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Il Lazio dai Colli Albani ai Monti Lepini tra preistoria ed età moderna a cura di Luciana Drago Troccoli Edizioni Quasar ESTRATTO

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Il Lazio dai Colli Albani ai Monti Lepini tra preistoria ed età moderna

a cura di Luciana Drago Troccoli

Edizioni Quasar

estratto

ISBN 978-88-7140-430-1

© Roma 2009, Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l.via Ajaccio 41-43, 00198 Romatel. 0685358444, fax 0685833591email: [email protected]

I precedentiSebbene il “paesaggio rituale” del lungo periodo compreso tra la fase avanzata del Bronzo antico e la media età

del Bronzo (2000-1350 ca. a.C.) sia dominato dalle cavità naturali e dalle varie forme di culti in esse praticati (Guidi 1989-1990; Guidi 1991-1992), già in quest’epoca esistono diversi indizi di forme alternative di offerte e/o di luoghi di culto, dai ripostigli con asce integre (ad esempio a Canterano) o con panoplia di armi (come quello di Montemerano) in cui si è voluta vedere la celebrazione di un capo guerriero (Peroni 1989, pp. 172-181) alla prima frequentazione (dal Bronzo antico) del laghetto delle Colonnelle, destinata a protrarsi fino alla fine del II millennio a.C. e legata forse a qualche forma di culto delle acque salutari (Mari, Sperandio 1983; Mari, Sperandio 2006), dall’attestazione, nel corso della media età del Bronzo, di un luogo di culto all’aperto, o meglio di una serie di deposizioni votive ai margini di un’area di sommità abitata (Guidi 1989-1990; A. Treglia, dati inediti), all’Eremita di Cassino, all’uso di dedicare oggetti o primizie documentato, oltre che nelle grotte, nell’abitato perilacustre di Mezzano, dove una fettuccia di argento puro fu rinvenuta deposta all’interno di un vaso biconico (Pellegrini 1993).

Con l’età del Bronzo recente cessa bruscamente l’utilizzazione delle grotte naturali, certamente legata alla ve-nerazione di divinità “ctonie” e a pratiche di tipo propiziatorio delle attività agricole. Il nuovo rituale dell’incinerazione (per la prima volta documentato a Cavallo Morto) si accompagna all’affermazione, nella ceramica, assieme alla protome taurina o alle corna appaiate (in epoca più tarda simboli di fecondità e forza virile), del motivo della protome ornito-morfa (Damiani 1992; Damiani 2004). Tale motivo è parte integrante della simbologia del carro o del disco solare trainato da uccelli acquatici – «…rappresentazioni di esseri sovrannaturali che costituiscono un tramite tra l’uomo e vere e proprie divinità antropomorfe ultraterrene…» (Peroni 1996, p. 19) – che proprio ora va diffondendosi nella produzione metallurgica in tutta Europa e che sembra essere derivato da iconografie proprie del Mediterraneo orientale.

Assai più complicato è poter individuare dei luoghi di culto; il caso della risorgiva di Stiffe in Abruzzo, un am-biente impervio in cui la presenza di oggetti sembra essere interpretabile in questa luce, e le notizie delle fonti sull’im-portanza di boschi e altre zone “marginali” sono elementi che fanno ritenere come per un lungo periodo, nella tarda età del Bronzo, le pratiche religiose si svolgessero soprattutto all’aperto (Guidi 1989-1990). Un’utilizzazione di tipo rituale è stata ipotizzata anche per la fossetta posta al centro di una capanna, a Ponte San Pietro Valle, che custodiva cariossidi di grano e semi di veccia (Domanico 1995).

È in quest’epoca, tra la fine del Bronzo recente e gli inizi del Bronzo finale, che si afferma la pratica dell’offerta di armi in acqua (si vedano soprattutto le spade di Mezzano, che si affiancano a quelle già conosciute, trovate nei fiumi Chiana e Pescara, nel lago Trasimeno e in quello, ora prosciugato, del Fucino). A Mezzano, in particolare – da dove provengono anche due asce e una punta di lancia, oltre a una fibula della fase più antica dell’età del Bronzo finale –, le analisi hanno rivelato che le due spade non erano mai state utilizzate (Pellegrini 1993); assai significativa, inoltre, è la prevalenza in tutta l’Italia centrale delle spade da fendente, tipiche del nuovo ceto emergente di armati a caval-lo. All’ambito “celeste e atmosferico” viene ricondotta anche l’offerta dell’ascia, a sua volta riconducibile alla folgore e a

* Devo la possibilità di scrivere questo intervento al cortese invito di Luciana Drago; vorrei però dedicarlo alla memoria di un collega e ami-

co da poco scomparso, Augusto Fraschetti, per tutto quello che ci ha insegnato sulla religione romana arcaica (e non solo).

