in determinati circoli di pensiero dei quali l’Ambasciatore

Sergio Romano è qualificato esponente.

Fino ad oggi, infatti, tutta la costruzione dei nostri poteri di

autogoverno è stata fondata sulla acquisizione di funzioni e di risorse atte a

governare i processi relativi al nostro territorio.

Si tratta di poteri e funzioni – in precedenza detenuti dallo Stato –

attraverso i quali la nostra Autonomia ha acquisito quasi tutte le leve di

governo dei fatti rilevanti per la comunità trentina.

Ora ci dobbiamo misurare con fenomeni e processi di trasformazione

che bene sono rappresentati dall’immagine dell’economia dei “flussi”:

flussi di pensiero e di merci; di problemi e di persone; di finanza e di

tecnologie; di informazioni e di energia.

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La fase di acquisizione di poteri e funzioni dallo Stato (pur tutt’altro

che conclusa, come dirò tra breve) a poco serve a fronte di questi scenari,

poiché – in gran parte – tali flussi vanno al di là degli stessi poteri degli

Stati Nazionali e certamente ne travolgono le tradizionali funzioni

confinarie.

La nuova frontiera dell’Autonomia sta dunque nella capacità di

costruire reti lunghe (senza perdere la ricchezza della nostra peculiarità); di

attivare intese; di partecipare in forma non passiva alla costruzione delle

nuove direttrici di sistema in chiave europea.

Con l’obiettivo duplice, naturalmente, di evitare nuove forme di

marginalizzazione e di trasformare la “sindrome da attraversamento” in

opportunità di capitalizzazione della nostra collocazione in senso

transalpino.

Ciò richiede una strategia su più ambiti, in gran parte già aperti ma

ancora in modo non del tutto adeguato.

Da quello del generalizzato investimento sulle lingue straniere a

quello della internazionalizzazione delle nostre agenzie formative, culturali

e di ricerca; da quello dei rapporti politici ed istituzionali con altri governi

locali a quello del marketing territoriale; da quello del sostegno all’export a

quello di iniziative di sistema per la penetrazione economica e commerciale

di altri territori nei quali le nostre imprese possono realizzare investimenti,

mantenendo in Trentino la sede direzionale e fiscale; da quello degli

accordi quadro per l’accessibilità e la disciplina delle grandi comunicazioni

a quello della capacità attrattiva di investimenti stranieri nei settori a più

alta valenza tecnologica.

Apertura e internazionalizzazione

Il Trentino è caratterizzato da una scarsa propensione

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all’internazionalizzazione, anche se si notano negli ultimi anni alcuni

segnali di cambiamento in alcuni settori dinamici e più orientati all’export.

Sulle strategie per uscire da questo punto di debolezza si è sviluppato anche

in provincia di Trento, negli ultimi anni, un importante dibattito. È emersa

l’opportunità di coinvolgere in primo luogo l’attuale struttura camerale,

giudicata particolarmente adatta ad assolvere al compito di rappresentare in

forma “sintetica” la comunità economica territoriale e di promuoverne le

più importanti peculiarità. Tutto questo si è tradotto nell’affidamento di una

serie di responsabilità e funzioni rilevanti. In particolare, in tema di

internazionalizzazione, la Giunta provinciale ha riconosciuto l’Ente

camerale quale istituzione di riferimento per un potenziamento delle

funzioni a sostegno della proiezione internazionale delle imprese trentine.

In realtà, però, il tema dell’internazionalizzazione dell’economia

trentina investe aspetti di natura non solo commerciale ma anche

strutturale; legati, cioè, agli investimenti all'estero e, più in generale, a

processi di delocalizzazione produttiva. Puntare sulla qualità (dell’impresa;

delle risorse umane; dei prodotti; del territorio; della pubblica

amministrazione; del supporto finanziario e tecnico) è l’unica strada per

gestire questi processi in un territorio come il nostro.

La globalizzazione

La globalizzazione si esprime in un mondo in cui – ed è un paradosso

solo apparente - sopravvivono e anzi assumono sempre maggiore peso le

identità locali. D’altra parte, ciò che in Europa consentirà di combinare la

globalizzazione con il mantenimento di profili equilibrati e coerenti è

proprio il “senso identitario”. La tecnologia senza l'identità, senza cioè forti

fattori aggreganti, è priva di anima.

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Alcune piccole nazioni o regioni stanno dimostrando di essere ben

preparate alla concorrenza internazionale. I cambi nell’economia mondiale

e la mondializzazione dell’economia non hanno distrutto, come qualcuno

pronosticava, le economie nazionali piccole o medie, ma al contrario hanno

loro aperto numerose porte. I paesi piccoli e medi che hanno saputo

aggiornarsi giocando la carta dell’investimento - proprio e straniero –

dell’innovazione e dell’internazionalizzazione, ne hanno tratto un grande

profitto.

Anche in Trentino le contrapposizioni fra locale e globale non si sono

finora manifestate in maniera particolarmente stridente. Il nuovo assetto

dell’Europa, l’apertura sempre maggiore dei mercati, la competizione a

livello mondiale non hanno scardinato il nostro assetto autonomistico né

hanno stravolto il nostro tessuto economico e produttivo. Questo ci

consente di guardare al futuro con spirito costruttivo, declinando le nostre

potenzialità all’insegna del cosiddetto “glocalismo”.

Va ricordato qui come recentemente abbiamo dimostrato che - in oltre

cinquant’anni di storia autonomistica – abbiamo saputo gestire al meglio le

nostre competenze, anche sotto il profilo dell’efficienza e della correttezza

amministrativa: le pagelle “Aa1” e “AA+” conferiteci dai maggiori enti

certificatori europei, Moody’s e Fitch Ratings, sono un importante segnale

di fiducia che speriamo venga raccolto sia in Trentino sia fuori dal

Trentino. Un segnale che dimostra da un lato che possiamo contare su noi

stessi e sulle nostre capacità e che dall’altro abbiamo le qualità necessarie

per accogliere idee, investimenti e proposte dall’esterno, stringere alleanze

e partnership.

La globalizzazione è spesso criticata perché impone logiche

improntate al neoliberismo: “invasione” delle multinazionali,

privatizzazioni di servizi essenziali, smantellamento dello stato sociale.

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Ma il Trentino, finora, non solo ha conservato il suo sistema di

welfare, ma anzi, ha moltiplicato le sue iniziative verso l’esterno, sempre in

una logica “di rete”, di apertura, di crescita della partecipazione a tutti i

livelli.

A Trento è nata recentemente una nuova finanziaria delle banche

etiche e alternative europee, che vede tra i soci fondatori la Cassa Centrale

delle Casse Rurali trentine.

Con Monsignor Bregantini, abbiamo recentemente formalizzato un

tavolo operativo per la Locride, che raggruppa tutti i soggetti i quali, dal

Trentino, sostengono lo sviluppo economico e sociale di quell’angolo di

Calabria, confermando come la nostra solidarietà sappia darsi anche robusti

strumenti operativi, per garantire maggiore continuità e incisività alle sue

azioni.

A Strasburgo la Provincia autonoma di Trento è stata premiata,

assieme ad altre nove Regioni e Municipalità europee, per il suo sostegno

alle attività delle Agenzie della Democrazia Locale, istituite dal Consiglio

d’Europa nella ex-Jugoslavia, ed in particolare per lo sforzo realizzato

insieme al mondo dell’associazionismo e del volontariato, a Prijedor – città

della Bosnia a suo tempo martoriata dalla pulizia etnica - lavorando fianco

a fianco con la popolazione locale per ricostruire le condizioni per la

convivenza pacifica fra le diverse etnie.

La cooperazione allo sviluppo vede non solo, anno dopo anno, un

sensibile incremento degli stanziamenti del nostro Bilancio, ma anche un

consolidarsi delle iniziative di tantissime realtà – piccole e grandi – del

nostro associazionismo.

Insomma, il Trentino, nell’era della globalizzazione, si conferma una

terra che non si è rinchiusa in una sorta di splendido isolamento alpino, ma

che al contrario si è confrontata e continua a confrontarsi con il resto del

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mondo, lasciandosi guidare da quelle tradizioni di solidarietà, mutuo aiuto,

e attenzione per il prossimo che costituiscono poi la “costituzione

materiale” del Trentino, quella sulla quale poggiano tutti i nostri progetti e

programmi per il futuro. E dando corpo ad un’idea di “federalismo

solidale” che è lontana anni luce da ogni forma di micronazionalismo o di

egoistico isolazionismo.

Tutto questo non nasce dal nulla: nasce da una cultura della

partecipazione, del rispetto della cosa pubblica, della trasparenza e della

solidarietà.

Possiamo dire pertanto che l’efficienza e la correttezza amministrative

certificateci dagli istituti di rating internazionali non vanno a scapito della

tensione etica che guida le nostre azioni, ma anzi, ne sono in qualche modo

un motore.

