il giornale della memoria n.08-2010

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In questo numero PAG.2 1981, un solo comitato per dar battaglia alla Roche Nel novembre, si cominicia a parlare degli indennizzi per Seveso. I due comitati sorti spontaneamente si fondono PAG.2 1970, l’impiegato onesto riconsegna 10 milioni Alla Sip di Monza, alla chiusura, un addetto alla cassa trova un borsa piena di danaro. E la porta ai Cc PAG.3 1981, sul parquet di Marzorati grandi concerti Al Palasport di Cantù, Ivan Cattaneo apre la stagione dei grandi spettacoli anche in Brianza. Folla esultante PAG. 3 1958, il «Papa buono» si ricorda della Brianza In uno dei suoi primi discorsi, Giovanni XXIII cita la terra del santuario a lui più caro: la Madonna del Bosco PAG. 6 1940, la memoria ritrovata. Giussano ricorda i caduti Ricerca commissionata dal Comune, restituisce le storie degli oltre cento giussanesi morti nell’ultima guerra PAG.8 1950, i grandi illustratori per pubblicizzare il mobile Un libro dell’Aiap ripropone le più belle campagne firmate dai maestri del segno grafico per Cassina, Boffi e altri PAG.14 1957, i pugni di Gioacchino Da Seregno ai ring italiani Il figlio di immigrati baresi comincia a tirare di boxe all’Accademia pugilistica seregnese, diventado presto l’idolo dei brianzoli ARRIVA IL DIVORZIO La norma passa all’alba del 1 dicembre di 40 anni fa. I cattolici si organizzano per indire un referendum abrogativo. Fra loro lo scrittore brianzolo Eugenio Corti. Nel maggio ’74 l’Italia però difende la scelta del Parlamento. Finisce un’epoca Società 1970, il Parlamento approva la legge Baslini-Fortuna D ivorzio. Nel di- cembre di qua- rant’anni fa, que- sta parola piomba nella vita politica e civile italiana. Due parlamentari, il liberale Antonio Baslini e il so- cialista Loris Fortuna, presentano alle camere una proposta di legge che introduce la possibilità di scio- gliere il vincolo matrimoniale. Pro- posta approvata da un vasto schie- ramento, contro i voti del partito di maggioranza relativa, la Democra- zia cristiana, e dei post-fascisti del Movimento sociale italiano. Nella notte fra il 30 novembre e il 1 dicembre, alla Camera, la discus- sione si fa incandescente e il voto favorevole arriva alle 5,40 del mat- tino: 319 sì, contro 286 no. Contro la norma i cattolici organiz- zeranno un referendum abrogati- vo, uscendone sconfitti nel ’74. Fra loro, lo scrittore brianzolo Eu- genio Corti (vedi intervista a fian- co) che racconta: «Perdemmo per- ché 3 milioni di cattolici votarono a favore del divorzio». servizi a pag. 12-13 Cari lettori, questa avven- tura non arriva al capolinea ma certo è su un binario ob- bligato, su una tratta che non avevamo scelto. Dal prossi- mo numero non potremo in- fatti farvi avere il giornale laddove lo avete trovato fino ad oggi: abbiamo esaurito le risorse messe a disposizio- ne dei soci dell’Associazione Storia & Territorio e non pos- siamo continuare a stamparlo e diffonderlo gratuitamente. Da dicembre, il giornale sarà ancora gratuito ma si troverà solo su Internet, nel sito che abbiamo attivato sin dal nu- mero uno (www.giornaledel- lamemoria.it) Una mossa obbligata che, lo sappiamo, provocherà la per- dita di quelli fra voi, poco av- vezzi all’uso del web. Abbiamo provato con ogni mezzo a mantenere il nostro progetto come lo avevamo pensato: culturale ma popo- lare, storico ma alla portata di tutti. Abbiamo chiesto supporto a banche che si presentano co- me attentissime al territorio, a enti parco, a sindaci ed asses- sori brianzoli ma tutti, legitti- mamente, hanno detto «no». Solo l’assessore regionale alla Cultura ha mostrato interesse che, al momento, si è tradotto nella concessione del patro- cinio gratuito. Cari lettori, se non ci fosse stato l’entusiasmo manifesta- to fra tanti tra voi, avremmo già chiuso tutto. E allora pro- cediamo così, stampando se e quando ne avremo i finanzia- menti. Seguiteci o aspettateci, se potete. GdM P.s. Chi volesse continuare a riceve il giornale stampato a casa, legga a pagina 16 Anche a quasi 90 anni, por- tati con qualche acciacco fi- sico ma con una grande, af- fascinante lucidità mentale, è sempre lui: diretto, linea- re, schietto. L’autore de Il ca- vallo rosso, il cantore di una Italia (e di una Brianza) mi- nima eppure epica, 40 anni fa guidò i referendari catto- lici lombardi nella battaglia per l’abrogazione della leg- ge Baslini-Fortuna. Non è un caso che il suo ca- polavoro finisca proprio con i giorni della mobilitazione contro il divorzio. segue a pagina 13 ARRIVEDERCI A PRESTO (SPERIAMO) CORTI: IL MIO REFERENDUM U na mattina di novembre del 1978, Paolo Giorget- ti, 16enne medese, figlio di un mobiliere, alle 8 del mattino, si sta tran- quillamente avviando a piedi verso il Liceo Ma- rie Curie, dove studia. Sta percorrendo la cen- tralissima via Francia quando tre uomini, che stavano parlottando vicino a un’auto, lo aggrediscono e lo trascinano via. Da un treno delle Nord che transita lì vicino, due macchinisti assisto- no impotenti. La sera stessa, il giovane viene trovato morto. a pag.4-5 U n gruppo di banditi che terrorizza l’Italia del Nord. Sono quelli del gruppo Martin-Polla- stri, dal nome dei loro capi. Rapinano, spara- no, uccidono fra il Pie- monte e la Lombardia, spostandosi poi in Fran- cia, dove riparano per- ché polizia e carabinieri stanno dando loro la caccia. E proprio durante la ricerca dei malviventi, dopo un rocambolesco inseguimento a Lam- brate, viene arrestato un componente della banda: si chiama Luigi Nera, 28enne di Carate. a pag.10-11 RAPITO E UCCISO A 16 ANNI LA BRIANZA SCOPRE LA PAURA LUIGI, QUEL CARATESE NELLA BANDA DI SANTE POLLASTRI 1927 La storia 1978 Il dramma BRIANZA n.08 Ottobre-Novembre 2010 euro 2,00 OMAGGIO con il patrocinio di

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numero di Ottobre-Novembre 2010

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Page 1: Il Giornale della Memoria n.08-2010

In questo numero

PAG.21981, un solo comitato per dar battaglia alla Roche Nel novembre, si cominicia a parlare degli indennizzi per Seveso. I due comitati sorti spontaneamente si fondono

PAG.21970, l’impiegato onesto riconsegna 10 milioni Alla Sip di Monza, alla chiusura, un addetto alla cassa trova un borsa piena di danaro. E la porta ai Cc PAG.3

1981, sul parquet di Marzorati grandi concerti Al Palasport di Cantù, Ivan Cattaneo apre la stagione dei grandi spettacoli anche in Brianza. Folla esultante PAG. 3

1958, il «Papa buono» si ricorda della BrianzaIn uno dei suoi primi discorsi, Giovanni XXIII cita la terra del santuario a lui più caro: la Madonna del Bosco

PAG. 61940, la memoria ritrovata. Giussano ricorda i cadutiRicerca commissionata dal Comune, restituisce le storie degli oltre cento giussanesi morti nell’ultima guerra

PAG.81950, i grandi illustratori per pubblicizzare il mobileUn libro dell’Aiap ripropone le più belle campagne fi rmate dai maestri del segno grafi co per Cassina, Boffi e altri

PAG.141957, i pugni di GioacchinoDa Seregno ai ring italiani Il fi glio di immigrati baresi comincia a tirare di boxe all’Accademia pugilistica seregnese, diventado presto l’idolo dei brianzoli

ARRIVA IL DIVORZIO La norma passa all’alba del 1 dicembre di 40 anni fa. I cattolici si organizzano per indire un referendum abrogativo. Fra loro lo scrittore brianzolo Eugenio Corti. Nel maggio ’74 l’Italia però difende la scelta del Parlamento. Finisce un’epoca

Società 1970, il Parlamento approva la legge Baslini-Fortuna

D ivorzio. Nel di-cembre di qua-rant’anni fa, que-sta parola piomba nella vita politica

e civile italiana. Due parlamentari, il liberale Antonio Baslini e il so-cialista Loris Fortuna, presentano alle camere una proposta di legge che introduce la possibilità di scio-gliere il vincolo matrimoniale. Pro-posta approvata da un vasto schie-ramento, contro i voti del partito di maggioranza relativa, la Democra-zia cristiana, e dei post-fascisti del Movimento sociale italiano.Nella notte fra il 30 novembre e il 1 dicembre, alla Camera, la discus-sione si fa incandescente e il voto favorevole arriva alle 5,40 del mat-tino: 319 sì, contro 286 no.Contro la norma i cattolici organiz-zeranno un referendum abrogati-vo, uscendone sconfitti nel ’74. Fra loro, lo scrittore brianzolo Eu-genio Corti (vedi intervista a fian-co) che racconta: «Perdemmo per-ché 3 milioni di cattolici votarono a favore del divorzio».

servizi a pag. 12-13

Cari lettori, questa avven-tura non arriva al capolinea ma certo è su un binario ob-bligato, su una tratta che non avevamo scelto. Dal prossi-mo numero non potremo in-fatti farvi avere il giornale laddove lo avete trovato fino ad oggi: abbiamo esaurito le risorse messe a disposizio-ne dei soci dell’Associazione Storia & Territorio e non pos-siamo continuare a stamparlo

e diffonderlo gratuitamente. Da dicembre, il giornale sarà ancora gratuito ma si troverà solo su Internet, nel sito che abbiamo attivato sin dal nu-mero uno (www.giornaledel-lamemoria.it) Una mossa obbligata che, lo sappiamo, provocherà la per-dita di quelli fra voi, poco av-vezzi all’uso del web.Abbiamo provato con ogni mezzo a mantenere il nostro

progetto come lo avevamo pensato: culturale ma popo-lare, storico ma alla portata di tutti.Abbiamo chiesto supporto a banche che si presentano co-me attentissime al territorio, a enti parco, a sindaci ed asses-sori brianzoli ma tutti, legitti-mamente, hanno detto «no». Solo l’assessore regionale alla Cultura ha mostrato interesse che, al momento, si è tradotto

nella concessione del patro-cinio gratuito. Cari lettori, se non ci fosse stato l’entusiasmo manifesta-to fra tanti tra voi, avremmo già chiuso tutto. E allora pro-cediamo così, stampando se e quando ne avremo i finanzia-menti. Seguiteci o aspettateci, se potete. GdMP.s. Chi volesse continuare a riceve il giornale stampato a casa, legga a pagina 16

Anche a quasi 90 anni, por-tati con qualche acciacco fi-sico ma con una grande, af-fascinante lucidità mentale, è sempre lui: diretto, linea-re, schietto. L’autore de Il ca-vallo rosso, il cantore di una Italia (e di una Brianza) mi-nima eppure epica, 40 anni

fa guidò i referendari catto-lici lombardi nella battaglia per l’abrogazione della leg-ge Baslini-Fortuna. Non è un caso che il suo ca-polavoro finisca proprio con i giorni della mobilitazione contro il divorzio. segue a pagina 13

ARRIVEDERCI A PRESTO (SPERIAMO)

CORTI: IL MIO REFERENDUM

Una mattina di novembre del 1978, Paolo Giorget-ti, 16enne medese, fi glio

di un mobiliere, alle 8 del mattino, si sta tran-quillamente avviando a piedi verso il Liceo Ma-rie Curie, dove studia. Sta percorrendo la cen-tralissima via Francia

quando tre uomini, che stavano parlottando vicino a un’auto, lo aggrediscono e lo trascinano via.