Alessandro Guidi

ASPEttI DELLA RELIGIoNE Tra LA FINE DELL’ETà DEL BRoNzo E LA I ETà DEL FERRo*

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un’eventuale divinità ad essa associata (Peroni 1996, p. 298). Questo nuovo tipo di offerte, insomma, ha un carattere assai più individuale e legato alla sfera del prestigio di quelle “collettive” delle grotte del periodo precedente e ricorda da vicino un’altra pratica che sicuramente si stava allora diffondendo tra le nascenti élites: lo scambio dei doni (Peroni 1996, pp. 298-300).

Tra la fine dell’età del Bronzo e la I età del Ferro

Con l’età del Bronzo finale si moltiplicano sulla ceramica e sui bronzi le raffigurazioni stilizzate del sole o quelle ornitomorfe ormai stabilmente incorporate nel motivo della barca o del disco “solare”; l’abbandono progressivo di for-me di religiosità “naturalistica” in favore di divinità più chiaramente definite sembrerebbe inoltre attestato, a partire dal XII sec. a.C., da figurine fittili e pendagli antropomorfi (Damiani 1992; Damiani 2004). Il rinvenimento di frammenti di tripode, calderone e carretto cultuale dell’XI sec. a.C. nel più tardo ripostiglio di Piediluco sono, da questo punto di vista, la migliore testimonianza del grado di diffusione tra le élites di pratiche cerimoniali ispirate al mondo egeo.

Altri indizi dello svolgimento di culti particolari sono la presenza di fossette foderate di pietre e prive dell’urna e aree di concotto collegate alle tombe a tumulo di Crostoletto di Lamone. Il rito stesso dell’incinerazione appare sempre più complesso, con varianti, in genere riservate alle élites, quali la frammentazione degli oggetti e la miniaturizzazione dei vasi, degli arredi domestici, fino ad arrivare alle urne a capanna della fine del periodo.

Con i vasi, in diversi abitati, sono stati rinvenuti altri elementi miniaturistici, quali figurine di animali (bovidi ed equidi), ruote fittili e accette (Miari 2000). Di un certo rilievo, per identificare “culti” domestici, sono gli “indicatori” concentrati nel settore settentrionale dell’abitato di Sorgenti della Nova.

Uno di questi, una fossetta trovata coperta da una lastrina circolare che custodiva, misti a terra, 7 semi di fava e 17 cariossidi di orzo, trova evidenti confronti con quella già citata di Ponte San Pietro Valle e con un’altra, coeva, di Tarquinia. In un altro caso, la grotta (cavità artificiale) 7, furono trovati un frammento di calotta umana deposto inten-zionalmente rovesciato all’interno di un circolo di pietre, e una protome di bovide in terracotta, a sua volta posta su un focolare quadrangolare, posto al centro dell’ambiente (Domanico 1995). Nella grotta 10, infine (a sua volta collegata a un altro ambiente, la grotta 11), vennero recuperati centinaia di resti faunistici riferibili quasi tutti a maiali in età giova-nile, se non addirittura fetale. Qui, dunque, vennero uccise numerose scrofe gravide e maialini, un insieme di atti rituali ben ricollegabili a ciò che sappiamo sul culto di Demetra (Cardosa, Milanesio Macrì 2000; De Grossi Mazzorin, Minniti 2002; De Grossi Mazzorin, Minniti in questo volume).

Una possibile conferma – in accordo con quanto sappiamo dalle fonti – dello svolgimento di culti all’aperto sem-brerebbe ora venire dalle recenti campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio in collaborazione con l’Università di Perugia nell’area del Santuario di Diana, a Nemi1, dove diversi materiali, databili a par-tire dalla fine dell’età del Bronzo, sono stati rinvenuti in strati dove non sembra essere documentata alcuna struttura.