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3. I PUNTI FERMI DELLA NOSTRA AZIONE DI GOVERNO

3.1 Il quadro istituzionale

La convenzione europea

Il cammino intrapreso a livello comunitario con la convenzione

europea porterà presumibilmente ad uno scenario istituzionale nuovo: si va

prefigurando infatti il superamento degli attuali trattati relativi sia alle

Comunità europee che all’Unione europea in favore di un nuovo quadro

istituzionale che auspichiamo si fondi su una nuova carta costituzionale.

Nell’ambito di questo nuovo quadro istituzionale sarà determinante

l’applicazione del principio di sussidiarietà: ma mentre è certo che si sta

andando verso una migliore applicazione di questo principio nel rapporto

fra Unione e Stati membri, assai più incerta appare l’applicazione del

principio di sussidiarietà nel rapporto fra Unione europea e Regioni dotate

di poteri legislativi.

Assieme alle altre Regioni italiane stiamo operando perché vi sia il

riconoscimento del ruolo delle Regioni e delle Province autonome in alcuni

significativi elementi: il nuovo profilo del Comitato delle Regioni; la

presenza di rappresentanti regionali nel Consiglio, per le materie di

competenza locale; il rapporto diretto tra Regioni e Commissione, sempre

per materie di loro competenza; l’accesso diretto alla Corte di Giustizia.

In questo rinnovato quadro dell’assetto istituzionale europeo si

giocherà una sfida particolare proprio per le regioni a statuto speciale. Non

vi è, infatti, alcuna ragione per escludere che le particolarità che a tutt’oggi

giustificano la nostra specialità nell’ambito dell’ordinamento costituzionale

italiano, trovino analoghe e ancor più forti ragioni d’essere nel nuovo

assetto europeo. Quanto più ampie sono le dimensioni dei futuri “Stati uniti

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d’Europa”, quanto più articolata è la loro struttura istituzionale, tanto più vi

è la necessità di salvaguardare le specificità dei territori a livello regionale

e locale in generale, trasferendo quindi anche a livello comunitario quella

caratteristica essenziale della bilateralità che oggi connota i rapporti fra lo

Stato italiano, le Province autonome di Trento e di Bolzano e la Regione

Trentino Alto Adige - Südtirol.

In altri termini, sia detto con il beneficio di inventario e con la

necessaria imprecisione che questo contesto comporta, il futuro che si

prospetta dovrebbe essere quello di uno statuto di Autonomia speciale che

trova il suo fondamento non solo nell’articolo 116 della Costituzione della

Repubblica italiana, ma, assieme con tutte le altre Regioni, Comunità,

Länder che ne hanno le medesime caratteristiche, in uno specifico

riconoscimento nell’ambito della nuova costituzione federale o confederale

europea.

La riforma della Costituzione italiana

Il nuovo art. 116 della Costituzione, introdotto dalla legge

costituzionale n. 3 del 2001, costituisce una conferma degli statuti speciali,

anzi un loro rafforzamento nell’ambito dell’ordinamento generale.

Oltre al riconoscimento diretto delle Province autonome di Trento e di

Bolzano quali istituzioni costitutive della Regione, altro aspetto

significativo del nuovo art. 116 della Costituzione è dato dalla previsione

della possibilità di un “processo di specializzazione” delle condizioni di

autonomia di tutte le Regioni, in primo luogo evidentemente di quelle

ordinarie. Tale processo ha luogo attraverso una proposta di legge di

iniziativa (esclusiva) della Regione interessata, sentiti gli enti locali, ed

approvata come legge dello Stato a maggioranza assoluta delle due

Camere, ma sulla base di intesa fra Stato e Regione interessata. A tal

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proposito va sottolineato il fatto che l’art. 10 della legge costituzionale n. 3

dispone che sino all’adeguamento degli Statuti Speciali le parti della

riforma costituzionale che prevedono forme di autonomia più ampie

rispetto a quelle già loro attribuite si applicano anche alle Regioni a Statuto

Speciale e alle Province autonome. Per noi ciò significa che si applicano

anche alle Province autonome le disposizioni di maggior favore per

l’Autonomia contenute nel nuovo Titolo V della Costituzione.

Ma anche che alla Regione e alle Province autonome, fino

all’adeguamento dello Statuto, è riconosciuto il diritto di presentare al

Parlamento proposte di legge per il riconoscimento di ulteriori specifiche

forme e condizioni di autonomia secondo la procedura prevista dall’art. 116

della Costituzione e dianzi descritta.

Riteniamo opportuna una riflessione in tale direzione, alla quale già

stiamo lavorando.

La questione statutaria

Le modifiche costituzionali e statutarie descritte e l’evoluzione

dell’ordinamento comunitario impongono la progettazione di una nuova

fase di revisione statutaria. Oltre alla esigenza di definire in positivo i nuovi

poteri delle istituzioni dell’autonomia, i rapporti tra i diversi livelli

istituzionali e con la società civile secondo il principio di sussidiarietà, si

impone anche la necessità della ridefinizione del ruolo e dei rapporti

connotanti la Regione e le due Province autonome.

Il nuovo disegno istituzionale dovrà perfezionare quell’assetto che in

nuce, seppure in modo inadeguato, troviamo già nello Statuto del 1972: ciò

significa in prospettiva sviluppare il ruolo delle Province preminentemente

come soggetti di regolazione e di governo e quello della Regione come

soggetto della cooperazione istituzionale tra le due Province per la

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regolazione degli interessi interprovinciali, per la definizione di indirizzi,

scelte e politiche comuni in alcune specifiche materie, per la disciplina di

principio in materie nelle quali sussistono matrici e tradizioni comuni alle

due Province.

Questa ipotizzata nuova stagione di revisione statutaria non può però

essere il frutto di un mero iter procedimentale parlamentare, seppure di

rango costituzionale, senza il coinvolgimento adeguato delle istituzioni

rappresentative delle popolazioni che di tale Autonomia “dispongono”

secondo il dettato del nuovo art. 116 della Costituzione. Ci si riferisce

evidentemente all’esigenza, prima di tutto di carattere sostanziale, che

nell’iter parlamentare sia comunque riconosciuto ed attuato il diritto-dovere

dei tre Consigli di esprimere l’intesa sui testi dei progetti di revisione

statutaria prima della loro definitiva approvazione.

La “riforma interna”

Il tema della introduzione e dell’applicazione del principio di

sussidiarietà nell’impianto statutario del Trentino Alto Adige - Südtirol

costituisce ormai un vincolo inderogabile.

L’obiettivo strategico è quello di assicurare che al livello istituzionale

più vicino ai cittadini sia riconosciuto il diritto e il dovere di assumere la

maggiore quantità possibile di decisioni che riguardano gli interessi

collettivi e quelli pubblici della comunità; d’altro lato però tale obiettivo

strategico va coniugato con il vincolo della efficacia e della economicità

dell’azione amministrativa, con la qualità e la economicità dei servizi

pubblici erogati, per cui è impossibile prevedere che alla responsabilità

della decisione da riconoscere il più possibile a tutti i Comuni sia associata

anche la responsabilità della organizzazione e della gestione degli uffici e

dei servizi pubblici che a tali processi decisionali sono sottesi.

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Nel progetto più recente del 2000 tali esigenze contrapposte venivano

coniugate con il ricorso alla dimensione associativa fra i Comuni sia nella

forma di associazione che quella di unione e ad un percorso condiviso di

individuazione di ambiti territoriali ottimali. Tale orientamento in termini

generali non pare oggi avere alternative, ma certamente nel prossimo futuro

possono ulteriormente essere prefigurate anche soluzioni ulteriormente

innovative soprattutto per quanto riguarda la progettazione di un sistema

organizzativo pubblico costruito secondo un criterio generale di rete di

servizi che consenta il più ampio decentramento dei processi decisionali a

livello locale, mantenendo alla Provincia soprattutto la funzione di

legislazione, di regolazione generale e di indirizzo e programmazione e

stimolando la costituzione di ambiti territoriali forti e riconosciuti.

3.2 La proiezione estera dell’autonomia: il Brennero

In relazione agli obiettivi dell’Unione europea in materia di

costruzione delle infrastrutture strategiche che costituiranno il “sistema

nervoso centrale” dell’Unione europea, in grado di assicurare lo sviluppo

economico e sociale delle popolazioni dell’Unione medesima, la Provincia

autonoma di Trento ha maturato l’ipotesi di affrontare in modo organico,

interdisciplinare ed integrato le problematiche connesse con tali grandi reti

europee avendo come elemento di riferimento unificante e specialistico

l’area territoriale attorno al Brennero, idealmente rappresentabile con

riferimento ai territori della Baviera, del Tirolo, dell’Alto Adige, del

Trentino e del Veneto e alla fascia territoriale ricompresa tra Monaco di

Baviera e Verona.

