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Marinai d’Italia 15 D opo millenni di assoluta sottovalu- tazione del potere marittimo l’Im- pero di Mezzo - nella attuale e for- se contingente personalizzazione della “Repubblica Popolare Cinese” - si è im- barcato in un vigoroso potenziamento delle sue forze aeronavali per tenere dietro all’espansione della propria sfera geopolitica di influenza e soddisfare le connesse necessità strategiche. Le più importanti delle quali riguardano, in estrema sintesi: la protezione del territorio metropolitano dalla penetrazione, dall’intrusione e dal- l’ingerenza, e del potere marittimo statu- nitense, includendo nel tema anche il problema di Taiwan e affari collegati (al- lo scopo, ad esempio, di impedire show down di portaerei USN nello stretto di Formosa - AD 1996, l’ultimo episodio - in occasione di crisi “interne” di Pechino con la “provincia ribelle”); la necessità del mostrar bandiera in mari e lidi lontani, anche e soprattutto in concomitanza con lo sviluppo delle proprie iniziative economiche su sca- la planetaria, fornendo protezione alle decine di milioni di lavoratori cinesi impegnati “oversea”, sia come dia- spora Han che come protagonisti del nuovo imperialismo soft di Pechino (mezzo milione solo in Africa); I più re- centi casi quello della Libia, che pe- raltro non ha visto navi militari cinesi in azione, nonché la repressione della pirateria al largo della Somalia, che invece vede una continuativa presen- za navale cinese; l’esercizio della crescente rivalità ma- rittima nei riguardi dell’India e delle agguerrite medie navali potenze del- l’area (Giappone, Corea del Sud, Au- stralia e, più recentemente, la coppia Vietnam-Filippine) nonché l’espleta- mento della funzione di potenza ege- mone regionale nei confronti dei vicini recalcitranti (più o meno i paesi citati, ma non solo); 14 Marinai d’Italia Forze aeronavali Il problema strategico navale della Cina Andrea Tani Analista strategico Sopra, la portaerei cinese Liaoning A sinistra, personale delle Forze Armate filippinne issano la bandiera nazionale sullo scoglio di Scarborough nel Mar cinese meridionale Nella pagina a fianco, in basso, l’isola Yongxingdao dell’arcipelago Senkaku/Diaoyu La zona geografica teatro del presente articolo. In rosso evidenziate le isole Spratly e, sempre in rosso, verso nord-est, lo scoglio di Scarborough e l’arcipelago delle Senkaku/Diaoyu

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Marinai d’Italia 15

D opo millenni di assoluta sottovalu-tazione del potere marittimo l’Im-pero di Mezzo - nella attuale e for-

se contingente personalizzazione della“Repubblica Popolare Cinese” - si è im-barcato in un vigoroso potenziamentodelle sue forze aeronavali per teneredietro all’espansione della propria sferageopolitica di influenza e soddisfare leconnesse necessità strategiche. Le piùimportanti delle quali riguardano, inestrema sintesi:

• la protezione del territorio metropolitanodalla penetrazione, dall’intrusione e dal-l’ingerenza, e del potere marittimo statu-nitense, includendo nel tema anche ilproblema di Taiwan e affari collegati (al-lo scopo, ad esempio, di impedire showdown di portaerei USN nello stretto diFormosa - AD 1996, l’ultimo episodio - inoccasione di crisi “interne” di Pechinocon la “provincia ribelle”);

• la necessità del mostrar bandiera inmari e lidi lontani, anche e soprattutto

in concomitanza con lo sviluppo delleproprie iniziative economiche su sca-la planetaria, fornendo protezione alledecine di milioni di lavoratori cinesiimpegnati “oversea”, sia come dia-spora Han che come protagonisti delnuovo imperialismo soft di Pechino(mezzo milione solo in Africa); I più re-centi casi quello della Libia, che pe-raltro non ha visto navi militari cinesiin azione, nonché la repressione dellapirateria al largo della Somalia, che

invece vede una continuativa presen-za navale cinese;

