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QUADERNO N°3 IMAGO MUNDI LA TERRA VISTA DALLO SPAZIO Note di Matematica, Fisica, Filosofia, Letteratura e Comunicazione Polo Territoriale di Como Facoltà di Ingegneria Civile Ambientale e Territoriale

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QUADERNO N°3

IMAGO MUNDI

LA TERRA VISTA

DALLO SPAZIO

Note di

Matematica,

Fisica, Filosofia,

Letteratura e

Comunicazione

Polo Territoriale di Como

Facoltà di Ingegneria Civile

Ambientale e Territoriale

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IMAGO MUNDI

LA TERRA VISTA DALLO SPAZIO

QUADERNO N°3

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Imago Mundi – Quaderno 3

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Sommario

LA FOTOGRAFIA TRA TECNICA E ARTE .......................... 9

Introduzione .................................................................. 9

1. Breve storia della fotografia .................................... 10

2. La fotografia come tecnica di raffigurazione

oggettiva ...................................................................... 13

2.1 Il paesaggio urbano .......................................................... 13

2.2 Il paesaggio naturale ......................................................... 14

2.3 Applicazioni oggettive della fotografia ............................ 16

3. Funzione connotativa dell’arte fotografica ............. 19

IL PAESAGGIO NELL'ARTE RINASCIMENTALE ............ 29

Storia dell’evoluzione della prospettiva ...................... 30

1. Filippo Brunelleschi e la prospettiva monoculare ... 30

2. Leon Battista Alberti ............................................... 32

3. Piero della Francesca .............................................. 33

4. Leonardo da Vinci e la prospettiva aerea ................ 36

LA SICILIA, TRA LOCUS AMOENUS E DISSESTO ........ 39

1. Sicilia e abusivismo ................................................ 40

1.1 Abusivismo edilizio in Sicilia: la Valle dei Templi di

Agrigento ................................................................................ 40

1.2 Mafia ed energie rinnovabili: Salemi ............................... 44

2. Il paesaggio siciliano nella letteratura ..................... 46

2.1 Teocrito e il paesaggio di Sicilia ...................................... 46

2.2 La Sicilia dell’immaginario tra Vigàta e Montelusa ........ 48

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2.3 Poesia e paesaggio: la Sicilia ............................................ 52

3. Pittura e poesia: la Sicilia ........................................ 55

3.1 Pittura e paesaggio: la Sicilia ............................................ 55

SULLE RIVE DEL LARIO ..................................................... 58

1. Il lago di Como nell’immaginario giovanile .......... 58

2. Risultati del questionario rivolto a 100 alunni delle

scuole superiori di Como (marzo 2011) ...................... 61

DAL MACRO AL MICRO ..................................................... 63

1. La macchina a vapore e la Prima Rivoluzione

Industriale .................................................................... 63

2. Dal macro al micro: la termodinamica .................... 64

3. Studiare il micro: l’HLC del CERN ........................ 66

4. Spiegare il micro: il progetto “COLLIDER” .......... 66

LA FORMA DELLA TERRA E L'IMMAGINE DEL MONDO

.................................................................................................. 69

1. Età moderna ............................................................ 69

2. Allegato A: Deviamento dalla figura della Terra

figura sferica ................................................................ 98

1. Kant: geografia fisica, vol I Milano 1807 ........................... 98

3. Allegato B: La geografia scientifica ...................... 107

1. Snellius e la prima triangolazione..................................... 107

2. La catena di Riccardo Norwood ....................................... 109

3. Jean Picard e le grandi triangolazioni francesi ................. 110

4. La triangolazione dello Stato Pontificio nel 1750 ............ 112

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Imago Mundi – Quaderno 3

7

Domitilla Leali

Docente di italiano e latino

Liceo Classico "A.Volta"

Nel corso dell’anno scolastico 2010-2011 la classe II A del Liceo

Classico “A. Volta”, insieme alle insegnanti Pina Cardile, docente

di matematica e fisica e Domitilla Leali, docente di italiano e latino,

ha contribuito al progetto “Imago Mundi” con la realizzazione di

lavori relativi al tema della rappresentazione della Terra vista dalla

Terra, con particolare attenzione all’Italia, della cui unità ricorreva

il centocinquantesimo anniversario.

Dopo un primo approccio scientifico alla questione, in merito al

problema dell’individuazione di un punto della superficie terrestre,

gli studenti hanno indagato, a partire da loro personali interessi

culturali, le modalità e le caratteristiche della rappresentazione del

paesaggio in linguaggi prevalentemente non verbali.

Un primo gruppo si è occupato di ricostruire il percorso che ha

portato, nella pittura rinascimentale, alla messa a punto della

prospettiva; un secondo, invece, ha ricostruito il modo in cui la

fotografia ha progressivamente rivolto la propria attenzione in

termini informativi e poi più schiettamente artistici al paesaggio. Un

terzo gruppo ha verificato, attraverso l’analisi di spartiti musicali e

di canzoni popolari, le strategie con cui il linguaggio musicale puro,

o accompagnato da testi, si è impegnato, a partire dal 1800, nella

sfida di rappresentare fenomeni atmosferici o veri e propri paesaggi.

Altri due gruppi, infine, hanno studiato l’immagine dell’Italia così

come appare in alcuni film del Neorealismo italiano, in alcuni

recenti film hollywoodiani e in alcuni spot pubblicitari. Da

quest’ultima analisi è emerso chiaramente che l’immagine del

nostro Paese agli occhi del mondo è, nel bene e nel male, fortemente

stereotipata: tramonti rosa, cieli sereni, donne bellissime e uomini

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8

aitanti che parlano gesticolando, mentre la mafia domina

incontrastata.

Una ricerca tra scienza e arte, i cui esiti, ancora una volta, si sono

caricati per tutti di un forte valore civile.

Link contributi video

La fotografia. Tecnica e arte

http://m.youtube.com/watch?v=g3ia3nUA6lk

L’immagine cinematografica di Roma attraverso un viaggio dal

Neorealismo a oggi

http://m.youtube.com/watch?v=1FBSQjBU3pY

Il paesaggio e la prospettiva nell’arte rinascimentale

http://m.youtube.com/watch?feature=m-ch-

vid&v=NthxvZ8yYjk

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Imago Mundi – Quaderno 3

9

LA FOTOGRAFIA TRA TECNICA E ARTE

Ilaria Ceppi, Silvia Mascheroni, Margherita Pasi

Studentesse della Classe IIA – a.s. 2010-2011

Liceo Classico “A. Volta” – Como

Introduzione

l breve percorso che ci accingiamo a svolgere si propone di

trattare della fotografia intesa come arte volta alla

rappresentazione del paesaggio. L’analisi prende avvio da una

sintetica trattazione della storia della tecnica fotografica, dalle

origini fino ad oggi, per meglio comprendere le applicazioni e gli

obiettivi che essa ancora oggi riconosce come propri.

Ripercorrendo lo sviluppo dell’arte è infatti possibile

cogliere come progressivamente siano sorti il desiderio e la

necessità di rappresentare, oltre alla figura umana, anche il

paesaggio naturale, dapprima con funzione puramente descrittiva,

poi con una finalità più connotativa: attraverso lo scatto dedicato a

un luogo il fotografo, professionista o amatore che sia, trasmette

un’emozione o una sua personale sensazione. E a questo fine, ben si

piegano le diverse modalità rappresentative della tecnica, quali l’uso

del colore o della prospettiva.

I

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La fotografia tra tecnica e arte

10

1. Breve storia della fotografia

Fin dall’antichità l’uomo dimostrò interesse per i fenomeni cui è

soggetta la luce ma fu solo alla fine del 1700 che l'inglese Thomas

Wedgwood riuscì a fissare le immagini prodotte dalla luce, anche se

in modo non stabile. Poco più tardi Joseph Nicephore Niepce si

interessò di questa scoperta e approfondì gli studi alla ricerca di una

sostanza che potesse impressionarsi alla luce in maniera esatta e

duratura. Egli condusse una serie di esperimenti che lo portarono in

primo luogo ad ottenere un’immagine al negativo, ed in seguito a

individuare la tecnica dell’eliografia, che permetteva di ottenere un

positivo dai colori stabili, seppure l’immagine risultasse irrealistica

a causa dello scarso controllo della luce.

Niepce incontrò a Parigi Louis Jacques Mandé Daguerre, un pittore

parigino di discreto successo, che in seguito alla loro collaborazione

mise a punto la dagherrotipia, con la quale ottenne risultati di

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Imago Mundi – Quaderno 3

11

grande pregio. L’invenzione fu accolta con toni entusiastici, poiché

vista come un mezzo per lo studio delle vedute da parte di artisti ed

incisori. Altri ricercatori che stavano lavorando nella stessa

direzione si interessarono alla scoperta di Daguerre: tra questi

William Fox Talbot, che rese noto di aver messo a punto un

procedimento dal quale risultava un positivo con un tempo di

dissoluzione abbastanza lungo; esso sarebbe poi stato migliorato da

Sir John Herschel, al quale si deve l’introduzione dei termini

fotografia, negativo e positivo.

Le prime fotografie destarono subito l'interesse e la meraviglia dei

curiosi che affollarono le sempre più frequenti dimostrazioni del

procedimento. I più rimanevano sbalorditi dalla fedeltà

dell'immagine e di come si potesse distinguere ogni minimo

particolare, altri paventavano un abbandono della pittura o una

drastica riduzione della sua pratica. Tale esito non si verificò, ma la

certamente la nascita della fotografia favorì e influenzò la nascita di

importanti movimenti pittorici, tra cui l'impressionismo, il cubismo

e il dadaismo.

Nonostante i successi incoraggianti, la fotografia incontrò

inizialmente dei problemi nel ritrarre figure umane a causa delle

lunghe esposizioni necessarie. Anche se illuminato da specchi che

concentravano la luce del sole, immobilizzato con supporti di legno

per impedire i movimenti, il soggetto doveva comunque sopportare

un’esposizione di almeno otto minuti (con il tempo ridotti a 30

secondi) per ottenere una fotografia in cui appariva con occhi chiusi

e un atteggiamento innaturale. Con il miglioramento delle tecniche,

la moda dei ritratti poté estendersi rapidamente a tutti i ceti sociali,

grazie all'economicità del procedimento. I soggetti erano ripresi

solitamente in studio, su di uno sfondo bianco, anche se numerosi

furono i fotografi itineranti, che si muovevano con le fiere e nei

piccoli villaggi. Il popolare formato a carte de visite fece nascere la

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La fotografia tra tecnica e arte

12

moda dell'album fotografico, in cui presero posto i ritratti di

famiglia e spesso anche di famosi personaggi dell'epoca. Le carte

de visite e tutte le immagini prodotte in tirature elevate risultavano

però di bassa qualità a causa della meccanizzazione

dell'inquadratura e dello sviluppo.

Alcuni laboratori imposero uno stile estetico più ricercato,

producendo ritratti più attenti al carattere del soggetto: tali

laboratori erano per lo più guidati da pittori, scultori o artisti

riconvertiti alla fotografia, che mantennero le tecniche delle arti

“maggiori” anche nel nuovo procedimento. La tecnica del ritocco,

da sempre discussa tra chi intende la fotografica come un

documento della realtà e chi la ritiene uno strumento flessibile per

migliorare o realizzare la visione artistica del fotografo, fu da subito

utilizzato nella ritrattistica, per ammorbidire i segni dell'età o per

cancellare le imperfezioni.

L'inizio del Novecento vide il rifiuto della fotografia come semplice

imitazione della pittura, a cui fece seguito l'abbandono di tutte

quelle tecniche che trasformavano l'immagine simulando i tratti del

pennello. Il nuovo corso propendeva verso la fotografia pura, intesa

come strumento estetico indipendente e fine a se stesso. Nella prima

metà del secolo scorso nacque negli Stati Uniti il movimento della

Straight photography, che invitava i fotografi a scendere nelle

strade della gente comune e della classe operaia, per ritrarre cantieri,

metropoli, cieli drammatici, alla ricerca della forma pura o ripetuta,

astratta, estetica comune al cubismo e ai nuovi movimenti artistici

derivati. La fotografia divenne inoltre lo strumento inseparabile del

viaggiatore e del giornalista, capace di divulgare gli eventi e i luoghi

meno accessibili alla massa.

L'impatto della fotografia sulla società fu enorme, tutto ciò che

prima doveva essere descritto adesso, poteva essere visto: luoghi

lontani, monumenti, opere d'arte, fatti. Grazie alla fotografia

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Imago Mundi – Quaderno 3

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diventava possibile isolare l'istante dal fluire del tempo e sottrarre

l’opera artistica alla sua “aura”, per renderla accessibile a tutti.

2. La fotografia come tecnica di raffigurazione oggettiva

Nell’indagare la rappresentazione fotografica del paesaggio, è

opportuno distinguere tra foto di ambienti naturali e paesaggi

urbani.

2.1 Il paesaggio urbano

Nel complesso ambiente di una città, la selettività della fotocamera

rappresenta un notevole vantaggio. Il paesaggio urbano offre infatti

una scelta infinita di soggetti, ma per ottenere una foto che possa

dirsi “riuscita”, occorre una semplificazione dell’immagine tramite

un’oculata scelta del punto di ripresa, della tecnica di esecuzione ed

una precisa attenzione per gli effetti luce.

Nella raffigurazione di un ambiente urbano occorre concentrarsi su

quanto esprime la vera natura del luogo, dalle movimentate arterie

del centro di una grande città alle viuzze di una cittadina di

provincia. La gente è parte integrante di un paesaggio almeno nella

stessa misura in cui lo sono i vari edifici rispetto ai quali funge anzi

come parametro dimensionale, contribuendo al colore e

all’atmosfera della foto. Le città, inoltre, presentano una gamma di

condizioni luminose più vasta di qualsiasi altro soggetto,

comprendendo tutte le più diverse accentuazioni della luce diurna e

di quella artificiale. La luce a mezzogiorno non è certo la migliore

per fotografare una città; la texture, la forma, i tipici particolari di

un vecchio edificio saranno meglio evidenziati dalla luce obliqua

del pomeriggio o del primo mattino; per le superfici con forte potere

riflettente, l’illuminazione ideale è quella dell’alba e/o del tramonto.

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La fotografia tra tecnica e arte

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Centro della città di Siena

2.2 Il paesaggio naturale

Di fronte alla bellezza e alla grandiosità della natura, si può cadere

nell’equivoco di credere che sia sufficiente, per ottenere una bella

foto, premere un pulsante. Non è però così immediato e naturale

rendere l’esatto equilibrio dei rapporti dimensionali e l’incessante

modificarsi del paesaggio che caratterizza gli scenari naturali. Prima

di scattare, anche nella ricerca di un’immagine oggettiva, il

fotografo deve studiare il soggetto, cercando quali siano quegli

elementi che lo caratterizzano e, al contempo, lo individuano. Una

pianura, per esempio, offre allo sguardo vuote distese e cieli

spaziosi; le scogliere e le montagne presentano variazioni

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Imago Mundi – Quaderno 3

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dimensionali e di forma a volte tanto improvvise da risultare

drammatiche; i terreni boscosi possono essere intricati o spogli.

È necessario dunque curare la composizione del soggetto al fine di

ottenere l’inquadratura più di ogni altra adatta a esprimere la

particolare essenza del luogo. Di maggior pregio artistico sarà la

foto che predilige tempi e condizioni di luce insoliti, atti a dare

maggiore intensità al paesaggio, per non scadere in un risultato

banale e scontato. Per esempio, un tempo di esposizione

relativamente lungo crea nel paesaggio un generale effetto di

diffusione della luce che accentua e delinea i singoli particolari.

L’insuccesso di una foto di paesaggio è in genere dovuto alla

presenza di un inutile numero di particolari che soffocano quelle che

possono definirsi le sue caratteristiche precipue. Occorre pertanto

saper operare drastiche scelte, forse persino limitandosi a riprendere

quei pochi dettagli che già da soli esprimono l’insieme. L’esatta

scelta dei rapporti dimensionali tra primo piano, piano centrale e

cielo, permette di mettere in risalto dettagli significativi, collocati in

posizione chiave nell’inquadratura.

La composizione può essere agevolata dall’inserimento nel

paesaggio di un elemento che possa fungere da parametro

dimensionale: la figura umana rappresenta sempre un forte polo di

attrazione, anche se li tratta molto in piccolo. Servirsi dunque di

essa crea o rafforza un punto focale per l’attenzione dell’osservatore

o per bilanciare altri elementi. Il controllo dell’esposizione e le

tecniche di messa a fuoco daranno forza a ogni composizione.

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La fotografia tra tecnica e arte

16

Il Golfo di Napoli, simbolo di paesaggio urbano e naturale

2.3 Applicazioni oggettive della fotografia

Tra i diversi campi in cui si riscontra un utilizzo oggettivo, ossia

puramente descrittivo o informativo, della fotografia, si possono

annoverare la topografia, le immagini destinate alla pubblicazione

su manuali e guide turistiche e le fotografie satellitari, di cui si

usufruisce anche nell’ambito delle previsioni meteo.

La topografia, studio e tecnica della riproduzione in scala sul piano

di una zona limitata della superficie terrestre, sfrutta l’arte

fotografica in quanto necessaria per una rappresentazione precisa e

puntuale di uno spazio geografico anche esteso, dai piccoli centri

abitati alle grandi metropoli. Inizialmente la tecnica sfruttata era

quella della fotografia aerea, mentre questa ora è stata soppiantata

dalla tecnologia satellitare. Le “occasioni” in cui questa

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Imago Mundi – Quaderno 3

17

applicazione viene sfruttata sono gli stradari, le mappe a livello

cittadino, regionale o nazionale.

Pianta topografica del centro archeologico della città di Roma

La fotografia satellitare permette di fornire una visione più generale

dello spazio, allargandosi a livello nazionale, continentale o globale.

Le finalità di tale tecnica sono di studio dello spazio stesso e, per

esempio, dei fenomeni climatici ed atmosferici a cui è soggetto: si

pensi alle immagini utilizzate nelle previsioni meteo. Gli scopi della

tecnica fotografica stessa non sono più quindi solo descrittivi o

informativi, ma si volgono anche a piegarsi alle necessità

dell’uomo, quali appunto le previsioni del tempo.

Page 18: IMAGO MUNDI

La fotografia tra tecnica e arte

18

Fotografia satellitare della penisola italiana

La fotografia è ampiamente utilizzata anche con scopi di

informazione turistica: la rappresentazione di paesaggi naturali,

urbani, con le loro chiese, monumenti, diviene necessaria nella

descrizione di un determinato luogo per supplire l’inefficacia della

parola con l’impatto visivo sicuramente dall’esito più diretto.

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Imago Mundi – Quaderno 3

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Colosseo, Roma

3. Funzione connotativa dell’arte fotografica

Anche solo osservando una fotografia scattata da un satellite o

un’immagine contenuta in una guida turistica, giusto per citare due

esempi di quella che possiamo considerare un’applicazione

oggettiva della tecnica, è difficile, se non quasi impossibile, porsi

dinnanzi ad esse e restare completamente esenti da un trasporto

emotivo. L’arte fotografica, infatti, riesce quasi sempre a

coinvolgere empaticamente l’osservatore: proprio per questo essa

gioca un ruolo di fondamentale importanza nella pubblicità o nel

cinema, dove l’inquadratura, il soggetto o le modalità di ripresa

sono fondamentali per la riuscita del prodotto.