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A fronte dei problemi evidenziati e della necessità di una definita ed

organica soluzione condivisa tra tutti gli attori interessati al Corridoio del

Brennero, si propone la istituzione di una Autorità di corridoio, costituita

dalle istituzioni regionali sopra evidenziate, con il compito di

contestualizzare, sincronizzare, integrare i processi programmatori,

progettuali, decisionali ed attuativi nonché gestionali dell’insieme delle

infrastrutture più significative nel sistema dei rapporti Nord Sud a cavallo

delle Alpi, nell’area del Brennero.

Non mi dilungo su questo punto poiché è stato consegnato ai colleghi

l’opuscolo contenente la prima sintesi del progetto, che ha suscitato vivo

interesse nei vari interlocutori potenzialmente coinvolti.

3.3 Le politiche di coesione

Una riflessione attenta meritano le prospettive delle politiche di

coesione sociale in senso ampio e trasversale.

Le leggi fondamentali da cui dipende l’impostazione di queste

politiche in Trentino sono state quasi tutte predisposte e approvate nel

corso degli anni ’80, in un contesto assai diverso da quello attuale, e in

presenza di una normativa nazionale piuttosto arretrata.

E’ venuto il tempo di aggiornare l’intero impianto legislativo e

organizzativo in questo campo, a seguito dell’evoluzione radicale della

situazione socio-economica trentina, delle strategie e degli strumenti delle

politiche sociali a livello nazionale, degli obiettivi, a partire dall’ambito

europeo, delle politiche sociali.

Tra gli anni ’80 e oggi è cambiata la situazione demografica,

economica e sociale del Trentino. L’evoluzione demografica è stata

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impressionante: rapido invecchiamento della popolazione, calo del tasso di

natalità; flussi migratori con crescente tendenza alla permanenza. L’impatto

sui bisogni è evidentissimo. L’assistenza agli anziani progettata negli anni

’80 per aiutare un numero limitato di famiglie che non erano in grado di

assisterli appare oggi inadeguata quantitativamente e insufficientemente

diversificata.

Anche la situazione economica è mutata in modo radicale. Superata la

crisi del settore industriale, che aveva generato migliaia di esuberi e portato

il tasso di disoccupazione ai livelli medi nazionali, la domanda di lavoro è

progressivamente cresciuta in un ampio spettro di settori e si è

qualitativamente elevata, favorendo l’accesso al lavoro dei giovani in tempi

brevi e con la domanda che supera l’offerta. Ciò ha reso superflui, o quasi,

molti degli strumenti di politica del lavoro attivati negli anni ’80. Anche il

reddito medio pro capite è aumentato progressivamente, superando quello

medio nazionale, grazie sia alla riduzione dei tassi di disoccupazione che

allo spostamento verso lavori più qualificati della popolazione trentina,

sostituita ai livelli più bassi dagli immigrati.

Tuttavia due fenomeni almeno destano oggi preoccupazione: la

mancata crescita del tasso di attività femminile e l’aumento del numero di

famiglie e persone con reddito inferiore alla soglia di povertà. Essi sono in

parte collegati, quando la povertà colpisce donne sole con figli, non inserite

nel mercato del lavoro. Esistono ostacoli culturali o istituzionali che

impediscono l’accesso delle donne al mercato del lavoro. Ostacoli che

possono essere rimossi solo con adeguate politiche, ma non con le politiche

ideate negli anni ’80.

Va poi ricordato come dagli anni ’80 il quadro legislativo nazionale

cui facevano riferimento le leggi provinciali approvate in quegli anni, si sia

profondamente modificato e come, in questi ultimi anni, anche a seguito

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della ricerca da parte della Comunità europea di strategie comuni ai Paesi

membri, siano radicalmente cambiati gli obiettivi delle politiche sociali in

generale e in particolare delle politiche del lavoro. L’obiettivo delle

politiche sociali non è più quello di porre riparo agli effetti negativi

dell’azione del mercato, risarcendo con denaro o servizi coloro che ne

hanno subito i danni, ma è quello dell’inclusione sociale e lavorativa di tutti

i cittadini o, in altri termini, quello della “coesione sociale”.

Puntare alla coesione sociale vuol dire coinvolgere nelle politiche tutti

coloro che possono condizionarla, in positivo o in negativo; vuol dire

promuovere comportamenti coesivi diffusi; vuol dire promuovere le forme

organizzative della società civile non solo se producono servizi

assistenziali, ma indipendentemente dalla rilevanza riparatoria dell’attività

svolta.

Forse ancora più netto è lo stacco tra gli interventi necessari per

combattere la disoccupazione e quelli che servono per aumentare il tasso di

occupazione. Non bastano più né sussidi di disoccupazione, né

finanziamenti alla creazione di posti di lavoro sostitutivi, né servizi di

incontro domanda e offerta di lavoro, né incentivi generici all’occupazione.

Sono invece necessari interventi di riqualificazione dell’offerta di lavoro

adulta; interventi sulle imprese affinché creino posti di lavoro a tempo

parziale in cui possano impiegarsi anche coloro che hanno carichi familiari;

servizi di assistenza all’infanzia diffusi e disponibili per tutti (anche a

livello aziendale) e servizi diversificati di assistenza agli anziani.

Particolare attenzione va posta all’ampliamento di quei servizi che

consentano alle donne di rimanere sul mercato del lavoro, anche perché è

dal loro sviluppo che possono derivare nuovi posti di lavoro con le

caratteristiche di flessibilità necessarie ad accrescere i tassi di occupazione.

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Rispetto a questo cambiamento di obiettivi mi sento di dire che la

Provincia autonoma di Trento, si trova ancora in una situazione di relativo

vantaggio. La positiva situazione economica; l’assenza di estese situazioni

di difficoltà; la tenuta della famiglia e delle forme di solidarietà di tipo

comunitario; la buona propensione all’impegno sociale a titolo volontario,

sono tutti elementi su cui possono contare le politiche pubbliche di oggi e

di domani. Occorre tuttavia agire per evitare che questi aspetti positivi si

logorino ulteriormente e secondo linee in grado di rafforzarli.

Il disegno di legge volto a creare una assicurazione obbligatoria contro

la non-autosufficienza si muove già nella direzione giusta rispetto ai

mutamenti che ho sopra ricordato. Esso infatti si propone di migliorare la

capacità del nostro sistema economico e sociale di reggere

l’invecchiamento della popolazione: constatato che per garantire una

adeguata offerta di servizi ad un numero crescente di anziani non

autosufficienti non bastano più le risorse pubbliche destinabili a questo

fine, la legge vuole indurre un aumento delle risorse private utilizzabili a

questi fini, con la richiesta di un contributo annuo certamente sostenibile da

parte delle famiglie trentine. Esso è il primo passo, ma fondamentale, di

una strategia che in futuro potrà essere resa più complessa e completa,

favorendo ad esempio contribuzioni volontarie più consistenti e

predisponendo interventi di stimolo alla crescita e alla diversificazione

dell’offerta di servizi. L’approvazione di questo progetto di legge

costituisce quindi un primo, importante passo verso la riforma delle

politiche sociali della Provincia di Trento.

Necessario sarà poi – in prospettiva – rivedere l’intera normativa

sull’assistenza; si dovrà ripensare l’applicazione del principio di

sussidiarietà e ciò dovrà essere fatto attraverso un confronto ampio con

tutte le espressioni della società civile trentina. Sarà necessario definire

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nuove forme organizzative per la gestione di servizi di utilità sociale (dalle

cooperative sociali alle fondazioni partecipative) utilizzando gli spazi

previsti dalla legislazione nazionale, anche per individuare le modalità di

sostegno al loro sviluppo. Fondamentale sarà quindi la revisione delle

modalità seguite dalle amministrazioni pubbliche nella scelta delle

organizzazioni cui delegare l’erogazione dei servizi: in particolare andrà

ricercato un equilibrio, ancora assente, tra l’esigenza di garantire livelli

adeguati di qualità e quella di minimizzare i costi; nonché tra la necessità di

garantire una certa omogeneità dell’offerta e l’opportunità di lasciare alle

organizzazioni private quei margini di autonomia operativa da cui dipende

la loro capacità sia di intercettare che di dar risposta ai nuovi bisogni. In

quest’ambito, le competenze legislative della Provincia sono

sufficientemente ampie da consentire di interpretare in modo innovativo un

quadro legislativo ancora confuso, sia a livello nazionale che europeo. Il

passo successivo potrà quindi essere quello di accelerare il passaggio di

alcuni enti produttori di servizi oggi pubblici, a enti privati (fondazioni o

società miste) o almeno caratterizzati da forme di gestione privatistiche,

così da restituire agli stessi autonomia operativa, garantendo che essi

continuino a perseguire le finalità pubbliche di interesse provinciale

attraverso opportuni accordi contrattuali, riducendo così le dimensioni della

pubblica amministrazione e il grado di rigidità della spesa provinciale.