L’ipotesi di una crescente importanza dei luoghi sacri come fulcro, già in quest’epoca, dei futuri comprensori dei centri protourbani trova un interessante riscontro in due rinvenimenti sorprendentemente simili: lo stagno della Banditella, posto a 4-5 km da Vulci, dove è documentata la deposizione rituale, sulle rive, oltre che della ceramica, di rotelle in osso e vaghi di pasta vitrea, e il laghetto di Campoverde, a un’analoga distanza da satricum, in cui proprio alla fine dell’età del Bronzo inizia il culto con la deposizione di vasi miniaturistici in acqua (Guidi 1989-1990; Guidi 1993; Guidi 2003; D’Ercole, Trucco 1995).

Nella documentazione archeologica relativa agli aspetti religiosi delle comunità dell’area medio-tirrenica tra la fine dell’età del Bronzo e la I età del Ferro si possono riscontrare alcuni elementi “macroscopici”:

la progressiva scomparsa di forme di culti all’aperto sostituiti verso la fine del periodo da veri e propri luoghi di culto, “capanne” sacre che precedono i primi santuari;

la presenza di corredi con materiali riferibili a un ruolo sacerdotale sia per gli uomini (gli ancilia, da quelli minia-turizzati della fine dell’età del Bronzo a quelli a grandezza naturale dell’VIII sec. a.C.), sia per le donne (si vedano tutti i corredi femminili dell’VIII sec. a.C. associati a luoghi di culto, probabilmente riferibili a un ruolo analogo a quello delle “vestali” di età storica);

1 Ho potuto avere delle utili notizie su questo rinvenimento, quando era ancora inedito, da Filippo Coarelli, Nicola Bruni e Giuseppina Ghi-

ni, che ringrazio. Si veda ora a questo proposito Ghini, Infarinato 2009; Bruni, Calderoni 2009.

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gli oggetti che direttamente (statuette delle tombe laziali) o indirettamente (diversi tipi di forme ceramiche) rimandano alla sfera del sacro;

gli indizi dell’esistenza di diversi tipi di rituali (fondazione, espiazione, ecc.).

A) Le strutture del culto

Fino alla fine degli anni ’70, l’opinione prevalente tra gli studiosi era che tutti i luoghi di culto precedenti l’im-pianto delle prime strutture templari del VII sec. a.C. del Latium vetus fossero all’aperto; faceva eccezione Hermann Müller-Karpe, che nella sua Von anfang roms, del 1959, proponeva una suggestiva ricostruzione del tempio di Vesta di età protostorica in forma di capanna.

L’elemento decisivo è, ancora una volta, l’evidenza archeologica (soprattutto quella, opportunamente riesami-nata, dei vecchi scavi): l’idea che forme di culto all’aperto perdurino fino all’età arcaica è infatti inconciliabile con la presenza di depositi votivi, a volte posti all’interno o nei pressi delle strutture templari, in cui i materiali più antichi si datano alla fase recente della I età del Ferro o all’orientalizzante antico, periodi questi precedenti i più antichi edifici con fondazioni in muratura2, a sostegno della suggestiva teoria di Müller-Karpe.

Il proliferare di scavi di abitato nel Lazio nel corso degli ultimi venticinque anni ha consentito un’importante conferma di quest’ipotesi “sul campo”, soprattutto grazie alle indagini condotte a satricum, dall’Istituto olandese3, a Tarquinia dall’Uni-versità di Milano4, a Cerveteri dalla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale e dalla British School at Rome5.

Nel primo caso si conoscevano da tempo i materiali della stipe più antica del santuario di Mater Matuta, per la quale si era appunto ipotizzata l’esistenza di un luogo di culto all’aperto; la scoperta di una capanna posta all’interno dei muri del sacellum più antico e dei templi seguenti che ne hanno accuratamente rispettato il perimetro (fig. 1), nella quale oltre al focolare sono stati individuati due vasi integri databili a una fase recente della I età del Ferro, ci permette di ipotizzare l’esistenza di un primo luogo di culto dell’VIII sec. a.C., sul cui aspetto esteriore possono probabilmente “illuminarci” diversi modellini di tempio rinvenuti nella stipe6.

Nel secondo, all’individuazione nella zona dello scavo di un’area dove si svolsero, tra l’età del Bronzo finale e il periodo arcaico, diverse pratiche cultuali, ha fatto seguito recentemente l’individuazione di una capanna dell’VIII sec. a.C. che presenta molte analogie con quella di satricum; la ricostruzione proposta dello stesso edificio Beta, il luogo di culto cui è associato il ben noto deposito con lo scudo, l’ascia e il lituo-tromba in bronzo, databile agli inizi del VII sec. a.C., ricorda assai più una grande capanna che un edificio in miniatura (fig. 2).

