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IL RISORGIMENTO L’Unità d’Italia elli D'Italia (completo + testo nel video)-Mameli - YouTube

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L’Unità d’Italia. Il Risorgimento. Cos’è il Risorgimento italiano?. - PowerPoint PPT Presentation

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Page 1: Il Risorgimento

IL RISORGIMENTOL’Unità d’Italia

Fratelli D'Italia (completo + testo nel video)-Mameli - YouTube.url

Page 2: Il Risorgimento

Cos’è il Risorgimento italiano?

Con Risorgimento la storiografia si riferisce al periodo della storia d'Italia durante il quale la nazione italiana conseguì la propria unità nazionale, riunendo in un solo Stato il Regno d'Italia e gli stati preunitari.

Sebbene non vi sia consenso unanime tra gli storici, la maggior parte di essi tende a stabilire l'inizio del Risorgimento, come movimento, subito dopo la fine del dominio Napoleonico e il Congresso di Vienna nel 1815, e il suo compimento fondamentale con l'annessione dello Stato Pontificio e lo spostamento della capitale a Roma, nel febbraio 1871.

Page 3: Il Risorgimento

Mappa preunitaria della penisola italiana

Page 4: Il Risorgimento

La “primavera dei popoli” e la Prima guerra d’Indipendenza

Le cinque giornate di Milano - Dipinto di Baldassarre Verazzi

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Cca succede ‘o quarantotto!

Gli anni 1847-1848, la cosiddetta "Primavera dei popoli", videro lo sviluppo di vari movimenti rivoluzionari in tutta Europa; rivolte scoppiarono in Francia, nello Stato di Baden, in Germania, e in seguito in tutti gli stati tedeschi; i tumulti si estesero anche in Austria, in Ungheria, in Polonia.

Questi moti furono repressi secondo gli schemi della Restaurazione, tranne che in Francia, dove re Luigi Filippo Borbone d'Orléans cedette il trono a Luigi Napoleone, che, dopo quattro anni, diventerà Napoleone III imperatore dei francesi. Questi eventi francesi provocarono la fine degli equilibri politici esistenti in Europa dal Congresso di Vienna, modificando le alleanze fra gli stati.

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I sovrani concedono la Costituzione

Nel Regno delle Due Sicilie, continuava invece una forte repressione politica: nel 1844, ad esempio, i giovani fratelli Attilio (1810–1844) ed Emilio Bandiera (1819–1844), disertori della marina austriaca, furono fatti fucilare dal re Ferdinando II per aver tentato una spedizione di tipo mazziniano in Calabria, che causò una rivolta indipendentista in Sicilia. La rivolta si propagò anche a Napoli e costrinse il sovrano a promulgare l'11 febbraio del 1848 una costituzione simile a quella francese del 1830. Gli altri sovrani italiani dovettero seguire rapidamente l'esempio di Ferdinando II: Leopoldo II di Toscana concesse uno Statuto dopo pochi giorni, il 4 marzo Carlo Alberto promulgò lo Statuto albertino e il 14 marzo fu la volta dello Stato Pontificio.

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La prima guerra d’Indipendenza

In Italia il 1848 fu segnato dalla decisione da parte del Regno di Sardegna di farsi promotore dell'unità italiana. Primo passo in tal senso fu la Prima Guerra d'Indipendenza, anti austriaca, scoppiata in occasione della rivolta delle Cinque giornate di Milano (1848). Tale guerra, condotta e definitivamente persa da Carlo Alberto a seguito della sconfitta nella Battaglia di Novara, si concluse con un sostanziale ritorno allo statu quo ante e la salita al trono di Vittorio Emanuele II a seguito dell'abdicazione del padre.

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Il “decennio di preparazione”

Nei dieci anni successivi alla sconfitta riprese inizialmente vigore il movimento repubblicano mazziniano, che promosse una serie di insurrezioni, tutte fallite.

Quelle che più impressionarono l'opinione pubblica italiana ed europea furono l'episodio dei martiri di Belfiore (1852), strascico repressivo austriaco contro le ribellioni avvenute negli anni precedenti nel Regno Lombardo Veneto, e la disastrosa spedizione di Sapri (1857), nel Regno delle Due Sicilie, conclusasi con la morte di Carlo Pisacane e dei suoi 23 compagni, massacrati dai contadini assieme ad altri patrioti liberati all'inizio della spedizione dal carcere di Ponza. Fortemente impressionò la borghesia italiana anche la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 che condotta con spirito mazziniano, ossia confidando in una spontanea partecipazione popolare e addirittura nell'ammutinamento dei soldati ungheresi dell'esercito austriaco, fallì miseramente nel sangue.