Particolare attenzione dovrà essere dedicata alle politiche del lavoro e

della formazione e agli enti preposti alla loro gestione. Politiche e

strumenti, ivi compresa la riforma dell’Agenzia del Lavoro, vanno ripensati

a partire dall’obiettivo di aumentare di diversi punti percentuali il tasso di

occupazione. Dovrà inoltre essere ricercato un raccordo forte con la

formazione secondaria e professionale che, a sua volta, dovrà occuparsi

21

molto di più degli adulti e in particolare di quelli interessati a rientrare sul

mercato del lavoro.

3.4 I giovani, la cultura, la formazione

L’ultimo rapporto elaborato dal Censis sulla condizione giovanile

offre spunti di riflessione interessanti.

- da un lato i giovani mettono al primo posto - e fortunatamente -

valori come l’amore e l’amicizia; aspirano a sentimenti e ideali

assoluti, cercano dei punti di riferimento che si distinguano per

sincerità e coerenza ;

- dall’altro una quota significativa di giovani esprime sentimenti di

fatalismo e marcata disillusione. Soprattutto nel Nord Est italiano,

sono sempre meno coloro che concepiscono il tempo in termini di

“speranza nel futuro”. Tutto si brucia qui e ora, comprese le

esperienze belle e significative. La prospettiva di lungo periodo

attrae sempre di meno, il che deve indurci a qualche preoccupazione.

Anche le tradizionali agenzie di formazione – tra cui la dimensione

della parrocchia, o dell’oratorio – perdono terreno, sia nella loro

dimensione valoriale e pedagogica, sia come realtà nelle quali

trascorrere semplicemente il proprio tempo libero. Eppure non è vero

che i giovani non siano interessati, ad esempio, agli aspetti spirituali o

comunque non-materiali dell’esistenza: anzi, molti di loro dichiarano

di essere attratti dalla religione. Ma si tratta ormai – come pure per

molti adulti - di una religiosità “collage”, una religione che essi

assemblano pezzo per pezzo, in maniera puramente postmoderna.

22

Cosa significa tutto questo? Da un lato che sono in crisi le tradizionali

proposte che mirano a coinvolgere e motivare i giovani, anche se in

Trentino esse “reggono” probabilmente di più che altrove. Dall’altro, che

esiste una domanda inevasa di punti di riferimento ideali.

Tutto ciò non può lasciare il mondo della politica indifferente. Non si

tratta, naturalmente, di rispolverare ideologie defunte, ma di sottolineare

con più forza il legame fra etica e politica, rinnovando al tempo stesso

quella spinta motivazionale che spinge la persona a partecipare alle scelte

della comunità, portando il suo piccolo ma indispensabile contributo.

Anche le altre agenzie educative, scuola compresa, non possono

appiattirsi su un modello meramente efficientista, dettato dalla logica

imperante della competitività. L’importanza della formazione “per il

domani” è fuor di discussione: ma la scuola deve essere anche luogo di

maturazione, laboratorio di idee, palestra dove i valori si confrontano e si

mettono continuamente in discussione, in un clima di pluralismo e di

tolleranza.

Il Trentino che vogliamo è - perciò - anche una terra che sperimenta

un percorso culturale, che non vuole rinunciare a quanto di sedimentato,

consolidato, conquistato possiamo con orgoglio vantare. Sarebbe lungo e

forse inutile fare qui un elenco di queste presenze culturali che sono anche

presenze sociali, sul territorio.

Ciascuno di noi nella sua esperienza quotidiana può trovare le

persone, le associazioni, le istituzioni, le aree di volontariato cui fare

riferimento. Certo, va pure registrata anche una certa propensione a farci

del male, a sminuire quando non irridere quello che altrove, e in molti,

indicano con ammirazione.

E’ un autolesionismo che potrebbe toccare anche il terreno della

cultura, nei giorni che ci vedono invece protagonisti di una sfida

23

assolutamente esaltante.

Eppure, anche qui, non pensiamo all’inaugurazione del nuovo polo

museale di Rovereto, trionfo di luce e di spazio grazie alla creatività di

Botta e di Andreolli, concreta e vitale sfida artistica e culturale grazie alla

tenacia e alla passione di chi vi ha creduto e vi crede (per primi gli

amministratori provinciali che hanno avviato e sostenuto l’opera), come ad

una isolata eccellenza.

Certo, dimensioni e ambizioni sono ovviamente e giustamente alte per

il Mart; tuttavia anche questa è una tappa di quel reticolo che attraversa

tutto il Trentino, che riconosce il territorio come valore, anche nei suoi

presidi culturali. Che siano musei piccoli o grandi, biblioteche (in pochi

mesi la nostra terra ha registrato anche l’inaugurazione di due rinnovate

biblioteche comunali, quelle di Trento e Rovereto, additate ad esempio in

tutta Italia) o luoghi dove ci si confronta attorno alle idee e ai fatti che

muovono il mondo; sono questi i luoghi della rete culturale che potrà

permettersi l’eccellenza del Mart, proprio perché sono tanti, e solidi, e ben

stretti, i nodi della rete culturale che percorre il Trentino.

In questa rete noi vorremmo che un posto particolare ci fosse per i

giovani. Non per eleggerli a categoria sociale. Ma perché sappiamo

riconoscere l’inquietudine, talvolta l’apatia, persino il distacco, che abitano

le loro vite.

Oggi la cultura non viene più considerata aspetto secondario della

realtà umana ma elemento fondamentale per la qualità della vita. La cultura

è una dimensione che abbraccia l’intera sfera della vita dell’uomo e che

risulta essenziale non solo per la salvaguardia dell’identità ma anche per

chi governa, per i cittadini e per la partecipazione democratica, per la

costruzione della coesione sociale. La cultura svolge un ruolo fondamentale

nel convogliare l’energia sociale verso la riduzione della povertà e verso la

24

ricerca di nuove modalità di risoluzione dei conflitti, come presupposto per

la costruzione della pace.

Occorre considerare la cultura come la somma di “modi di vivere

insieme”. Si tratta di una definizione piuttosto vasta che ovviamente

comprende aspetti che vanno ben al di là dell’arte o di una semplice

raffinatezza di gusto, ma che non riesce a superare la nozione antropologica

di cultura come modo di vivere complessivo di un popolo o di una società.

L’enfasi è stata posta sui valori, come pure sui ruoli, sui rapporti e sui

legami socialmente definiti. Quando “cultura” e “sviluppo” vengono

considerati in questi termini, si comincia a capire che il loro rapporto è una

strada a doppio senso.

Questo approccio etico implica una responsabilità da parte del settore

privato nei confronti della società. Bisogna quindi superare le divisioni fra

il mercato, i governi ed il terziario. È necessario individuare il modo in cui

le forze del settore privato possono fornire il loro "know-how" ed

assumersi la loro parte di responsabilità collettiva, facendo propri gli

obiettivi di progresso sociale della comunità ed una più vasta gamma di

opzioni individuali e collettive e di sviluppo culturale.

In questo quadro di forte centralità della “cultura” – rafforzato dalla

piena consapevolezza di un percorso importante che abbiamo alle nostre

spalle, simboleggiato dal recente 40^ anniversario dell’ITC – si collocano

anche gli sforzi straordinari messi in campo e previsti per la scuola, la

formazione professionale, l’università e la ricerca scientifica.

Rafforzare e stimolare l’autonomia degli istituti scolastici anche nel

campo della ricerca curricolare e del tempo scuola; negoziare un contratto

che valorizzi le nuove articolazioni della funzione docente; riqualificare il

personale tecnico e gli apparati di supporto; costruire reti di scuole che si

identifichino sempre più nel territorio e sostanzino veri patti formativi al

25

centro delle strategie di sviluppo locale; affinare la didattica e le attenzioni

di contesto al fine di ridurre la dispersione scolastica ed incentivare la

prosecuzione verso l’alto degli studi, anche con il forte potenziamento della

politica del diritto allo studio; operare per l’attivazione di alcuni poli di

eccellenza di scolarità superiore in altrettante aree periferiche del Trentino;

completare il programma di edilizia scolastica e riqualificare la rete dei

CFP, incentivando sia la prosecuzione al quarto e quinto anno di

formazione sia il passaggio al canale dell’istruzione.

Queste sono alcune delle linee portanti di una politica scolastica che si

configura come grande investimento sul futuro e che sta riscontrando

l’interesse crescente e la collaborazione di tutte le componenti della

comunità.

Di analoga portata vogliamo sia anche l’attenzione all’Università ed

alla ricerca.

Di questo si è molto discusso, nelle ultime settimane e, pertanto, non

ritengo necessario in questa sede aggiungere alcunché.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti, così come i nodi ancora aperti,

che richiedono impegno costante e volontà condivise.