Nel terzo altre interessanti evidenze sono costituite dalle capanne, forse con funzioni legate al culto, individuate sotto il santuario arcaico di Sant’Antonio, sul lobo sud-orientale del grande pianoro ceretano. Tra queste strutture vanno segnalate quelle di grandi dimensioni, una ovale, l’altra, più tarda, di forma rettangolare allungata, poste accanto ad alcune tombe a

2 Guidi 1980; Guidi 1989-1990; Guidi 2000; Guidi 2004.3 Maaskant-Kleibrink 1987; Helldring 1988.4 Bonghi Jovino 2000; Locatelli 2001.

5 Izzet 2000; Maggiani, Rizzo 2001.6 Staccioli 1989-1990.

Fig. 1 – satricum. Pianta della capanna della I età del ferro e delle strut-ture seguenti, il sacellum (VII sec. a.C.) e i templi 1 e 2 (età arcaica) (da Peroni 1989).

Fig. 2 – Tarquinia: ricostruzione dell’edificio Beta, degli inizi del VII sec. a.C. (da Bonghi Jovino 2000).

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inumazione in prevalenza femminili, una delle quali, con corredo databile agli inizi della I età del Ferro, risulta essere stata in seguito accuratamente “protetta”, a riprova dell’im-portanza della defunta, a parere degli scavatori oggetto di venerazione da parte dei frequentatori del santuario.

Altri evidenti indizi della presenza di edifici di culto di questo tipo sono costituiti dalla composizione e dalla localizzazione topografica della favissa capitolina, a Roma7, i cui materiali più antichi sembrano collocar-si, anche in questo caso, nell’ambito dell’VIII sec. a.C., e l’individuazione ad Ardea, in località Colle della Noce, di un gruppo di capanne della I età del Ferro poste al di sot-to di una vasta area sacra di età arcaica, orientate proprio in coincidenza con un edificio in muratura della metà del VI sec. a.C. e che mantengono un’indubbia centralità an-che rispetto al più tardo santuario del V sec. a.C.8.

Recentemente, infine, una situazione analoga a quella riscontrata a Roma, Ardea, satricum e Tarquinia sembra delinearsi anche per l’edificio di culto delle Stim-mate a Velletri9.

Chiari indizi in tal senso si erano già avuti grazie alla sistematica revisione e alla nuova “edizione” dei ma-teriali della I età del Ferro provenienti dagli scavi effettua-ti sotto alla chiesa delle Stimmate da Mancini nel 1910, ad opera di Luciana Drago Troccoli10.

Nella planimetria elaborata da Francesca Fortuna-ti11 combinando la pianta della chiesa moderna con quella, ricostruita, del santuario arcaico (fig. 3) è indicata, oltre alle favisse più tarde (lettere a, o, A e C), la localizzazione, con l’asterisco, del «fitto strato di vasellame italico mescolato a qualche vaso greco» corrispondente all’addensamento più consistente di materiali protostorici individuato dallo scavatore.

Sulla base della pubblicazione, da parte di Cressedi12, delle fotografie relative a questi materiali, chi scrive aveva proposto, seguendo un’ipotesi di Gierow, che al di sotto del tempio arcaico fossero conservate le tracce di un villaggio databile tra la fase recente della I età del ferro e l’orientalizzante antico13.

L’esame autoptico di alcuni di questi materiali ha permesso di individuare con certezza la presenza di almeno una tazzina miniaturistica di impasto (Guidi 2004, fig. 3/4; forse delle stesse dimensioni è l’esemplare a fig. 3/3). Gli scavi effettuati sotto la direzione di Giuseppina Ghini nel 1989 hanno inoltre permesso il recupero di altri frammenti protostorici, databili tra i periodi laziali III e IV A14. La localizzazione del rinvenimento dello strato che li conteneva «tra il muro di fondo dell’ambiente a e il muro k» indica che si tratta con tutta probabilità del prolungamento dello strato già individuato dal Mancini; in un recente contributo la scavatrice fa anche esplicito riferimento a nuovi esemplari di miniaturistici provenienti dagli stessi scavi15.