Da un treno delle Nord che transita lì vicino, due macchinisti assisto-no impotenti. La sera stessa, il giovane viene trovato morto. a pag.4-5

Un gruppo di banditi che terrorizza l’Italia del Nord. Sono quelli del

gruppo Martin-Polla-stri, dal nome dei loro capi. Rapinano, spara-no, uccidono fra il Pie-monte e la Lombardia, spostandosi poi in Fran-cia, dove riparano per-

ché polizia e carabinieri stanno dando loro la caccia. E proprio durante la ricerca dei malviventi,

dopo un rocambolesco inseguimento a Lam-brate, viene arrestato un componente della banda: si chiama Luigi Nera, 28enne di Carate. a pag.10-11

RAPITO E UCCISO A 16 ANNI LA BRIANZA SCOPRE LA PAURA

LUIGI, QUEL CARATESE NELLA BANDA DI SANTE POLLASTRI

1927 La storia1978 Il dramma

BRIANZA

n.08Ottobre-Novembre 2010

euro 2,00OMAGGIO

con il patrocinio di

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2Ottobre-Novembre 2010

C’è stata un’epoca in cui la gente di Brianza aveva paura e non c’è da risalire ai tem-pi dei bravi di Don Rodrigo. Succedeva neanche qua-rant’anni fa.Per tanti brianzoli che ave-vano messo in piedi un’im-presa e che di conseguen-za potevano godere di una certa agiatezza, più spesso sospettata che sbandierata, ogni mattina uscire di casa era una prova. C’era in quegli anni chi po-teva decidere di puntarti una pistola, imbavagliarti, infilar-ti nella bauliera di un’auto e portarti chissà dove, per chiedere poi folli cifre ai tuoi cari.Crimini odiosi che lo diven-tavano ancora di più quan-do si rivolgevano agli affetti più cari delle persone delle quali si voleva sottrarre i pa-trimoni.Fu così per Paolo Giorget-ti, un ragazzino di Meda, se-questrato nel novembre del 1978, mentre percorreva una via del centro per raggiun-gere il liceo Marie Curie, do-ve studiava. Chi lo aggredì, alle otto di mattina, mentre da un treno delle Nord che passava a pochi metri due macchinisti assistevano im-potenti, usò così tanto cloro-formio per stordirlo, da farlo morire soffocato.Pochi giorni dopo, come mostrano le bellissime foto di Pietro Vismara, una folla immensa invase Meda, per accompagnare Paolo al ci-mitero.Negli scatti in bianco e ne-ro, si vedono volti tirati, scon-volti, arrabbiati, disperati, ma certamente facce di chi non avrebbe tollerato oltre.C’era un popolo dietro que-la bara, c’erano valori, espe-rienze, sentire comuni.Quella stagione di paura fu lunga, altri soffrirono violen-ze inaudite, ma la Brianza seppe farsi sentire e il peri-colo cessò.Una coesione, un sentimento comune che oggi sembrano non essere più di questa ter-ra. L’individualismo regna so-vrano, infatti. C’è solo da sperare di non dover riaffrontare anni così bui, perché forse non ne sa-remmo più capaci. GdM

Gli anni della paura

EditorialeEDIOSSINA, SI UNISCONO I COMITATIANTI-ROCHESorti per le aree A3-A5 e «per le case», affrontano assieme la Givaudan che offre 3 miliardi di lire per i danni

U n grande comitato, un «comitatone», come scriveranno i giornali, per trattare con la Givaudan gli

indennizi post-diossina. Il 25 novembre 1981, le cronache brianzole danno conto di un fatto nuovo: i due comitati sorti a qual-che anno dall’incidente al reattore dell’Icmesa (luglio 1976), per tutela-re gli interessi delle centinaia di dan-neggiati, annunciano di volersi fon-dere in un’unica organizzazione.L’interlocutore, lo si è detto e scrit-to, è da par suo piuttosto grosso: la svizzera Givaudan, articolazio-ne delle ben più potente Roche, big dell’industria farmaceutica mondiale. Affrontarlo divisi e dal-la Brianza, può essere contropro-ducente, anche avendo la ragione della propria.Alla sintesi si arriva il 24 novembre, dopo un’accalorata riunione alla Sa-la Tanzi di S.Pietro di Seveso. «Nel corso della riunione», scrive Gia-como Citterio per l’Ordine della Brianza,«si è verificata non poca tensione circa i metodi da seguire, ma prima ancora, per la struttura organizzativa che, fino all’altra se-

La novità Seveso, l’ora degli indennizzi

Il numero

sono le interruzioni volontarie di gravidanza-i.v.g. autorizzate dal Consultorio familiare del Villaggio Giovi a Limbiate, in sei mesi di attività. Lo scrive il Cittadino del 17 novembre 1979. Siamo a meno di un anno di applicazione della legge 194/78, quella che introduce in Italia l’aborto. Al consultorio, le donne si rivolgono per ottenere l’attestazione medica relativa al peri-colo per la salute psicofisica che la norma richiede a chi vuole interrompere la gravidanza non desiderata. Il giornale cattolico polemizza pacatamente: «Emerge chiaramente che l’orienta-mento di questo importante servizio e rivolto soprattutto verso un’impostazione che radicalizza solo in un senso le indicazioni di legge, mentre è scarsamente operante nell’ambito di una visione più generale dei problemi della famiglia».

DICIASSETTE

Un’immagine della riunione

fra i due comitati di Seveso, nel

novembre di 29 anni fa

Monza come Napo-li: mucchi di spaz-zatura nelle strade. È successo nel no-vembre del 1981. Nessun problema di raccolta defferen-ziata non applicata – trent’anni fa non se ne conosceva nep-pure il concetto – o di inceneritori fuori uso, ma solo una du-ra agitazione sinda-cale. A incrociare le braccia gli addetti della Igm, la società che, in quegli anni, ha in gestione il servizio di smaltimenti per oltre 100 comunni lombardi fra i quali appunto Monza. Motivo del contendere un rinnovo contrattuale anche se, come spie-ga L’Ordine, l’accordo era già stato siglato nel dicembre del 1980. Eppure, dal giugno del 1981, le maestranze Igm avevano cominciato ad avanzare nuove richieste: mutua interna, mensa, aumento fra le 27 e le 50mila lire medie mensili. A settembre, sebbene alcuni delle richieste fossero state esau-dite, i netturbini cominciano a fermarsi, per due ore giornaliere, salite poi a sei. Un’impasse che porta a far crescere i mucchi di spazzatura in città, particolamente dinnanzi alla sede della Igm stessa, come mostra un’istantanea in bianco e nero che pareb-be essere tratta dalle strade napoletane di questo novembre, di quasi tre decenni dopo.

I l suo nome compare nell’«Albo della gloria» pubblicato dalla Stam-pa, quotidiano di Torino, l’11 ottobre 1940, diciottesimo dell’era fascista.

Il nome è quello di Remigio Salvi, sergente, nativo di Alzate Brianza, che compare in una lista di 158 caduti «in combattimento o deceduti a seguito di ferite di guerra in Africa settentrionale durante il mese di settembre». Oltre ai morti, prosegue la nota, ci sono «389 feriti e 13 di-spersi». Accanto al lungo elenco, in un accostamento tragico e ridicolo, la notizia dell’orario invernale delle Ferrovie che «apparirà prima del 28 ottobre”, dice il titolo di una notizia e quella, ben più ampia delle «Estrazioni di Merano», nel senso della lotteria omonima: «La ruota della Fortuna è in moto», recita l’occhiello. Salvi Remigio da Alzate, fi nito a combattere una guerra non sua a mi-gliaia di chilometri da casa, l’aveva appena imparato a sue spese.

I l piacere dell’onestà, come scriveva Pirandello, lo deve aver provato Pier Luigi Anelli, cassiere della Sip (l’attuale Telecom Italia), nel no-vembre di 40 anni fa. Come riporta infatti il Cittadino del 21 di quel

mese, Anelli, «al momento della chiusura dell’uffi cio», trova una borsa nera sul bancone. Contiene, spiega il giornale monzese, «2 milioni e cen-tomila lire, dimenticati da un uomo recatosi prima alla cassa a pagare la bolletta». L’impiegato non mette tempo in mezzo: agguanta la borsa, sale sulla propria auto e suona alla porta dei carabinieri, consegnando la cifra davvero ingente per l’epoca (ci si poteva comprare, in quegli anni, un ap-partamento di 100 metri quadri, ndr). E mentre i militi stanno prendendo a verbale le sue dichiarazioni, suona alla porta un signore piuttosto dispe-rato: il legittimi proprietario del denaro. Sta raccontando al piantone la sua disavventura, quando il maresciallo, dall’uffi cio vicino, si presentava con la borsa di pelle e i tanti quattrini in essa contenuti. «L’esemplare condotta», annota il Cittadino, «è stata segnalta alla Prefettura».

Le cronache

1940 Alzatese caduto in Africa

1970 Encomiabile impiegato

ra, non era omogenea per spaccatu-re interne al gruppo dei proprietari, che si sono trovati a sostenere una battaglia, per la verità non ancora iniziata, su due fronti divesi».All’insaputa gli uni degli altri, i dan-neggiati di Seveso si erano costituiti in due diversi comitati, «l’uno per i terreni insistenti nelle zone che vanno dalla A3 alla A5, costituitosi il 5 novembre scorso, l’altro, deno-minato “comitato per le case”, for-matosi nel maggio di quest’anno e assistito, a livello legale, degli avvo-cati Arnaldo Borgonovo di Meda e Francesco Borasi di Milano».In palio, ricorda il giornalista, ci so-no i 3 miliardi di lire che l’azienda svizzera ha dichiarato di voler met-tere a disposizione, ma c’è da pro-durre molta documentazione cata-stale che provi il valore di mercato delle proprietà danneggiate dall’Ic-mesa, il decremento causato dalla diossina, il mancato godimento nei giorni dell’allontamento forzato delle dimore, nei giorni successivi alla nube di diossina.«Prevalendo, come sempre si fa fra persone civili, la ragione», scrive L’Ordine, «i due comitati han deci-so di fondersi, se così si può dire,

Il casoSPAZZATURA PER STRADA, MONZA COME NAPOLI

in un unico comitatone in grado di andare al tavolo delle trattative e ri-solvere, si spera in senso positivo, la questione degli indennizzi». Passano pochi giorni, siamo al 4 di-cembre, che sempre sull’Ordine del-la Brianza, stavolta in prima pagina, troviamo la notizia che porta Seve-so dritta in Europa: il consiglio dei Ministri della Comunità economica europea-Cee (l’antenata dell’attua-

le Unione) approva la direttiva che dalla cittadina brianzola prende il nome. Contiene «una serie di norme co-munitarie il cui scopo è impedire che determinate attività industriali, escluse quelle nucleari, provochino incidenti gravi, nocivi per l’ambien-te e per l’uomo». Sono passati cinque anni dalla nu-be di Meda.