Le molteplici tecniche fotografiche si rivelano versatili non solo

nella rappresentazione di contesti, ma anche delle emozioni che essi

portano con sé: ogni immagine è in effetti soggetta a una

molteplicità di chiavi di lettura che non ne permettono un’unica

interpretazione, una, per così dire, spiegazione che risulti per tutti

Page 20: IMAGO MUNDI

La fotografia tra tecnica e arte

20

valida e verificata, ma fanno in modo che ciascun osservatore possa

vedere in essa un parte di sé, del proprio vissuto. È così che entra in

gioco, grazie ai dati tecnici costituiti dalla prospettiva,

dall’inquadratura, dal colore o dal bianco e nero, un significato

connotativo, che rende i prodotti fotografici piacevoli alla fruizione

e, in molti casi, affini, per fruizione, a vere e proprie opere d’arte.

San Quirico d’Orcia, provincia di Siena

Si prenda ora in analisi un celebre piccolo bosco di cipressi, situato

nella Val d’Orcia, in provincia di Siena, spesso ritratto, da

professionisti,da fotografi in erba o da semplici turisti.

La composizione è semplice: il complesso di alberi è l’unico

elemento che rompe la linea continua delle colline, che presentano

un andamento pulito, lineare. Le condizioni atmosferiche e

meteorologiche favoriscono la netta demarcazione tra il verde

brillante del campo e l’azzurro tenue del cielo, mentre il soggetto,

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Imago Mundi – Quaderno 3

21

ritratto secondo una prospettiva frontale, rimane l’unico elemento

che può catturare l’attenzione dell’osservatore.

Possiamo notare come le stesse condizioni climatiche possano

modificare profondamente l’apparenza del paesaggio fotografato

che diventa, di conseguenza, espressione di una vasta gamma di

differenti sentimenti, in base al periodo dell’anno o della giornata in

cui è avvenuto lo scatto. Fotografare questo paesaggio con la neve,

la nebbia o al tramonto non darà certamente lo stesso impatto: il

paesaggio innevato susciterà emozioni di quiete, di serenità. Ma, a

dimostrazione della polisemia propria di un’immagine, la stessa foto

potrà far scaturire in qualche altro una sensazione di distacco,

generata dai colori pallidi e dal forte contrasto cromatico.

Il bosco di San Quirico d’Orcia innevato

Page 22: IMAGO MUNDI

La fotografia tra tecnica e arte

22

Il paesaggio nebbioso, che rende l’atmosfera estremamente

malinconica, suscita in chi osserva il paesaggio un sentimento di

tristezza e di dolore. La nebbia, infatti, avvolgendo ogni cosa, lascia

lo spettatore in una condizione di isolamento rispetto a tutto ciò che

lo circonda: la mente sembra svuotarsi e i pensieri paiono svanire,

così che le emozioni sembrano ancora più forti. Il bianco

avvolgente, che impedisce la visione nitida del soggetto,

paradossalmente fa sì che l’osservatore resti maggiormente

catturato, quasi trasportato nel mondo della sua intimità e delle sue

emozioni, che pare celarsi proprio dietro quella distesa bianca che

domina l’immagine.

Cipressi di San Quirico d’Orcia in una giornata nebbiosa

Page 23: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

23

La possibilità di vedere chiaramente il soggetto fotografato, invece,

fa sì che l’attenzione dell’osservatore si concentri sui dettagli, a

partire dai quali si genera una reazione empatica. Il paesaggio

fotografato al tramonto fa sì che i colori del cielo attirino

maggiormente lo sguardo dello spettatore, più coinvolto dallo

sfondo che dall’oggetto centrale dello scatto. L’accostamento

naturale di colori caldi suggerisce immancabilmente sensazioni

positive, che prescindono dal tipo di paesaggio circostante. È il cielo

l’elemento dominante della fotografia: tutte la forza dell’immagine

sembra scaturire dal sole che irradia tutto il cielo rendendolo carico

di una aggressività e di una passione, che arriva a illuminare anche

l’emotività dell’osservatore.

Cipressi di San Quirico d’Orcia al tramonto

Page 24: IMAGO MUNDI

La fotografia tra tecnica e arte

24

Anche la prevalenza di colori caldi o colori freddi nell'immagine, o

l'utilizzo del bianco e nero sono tecniche con cui si può ottenere

l’empatia dell’osservatore, facendo emergere, di volta in volta,

sensazioni ed emozioni sempre diverse. Nel caso dello scatto in

analisi, l'utilizzo della tecnica del bianco e nero, oltre ad eliminare

le “distrazioni” che potrebbero essere presenti in una

rappresentazione a colori dello stesso luogo, permette

all’osservatore di immergersi nell'alone del ricordo e della memoria,

indietro nel tempo, distaccandolo solo per un preziosissimo attimo

dalla realtà quotidiana e regalandogli così emozioni uniche. Sembra

che i cipressi si arricchiscano di una nuova dimensione: non sono

catturati nella loro staticità, nel singolo attimo, ma è come se, grazie

alla scelta del bianco e nero, venisse loro conferito un senso di

eternità.

Cipressi di San Quirico d’Orcia in una giornata nebbiosa

Page 25: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

25

Nel caso, invece, di una fotografia a colori, è necessario fare una

distinzione fondamentale: nell'immagine, infatti, possono figurare e

prevalere colori caldi oppure colori freddi: a seconda della

preponderanza di tonalità calde o fredde, si può notare come

l'atmosfera cambi completamente. Nel primo caso, infatti, l'intensità

del giallo della distesa intorno ai cipressi comunica sensazioni

positive e rassicuranti, che generano poi nell’osservatore armonia e

pace, di sicurezza e di tranquillità.

Cipressi di San Quirico D'Orcia in un'immagine in cui prevalgono colori

caldi

Page 26: IMAGO MUNDI

La fotografia tra tecnica e arte

26

Nel secondo caso, invece, l'osservatore sarà presumibilmente colto

da sensazioni di isolamento, di tristezza e di malinconia: il silenzio

diviene palpabile grazie alla freddezza di colori come il bianco o il

grigio, che trasmettono emozioni più negative, legate al distacco e

all'isolamento. Chi si pone davanti ad un'immagine in cui questi

sono i colori predominanti, non può fare altro che calarsi in una

dimensione di dolorosa riflessione personale. La fotografia non

sembra comunicare un senso di protezione all'osservatore, ma al

contrario sembra lasciarlo solo, inerme, dinnanzi alla grandezza e

alla maestosità del paesaggio rappresentato.

Cipressi di San Quirico D'Orcia in un'immagine in cui prevalgono colori

freddi

Page 27: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

27

Anche la luminosità e il contrasto sono elementi di importanza

rilevante per la connotazione di uno scatto fotografico: per esempio,

nella raffigurazione seguente, il contrasto esasperato esalta le

tonalità cromatiche e fa convergere l’attenzione dello spettatore al

centro dell’immagine, nel punto dove si incontrano le linee di forza

della stessa. Con questa tecnica, applicata anche a posteriori, ossia a

scatto compiuto, mediante fotoritocco, è possibile per il fotografo

decidere quale elemento valorizzare, dove indirizzare lo sguardo

dello spettatore, ottenendo un effetto cromatico quasi “da cartolina”.

Ripresa della prima fotografia presa in analisi con un’accentuazione del

contrasto

Page 28: IMAGO MUNDI

La fotografia tra tecnica e arte

28

Prendiamo infine in analisi una fotografia cui è stato applicato un

filtro seppia: essa ben si presta per una duplice osservazione sulla

tecnica adottata; in primo luogo la scelta del filtro color seppia, per

lo più applicato a scatto compiuto, svolge la funzione di modificare

nel complesso l’atmosfera, conferendole un alone di distacco, di

triste apatia; e ancora, la scala cromatica che si viene a creare, fa

nascere da questo paesaggio un effetto melanconico, attraverso la

sottolineatura chiaroscurale l’isolamento degli alberi. Il filtro seppia

presenta una curiosa ambivalenza, in quanto se nella

rappresentazione paesaggistica va a causare gli effetti sottolineati,

nella ritrattistica ottiene invece l’effetto opposto: i volti risultano più

solari, carezzati da una luce morbida, come quella di una vecchia

foto: con tutte le considerazioni fatte precedentemente in merito alla

scelta di scale cromatiche calde.

Applicazione di un filtro seppia

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Imago Mundi – Quaderno 3

29

IL PAESAGGIO NELL'ARTE

RINASCIMENTALE

Francesca Montemagno, Chiara Nesta

Studentesse della Classe II A – a.s. 2010-2011

Liceo Classico “A. Volta” – Como

Page 30: IMAGO MUNDI

Il paesaggio nell'arte rinascimentale

30

uesta ricerca si colloca, all’interno del progetto Imago Mundi

- La Terra vista dalla Terra, nell’ambito della

rappresentazione pittorica del paesaggio nell’arte

rinascimentale, con l’obiettivo di illustrare l’evoluzione della

raffigurazione del paesaggio grazie all’introduzione e allo sviluppo

della tecnica prospettica, da quella monoculare di Filippo

Brunelleschi a quella aerea di Leonardo daVinci.

Storia dell’evoluzione della prospettiva

Il Rinascimento è uno dei momenti più importanti per la

rappresentazione prospettica; in questo periodo artisti e matematici,

grazie alla messa a punto di regole precise per la rappresentazione

del reale codificate, cercano infatti di superare l’empirismo della

prospectiva communis medioevale, in studi sistematici. in cui il

termine prospectiva indica un metodo grafico per raffigurare

tridimensionalmente la profondità spaziale su un piano

bidimensionale. A tale rigorosa norma teorica, che tuttavia non

riproduce perfettamente la visione umana, la prassi artistica

cinquecentesca apporterà poi alcune variazioni,pur senza smentirne

la validità di fondo. Se da una parte te l’uso della prospettiva mira a

razionalizzare la ricostruzione della realtà, dall’altra la sua

applicazione conduce ad operare delle schematizzazioni:

l’integrazione armoniosa tra le esigenze di realismo e la tendenza

all’astrazione costituisce il portato più originale dell’arte

rinascimentale.

1. Filippo Brunelleschi e la prospettiva monoculare

Il primo ad occuparsi dello studio della prospettiva fu l’architetto

fiorentino Filippo Brunelleschi, che applicò alla rappresentazione

Q

Page 31: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

31

pittorica alcuni principi dell’ottica, studiati in genere in relazione

alle proprietà degli specchi. In armonia con il carattere tecnico -

pratico che qualifica la prima fase delle arti figurative

rinascimentali, il suo metodo venne elaborato a partire da

esperimenti ottici e non fu illustrato in un trattato, ma applicato in

due tavolette, ora perdute, che ritraevano due vedute urbane: piazza

della Signoria, con Palazzo Vecchio, e il Battistero di Firenze.

La tavoletta più antica, che rappresentava il Battistero, non doveva

esser guardata direttamente: lo spettatore, dal retro della tavola,

doveva accostare

l’occhio a un foro

passante che

corrispondeva al punto

centrico della

costruzione geometrica

e, attraverso di esso,

guardare l’immagine

riflessa in uno specchio

tenuto parallelo alla

tavola col braccio

libero. L’immagine era

realizzata su argento brunito, in modo tale che, attorno alla

raffigurazione dell’edificio, si rispecchiasse il cielo vero,

aumentando l’effetto illusorio di realtà.

La macchinosità di questo sistema ci aiuta a mettere a fuoco alcune

regole basi della nuova costruzione spaziale e, più in generale,

dell’uso quattrocentesco del mezzo prospettico. Nella tavoletta,

infatti, erano stabiliti, forzatamente, un punto di vista unico e fisso

(il foro) e una distanza (quella del braccio): è chiaro, quindi, che le

regole matematiche, strumenti supremi di oggettivazione, erano

applicate a partire da dati imposti soggettivamente dall’artista.

Page 32: IMAGO MUNDI

Il paesaggio nell'arte rinascimentale

32

È altrettanto evidente che la prospettiva lineare elaborata da

Brunelleschi non è affatto sovrapponibile alla visione fisiologica,

che si realizza grazie a due occhi in continuo movimento, ma è

piuttosto una costruzione intellettuale, in ogni caso assai felice,

perché coerente con l’idea quattrocentesca di un mondo ordinato

dall’uomo e rispondente alle esigenze stilistiche di unità e aderenza

al reale.

2. Leon Battista Alberti

Il sistema brunelleschiano, adottato con entusiasmo da Masaccio e

da Donatello, fu poi codificato dall’architetto e umanista Leon

Battista Alberti nel trattato De Pictura, scritto in latino nel 1435. In

questo testo egli espone

analiticamente un sistema di

riduzione prospettica, detto

“costruzione legittima”,

identifica l’imitazione della

realtà come suo scopo principale

e sottolinea il ruolo centrale

dell’uomo-ordinatore del

mondo, in quanto il dipinto

prospettico ne riprodurrebbe la

percezione oculare. Infine,

introduce la definizione del

dipinto come finestra affacciata

su uno spazio creato

artificialmente.

In un’opera impostata secondo la prospettiva geometrica, tutte le

linee ortogonali alla superficie della rappresentazione convergono

verso un unico punto di fuga ed è in corrispondenza di quest’ultimo

Esempio di prospettiva centrale a

punto di fuga unico e a più fuochi

Page 33: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

33

che deve preferibilmente porsi l’occhio dello spettatore. In questo

caso, per ottenere un effetto di profondità ottimale, il segmento che

unisce il punto di vista e il punto di fuga deve essere ortogonale alla

superficie del dipinto. La costruzione prospettica non si esaurisce

però con il delineare la convergenza delle parallele verso un punto

di fuga: è necessaria anche una scansione proporzionale in

profondità. Per raggiungerla agevolmente, Alberti suggerisce un

modo optimo, che esemplifica attraverso la costruzione esatta di un

pavimento a scacchiera. Nonostante questa codificazione, l’uso

della prospettiva non fu rigido: molti artisti sperimentarono

soluzioni diverse, per raggiungere specifici effetti espressivi o per

mettere alla prova le potenzialità del sistema.

3. Piero della Francesca

In seguito, altri grandissimi artisti del Rinascimento lasciarono

scritti sul tema; un esempio è Piero della Francesca, che completò

l’impianto teorico delle tecniche per la costruzione della prospettiva

nel De perspectiva pingendi, un trattato in lingua volgare composto

nel 1475. Egli era consapevole della necessità di riferire la

rappresentazione pittorica ad un organico e completo sistema di

leggi e procedimenti matematici; il pittore, più che chiedersi “cosa”

rappresentare, avrebbe dovuto occuparsi di “come” giungere ad una

rappresentazione verosimile e corretta.

Page 34: IMAGO MUNDI

Il paesaggio nell'arte rinascimentale

34

Nel De perspectiva pingendi, che costituisce il primo trattato

organico della prospettiva rinascimentale, la rappresentazione

figurativa viene riferita a un sistema di leggi e procedimenti

matematici che devono consentire una verosimile traduzione dello

spazio tridimensionale su un piano bidimensionale attraverso

opportune deformazioni prospettiche avvertite dall’occhio umano,

differentemente da quanto aveva detto Alberti, che aveva

concentrato la propria attenzione nel rappresentare sul piano del

dipinto figure sul piano del pavimento.

Opera emblematica di questo studio è la Flagellazione di Cristo, un

dipinto a tempera su tavola (di dimensioni piuttosto ridotte) che

Piero della Francesca realizzò probabilmente attorno al 1460 per la

corte di Urbino. Le scene rappresentate inducono a credere che il

quadro sia di notevoli dimensioni. Ciò accade perché il pittore

La flagellazione di Cristo

Page 35: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

35

riesce a rendere molto ampio lo spazio dipinto grazie alla

padronanza della prospettiva lineare.

Il senso della profondità è dato principalmente dall’edificio che

occupa la parte sinistra del quadro: le linee della pavimentazione,

degli edifici e delle cornici corrono tutte verso il punto di fuga, che

si trova molto vicino al centro del dipinto, a un terzo circa della sua

altezza (f.1).

La pavimentazione e il soffitto a riquadri hanno la funzione di

definire la profondità dello spazio dipinto e di renderlo perciò

misurabile. Le dimensioni delle piastrelle, che diminuiscono

progressivamente, permettono ad esempio di individuare le diverse

grandezze delle figure e di calcolare le esatte proporzioni tra

architettura e personaggi. Grazie alla prospettiva, quindi, le figure

poste in lontananza assumono dimensioni più piccole,

rigorosamente corrette rispetto sia a quelle in primo piano, sia a

quelle degli edifici, delle

porte e delle colonne con cui

sono in stretto rapporto.

Le due scene sono nettamente

separate dalla notevole

differenza tra le dimensioni

delle tre figure poste in primo

piano e quelle delle figure

poste in lontananza, oltre che

dalla colonna, che suddivide

in due rettangoli aurei la

superficie del dipinto.

Nella sezione aurea di un segmento, il segmento intero sta al

segmento maggiore come quest’ultimo sta al segmento minore: in

questo caso, se AB è la lunghezza del dipinto e C è il punto in cui

passa l’asse della colonna, il rapporto aureo si esprime nella

f.1 Lo schema grafico riporta il punto

di fuga, le linee prospettiche e gli assi

di simmetria della figure.

Page 36: IMAGO MUNDI

Il paesaggio nell'arte rinascimentale

36

proporzione AB : AC = AC : CB. I rettangoli con base AC e CB

sono dunque diversi, ma stanno tra loro in rapporto aureo. Grazie a

tale proporzione la composizione pittorica esprime un perfetto

equilibrio, senza ricorrere al sistema della simmetria. Inoltre, nelle

due scene, la luce proviene da direzioni differenti: da destra quella

della scena della flagellazione, da sinistra quella della scena in

primo piano. Le due parti del dipinto sono però visivamente unite

dal comune impianto prospettico.

4. Leonardo da Vinci e la prospettiva aerea

Alla fine del Quattrocento, Leonardo da Vinci si occupò attivamente

delle problematiche della rappresentazione spaziale degli oggetti,

con notazioni e dimostrazioni sparse nei suoi manoscritti. La sua

ricerca di un linguaggio espressivo autenticamente pittorico era del

tutto in sintonia con l’uso delle tecniche razionali di

rappresentazione dello spazio.

È opportuno sottolineare il differente modo di considerare il

problema da parte di Leonardo rispetto agli artisti delle generazioni

precedenti: mentre l'Alberti, considerando le relazioni fra immagine

e oggetto reale, pone l'attenzione su rapporti di proporzionalità,

Leonardo più sinteticamente mette a fuoco la similitudine, una delle

proprietà che sarà fondamentale nello stimolare i successivi sviluppi

di ordine teorico, e con la mentalità dello scienziato dice anche:

"Prospettiva non è altro che sapere bene figurare lo ufizio

dell'occhio".

Leonardo si rese conto che, poiché l’immagine fisiologica si proietta

su una retina curva, gli oggetti alle estremità del campo visivo

tendono ad apparire più piccoli (aberrazioni marginali), cosa che

non avviene nella riproduzione sul piano pittorico, e che lo spessore

Page 37: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

37

dell’atmosfera che si interpone tra oggetti e spettatore comporta

variazioni nei colori (prospettiva aerea).