• l’esercizio della crescente rivalità ma-rittima nei riguardi dell’India e delleagguerrite medie navali potenze del-l’area (Giappone, Corea del Sud, Au-stralia e, più recentemente, la coppiaVietnam-Filippine) nonché l’espleta-mento della funzione di potenza ege-mone regionale nei confronti dei vicinirecalcitranti (più o meno i paesi citati,ma non solo);

14 Marinai d’Italia

Forze aeronavali

Il problemastrategico navaledella Cina Andrea TaniAnalista strategico

Sopra, la portaerei cinese Liaoning

A sinistra, personale delle Forze Armatefilippinne issano la bandiera nazionalesullo scoglio di Scarboroughnel Mar cinese meridionale

Nella pagina a fianco, in basso,l’isola Yongxingdao dell’arcipelagoSenkaku/Diaoyu

La zona geografica teatro del presente articolo.In rosso evidenziate le isole Spratly e, sempre in rosso,verso nord-est, lo scoglio di Scarboroughe l’arcipelago delle Senkaku/Diaoyu

sotto quello simbolico, data la stazza degliinteressati al contenzioso, Cina, Giappo-ne e Corea del sud. Riguarda un piccoloe inospitale arcipelago, roccioso e disa-bitato, del Mare della Cina Orientale

chiamato Senkaku in Giapponese eDiaoyu in Cinese. È ricco di risorse natura-li, gas e petrolio in particolare, che ancoranon sono state sfruttate. Era stato acqui-stato nello scorso settembre dal governogiapponese dal precedente proprietarioprivato, per evitare che le isole cadesseronelle mani di un politico nazionalista.

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Pechino, che contesta la legittimità del-l’acquisto, ha reagito inviando pattuglienavali in prossimità delle isole contesta-te, mentre in tutto il Paese si sono molti-plicate la manifestazioni anti-giapponesie il boicottaggio di prodotti made in Ja-pan. I giapponesi hanno reagito con al-trettanto puntiglio, anche se con menoclamore mediatico. La fa da padrone, inentrambi i campi, accanto al petrolio, l’or-goglio nazionale vale a dire la scintillache può sempre dare fuoco alle polveri,soprattutto fra popoli che si sono dura-mente combattuti sino alla prima metàdel Novecento. L’ipotesi è piuttosto remo-ta ma fino a poco tempo fa non era nean-che ipotizzabile, e si sa che le dinamichedi revanche spesso forzano la mano. L’ultima, e forse più importante, necessitàstrategica della nuova Cina è costituitadalla difesa della giugulare energeticache consiste soprattutto nel mantenere la

roccioso vicino all’arcipelago filippino,apparentemente circondato da enormigiacimenti di gas. Si tratta in gran parte di atolli e roccearide i cui nomi cambiano secondo lemappe dei vari paesi coinvolti nella con-tesa. Il loro valore si misura più per lericchezze dei fondali che non per quelledi superficie, oltre al fatto di trovarsi alcentro delle rotte transoceaniche traffi-catissime da e per il Medio Oriente, l’Eu-ropa e l’Africa e di essere zone molto pe-scose. Secondo le pretese di Pechino, leacque territoriali storiche, ovviamentecinesi, che le comprendono, sono rac-colte dentro una specie di colossale Uche si estende fino a mille chilometri dal-le coste della PRC. Una posizione chemette in diretto contrasto quest’ultimanon solo con i paesi più vicini, comeVietnam, Filippine, Malaysia e Brunei,ma anche con la potenza regionale in-diana e la superpotenza americana. A nord è invece in atto una disputa territo-riale meno pregnante sotto l’aspetto eco-nomico ma molto di più foriero di pericoli

• la protezione dei propri interessi neimolteplici contenziosi sulle risorsedella piattaforma continentale prospi-ciente il Mar Cinese (Meridionale edOrientale), e il Mar Giallo.