B) Addetti al culto, sacerdoti e vestali

Un secondo “livello di lettura” delle fonti archeologiche sulle attività di culto è certamente quello dell’analisi di alcuni interessanti corredi maschili e femminili che indicano una progressiva separazione tra la leadership delle comunità protostoriche e l’emergere di veri e propri sacerdoti.

7 Albertoni 2000.8 Crescenzi, Tortorici 1988.9 Drago Troccoli 1989, pp. 43-45. La presenza di una struttura di capanna sotto al tempio è ora ben visibile negli ultimi scavi della So-printendenza che ho potuto visitare grazie alla cortesia di Giuseppina Ghini (cfr. Ghini, Infarinato 2009).

10 Drago Troccoli 1989, pp. 43-45.11 Fortunati 1989, p. 62, fig. 3.12 Cressedi 1953.13 Gierow 1964, p. 384; Guidi 1980, p. 151.14 Ghini 1993, fig. 37.15 Ghini 2003, p. 96; Ghini, Infarinato 2009, pp. 313-315.

Fig. 3 – Velletri: pianta ricostruttiva del santuario arcaico posto sotto il Tempio delle Stimmate con indicazione dei principali rinvenimenti: l’asterisco posto nel mezzo, a fianco del muro l, indica lo strato con mag-gior quantità di materiali di impasto (da Velletri 1989).

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Tra gli elementi di questo tipo, a parte la presenza, in corredi dell’età del Ferro, di oggetti cui è possibile attribuire una valenza “rituale”, come vasi multipli o configurati (si veda l’esemplare tarquiniese a fig. 6 B), sonagli e altri particolari manufatti, tra cui le famose statuette d’argilla (offerenti o immagini di divinità?)16, vanno segnalati:

1) le tombe a incinerazione di guerrieri da Lavinium, Roma - Foro di Cesare e altre località dell’Agro Romano (Hostaria del Curato, Trigoria, ecc.), databili tra la fine dell’età del Bronzo e gli inizi della I età del Ferro, nei cui corredi figurano, nella “panoplia” di armi in miniatura, scudi molto simili agli ancilia (fig. 4), ben noti dalle fonti, che li descrivo-no accuratamente, come gli scudi dei salii, il più famoso sodalizio sacerdotale della Roma arcaica)17. Giovanni Colonna ha accuratamente ricostruito l’evoluzione di questi oggetti nei corredi protostorici laziali, nei più tardi dei quali, come la famosa tomba di Veio - Casale del Fosso 1036, sono documentati esemplari a grandezza naturale, accompagnati dal bastone di ferro con il quale venivano percossi per produrre un caratteristico rumore che accompagnava le danze rituali dei salii (fig. 5)18.

2) una tomba degli inizi dell’età del Ferro attentamente preservata e protetta nelle fondamenta di un santuario arcaico, a Cerveteri19;

3) alcune ricche tombe femminili trovate in contesti insediamentali, al di sotto di strutture templari (è il caso della tomba 2 di Colle della Noce ad Ardea) o associate a stipi votive, come la tomba I di Valvisciolo (si veda, in partico-lare, il vaso multiplo, non troppo diverso nella struttura da quelli più antichi di ambito villanoviano, a fig. 6 A) databili alla fase recente della I età del Ferro, una categoria in cui troverebbe posto anche una sepoltura assai più recente, quella rinvenuta in abitato, a Fidene, del VI sec. a.C.

Chi scrive20 ha recentemente ipotizzato che per la loro rarità, per la comparsa di elementi legati al culto nei corredi e per la ricchezza, queste sepolture possano essere attribuite a sacerdotesse di alto rango; le fonti, peraltro, ci ricordano come solo le Vestali avessero diritto al seppellimento all’interno del pomerio21.

16 Bietti Sestieri 1992; Torelli 1997; Iaia 1999; Carandini 2002; Delpino 2007.17 Bietti Sestieri, De Santis 2003.18 Colonna 1991.

19 Izzet 2000.20 Guidi 2009, a cui si rimanda anche per i riferimenti bibliografici sulle sepolture citate.21 Fraschetti 1981.

Fig. 4 – Armi in miniatura dalla tomba 21 di Pratica di Mare (da Co-lonna 1991).

Fig. 5 – Pianta della tomba 1036 della necropoli veiente di Casale del Fosso (si noti accanto agli scudi, a destra, la mazza usata per percuoterli; da Colonna 1991).