Nella prospettiva aerea, con l'aumentare della distanza dal punto di

osservazione, i contorni divengono più sfumati, i colori sempre

meno nitidi e la loro gamma tendente verso l'azzurro. Leonardo, di

conseguenza, nella sua pittura rende gli oggetti con colori sempre

più sfumati in funzione della loro distanza, rendendo più nitidi

quelli in primo piano. Egli distingue poi una "prospettiva aerea"

propriamente detta, in cui si applica lo sfumato a seconda della

distanza degli oggetti raffigurati, da una "prospettiva del colore" che

invece teorizza il cambiamento del colore delle cose in ragione della

loro lontananza. Secondo gli studi di ottica di Leonardo, inoltre,

l'aria è più densa quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più

trasparente con l'altezza. Quindi soprattutto gli elementi di

paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono

più nitidi nelle parti più alte.

La Gioconda

La prospettiva aerea è efficacemente applicata in uno dei quadri più

La Gioconda

Page 38: IMAGO MUNDI

Il paesaggio nell'arte rinascimentale

38

celebri di Leonardo, la Gioconda, detta anche Monna Lisa.

Appaiono molto nitidi e definiti i dettagli in primo piano, come le

pieghe delle maniche e del vestito, il ricamo lungo la scollatura, il

sottile velo che tiene fermi i lunghi capelli mossi, le mani adagiate

in grembo. Il paesaggio sullo sfondo, invece, all’aumentare della

distanza dal punto di osservazione, risulta sempre più sfumato, con

contorni progressivamente meno nitidi e colori tendenti al verde e

all’azzurro.

Bibliografia

Carlo Bertelli, 2010, vol.3, La Storia dell’Arte – Dal Rinascimento

all’età della Controriforma, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori,

Milano - Torino

E. Tornaghi, 2010, La forza dell’immagine e il linguaggio dell’arte,

2^ edizione, Edizioni Loescher, Torino

Sitografia

http://www.istitutomaserati.it/prospettiva/index.html

http://approfondimentidarte.forumfree.it/?t=44020270

http://it.wikipedia.org/wiki/Prospettiva#Primo_Rinascimento

http://it.wikipedia.org/wiki/Flagellazione_di_Cristo_(Piero_della_Fr

ancesca)

http://it.wikipedia.org/wiki/Doppio_ritratto_dei_duchi_di_Urbino

http://it.wikipedia.org/wiki/Prospettiva_aerea

http://it.wikipedia.org/wiki/Gioconda

Page 39: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

39

LA SICILIA, TRA LOCUS AMOENUS E

DISSESTO

Ambrogio Gagliano, Monica Rossi

Studenti della Classe II A – a.s. 2010-2011

Liceo Classico “A.Volta” – Como

in dal III sec. a.C. il poeta greco Teocrito, nei suoi Idilli e

Epigrammi, individuava nella Sicilia l’ideale di ambiente

bucolico, dove pace e serenità consentivano all’uomo di

condurre un’esistenza priva di ogni sorta di turbamento e di

dedicarsi alla riflessione e alla poesia, in assoluta armonia con la

natura. Anche oggi la letteratura pone al lettore un analogo scenario:

basti pensare alla Sicilia di Camilleri, soprattutto nei romanzi che

hanno per protagonista il commissario Montalbano, in cui essa si

rivela ancora incantevole, quasi per nulla contaminata dalla mano

umana. Tale visione certamente stride a contatto con i molti casi di

abusivismo edilizio, spesso dovuti all'influenza eterogenea della

mafia sul territorio e a un intervento umano scisso da qualsivoglia

rispetto ambientale e determinato da soli interessi economici.

Colpiti da questo scarto, nell’ambito del progetto Imago Mundi,

dedicato all’approfondimento del tema “La Terra vista dalla Terra”,

ci siamo proposti di condurre uno studio di caso applicato alla

Sicilia A tal proposito ci siamo serviti di opere artistiche e di notizie

di cronaca, da cui è emerso un profondo contrasto tra l’immaginario

collettivo e la reale condizione ambientale che interessa alcune zone

della regione sicula, soprattutto a causa della radicata presenza del

fenomeno mafioso.

Abbiamo così preso in esame due emblematici fatti di cronaca:

l'installazione di pale eoliche nel territorio della Valle di Mazara, in

F

Page 40: IMAGO MUNDI

La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

40

particolare nel comune di Salemi, e l'abusivismo edilizio che

interessa la zona di Agrigento. A questi casi abbiamo associato e, in

un certo senso, contrapposto alcune immagini letterarie o pittoriche

che rendessero l'antitesi, che oggi interessa solo alcune zone della

Sicilia, ma che in futuro potrebbe dar vita a una realtà dalla quale

sarà impossibile affrancarsi: Vento a Tindari di Salvatore

Quasimodo e Luce del sud, di Antonino Cammarata.

1. Sicilia e abusivismo

La prima sezione della nostra analisi concerne una delle più tristi

realtà dell'isola: l'abusivismo edilizio. Il fenomeno riguarda ampie

zone della regione, dall'entroterra alla costa, e intacca luoghi che

rappresentano un patrimonio tra i più suggestivi al mondo. Il

cemento ricopre il paesaggio naturale, seguendo gli interessi

economici di una delle più problematiche piaghe nazionali, la mafia,

nel silenzio e talvolta nell'assoluto consenso delle autorità.

1.1 Abusivismo edilizio in Sicilia: la Valle dei Templi di

Agrigento

In Sicilia, come in altre regioni italiane, l’abusivismo edilizio è stato

a lungo considerato un fenomeno “normale”, finalizzato al

raggiungimento del benessere soprattutto negli anni del boom

economico, approvato da una classe politica compiacente, nonché

sovente legata alla criminalità di stampo mafioso.

Il caso più celebre è forse quello della Valle dei Templi, in cui il

fenomeno del “mattone selvaggio” non solo infrange la legge, ma

va a intaccare un inestimabile patrimonio storico artistico. Tale

vicenda, nata attorno agli anni ’60, si protrae fino a oggi in un

continuo susseguirsi di condoni, espropri e demolizioni mai attuate

che avvengono in un ambiente non privo di un’adeguata e specifica

Page 41: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

41

normativa urbanistica. Importanti, nella ricostruzione del caso, gli

avvenimenti del 19 Luglio 1966, in cui una frana provocata

dall’accumulo di oltre 850.000 metri quadrati di edifici abusivi,

mise in luce la speculazione edilizia di un’amministrazione che non

solo aveva trascurato le voci di coloro che lamentavano il mancato

rispetto per il patrimonio culturale della zona, ma aveva anche

ignorato gli allarmi lanciati da tecnici ed esperti a proposito del

rischio di frane. Tale episodio ebbe come immediata conseguenza

l’emanazione del decreto Gui-Mancini, attraverso cui venne

vincolata un’area di 1200-1300 ettari, la cosiddetta zona A, di

maggior pregio archeologico, dichiarata assolutamente non

edificabile, oltre ad un ordine di demolizione di 468 edifici, che

però non venne mai eseguita. Al decreto, percepito dall’opinione

pubblica come una sorta di azione punitiva nei confronti della città,

seguirono varie proteste per le quali l’area delimitata sarebbe stata

eccessivamente estesa e ben più ampia della comune concezione

topografica della Valle e numerosi tentativi di restringimento della

suddetta area. L’aspettativa del ridimensionamento dei confini della

fascia di tutela assoluta giunse al culmine nel piano regolatore

generale adottato dal Comune nel 1978, che escludeva dal vincolo

tutte le principali contrade dove si era dispiegata l’edificazione

abusiva: dall’anno dell’adozione del piano alla data della sua

approvazione, nella versione riveduta (1982), nella zona A venne

realizzato il 31,5% delle opere denunciate; l’attesa nutrita per anni,

che aveva portato all’impennata delle costruzioni, subì un duro

colpo in quanto quella parte del territorio è esclusa dal condono, e si

smette di edificare abusivamente. Al 1985 risale la legge-sanatoria

che esclude però ancora dal beneficio le opere realizzate nella zona

A, dove l’abusivismo sembra scomparire, mentre continua

imperterrito nel resto della città.

Page 42: IMAGO MUNDI

La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

42

I primi decreti di demolizione, risalenti al 1980, non ebbero alcuna

conseguenza concreta. Nel 1988 si contavano 2.000 costruzioni

abusive di cui 500 nella zona A , mentre l’intervento

dell’amministrazione comunale procedette con l’ulteriore

restringimento dei limiti imposti dal tanto discusso decreto al fine di

sanare parte degli abusi: vennero espropriati 400 ettari, ma il

progetto formulato, che prevedeva un’ulteriore espropriazione di

300 ettari per un totale di 700 su 1200 nonché la demolizione

dell’intera zona A sulla quale costruire il parco archeologico, non

venne mai portato a termine. Il numero degli edifici costruiti salì

con il passare degli anni: nel 1991 se ne contavano 600 all’interno

della zona di assoluta inedificabilità e oltre 1500 in quella con

vincolo di inedificabilità limitata. Nel 1993 salirono rispettivamente

a 650 e 2000. Il fenomeno si protrae negli anni tra i movimenti di

protesta degli abusivi e l’indifferenza della classe politica,

perfettamente rappresentata dall’atteggiamento qualunquista del

sindaco Calogero Sodano, che in un’intervista del 1996, riferendosi

ad alcune fotografie, prova tangibile dell’esistenza del problema,

dichiarò che si trattava di un’ “illusione ottica” sulla quale i

giornalisti avrebbero costruito un caso inesistente.

Nello stesso anno il ritiro improvviso della ditta vincitrice

dell’appalto per la demolizione, pur creando numerosi sospetti,

vanificò nuovamente l’intento di ristabilire l’ordine, oltre ad

accrescere ulteriormente l’entità del problema; nel 1996 le case

nella zona A arrivarono infatti a 700. Il 21 Marzo 2001, una ruspa

demolì alcuni edifici, provocando presso l’opinione pubblica un

vortice di proteste che culminarono nel 2002 con l’esplosione di una

bomba sotto il tempio della Concordia, a seguito della firma di 300

atti di esproprio.

Negli ultimi anni sono stati attuati ulteriori interventi, sempre meno

efficaci: i territori in questione vengono sempre più spesso venduti e

Page 43: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

43

lottizzati al fine di evitare espropri e demolizioni, anche attraverso

l’appello delle famiglie che occupano gli edifici. A questo proposito

è rilevante notare che le statistiche di Legambiente sottolineano

come la natura del fenomeno non sia “di necessità”: i dati provano

infatti che l’abusivismo in zona A è per circa il 60% realizzato a fini

famigliari non riconducibili a necessità di abitazione e che si tratta

perlopiù di seconde case, come tali escluse da qualunque sanatoria

in base alla legge sul condono edilizio dell’85. Queste dimore

appartengono per lo più a famiglie di estrazione borghese, sono

disabitate nei mesi invernali e spesso non sono allacciate alle reti

idrica ed elettrica. Il fenomeno non trova quindi alcuna

giustificazione nella richiesta di abitazioni da parte di famiglie di

bassa estrazione sociale, ma risulta perlopiù identificarsi con la

speculazione, attività spesso criminale perché connessa alla mafia. I

benefici economici di tale fenomeno sono evidenti: la costruzione di

una casa abusiva costa la metà di quanto non costerebbe se venisse

effettuata nella legalità dal momento che non si paga l’onere di

concessione al comune e la retribuzione degli operai non prevede il

versamento dei contributi; tutti questi elementi contribuiscono al

giudizio di condanna dell’abusivismo che, oltre a trasgredire

numerose norme spesso di carattere burocratico, va a danneggiare

nel caso specifico, un incredibile patrimonio storico, di grande

bellezza e rarità.

Page 44: IMAGO MUNDI

La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

44

1.2 Mafia ed energie rinnovabili: Salemi

Nel cuore della Valle del Belice, tra vigne e appezzamenti coltivati,

sorge Salemi, piccolo comune del trapanese, protagonista di uno

degli esempi più espliciti di violenza ambientale.

Proclamata prima capitale dell'Italia Unita, se pur per breve tempo,

dallo stesso Garibaldi nel momento del suo sbarco in Sicilia, Salemi

per secoli ha goduto di un sonno profondo, tra vigneti e colline

verdeggianti, come se l'uomo fosse arrivato in punta di piedi e in

punta di piedi vi fosse rimasto. A risvegliare il piccolo comune i

lavori di installazione di pale eoliche, giganti che costellano,

immobili, il paesaggio. Immobili, perché nella zona in cui le pale

sono state impiantate non vi è vento. A lanciare l'allarme dell'

inquinamento paesaggistico, fu Vittorio Sgarbi, sindaco del paese, il

quale, nel 2008, si oppose con forza all'installazione di pale eoliche

nella valle di Mazara.

Egli paragonò l’iniziativa a uno "stupro della campagna", definendo

i parchi eolici della valle di Mazara, in quanto contrari all'articolo 9

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Imago Mundi – Quaderno 3

45

della Costituzione italiana: "La Repubblica promuove lo sviluppo

della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il

patrimonio artistico della Nazione". Fu Sgarbi stesso ad organizzare

a Salemi una conferenza sul tema "La minaccia all'integrità del

paesaggio e le energie rinnovabili", a cui prese parte lo scienziato

Vladimir Kutcherov, il quale espose la sua teoria secondo la quale il

petrolio è presente, sul pianeta, in quantità inesauribili e, per questa

ragione, piuttosto che deturpare il paesaggio con mostri di ferro,

sarebbe più opportuno verificarne la disponibilità nel territorio

siculo. In effetti la violenza subita dal territorio di Salemi per

l'installazione dei giganti immobili ha avuto importanti ripercussioni

sull'economia del paese, tanto che molti viticoltori e agricoltori

della zona, dovettero adeguarsi alle nuove condizioni territoriali,

senza contare i numerosi danni alle strade, mai rimesse in sesto, le

colline tagliate per consentire i lavori e la perdita di attrattiva

turistica del territorio, con borghi medievali all'ombra di mostri di

ferro.

A lasciare ancora più indignati è l'impossibilità dell’uso dell'energia

elettrica ottenuta dalle pale eoliche - qualora queste dovessero

funzionare - perché la società Terna, ente nazionale che si occupa

della distribuzione dell'energia, ha affermato che essa, assieme al

restante surplus di energia elettrica prodotta attualmente in Sicilia,

verrebbe convogliata verso l'Italia continentale attraverso un cavo

sottomarino. A che cosa, ma soprattutto, a chi servono dunque

queste pale eoliche? Perché, se il minimo di ore di vento per

l'installazione legale delle pale eoliche è di 2700 ore annue, questi

campi eolici sono stati realizzati a Salemi, dove il vento soffia in

media per 2200? Cosa c'è dietro questo folle progetto di

deturpazione del paesaggio? Ancora la mafia. I fondi stanziati dallo

stato italiano per le forme di energia alternativa sono molto ampi e

la mafia ne fa una fonte di guadagno "legale". Lo stesso sindaco del

Page 46: IMAGO MUNDI

La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

46

paese si è visto minacciato dall'associazione mafiosa dopo la

denuncia del 2009, in seguito alla quale le indagini hanno portato al

sequestro di diverse pale eoliche e all'arresto di mafiosi e

imprenditori coinvolti, tra cui Melchiorre Saladino, uno dei più

influenti cittadini di Salemi e un personaggio di spicco

dell'organizzazione mafiosa siciliana.

2. Il paesaggio siciliano nella letteratura

Fin dall’antichità, la trasposizione letteraria del paesaggio ha

permesso all’uomo di immortalarne e esaltarne la bellezza. Così,

Teocrito, nel IV-III sec. a. C., e Camilleri ai giorni nostri hanno

rappresentato la Sicilia nei suoi tratti più naturali e selvaggi,

collaborando all’identificazione, nell’immaginario comune, del

territorio siciliano con il locus amoenus per eccellenza.

2.1 Teocrito e il paesaggio di Sicilia

Nato a Siracusa e ritenuto l’inventore della poesia bucolica, il poeta

ellenistico Teocrito sviluppò un realismo nella descrizione e

un'autenticità dei personaggi ignoti fino a quel momento. Da alcuni

testi attribuiti al poeta siciliano è evidente come egli, nella

descrizione del locus amoenus, tragga spunto dalla Trinacria reale,

che può essere considerata la sua musa ispiratrice.

Un primo esempio è costituito dal famoso idillio Licida o Le

Talisie, il cui tema principale è l'investitura poetica di Teocrito al

genere bucolico, sulla scia di Esiodo. In esso il poeta fornisce una

descrizione della natura siciliana, ricca di odori e colori, assunto a

simbolo dell'atarassia e del piacere disinteressato della poesia:

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Imago Mundi – Quaderno 3

47

In gran numero a noi sul capo stormivano

pioppi e olmi; e da presso risuonava

la sacra acqua sgorgante dall'antro delle Ninfe.

Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole

frinivano senza riposo, e l'usignolo

gorgheggiava lontano, nei fitti spini dei rovi.

Cantavano le allodole e i cardellini, gemeva la tortora,

volteggiavano intorno alle fonti le bionde api.

Dappertutto un profumo di pingue raccolto,

dappertutto un profumo di frutti.

Pere ai nostri piedi, ai nostri fianchi mele

in grandi quantità rotolavano, e si piegavano

i rami carichi di susine fino a terra; (...)

L'estratto (vv. 135-146) offre un ridente quadro naturale: sono

presenti gli elementi tipici del locus amoenus, quali l'ombra, ai piedi

dei pioppi e degli olmi, e l'acqua, che sgorga da una fonte sacra alle

Ninfe. A questi si aggiungono elementi animali, quali le cicale e

l'usignolo, simboli dell'arte del canto, insieme alle allodole e ai

cardellini. Altro animale menzionato è l'ape, protagonista di

numerose opere di stampo rurale, bucolico e georgico. Teocrito fa

riferimento, inoltre, all'abbondanza di frutti della terra, quali pere,

mele e susine, che contribuiscono a ritrarre una nuova età dell'oro. Il

quadro descritto mostra un ambiente pacifico e idilliaco, che

consente al poeta di immergersi in se stesso e di esprimere la

propria interiorità mediante il canto.

Anche i versi 5-19 dell'epigramma IV forniscono un'accurata

descrizione paesaggistica, in cui elementi naturali, massima

espressione di armonia e pace, sono contrapposti al canto d'amore

del poeta, dai toni melanconici e quasi elegiaci:

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La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

48

Un sacro recinto si propaga tutt'intorno, e un ruscello

perenne, scorrendo dalle rocce, è adorno da ogni parte

di lauri e di mirti e di un cipresso profumato:

là una vite, madre di grappoli, si distende intorno

con le sue volute; a primavera i merli con accenti melodiosi

fanno riecheggiare canti gorgheggianti,

e gli usignoli canterini rispondono con i loro cinguettii,

effondendo la voce dolce come miele.

Là fermati, e prega il bel Priapo

ch'io smetta di desiderare Dafni,

e subito gl'immolerò un bel capretto. Ma se rifiuta,

e io ottengo l'amore di costui, voglio fare un triplo sacrificio:

una giovenca, un irsuto caprone, e un agnellino

che ho nell'ovile. Mi ascolti Priapo con favore.

2.2 La Sicilia dell’immaginario tra Vigàta e Montelusa

Esistono luoghi della Sicilia che anche la letteratura moderna ha

consacrato, imprigionandone il fascino e perpetuandolo

nell’immaginario comune, rendendoli sfondo di romanzi e, qualche

volta, addirittura protagonisti delle storie narrate.