Resta il fatto che il Trentino oggi investe in ricerca poco meno del 2%

del PIL – sostanzialmente in linea con la media europea – in uno scenario

nazionale, purtroppo, ancora pesantemente precario sia per gli investimenti

di ricerca sia per quelli a favore della formazione universitaria.

La qualità dei nostri ricercatori; il prestigio dei nostri centri; lo

straordinario fenomeno di docenti e ricercatori che da molti Paesi decidono

di trasferirsi a Trento per le loro attività; il crescente convinto

atteggiamento di interesse e di coinvolgimento delle nostre imprese, ci

convincono che la strada è giusta e che occorre percorrerla con ancora più

determinazione, nei campi consolidati come in quelli nuovi.

26

3.5 Lo sviluppo

Questa Giunta è accusata da alcuni di puntare ad una crescita

economica che non tiene conto del concetto del “limite”.

Questa critica ci perviene da chi è portatore di una sensibilità che si

sta diffondendo, particolarmente nelle nuove generazioni: una sensibilità

che non sempre si esprime con valutazioni per me condivisibili, ma che

ritengo assolutamente meritevole di considerazione e di attenzione non

strumentale e non sbrigativa.

Questa Giunta non ha però mai inteso proporre e perseguire una

crescita economica non rispettosa della cultura e – vorrei dire – dell’etica

del limite.

Se solo si presta attenzione a non esaltare oltre misura qualche scelta

caricata a tutti gli effetti di valenza simbolica o se si riesce, per un attimo, a

liberarsi della prigionia dell’approcio ideologico, è abbastanza agevole

riconoscere – al contrario – che le nostre scelte sono state e sono ispirate ad

un criterio di qualità e di sostenibilità, non solo ambientale, ma anche

sociale e culturale.

Ci sono due visioni generalmente contrapposte dello sviluppo.

Una prima posizione vede lo sviluppo come un processo “feroce”,

pieno di “sangue, sudore e lacrime”. Questa visione di solito comporta un

disinteresse calcolato verso varie preoccupazioni che vengono giudicate

marginali: difesa o valorizzazione dell’ambiente, reti di sicurezza sociale,

coinvolgimento della comunità.

A tale atteggiamento si contrappone una visione che considera lo

sviluppo un processo “dolce”, che alimenta gli scambi con vantaggio

27

reciproco, che non elimina le reti di sicurezza sociale ma anzi le

irrobustisce.

È evidente che il Trentino – per la sua storia, la sua tradizione

solidaristica plasmata, soprattutto nelle valli, dalle difficili condizioni

ambientali – è più vicino alla seconda visione dello sviluppo rispetto alla

prima.

Fanno riflettere - in tale direzione - alcune lucide analisi riportate sulla

stampa nazionale a proposito di una certa “stanchezza” di molte aree del

Nord-Est, ove si era spinto su uno sviluppo del primo tipo, con risultati

sorprendenti in termini di capacità produttiva ma con un indebolimento

complessivo del tessuto civile e sociale che - alla lunga - rischia anche di

compromettere la solidità e la durevolezza delle performances economiche.

Tuttavia non si può rinunciare a costruire nuovi, articolati percorsi di

sviluppo per noi e soprattutto per le generazioni che verranno.

E riprendendo un concetto espresso dal Premio Nobel per l’Economia

Amartya Sen, che è stato non molto tempo fa ospite del Trentino – noi

pensiamo che sviluppo debba essere soprattutto “un processo di espansione

delle libertà reali di cui godono gli esseri umani”.

Il Trentino, che si è ormai lasciato alle spalle gli impedimenti

materiali più gravi che limitano la libertà delle persone può oggi

concentrarsi sulla libertà intesa come possibilità per ciascuno - giovani ma

anche adulti e anziani - di esprimere al meglio le proprie potenzialità e

capacità: sul lavoro, nella vita sociale e familiare, nei vari settori del

volontariato e della cultura. Nonché sulla risoluzione dei problemi che

ancora non sono stati adeguatamente affrontati o che necessitano di

interventi più risolutivi: problemi sociosanitari (alcolismo, “guerra” agli

incidenti stradali); problemi legati all’immigrazione (casa per gli immigrati,

maggiore integrazione nella comunità); problemi legati alla sicurezza (non

28

solo intesa come lotta alla criminalità ma anche come messa in sicurezza

del territorio, tutela del consumatore rispetto a frodi e sofisticazioni;

sicurezza sul lavoro).

Il Trentino in questi anni ha investito con decisione e con coraggio in

primo luogo proprio sull’uomo, ed è questo che vogliamo continuare a fare

anche nel futuro.

Gli investimenti nella scuola, nella formazione professionale, nell’alta

formazione e nella ricerca sono investimenti che aprono alle persone spazi

di libertà, perché consentono ad ognuno di sviluppare nella maniera più

adeguata le proprie vocazioni, di affinarle nel tempo, e successivamente di

metterle al servizio della comunità. Gli investimenti in cultura, scienza,

sapere, ma anche nella riqualificazione di tutto il personale che è occupato

nei vari settori della nostra economia e dei servizi, sono inoltre investimenti

sul futuro – di medio e lungo periodo, direbbero gli economisti – perché

alimentano un desiderio di crescita, di rinnovamento, di evoluzione.

In questa logica si collocano i nostri interventi diretti e indiretti a

favore dello sviluppo economico e a sostegno delle nostre imprese.

Si tratta di una voce importante del nostro Bilancio, orientata in modo

coerente con le normative comunitarie in tema di aiuti di Stato e dunque

tutt’altro che assimilabile alla figura ormai retorica dei contributi a pioggia.

Anche questa caricatura del Trentino – talvolta frutto di un insano

masochismo – deve ormai lasciare il campo alla corretta valutazione di un

complesso di interventi (diretti ma anche sempre più legati alle politiche di

contesto ed alla incentivazione della ricerca, dell’innovazione e della

qualificazione) attraverso i quali le nostre imprese non solo reagiscono

meglio di altre alla difficile congiuntura attuale, ma si stanno consolidando

in modo positivo.

29

3.6. Il territorio

In continuità con l’Atto di indirizzo sullo sviluppo sostenibile,

adottato dalla Giunta provinciale nel luglio 2000, il Programma di Sviluppo

Provinciale per la XII legislatura si ispira espressamente al principio della

sostenibilità ambientale dello sviluppo, confermando - del resto – un

orientamento ormai consolidato di grande attenzione nelle politiche

provinciali alla dimensione ambientale.

In questa direzione, in alternativa ad un’azione di protezione

ambientale ancorata esclusivamente al criterio del “comando e controllo”,

abbiamo scelto e vogliamo perseguire una strategia ambientale così

riassumibile:

- integrazione delle politiche ambientali in tutte le altre politiche

settoriali, tenendo conto degli obiettivi economici e sociali;

- conformazione al 6° Programma comunitario di azione in materia di

ambiente;

- incentivazione e sviluppo di un apparato produttivo

tecnologicamente avanzato e seriamente rispettoso degli standard di

qualità ambientale;

- promozione capillare di misure di certificazione qualitativa e

ambientale dei progetti, dei prodotti e dei territori;

- sviluppo integrato della ricerca ambientale – di base, orientata e

applicata – valorizzando in modo coordinato le istituzioni pubbliche

presenti nel territorio, in sinergia con il comparto produttivo;

- riordino e semplificazione del quadro normativo e dei carichi

burocratici; vigilanza più orientata alla consulenza collaborativa che

alla repressione.

30

Un accenno in particolare va poi riservato alla bonifica dei siti

contaminati ed alla attuazione del Piano dei Rifiuti, dell’agosto scorso,

secondo le indicazioni ormai note che – nonostante le molte opposizioni

che rispettiamo ma non rappresentano per noi una valida alternativa –

intendiamo attivare nei tempi e con le modalità previste. Vogliamo operare

secondo i principi, sempre garantiti, della partecipazione e del confronto

ma anche rispettando il dovere delle decisioni a carico di chi governa.

Nella manovra pianificatoria assume valenza strategica il Piano

generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche, previsto dall’art. 14

dello Statuto e dagli artt. 5 e 8 del D.P.R. n. 381 del 1974. Questo Piano – a

seguito della riforma delle norme di attuazione statutarie introdotta del d.

lgs. n. 463 del 1999 – si configura davvero come un piano “generale”,

posto che conterrà le linee principali per il governo del sistema idrico e per

la difesa del suolo, vale a dire l’azione strategica per il governo del ciclo

delle acque, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nonché per la

sicurezza del territorio. Il Piano generale per l’utilizzazione delle acque

pubbliche, assunto d’intesa con lo Stato e in cooperazione con le Regioni

limitrofe, sostituisce nel Trentino i Piani di bacino di rilievo nazionale e

rappresenta il paradigma di conformazione degli altri Piani territoriali e

settoriali.