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La “realpolitik”

Nel 1850 Camillo Benso conte di Cavour entra nel governo piemontese: inizialmente come ministro per il commercio e l'agricoltura, divenendo poi anche ministro delle finanze e della Marina; infine è primo ministro il 4 novembre 1852. Fin dall'inizio come ministro del commercio intraprende un'azione che punta a molteplici accordi con le nazioni europee ed approfondisce i contatti viaggiando nell'estate del 1852 ed incontrando a Londra il Ministro degli Esteri inglese a Parigi Luigi Napoleone ed il ministro degli esteri francese. Per cui ben presto la politica dei contatti e degli accordi di Cavour fu ammirata in Europa, perché mirava a preparare una solida rete di intese "per una grande operazione nazionale".

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La Seconda guerra d’Indipendenza

Napoleone III

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Alla ricerca del “casus belli”

Il biennio 1859-1860 costituì una nuova fase decisiva per il processo d'unificazione, caratterizzato dall'alleanza tra la Francia di Napoleone III e il Regno di Sardegna siglata con gli accordi di Plombieres del 21 luglio 1858, che però non prevedevano ancora la completa unità italiana estesa a tutta la penisola.

Il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II, inaugurando i lavori del Parlamento subalpino, pronunciò un famoso discorso dicendo: «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi»; frase che esprimeva un'accusa di malgoverno austriaco sugli italiani ai quali il re sabaudo si proponeva come loro soccorritore e una velata ricerca di "casus belli": elemento quest'ultimo necessario poiché, secondo gli accordi, Napoleone III sarebbe entrato in guerra solo in seguito ad un attacco austriaco al Piemonte.

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Arriva l’ultimatum dell’Austria

Nel frattempo Garibaldi veniva autorizzato a condurre apertamente una campagna di arruolamento di volontari nei Cacciatori delle Alpi, una nuova formazione militare regolarmente incorporata nell'esercito sardo. L'Austria colse nelle parole del sovrano piemontese e nel riconoscimento ufficiale dei volontari agli ordini del noto rivoluzionario mazziniano Garibaldi, che veniva stanziato ai confini del Lombardo-Veneto, una provocazione e una sfida.

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Iniziano gli scontri

Dopo mesi, durante i quali sembrava non volesse accadere nulla, giunse l'ultimatum austriaco al Piemonte con l'ingiunzione di disarmare l'esercito e i volontari. Cavour in risposta all'intimazione austriaca dichiarò di voler resistere all'«aggressione» e a fine aprile giunse la dichiarazione di guerra degli austriaci che attaccarono il Piemonte attraversando il confine sul fiume Ticino (26 aprile).

Il 12 maggio 1859 l'alleato francese Napoleone III, secondo gli accordi convenuti, entrò in guerra al comando dell'Armée d'Italie. Seguì nel periodo maggio-giugno una serie di vittorie franco-piemontesi, ma con molte perdite, mentre i Cacciatori delle Alpi al comando di Garibaldi dopo aver preso Varese, Bergamo, Brescia continuavano ad avanzare verso il Veneto.

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A Villafranca si firma un armistizio

A questi avvenimenti, che sconvolgevano gli accordi di Plombieres sulla spartizione degli stati italiani, si aggiunsero il malcontento dell'opinione pubblica francese per l'alto numero di morti nella guerra in Italia e l'opposizione dei cattolici francesi che vedevano realizzarsi i loro timori per la perdita dell'autonomia papale. Per cui, Napoleone III firmò un armistizio (luglio 1859) con l'imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo che concedeva ai Piemontesi la sola Lombardia in cambio dell'abbandono delle terre già occupate nel Veneto e della rinuncia a soddisfare le richieste di annessioni.

Vittorio Emanuele accettò le condizioni di pace e ritirò i commissari regi dalle città di Firenze, Parma, Modena, Bologna dove però i governi provvisori si opponevano alla restaurazione ipotizzando anche una forza militare comune di difesa, mentre le truppe papaline riprendevano militarmente il controllo dell'Umbria ribellatasi. Ma Cavour colse l'occasione delle mutate condizioni offrendo a Napoleone III la Savoia e il Nizzardo in cambio dell'Emilia e della Toscana che, con il consenso della Francia, tramite i plebisciti dell'11 e 12 marzo 1860, entrarono a far parte del Regno di Sardegna.

