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INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO DEI COSTONI ROCCIOSI SOVRASTANTI L’ABITATO DI MACARI, NEL COMUNE DI SAN VITO LO CAPO (TP) Ing. Fabio Cafiso – Studio Associato PRO-GEO, Palermo 1 - Introduzione L’abitato di Macari è una frazione del Comune di San Vito lo Capo, rinomata località turistica della Provincia di Trapani, nella Sicilia nord-occidentale (figg. 1, 2). Nella notte del 28 febbraio 2001 si verificò il crollo di un enorme blocco roccioso da uno dei costoni rocciosi carbonatici incombenti sul paese. All’impatto con il terreno, l’elemento lapideo si suddivise in centinaia di massi, molti dei quali investirono gli edifici e le infrastrutture sottostanti, provocando ingenti danni, per fortuna senza vittime. Dai primi sopralluoghi sui costoni rocciosi sovrastanti l’abitato, risultò evidente un quadro generale di grave pericolo per gran parte del paese, che venne delimitato ed evacuato. Si predispose, quindi, un programma di interventi urgenti ripartiti in fasi successive, finalizzate a mettere in sicurezza dapprima parte della zona evacuata, con le abitazioni dei residenti; quindi, quella restante, con le case di villeggiatura. Il complesso degli interventi si è concluso nel gennaio 2005. Figura 1: Ubicazione della zona del dissesto Figura 2: Vista generale della località di Macari 2 - Inquadramento geologico Il paese si sviluppa al piede di tre costoni rocciosi, in un pendio che degrada con pendenza via via decrescente da monte fino al Mar Tirreno (figg. 3 e 4). I costoni lapidei sono costituiti di rocce appartenenti al dominio paleogeografico della Piattaforma Carbonatica Panormide ed, in particolare, all’unità 1

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INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO DEI COSTONI ROCCIOSI SOVRASTANTI L’ABITATO DI MACARI, NEL COMUNE DI SAN VITO LO CAPO (TP) Ing. Fabio Cafiso – Studio Associato PRO-GEO, Palermo 1 - Introduzione L’abitato di Macari è una frazione del Comune di San Vito lo Capo, rinomata località turistica della Provincia di Trapani, nella Sicilia nord-occidentale (figg. 1, 2). Nella notte del 28 febbraio 2001 si verificò il crollo di un enorme blocco roccioso da uno dei costoni rocciosi carbonatici incombenti sul paese. All’impatto con il terreno, l’elemento lapideo si suddivise in centinaia di massi, molti dei quali investirono gli edifici e le infrastrutture sottostanti, provocando ingenti danni, per fortuna senza vittime. Dai primi sopralluoghi sui costoni rocciosi sovrastanti l’abitato, risultò evidente un quadro generale di grave pericolo per gran parte del paese, che venne delimitato ed evacuato. Si predispose, quindi, un programma di interventi urgenti ripartiti in fasi successive, finalizzate a mettere in sicurezza dapprima parte della zona evacuata, con le abitazioni dei residenti; quindi, quella restante, con le case di villeggiatura. Il complesso degli interventi si è concluso nel gennaio 2005.

Figura 1: Ubicazione della zona del dissesto Figura 2: Vista generale della località di Macari 2 - Inquadramento geologico Il paese si sviluppa al piede di tre costoni rocciosi, in un pendio che degrada con pendenza via via decrescente da monte fino al Mar Tirreno (figg. 3 e 4). I costoni lapidei sono costituiti di rocce appartenenti al dominio paleogeografico della Piattaforma Carbonatica Panormide ed, in particolare, all’unità

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stratigrafico-strutturale di Monte Acci – Pizzo di Sella (fig. 4): si tratta di calcilutiti marnose e calcisiltiti di colore rossastro chiaro a foraminiferi planctonici (“Scaglia”), con intercalazioni lenticolari di calcareniti a noduli di selce e megabrecce carbonatiche risedimentate (Cretaceo sup. - Eocene). In corrispondenza dei versanti a valle dei costoni carbonatici è presente una copertura detritica, costituita di materiale di natura calcarea proveniente dallo smantellamento degli affioramenti lapidei sovrastanti, talora in matrice limo-argillosa, con grado di cementazione variabile, ma in genere modesto, che si incrementa con la profondità.