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A tutti questi elementi si aggiunge ora la recente scoperta, sull’acro-poli di Veio, di una tomba a fossa maschile, priva di corredo, conservata all’interno di una capanna degli inizi dell’età del Ferro, un contesto che la di-rettrice degli scavi, Gilda Bartoloni, ha interpretato come un tipo particolare di culto (dell’antenato?)22.

C) Riti di fondazione, di espiazione, ecc.

Dobbiamo ad Andrea Carandini l’individuazione, nel corso delle accurate esplorazioni stratigrafiche delle pendici settentrionali del Palatino, di sepolture interpretate come veri e propri rituali di fondazione nelle strut-ture difensive di epoca protostorica e arcaica23; a pratiche diverse devono invece fare riferimento le tombe, prevalentemente di disabili, datate tra la fine dell’età del Bronzo e l’VIII sec. a.C., individuate nell’area del Foro sotto l’equus Domitiani e nella zona del Carcere Mamertino24.

Anche a Tarquinia la documentazione della sequenza di luoghi di culto individuati nella stessa area da Maria Bonghi Jovino indica rituali di tipo particolare. Tra questi meritano di essere segnalati soprattutto la sepol-tura in nuda terra di un uomo che era stato decapitato, databile alla seconda metà dell’VIII sec. a.C., e i due depositi di fondazione (uno con vasi da ban-chetto, l’altro con i già citati bronzi) dell’edificio Beta25.

osservazioni conclusive

In tutte le località qui citate, la formazione di un abitato di tipo “protourbano” sembra essere un fatto acquisito già a partire dalle fasi iniziali o avanzate della I età del Ferro (a Veio, Caere, Roma, Fidene, Ardea, satricum, Velletri e Caracupa/Valvisciolo), se non dalla fine dell’età del Bronzo (Tarquinia).

La presenza di “capanne di culto” negli abitati medio-tirrenici, in base ai dati delle stipi ad esse associate, sembra invece essere un fenomeno ben localizzabile nell’ambito della fase finale della I età del Ferro e indica, assieme ad altre importanti innovazioni (si pensi, tra l’altro, alle tracce del già citato sistema difensivo nel cuore dell’abitato romano26 o alla datazione proposta per i più antichi edifici in muratura di Tarquinia27, o ancora a un dato ben noto come quello della netta codificazione delle differenze di censo nei corredi funebri) un ulteriore, importante salto di qualità: il passaggio a una fisionomia di tipo urbano, nell’ambito di una struttura sociale ormai pienamente “statale”.

Si può certamente affermare che una chiara “visibilità” della religione e l’esistenza di uomini e donne impegnati a tempo pieno nelle attività religiose sono elementi della documentazione archeologica che fanno la loro comparsa già alla fine dell’età del Bronzo, ma la cui presenza si avverte particolarmente in coincidenza con la seconda metà dell’VIII sec. a.C., un’epoca della massima importanza per l’evoluzione delle comunità protostoriche medio-tirreniche.

Solo ora, infatti, la presenza di un culto “civico” indica con chiarezza la definitiva affermazione di una sfera auto-noma delle attività cultuali. Contrariamente a quanto si pensava, la religione appare, dunque, più che un aspetto esclusi-vamente sovrastrutturale, uno degli elementi che fondano e, allo stesso tempo, legittimano il ricco e articolato “paesag-gio sociale” che la tarda protostoria consegna alle civiltà arcaiche28.

22 Bartoloni 2002-2003.23 Si vedano i diversi esempi pubblicati in Carandini, Cappelli 2000.24 Catalano, Nanni, Fortini 2001.25 Bonghi Jovino 2000.26 Carandini 1997.

27 Bonghi Jovino, Chiaramonte Trerè 1997.28 Un ulteriore tassello del quadro fin qui delineato sembrerebbe veni-re dalle recenti scoperte di evidenze di culto nell’area del Campo della Fiera, a orvieto, considerata la sede dell’antico Fanum Voltumnae, la cui prima frequentazione risale alla I età del Ferro (Stopponi c.s. Sugli scavi cfr. inoltre Stopponi 2007).

Fig. 6 – A. Valvisciolo. Vaso multiplo dalla tom-Valvisciolo. Vaso multiplo dalla tom-ba I (da Gierow 1966); B. Vaso multiplo da Tarquinia (da Iaia 1999).

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