La centralità del territorio come valore costitutivo della nostra

comunità, come “domicilio organico delle persone” si riflette naturalmente

nella pianificazione urbanistica. Affidiamo – in tal senso – alla nuova

legislatura le linee guida che abbiamo elaborato per la revisione generale

del PUP – ispirate del resto alla filosofia del nuovo Programma di Sviluppo

e necessariamente raccordate a quella che dovrà essere la riforma

dell’ordinamento urbanistico ed istituzionale.

31

Riconfermiamo qui – al contrario – che è di vitale importanza per il

Trentino – non solo per questa Giunta – l’approvazione definitiva della

variante attualmente all’esame della Terza Commissione permanente.

Aggiungo due ulteriori osservazioni, sempre sul tema del territorio

come valore.

In primo luogo, sottolineo l’impegno forte a favore del riequilibrio dei

servizi e delle opportunità tra centro e periferia.

Un riequilibrio che non punta all’esportazione omologante di modelli,

ma alla promozione delle vocazioni di ciascuna comunità locale.

A questi obiettivi si sono ispirate e si ispireranno l’attivazione della

nuova legge sulla Montagna; l’attuazione dei progetti DOCUP per le zone

svantaggiate; lo straordinario sostegno all’agricoltura di montagna ed in

modo particolare alla zootecnia; l’impegno per il rilancio della filiera silvo-

pastorale; la sperimentazione, ormai consolidata, dei Patti Territoriali,

orientati allo sviluppo locale integrato.

A questo stesso principio di riequilibrio tra i territori si collegano

anche la nostra politica scolastica e culturale; il rafforzamento delle misure

per le minoranze linguistiche (che costituiscono un valore prezioso per la

nostra civiltà); i tentativi di utilizzare le nuove tecnologie, necessarie per il

telelavoro, per sperimentare forme di contenimento del pendolarismo,

nonché le forme di sostegno finanziario a favore dei piccoli negozi in aree

marginali altrimenti destinati alla chiusura.

In secondo luogo, voglio sottolineare la particolare cautela (nonché la

qualità progettuale) con la quale abbiamo operato nel campo della

infrastrutturazione del territorio.

E’ pratica ormai consolidata la collaborazione fin dal principio di ogni

opera, tra chi progetta infrastrutture viabilistiche e chi cura l’aspetto

dell’inserimento paesaggistico ed il profilo stilistico-architettonico.

32

In questo modo non solo riusciamo a far partire i cantieri per le strade

che servono (negli ultimi dodici mesi l’importo è di 700 milioni di euro)

ma riusciamo anche a costruire opere esteticamente belle ed

ambientalmente accettabili.

Questo stesso atteggiamento seguiremo anche per opere pubbliche di

forte impatto, come il nuovo Ospedale S. Chiara, che realizzeremo a Trento

Sud secondo il programma già reso noto, o come la nuova ferrovia del

Brennero, per la cui realizzazione, anche a prescindere dalla nostra

proposta di Authority di corridoio, abbiamo garantito il nostro costante e

propositivo apporto tecnico, politico e di raccordo con i Comuni interessati.

Ma “territorio” non è solo la montagna; non è solo lo spazio libero.

E’ anche rappresentato dalla dimensione delle nostre città e delle

nostre borgate.

Per questo vogliamo accompagnare con grande attenzione i progetti di

trasformazione urbana che stanno partendo nelle città (in primis quello un

tempo così contestato ed ora, a quanto pare, apprezzato dell’area Michelin

di Trento) e quelli che riguardano le zone centrali dei principali Comuni dei

nostri comprensori.

33

4. LA FINANZA PROVINCIALE

Il quadro evolutivo e le caratteristiche della finanza provinciale

La Provincia gode di un’autonomia finanziaria ampiamente

sviluppata, completa e tutelata che non ha eguali nell’ordinamento delle

altre Regioni.

Nelle ultime legislature la finanza provinciale ha conosciuto tassi di

espansione particolarmente rilevanti; basti ricordare la crescita della

legislatura 1983-1988, dove la finanza provinciale ha registrato quasi il

raddoppio, quella della legislatura 1988-1993, con un incremento prossimo

all’80%, e quella della legislatura 1993-1998 con una dinamica espansiva

superiore al 42%.

Nell’attuale legislatura il trend di sviluppo risulta fortemente attenuato

e di poco superiore alla dinamica inflattiva (tasso di crescita medio annuo

in termini reali: 1,6%). Tale dinamica va tuttavia considerata positivamente

tenuto conto delle previsioni che erano state formulate all’inizio della

legislatura che delineavano una significativa contrazione delle risorse.

Determinanti si sono rivelate in merito le misure poste in essere per il

reperimento di nuove e maggiori risorse. Si fa riferimento, in particolare,

alla manovra tributaria, attraverso l’utilizzo degli spazi di autonomia

impositiva, che hanno consentito di sostituire tributi statali con tributi

provinciali (es. tassa automobilistica provinciale) e di utilizzare la leva

tributaria per innescare meccanismi di sviluppo economico (es. attraverso

la riduzione delle aliquote IRAP per determinate categorie e soggetti). In

secondo luogo rilievo ha assunto il perfezionamento di accordi con lo Stato

in ordine ai gettiti tributari riscossi fuori provincia (per le ritenute sugli

interessi, l’IRPEF, l’IVA da determinare sulla base dei consumi finali) che

ha originato per la Provincia ingenti quote di gettiti arretrati. Infine va

34

ricordato lo sfruttamento delle risorse di fonte comunitaria offerte dai fondi

strutturali, in particolare per la nuova programmazione 2000 - 2006.

L’assetto della finanzia provinciale, imperniato su un prevalente

sistema di compartecipazioni in misura predeterminata al gettito dei tributi

statali localmente riscossi, se da un lato consente di garantire un quadro di

certezza nel sistema di finanziamento della Provincia e di assicurare forti

potenzialità finanziarie all’autonomia, dall’altro presenta allo stato attuale

aspetti problematici connessi alla connotazione derivata dell’ordinamento

finanziario, cioè alla sua diretta correlazione al gettito tributario statale

localmente riscosso.

Un primo fattore di rischio è connesso alla dinamica che caratterizzerà

nei prossimi esercizi la componente straordinaria della finanza per il venire

meno di una fonte finanziaria rilevante costituita dalle pendenze pregresse

con lo Stato.

A tal fine va rilevato come con l’esercizio 2004 termini l’erogazione

dell’ultima tranche del gettito riscosso fuori per Irpef e ritenute su interessi

relativo agli anni 1991 - 1998, che ha consentito alla Provincia con un

accordo stipulato nell’anno 2000 di acquisire in cinque anni risorse per

1.220 milioni di euro. Tenuto conto che non sono prevedibili accordi con lo

Stato per le pendenze arretrate di dimensioni tali da consentire di sopperire

a tale fonte straordinaria di alimentazione del Bilancio provinciale, risulta

scontato che a decorrere dall’esercizio 2005 si potrà contare su un volume

di risorse inferiore a quello degli anni precedenti.

Il quadro delle risorse disponibili per i prossimi esercizi presenta

inoltre ulteriori limiti e incertezze destinati ad incidere sui potenziali di

crescita delle risorse.

I fattori di rischio sono connessi alle specificità dell’ordinamento

finanziario provinciale, cioè alla sua peculiare caratteristica di finanza

35

derivata che risulta fortemente condizionata dalle politiche economico-

fiscali del Governo nazionale e dal processo di riforma che caratterizza

l’ordinamento anche costituzionale del nostro Paese. In particolare possono

essere individuati tre elementi di “rischio”, rispettivamente riferiti:

- alla tutela e al rispetto dell’ordinamento finanziario. L’Autonomia della

Provincia si basa per ambiti significativi sul principio della

negoziazione, prevedendo accordi ed intese per il suo corretto esplicarsi.

Basti ricordare l’accordo annuale per la quota variabile o le intese per la

definizione delle attribuzioni a titolo di gettiti riscossi fuori dal

territorio, o, ancora, gli accordi per il Patto di stabilità interno e i

trasferimenti in termini di cassa delle risorse spettanti alla Provincia.

Occorre pertanto che la legislazione statale e gli atti di governo

conseguenti risultino rispettosi ed armonizzati con l’Autonomia

provinciale al fine di preservare sia il livello delle risorse, sia le

specifiche caratteristiche che connotano l’autonomia finanziaria della

Provincia.

Rilievo presentano innanzitutto le scelte in corso di definizione a livello

nazionale ai fini del varo della manovra di finanza pubblica 2003 per

l’applicazione anche alla Provincia del Patto di stabilità interno, per il

quale si confida che il Parlamento accolga le richieste della Provincia

per salvaguardarne le prerogative autonomistiche, e per la disciplina

degli impatti sull’ordinamento provinciale derivanti dall’attuazione del

primo modulo per la riduzione della pressione fiscale.