Le isole al centro delle contese territoria-li più incandescenti sono, a sud, le Para-cel al largo del Vietnam, già teatro di duebrevi guerre con la Cina negli anni ‘70 e‘80, una combattuta dai nazionalisti delSud e l’altra dai comunisti dopo l’unifica-zione del Paese. Anche se da tempo re-gna una pace apparente, due navi per lericerche petrolifere vietnamite si sono vi-ste tagliare i tubi di sondaggio sfiorandol’ennesima crisi diplomatica. Ancora piùa sud il conflitto è storicamente legato alcontrollo delle centinaia di isolette delleSpratly, sulle cui terre emerse e immerse(fino a 4 metri sopra il livello del mare) re-clamano un diritto territoriale altri seiPaesi Filippine, Vietnam, Malaysia, Indo-nesia, Taiwan, Brunei.Infine c’è il casus belli più recente delloscoglio di Scarborough, uno spuntone

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Pechino, 25 settembre 2012 - Taipei si inserisce nella disputa territorialesulle isole Senkaku (in Giapponese) Diaoyu (in Cinese) e nella mattinata di martedìle navi della guardia costiera giapponese hanno ingaggiato un duelloa colpi di idranti con una quarantina di pescherecci di Taiwan che si sono avvicinatealle isole rivendicandone la sovranità

Addestramento congiunto USA-India a bordo del USS Boxer (foto USS)

Formazione navale congiuntaUSA-India-Giappone

Forze aeronavali

più successivamente. Un riequilibrio ba-sato sui siluri avrebbe comunque un ca-rattere molto rozzo e difficilmente mo-dulabile, poco adatto a quella sapientemanipolazione delle crisi che ha ormaisostituito i conflitti aperti nella competi-zione fra paesi troppo potenti. Niente diparagonabile al sofisticato sistema di

interdizione imposto alla Cina dallageografia e dalla relatività di potenzadell’area Asia Pacifico, un modulo cheWashington padroneggia ancora allagrande dopo essersi sganciata dagliobsoleti conflitti mediorientali “Obsole-ti” perché superati dalla riacquistataautonomia energetica del Nordameri-ca, soprattutto in virtù delle immenserisorse di scisti bituminosi del Canadae dalle nuove tecniche di sfruttamentodei giacimenti esauriti negli stessi StatiUniti, che consentono di riattivare allagrande la filiera petrolifera CONUS. Questa è la vera ragione della disponi-bilità americana ad un ritiro abbastanzafrettoloso dall’Afghanistan e a suo tem-po dall’Iraq, non certo una complessiva

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sconfitta militare sul campo che esistesolo nelle fantasie dei talebani (e dellaestrema sinistra europea).Per perseguire nel modo migliore questastrategia, gli USA hanno inaugurato unasorta di riedizione, riveduta e corretta,della vecchia dottrina Kennan per l’Asia-Pacifico, stendendo una specie di maglia

asiatica di contenimento chiaramenteanticinese (e un domani antirussa, se lanuova assertività del Cremlino dovesseriprendere accenti troppo urticanti) at-traverso accordi di contenimento bilate-rali di valenza variabile con Giappone,Australia, Singapore e Corea del sud –alleati tradizionali di ferro – nonché new-comer come Vietnam, Thailandia, Filippi-ne, Malaysia e anche India (direttamen-te, con molta diplomazia, senza urtare lesuscettibilità indiane e attraverso Tokio,un tradizionale sodale e riferimento sto-rico di New Delhi). In tal modo Washing-ton ha creato una specie di Nato asiaticasostanziandola da par sua, attraverso iltrasferimento in Asia del grosso del pro-prio dispositivo militare – 60% della Flot-te aeree e navali, i tradizionali marines,da sempre “Pacific-oriented” (dislocatipros simamente nell’inospitale nord del-l’Australia), i più avanzati assetti diinfowar e cyber war, intelligence a vo-lontà, e la difesa antibalistica imbarcata.Se quindi il Dragone cinese ha deciso difare la voce grossa sui mari come non eramai avvenuto, troverà molti avversari asbarrargli la strada.

n

fruibilità degli accessi verso e dagliOceani Pacifico e Indiano. L’85% del com-mercio cinese si svolge via mare, unapercentuale impressionante per il gigan-te continentale, perché dimostra il suo re-lativo isolamento nella stessa landmassche dovrebbe dominare e che un tempoaveva effettivamente signoreggiato.