Page 3: Il Giornale della Memoria n.08-2010

TU C’ERI?

MANDACI IL TUO RICORDO O LA

TUA FOTO, LI PUBBLICHEREMO

REDAZIONE.GDM@GMAIL

33

COttobre-Novembre 2010

Colophone

SUL CAMPO DI MARZORATI ORA CANTA CATTANEO

Trent’anni fa, al palasport di Cucciago, comincia la stagione dei grandi concerti

È il 21 novembre del 1958 quando, Angelo Roncalli, da poco eletto papa Giovanni XXIII, arriva a Castelgandolofo, la storica dimora pontificia sul Lago di Bracciano. I giornali danno conto della sua prima visita, con dovizia di particolari: l’ex-patriarca di Venezia si è già distinto per un tratto di umanità che incanta. E dinnanzi alla folla che gremisce la piazza sulla quale si affac-cia il palazzo pontificio, Roncalli conferma il suo tratto pacato e gioviale quando, come racconta La Stampa, rabbonisce due monsignori che davano segni di impazienza per le acclamazioni «che non accennavano a a calmarsi». «Siete contenti?», chiede alla gente che lo saluta festosa, «vi rin-grazio e vi saluto. E se il Signore mi darà la vita verrò a trovarvi a primavera. Intanto», prosegue il papa, «benedico tra questo ver-

de che mi ricorda tanto la mia Brianza; voi, tutte le persone che avete nel cuore, i bimbi in particolare». Una riferimento, questo alla verde Brianza, che colpisce i giornalisti: lo stesso giornale torinese lo riporta persino nell’occhiello dell’articolo. Il pontefice non è infatti brianzolo, essendo nativo di Sotto il Mon-te, uno dei primi paesi della Bergamasca, aldilà dell’Adda. Alla Brianza, però il Papa è molto legato: di fronte al paese natio, c’è il Santuario della Madonna del Bosco, a Imbersago (Lecco): il piccolo Roncalli lo visitava spessissimo e da seminarista, a Ber-gamo, per due anni fece pellegrinaggi a piedi fino alla santuario brianzolo. Nel 1960, chiederà all’arcivescovo di Milano, Giovan Battista Montini, futuro Paolo VI, di deporre una corona d’oro e di gemme sulla statua della Madonna.

Poteva sembrare il titolo di un articolo di cronaca quello che appare il 27 ottobre 1962 sull’Osservatore limbiatese. Invece si parla della «caduta dei capelli», miracolosamente bloccata «dalla lozione al BETA-NOL di recente scoperta». Caduta che «è in gran parte dovuta a una insufficiente nutrizione dei bulbi piliferi ed alla forfora che ne soffoca la cute». Lozione venduta presso tre profumerie monzesi – la Terzera, la Saporiti e la Mil-lefiori – e una di Vimercate: la Pirovano di Piazza Roma

FORFORA IN CRONACA

La notizia

IN UNO DEI SUOI PRIMI DISCORSI PUBBLICI IL «PAPA BUONO» RICORDA LA «SUA» BRIANZA

La pubblicità

il Giornale della Memoriamensile di divulgazione storica

www.giornaledellamemoria.it

Registrazione pressoil Tribunale di Monza.n. 1975 del 15/02/2010

Direttore responsabile: Giampaolo Cerri

RedazioneVia Giusti, 32/c20034 Giussano (MB)tel. 0362.285087 [email protected]

hanno collaborato: Leandro Cazzaniga,Martina Cerri, Beppe Citterio, Daniele Corbetta, Doranna Fumagalli, Sergio Giussani,Walter Giussani, Annagrazia Internò,Gigi Molteni,Erminia Moretto (ricerche d’archivio),Daniele Villa

Si ringrazia per l’amichevole collaborazione:Pietro Vismara, fotografo

Progetto grafi co e impaginazione: box313 (www.box313.net)

Editore: Associazione Culturale Storia e TerritorioVia Giusti, 32/c20034 Giussano (MB)tel. 0362.285087email: [email protected]

StampaA.G. BELLAVITE Via I maggio, 4123873 Missaglia (Lc)

Stampato su carta ecologica EFC,con inchiostri a base vegetale.

Questo palasport si sta trasforman-do in una sala da concerti special-mente usata dai

brianzoli dell’hinterland milanese come spaziosa alternativa». Lo dice, parlando del Pianella, Mar-co Larghi, giornalista de L’Ordine della Brianza, fi rmando la recensio-ne comparsa il 5 novembre 1981.A riempire il palazzetto di Cuccia-go, solitamente gremito dai sup-

porters della Pallacanestro Can-tù, allora abbinata alla schiuma da barba Squibb, è Ivan Cattaneo, da pochissimo sulla breccia. Per lui ar-rivano da ogni parte della Brianza e, «pur essendo un giorno feriale, il Pianella era colmo di scatenati tee-nagers, invitati al concerto da una radio privata di Giussano, decisa a sfondare nel campo dell’organizza-zione di spettacoli musicali».Un pubblico di «giovanissimi, in media sui 20 anni scarsi, attirati da Cattano unicamente per il suo ulti-missimo disco, ballabilissimia sinte-si di vecchi pezzi anni ’60 (sfuggiti invece dai 30enni di quella genera-zione) e non certo per la sua per-sonalità decisamente “gaia” e “di-versa” che negli anni scorso aveva selezionato un suo particolare pub-blico variopinto».Cattaneo, all’inizio della perfor-mance, viene contestato «da un piccola fetta di pubblico, più che altro per il fatto che non ha esegui-to solo i rifacimenti anni ‘60 ma

anche i suoi pezzi più recenti o ad-dirittura nuovissimi caratterizzati dal suo sviscerato amore per l’elet-

tronica e gli arrangiamenti fanta-scientifi ci alla David Bowie». Ma il mugugno rientra presto, «superato questo scoglio, Ivan ha condotto in porto, circondato da un entusiasmo crescente, quasi due ore di spetta-colo ad altissimo livello, anche se danneggiato in modo evidente dal-la pessima acustica».Cattaneo, scrive L’Ordine, «ha svi-luppato uno show fatto di scoppi, fumi, luci abbacinanti, travestimen-ti fantasmagorici, diapositive, qua-dri, foto e disegni, manichini, eff etti elettronici e colpi di scena improv-visi».Tutti al Pianella dunque. E già si annunciano le altre star: Alberto Fortis, da poco reso celebre dalla sua A voi romani e il più impegna-to Alberto Camerini, prima della svolta “psichedelica” degli anni che seguiranno.

Il concerto 1981, Pianella in delirio

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ME

DA

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8Ottobre-Novembre 2010

Cronaca. 1978 Il sedicenne Paolo Giorgetti, sequestrato in una via centrale m

PAOLO, LA RABBFiglio di un mobiliere, il giovan viene sequestrato da tre persone ivedono la scena e danno l’allarme. La sera stessa, quando i carabiLimbiate, dentro un’auto che sta bruciando : i rapitori l’avevano so

Ripassava i compiti mentalmente. Paolo, quella mat-tina, si era incam-minato per corso

Francia. Salutata la nonna Pieri-na, detto un ciao veloce a sua so-rella Roberta, si era avviato verso la scuola, il liceo Marie Curie di Meda.Sferzato dalla tramontana che arri-vava giù dalla Grigna e che prende-va d’infilata le case medesi, alle 8 di quel mattino del 9 novembre 1978, Paolo aveva sulle spalle lo zaino e il peso leggerissimo dei suoi 16 anni. Ripeteva la lezione camminando su quella strada che costeggia il bi-nario delle Nord: un percorso fatto ogni giorno, da qualche anno.E quante volte, a quell’ora, aveva visto passare il regionale della Can-zo-Asso, con le sue carrozze grige-verdi e blu?Uno scenario che stava compiendo-si, anche quel giorno: il locomotore con i fari bianchi accesi, lo sferra-gliare del vecchio treno sulla rotaia. Ormai un particolare solito, famila-re, delle sue mattine.Ma quel mattino di trentadue an-ni fa, per Paolo Giorgetti, classe 1962, il figlio secondogenito di Car-lo e della signora Augusta Orseni-go, si stava compiendo un destino tragico: tre uomini, in piedi vicino a un’Alfetta bianca, fermi a chiac-chierare, appena il giovane gli sfila accanto, lo agguantano brutalmen-

te e lo trascinano verso l’auto. Pao-lo si dimena, cer-ca di sfilarsi, di sottrarsi a quel-la morsa, dispe-ratamente, fino a scagliare con-

tro gli aggressori i libri di scuola, fin quando l’odore infernale del cloroformio di cui è imbevuto il tampone che gli pre-mono alla faccia lo vince, i miasmi gli fanno perdere i sensi e cade di-steso nel sedile posteriore dell’au-to. In un attimo il motore dell’auto, forse tenuto acceso, romba via. Nella strada rimane solo il vento freddo che scende dai monti. Po-che decine di metri più avanti, al passaggio a livello nessuno s’è ac-corto di niente. Solo i macchinisti delle Nord, dalla loro cabina, forse parlottando del più o del meno, di calcio o di politica come accadeva in quegli anni, hanno visto la scena, notato la mossa, guardato la mac-china sgommare. Sono loro che danno l’allarme, con la voce rotta dall’emozione: hanno rapito un ra-gazzo, per strada, a poche decine di metri dalla stazione di Meda. La notizia non ci mette molto ad arrivare a casa Giorgetti. Forse la portano i carabinieri, che hanno verificato con la scuola: Paolo non è arrivato al Marie Curie, Paolo è stato sequestrato.Sequestrare, un verbo che oggi, nel primo decennio degli anni 2000, si usa per le merci false o rubate o per

la droga. Allora, nella Brianza degli anni 70, ancora piegata dalla crisi e dall’inflazione, ancora segnata dalla paura della diossina, si sequestrava-no le persone. E non solo in Brian-za. Per soldi. Cristiani contro soldi; figli, mariti, mogli, contro danaro,

in un feroce baratto.Pochi anni prima, era successo a Cristina Mazzotti, diciottenne di Eupilio, rapita in una sera di giu-gno, mentre tornava a casa con gli amici.Alla famiglia erano arrivate richie-

ste miliardarie, che il padre della giovane, anche volendo, non sareb-be riuscito a soddisfare. Poi, i rapi-tori s’erano accontentati di meno e avevano incassato i danari. Ma la giovane a casa non era tornata: av-velenata dai sonniferi che i suoi car-

Corte d’Assise

Un caso giudiziario lampo: due anni fra inda-gini e giudizio, in Tribunale a Monza, dove il 5 marzo 1979 si pronunciano molte sentenze di condanna. Tutti italiani, residenti a Venegono e zone limitrofe. I fratelli G., V. e G. L. sono condannati a 30 anni per il sequestro, l’uccisione e l’occultamento di cadavere. Con loro S. I., A. B. e A. M. Pene inferiori, per G. M., 24enne, condannati a 24 anni, e per il ventunenne A. L., fratello dei principali imputati, e R. S. Era stato proprio A., il più giovane dei quattro fratelli L., a raccon-tare tutto ai carabienieri che avevano fermato il gruppo.Completamente assolto, invece, il decimo im-putato: G. M. Ma è a Milano, durante il processo di appel-lo che, come riporta il 24 novembre del 1981,

l’Ordine della Brianza, viene introdotto un fat-to nuovo. Durante il dibattimento, che uno dei sequestra-tori, forse per alleggerire la posizione degli incarcerati, fa il nome dell’uomo cui, nel po-meriggio di quel 9 novembre, avrebbe tenuto sequestrato Paolo in un garage alla periferia di Meda: si tratta di S.A.,detto Sasa, latitante. Il carceriere aveva infatti dato il cambio a G. L., che aveva custodito il giovane per tutta la mat-tina ma, «al suo ritorno al box, nel pomeriggio, lo stesso A. gli avrebbe detto che Giorgetti era morto, dopo che gli era stato somministrato un secondo tampone di etere».Il processo d’appello si conclude il 1 dicem-bre 1981. Confermate le pene dei tre fratelli L.. Assoluzione con furmla piena per G.M. che, in primo grado, aveva avuto 30 anni.