Figura 3

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1 Pizzo A

: Vista gene

Figura 4

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rale di Maca

: Planimetria

2

5

ri con i tre Pizz

generale dell’ar

2

1

2 Pizzo B

3 Pizzo Iracò

Zona ad

4 anfiteatro

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Fascia di terreno

investita dai blocchi rocciosi

i denominati A, B, Iracò

ea in oggetto

3 - Descrizione dell’evento Non ci sono testimonianze dirette sulla meccanica dell’evento, che si è verificato nelle ore notturne del 28 febbraio 2001. Tuttavia, dall’esame della zona di distacco, ubicata sul fronte nord di Pizzo A, sembra accertato che sia avvenuto il crollo di un “elemento lapideo” fessurato di oltre 2500 m3, avente altezza di circa m 33, larghezza di circa m 19 e spessore di circa m 4 (fig. 5). All’impatto con il suolo, l’elemento lapideo si è suddiviso in oltre 300 blocchi con volume compreso tra circa 0.25 m3 e circa 120 m3, di forma appiattita o vagamente arrotondata, che hanno investito una fascia di terreno di circa 6.5 ettari di superficie. In generale, i primi sono scivolati lungo il pendio, fermandosi dopo un percorso di circa 250 m; quelli di forma arrotondata si sono dispersi lungo una fascia di terreno larga alla base circa 200 m (fig. 4) e hanno raggiunto e danneggiato la strada, alcune automobili (fig. 6), le abitazioni al piede del pendio (figg. 7, 8).

Figura 5: Vista della zona del dissesto Figura 6: Automobile distrutta

Figura 7: Edificio danneggiato Figura 8: Particolare dell’edificio danneggiato

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4 - Metodi di indagine e risultati Al fine di acquisire tutte le informazioni necessarie per la progettazione degli interventi a salvaguardia dell'abitato, è stata sviluppata una campagna di indagini, rilievi e studi comprendente:

a) l’ispezione preliminare dei costoni rocciosi da elicottero, per la ricognizione generale finalizzata ad individuare le zone ove sono presenti blocchi lapidei in equilibrio instabile che determinano condizioni di rischio “molto elevato” per l’abitato sottostante. E’ stata così individuata l’area da indagare, indicata in fig. 4;

b) il rilievo topografico della zona di distacco dell’elemento lapideo crollato e del percorso dei singoli massi in cui esso si è scomposto. Sono stati individuati: la zona di distacco, sul fronte nord del Pizzo A; il percorso dei blocchi; la zona di arresto, in corrispondenza delle abitazioni e delle infrastrutture danneggiate (fig. 4);

c) la determinazione dei parametri che regolano il moto dei blocchi lungo il pendio mediante “back-analysis”. Non disponendo di un codice di calcolo in grado di riprodurre l’evento, si è operato su blocchi singoli utilizzando il modello “Rotomap”, individuando i valori dei coefficienti di restituzione energetica normale Kn e tangenziale Kt e di “roto-scivolamento” Cr ai quali corrispondono le traiettorie indicate nella fig. 9, che raggiungono proprio gli edifici distrutti o dissestati dai massi di forma arrotondata di maggiori dimensioni. Tale interpretazione si è ritenuta soddisfacente per gli scopi dello studio, in quanto le aree più esterne sono state investite dai massi di dimensioni minori, proiettati più lontano dall’urto dell’elemento lapideo sul terreno;

Figura 9: Risultati della “back analysis”

d) l’ispezione di dettaglio dei fronti carbonatici operando con

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tecniche alpinistiche. Sono state individuate due situazioni geostrutturali tipo: - la prima caratterizza la zona α (fig. 4): i piani di stratificazione, con

inclinazione variabile da zona a zona e spaziatura dell’ordine di alcuni metri, interferiscono con i giunti subverticali, paralleli e normali al fronte, e delimitano blocchi rocciosi per i quali sono cinematicamente possibili fenomeni di scorrimento (fig. 10) e ribaltamento (fig. 11). Complessivamente sono stati individuati e rilevati oltre 120 elementi lapidei in equilibrio instabile, per lo più di volume compreso tra la decina e diverse centinaia di metri cubi;

- la seconda interessa l’intero fronte roccioso "ad anfiteatro" di Pizzo Iracò (zona β - fig. 4), ove la spaziatura tra gli strati, suborizzontali, varia dal decimetro al metro (figg. 12, 13). Essi, insieme ai giunti verticali, paralleli e normali al fronte, delimitano blocchi del volume massimo dell’ordine del metro cubo, disarticolati gli uni dagli altri e ciascuno dall’ammasso roccioso, talora a sbalzo ove è avvenuto il crollo dei livelli rocciosi sottostanti (figg. 12, 13). Le condizioni di pericolo riguardano la parete lapidea nel suo complesso.

Figura 10: Blocco per il quale è cinematicamente Figura 11: Lastre per le quali è cinematicamente

possibile lo scivolamento possibile il ribaltamento

f) lo studio delle traiettorie dei massi in caduta dai Pizzi A, B ed Iracò, utilizzando il modello “Rotomap” facendo riferimento ai parametri ottenuti con la "back-analysis".