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La Spedizione dei Mille e la proclamazione del Regno d’Italia

Giuseppe Garibaldi

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Ulteriore passo verso l'unità fu la spedizione "dei Mille" garibaldini in Sud Italia. Quest'ultima era formata da poco più di un migliaio di volontari provenienti in massima parte dalle regioni settentrionali e centrali della penisola, appartenenti sia ai ceti medi che a quelli artigiani e operai; fu l'unica impresa risorgimentale a godere, almeno nella sua fase iniziale, di un deciso appoggio delle masse contadine siciliane, all'epoca in rivolta contro il governo borbonico e fiduciose nelle promesse di riscatto fatte loro da Garibaldi. «Il profondo malcontento delle masse popolari delle campagne e delle città, sebbene avesse le sue radici nella miseria e quindi nella struttura di classe della società, si rivolgeva contro il governo prima ancora che contro le classi dominanti».

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L’Italia si ricompone

Mentre Garibaldi avanzava da sud, in agosto insorse la Basilicata arrivando ad avere un governo provvisorio che rimase in carica fino all'ingresso di Garibaldi a Napoli(7 settembre 1860). Le truppe di Vittorio Emanuele II entravano nello Stato della Chiesa scontrandosi il 18 settembre con l'esercito pontificio nella Legazione delle Marche, a Castelfidardo, dove ottennero la vittoria che portò poi all'annessione di Marche ed Umbria. Solo dopo questa vittoria si poté pensare alla proclamazione del Regno d'Italia in quanto fu possibile unire politicamente le regioni del nord e del centro, confluite nel Regno di Sardegna in seguito alla seconda guerra d'indipendenza, alle regioni meridionali conquistate da Garibaldi, definitivamente sottratte ai Borbone e simbolicamente consegnate al Regno d’Italia e ai Savoia nello storico incontro di Teano, il 26 ottobre del 1860.

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Terza guerra d’Indipendenza

Quando Vittorio Emanuele II divenne re d'Italia e fu proclamata la nascita del Regno, il 17 marzo 1861, il processo di unificazione nazionale non poteva considerarsi definitivo, poiché, da un lato, il Veneto, il Trentino e Trieste appartenevano ancora all'Austria e dall'altro Roma era saldamente nelle mani del Papa. Così, nel 1866 avvenne la terza guerra d'indipendenza.

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Italia e Prussia contro l’Austria

Le crescenti tensioni fra Austria e Prussia per la supremazia in Germania (sfociate infine nel 1866 nella guerra austro-prussiana) offrirono al neonato Regno d'Italia l'opportunità di effettuare un consistente guadagno territoriale a spese degli Asburgo. L'8 aprile 1866 il Governo Italiano (guidato dal generale Alfonso La Marmora) concluse una alleanza militare con la Prussia di Otto von Bismarck, grazie anche alla mediazione della Francia di Napoleone III. Si era creata, infatti, un'oggettiva convergenza fra i due Stati che vedevano nell'Impero Austriaco l'ostacolo ai disegni di unificazione nazionale.

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Il 16 giugno 1866 la Prussia iniziò l'ostilità contro alcuni principati tedeschi alleati dell'Austria

La cessazione delle ostilità venne sancita con l'Armistizio di Cormons, il 12 agosto 1866, seguito il 3 ottobre 1866 dal trattato di Vienna.

Secondo i termini del trattato di pace, l'Italia guadagnò Mantova e l'intera antica terraferma veneta (che comprendeva l'attuale Veneto e il Friuli occidentale). Rimanevano in mano austriaca il Trentino, il Friuli orientale, la Venezia Giulia e la Dalmazia.

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Roma era ancora dei papi

Seppure alla proclamazione del Regno d'Italia fosse stata indicata Roma come capitale del nuovo Stato, la città rimaneva la sede dello Stato Pontificio, ridotto ormai al solo Lazio e sotto la protezione delle truppe francesi, che più volte respinsero i tentativi del governo italiano di impadronirsi della città. Finché, una azione energica di truppe italiane, con bersaglieri e carabinieri in testa, il 20 settembre 1870, riuscì a entrare dalla breccia di Porta Pia nella capitale.

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Roma, capitale del Regno Dopo il plebiscito del 2 ottobre 1870 che sancì

l'annessione di Roma al Regno d'Italia, nel giugno del 1871 la capitale d'Italia, già trasferita, secondo la Convenzione di settembre (1864), da Torino a Firenze, divenne definitivamente Roma.

Papa Pio IX, che si considerava prigioniero del nuovo Stato italiano, reagì scomunicando Vittorio Emanuele II e proibendo ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica italiana; e questa esclusione durò per un cinquantennio e si risolse in modo definitivo solo con i Patti Lateranensi, del 1929. Ma questa è già un’altra storia.

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