TRENT’ANNI ALLA BANDA DI VENEGONO

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5Numeri del crimine

Ottobre-Novembre 2010

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Diciannove rapimenti di cui tre mortali in dieci anni: è il bilancio dei sequestri in Brianza, tracciato dal Giorno del 17 marzo 1984, alla viglia di un importante convegno organizzato dal Rotaract di Seregno-Desio-Carate a Le-smo, su malavita organizzata e sequestri. Attorno a un tavolo, quella sera, ci furono magistrati in prima linea nella lotta alla mafia, come Giovanni Fal-cone, Marcello Maddalena (procuratore a Torino), Pier-camillo Davigo (pubblico ministero a Milano). E il raduno è l’occasione ap-punto per un bilancio della stagione dei sequestri.Come ricorda il quotidia-no, prima ancora di Cristi-na Mazzotti, il debutto dei sequestratori in Brianza era stato ancora a Meda dove, l’11 febbraio 1974, era stato rapito Fazio Longhi, 16 an-ni, come Giorgetti figlio di un mobiliere. Dopo una pri-gionia di 65 giorni e 500 mi-lioni di lire di riscatto era sta-to rilasciato. L’anno nero era stato il 1977, con sei seque-stri: Maurizio Colombo, Al-fredo Cozzi, Giovanni Bre-ga, Giovanni Bolloli (per il quale la Procura inaugure-rà la strategia del blocco dei beni familiari), Alfredo Terragni e Luigi Galbiati, conclusosi tragicamente con l’uccisione del commercian-te di Bovisio.Un’altra vittima anche nel 1980: il concessionario di auto monzese, Adelmo Fos-sati. Nello stesso anno rapi-ti Simonetta Lorini, Luigi Mariani e Giovanna Ce-sana mentre, nel settembre del 1983, viene sequestra-to a Giussano, il mobiliere Ambrogio Elli, patron del-la Feg.

Diciannove in dieci anni

mentre si reca a scuola

BIA E LA PAURAin via Francia, alle otto di mattina. Due macchinisti delle Nord inieri hanno già fermato alcuni sequestratori, lo trovano morto a offocato con il cloroformio. Condanne a 30 anni per tre fratelli

cerieri le somministravano.Quel giorno era toccato a Paolo. E chissà se, risvegliandosi in un gara-ge, dove i rapitori l’avevano imme-diatamente condotto, come rico-struiranno poi gli inquirenti; chissà se, riaprendo gli occhi, il giovane

Le reazioni

Una folla imponente aveva partecipato ai funerali. La città del mobile s’era fermata e, idealmente, tutta la Brianza che, notoria-mente, non si ferma mai. Ma la morte orribile di «chel bagaj», la fine atroce e ingiusta di Paolo, aveva scosso ognuno.E la modalità odiosa e temeraria del rapimento - la mattina alle otto, in mezzo a una via centrale, nel tragitto quotidiano dalla casa alla scuola, mentre passava un treno di pendolari - aveva aggiunto sconcerto e paura. E interrogato tutti sul valore della vita in un tempo così cupo. Rapire un ragazzino, venderne la li-bertà per danaro, come per un animale e, come per una bestia, non averne riguardo tanto da farlo morire, disfarsi delle sue povere spoglie in maniera ignobile, senza nemmeno l’ultimo pensiero di restituire ai suoi il corpo sui cui piangere prima della sepoltura, era troppo, davvero troppo. In quelle giornate di dolore e di rabbia, i medesi raccolsero 27mila firma e le inviarono al ministro dell’Interno, Virginio Rognoni. Faccia qualcosa, signor ministro, dissero i brianzoli, rispettosamente, com’erano abituati a fare. Faccia qualcosa, pri-ma che sia troppo tardi. Invece, il dramma dei Giorgetti non era che l’inizio, altre famiglie brianzole avrebbero, da quel giorno in poi, trepidato a ogni ritardo di un proprio caro, avrebbero pianto alla notizia che qualcuno, incappucciato, gli aveva strap-pato un affetto. Per fortuna, pochi altri avrebbe pagato con la vita ma le vite di molti, da quel giorno di novembre, cambia-rono e per molto tempo.

MINISTRO, FACCIA QUALCOSA

Nella foto di Pietro Vismara, il corteo funebre che accompagnò Paolo al cimitero di Meda

non avesse pensato a Cristina, po-co più grande di lui portata via, e per sempre, a pochi chilometri da lì. Chissà cosa avrà pensato, quale tormento, quale rabbia avrà vissu-to. Quale struggimento per i suoi, a casa che, in quel momento - lo

sapeva - trepidavano per lui.Non sappiamo che cosa sia accadu-to in quel garage, che secondo le autorità non era molto distante dal luogo del sequestro: forse Paolo si è agitato, forse ha provato a chiama-re aiuto, a eludere la sorveglianza dell’unico carceriere cui era stato affidato, prima di essere trasportato in un altro luogo, più lontano, nel Varesotto, a Venegono superiore, dove la banda aveva prepararato già il nascondiglio per la sua preda pregiata. Certo è che S.A., il suo se-quetratore, ha di nuovo imbevuto uno straccio di cloroformio per ad-dormentarlo. Che cosa accadde poi non è dato sapere. Forse la sostanza chimica è troppa, forse la disfunzione al set-to nasale di cui il giovane soffre e che non gli permette di respirare bene, certamente le due cose insie-me ma Paolo Giorgetti, in un istan-te, muore.Muore mentre i carabinieri lo cer-cano, mentre i suoi si disperano e aspettano che il telefono squilli, che una voce anonima dica: dateci i sol-di. Muore a 16 anni, mentre i suoi compagni di classe sanno solo che non c’è e magari si sono chiesti da

poco: «Ma il Giorgetti s’è ammala-to?». Ma la tragedia, putroppo non è finita. Mentre in quella notte, le gazzelle dell’Arma sono già arriva-te a Venegono - perché i movimenti in quella villetta erano stati segna-lati così come lo erano gli uomini che ci gravitavano - mentre le ma-nette si stringevano ai polsi di un gruppo di 30enni, alcuni fratelli fra loro, tutti calabresi d’origine, una segnalazione arriva da Limbiate: nel Parco delle Groane, c’è un Al-fetta che brucia.Corrono, i militi, e nel bagagliaio, trovano un corpo incappucciato e rannicchiato. Dubbi non ce ne potevano essere: i tempi, l’auto, il corpo, non ancora adulto. Un maz-zo di chiavi con un moschettone, mostrato agli amici, basta a fugare ogni dubbio: dentro quella macchi-na maledetta c’era lui.Non solo la libertà violata, brutal-mente, in mezzo alla via; non solo la vita spezzata, barbaramente, per domarlo come un animale; a Paolo, ai suoi, ai medesi, tocca anche l’af-fronto di un povero corpo marto-riato, di una bauliera carbonizzata, in una notte fredda in mezzo alle Groane ammutolite

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Centosei vite inter-rotte, da una pal-lottola, da uno spezzone d’arti-glieria o semplice-

mente da una malattia mal curata in un precario ospedale da campo o in prigionia. Sono i 106 giussanesi caduti nella Seconda guerra mondiale, le cui biografie sono state riportate a galla da una pubblicazione della storica Paola Chiesa, su incarico del comunedi Giussano.Il libro, Il futuro nella memoria edito da Guardamagna, ricostruisce, gra-zie agli archivi militari, il profilo dei tanti caduti cittadini. Giussanesi di residenza e di nasci-ta, anche se non mancano quanti vivevano in città al momento del-la chiamata alle armi, pur essendo nativi di Briosco, Verano, Lissone, Costamasnaga. Giussanesi adottivi anche altri lom-bardi (di Lecco, di Milano e di Man-tova), due veneti, un barese e un siciliano di Agrigento, un toscano della Lunigiana, finiti i Brianza per chissà quali vicissitudini personali e familiari.Per ognuno dei caduti, Paola Chie-

Rievocazioni Seconda Guerra, tributo alle vittime brianzole

QUELLI CHE NON TORNARONODal fronte greco alla Russia, dall’Africa settentrionale alla guerra di liberazione (su entrambi i fronti): un libro ripropone le storie di 106 giussanesi caduti nell’ultimo confl itto

sa ha riprodotto spesso le foto e una scarna biografia desunta dai fogli matricolari: date di nascita, livello di istruzione, arruolamen-ti, servizi precedentemente svolti in grigioverde e, inevitabilmente, i riferimenti delle morti o delle di-spersioni.Gli archivi hanno alcune volte resti-tuito lettere personali, minute delle comunicazioni degli uffici - spesso al comune di appartenenza - in cui si riportavano le notizie dei decessi

da comunicare ai familiari «con i dovuti riguardi», come scriveva la Croce Rossa, o le indicazioni delle tumulazioni avvenute, con il det-taglio spesso della tomba, per fa-vorire, un giorno, il recupero delle salme.

Militari ma anche partigiani e repubblichiniUna mesta burocrazia della mor-te, con frequente indicazione delle cause - fatti d’arme, malattie, ma

anche incidenti essendo la guerra un evento ferocemente comples-so - che si dipana per oltre 500 pa-gine. Numerosi i documenti recupera-ti dagli archivi comunali ma an-che fotografie e lettere arrivati dai discendenti di quei caduti, che le avevano sin qui conservate con re-ligiosa devozione.Non mancano neppure alcuni mi-litari che, una volta sbandati o fat-ti prigionieri, decisero di diventare

Italiani che combattono in Africa settentrionale. Su questo fronte, molti i brianzoli

Fronti opposti

Fra le storie dei Giussanesi caduti nell’ultima guerra, anche quella di chi, dopo l’8 settembre 1943, si schierò su fronti opposti: quello dei resistenti e quello dei fascisti della Repubblica sociale. Nel primo, militò Luigi Colombo, classe 1923. Fante in Jugoslavia, al momento dell’armistizio fi rmato da Badoglio, si sottrae ai Tedeschi e, dal 9 ottobre, si schiera con i partigiani di Tito, morendo in combattimento il 18 aprile del 1945. Di Giuseppe Colombo, classe 1925, si sa invece che vie-ne catturato come partigiano della Brigata garibaldina «Francesco Nullo» e muore nel campo di prigionia di Blankenhain in Germania, il 7 agosto 1944. È invece legionario della Muti, Carlo Colzani, classe 1925, morto nel dicembre 1944, «per incidente da arma da fuoco», stessa causa che costò la vita a un altro giussanese arruolato sotto le insegne di Salò: Mario Varenna, nato nel 1914, effettivo della Brigata nera «Aldo Resega» a Milano. Muore il 20 aprile del 1945.