Nel 2010 la Cina ha importato 100 milionidi tonnellate di petrolio. Gli stretti di Hor-muz, Malacca e di Taiwan sono vitali pertale esercizio. Chiunque controlli queglistretti – e non si tratta oggi, e per il preve-dibile futuro, di cinesi – condiziona il flus-so energetico che alimenta il prodigioso

sviluppo dell’economia dei Figli del Cielo,e anche la loro semplice vita. Un bloccodi queste strettoie comporterebbe per laCina lo stesso effetto che avrebbe per glioccidentali il blocco del Golfo Persico.Anzi peggiore, perché l’Europa, che di-spone anche di risorse proprie, può rice-vere via mare petrolio da altri giacimenti

ed è collegata tramite oleodotti e gasdot-ti ai giacimenti nordafricani e russi e gliStati Uniti producono ancora molto petro-lio e gas (anche con nuove tecniche, co-me si dirà più avanti), ricevono facilmen-te quello africano e venezuelano e di-spongono di forti riserve strategiche.È più che evidente che la flotta america-na e gli alleati più fidati degli Stati Uniti inAsia-Pacifico – Australia, Taiwan, Sin-gapore, Corea del sud e Giappone - sonoampiamente in grado di interdire gli ulti-mi due stretti, mentre la stessa flotta e leMarine ANZAC sono in grado di fare al-trettanto per i passaggi residui attraver-so gli arcipelaghi meridionali. Hormuz, ècontrollata quasi completamente dagliStati Uniti e dai loro alleati, NATO, EAU,Arabia Saudita: l’Iran può solo interdirlotemporaneamente in modo occulto eprobabilmente temporaneo, prima di es-sere ridotto in pezzi.Oltre alle strettoie ci sono i mari a suddell’India, non particolarmente propizi aicinesi, che comunque devono essere at-traversati. Pechino sta cercando di diversificare lesue importazioni, ampliando il numero e lalocalizzazione dei fornitori, che comunque

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Forze aeronavali

Sopra, lancio di SM-3 da un caccia nipponico

A destra, Marina pakistana: la fregata Almagir(F 260 ex-US Navy McINERNEY (FFG 8)classe "Oliver H. Perry”

Sotto, la portaerei indiana Viraat (R22)

forniranno idrocarburi via mare, attraver-sando aree controllate dai predetti amicidegli Stati Uniti o dalla stessa flotta ame-ricana, in gran parte nell’Oceano Indianoe mari adiacenti. Ovvero Bab el Mendeb(monitorato da Egitto, Arabia Saudita, NA-TO (CTF 150), US AFRICOM e CENTCOM),Capo di Buona Speranza (sotto tutela diSudafrica e, potenzialmente dopo la cita-ta missione della STANAFORLANT, dellaNATO), Micronesia (US Pacific Command,ANZAC, Nipponici). Il fatto che i riforni-menti arrivino nei porti cinesi su una flottadi petroliere di stato, e quindi non sianosoggetti a possibili condizionamenti ine-renti i trasporti su navi private o di Paesiterzi, ha la sua importanza – commerciale– in tempi normali, ma non certo in situa-zioni di crisi fra la Cina e uno o più di que-sti competitori. Finché non verranno co-struiti gli oleodotti e i gasdotti dalla Sibe-ria e forse del Caucaso, che dovrebberoportare l’energia russa in Cina oltre chesulle coste del Pacifico (a beneficio delGiappone), questa è l’immodificabile si-tuazione.La probabilità e le conseguenze even-tuali di un disturbo o di un’interruzionedei rifornimenti energetici alla Cina pos-sono essere solo ipotizzate. Quello che ècerto è che Pechino è soggetto alla vul-nerabilità descritta e i suoi rivali no, al-meno non per mano cinese, o solo in mi-sura marginale. Per riequilibrare questoscompenso occorrerà attendere la co-struzione della flotta di sommergibili chela PLA Navy ha in programma - un centi-naio di battelli entro il 2020 e ancora di

Marina malese: smg TUN RAZAH tipo «Scorpene»,presso la base navale di Teluk Sepanggar,

nel Nord del Borneo (DCNS)

Un’unita subacqueacinese