Questi luoghi, in particolar modo nelle pagine dello scrittore Andrea

Camilleri, sceneggiatore e regista italiano nato a Porto Empedocle

nel 1925, vibrano di una grande vitalità, al punto che, per molti

lettori Vigàta (Porto Empedocle) e Montelusa (Agrigento) sono

oramai divenuti oggetto di vero e proprio amore. La Sicilia di

Camilleri è quella del suo immaginario, legata ai ricordi della

giovinezza di inizio secolo, che oggi appare surreale e solo

vagamente connessa alla Sicilia reale, soprattutto a causa delle

modifiche al territorio attuate per sviluppare il turismo balneare.

Page 49: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

49

L’ambiente che il commissario Salvo Montalbano, protagonista di

molti romanzi di Camilleri, ama di più è quello aspro, arido, brullo

dell’antica Sicilia occidentale, affascinante e tranquillo, fonte di

solitaria ispirazione e talvolta addirittura capace di suggerirgli

importanti intuizioni legate alle sue indagini; questo amore è

esplicitato dall’autore ne La forma dell’acqua:

Quella però era la Sicilia che piaceva al commissario,

aspra, di scarso verde, sulla quale pareva (ed era)

impossibile campare e dove ancora c’era qualcuno, ma

sempre più raro, con gambali, coppola e fucile in spalla,

che lo salutava da sopra la mula portandosi due dita alla

pampèra.

Il romanzo La gita a Tìndari suggerisce la tendenza del protagonista

ad isolarsi, appena possibile, all’esterno della realtà cittadina per

immergersi nella natura della campagna siciliana, che costituisce lo

sfondo perfetto per le solitarie riflessioni del commissario. In

particolare i suoi pensieri sono stimolati dalle fronde di un antico

ulivo saraceno, pianta tipica della macchia mediterranea, che,

attraverso l’articolazione dei suoi rami, pare volergli ricordare

l’intricatezza delle indagini sulle quali sta lavorando:

C’era proprio a mezza strata tra i due paìsi, un viottolo

di campagna, ammucciato darrè a un cartellone

pubblicitario, che portava a una casuzza rustica

dirupata, allato aveva un enorme ulivo saraceno che la

sua para di centinara d’anni sicuram ente li teneva.

Pareva un àrbolo finto, di teatro, nisciùto dalla fantasia

di un Gustavo Doré, una possibile illustrazione per

l’Inferno dantesco. I rami più bassi strisciavano e si

contorcevano terra terra, rami che, per quanto

tentassero, non ce la facevano a isarsi verso il cielo e

che a un certo punto del loro avanzare se la ripinsavano

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La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

50

e decidevano di tornare narrè verso il tronco facendo

una specie di curva a gomito o, in certi casi, un vero e

proprio nodo. Poco doppo però cangiavano idea e

tornavano indietro, come scantati alla vista del tronco

potente, ma spirtusato, abbrusciato, arrugato dagli

anni. E, nel tornare narrè, i rami seguivano una

direzione diversa dalla precedente. Erano in tutto simili

a scorsoni, pitoni, boa, anaconda di colpo

metamorfosizzati in rami d’ulivo. Parevano disperarsi,

addannarsi per quella marìa che li aveva congelati,

«canditi», avrebbe detto Montale, in un’eternità di

tragica fuga impossibile. I rami mezzani, toccata sì e no

una metrata di lunghezza, di subito venivano pigliati dal

dubbio se dirigersi verso l’altro o se puntare alla terra

per ricongiungersi con le radici.

Taliato da sotto, da questa nuova prospettiva, l’ulivo

gli parse più grande e più intricato. Vide la

complessità di ramature che non aveva prima potuto

vedere standoci dintra. […]

Per una

mezzorata se ne

stette a panza

all’aria, senza

mai staccare lo

sguardo

dall’dall‘. E più

lo taliava, più

l’ulivo gli si

spiegava, gli

contava come il

gioco del tempo

l’avesse

intortato,

lacerato, come

l’acqua e il vento l’avessero anno appresso anno

obbligato a pigliare quella forma che non era

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Imago Mundi – Quaderno 3

51

capriccio o caso, ma conseguenza di necessità.

L’occhio gli si fissò su tre grossi rami che per breve

tratto procedevano quasi paralleli, prima che ognuno

si lanciasse in una sua personale fantasia di zigzag

improvvisi, ritorni narrè, avanzamenti di lato,

deviazioni, arabeschi. Uno dei tre, quello centrale,

appariva leggermente più basso rispetto agli altri due,

ma con i suoi storti rametti s’aggrappava ai due rami

soprastanti, quasi li volesse tenere legati a sé per tutto

il tratto che aveva in comune.

I luoghi di Montalbano dal 2001 sono stati oggetto di una

trasposizione televisiva, in seguito alla creazione della serie tv

dedicata alle indagini del celebre commissario. Nella scelta

paesaggistica sono state apportate variazioni significative rispetto

all’originale versione letteraria: al ringiovanimento fisico del

protagonista corrisponde un adattamento alle esigenze di un

pubblico moderno, nonché più vasto, che passa attraverso la scelta

di un paesaggio a misura d’audience, meno bucolico e poetico, ma

di maggiore impatto visivo: il set è, infatti, collocato nei pressi di

Ragusa, nella zona orientale della Sicilia, e avvicina lo sfondo della

serie allo stereotipo “da cartolina”, alimentando la tendenza, già

presente nella versione letteraria, ad una caratterizzazione idilliaca

della regione. I due paesaggi, entrambi carichi di attrattiva, sono

entrati a far parte, ciascuno con le sue peculiarità, dell’immaginario

degli italiani: la parte orientale della Sicilia risulta più direttamente

apprezzabile dal grande pubblico, più turistica perché

corrispondente all’immagine del luogo di villeggiatura, proprio per

questo si distingue dall’isola amata e descritta da Camilleri per

mezzo della figura di Montalbano, che è invece più grezza,

selvaggia, ancora priva dell’intervento invasivo dell’uomo.

Attorno alla figura del commissario quindi gravitano due diversi,

quasi opposti paesaggi dell’universo siciliano, due immagini

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La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

52

completamente differenti, dirette a due diverse tipologie di

pubblico, che contribuiscono in egual misura a fornire

nell’immaginario comune l’idea dell’idillio, essendo ciascuna

portatrice del proprio peculiare fascino: da una parte l’autentico

ambiente camilleriano, brullo e primitivo, sfondo di solitaria

contemplazione, dall’altra il meraviglioso luogo di mare,

accattivante per la sua immediata bellezza ma più chiassoso e

artificiale.

2.3 Poesia e paesaggio: la Sicilia

La stessa malinconica nostalgia che prova Camilleri nei confronti

della terra natia, teatro della sua giovinezza, appare nella poesia di

Quasimodo Vento a Tìndari. Il poeta, nato a Modica nel 1901,

condivide con Camilleri le origini siciliane e spartisce con lui il

ruolo di divulgatore di un’immagine ideale della Sicilia.

VENTO A TINDARI

Tindari, mite ti so

Fra larghi colli pensile sull’acque

Delle isole dolci del dio,

oggi m’assali

e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,

assorto al vento dei pini,

e la brigata che lieve m’accompagna

s’allontana nell’aria,

onda di suoni e amore,

e tu mi prendi

da cui male mi trassi

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Imago Mundi – Quaderno 3

53

e paure d’ombre e di silenzi,

rifugi di dolcezze un tempo assidue

e morte d’anima

A te ignota è la terra

Ove ogni giorno affondo

E segrete sillabe nutro:

altra luce ti sfoglia sopra i vetri

nella veste notturna,

e gioia non mia riposa

sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,

e la ricerca che chiudevo in te

d’armonia oggi si muta

in ansia precoce di morire;

e ogni amore è schermo alla tristezza,

tacito passo al buio

dove mi hai posto

amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;

soave amico mi desta

che mi sporga nel cielo da una rupe

e io fingo timore a chi non sa

che vento profondo m’ha cercato.

Il tema centrale della poesia, tratta dalla raccolta Acqua e terre del

1930, si sviluppa intorno all’evocazione della mitica Sicilia, evocata

dall’io lirico in una dimensione quasi onirica. Essa si pone in

contrasto con la condizione del presente che ha come sfondo

l’ambiente cittadino freddo e alienante: il rimpianto della Sicilia si

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La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

54

unisce, dunque, alla nostalgia per l’infanzia ormai trascorsa,

amplificata dall’esistenza piena di tristezza che il poeta conduce in

un’altra città. L’autore nei primi versi della poesia invoca Tindari,

piccola frazione nella provincia di Messina, teatro della sua

giovinezza, e ne canta le bellezze paesaggistiche: in particolare il

verso 2 fa riferimento alla morfologia del luogo, caratterizzata

dall’articolazione in diverse collinette digradanti che si gettano in

mare formando appunto capo Tindari. La piccola cittadina viene

esaltata nei suoi tratti peculiari, che la dipingono come un luogo di

estrema tranquillità e bellezza. L’espressione “pensile sull’acque”,

sempre nel secondo verso, richiama alla mente i laghetti di

Marinello, specchi d'acqua di mare poco profondi generati

dall'insinuarsi del mare nella baia. Il poeta con la mente sembra

figurarsi mentre sale sulla sommità dell’omonimo capo, dove venne

fondata l’antica colonia greca Tyndaris, e poi nell’atto di

contemplare l’alta collina che scende verso il mare, immerso nella

tipica naturalità dei pini marittimi, toccati unicamente dal vento ma

salvi dalla mano umana.

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Imago Mundi – Quaderno 3

55

3. Pittura e poesia: la Sicilia

Nell'ambito dello studio del paesaggio siciliano, ci è sembrato infine

utile analizzare come questo sia stato interpretato in campo artistico,

dove trova ancora spazio la sua natura idilliaca, anche se lontana

dalla realtà del territorio.

3.1 Pittura e paesaggio: la Sicilia

Luce del Sud

Ciò che certamente colpisce, a prima vista, l'occhio dello spettatore

sono i colori, tipici di Antonino Cammarata, nato ad Augusta nel

1962, dove tuttora vive e lavora. La sua esperienza di pittore

comincia nel 1985, quando, attirato dalla magia del paesaggio della

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La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto

56

sua Sicilia, decise di rappresentarlo. I colori accesi e quanto mai

reali, permettono al pittore siciliano di rappresentare un luogo non

definito nel tempo e nello spazio, ma nel quale sono presenti tutti gli

elementi del paesaggio di Sicilia. Il locus amoenus qui appare

inviolato, massima espressione di pace e bellezza naturalistica, in

cui la presenza dell'uomo si avverte come lontana e inoffensiva: la

casa si inserisce perfettamente nel contesto naturale, sembra esserne

parte inscindibile, così diversa dalle abitazioni abusive che

costellano le coste della Sicilia. Anche la barca, simbolo di civiltà e

di insediamento umano, sembra essere un elemento del paesaggio:

essa fa parte del patrimonio culturale siciliano arcaico, in cui la

pesca rappresenta una delle principali attività, nell'assoluto rispetto

della natura, che, anzi, ne è maggiormente valorizzata; inoltre la

barca è simbolo del viaggio, che, nel corso della sua storia

millenaria, ha sempre interessato le coste siciliane. Gli unici due

elementi artificiali sono rappresentati in uno sfondo

prepotentemente naturale: il cielo, di un azzurro intenso, è coperto

da rade nuvole, bianche come l'altura lontana, che sembra sorgere

direttamente sul mare, di un blu delicato, misto al bianco della

schiuma delle onde. La terra, di un marrone sabbia, presenta cocci

di pietra casualmente disposti. Da essa prendono vita diverse forme

vegetali: il fico d'India, pianta caratteristica della Sicilia, conferisce

al paesaggio una sfumatura esotica e selvaggia; steli d'erba e fiori

gialli, insieme a piccoli cespugli verdi disposti nel dipinto, coronano

il paesaggio naturale; un albero, rigoglioso e dal tronco nodoso e

irregolare, presenta una folta chioma, sullo sfondo del cielo azzurro,

rivolta verso il mare, come testimone silenzioso del tempo immobile

su questo paradiso terrestre.

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Imago Mundi – Quaderno 3

57

Bibliografia consultata

Andrea Camilleri, 2000, La gita a Tìndari, Sellerio.

Maurizio Clausi, Davide Leone, Giuseppe Lo Bocchiaro, Alice

Pancucci Amarù, Daniela Ragusa, 2006, I luoghi di

Montalbano. Una guida, Sellerio.

Quasimodo Salvatore, 1994, Tutte le poesie, Mondandori Oscar

Grandi Classici, Milano.

Salvatore Ferlita, Paolo Nifosì, 2003, La Sicilia di Andrea

Camilleri. Tra Vigàta e Montelusa, Kalòs.

Teocrito, 1993, Idilli e Epigrammi, BUR, Bergamo.

Sitografia

http://www.tuttarteonline.it/cammarata.htm

http://www.ildireeilfare.it/vittorio-sgarbi-primo-cittadino-di-

salemi-e-le-pale-eoliche/20080701

http://www.corriere.it/cultura/speciali/2010/visioni-d-

italia/notizie/13Salemi-La-grande-truffa-siciliana_aabf23c6-

5a66-11df-903e-00144f02aabe.shtml

http://www.ecoblog.it/post/9603/eolico-siciliano-i-segreti-di-ali-

sgarbi-e-il-no-del-sindaco-di-santa-croce-camerina-rg-al-parco-

fotovoltaico

http://www.reteambiente.it/sostenibilita/10424/mafia-e-energie-

rinnovabili/

http://www.repubblica.it/

http://archiviostorico.corriere.it/

http://it.wikipedia.org/wiki/Tindari

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Imago Mundi – Quaderno 3

58

SULLE RIVE DEL LARIO

Maria Doria

Docente di linguaggi della comunicazione

Studenti della Classe II F – a.s. 2010-2011

Liceo Classico “A. Volta” – Como

1. Il lago di Como nell’immaginario giovanile

ome testo introduttivo si propone la scaletta dell’intervento della

prof.ssa Marina Doria in occasione della conferenza di Imago Mundi

del 29 settembre 2011.

Accogliendo le indicazioni del coordinatore, prof. Sansò,

che spostavano l’attenzione sul paesaggio e sull’ambiente, e

sollecitati anche dalla conferenza svolta in primavera, che aveva per

argomento L’acqua come risorsa e come minaccia, nel corso

dell’anno scolastico 2009-10 si è scelto di guardare da vicino la

realtà del nostro lago.

Per restringere l’argomento, di per sé vastissimo, ci si è limitati a

considerare il lungolago comasco - per intenderci il tratto compreso

tra villa Olmo e villa Geno - e si è deciso di partire con un primo

approccio volto a tentare di fare luce, almeno in parte,

sull’immagine del lago, così come essa si può dedurre

dall’immaginario, appunto, e dal vissuto dei giovani coinvolti nel

lavoro.

Strumenti d’indagine d’eccellenza sono stati l’intervista e il

sondaggio, che abbiamo coniugato con un mezzo espressivo

particolarmente vicino ai ragazzi, quello della ripresa audio-video.

E’ interessante notare subito come sia lo strumento ‘ freddo’ del

sondaggio , sia quello ‘ caldo’ dell’intervista abbiano offerto lo

stesso risultato in termini qualitativi, lasciando emergere, nella

maggioranza dei casi, un senso dominante di estraneità e di non

C

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Imago Mundi – Quaderno 3

59

appartenenza nei confronti del tratto di lago preso in

considerazione.

Ciò potrebbe in un primo momento stupire, se non che occorre

tenere presente che questi cittadini, nella fascia di età considerata -

e cioè 16-18 anni per lo più – hanno avuto a che fare col cantiere

delle paratie praticamente fin da quando hanno iniziato a percorrere

la città da soli. In altre parole, non hanno mai visto, se non da

bambini, il lungolago senza palizzate e senza cancelli. E sebbene

non fosse nelle nostre intenzioni fare di questo problema il centro

dell’indagine , nel corso del lavoro ci si è resi conto che esso

rappresenta in realtà una sorta di filo conduttore ineludibile e capace

di orientare - o disorientare - in modo determinante l’immaginario e

il vissuto dei soggetti coinvolti.

Anche semplicemente osservando i comportamenti degli studenti

quando siamo usciti per realizzare le riprese all’aperto, si è potuto

comprendere come i ragazzi, lasciati volutamente liberi di

percorrere il lungolago con la macchina da presa, abbiano usato lo

strumento che avevano a disposizione con un certo imbarazzo: quasi

tutti hanno tentato in ogni modo di ritagliare nell’obbiettivo il

pittoresco delle cartoline lacustri, di rifare (per finta?) il lago

sognato, il lago delle ville e degli scorci panoramici coi fiori in

primo piano, salvo poi discorrere fra loro del degrado, dello sporco,

della provvisorietà dell’eterno cantiere a lago con un senso di apatia

e d’impotenza tali da lasciare sconcertati.

Del resto, da spettatori, hanno pur assistito alle polemiche, alle

innegabili figuracce, agli eterni rinvii delle promesse di

riqualificazione del primo bacino: come metabolizza tutto questo un

adolescente? Forse dovremmo chiedercelo.

Il dialogo in classe favorisce una presa di coscienza? Si può e si

deve invertire la tendenza? I margini d’incertezza non sono pochi,

soprattutto quando si voglia mantenere quell’onestà intellettuale

Page 60: IMAGO MUNDI

Sulle rive del Lario

60

che impone di non indottrinare i ragazzi con risposte

preconfezionate, ma di lasciarli liberi per comprendere da soli la

realtà, offrendo solo gli stimoli necessari per giungere

autonomamente alle proprie conclusioni, sempre provvisorie.

A tale fine, le docenti responsabili del progetto hanno individuato -

dopo questa full immersion nell’immaginario di cui s’è parlato e di

cui sarà tra breve testimonianza il primo video proposto - alcuni

passaggi fondamentali:

1) favorire la conoscenza delle leggi che tutelano il patrimonio

paesaggistico e l’ambiente , nell’ambito dell’educazione alla

cittadinanza.

2) offrire la possibilità ai ragazzi di realizzare in autonomia, in

gruppo o individualmente, brevi spot e video per illustrare le loro

scoperte.

3) avviare una riflessione che produca testi scritti di tipo

giornalistico e saggistico (scrittura documentata).

Tutti e tre questi passaggi sono stati realizzati. Data la peculiarità

dell’occasione odierna, ci si limiterà alla proiezione di tre video: il

primo espone i risultati del sondaggio e restituisce il clima delle

interviste svolte; il secondo, brevissimo, vorrebbe sollecitare la

presa di coscienza dell’importanza di amare il lago (gli inglesi

userebbero il verbo to care) ; il terzo si concentra sul problema

dell’inquinamento lacustre.

N.B. I video sono reperibili nel dvd allegato.

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Imago Mundi – Quaderno 3

61

2. Risultati del questionario rivolto a 100 alunni delle

scuole superiori di Como (marzo 2011)

Si ringrazia in particolare l’alunna Lucrezia Gatti, per il preciso e efficiente lavoro

di coordinamento.

Il campione di studenti cui è stato rivolto il questionario relativo al

sondaggio era costituito dagli studenti delle scuole superiori che

hanno partecipato al progetto Imago mundi nel corso dell’anno

scolastico 2009-10. Il campione, omogeneo quindi quanto

provenienza sociale (studenti) lo è anche quanto a età (anni 16-19,

con una predominanza di diciottenni). Indicativo è da ritenersi il

dato della provenienza , cioè della zona di residenza: solo un quarto

degli intervistati dichiara di abitare in centro città. Del resto, il dato

è in linea con la tendenza sempre maggiore a trasferire la propria

residenza fuori dalle mura cittadine.