FRA GLADIO E FAZZOLETTO ROSSO CONCITTADINI CONTRO

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7Ottobre/Novembre 2010

D Di chi si parla

La memoria e la sobrietàOltre cento giussanesi ricor-dati a 60 anni dalla guerra che li avrebbe uccisi, con un libro e una mostra. Un modo con-creto per onorare la memo-ria dei caduti e per costruire la memoria di una comunità: bravo assessore Marco Citte-

rio: diciassettemila euro spesi bene. L’opera della storica Paola Chiesa però qualche neo ce l’ha: le centosei schede sono tutte desolatamente uguali: iniziano con «Nasce a», prose-guono con «frequenta la clas-se» quindi «all’atto dell’ar-ruolamento», terminano con «è deceduto». Insomma, tanto sforzo di ri-cerca archivistica avrebbe meritato una scrittura miglio-re, invece del pratico ma fred-do «copia e incolla» dei pro-grammi di videoscrittura.Iperbolica poi la biografia dell’autrice: 35 righe che oc-cupano i tre quarti del risvolto di copertina, un record edito-riale. Nessuna scheda di ca-duto è così lunga. Fra le tante cose che della Chiesa si sente il bisogno di segnalare anche le benemerenze della Provin-cia di Pavia e il premio «Donna dell’Oltrepò» conferitole nien-temeno che dal Lions Club di Stradella. Un lavoro sulla memoria, spe-cialmente se sostenuto da da-naro pubblico, avrebbe richie-sto una maggiore sobrietà.

Ancora meno felice la presen-tazione del libro, avvenuta il 23 ottobre, nella Sala consiliare: felice intuizione di premiare gli ex-combattenti ancora in vita ma perché non farne par-lare nemmeno uno? E sì che alcuni erano, buon per loro, in perfetta forma. Al contrario si è preferito dare la parola a un comandante alpino che aveva l’unico merito di essere stato responsabile degli archivi du-rante la ricerca. GdM

partigiani e combattere quel che re-stava di nazismo e fascismo, come Luigi Colombo e Giuseppe Co-lombo; così come figura, fra i ca-duti, un giovane giussanese, Mario Varenna che, dopo l’8 settembre del 1943, aveva deciso di arruolarsi sotto le insegne della Repubblica sociale, finendo fra le fila della Bri-gata nera Aldo Resega, impegnata in una dura azione di repressione proprio nel Milanese e in Brianza; o come Carlo Colzani, legionario della «Ettore Muti».Tutti «presenti alle bandiere», co-me si diceva una volta intendendo l’omaggio a chi dava la vita per la propria patria. E tutti i centosei, semplici milita-ri morti sul fronte greco, alpini di-spersi nel gelo Russo, bersaglieri schiacciati dai cingoli inglesi a El Alamein, fino ai partigiani morti lottando contro i tedeschi o i bri-gatista neri che combattevano per il gladio di Salò, sono andati verso la morte per quel senso del dovere, di ineluttabilità della storia, proprio della gente semplice. Piccoli uomini di provincia, spes-so gente umile, operai, contandi-ni, fornai, che si sono immolati si-lenziosamente, fra piccoli e grandi eroismi, se non sul campo di bat-taglia, certamente nella inimmagi-nabile lontananza dalla casa e dagli affetti, nell’angustia e nella soffe-renza della vita militare durante un conflitto feroce come fu la Seconda guerra mondiale. I loro volti sono certamente la parte più bella del libro: capelli imbrillan-tinati e comunque pettinati all’in-dietro, secondo la moda dell’epoca; talvolta baffetti curati, cappello sul-le ventitre per chi si faceva ritrarre in divisa, sempre o quasi volti sor-ridenti di chi pensa alla mamma, al-la morosa, agli amici dell’oratorio da riabbracciare, un giorno, finita quella guerra maledetta. Nessuno

di loro sarebbe invece tornato agli affetti, alle amicizie, alle passaggia-te al laghetto o alla gite in bici fino a Como o alle domeniche a Milano con lo sferragliante tram che parti-va da Piazza Roma.

Quelli che non tornarono.Neppure da mortiAnzi, qualcuno non è riuscito a tor-nare neanche da morto. Felice Citterio, classe 1912, figlio di Carlo e Giulia Colombo artigliere dell’Armir, il corpo d’armata italia-no in Russia, si è fermato ad Ale-skin, nelle Regione di Tula, dove i sovietici l’avevano condotto pri-

gioniero e dove è morto, probabil-mente di stenti, il 1 aprile del 1943.Fra le oltre 500 pagine anche alcu-ne sulla vita civile a Giussano negli anni del conflitto, pregevolmente curate da Tiziano Motta, funzio-nario comunale e appassionato di storia locale: una ricca documenta-zione d’anagrafe, con statitistiche di ogni genere sulla vita paesana negli anni del conflitto. C’è il det-taglio degli esercizio commerciali (nel 1939 c’erano, per esempio, 29 fra osterie, trattorie, caffè e nove parrucchieri), le istanze per i tratta-menti previdenziali, le disposizioni in materia di sfollati che, con l’ini-

zio dei bombardamenti su Milano, si riversarono sulla Brianza. Nel complesso, si prova un sen-so di gratitudine per questi tanti, troppi morti silenziosi; di rispetto per le loro tragiche vite travolte nel gorgo della storia e, contem-poraneamente, un sentimento di ripulsa per la guerra, folle gioco di-struttivo che al solito sacrifica i più piccoli fra i suoi spesso involontari protagonisti. Centosei uomini non illustri di Giussano che, in qualche modo, ci parlano del nostro futuro, come di-ce anche il titolo del libro: che nes-suno abbia più da morire così

La storia

Dalla Brianza a Giarabub. Ettore Natale Sironi, classe 1909, non avrebbe mai immaginato di fi nire nelle oasi del deserto libico. Chiamato alle armi nel 1930, arriva in Libia nel 1937, con i gradi di sergente. Non siamo ancora in guerra ma i venti del confl it-to spirano fortissimi: da un anno è stato proclamato l’Impero e l’Abissinia si è andata ad aggiungere ai possedimenti libici.Le foto mostrano Sironi con il classico copricapo allungato delle truppe in Africa, con i galloni sulle maniche. In altre, si vedono la sabbia del deserto e i palmizi sullo sfondo. Ma Sironi non partecipa alla strenua difesa dell’Oasi ,nel marzo del 1941, quello che ispirà la famosa Sagra, - Colonnello, non voglio pane,dammi piombo pel mio moschetto! - Ettore viene infatti congedato nel 1938. Ma non è fi nita: nel 1942 è richiamato nuovamente al battaglione costiero di stanza a Scalea (Cs). Nel luglio del ’43, morirà sotto le bombe degli angloameri-cani.

ETTORE NATALE, DA GIUSSANO AL DESERTO DEL SAHARA

I fratelli

«Caro fratello, molto dispiacente di quello che è capitato. Sai che Albino è morto?». Sandro Merati, militare della Divisione Legnano scrive al fratello Piero, giussanese classe 1914, è in Jugoslavia, dove fa parte della Compagnia di sussistenza, dato che nella vita civile, in Brianza, fa il panettiere.La missiva, datata 12 maggio 1943, riemerge dalle carte di archi-vio di questo caduto giussanese, fi glio di Carlo e di Giuseppa Sironi. Si parla di un amico morto al fronte. «Chissà i suoi geni-tori cosa dicono», scrive Sandro, passando poi ad augurarsi di poter reincontrare il fratello magari durante una licenza: «Fra giorni vengo a casa in licenza e tu quando vai a casa ancora? Mi piacerebbe trovarsi a casa assieme che è molto tempo che non si vediamo più e ti ringrazio delle 100 lire che hai dato al mio amico». Le notizie sulla salute precendono, come in molte lettere di quell’epoca, il commiato: «Io mi trovo in ottima salute come spero anche di te. Ti saluto e e cerca di passartela bene.».È invece di pochi giorni dopo, 25 maggio dello stesso anno, una lettera che Piero Merati invia ai suoi, a Giussano. Da quello che si riesce a leggere, si parla ancora della morte dell’amico Albino, delle notizie giunte dal fratello Sandro: «Ricordandovi, Pietro, arrivederci, ciao».Di lì a pochi mesi, l’8 settembre, come molti altri militari italiani in Jugoslavia, sarà fatto prigioniero dai Tedeschi. Morirà in Germania, nell’ospedale militare di Sandbostel, per una tubercolosi.

CARO SANDRO, CARO PIERO

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Cultura. 1950-1980 I più raffinati pubblicitari italiani al servizio dell’industria

RECLAME BRUn libro ripropone l’alleanza fra la fabbrica brianzola e gli studi di cal servizio della creatività mobiliera. Campagne che riconsegnano

Brianza mecenate di fatto. Negli anni ’50 e’60, l’industria mobiliera si affida ai maestri grafici di Milano per le réclame dei propri prodotti in Italia e non solo. Così dalla mano dei vari Confalonieri, Iliprandi, Negri, Munari o Noorda, escono soggetti, creatività, bozzetti de-stinati a fare scuola. Proprio una recente pubblicazione dell’Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva-Aiap, che raduna grafici e illustratori, ripropone alcuni dei lavori più significativi dei grandi maestri in quegli anni. Il libro, La grafica del made in Italy - Comunicazione e azienda del design 1950-1980, offre molti esempi di questo fecondo rapporto fra la laboriosità degli industriali brian-

zoli e il genio creativo degli illustratori meneghini.C’è un’esplosione di segni nei manifesti di Giulio Confalonieri , milanese, nato nel 1926 e scomparso nel 1972, approdato all’illustrazione dopo aver studiato in Bocconi. A ispirarlo le cucine Boffi di Cesano Maderno. Per l’azienda cesanese, Confalonieri firma campagne nel 1966 e nel 1967, mixando spesso l’immagine fotografica e l’illustrazione o la costruzione visiva.Insieme a Ilio Negri, Confalonieri pubblicizza anche la medese Cassina, all’epoca Figli di Amedeo Cassina. Negri, bocconiano anche lui, classe 1926, intrigato dalla grafica avendo frequentato la tipografia paterna, firma varie campagne dedicate alle sedie delle azienda, fra il 1959 e il 1960: le foto della Castyro, modello di punta della produzine medese, e segno grafico si alternano. È un’azienda brianzola d’adozione la Arflex, essendo milanese di nascita, ma l’ironica campagna del milanese classe 1925, Giancarlo Iliprandi, Sediamoci ogni tanto, firmata nel 1970, merita d’essere ricordata per la freschezza dei suoi codici visuali. L’immagine del ghisa sul divano è l’icona di un’epoca

Fondata nel 1947 a Milano da un architetto, Marco Za-nuso, e da alcuni ex-tecnici Pirelli, Arfl ex diventa in bre-ve la regina del design. Ne-gli anni ’70 apre a Limbiate. Oggi è a Giussano

ARFLEX DA MILANO

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9Di che si parla

Ottobre /Novembre 2010

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Centovantacinque pagine che ripercorrono una sta-gione esaltante, quella dei grandi maestri della grafica al servizio dell’industria ita-liana. Fra il 1950 al 1980, gra-zie alla pubblicità, l’arte di Dante Bighi, Albe Steiner, Massimo Vignelli, Bob No-orda, Bruno Munari e molti altri arriva agli Italiani. Un’antologia dei lavori più significativi di questi maestri del segno è stata curata da Mario Piazza per l’Associa-zione italiana progettazione per la comunicazione visiva-Aiap. Il volume, intitolato La grafica del made in Italy - Comunicazione e aziende del design 1950-1980, pre-senta, uno ad uno, i grandi il-lustratori, accanto a una se-lezione di manifesti, bozzetti di campagne, immagini.Il volume si trova in libre-ria ma può essere richiesto all’Aiap a Milano, via Amil-care Ponchielli 3, email [email protected]@aiap.it

Antologiadi bellezza

mobiliera. E i manifesti diventano opere d’arte

RIANZAcomunicazione milanese. Segno grafi co e linguaggio visuale intatto il fascino di un’epoca e di una genialità produttiva

Pietro Boffi lascia la Capro-ni, presso la quale lavora, e si mette a fare mobili. In ca-scina. La fabbrica arriva nel ’47, coinvolgendo i fi gli Dino, Pier Ugo e Paolo. Nel 2000 la Boffi apre a Soho, New York.