La tutela dell’autonomia finanziaria richiede pure un costante

aggiornamento dei suoi contenuti rispetto all’evoluzione

dell’ordinamento fiscale e finanziario nazionale; lo strumento a ciò

preordinato è rappresentato dalle norme di attuazione in materia

36

finanziaria che devono essere prontamente adeguate ai nuovi disegni di

riforma dell’ordinamento nazionale.

Rilievo strategico per il governo provinciale assume poi l’impegno a

promuovere tutte le azioni utili a difendere e salvaguardare l’autonomia

finanziaria della Provincia, anche nei confronti degli interventi che, pur

non ledendo esplicitamente l’ordinamento statutario, ne comportino un

sostanziale svuotamento. Il riferimento va in particolare alle riforme

legislative ed amministrative che coinvolgono il sistema regionale e le

autonomie locali;

- (altro elemento di rischio) alla riforma fiscale in corso di approvazione

a livello nazionale. Al riguardo va rilevato come uno dei fattori di

carattere strutturale destinati ad incidere in misura anche rilevante nel

lungo periodo sulla finanza provinciale, contribuendo a rendere

indeterminate ed incerte le prospettive di evoluzione delle entrate

provinciali, sia costituito dall’obiettivo del Governo nazionale di

procedere ad una riduzione della pressione fiscale. E ciò al di là di ogni

giudizio politico di merito che in questa sede non ci compete. Le misure

adottate con la manovra finanziaria dello Stato per l’anno 2003,

approvata lo scorso 30 settembre, rappresentano, infatti, solo

un’anticipazione di un percorso di alleggerimento del carico fiscale ben

più significativo da realizzarsi a partire dal 2004. Già nel 2003 tali

misure comportano per la Provincia una contrazione di gettiti stimabile

in complessivi 49 milioni di euro;

- (ultimo elemento di rischio) all’attuazione del processo di federalismo e

decentramento amministrativo che ha ricevuto rinnovata spinta a

seguito della modifica del Titolo V della seconda parte della

Costituzione, operata con la Legge Costituzionale n. 3/2001. In

relazione a tale fattore di criticità, vi è il rischio concreto della

37

progressiva riduzione di due fonti non marginali di alimentazione del

Bilancio provinciale: la quota variabile di cui all’articolo 78 dello

Statuto (per il venir meno degli interventi diretti dello Stato nelle

materie di competenza provinciale) e le assegnazioni statali a valere

sulle leggi di settore (previste solo per effettuare interventi speciali in

favore di determinate Regioni per particolari obiettivi).

In tale contesto si colloca l’intervento previsto dal Governo con la

manovra di finanza pubblica per il 2003 di procedere dal 2004

all’abolizione di tutti i trasferimenti statali in favore delle regioni (con

esclusione dei settori del trasporto pubblico locale e della salute umana

e veterinaria) che saranno sostituiti con compartecipazioni al gettito dei

tributi erariali.

Tenuto conto che l’ultima quota variabile definita prima dell’avvio del

processo di decentramento amministrativo, riferita all’anno 1998, ha

assicurato al Bilancio provinciale oltre 180 milioni di euro, mentre le

leggi di settore sono quantificabili nell’ordine dei 70 milioni annui, il

potenziale effetto negativo per il Bilancio provinciale appare di tutta

evidenza e rilievo.

In merito all’ampio processo di riforma che sta in questi periodi

caratterizzando gli enti regionali e la finanza pubblica in particolare, si

può ritenere che non sussistano attualmente reali situazioni di rischio,

tali comunque da pregiudicare la specialità degli ordinamenti delle

Regioni ad Autonomia differenziata e quindi anche delle Province

autonome.

L’ordinamento finanziario di tali enti è garantito, infatti, da normative di

rango costituzionale e anche la recente riforma del Titolo V della

seconda parte della Costituzione ha preservato pienamente il regime

speciale che caratterizza i medesimi enti.

38

Va comunque segnalato in prospettiva il rischio che possano essere

contestate le consistenti dotazioni finanziarie di cui attualmente

beneficiano le Provincie autonome e le Regioni ad Autonomia

differenziata, che non risultano comparabili con quelle delle altre

Regioni.

Ad avvenuta attuazione del nuovo modello costituzionale ed una volta

che allo Stato dovessero restare unicamente funzioni finalizzate ad

assicurare l’unità/indivisibilità dell’ordinamento potrebbe, infatti,

risultare difficile per tali enti giustificare livelli di risorse notevolmente

più elevate rispetto agli altri enti quando le funzioni da esercitare si

presentano sostanzialmente uguali per tutte le Regioni.

Come pure potrebbe porsi il problema, anche per le Regioni a Statuto

speciale e per le Province autonome, di dover concorrere a finanziare il

fondo perequativo previsto dalla riforma costituzionale per i territori con

minore capacità fiscale per abitante; ciò in relazione ai princìpi di

solidarietà che soprattutto in un sistema di federalismo fiscale

dovrebbero ispirare le regole di perequazione in favore delle aree più

povere del Paese.

Si tratta di scenari da esaminare con molta attenzione politica e tecnica,

senza paura del futuro e senza deflettere dalla rigorosa difesa delle

nostre ragioni storiche, giuridiche e istituzionali, preparando – se e

quando ve ne sarà la necessità – una nuova fase di pattuizione con lo

Stato, in forte raccordo con la Provincia autonoma di Bolzano.

La politica di Bilancio per la spesa

Sul versante della spesa, azione strategica del Governo provinciale nel

corso dell’attuale legislatura è stata innanzitutto la salvaguardia delle

condizioni di equilibrio del Bilancio nel duplice obiettivo di:

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- garantire flessibilità al Bilancio provinciale anche per renderlo idoneo

ad assorbire eventuali contrazioni di risorse che si dovessero verificare

nei prossimi esercizi;

- finanziare gli ingenti programmi di investimento indispensabili per il

processo di modernizzazione e sviluppo del Trentino.

Nel primo aspetto è da rilevare come la Provincia benefici di una

struttura equilibrata del Bilancio che non trova facile riscontro in altri enti

pubblici del Paese: la spesa corrente permane al di sotto del 59% e la quota

di investimenti risulta ogni anno costantemente superiore a 1.500 milioni di

euro.

Anche raffrontando le entrate di natura corrente, ovvero quelle che

alimentano in via continuativa le finanze della Provincia, con le spese

correnti emerge come annualmente una quota significativa, pari all’incirca

ad un terzo delle predette entrate, non venga assorbita dalle spese di

gestione, ma concorra invece a titolo di risparmio pubblico al

finanziamento di consistenti flussi di investimento. Tale quota nell’attuale

legislatura è risultata mediamente pari a circa 1.000 milioni di euro

all’anno, valore corrispondente a quello della precedente legislatura.

L’obiettivo di preservare la flessibilità della spesa ha interessato

innanzitutto quella di parte capitale. Grazie alle azioni programmatiche

attivate dall’Amministrazione provinciale, l’incidenza dei cosiddetti “limiti

di impegno” (ossia i contributi pluriennali a favore di imprese per interventi

a sostegno dell’economia e degli enti pubblici per opere e investimenti)

rapportata al totale della spesa in conto capitale è passata dal 24,8% del

1987 all’11,1% del 2002. Inoltre la vita media residua dei limiti di

impegno, ulteriore indicatore espressivo della rigidità del Bilancio, dal

1994 al 2001 si è ridotta da 12,5 anni a 7,1 anni. Le predette politiche

hanno accresciuto la produttività degli investimenti provinciali sul

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territorio, in quanto oggi circa il 90% della spesa in conto capitale della

Provincia afferisce a nuovi investimenti.

Anche relativamente alla spesa corrente, che rappresenta l’aggregato

di maggiore rigidità del Bilancio, la Giunta provinciale ha posto in essere

efficaci azioni e strumenti di razionalizzazione. Si fa riferimento, in

particolare, per le principali aree alle seguenti azioni:

- personale: soppressione della pianta organica e contenimento delle

assunzioni (è prevista la riduzione di due punti percentuali della

dotazione del personale entro il 2004);

- acquisti di beni e servizi: attivazione del progetto di e-procurement, dal

quale sono attesi a regime risparmi di spesa del 10%;

- finanza locale: operatività del Patto di stabilità provinciale che ha

consentito nel triennio 2000 - 2002 il dimezzamento del tasso di crescita

della spesa corrente dei Comuni rispetto a quello rilevato nella

precedente legislatura 1993 - 1998 (dall’8% al 4%), nonché una forte

regressione dello stock di debito dei Comuni (da 582 milioni di euro del

1999 a 481 milioni di euro del 2001);

- trasferimenti agli enti funzionali e alle agenzie: definizione di direttive

annuali per la formazione dei bilanci e per il contenimento delle

assunzioni di personale che, nel relativo periodo di validità, hanno

consentito di contenere la crescita media annua dei trasferimenti

ordinari in favore degli enti dipendenti del 4,3% in termini nominali e

del 2,7% in termini reali.