Forse anche per questo motivo, la maggior parte degli intervistati

passa dal lungolago solo il sabato o la domenica (69%), per lo più

per fare una passeggiata a piedi (54%)

Alcuni si recano in zona anche per i lidi (44%), mentre pochi (8%)

quelli che frequentano una delle società sportive che

tradizionalmente sono ospitate nella bella cornice lacustre.

Il dato è significativo, poiché suggerisce uno scarso utilizzo del

lago: inutile sottolineare che uno sfruttamento mirato della risorsa

lacuale potrebbe farla divenire centro catalizzatore dei giovani

della provincia, offrendo occasioni di svago, sport e socializzazione

a molti più soggetti di quanto non faccia ora.

Nel percorrere il lungolago, il visitatore si imbatte in alcuni luoghi

significativi ed emblematici dell’immagine di Como: Villa Olmo, il

Tempio voltiano, la passeggiata stessa lungo il lago, piazza Cavour

e Villa Geno.

Ma quanto sono amati questi luoghi? Sono capaci di sviluppare nei

giovani un senso di appartenenza e di identità?

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Sulle rive del Lario

62

Dal sondaggio risulta che luoghi preferiti sono nell’ordine villa

Olmo (32%), il tempio voltiano (22%) e la passeggiata (21%).

Molto meno amati villa Geno (13%) e Cavour (12%).

A fronte di una generale ammirazione per le innate, indiscutibili

qualità paesaggistiche e architettoniche di tali luoghi, i ragazzi si

aspetterebbero tuttavia di trovare più servizi, più pulizia, più

movida.

Il questionario prevedeva anche una domanda aperta, cui si può

attribuire ovviamente un significato particolare: esiste un luogo sul

lungolago al quale sei affezionato ?A tale quesito

sorprendentemente più della metà degli intervistati (56 %) ha

risposto NO.

Questo scarso attaccamento a un luogo che fortemente caratterizza

l’immaginario cittadino dovrebbe muovere a qualche riflessione,

che lasciamo fare a chi legge.

Coloro che hanno risposto di avere sul lungolago un luogo cui sono

affezionati si limitano quasi tutti a ripetere l’indicazione già data

circa il luogo preferito, eludendo il suggerimento del questionario,

che invitava a indagare più nel dettaglio e nel vissuto personale,

proponendo come esempi angoli, panchine ecc.

Quest’anno Como si avvia a scegliere un nuovo sindaco. A lui e la

sua squadra, tra i mille urgenti problemi da risolvere, modestamente

poniamo anche quello di sapere restituire il lago ai soggetti decisivi

per il suo futuro: i giovani!

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Imago Mundi – Quaderno 3

63

DAL MACRO AL MICRO

IL COMPLESSO RAPPORTO TRA SCIENZA E TECNOLOGIA

Claudio Fontana

Docente di storia e filosofia

Studentesse della Classe IV SA – a.s. 2010-2011

Liceo Scientifico “P. Giovio” – Como

1. La macchina a vapore e la Prima Rivoluzione

Industriale

La prima rivoluzione industriale costituì una fase emblematica e

significativa per lo sviluppo del complicato rapporto che lega la

tecnica e la scienza. L’elemento cardine della prima rivoluzione

industriale fu l’invenzione della macchina a vapore, lo “steam

engine”, concepito e sviluppato da brillanti ingegneri come James

Watt, Thomas Savery e Thoms Newcomen.

In questa prima fase, scienza e tecnica seguirono uno sviluppo

piuttosto autonomo: lo sviluppo della macchina a vapore avvenne

infatti senza la conoscenza delle leggi termodinamiche alla base dei

principi sfruttati per trasformare l’energia termica sprigionata dalla

combustione del carbone nell’energia cinetica prodotta dalla

macchina e destinata ai più svariati utilizzi.

Uno dei grandi problemi che gli ingegneri dovettero affrontare fu la

creazione di sistemi di distribuzione e trasporto dell’energia cinetica

generata dalla macchina a vapore; il costo, le dimensioni e la

complessità di tale macchina rendevano infatti più conveniente

installare in un grande impianto produttivo un’unica macchina a

vapore la cui energia cinetica prodotta veniva trasmessa a tanti

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Dal micro al macro

64

utilizzatori piuttosto che installare tante piccole macchine, ciascuna

collegata ad un singolo utilizzatore.

Vennero quindi realizzati diversi sistemi di trasporto dell’energia

cinetica, differenti in base alla distanza che essi dovevano coprire.

Nelle industrie, in cui generalmente centinaia di macchinari erano

messi in moto da un’unica grande macchina a vapore, furono

utilizzati sofisticati sistemi di pulegge, cinghie, alberi di

trasmissione e giunti cardanici. Si calcola che una fabbrica dell’800

avesse in media 600 kilometri di alberi di trasmissione e 500

pulegge. Distanze maggiori furono coperte trasformando, grazie

all’utilizzo di un sistema di bielle e camme, il movimento rotatorio

prodotto dallo “steam engine” in un movimento oscillatorio, che

mettesse meno sotto torsione i giunti e gli organi di trasmissione.

Un esempio è costituito dal dispositivo installato nella cittadina

tedesca di Bad Kosen, in cui un sistema di pali e camme metteva in

moto una pompa situata a più di 200 metri di distanza dalla

macchina a vapore.

2. Dal macro al micro: la termodinamica

Dalla realizzazione delle nuove macchine a vapore nacque la ricerca

della spiegazione fisica connessa al loro funzionamento, ed in

particolare alla possibilità di trasformare il calore in energia

meccanica. Questo è il campo di studi della termodinamica. Il caso

della termodinamica è emblematico, in quanto la sua applicazione

pratica precede la spiegazione teorica dei fenomeni fisici: dalla

costruzione tecnologica si tenta dunque di risalire alle leggi che ne

permettono il funzionamento. Attraverso il contributo di numerosi

scienziati quali Lord Kelvin, Clausius, Joule, Charles e Gay-Lussac

si sono scoperti i principi fondamentali della termodinamica. Ma il

vero salto verso la modernità è stato operato da Boltzmann, che ha

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Imago Mundi – Quaderno 3

65

introdotto una teoria microscopica per spiegare il funzionamento dei

gas reali. Tale teoria associava al comportamento macroscopico dei

gas degli ipotetici stati microscopici di particelle in movimento

attraverso l’uso del calcolo probabilistico: la probabilità viene così

introdotta in una scienza fino ad allora ritenuta esatta, la fisica.

Il calcolo probabilistico non è più stato abbandonato e ha anzi

acquisito ulteriore importanza nella fisica moderna: per descrivere

la posizione di un elettrone, per esempio, è necessario ricorrere alla

sovrapposizione di stati probabilistici. Anche la tendenza di

guardare al piccolo per spiegare il nostro mondo si è accentuata: al

giorno d’oggi si parla di bosoni e neutrini, particelle ancora più

piccole di protoni ed elettroni. Questa tendenza di scavare sempre

più a fondo nelle radici della materia ha avuto come conseguenza un

cambiamento del rapporto tecnologia- scienza. Infatti al giorno

d’oggi è la tecnologia che procede dalle scoperte scientifiche e non

viceversa. Per fare un esempio: è noto che l’occhio umano è in

grado di percepire ( e quindi di modificare) gli oggetti fino ad una

grandezza pari al decimo di millimetro (10-4

m). Il secolo scorso la

grande innovazione tecnologica è stata data dal microprocessore,

che ha permesso di lavorare con una scala di precisione del

milionesimo di metro (10-6

m), il che ha portato allo sviluppo dei

microchip che costituiscono il computer. Negli ultimi decenni è

invece stato realizzato il microscopio ad effetto tunnel, che consente

di agire sulla materia alla scala del nanometro (10-9

m): viviamo

nell’epoca delle nanotecnologie. Gli esperimenti più moderni vanno

ad indagare la materia ancora più a fondo, fino al picometro e oltre

(10-12

m): è questo il caso del grande apparato sperimentale

dell’LHC a Ginevra.

Page 66: IMAGO MUNDI

Dal micro al macro

66

3. Studiare il micro: l’HLC del CERN

Il Large Hadron Collider (LHC) è un acceleratore di particelle

situato presso il CERN di Ginevra. Il Consiglio europeo per la

ricerca nucleare (CERN) conta 20 stati membri ed è stato fondato

nel 1954 da 12 paesi tra cui l’Italia.

Il Grande collisore di adroni (LHC) è un anello con una

circonferenza di 27 chilometri situato a 100 metri di profondità tra

Francia e Svizzera. L’obiettivo dei fisici è riuscire a studiare le più

piccole parti che costituiscono la materia.

Due fasci di particelle (protoni o ioni) chiamati “adroni” viaggiano

in direzioni opposte all’interno dell’acceleratore a velocità prossime

a quella della luce: dallo scontro tra i due fasci è possibile riprodurre

le condizioni che si sono presentate negli istanti immediatamente

successivi al Big Bang. Per la formula di Einstein E=mc2 (l'energia è

uguale alla massa moltiplicata per la velocità della luce al quadrato)

al momento dello scontro l'energia accumulata dovrebbe

trasformarsi in materia.

4. Spiegare il micro: il progetto “COLLIDER”

“Collider” è il nome che abbiamo scelto per il nostro modello

semplificato dell’acceleratore di particelle LHC, reinterpretato dopo

averlo visitato al CERN di Ginevra. L’idea era quella di costruire un

modello che tramite un approccio ludico potesse essere uno spunto

per spiegare in modo semplice e comprensibile a tutti quanto

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Imago Mundi – Quaderno 3

67

accade negli acceleratori del famoso centro di ricerca.

Per la progettazione e la successiva realizzazione è stato seguito un

preciso metodo progettuale: partendo da degli schizzi (o “concept”),

dove l’idea è stata trasposta su carta a mano libera, senza tener

conto di alcuna limitazione (figura 1 e 2), è stato poi realizzato un

modellino in scala ridotta (figura 3), frutto di un’ulteriore fase di

semplificazione dei disegni iniziali. Dopo una fase di ricerca e

collaudo dei materiali, è stato realizzato il modellino in figura 4.

Figura 1

Figura 2

Figura 3

Figura 4

Page 68: IMAGO MUNDI

Dal micro al macro

68

Lo scopo del gioco è quello di inserire le due sfere

contemporaneamente in entrambe le entrate superiori per ottenere

una collisione tra di esse nella parte di tubo scoperta presso la base

del modello. In questo caso il tempismo è la chiave per avere

successo. Raggiungere l’obiettivo, parola di quelli che l’hanno

provato, non è facile come sembra: questo fatto basti a far pensare

come possa essere difficile far collidere delle “sfere” migliaia di

volte più piccole: le particelle subatomiche. Da sottolineare è il fatto

che in questo caso l’accelerazione delle sfere è data da quella

gravitazionale mentre nell’LHC è ottenuta tramite il continuo

alternarsi di campi magnetici.

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Imago Mundi – Quaderno 3

69

LA FORMA DELLA TERRA E

L'IMMAGINE DEL MONDO

Maristella Galeazzi

Docente di matematica e fisica

Liceo scientifico "P. Carcano"- Como

1. Età moderna

Sull’impulso dato dai grandi viaggi di esplorazione fu affinata la

bussola e furono costruiti i primi strumenti per l’osservazione

celeste e terrestre.

L'Atlante catalano (1375 ca.) è la carta nautica più importante del

periodo medioevale. Essa non porta la firma dell'autore attribuita

alla scuola cartografica di Maiorca. Si suppone sia stata prodotta da

Abraham Cresques e da suo figlio Jahuda su richiesta del re di

Aragona. Originariamente redatto su 6 fogli, preziosamente miniati

in vari colori tra cui l'oro e l'argento. I fogli divisi a metà per il

lungo vennero incollati su 5 tavole di legno. E’ un portolano, ossia

una carta degli “approdi” caratterizzata da linee rette che si

irradiano da una rosa dei venti centrale e da altre laterali,

intersecandosi per tutta la superficie della terra. Per raggiungere il

porto non si doveva far altro che seguire il vento indicato dal

portolano mantenendo la rotta con la bussola.

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

70

Fin dal XIV secolo l’Italia e la Spagna diedero un grande contributo

alla cartografia e alla nautica con una vasta produzione di carte

portolani che descrivevano l’intero bacino Mediterraneo fino al mar

Nero. Le prime carte, tuttavia, sono solitamente lineari, cioè

rappresentano solo la linea della costa con i relativi toponimi,

mentre l’entroterra è spoglio, sia perché l’informazione geografica

era ovviamente carente, sia perché i dettagli interni erano inutili ai

fini della navigazione.

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Imago Mundi – Quaderno 3

71

Una delle primissime carte medievali è la carta di Angelino Dulcert,

sulla quale un’iscrizione informa che “hoc opus fecit Angelino

Dulcert ano MCCCXXXVIIII de mense Augusti in civitate

maioricarum” Le note e le legende sono scritte in latino, e la mappa

si caratterizza in quanto rappresenta aspetti sconosciuti alle opere

coeve prodotte a Genova e a Venezia, si distingue inoltre per essere

il primo portolano nel quale s'identifica l'isola di Lanzarote, la più

orientale dell'arcipelago delle Canarie, come Isola di Lanzarotus

Marocelus, un riferimento al navigatore genovese Lanzerotto

Malocello. Inoltre questa mappa tenta di rappresentare il nord

Europa e include informazioni relative all'Africa, non

concentrandosi solo sulle rappresentazioni relative al mar

Mediterraneo che caratterizzano le opere dell'epoca. Gli studiosi

hanno dibattuto per oltre mezzo secolo sulla questione della

nazionalità dell’autore.

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

72

Infatti a Firenze nel 1887 fu scoperta una carta sicuramente italiana

del 1330 dell’autore Angelino Dalorco o Dalorto: la somiglianza tra

le due carte induceva a considerarle dello stesso autore (alcuni

ritengono che si tratti sempre del genovese Angelino Dalorto,

emigrato a Maiorca dove avrebbe fondato un'officina cartografica).

Nei secoli XV e XVI, con l’aprirsi della navigazione negli oceani, e

delle imprese marinare, i difetti e le insufficienze delle carte-

portolano si manifestano in modo palese: il trascurare la forma

sferica della Terra, la mancanza di coordinate di riferimento, i

meridiani che non convergono verso i poli, unitamente allo spirito

nascente del Rinascimento fanno si che la cartografia cominci ad

avere una connotazione scientifica.

A partire dal XV secolo, grazie all’invenzione della stampa, che

permise la riproduzione e il diffondersi della “Geographia” di

Tolomeo, si assiste ad uno straordinario sviluppo delle tecniche

cartografiche su base scientifica, che diede inizio alla moderna

rappresentazione basata sull’individuazione di punti mediante le

coordinate geografiche. La prima traduzione in latino della

Geografia di Tolomeo (con il titolo di Cosmographia) risale al

1406-1407 e al 1482 l’edizione fiorentina in lingua volgare. La

realizzazione delle carte e la loro diffusione era affidata a

professionisti: cartografi, incisori ed editori, si avevano 3 fasi per la

realizzazione di una carte geografica: il disegno su carta, l’incisione

su lastre di rame, la stampa.

La pubblicazione delle carte era concessa in privilegio ad uno

stampatore per 10 anni.

Scaduto il privilegio era possibile anche ad altri stampatori

utilizzare la lastra originale per tirare nuove copie. In Italia i

principali centri di produzione di carte geografiche furono Roma

(Lafrei) e Venezia (Camocio, Forlani, Bertelli).

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Imago Mundi – Quaderno 3

73

Nel 1548 esce a Venezia l’edizione della Geografia in volgare la cui

parte cartografica è curata da Giacomo Gastaldi, è in formato

tascabile, il mappamondo tolemaico è sostituito da due mappamondi

moderni, alle carte tolemaiche sono alterante 34 carte moderne

aggiornate, comincia a svilupparsi l’idea dell’Atlante.

Altre tappe fondamentali della storia della cartografia furono:

• La rivoluzione copernicana (Copernico, 1473-1534)

Copernico (1473-1543) enuncia la teoria eliocentrica:

la Terra è sferica;

i pianeti, compresa la Terra, ruotano su orbite circolari

intorno al Sole;

la Terra è il centro dell'orbita lunare.

Galileo (1564-1642) conferma e dà fondamento scientifico alla tesi

di Copernico.

Kepler (1571-1630), a partire dai dati di Tyge Brahe (1546-1601),

enuncia le leggi del moto dei pianeti.

Fernel (1497-1558) effettua misure di distanza e di latitudine e

determina la circonferenza terrestre con un errore dell'1%.

Picard (1620-1682) ne perfeziona ulteriormente la misura.

• La carta di Mercatore (Gerard Kremer, 1512-1594): proiezione

cilindrica modificata (ad usum navigantium).

Una delle innovazioni principali in ambito cartografico è la

proiezione cilindrica conforme sviluppata dall’olandese Gerard

Kremer detto Mercatore (1512-1594). La caratteristica principale di

tale carta, fondamentale per la navigazione, è che la lossodromia,

cioè la linea che congiunge due punti tagliando con angolo costante

tutti i meridiani che taglia, coincide con una retta. Una rotta di

navigazione tenuta mantenendo costante la direzione rispetto al

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

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nord, la tecnica dell’epoca, è rappresentata perciò con una linea

retta.

La rotta con direzione costante che veniva seguita mediante le

indicazione della bussola (linea in rosso tracciata sula Terra) veniva

rappresentata con una retta nella proiezione cilindrica conforme.

• Triangolazione, cioè misura di punti distanti mediante una rete,

con misura di tutti gli angoli e una base della rete (Snellius, 1580-

1626)

La triangolazione è un metodo di rilevamento del terreno introdotto

dal geodeta olandese Snellius nel 1617 e consiste nel collegare i

punti scelti sul terreno fino a formare un insieme di triangoli aventi

a due a due un lato in comune. Nell’esecuzione del rilievo è

opportuno che i triangoli abbiano forma più equilatera possibile

perché è più agevole la compensazione e perché si copre una

superficie maggiore rispetto ad un triangolo qualsiasi.

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Imago Mundi – Quaderno 3

75

In realtà già nell’edizione stampata ad Anversa nel 1533 del

“Cosmographicus liber Petri Apiani mathematici”, Reinerus

Gemma Frisius (1508-1555) per la prima volta formulava il

principio della triangolazione come sistema per il corretto

posizionamento dei luoghi sulla superficie terrestre e per la loro

accurata rappresentazione cartografica.

Se i triangoli sono collegati fra loro in modo univoco, cioè da un

triangolo si passa al successivo attraverso uno ed un solo lato

comune, la triangolazione si dice a catena; essa è caratterizzata dalla

notevole estensione in lunghezza e dalle molteplici forme articolate

che può assumere, sempre in

dipendenza dal tipo di rilievo da

effettuare. Se invece da un

triangolo si può accedere agli altri

triangoli attraverso più vie, la

triangolazione si dice a rete. La

triangolazione geodetica è una

tecnica geodetica basata sulla

determinazione, da una base di

stazionamento, di tre valori

fondamentali di un secondo punto

del territorio: distanza in linea

d'aria dalla stazione, angolo

orizzontale, angolo zenitale. La

triangolazione topografica consiste nel collegare idealmente una

serie di punti nel terreno formando una rete di triangoli adiacenti,

per determinare le coordinate planimetriche.

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

76

La triangolazione e lo sviluppo della base geodetica permisero

ulteriori grandi passi avanti nella cartografia del XVII secolo.