L’azienda di Amedeo nasce nel 1927 a Meda ma nel 1952, insieme al grande progetti-sta Ponti, arreda l’Andrea Doria. Negli anni ’60 acqui-sta e riproduce le sedie pro-gettate da Le Corbusier

CASSINAGIO & LE CORBU

BOFFICLASSE 1934

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Un brianzolo nella banda di Sante Pol-lastri, un caratese fra i malviventi che ter-rorizzarono l’Italia

del Nord ma anche Parigi, dove si erano trasferiti, con sanguinose ra-pine. Il malvivente cresciuto in riva al Lambro era Luigi Nera, classe 1899, figlio di Giovanni Nera e di Giovanna Colombo.Il suo nome assurge alle cronache in una giornata novembri-na del 1927, dopo che la polizia mila-nese gli ha stretto i ferri ai polsi.«Uno della banda Pollastro, arrestato dopo molta corsa notturna», titola La Stampa di Torino a pagina 4, il giorno 26. Pollastro perché

Cronaca 1927 un brianzolo nella banda Pollastri

FRA IL BANDITO E IL CAMPIONELuigi Nera, caratese di 28 anni, arrestato a Milano dopo un tentantivo di furto, viene accusato di far parte della gruppo di rapinatori sanguinari che sta terrorizzando il Nord Italia

il giornale torinese, incorrendo in un errore, storpiava così il cognome del bandito nativo di Novi Ligure, passato alla storia per la sua contro-versa amicizia con il concittadino e campione ciclistico Costante Gi-rardengo, cui è stata dedicata ne-gli anni ’90 una celebre canzone di Francesco De Gregori (vedi box, a fianco, ndr), uno spettacolo teatrale e, poche settimane fa, una fiction

televisiva con Fio-rello junior.Per Nera, arrestato per un tentato fur-to in un magazzino di foraggi in zona Lambrate (80 anni fa, Milano era an-cora un grande cit-tà agricola), il capo di imputazione si fa subito pesante: lo si sospetta di essere stato presente alla

sparatoria avvenuta in un’osteria di via General Govone, 17 novem-bre del 1926, in cui morirono due agenti di pubblica sicurezza.Ad acciuffare il Nera era stato, un commissario, il dottor Tomassino che pattugliava il quartiere con tre agenti, richiamato dalle urla del guardiano del magazzino che si affacciava fra via Saccardi e via Ri-membranze.«Con le rivoltelle spianate», scrive La Stampa, «gli agenti si dettero all’in-seguimento del fuggiasco in quella frastagliata zona di Lambrate, tut-ta rotta da corsi d’acqua per l’irri-gazione degli orti, da avvallamenti e da piccole montagnole. Ma il la-dro non ebbe fortuna: dopo molta corsa, fu raggiunto tutto bagnato. Era caduto in un fosso, dove egli si illuse di poter sfuggire all’insegui-mento. Anche due degli inseguitori caddero nel fossato», prosegue un anonimo redattore, «ma subito ne

uscirono più che mai risoluti. Spa-rati alcuni colpi, si videro dinnanzi il delinquente con le braccia alzate, in atto di resa».È nella perquisizione, al commis-sariato di Lambrate, che per Luigi Nera da Carate iniziano i guai veri. Dalle tasche del suo vestito, oltre a una polizza al Monte di pietà me-neghino, dove probabilmente aveva impegnato della refurtiva, spunta una foto che lo ritrae con un grup-po di uomini fra i quali, al commis-sario Tomassino «sembrò di ravvi-sare altre tre sue conoscenze». La memoria del questurino non impiega molto ad arrivare ai vol-ti di Pollastri, Massari detto Mar-tin e un altro membro della banda dei famosi rapinatori. Fra gli effetti personali del caratese, anche alcune (allora) recenti lettere provenienti dalla Francia, dove il Pollastri e i suoi stavano imperversando. Fino a tirar fuori il fascicolo del fattac-

L’attore Mario Mascitelli sulla scena di Sante Pollastri, un bandito al Giro. Sotto una foto del fuorilegge di Novi Ligure

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La canzone

La banda

Due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta/un’unica passione per la bicicletta/un incrocio di destini in una strana storia/ di cui nei giorni nostri si è persa la memoria/una storia d’altri tempi, di prima del motore/quando si correva per rabbia o per amore/ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce/e chi sarà il campione già si capisce/Vai Girardengo, vai grande campione/nessuno ti se-gue su quello stradone/Vai Girardengo, non si vede più Sante/è dietro a quella curva, è sempre più distante./E dietro alla curva del tempo che vola/c’è Sante in bicicletta e in mano ha una pistola se di notte è inseguito spara e centra ogni fanale/Sante il bandito ha una mira eccezionale/e lo san-no le banche e lo sa la questura/Sante il bandito mette proprio paura/e non servono le taglie e non basta il coraggio/Sante il bandito ha troppo vantaggio./Fu antica miseria o un torto subito a fare del ragazzo un feroce bandito/ma al proprio destino nessuno gli sfugge/cercavi giustizia ma trovasti la Legge./Ma un bravo poliziotto che sa fare il mio mestiere/sa che ogni uomo ha un vizio che lo farà cadere/e ti fece cadere la tua grande passione/di aspettare l’arrivo dell’amico campione quel tra-guardo volante ti vide in manette/brillavano al sole come due biciclette/Sante Pollastri il tuo Giro è fi nito/e già si racconta che qualcuno ha tradito. /Vai Girardengo, vai grande campione nessuno ti segue su quello stradone/Vai Girardengo, non si vede più Sante/è sempre più lontano, è sempre più distante/sempre più lontano, sempre più distante… /Vai Girardengo, non si vede più Sante/Sempre più lontano, sempre più distante... Il bandito e il campione, Francesco De Gregori

Gruppo di banditi in un interno. Le cronache degli anni ’20 non ci mostrano la famosa foto parigina che immortala il gruppo degli italiani-canaglia che terrorizzarono la Ville Lumière, a metà di quel decennio. Possiamo solo immaginarli, guasconi e spavaldamente truci, in attesa del lampo di ma-gnesio. Ma sono invece i giornali del 1929, anno del processo a Pollastri, Massari detto «Martin» e tutti gli altri, a fornire la ricostruzione delle loro vite un po’ folli e della scia di sangue che si lascia-vano dietro. Come accadeva allora, i dibattimenti processuali, in assenza della tv e con una radio ancora agli albori, si trasformavano in vere e proprie scene teatrali, magistralmente descritte dai cronisti di punta di quotidiani e rotocalchi. E la vicenda Pollastri, con tutti i suoi morti ammazzati, col risvolto esotico dell’espatrio, con quello sovversivo per le idee anarchiche di alcuni e per l’uc-cisione anche di una militante fascista, persino con il coinvolgimento di un mito sportivo di quegli anni, come Girardengo, offriva tutti gli elementi per un perfetto feuilleton in salsa gialla.I delitti del gruppo vengono ricostruiti nel dettaglio: dal cassiere di Tortona, derubato ed ucciso da Pollastri («forse per sbaglio»), l’assassinio di due carabinieri a Mede in Lomellina, al furioso scontro a fuoco di Rho, in cui sette poliziotti furono feriti, all’omicidio di un orafo milanese, anch’egli rapinato, sino alla clamorosa operazione di via General Govone in cui, un’imboscata della Questu-ra al gruppo si risolve con due morti fra i poliziotti. Il 20 novembre del 1929, Pollastri e l’anarchico Peotta furono condannati all’ergastolo, pene minori agli altri.

POLLASTRI E GIRARDENGO SECONDO DE GREGORI

QUEI RAPINATORI GUASCONI E DALLA PISTOLA FACILE

L’articolo della Stampa che riporta la notizia dell’arresto di Luigi Nera a Milano. Sotto, Girardengo e, a fianco, Beppe Fiorello nella fiction televisiva.

11Ottobre/Novembre 2010

D Di chi si parla

Dal Giro al tribunaleUn campione nell’aula di una corte d’Assise, un ciclista di fronte a una corte, seppure come testimone. L’Italia inte-ra seguì dai giornali la testi-monianza di Costante Girar-dengo al processo milanese contro la Banda di Sante Pol-lastri, il 4 ottobre del 1929.Il campionissimo di Novi Li-gure (Alessandria), classe 1893, vincitore di due giri d’Italia e di molti altri trofei, fu infatti chiamato a testimo-niare, avendo conosciuto il bandito, suo concittadino, e di averne raccolto addirittu-ra la testimonianza.Non senza imbarazzo, colui che aveva duellato con Al-fredo Binda, rispose alle domande di un giudice piut-tosto insistente.Nel tribunale milanese, Gi-rardengo raccontò d’esse-re stato avvicinato una vol-ta a Parigi dal Pollastri, nel 1927,dopo una vittoria al Ve-lodromo «Buffalo», della ca-pitale.Manifestatosi come tifoso e compaesano, Pollastri rac-contò, come in una confes-sione religiosa, tutte le sue vicende criminali, scagio-nando, proprio per un de-litto comesso a Novi Ligure, due persone che erano state condannate.