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Figura 12: Particolare della zona β Figura 13: Blocchi nella zona β

5 - Interventi realizzati Sono stati eseguiti interventi di tipo “misto”, comprendenti opere di difesa passiva e di consolidamento di blocchi lapidei in equilibrio instabile. In generale, non era possibile operare in parete in condizioni di sicurezza nella zona β ove, comunque, il volume massimo dei blocchi instabili non supera qualche metro cubo. Di conseguenza, sono state collocate barriere paramassi ad elevato assorbimento di energia (3000 kJ), disposte su più file nel pendio al piede del costone roccioso (figg. 14 e 15), progettate utilizzando il codice di calcolo Rotomap. In corrispondenza della zona α sono state collocate barriere paramassi (2000 kJ), per proteggere l’abitato da blocchi di volume massimo pari a circa 2 m3 (figg. 14 e 16). Dei blocchi in equilibrio instabile di volume superiore a quello innanzi indicato è stato eseguito il consolidamento, secondo modalità che dipendono da vari fattori, quali il possibile meccanismo di rottura e la configurazione dell’ammasso roccioso nell’intorno dell'elemento lapideo da stabilizzare, con tecniche mirate a garantire la sicurezza degli operatori. A causa delle condizioni di stabilità, prossime alla rottura, in generale è stata preferita l’imbracatura mediante funi di acciaio ancorate a tiranti del tipo a bulbo iniettato con armatura in barre dywidag (figg. 17 e 18); in tal modo si opera ai lati del masso, in sicurezza. Nel caso di elementi lapidei costituiti di insiemi di blocchi, l’imbracatura è stata preceduta dall’applicazione di pannelli di funi (fig. 19). Ove indispensabile per la morfologia dei luoghi, e soltanto nel caso di massi non fratturati e per i quali non erano da temere crolli a breve termine, è stato effettuato il placcaggio diretto (figg. 20 e 21). Qualche blocco lapideo in procinto di crollo, la cui asportazione non avrebbe determinato fenomeni di instabilità nella roccia retrostante, è stato frantumato con espansivi chimici.

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Figura 14: Planimetria generale con ubicazione delle barriere

Figura 15: Barriere paramassi ad elevato assorbimento di energia da 3.000 kJ

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Figura 16: Barriere paramassi ad elevato assorbimento di nergia da 2.000 kJ, che hanno già arrestato blocchi lapidei crollati da monte

Figura 17: Elemento lapideo in equilibrio instabile – Vista laterale e ricostruzione grafica a scala 1:250

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Figura 18: Elemento lapideo di fig. 17 – Intervento di imbracatura con funi di acciaio ancorate a tiranti

Figura 19: Intervento di imbracatura previa applicazioni di pannelli di funi

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Figura 20: Intervento di stabilizzazione mediante placcaggio con tiranti

Figura 21: Elemento lapideo placcato con tiranti del tipo a bulbo iniettato In alcuni casi si è fatto ricorso a sottomurazioni tirantate per il sostegno di elementi lapidei “a sbalzo” (figg. 22 e 23). 6 - Condizioni residue di rischio e monitoraggio Con gli interventi eseguiti, le condizioni di rischio per edifici e infrastrutture al piede dei costoni rocciosi si sono sensibilmente ridotte. Evidentemente non si può ritenere “nulla” la condizione di rischio residuo, sia per l’approccio probabilistico al problema, sia per la potenzialità di situazioni di pericolo “imprevedibili” perchè “non visibili” all’atto delle ispezioni, sia in quanto i costoni rocciosi in argomento sono stati interessati da “storie geologiche”

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particolarmente complesse, che hanno determinato situazioni geostrutturali che evolvono verso condizioni di dissesto sia a “grande” scala che a “piccola” scala. Pertanto, la naturale evoluzione dei versanti può, nel tempo, rendere in equilibrio instabile singoli elementi lapidei e/o aree estese in condizioni di equilibrio all’atto dei lavori eseguiti. Del resto, in nessun settore dell’ingegneria, ma anche di semplice vita quotidiana, si può considerare “nulla” la condizione di rischio residuo.

Figure 22 e 23: Interventi di sottomurazione di elementi lapidei ubicati in cresta Lo strumento per controllare le residue condizioni di rischio è “la prevenzione”, basata:

1. sul “monitoraggio” dei costoni rocciosi; 2. sulla “manutenzione” delle opere di salvaguardia poste in opera.

Di conseguenza si procederà sistematicamente a: - ispezioni periodiche sui fronti rocciosi e delle barriere paramassi, al fine

di individuare eventuali ulteriori blocchi “in parete” che necessitano del consolidamento e l’opportunità di interventi di ripristino di tratti di barriera, quali l’allontanamento del materiale accumulato a ridosso delle opere di intercettazione e/o il riposizionamento di pannelli e montanti danneggiati dagli impatti dei massi crollati (ogni due anni);

- manutenzione di eventuali parti ammalorate degli interventi di consolidamento (ogni due anni);

- prove di carico su tiranti, sia di fondazione delle opere di difesa passiva che di consolidamento di singoli blocchi lapidei in equilibrio instabile (ogni sei anni).

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