Tra il 1500 e il 1600 comincia a svilupparsi la cartografia regionale

ad opera di Giovanni Antonio Magini e dell’olandese Abramo

Ortelius. Le nuove tecniche di riproduzione migliorano ed offrono

prodotti di buona qualità.

Giovanni Antonio Magini (1555 1617) professore di Astronomia

all’Università di Bologna dal 1588, Magini intrattenne rapporti con

astronomi e matematici del suo tempo come Keplero, Tycho Brahe

e con i cartografi quali Ortelio e Mercatore.

Grazie all’amicizia dei Gonzaga ebbe modo di consultare preziosi

materiali cartografici conservati nelle corti di vari principi italiani di

cui si servì per realizzare la sua opera più importante, l’Italia,

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pubblicata nel 1620. l’Opera comprende 61 tavole geografiche e un

commentario di 24 pagine.

Curò una edizione di Tolomeo in latino, pubblicata a Venezia nel

1596, in cui sono contenute 37 tabulae novae commentate da

Magini, ricavate da Mercatore e Ortelio.

La Terra comunque, fino al 1700 circa, era considerata sferica.

Nel 1671 Jean Picard (1620-1687) avanzò per primo l’idea che la

Terra non fosse perfettamente sferica in seguito ad alcune sue

misurazioni. Misurò il tratto di meridiano passante per

l’Osservatorio di Parigi, da Parigi ad Amiens, usando il metodo

della triangolazione, il sistema proposto nel 1533 da Reinerus

Gemma Frisius e sviluppato dall’olandese Willebrord Snell. La

lunghezza di un grado di meridiano a latitudine 49,5° nord calcolata

da Picard fu di 57060 tese (111,210 km). La lunghezza standard era

stata definita confrontando la tesa francese pari a 6 piedi parigini

(1,949 m) con la lunghezza di un pendolo semplice battente i

secondi di 440,5 linee (144 linea a piede). Nel 1671 Picard

comunicava i risultati della sua rilevazione nella Mesure de la Terre.

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

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Usando una base più lunga determinò il meridiano (circonferenza

polare) con una precisione mai raggiunta prima: 40.033 km. Una

misura più precisa era impossibile, non potendo quantificare lo

schiacciamento polare.

Il Meridiano di Parigi fu definito il 21 giugno 1667 dai matematici

dell’Académie Royale des Sciences. In questo giorno di solstizio

d'estate essi tracciarono sul pavimento il meridiano e

successivamente le altre direzioni necessarie alla corretta

installazione del futuro Osservatorio di Parigi. Due obiettivi

servivano a puntare gli strumenti dell’osservatorio:

Jean-Felix Picard (1620, 1682) abate e astronomo francese. Fu la prima

persona a misurare la lunghezza della Terra con una ragionevole

accuratezza, tramite un'indagine condotta tra il 1669 ed il 1670; con

l'aiuto del libro Cosmographia di Francesco Maurolico, nel quale il

matematico italiano descrive un metodo per misurare la Terra, e delle

misurazioni di Willebrord Snell, Picard riuscì nell'impresa misurando un

grado di latitudine lungo il Meridiano di Parigi.

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L’obiettivo Nord, eretto nel 1736 nel parco (privato) del Moulin

de la Galette a Montmartre;

L’obiettivo Sud, terminato nel 1806 da Antoine Vaudoyer e

posto all’inizio del giardino dell’Osservatorio, e in seguito

spostato nel Parc Montsouris

La “mire du Sud”

Pochi mesi prima, il 22 dicembre del 1666, l’Académie Royale des

Sciences aveva tenuto la sua prima seduta. Entrambe le istituzioni

erano state create da Luigi XIV e da Jean Baptiste Colbert (1619-

1683), suo ministro, che avevano voluto accogliere le richieste

avanzate dalla comunità scientifica francese nel quadro di un unico

progetto culturale. L’Osservatorio non divenne però, come era nei

piani di Colbert, un centro di

ricerca nazionale, ma fu consacrato fin dalla sua origine alla sola

attività astronomica.

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

80

Nel 1668, mentre i lavori erano ancora in corso, Colbert chiamò in

Francia l’astronomo bolognese, Gian Domenico Cassini (1625–

1712), all’epoca corrispondente dell’Académie Royale des

Sciences.

L’italiano giunse a Parigi nel 1669: il suo soggiorno avrebbe dovuto

essere solo temporaneo; viceversa, nonostante gli appelli del papa,

nel 1671 Cassini si insediava nell’Osservatorio, negli appartamenti

a lui destinati e, nel 1673, otteneva la naturalizzazione francese.

Insediatosi nell’Osservatorio parigino, Cassini ebbe a disposizione i

mezzi necessari per dotarlo dei migliori strumenti possibili, tra cui

grandi telescopi di Eustachio Divini (1610-1685) e di Giuseppe

Campani (1635-1715).

Da quel momento e fino al 1793 quattro generazioni di Cassini si

alternarono alla guida dell’Osservatorio di Parigi.

Impossibile riassume in questa sede il contributo di Cassini al

progresso delle conoscenze astronomiche. A lui si devono tra l’altro

la scoperta dei quattro satelliti di Saturno e la divisione dell’anello

che porta il suo nome. Fondamentali furono i suoi studi sulle

comete, sulle macchie solari e sulle eclissi dei satelliti di Giove.

La pubblicazione delle effemeridi calcolate dall’Osservatorio di

Parigi iniziò nel 1679 a opera dell’abate Jean Picard (1620 - 1682),

astronomo, membro dell’Académie Royale des Sciences.

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Gian Domenico Cassini (1625-1712)

L’incontro tra Cassini e Jean Picard gli aprì nuove prospettive ed

egli si impegnò in un progetto ben più vasto: tracciare una linea

meridiana attraverso tutta la Francia da Dunkerque ai Pirenei.

Durante un breve ritorno in Italia, accompagnato dal figlio Jacques,

Cassini ebbe l’opportunità di correggere gli errori che il tempo

aveva recato alla sua meridiana in San Petronio. L’opera pubblicata

nel 1695 è la relazione dei lavori eseguiti dallo scienziato, che fu

coadiuvato dal matematico Domenico Guglielmini (1655-1710),

autore della “Memoria delle operazioni fatte, e delli strumenti

adoprati nell'vltima ristorazione della meridiana”.

“La fin que l’Académie s’est proposée s’en appliquant aux

observations astronomiques – scrive Cassini - à toujours été de les

rapporter à l’avancement de la Géographie & de la Navigation ; &

dans ce dessein rien n’étoit plus utile que de déterminer quelle

partie de la circonférence de la terre répond précisément à un degré

du Ciel”.

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Tutte le misurazioni dell’arco di meridiano, a partire da quella di

Jean Picard tra Parigi e Amiens, si inquadrano in questo unico

programma. E così pure tutti i viaggi, a cominciare da quelli di

Picard a Uraniborg e di Jean Richer nell’isola di Cayenne, verranno

compiuti per stabilire le differenze di longitudine dei luoghi,

differenza calcolata attraverso le osservazioni delle eclissi dei

satelliti di Giove. (Il problema era sorto dopo che Jean Richer

(1630-1696) aveva constatato nel 1672 nell’isola di Cayenne, dove

era in missione, che la lunghezza del pendolo battente i secondi era

minore che a Parigi).

“Le Roy – continua Cassini – ayant été informé de l’utilité qu’on

avoit tirée de l’observation des Eclipses des Satellites de Jupiter

pour établir les longitudes, ordonna que l’on fit par cette méthode de

nouvelles Cartes de la France”.

Già nel 1659 Huygens aveva scoperto l’esistenza della forza

centrifuga dovuta alla rotazione terrestre e aveva notato che agiva

differentemente a seconda della latitudine, massima all’equatore e

nulla ai poli. Come poteva non sortire un effetto sulla forma della

Terra?

Newton (1643–1727) approfondì la questione nei “Philosophiae

naturalis principia matematica” (1687). Nel libro III, intitolato De

mundi systemate, Newton formulò il principio della gravitazione

universale: l’universo è regolato da un unico principio, quello di una

forza attrattiva proporzionale alla massa dei corpi e che diminuisce

secondo il quadrato delle distanze. Sulla base dei dati sperimentali

disponibili, tra i quali quelli di Jean Picard e Jean Richer –

latitudine, lunghezza del pendolo in rapporto alla latitudine e misura

del grado di meridiano - dimostrò che la figura della Terra è quella

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di uno sferoide schiacciato ai poli e rigonfio all’equatore, a causa

del movimento di rotazione e della sua massa.

Osservò che se la Terra non avesse il suo movimento giornaliero,

sarebbe perfettamente sferica a causa dell’uguale gravità in ogni

sua parte. Proprio per la sua rotazione essa prende, a suo parere,

una forma ellissoidale, infatti la soluzione matematica delle

equazioni della gravitazione universale portava a un ellissoide:

solido ottenuto dalla rotazione completa di un'ellisse intorno ad

uno degli assi.

Ogni particella di materia, in quanto dotata di massa, è soggetta a:

forza di gravità diretta al centro di gravità e direttamente

proporzionale al quadrato della distanza da esso;

forza d'inerzia centripeta diretta ortogonalmente all'asse di

rotazione e proporzionale linearmente alla distanza da esso.

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

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Newton cercò di calcolare l’appiattimento della Terra

supponendola fluida e omogenea e utilizzando la sua teoria di

attrazione universale.

Per i suoi calcoli doveva determinare l’attrazione ai poli e

all’equatore di un ellissoide di rivoluzione. In conclusione trovò un

appiattimento di 1/230. Newton calcolò l’appiattimento terrestre

considerando che due canali partenti uno dal polo e l’altro

dall’equatore e congiungentesi al centro, fossero in equilibrio.

Huygens suppose invece che la superficie fosse in ogni punto

perpendicolare alla somma di forza centrifuga e gravità. Egli

osservò infatti che un

filo a piombo non si

dirigeva verso il centro

della terra ma veniva

deviato dalla forza

centrifuga. Nel 1690

eseguì un nuovo

calcolo

dell’appiattimento e

ottenne un valore di

1/578, meno esatto di

quello di Newton. La differenza fondamentale tra i due studiosi

risiedeva nella concezione di attrazione.

Determinazione dell’appiattimento della Terra attraverso le misure

geodetiche. Lo schiacciamento ai poli è stato aumentato per

renderne più evidente l’effetto. Le verticali sono le normali

all’ellisse e non concorrono al centro della Terra. La lunghezza di

un arco d'ellisse di piccola ampiezza è pressoché uguale a quella

dell’arco di cerchio avente come centro il centro di curvatura

dell’arco. Quindi, per una Terra appiattita, la lunghezza di un arco

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di ampiezza un grado è superiore ad alte latitudini che a basse

latitudini.

Tra astronomia e geografia si sviluppò così una scienza autonoma:

la geodesia.

La necessità di tradurre il grado, unità di misura della longitudine e

della latitudine, in un’unità di misura lineare attraverso la quale

calcolare la dimensione della Terra e definire la scala di riduzione

della rappresentazione cartografica, indusse gli scienziati alla

raccolta di dati sperimentali che fece crollare la certezza consolidata

che il globo terrestre fosse perfettamente sferico. Nella prima metà

del XVIII secolo il mondo scientifico fu attraversato dalle

polemiche tra newtoniani e cartesiani sulla misura e figura del

pianeta, mentre il tentativo di elaborare modelli matematici capaci

di dare un’interpretazione coerente dei dati sperimentali raccolti,

troverà soluzione solo con gli sviluppi successivi della geodesia sia

terrestre sia, attualmente, satellitare.

Christiaan Huygens

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La forma della Terra e l'immagine del mondo

86

Huygens non accettava l’idea di attrazione universale. Pensava che

la gravità non consistesse in una attrazione fra masse ma in una

reazione al movimento centrifugo. A grandi distanze dalla Terra, le

due leggi di attrazione risultano pressoché identiche ma

avvicinandosi alla superficie terrestre la differenza acquista

importanza e lo si riscontra nei risultati del calcolo

dell’appiattimento. Fu comunque merito di questi due teorici

l’affermazione che la Terra fosse appiattita. Si poneva ora il

problema di verificare sperimentalmente le loro proposizioni. Le

polemiche scoppiate in Francia tra newtoniani e cartesiani sulla

figura della Terra portarono Cassini a fare varie misurazioni. L’idea

fu quella di utilizzare misure di triangolazione geodetica effettuate a

diverse latitudini. Tali lavori di triangolazione, intrapresi a partire

dal 1683 verso nord da Gian Domenico Cassini e verso sud da La

Hire (1640-1718) e interrotti nel 1683 alla morte di Colbert,

ripresero nel 1700. Nel 1701, con l’aiuto del figlio Jacques (1677-

1756), Cassini calcolò che la lunghezza di un arco di meridiano a

distanza di un grado cioè un grado medio tra Parigi e Bourges nel

nord della Francia era più piccola che nel sud: la Terra sarebbe

dunque allungata nel verso dell’asse di rotazione, anziché appiattita.

Tra 1700 e il 1718 Cassini, Maraldi e La Hire prolungarono i lavori

di triangolazione da Dunkerque a Collioure, ai piedi dei Pirenei. A

partire dalle loro misure, che confermarono la diminuzione di

lunghezza di un grado d’arco verso nord, Cassini confermò

l’allungamento della Terra e s’oppose tenacemente alle idee dei

teorici: aveva inizio la disputa sulla forma della Terra.

Morto Gian Domenico nel 1712, Cassini figlio, detto Cassini II,

succeduto al padre nella guida dell’Osservatorio, portando nel 1718

a termine le misurazioni dell’arco di meridiano fatte da Parigi fino

ai Pirenei e da Parigi fino all’estremità settentrionale della Francia,

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trovò che il grado medio di latitudine era di 57097 tese (111,282

km) a sud di Parigi e di 56960 tese (111,015) a nord. Se l’arco di

meridiano diventava più corto andando a nord, Jacques Cassini

vedeva confermata l’ipotesi che la figura della Terra non era quella

di un ellissoide appiattito ai Poli, come sostenuto da Newton e da

Christiaan Huygens (1629-1695), bensì era quella di un ellissoide

allungato.

La carta geografica mostra, rimarcandole con un tratto più scuro e

ombreggiato, le correzioni effettuate, dopo le osservazioni

astronomiche compiute tra il 1671 e il 1681 da Jean Picard,Gabriel

Philippe de La Hire e Gian Domenico Cassini alla carta del

Royaume de France del geografo Guillaume Sanson (1633-1703),

pubblicata nel 1672. Alle p. 429- 430 del tomo dei Mémoires de

l’Académie Royale des Sciences in cui è edita la carta, è stampata

Carte de France corrigée par ordre du Roy sur les

observations de M.rs de l’Académie des Sciences

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una nota che guida nella lettura della carta stessa. Il primo

meridiano è fissato nel meridiano che passa per l’Osservatorio di

Parigi, anziché nel meridiano dell’Isola di Ferro, come in uso nella

cartografia dell’epoca.

Le nuove misurazioni, definite osservando per calcolare la

differenza di longitudine dei luoghi i satelliti di Giove,

comportarono la riduzione di circa un quinto della superficie totale

fino a quel momento attribuita al regno di Francia.

Per togliere i dubbi e far cessare la disputa, l’Académie Royale des

Sciences decise di inviare, su ordine del re, due missioni geodetiche

per misurare gli archi di meridiano a latitudini molto differenti, cosa

che avrebbe dovuto facilitare il confronto: una al Circolo Polare

Artico nel 1736, l’altra all’Equatore, nel 1735 in Perù allo scopo di

misurare l’archi di meridiano. La spedizione polare fu guidata da

Pierre Louis Moreau de Maupertuis (1698-

1759).

Matematico, astronomo, biologo,

Maupertuis era un convinto sostenitore di

Newton. Nel 1737 rientrava a Parigi dalla

spedizione in Lapponia: le misurazioni

effettuate dimostravano in maniera

inequivocabile l’appiattimento polare del

globo. Nel 1735 Maupertuis potè proclamare

al ritorno dalla Lapponia che la Terra era

effettivamente schiacciata ai poli, e lo fece

con tanto entusiasmo che Voltaire lo

soprannominò “lo schiacciatore della Terra”.

Pierre Louis Moreau de Mapertuis intraprese nel 1736 in Lapponia una

spedizione che gli consentì di stabilire con esattezza lo schiacciamento

della Terra ai poli, fatto che lo scienziato evidenzia col gesto della mano

sinistra sul mappamondo (Museo di St. Malo).

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Oltre a Maupertuis avevano partecipato all’impresa gli astronomi

Alexis-Claude Clairault (1713-1765), Charles-Étienne-Louis Camus

(1699-1768) e Pierre-Charles Le Monnier (1715-1799), tutti membri

dell’Académie. Al loro arrivo in Svezia gli scienziati francesi

furono affiancati dall’astronomo e fisico Anders Celsius (1701-

1744) – il celebre inventore del termometro centigrado - professore

all’università di Uppsala. Curiosamente Maupertuis portò con se

anche due ragazze finlandesi. Riferì all’Accademia nel 1737 e i suoi

risultati confermavano che la Terra era schiacciata ai Poli. Con la

spedizione, e con l’avventuroso resoconto esposto in Sur la figure

de la Terre (1738), ottenne grande fama, ma ne approfittò per

attaccare pesantemente i suoi oppositori, in particolare Jacques

Cassini, e persino i suoi amici ne rimasero sorpresi.

Nel 1737 lo studio delle misure geodetiche ottenute nella

spedizione in Lapponia indicava chiaramente che la Terra era

appiattita ai poli anziché allungata e l’appiattimento trovato,

inteso come il rapporto tra la differenza tra i semiassi e il semiasse

equatoriale, corrispondeva a 1/178. Era evidente che le misure del

meridiano francese dovevano essere errate. La missione in

Lapponia non chiuse però il dibattito ed i sostenitori dell’idea di

una Terra allungata non vollero sentire ragioni. Nel 1740 Cassini

de Thury e La Caille effettuarono una nuova misurazione della

meridiana francese e confermarono che la lunghezza di un arco di

meridiano aumentava spostandosi verso nord. I risultati riportati

dalla spedizione in Perù, rientrata nel 1744, tolsero gli ultimi

dubbi. Anche le misure geodetiche davano dunque ragione ai

teorici: la Terra è appiattita. Apportarono anche un secondo

risultato, ancora più fondamentale: l’appiattimento determinato,

circa di 1/200, era più vicino al valore calcolato da Newton che a

quello trovato da Huygens, confermando così la concezione di

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attrazione universale del primo a discapito della teoria del

secondo. Il sistema di Newton era doppiamente vincitore: sia

rispetto a chi parteggiava per l’allungamento terrestre, sia rispetto

alle tesi di Huygens.

Carta della Lapponia

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91

Relazione dell’astronomo e idrografo Pierre Bouguer (1698-1758)

sulla spedizione incaricata di determinare la figura della Terra,

misurando l’arco di meridiano all’Equatore.

La spedizione, guidata da Louis Godin (1704-1760), da Charles-

Marie de La Condamine (1701-1774) e dallo stesso Bouguer era

partita da La Rochelle il 16 maggio 1735 per giungere il 29 maggio

del 1736 a Quito, la località, all’epoca compresa nel territorio

peruviano, scelta per l’inizio delle operazioni. L’impresa si rivelò

subito difficilissima per le enormi difficoltà poste dal terreno

montuoso: spesso le basi di rilevamento delle triangolazioni furono

misurate tra scarpate, mentre gli strumenti usati per le rilevazioni

furono smontati e rimontati in continuazione, cosa che rischiò di

comprometterne il funzionamento, rendendo incerti i dati ottenuti.