cio dell’osteria con l’omicidio dei due poliziotti, in cui Nera viene più volte citato.Luigi Nera capisce in un istante che essere associato a cotanti ban-diti poteva significare, per lui, l’er-gastolo. E collabora, rispondendo alle domande. «Mi trovavo a Como, in stagio-ne (dove si intende, proprio quel-la del mariuolo, ndr), allorquando comparvero le pubblicazioni dai giornali sui delitti commessi dalla banda Pollastro e sull’avvenuto ar-resto del capo. Notai», proseguono le dichiarazioni del brianzolo, «che incidentalmente tali pubblicazioni, senza fare il mio nome, mi indica-vano con il nomignolo col quale so-no conosciuto negli ambienti della malavita. Troncai di conseguenza la stagione, che per suo inizio si ri-prometteva fruttifera, e riparai a Milano, ove riuscii a celarmi per tutto questo tempo». Alla doman-da, che cosa avesse fatto sul Lario, Luigi Nera risponde minimizzan-do: «Rapinai qualche passante e due carrettieri di Carate, ai quali por-tai via della merce che era caricata sui carri. Quella gente», conclude il bandito, «viaggia con così poco che il rischio è molto maggiore del guadagno».Il commissario, «che si era accor-to di aver arrestato un delinquente che, un tempo, con i suoi affiliati andava terrorizzando le strade della Brianza con quotidiani assalti ai car-rettieri e agli stabilimenti isolati», lo incalza con nuove domande. Nera ammette una rapina a mano arma-ta, avvenuta all’inzio dello stesso mese a Lambrate, in cui fra i valo-ri sottratti, figurava un orologio a catena - trovato indosso al bandito - e lo stesso abito, riconosciuto in seguito come quello che il caratese indossava al momento dell’arresto. Idem, per un’altra rapina ai danni di un giardiniere, avvenuta nei giorni successivi.Sottoposto al fuoco di fila delle domande, Nera fa anche le prime ammissioni sui suoi rapporti con la banda Pollastri-Martin: «Li ho co-nosciuti in Francia», deve confer-mare il bandito, che continua però a prendere le distanze dal gruppo dei sanguinari rapinatori. Dalla cronaca del 1927, si capisce che il commissario Tomassino non è in-tenzionato a fermarsi qui: «Egli de-ve certo sapere parecchio sul conto di Pollastro», scrive il quotidiano. A spingere il questurino è anche il verbale di un arresto avvenuto pro-prio a Como, un anno prima, del-lo stesso Nera, riconosciuto come affiliato alla banda e poi rilasciato a Milano, dopo un interrogatorio. I mezzi con cui lavorava la polizia degli anni 20 erano d’altra parte davvero scarsi: verbali, relazioni, rare fotografie e di pessima carte da sfogliare ogni volta. Tomassino sarà probabilmente sob-balzato apprendendo che il carate-se era stato acciuffato almeno un anno prima. Ma sfogliando il me-desimo faldone, trova anche l’ele-mento che lo inchioda alla banda: a Milano aveva fissato la sua dimora in un’osteria di Porta Romana, la stessa in cui stava nascosto Aristide Casini, complice di Pollastri. Caro il mio brianzolo, avrà proba-bilmente pensato il funzionario, qui per te le cose si mettono male. Nera però non sarà processato col resto della banda nel ’29 (vedi box a fianco, ndr): era probabilmente riu-sicito a dimostrare che era un rapi-natore ma non un assassino

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12Ottobre/Novembre 2010

BR

IAN

ZA

197

0-19

74

Comuni SI NO bianche nulle

Agrate 2.903 2.690 73 33Aicurzio 572 411 17 9Albiate 1.451 1.365 69 35Arcore 3.514 4.859 143 54Barlassina 1.264 1.991 66 36Basiano 396 341 13 6Bellusco 1.392 1.719 47 24Bernareggio 1.616 1.983 62 17Besana 4.474 2.914 150 75Biassono 2.483 2.367 87 36Bovisio 2.787 3.806 105 40Briosco 1.553 1.092 67 22Brugherio 6.070 9.633 224 110Burago 459 747 21 4Busnago 915 720 19 20Bussero 765 1.099 35 11Cambiago 754 1.210 53 16Camparada 319 359 12 7Caponoago 919 733 31 12Carate 4.867 4.402 182 72Carnate 1.091 1.906 53 17Carugate 2.545 2.590 74 37Cavenago 914 1.339 35 11Cesano 8.884 10.317 261 161Concorezzo 3.511 3.639 113 4Cornate 2.061 2.325 90 33Correzzana 323 282 14 6Desio 7.564 11.993 355 160Giussano 6.614 4.673 121 168Lentate 3.034 4.782 171 71Lesmo 1.250 1.406 43 16Limbiate 4.536 12.928 125 174Lissone 8.651 9.639 299 205Macherio 1.912 1.605 45 30Meda 5.155 5.993 202 70Mezzago 695 955 28 6Monza 28.052 45.686 940 415Muggiò 3.697 7.148 169 82Nova M. 3.359 6.584 108 63Ornago 639 842 32 10Pessano 1.394 1.281 45 18Renate 879 1.049 46 77Roncello 395 441 9 3Seregno 10.985 11.198 346 187Seveso 4.583 5.293 142 105Sovico 2.115 1.861 61 25Sulbiate 919 510 20 18Triuggio 2.144 1.669 75 27Usmate 1.584 1.850 57 32Varedo 2.729 4.141 71 60Vedano 1.501 1.725 58 17Veduggio 1.190 1.105 54 20Verano 2.185 1.809 63 95Villasanta 3.183 3.159 80 44Vimercate 5.185 7.482 229 83TOTALE 175.023 225.646 6.110 3.172

MONZA GUIDA I DIVORZISTI

Nel dicembre del 1970, i partiti laici fanno approvare la storica legge che rende dissolubile il matrimonio confermata quattro anni dopo da una valanga di voti

Il paragone è addirittura con Porta Pia, di cui è ap-pena ricorso il centenario. La legge Baslini-Fortuna, approvata dal Parlamento

martedì 1 dicembre 1970 (319 sì, 286 no), ha da subito messo in moto i cattolici italiani che si muovono per abrogarla. Nei mesi precedenti la discussione della norma, le gerar-chie e la stampa si mobilitano: se, come sembra, il divorzio passerà, nasceranno in tutta Italia i comitati che raccolgano le 500mila firme ne-cessarie a chiedere un referendum abrogativo. Sul Cittadino del 6 giugno 1970, la campagna di sensibilizzazione dei cattolici è all’acme. Nelle pagine limbiatesi del giornale cattolico, si può leggere un articolata presa di posizione su come la legge sia «uno schiaffo morale agli italiani». Caricando la legge di significati an-ti-cattolici: «Da troppi indizi, del re-sto, traspare una comune matrice laicista, in cui convergono i gruppi parlamentari favorevoli al divorzio. Il centenario di Porta Pia lo si vor-rebbe ad ogni costo sottolineato con un fatto che la maggioranza ancor sana degli Italiani non ha vo-luto accettare».A corredo dell’ampia pagina refe-rendaria, alcuni dati di fonte Onu, relativi all’andamento delle separa-zioni nei Paesi europei e in altri 28 nazioni extraeuropee, tutti egual-mente divorzisti. Statistiche che do-cumentavano l’aumento progressi-vo dei divorzi, una volta concessa la possibilità per legge: dalle 2,2 per cento sui matrimoni europei degli anni 1906-1909, si arriva al 12,2 del 1965-66. Dati a cui, gli anti-divorzisti brianzoli oppongono il 2,9% delle separazioni richieste in Italia nello stesso biennio.Seguono quindi una serie di ar-gomentazioni: danno ai figli, «di-menticati» in luogo di quelli dei matrimoni successivi; danno alle donne che subiscono il divorzio e sulle quali «spesso l’onere dei figli da mantenere». E anche all’avvenu-to cambio della mentalità italiana, evocato dai sostenitori della legge Fortuna, gli abrogazionisti rispon-dono con un sondaggio Doxa del 1969 che parla di quasi 47 italiani su 100 contrari al divorzio contro poco più di 20 favorevoli.Contro il divorzio, gli attivisti cat-tolici, in Brianza come nel resto d’Italia, propongono «una efficace riforma del diritto familiare», tra-mite «l’aggiornamento delle cause di nullità del matrimonio», la revi-sione «della disciplina della separa-zione con tutti gli effetti giuridici ed economici», equiparazione «a tutti gli effetti del trattamento dei coniugi», tutela «dei figli naturali, sui quali non fa ricadere la colpa dei genitori adulteri, dando a costoro la facoltà, in certi casi, di riconoscerli

Politica Cattolici vanno al referendum e vengono sconfitti

legalmente» e quindi, promuoven-do una «migliore preparazione al matrimonio». Proposte dalle quali si possono ricavare, a rovescio, al-cune delle argomentazioni dello schieramento opposto.L’anno successivo, incalzando la raccolta di firme, ancora una pagi-na del Cittadino (10 aprile 1971), ri-lancia le ragioni del «sì». «La legge Fortuna-Baslini», si può leggere a pagina 7, «sancisce non un piccolo divorzio ma uno dei più ampi divorzi che le legislazioni mo-derne prevedono. Questa legge si fonda sull’egoismo e sulla tempora-neità dell’amore, anzi sanziona legi-slativamente l’amore a termine».E un’altra riflessione, intitolata Vita e divorzio, divorzio e vangelo, vange-lo e vita, ricorda al lettore che «di-vorzio non significa separazione di coniugi disgraziati: tali separazioni ci sono sempre state e ci saranno sempre», il verso significato è «con-sacrazione legale e promozione ci-vile di unioni succedanee costruite con i tronconi e i rottami di quel-le disgrazie». Non che manchino i problemi, scrive un anonimo re-dattore, «le disgrazie vanno evita-te il più possibile, e se non si sono potute evitare si cerca di ridurne al minimo gli effetti disastrosi; e i di-sgraziati vanno compresi, confor-tati e aiutati a risollevarsi».Al referendum si arriverà nel mag-gio del 1974 e dalle urne uscirà

E IL DIVORZIODIVISE L’ITALIA

un’Italia divorzista: 19.093.929 voti a favore della legge, ovvero «no» all’abrogazione, contro 13.188.184 «sì», vale a dire quanti volevano cas-sare la Baslini-Fortuna, approvata solo quattro anni prima.E anche nella cattolica Brianza, co-me si vede nella tabella che pubbli-chiamo a fianco, il divorzio passa a maggioranza: 225mila voti contro 175mila: nella cittadine più grandi il «no» dilaga o comunque si affer-ma. In quello che sarà il capoluogo di provincia, Monza, la vittoria più schiacciante: 45.686 «no», contro 28.052 «sì».Una sconfitta per la Chiesa e per i vescovi, una disfatta personale per il segretario democristiano Amin-tore Fanfani, che aveva schierato il partito di maggioranza relativa sul fronte antidivorzista. Esultava, per contro, l’Italia laica ma soprattutto quella socialcomunista che di lì a poco, nelle elezioni amministrati-ve del 1975, tenterà il sorpasso dello scudocrociato. Certo, quella che uscì dalla urne nel pomeriggio di quel lunedì 14 mag-gio fu un’Italia (e una Brianza) mol-to diversa da quella che era nella rappresentazione comune di paese fortemente cattolico e tradizionali-sta. Un cambiamento che sollecita-va molte forze politiche e culturali a nuove battaglia: quella per intro-durre l’aborto volontario. Accadrà solo quattro anni dopo

Fra «sì» e «no»La Brianza cattolica, la Van-dea d’Italia, così come ve-niva rappresentata, scelse il divorzio. Il voto del refe-rendum del maggio 1974 re-gistrò un’ affermazione dei divorzisti, certo inferiore a quella nozionale. Gli unici a far prevalere il «sì» all’abro-gazione, seppur di misura, furono Carate, Giussano, Triuggio, Villasanta, Brio-sco, Agrate, Besana, Biasso-no, Verano, Veduggio, Villa-santa. Per il resto, la Brianza scel-se nettamente la difesa del divorzio, introdotto quattro anni prima, con vittorie im-portanti a Desio, Brugherio, Limbiate, Muggiò, Varedo, Vimercate.