Sul versante della spesa, ulteriore obiettivo, che ha informato in modo

significativo le strategie finanziarie della legislatura, è stato quello della

riallocazione delle risorse tra le aree del Bilancio.

L’impostazione programmatica, che è stata recepita e convalidata nel

nuovo Programma di Sviluppo Provinciale, ha inteso polarizzare le risorse

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sui settori considerati strategici per lo sviluppo, la modernizzazione e il

riequilibrio territoriale del Trentino. I risultati raggiunti sono fortemente

significativi. In particolare dal 1999 al 2003 si registra una dinamica

fortemente accentuata delle risorse finalizzate alle seguenti aree di spesa:

- formazione del capitale umano (scuola-università): la crescita è stata del

27%, con un’incidenza sul totale di Bilancio che nel 2003 supera il

17%;

- interventi a sostegno dello sviluppo economico: la crescita è stata del

29%, con le risorse destinate alla ricerca che sono incrementate di oltre 5

volte;

- infrastrutture, con particolare riferimento a quelle strumentali alle

attività economiche: l’incremento è stato del 70%, polarizzato soprattutto

sugli interventi per la viabilità e per i trasporti;

- politiche sociali, con particolare riferimento ai settori dell’assistenza e

della sanità: l’aumento è stato del 34% con la sanità che sul Bilancio

2003 assorbe una quota prossima al 23% del totale delle risorse

disponibili;

- valorizzazione delle autonomie locali: con le risorse destinate ai Comuni

che presentano un incremento superiore al 18% e che sono state mirate a

un significativo rafforzamento degli spazi di autonomia dei Comuni

nell’impiego delle risorse;

- ambiente: l’incremento è stato del 47%.

A fronte della marcata espansione dei settori sopra individuati si

riscontra, per contro, una dinamica fortemente attenuata per quanto attiene

agli oneri di funzionamento interni all’amministrazione e alle spese per gli

investimenti immobiliari e strutturali della Provincia che nel periodo

considerato sono rimasti sostanzialmente invariati in termini reali.

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Signor Presidente,

Colleghe e Colleghi,

si parla spesso di “territorio”. Vorrei concludere proprio su quello

che si può immaginare che sia ed ancora più possa essere il territorio.

Partiamo da lontano, dal significato stesso che, non da ora, il

territorio ha nel vecchio Continente.

Non costruiremo alcuna Europa che non passi dalla coscienza dei

suoi abitanti, dalla consapevolezza delle molte patrie che la compongono –

ben più di venticinque – dallo sforzo di costruire un tessuto straordinario

chiamato a confrontarsi con la globalizzazione.

L’Europa non potrà certo prescindere dalla forma Stato che hanno

assunto gli agglomerati nazionali, ma altrettanto certamente la sua

immagine non potrà riflettersi unicamente in essi.

E’ in questo contesto che i territori, vere e proprie cerniere tra le

diverse realtà europee, assumono una valenza strategica fondamentale.

Essi sono portatori di istanze antiche e moderne ad un tempo: eredi e

testimoni di una capacità perdurata per moltissimi secoli. Le regioni e le

macroregioni europee possono dare, nella loro dimensione più contenuta,

risposte ai nuovi bisogni che affiorano giorno dopo giorno sul nostro

orizzonte, con una velocità maggiore, che può e deve tenere la velocità dei

processi di cambiamento tecnico, economico, sociale e persino

antropologico in atto.

I territori possiedono una primogenitura che può e deve fruttare per

l’avvenire: essi hanno la possibilità di sperimentare nuove strategie sociali

e politiche in grado, forse, di rimettere al passo i processi decisionali con

l’avanzare di un progresso incalzante, spesso dai contorni incerti.

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Troppo spesso, invece, le regioni e le province si sono appiattite,

sull’orizzonte della politica nazionale, fino ad interpretarsi sia pure su scala

ridotta come un semplice pezzo della politica nazionale.

Così le assemblee rappresentative hanno assunto la fisionomia e le

formule del Parlamento nazionale, accontentandosi di andare a rimorchio di

processi dei quali, invece, avrebbero potuto e dovuto reclamare la parte di

attori protagonisti.

Per quel che ci riguarda, conquistata e fissata l’Autonomia in uno

Statuto, forse non ci siamo accorti che una stagione – quella della

rivendicazione delle competenze e delle risorse – era chiusa e non abbiamo

così maturato ancora la lucidità e lo slancio per aprire una fase nuova

dell’Autonomia, quella che ci aspetta.

Territorio è quindi, da un primo punto di vista, apertura e non

chiusura.

Da un altro punto di vista, sempre con riferimento al territorio, c’è

stato forse uno spreco di democrazia e con questo spreco della democrazia

siamo chiamati a fare i conti.

La posta in gioco, viceversa, è che la politica sia espropriata dei

processi decisionali a favore della tecnica e dell’economia.

Mettere in pratica questa etica della politica – che è stata anche nelle

nostre istituzioni di valle, nelle Regole, nelle Comunità Magnifiche, nei

Comuni rurali come nei Comuni con proprio statuto, prima ancora che

nella concezione della nostra stessa Autonomia, significa anche avere il

coraggio di sperimentare forme nuove di rappresentanza e di governo.

Per stare alla pari con la velocità indotta da un progresso anonimo e

globale, dobbiamo cambiare passo, senza mortificare la dimensione del

consenso, esercizio irrinunciabile della vita democratica.

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In questo senso si è sentita formulare da più parti l’ipotesi di un

“governatorato” come una ipotesi praticabile del nostro futuro: e pur non

addentrandoci in questa sede nella congruità o meno della formula indicata,

tuttavia bisogna convenire su un punto fondamentale. A chiunque toccherà

condurre il governo di questa terra bisognerà garantire la rapida assunzione

delle decisioni necessarie ed il loro effettivo esercizio.

Una ripresa di interesse per la vita pubblica, infatti, non può non

passare attraverso l’individuazione e la promozione delle capacità che un

territorio sa e può esprimere, facendo emergere attitudini e carismi,

impiegandoli e finalizzandoli al bene comune.

Non abbiamo nessun bisogno di crescere in autorità, o – peggio – in

autoritarismo: dobbiamo invece saper crescere, con ferma umiltà, in

autorevolezza, cioè in capacità di interpretazione della nostra comunità, di

percezione della rotta e di decisione.

E’ questa la via per recuperare, nella dimensione dai confini certi

della territorialità, la dimensione etica della politica e, per essa, quello

scollamento tra società civile e mondo della politica che sentiamo come

una ferita aperta nel nostro agire quotidiano.

Ed è in questo spirito, anche, che la parola sussidiarietà acquista uno

spessore credibile, uscendo dal rischio di una pura formula di derivazione

costituzionale.

E’ questa la coesione che abbiamo cercato di perseguire e la legge

elettorale che abbiamo approvato, con il concorso di molti e la critica

costruttiva degli altri, ci dà, sulla carta, la possibilità di interpretare questo

nuovo tempo con maggiore libertà.

La dimensione territoriale è probabilmente il luogo chiamato a tenere

a battesimo forme di rappresentanza e di governo che sappiano farsi carico,

al tempo stesso, della concertazione dei poteri decisionali, delle formule di

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contrappeso necessarie per evitare i rischi che potremo incontrare su questa

strada, ma insieme anche di perseguire una funzione “esterna” di grande

significato.

Concludendo la presentazione dell’ultimo Bilancio di una legislatura

difficile e sofferta, è sostanzialmente questo l’augurio che rivolgo a tutto il

Consiglio ed alle forze politiche che si accingono a render conto agli

elettori tra meno di un anno.

L’augurio di saper riproporre ai cittadini il gusto ed il sapore di una

politica che non sia solamente scontro, ma costruzione – pur nella doverosa

dialettica tra le parti – di una più forte coesione territoriale orientata a

supportare un Trentino che non avrà tutta la strada in discesa e che deve

recuperare una più forte percezione di futuro e di ruolo.

A noi pare di aver individuato alcune piste importanti; altre le

abbiamo solo intraviste; altre ancora sono tutte da scoprire, con umiltà, con

impegno, con onestà intellettuale.

Ringrazio la maggioranza che con me e con la mia Giunta ha

condiviso e condivide il cammino di questa legislatura, pur tra le mille

difficoltà di una fase politicamente non ancora assestata.

Ringrazio l’opposizione che svolge il suo prezioso ruolo

democratico, sperando che possa essere mantenuto il clima di

responsabilità degli ultimi mesi.

Ringrazio infine i Colleghi dell’opposizione attuale che – in forza di

un dialogo che è stato aperto – vorranno esprimere, eventualmente, un voto

non negativo a questo Bilancio.

Di tutti i contributi terremo conto per portare a termine nel migliore

dei modi questo nostro mandato.