Bouguer inoltre si mostrò preoccupato dei possibili effetti

determinati dall’attrazione gravitazionale delle montagne. A tutto

ciò si aggiunse il fatto che i tre scienziati furono ben presto in

disaccordo sui procedimenti rispettivamente usati e i loro rapporti

personali si deteriorarono fino alla rottura. Rientrato per primo in

patria nel giugno del 1744, Bouguer rese conto delle sue operazioni

all’Académie Royale e cinque anni più tardi pubblicò l’opera

descritta. Anche La Condamine rese pubblici i suoi rilevamenti e tra

i due iniziò una penosa polemica, mentre Godin rientrato per ultimo,

non scrisse nessuna relazione ufficiale. In ogni caso pur essendo le

misure di grado prese all’equatore da ciascuno dei tre scienziati

diverse di loro, esse presentano limiti di oscillazione entro un

intervallo massimo di 60 tese, cioè di circa 117 m.

Solo dopo Brouguer, La Condamine, Boscovich e Maire, che lo

quantificarono, Bessel riuscì (1841) a fissare la misura del

semiasse maggiore terrestre a 6.376,83 km e del semiasse minore

a 6.355,10 km. Altre misurazioni furono effettuate in seguito e

Page 92: IMAGO MUNDI

La forma della Terra e l'immagine del mondo

92

portarono alla determinazione sempre più precisa dell’indice di

appiattimento terrestre e della lunghezza del meridiano terrestre

ma solo con l'impiego di sonde spaziali si è potuto affinare ancora

queste misure. Oggi, il meridiano "medio" è lungo 40.009,152

km, il semiasse maggiore (Nord) 6.378,388 km e quello minore

(Sud) 6.356,912 km. Il valore di appiattimento ritenuto

attualmente valido è 1/298,25.

Alla scuola francese si deve il merito del definitivo passaggio ad

una cartografia scientifica ed ufficiale, non più realizzata da

singoli studiosi, ma dagli stati. Dal 1625 al 1845 i Cassini

portarono a termine la cartografia della Francia compilando 182

fogli in scala 1:86400.

L’ultima misurazione settecentesca dell’arco di meridiano di Parigi,

da Dunkerque a Barcellona fu compiuta nel pieno della

Rivoluzione francese da Pierre-François-André Méchain (1744-

1804) e Jean-Baptiste-Joseph Delambre (1749-1822). Essa servì

come base per determinare di un nuovo sistema di misurazione,

quello metrico decimale.

La creazione di un sistema di misurazione standardizzato e

condiviso da tutti era da tempo negli auspici della comunità

scientifica. La Rivoluzione lo concretizzò.

Nel 1791 l’Académie Royale des Sciences nominò una Commission

des poids et des mésures, composta da Jean-Charles Borda (1733-

1799), Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat de Condorcet (1743-

1794), Joseph Louis Lagrange (1736 – 1813), Pierre-Simon de

Laplace (1749 - 1827) e Gaspard Monge (1746-1818). Il 28

Germinale 1795 la Convenzione della Francia rivoluzionaria,

introducendo il sistema metrico decimale, stabilì quale unità di

lunghezza - detta metro - la decimilionesima parte del quadrante

Page 93: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

93

meridiano della Terra: il valore provvisoriamente accettato fu poi

leggermente modificato in base a successive misure del grado di

meridiano (fino ad allora misurato in tese) e nel 1799 la

Commission des poids et des mésures in base ai calcoli elaborati sui

risultati dell’impresa, fece costruire il regolo in platino denominato

successivamente metro legale con decreto del 24 aprile 1799 in due

esemplari, uno per l'Archivio ed uno per l'Osservatorio. L’impresa

si concluse, dopo mille vicissitudini, solo nel 1799. E’ noto tuttavia

l'errore compiuto da Méchain nelle sue rilevazioni, un errore di 3”

sulla latitudine di Barcellona. Più tardi il 26 aprile del 1803

Méchain riuscì a ripartire per una nuova missione finalizzata al

prolungamento dell’arco di meridiano da Barcellona fino alle

Baleari, ma morì di febbre gialla nel 1804 e il suo lavoro fu portato

a termine più tardi da Jean-Baptiste Biot.

L'introduzione del sistema metrico decimale fu decretata mentre

erano in corso grandi operazioni di triangolazione, condotte in gran

parte da Méchain e Delambre, che collegavano la Francia

continentale con l'Inghilterra, la Spagna, le Baleari, la Corsica, la

Toscana: queste operazioni giunsero a conclusione nei primi anni

dell' 800, ma, come dice Wolf nell'opera già citata, la pazienza degli

uomini della rivoluzione non poté sopportare l'attesa.

Fu tuttavia solo verso la metà dell'Ottocento che il sistema metrico

decimale venne adottato prima in Francia e poi nelle altre nazioni.

Negli ultimi decenni del Settecento gli strumenti, le tecniche di

misurazione e la caratteristica passione dell’età dei lumi per la

raccolta dei dati resero disponibile una grande quantità

d’informazioni sistematiche sul mondo, che i geografi iniziarono a

integrare in una descrizione organica del globo terrestre.

Page 94: IMAGO MUNDI

La forma della Terra e l'immagine del mondo

94

II 14 ottobre 1960 l'XI Coriférénce Générale des Poids et des

Mesures ha stabilito come campione operativo la lunghezza d'onda

nel vuoto della riga rossa del kripton 86, cioè dell'isotopo del

kripton avente numero di massa 86, il metro viene definito come

1.650.763,73 volte tale lunghezza. Siccome le misure di massima

precisione sono quelle interferenziali, basate sull'interferenza delle

onde elettromagnetiche, si è ritenuto infatti opportuno assumere

come campione una lunghezza d'onda. In pratica il valore del metro

non cambia, però il nuovo campione può essere trasferito,

interferometricamente, con la precisione di un milionesimo di

milionesimo di millimetro.

Nel 1799 Pierre Simon Laplace (1749-1827) dimostrò nel “Traitè de

mécanique célèste” che l’ellissoide non corrisponde esattamente alla

forma reale della terra, che ha invece una forma irregolare. Tale

scoperta fu sviluppata in seguito definendo una superficie di

riferimento costituita dalla superficie libera dei mari e dal suo

prolungamento ideale sotto i continenti. Nel 1849 George Gabriel

Stokes (1819-1903) dimostrò la possibilità di determinare la forma

di tale superficie a partire da sole misurazioni di gravità. Essa fu

chiamata geoide nel 1873 da Johann Benedict Listing (1808-1882) e

da allora l’ellissoide di rotazione che meglio vi si adatta per

parametri dimensionali e per orientamento fu considerata solo una

superficie di riferimento.

Page 95: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

95

Un modello di geoide

Nel 1841 Federico Bessel (1784-1846), concludendo l'elaborazione

di tutte le misure del grado effettuate fino ad allora, fissò l'ellissoide

di rotazione terrestre dando i valori 6376,83 km per il semiasse

maggiore e 6355,10 per quello minore (i valori attualmente adottati

per l'ellissoide internazionale, o ellissoide di Hayford, sono

rispettivamente 6378,388 e 6356,912 con una circonferenza

meridiana di 40009,152 ed una circonferenza equatoriale di

40076,592 km). Nonostante le successive determinazioni della

lunghezza della circonferenza terrestre, il valore del metro è stato

lasciato invariato, restando definito come la lunghezza del campione

conservato a Parigi.

Fiedrich Wilhelm Bessel

Fino ad oggi gli studi geodetici si sono concentrati sulla

determinazione del geoide e dell’ellissoide che meglio vi si adatta,

Page 96: IMAGO MUNDI

La forma della Terra e l'immagine del mondo

96

localmente o globalmente. Dal 1800 ad oggi sono stati proposti

numerosi ellissoidi. Uno degli ellissoidi più adottati è quello

misurato da Hayford nel 1909, adottato come ellissoide

internazionale al Congresso geodetico di Madrid nel 1924. Tale

ellissoide è stato utilizzato con differenze di orientamento in diversi

sistemi geodetici, tra i quali quello italiano del 1940 e quello medio

europeo del 1950.

Con le conoscenze ed i mezzi del 1984 è stato calcolato l’ellissoide

WGS84 (World Geodetic System 1984), con un orientamento

medio globale sui parametri del geoide misurato allora. Si tratta del

sistema di riferimento che si sta imponendo come un standard

mondiale, anche grazie alla diffusione del sistema GPS.

Attualmente la geodesia oltre che dei tradizionali strumenti per la

triangolazione sul terreno si basa anche sull’aerofotogrammetria

(l’interpretazione di foto aeree opportunamente rettificate ed

Page 97: IMAGO MUNDI

Imago Mundi – Quaderno 3

97

inquadrate e su accurate misurazioni rese possibili dalle tecnologie

satellitari.

L’epoca dei lumi produsse, oltre agli avanzamenti nel campo della

geodesia, anche significativi progressi nella rappresentazione

cartografica, migliorata con l’introduzione

nel 1728 delle curve di livello per la rappresentazione altimetrica

del terreno in luogo delle tecniche di ombreggiatura e della

rappresentazione a mucchi di talpa precedentemente utilizzate.

Nel XIX secolo e nel XX ebbero infine impulso decisivo le tecniche

di proiezione sul supporto piano costituito dalla carta geografica dei

dati derivanti dalla superficie curva dell’ellissoide. Furono

sviluppate proiezioni con proprietà geometriche diverse che le

rendono adatte ad applicazioni differenti. Tra tutte è da ricordare,

dopo la già citata proiezione cilindrica di Mercatore, la proiezione

di Gauss (1777-1855), cheè alla base di una delle più utilizzate

rappresentazioni della cartografia moderna (UTM) e sue

applicazioni sono anche gli altri i sistemi Gauss-Boaga e Gauss-

Kruger.

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Imago Mundi – Quaderno 3

98

2. Allegato A: Deviamento dalla figura della Terra figura

sferica

1. Kant: geografia fisica, vol I Milano 1807

La superficie della terra è coperta di montagne e di rocce assai

disuguali, le quali formano sì enormi masse, che appena osiamo

guardare nelle loro cavità e precipizj. Nulla di meno tutte queste

disuguaglianze sono trascurabili in confronto della grandezza del

globo. La terra più alta è l’America; quivi s’incontrano le più alte

creste delle montagne. La punta più alta di esse è il Chimborasso nel

Perù, il quale s’innalza 3217 tese parigine sulla superficie del mare.

Il massimo circuito della terra importa 20,557,645 tese; in

conseguenza la montagna più alta è la 6390 parte dell’equatore. Gli

ordinarj grani d’arena per lo più hanno la grossezza di una mezza

linea, e questa presa sei mila volte dà tre mila linee, cioè 250 pollici,

|23| o sia 21 piedi meno due pollici; ed un globo di 21 piedi di

circuito ha per noi una notabile grandezza. Or un grano di arena

assai insignificante ha con questo globo la stessa correlazione, che

la montagna più alta colla terra; e siccome niuno direbbe, che questo

globo avesse perduta la sua rotondità per esservesi attaccati alcuni

granelli di arena, così niuno si avviserà di mettere in dubbio la

rotondità della terra per le sue montagne.

Intanto, malgrado che le montagne influiscono sì poco nella

determinazione della figura sì poco nella determinazione della

figura della terra, pure da alcune esperienze e da molte esatte

osservazioni è risultato doversi attribuire alla terra una forma

diversa dalla sferica, la quale ancora non conosciamo abbastanza,

benchè la questione se essa sia una sferoide compressa, oppur ovale

da lungo tempo sia stata decisa.

L’astronomo Richer, che dall’accademia delle scienze di Parigi fu

spedito nel 1671 all’isola Cayenne nell’America meridionale, la

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Imago Mundi – Quaderno 3

99

quale giace a cinque gradi verso il Nord dall’equatore, per farvi

delle osservazioni astronomiche, trovò, che il suo orologio

esattissimo a pendolo preso con se a Parigi, |24| restava quivi

giornalmente 2 minuti 28 secondi indietro, perlocchè dovette

accorciare il pendolo di 1 ¼ di linea, per fargli battere i secondi.

Questa esperienza confermata da un osservazione di dieci mesi, e

riportata in Francia, suscitò l’attenzione e l’esame di tutti gli

astronomi e filosofi.[1]

Halley inglese osservò nel 1675 sull’isola di

sant’Elena il medesimo fenomeno; ed altri osservarono il

movimento accelerato del pendolo sotto i poli, e la prolungazione

necessaria di esso per farlo battere i secondi. Un pendolo a secondi

in Quito sotto il 0,° 25 di latitudine meridionale è lungo 438 82/100

linee, a Cayenne sotto il 5°, di latitudine settentrionale 439 19/16, a

Parigi di 48° 50’ di latitudine 440 17/30, a Pelle di 66° 47’, di

latitudine 441 17/360.

Da ciò si vede chiaramente, che sotto |25| l’equatore i pesi perdono

della loro gravità, e sotto il polo ne acquistano; ovvero che la forza

di attrazione, come cagione di qualunque gravità, opera meno nella

vicinanza dell’equatore che verso i Poli. Di ciò presto se ne

comprese la ragione; giacchè per mezzo della rotazione della terra,

nella quale i punti del Polo stanno fermi, le regioni vicine a questi

fanno solamente in 24 ore piccolissimi giri, mentre i punti sotto

l’equatore fanno un giro di 5400 miglia geogr., e quindi deve

conchiudersi, che l’attrazione sotto i Poli operi più liberamente e

senza ostacolo, e che sotto l’equatore si diminuisca per mezzo della

forza centrifuga cagionata da una maggior rotazione. Huygens ad

Haag in Olanda, e Newton subito ne conclusero, che la terra non

poteva essere un globo perfetto, ma che era innalzata sotto

l’equatore, ed un poco compressa sotto i due Poli; poichè a principio

nello stato di una fluidità, la forza centrifuga nata sotto l’equatore

per mezzo della rotazione richiedeva, che quivi le parti si

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Deviamento della figura della terra dalla figura sferica

100

estendessero o s’innalzassero, allontanandosi dal centro, cagionando

in tal guisa un concorso di materia proveniente dalla parte de’ Poli.

Da ciò risultò per conseguenza |26| una figura il di cui diametro è

maggiore nell’equatore che nell’asse, o sia una sferoide compressa.

Il calcolo però sulla proporzione dell’asse a confronto del diametro

dell’equatore per ambedue riuscì differente. Huygens lo ritrovò

come 577 a 578, Newton come 229 a 230, cioè quello fissò la

differenza a un miglio e mezzo, questo a quattro miglia. Le loro

conclusioni furono ancora confermate con una scoperta di Cassini

nel 1691. Questi trovò, che Giove il quale in 9 ore 51 minuti gira

intorno al suo asse, ha una figura piatta, e che il diametro

dell’equatore sia di un quindicesimo maggiore di quello dell’asse.

Quindi se ne concluse, che quello che in lui per mezzo di maggiore

celerità di rotazione era stato cagionato in misura maggiore, dovesse

in proporzione aver luogo anche nella terra.

Ma Cassini dubitò di queste conclusioni fondate in parte sopra le

sue proprie scoperte, e piuttosto attribuì alla terra una figura elittica

ovale, sostenendo che nella determinazione della figura della terra

non si dovesse aver riguardo alle speculazioni e conclusioni a priori,

ma bensì alle vere misure; e queste parevano decidere intieramente

per la figura |27| elittica suddetta. Picard nel 1669 aveva misurato

presso Parigi una base di 5663 tese colla massima esattezza, aveva

sempre unito un triangolo all’altro fino ad Amiens, ed aveva trovato

per mezzo del calcolo trigonometrico di essi la distanza de’ circoli

paralleli di Amiens e del punto più meridionale, di 78907 tese: ma

la differenza della latitudine per mezzo di osservazioni

astronomiche era 1°, 22’, 58’’, un grado importava 57057 tese.

Cominciando dall’anno 1683 misurò Cassini, unito ad altri celebri

geometri, il meridiano di Parigi, principiando dall’osservatorio fino

a Callioure nel Roussillon. Ne risultò la distanza di 360648 tese; e

secondo la riduzione al livello del mare, di 360614 tese: e siccome

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Imago Mundi – Quaderno 3

101

la differenza della latitudine importava 6,° 18’, 57’’, ne risultarono

per un grado 57097 tese; dunque 37 tese di più di quello che aveva

trovato Picard. Nell’anno 1718 fu misurato il meridiano verso

Dunkerke e nella distanza dei due punti importò 125454 tese, e la

differenza della latitudine 2,° 11,’ 52’’ ciocchè diede 56960 tese per

la grandezza di un grado, o 100 tese di meno di ciò che Picard aveva

trovato. I gradi verso il Polo |28| diventarono in conseguenza più

corti; quelli verso il mezzo giorno più lunghi. Dunque dovevano

essere più curvi per descrivere un arco maggiore verso il Polo, e più

piatti verso l’equatore. Cassini perciò avendo per fondamento una

base esattamente misurata (cioè di 8°, 40’, 44’’) maggiore di

qualunque altra usata da’ matematici sino a quel tempo, tenne per

decisa la figura ovale della terra, e credette con tutto il diritto e

sicurezza di poter determinare la figura della terra, ed il suo

deviamento della figura sferica. Egli calcolò il primo grado del

meridiano cominciando

dall’Equatore a 58019 tese

il medio, o quarantesimo quinto 57130 id.

il novantesimo, o ultimo del quadrante 56224 id.

la periferia dell’intiero meridiano 20.563.100 id.

la periferia dell’equatore 20.454.274 id.

l’asse terrestre 6.579.368 id.

il diametro del meridiano 6.510.796 id.

di modo che l’asse risultava più lungo del diametro equatoriale per

6572 tese, o una novantesima quinta parte della sua lunghezza, cioè

21 miglia geografiche.

Cassini replicò poi più volte le sue |29| misure, cangiò i luoghi, gli

stromenti, e il modo di misurare, ma trovò sempre il medesimo

Page 102: IMAGO MUNDI

Deviamento della figura della terra dalla figura sferica

102

risultato, cioè, che la terra intorno l’equatore sia piatta e bassa, e

sotto i Poli più curva e voltata, ed in conseguenza abbia la figura di

un uovo.

Le misure erano troppo precise, i calcoli troppo esatti, perchè si

fosse potuto contraddirvi. Ciò non ostante ragioni fisiche

richiedevano intieramente l’opposto, cioè, che si supponesse la terra

verso l’equatore più alta e curva, e verso i poli più bassa e piana. Si

dispose dunque un doppio viaggio per misurare i gradi de’

meridiani: Condamine, Godin, e Bouguer partirono per Quito città

appartenente al Perù nell’America meridionale, la quale ha

solamente 13’ 17’’, cioè quasi nessuna latitudine settentrionale; e

siccome ella è in territorio spagnuolo, partì in loro compagnia

l’abile Antonio de Ulloa. Nell’anno seguente andarono Maupertuis,

Clairaut, Camus e le Monnier a Tornea per misurare il 66° del

meridiano che taglia il circolo polare. Questi ultimi finirono più

presto il loro lavoro, e ritornarono nell’agosto del 1737 a Parigi.

Essi trovarono il grado di 57322 tese; |30| dunque 365 tese più

lungo di quello che misurò Picard fra Parigi ed Amiens, 361 tese

maggiore del grado di mezzo della distanza de’ paralleli di

Colliauro e Dunkerke, e quasi 1000 tese maggiore di quello che

dovrebbe essere, secondo il calcolo di Cassini. È però facile, che in

questa misura sia corso un errore. Melanderhielm nel 1803 ha

compita una misura ripetuta, e scrive a la Lunde, che Svanberg

unito a tre altri astronomi Svedesi aveva trovato questo grado sotto

una latitudine di 60,° 20’, di 57,199 tese, cosa che dà, per lo

schiacciamento della terra 1/313, che corrisponde meglio alle altre

proporzioni, e dimostra ancora che la figura della terra non sia tanto

irregolare.[2]

La società meridionale che fece le sue misure di tre

gradi nelle alte pianure di Quito, e che dovette sormontare maggiori

ostacoli, ritornò non prima del 1744. Essa trovò i tre gradi ciascuno

di 56753 tese, e perciò 692 tese minore che il medio francese, 25

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Imago Mundi – Quaderno 3

103

tese |31| maggiore di quello che se ne aspettava Maupertuis, e

maggiore di 1370 tese del calcolo di Cassini. Il calcolo e la misura

di ambedue le società, delle quali la meridionale era però più esatta,

convenivano in ciò, che i gradi della terra siano maggiori sotto il

circolo polare e minori sotto l’equatore, e che in conseguenza la

terra sia piatta sotto i poli, ed elevata sotto l’equatore. Ma nel

determinare la deviazione della terra, dalla figura sferica in qualche

cosa differirono. Ciò importò.

Secondo Maupertuis

L'asse 6.525.600 tese

il diametro dell’equatore 6562.480 id.

la differenza 36.380 id.

la proporzione 177.3.173.33 id.

Secondo Bouguer

L’asse 6.525.377 id.

il diametro dell’equatore 6562.026 id.

la differenza 36649 id.

la proporzione 178.179 id.

Ma ancora non si era contenti di queste misure. Cassini, e l’abbate

de la Caille replicarono la misura del grado fra Parigi ed Amiens, e

lo trovarono 17 tese maggiori di prima. Il nominato de la Caille

misurò poi nel 1751 al Capo di Buona Speranza il |32| 33° di

latitudine meridionale, e lo trovò di 57037 tese, di modo che quivi la

terra doveva essere più piatta che sotto il Polo settentrionale.

Page 104: IMAGO MUNDI

Deviamento della figura della terra dalla figura sferica

104

Boscowich misurò nel 1755 il 43° fra Roma e Rimini; Beccaria nel

1768 il 44° nel Piemonte; Liesganig nel 1770 alcuni gradi del

meridiano di Vienna nell’Austria ed in Ungheria. Nella Pensilvania

misurarono Mason, e Dixon il 39’’. Tutti questi gradi differirono

l’una dall’altro, e non corrisposero alla longitudine destinata in caso

della disuguaglianza supposta da Newton, o da Maupartuis, e da

Bauguer.

Dalla seguente tavola si vede il risultato

delle loro misure.

Latitudine media del grado

misurato. Tese.

Nome de’

misuratori.

0° 0’ Lat. mer. 56753

sec. Bauguer e Condam.

33° 18’....................................... 59037 ” De la Caille

39° 12’ Lat. sett. 56888 ” Mason e Dixon

43° 0’....................................... 56979 ” Boscowik e Maire

44° 44’....................................... 57069 ” Beccaria

45° 0’....................................... 57028 ” De Thury

45° 57’....................................... 56881 ” Liesganig

48° 48’....................................... 57086 ” Liesganig

49° 23’....................................... 57069 ” Cassini

66° 20’....................................... 57422 ” Maupertuis, Camus.

|33| Pare dunque, che niun meridiano della terra sia consimile

all’altro, e che la parte meridionale non sia intieramente formata

come la settentrionale; che la terra in generale non abbia una forma

geometrica regolare, la quale la natura non ama, e che noi in nessun

luogo di essa rincontriamo.

Colla ipotesi di Bouguer si accordano i tre gradi del Perù, di Parigi e

della Lapponia. Egli non dà la forma elittica ai meridiani come

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Imago Mundi – Quaderno 3

105

Newton, e fissa benanche differentemente la proporzione del

diametro coll’asse. Newton veramente l’aveva posta come 229: 230;

ma Bouguer la stabilì di 178: 179, o in modo, che egli trovò il

diametro dell’equatore di 36649 tese maggiore dell’asse, cioè

(contando 3808 tese per un miglio geografico) maggiore di 10

miglia. Secondo le più recenti osservazioni lo schiacciamento è

uguale alla trecento trentaquattresima parte del diametro

equatoriale, in modo che il diametro non importa ancora 6 miglia

geografiche.

Page 106: IMAGO MUNDI

Deviamento della figura della terra dalla figura sferica

106

La seguente Tavola dimostra le lunghezze dei gradi secondo

Newton e Bouguer.

Gradi di latitudine

Longitudine secondo

NEWTON BOUGUER

0...... 56637...... 56753

10...... 56659...... 56754

20...... 56724...... 56766

30...... 56823...... 56813

40...... 56945...... 56917

50...... 57074...... 57083

60...... 57196...... 57292

70...... 57295...... 57501

80...... 57360...... 57655

90...... 57382...... 57712

1. ↑ |24| Ved. Riches recueil d’observations faites en plusieurs

voyages. Paris 1693.

2. ↑ |30| Ved. Intelligezblatt der allgem Litterat. zeitung. del

1803 num. 115 pag. 948.

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Imago Mundi – Quaderno 3

107

3. Allegato B: La geografia scientifica

1. Snellius e la prima triangolazione

Quando Keplero scoprì l'ellitticità delle orbite, risolvendo il

problema millenario dei moti planetari, per quanto riguarda le

dimensioni della Terra si era rimasti ancora alla misura effettuata

dagli Arabi 8 secoli prima e cioè a 43 mila chilometri; valore

tuttavia accettato con grande diffidenza per la coesistenza dell'altra

determinazione fatta da Posidonio - 37800 km - avallata dall'autorità

di Tolomeo. Ma per una di quelle concomitanze non certamente

casuali che s'incontrano così frequentemente nella storia della

scienza, quando Cassini e Richer effettuarono la prima

determinazione moderna della parallasse solare, era stata portata a

compimento appena da un anno la prima misura, di precisione

moderna, della circonferenza terrestre.

L'era del metodo moderno, quello delle triangolazioni, era stata già

inaugurata da Snellius, in Olanda, nel 1614. Non si tratta,

nell'essenziale, che del vecchio metodo di Eratostene, l'innovazione

riguardando solo la misura della lunghezza dell'arco di meridiano

che viene ottenuta con un procedimento detto appunto di

triangolazione; però tale procedimento consente una precisione che

è rimasta insuperata fino ai giorni nostri. Consiste nel classico

metodo trigonometrico di misura delle distanze applicato in

ripetizione: partendo da una base effettivamente misurata sul terreno

con un'asta, mediante misure di angoli si ottiene la misura di una

seconda base assai più lunga della prima; da questa se ne ottiene una

terza, e così via fino ad ottenere per mezzo di sole misure

goniometriche la lunghezza di un arco di meridiano di sufficiente

ampiezza. Willebrord Snellius (1580-1626) mediante un'asta

metallica di 3,768 metri (1 ruta olandese) misurò nei pressi di Leida

una base di 328 metri; traguardando poi dagli estremi a e b di questa

Page 108: IMAGO MUNDI

La geografia scientifica

108

base, mediante un quadrante di ottone di 60 cm di raggio, due punti

di riferimento c e d sul terreno e risolvendo i due triangoli così

ottenuti ricavò la distanza tra c e d.

Schema parziali della triangolazione - la prima nella storia - effettuata da

Snellius nei Paesi Bassi per misurare la lunghezza di un arco di

meridiano.

Dagli estremi di questa base secondaria era possibile vedere sia la

torre della cattedrale di Leida che il campanile del villaggio di

Zoeterwoude e quindi, ripetendo il procedimento, poté ottenere la

distanza fra queste due località: da tale nuova base ottenne la

distanza fra Leida e L'Aia (15800 metri) e così proseguendo

attraverso i polders olandesi sviluppò una rete di triangoli

congiungente Alkmaar a nord del paese con Bergen a sud ottenendo

per la distanza fra queste due città 34597 rute. Infine, poiché

dall'ombra di alte torri a mezzogiorno vero la linea Alkmaar-Bergen

apparve fare un angolo di 11°16' col meridiano, la lunghezza

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Imago Mundi – Quaderno 3

109

dell'arco di meridiano compreso fra il parallelo di Alkmaar e quello

di Bergen risultò di 33930 rute, pari a 127,85 km. L'osservazione

dell'altezza della Stella Polare dette per la differenza di latitudine

1°11',5 ricavandosi quindi per il grado di meridiano la lunghezza di

107,29 km e per la circonferenza meridiana della Terra 38600 km.

Il valore ottenuto non è più vicino al vero di quello dei Greci, ma

l'impresa di Snellius ebbe grande importanza per il "rodaggio" del

metodo. Il risultato fu pubblicato nel 1617 sotto il titolo

"Eratosthenes batavus de Terrae vera quanitate"; dopo la

pubblicazione, Snellius rilevò alcuni errori di misura e di calcolo e

si mise all'opera per correggerli, ma purtroppo morì prima di portare

a compimento il lavoro di revisione. L'elaborazione delle nuove

misure fu completata solo un secolo più tardi e risultò che la

revisione di Snellius portava la circonferenza terrestre a 40370 km,

un risultato veramente ammirevole per gli strumenti di cui

disponeva Snellius e che mostra la precisione di cui il metodo è

suscettibile.

2. La catena di Riccardo Norwood

Nel 1633 Riccardo Norwood, professore di matematica e di nautica

a Londra, tentò la misura col vecchio metodo degli Arabi e cioè

ricorrendo invece che alla triangolazione alla misura diretta

dell'arco di meridiano sul terreno. Con una catena di 30 metri

misurò la distanza fra Londra e York, città situate quasi sullo stesso

meridiano; seguì la strada tenendo conto mediante la bussola delle

varie direzioni, nonché della pendenza dei tratti non orizzontali,

trovando per l'arco di meridiano la lunghezza di 275 km. La

differenza di latitudine, stabilita osservando l'altezza del Sole a

mezzogiorno, prima a Londra, e poi esattamente due anni dopo alla

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La geografia scientifica

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stessa data a York, risultò 2° 28' ottenendosi quindi per la

circonferenza terrestre la lunghezza di 40200 km: un ottimo valore.

3. Jean Picard e le grandi triangolazioni francesi

Nel 1669 Jean Picard (1620-1682) dette inizio all'era delle grandi

triangolazioni francesi. Dall'esame del lavoro di Snellius aveva

tratto il convincimento che bisognava partire da una base misurata

sul terreno molto più lunga: cercò per questo un tratto di strada

diritta e piana sufficientemente lunga e lo trovò fra Villejuive e

Juvisy, a sud di Parigi. Misurò questo tratto mediante due aste di

legno di 390 cm (due tese francesi) che riportava alternativamente

lungo una corda in tensione: due misure successive fornirono

11041,9 e 11043,0 metri, con un'incertezza quindi solamente dello

0,1 per mille. Su questa base sviluppò una vasta rete di triangoli

traguardando torri e campanili mediante un quadrante con due

cannocchiali, uno fisso e l'altro girevole, muniti di crocicchio di fili

al fuoco dell'obiettivo e dell'oculare, dispositivo questo introdotto

nell'Astronomia vent'anni prima da Gascoigne. Il lato più lungo

osservato, quello che univa Malvoisine a Mareuil, misurava 62,199

km e le mire vennero traguardate di notte accendendo in loro

prossimità grandi fuochi. Lo stesso lato, ottenuto indirettamente

dalla combinazione di altri triangoli, risultò 62,192 km: una

differenza di soli 7 metri. Attraverso le successive misure

goniometriche era stata quindi mantenuta la precisione dello 0,1 per

mille con la quale era stata misurata la base primaria: risultato

raggiunto con le solite tre regole auree dell'osservatore e dello

sperimentatore: perfezione di strumenti, estrema diligenza

nell'operare, grande sagacia nell'individuare e valutare le fonti di

errore.

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Imago Mundi – Quaderno 3

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Ogni volta che traguardando una mira dagli estremi di un lato si

misuravano i due angoli alla base di un triangolo, si aveva cura

anche di traguardare viceversa dalla mira i due estremi in modo da

misurare pure l'angolo al vertice: misura questa superflua dal punto

di vista della pura geometria, ma utile operativamente per verificare

se la somma dei tre angoli è esattamente 180°. Di solito Picard

trovava una differenza di pochi secondi d'arco che ripartiva fra i tre

angoli, in ugual misura oppure proporzionalmente all'incertezza

stimata, se qualche angolo era ritenuto meno "sicuro" degli altri (per

minore visibilità atmosferica, per la natura della mira, ecc.).

Al termine delle operazioni Picard aveva stabilito una grande

poligonale di tre lati (a rigore tre archi di cerchio massimo) di

lunghezza nota con grande precisione ed avente gli estremi in

Sourdon, a nord, ed in Malvoisine, a sud. L'orientamento di ciascun

lato venne stabilito mediante osservazioni della Stella Polare

(tenendo conto ovviamente della distanza della stella dal polo

celeste) e fu così possibile "proiettare" ciascun lato sulla linea

meridiana ed ottenere la lunghezza dell'arco di meridiano compreso

fra i paralleli di Sourdon e di Malvoisine che risultò 68431 tese, pari

a 133,362 km. L'ampiezza di quest'arco, cioè la differenza di

latitudine fra queste due località, fu determinata misurando a

Sourdon ed a Malvoisine, con un settore zenitale avente la

precisione di 3", la distanza zenitale della stella delta di Cassiopea:

l'arco risultò di 1°11'57" ottenendosi quindi per la lunghezza di 1° di

meridiano 111,212 km.

Un'estensione della rete di triangoli fino ad Amiens dette come

valore del grado 111,196 km e ciò da un'idea dell'attendibilità dei

risultati. Dalla media di questi valori si ottenne la lunghezza di

40033 km per la circonferenza meridiana della Terra, con

l'incertezza di 4 km e cioè dell'l su 10.000. In realtà però l'errore

nella circonferenza era alquanto maggiore di quanto si poteva

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La geografia scientifica

112

dedurre dalla precisione della misura del grado, e ciò per il fatto che

la Terra non è una sfera ma piuttosto un ellissoide.

La relazione su questa determinazione fu pubblicata nel 1671 in una

memoria intitolata "Mesure de la Terre". Cosicché, giusto un anno

prima che si desse inizio, con la spedizione a Cayenna, alle moderne

misure della parallasse solare, si era giunti ad avere un'informazione

sulla dimensione della Terra adeguata alle esigenze delle misure

astronomiche che sarebbero state effettuate nei decenni seguenti.

Richer durante il suo soggiorno a Cayenna nel 1672-73 aveva

constatato che un pendolo esattamente regolato a Parigi per battere

il secondo, laggiù ritardava di 2 minuti in 24 ore e cioè che il

pendolo battente il secondo era sensibilmente più corto a Cayenna

che a Parigi. Huyghens e Newton calcolarono poi che la Terra per

effetto della rotazione doveva essere un ellissoide con

schiacciamento compreso fra 1/280 e 1/580 a seconda che si

accettassero rispettivamente le ipotesi estreme di un globo di densità

uniforme oppure crescente da zero in superficie ad infinito al centro.

Il ritardo del pendolo osservato da Richer era quindi da attribuire

all'effetto combinato della maggiore forza centrifuga e della

maggiore distanza dal centro del globo. Comincia così in questi anni

a prendere corpo un campo di ricerche autonomo rispetto sia

all'Astronomia che alla Geografia, ai cui fini erano fino ad allora

esclusivamente volte le indagini sulla dimensione della Terra, e che

ricevette il nome di Geodesia.

4. La triangolazione dello Stato Pontificio nel 1750

Fra le operazioni geodetiche ricorderemo ancora la triangolazione

attraverso lo Stato Pontificio effettuata nel 1750 dai gesuiti Ruggero

Boscovich e Cristoforo Maire per incarico di Papa Benedetto XIV

(il famoso cardinale Lambertini di Bologna). La relazione fu data

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alle stampe nel 1755 sotto il titolo "De litteraria expeditione per

pontificiam ditionem ad dimetiendos duos meridiani gradus et

corrigendam mappam geographicam".

Misurata con un'asta di legno una base di 11,767 km lungo il litorale

presso Rimini, da questa fu sviluppata per vette di montagne una

successione di triangoli congiungente Rimini con Roma (cupola di

S. Pietro): l'arco di meridiano compreso fra i paralleli estremi risultò

di 161253,6 passi romani (equivalenti a circa 240 km), mentre

l'ampiezza di tale arco, stabilita con l'osservazione delle stelle

del Cigno e dell'Orsa Maggiore, risultò 2°9'45": si ebbe quindi

per un grado la lunghezza 74568,1 passi, pari a 111,048 km, valore

che per la latitudine di 43° era in buon accordo con la figura

ellissoidica stabilita allora da Bouguer

Bibliografia e sitografia

http://www.vialattea.net/eratostene/tempesti/bessel.html

Carl B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 2001

A. Schiavi, Vademecum cartografico, V&P Università, Milano

2002

http://www.geometrie.tuwien.ac.at/karto/index.html#14

http://www.leganavale.it/portale/cultnaut_lez5.asp

http://www2.unibo.it/musei-universitari/PercorsoNS/indice1.htm

http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk/~history/

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La geografia scientifica

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http://users.libero.it/prof.lazzarini/geometria_sulla_sfera/geo.htm

http://www.arrigoamadori.com/lezioni/SuperficieInR3/SuperficieIn

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http://web.unife.it/progetti/matematicainsieme/matcart/appiat.htm

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Imago Mundi – Quaderno 3

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Direzione

Fernando Sansò

Redazione:

Edoardo Marzorati

Michelangelo Michelini

Liceo Scientifico “P. Carcano” – Como

Comitato Scientifico

Giuseppina Cardile

Valeria Cereda

Maristella Galeazzi

Massimiliano Pagani

Andrea Pini

Comitato Filosofico – Letterario

Roberta Brandimarte

Marina Doria

Claudio Fontana

Raffaella Frigerio

Domitilla Leali

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Il progetto triennale “Imago Mundi” è nato da una

cooperazione tra il Corso di Studi in Ingegneria Civile e

Ambientale del Polo di Como del Politecnico di Milano e

alcune scuole della provincia con l’obiettivo di analizzare

l’impatto dalle nuove tecnologie spaziali (La Terra vista

dallo spazio è infatti il sottotitolo del progetto), nella

concezione filosofica del mondo, nella sua conoscenza

scientifica, nelle tecnologie di uso comune, nella

letteratura e più in generale nella comunicazione che di

tali materie si occupa. Delle numerose attività svolte -

seminari, conferenze, assemblee, riunioni di scuola e

lavori di classe si è voluto lasciare testimonianza

attraverso tre quaderni che raccogliessero i materiali

analizzati e le successive elaborazioni.

Questo è il 3° ed ultimo quaderno di questo progetto.

Ancora una volta desidero ringraziare i docenti che hanno

partecipato al lavoro e gli studenti tutti, che hanno dato

slancio al progetto.

Fernando Sansò