Le prime pagine

dell’Unità e dell’Avvenire

il giorno dopo ai risultati del

referendum

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13Ottobre/Novembre 2010

Referendum a Nomana

Di chi si parlaD

Anche nel Cavallo rosso, il capolavoro di Eugenio Cor-ti, si parla del referendum abrogativo del 1974.Anzi, il grande romanzo ini-zia con l’entrata in guerra dell’Italia, accolta con digni-tosa mestizia dagli abitanti di Nomana, la cittadina brian-zola di fantasia da cui Corti fa partire la sua grande saga, e termina proprio alla vigi-lia del voto sul divorzio, con il protagonista Michele che partecipa alla mobilitazione referendaria. Una delle drammatiche sce-ne finali del libro vede Alma, la moglie del protagonista, morire in un incidente stra-dale alla fine di una fatico-sa serata di propaganda del marito, in giro per i paesi lombardi. «Questa lotta contro il ma-trimonio civile », si scrive a pagina 1260, riferendosi pro-prio ai pensieri di Michele, «la cui indissolubilità era stata introdotta in Italia dal cristianesimo un millennio e mezzo prima, gli appariva l’ultima possibilità obiettiva per bloccare la scristianizza-zione delle delle leggi e del costume. Per questo egli - so-spesa da quattro mesi ogni attività - vi dedicava gratis e con tutta la forza di cui era capace l’intero suo tempo. Guai se questa lotta fosse andata perduta! Subito do-po sarebbe stata introdotta con certezza anche la liber-tà d’aborto, cioè di strage degli innocenti ancora non nati...»

Perdemmo per quei tre milioni di cattoli-ci che vollero il no»: Eugenio Corti, an-che a quasi 90 anni,

portati con qualche acciacco fi sico ma con una grande, aff ascinante, lucidità mentale, è sempre lui: di-retto, lineare, schietto.L’autore de Il cavallo rosso, il canto-re di una Italia (e di una Brianza) minima eppure epica, 40 anni fa guidò i referendari cattolici lom-bardi nella battaglia per l’abroga-zione della legge Baslini-Fortuna. Non è un caso che il suo capolavo-ro fi nisca proprio nei giorni della mobilitazione contro il divorzio.Lo incontriamo nella villa di fa-miglia, a Besana, alla vigilia di un grande convegno monzese per ce-lebrarne l’opera organizzato dal di-namico comitato che vuol candi-dare Corti al Nobel.

Come fi nì alla guida del comitato?Per una mia vecchia conoscenza con Gabrio Lombardi, che ne era l’organizzatore a livello nazionale. Aveva servito con me nel Corpo italiano di liberazione (i militari italiani che dopo l’8 settembre ’43 rimasero fedeli ai Savoia) e c’era-vamo conosciuti a Lecce, lui capi-tano, io sottotenente. Ricordo che nacque una simpatia: avevo capito che anche lui era un paolotto. Ma poi non ci rivedemmo, essendo lui nel comando del Cil e io impegna-to in prima linea. E fu così per qua-si 30 anni, quando mi scrisse una bella lettera...Per coinvolgerla?Sì, la legge era stata da poco ap-provata e lui andava costituendo i comitati. Si era ricordato di quel nostro incontro sotto le armi e mi aveva scritto dicendo: “Sono certo che su questa battaglia tu sarai dei nostri”. E non mi tirati indietro.Che cosa c’era da fare?Tutto. Il presidente lombardo era un uomo di banca e di tempo li-bero non ne aveva molto. Io già a quel tempo mi dedicavo alla scrit-tura. Anzi ricordo che, con l’ap-prossimarsi del voto, accantonai la stesura del Cavallo rosso per almeno quattro mesi. Cominciando a gira-re in lungo e in largo la Lombardia: per incontrare i volontari, sostene-re incontri pubblici, fornire spun-ti e indicazioni. Fu una bellissima esperienza, per la gente incontrata e anche per i luoghi.Che clima trovava fra i cattolici?C’era la consapevolezza che quel-la legge fosse davvero un pericolo per la famiglia e la società italiana e che ce l’avremmo fattta a rime-

Intervista Eugenio Corti ricorda la mobilitazione antidivorzio

Eugenio Corti fotografato da Fabrizio Radaelli nel salotto della sua villa di Besana Brianza

L’autore del Cavallo rosso racconta la sua battaglia contro il divorzio come capo del Comitato per il Sì della Lombardia e ricorda: decisivi i cattolici divorzisti

«LA MIA ULTIMA SCONFITTA»

diare, abrogandola.Perché pensavate di vincere...Sì, almeno all’inizio, c’era la con-vinzione che l’Italia non avrebbe accettato il divorzio e di mettere in crisi il modello familiare che, con-trariamente a quanto si voleva rap-presentare, teneva ancora...Ma venivamo dal ’68, in cui si era contestata fortemente la famiglia patriarcale, autoritaria e vessato-ria della donna e dei fi gli...Una mentalità ideologica che pesò e dette il suo contributo, anche con la cosiddetta Rivoluzione sessuale ad attaccare il ruolo del padre, il pa-ter familias ma la famiglia non era in crisi nei primi anni ’70. Certo, con i suoi difetti: era eccessivamen-te patriarcale e maschilista al Sud, ma nel complesso teneva. Anche in Toscana, dove magari, per impo-stazione culturale ci si separava di più, c’era una certa base popolare comunista che comunque guarda-va al matrimonio e alla sua indis-solubità con fi ducia. Ricordiamoci che per anni, la storia fra Togliat-ti e la Jotti dovette essere taciuta perché i compagni della base non avrebbero approvato.Quali argomenti utilizzo il Comi-tato negli incontri pubblici?Mostravamo, dati alla mano, che laddove si era introdotto il divor-zio, c’era stata una moltiplicazio-ne delle divisioni, rispetto alle se-parazioni precedenti. E soprattutto cercavamo di rendere consapevo-le la gente del fatto che il divorzio avrebbe distrutto la famiglia. E pu-troppo così è stato.Proprio in questi termini?Il colpo di grazia. Oggi se ci si sposa meno e o lo si fa in ritardo è perché si è indotta nei giovani una paura del matrimonio, una sfi ducia nell’unione fra l’uomo e la donna basata sulla lealtà reciproca. I ri-sultati sono sotto gli occhi di tutti. Si introdusse un vulnus e oggi ne paghiamo le conseguenze. L’ave-vano capito, a suo tempo, persino i Romani...Vale a dire?Era un argomento, che utilizzavo spesso nelle conferenze: nella Ro-ma del 200 avanti Cristo, ai tempi di Catone, si introdusse il divorzio, non senza polemiche pubbliche anche rilevanti perché veniva me-no la lealtà e il concetto di parola data, ma nessuno osava divorziare. Si capiva che si metteva in crisi la società e si resisteva.Com’erano i dibattiti, allora?Dialetticamente vincevamo noi, sul confronto delle idee e delle te-si, in genere soccombevano ma avevano la quasi totalità dei gior-

nali dalla loro, in modo smaccato. A noi rimanevano i giornali dioce-sani e poco altro: lo stesso Avvenire, all’inizio, pencolò non poco, dando voce anche ai cattolici dissenzienti: ci volle un richiamo dei vescovi...Del resto, Raniero La Valle, che di quel giornale era stato direttore, si schierò per il No. E non fu il solo. Fu una cosa davvero penosa. Og-gi, molti di loro non ci sono più e mi spiace persino ricordarlo ma col padre Turoldo ebbe discussioni pubbliche molto accese. Per non dire della Acli, schierate per il no e dell’Azione cattolica, molto de-fi lata, se si eccettua a Milano un gruppo di fucini che si erano for-mati con gli insegnamenti di padre Olgiati in Cattolica. In compenso fecero un lavoro splendido i giova-ni di Comunione e liberazione che, al contrario di quanto si è scritto, non lo fecero solo per obbedienza ai vescovi, quasi obtorto collo, ma per adesione convinta. Se la Chie-sa avesse insistito, probabilmente quei tre milioni di voti per il divor-zio, decisivi per il risultato, non ci sarebbero stati. E invece il Papa, nei giorni del referendum era all’Este-ro, in visita apostolica.In compenso si schierò la Dc...Fu un merito di Amintore Fan-fani, il segretario di allora: pagan-done un prezzo politico altissimo. Con la sconfi tta, dovette lasciare la guida del partito. Ma ci provò,

realizzando che i Comitati, da so-li, non ce l’avrebbero fatta. Sem-bra che avesse detto: «Ma quando cominciano a muoversi?». Non sa-peva che lo stavamo facendo da mesi, solo che nessuno se n’era accorto.Perché a quel voto fu annesso anche un signifi cato politico: ci fu una sto-rica copertina dell’Espresso post re-ferendum che titolava: Cento posti da occupare subito...Sì la vittoria divorzista si caricò di signifi cati politici enormi...Dov’era quel giorno del 1974, in cui arrivò la notizia della sconfi tta? A Milano, nella sede del Comitato. C’eravamo preparati: negli ultimi giorni, avevamo chiaro che non ce l’avremmo fatta, lo schieramento divorzista era troppo ampio.In Brianza, come andò? Non ci si aspettavo tutti quei «No».Nelle zone interne, lontano da Mi-lano, prevalemmo. Altrove, i «no» furono maggiori, ma di misura.Quanto amara fu quella sconfi tta?Di sconfi tte me ne intendevo: la Russia, la guerra di Liberazione, che facemmo combattendo da Sud a Nord, fi nendo poi in all’Alto Adi-ge, senza nessun riconoscimento, come se avessero fatto tutto solo il partigiani. Ci fu lo sconforto per cià che quella legge avrebbe inevi-tabilmente prodotto nella società italiana. Ora toccherà all’aborto, dissi. E fui facile profeta

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14Ottobre-Novembre 2010

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5Un ragazzino pugliese, arrivato ad Agliate alla fine degli anni ’40, trova nella boxe un modo per emergere. Arrivando ai vertici sotto le insegne dell’Accademia di Seregno di Daniele Corbetta

Dalla Puglia alla Brianza: quando Gioacchino Sata-lino, barese, clas-se 1941, arriva ad

Agliate, col padre, nel 1947, è un ragazzino vivace ma non imagina ancora che nel suo futuro ci sono i guantoni e una carriera che lo por-ta fin sulla soglia del pugilato che conta. L’incontro con la boxe arriverà soltanto quattro anni dopo, quan-do conosce Ciano Trovati, collega presso il Panificio Panzeri di Corso del Popolo, a Seregno. Quest’ulti-mo introduce Gioacchino alla pale-stra dell’Accademia Pugilistica Se-regnese, presso lo Stadio Ferruccio, dove si allenano dilettanti e profes-sionisti, tra cui Formenti, Ballabio, Crosio e Bagnoli: «Mi sembrò su-bito una cattedrale», ricorda Satali-no, «era davvero bellissima. Mi in-curiosiva provare a boxare, in fondo da piccolo mi toccava difendermi e spesso si finiva per fare a botte». Dal ’51 al ’55, al giovane Gioacchino e ai suoi coetanei sono riservate le aperture in occasione delle riunio-ni: categoria pulcini, tant’è che ini-ziano a chiamarli «la covata brian-zola». Il passo seguente è il tesseramento come novizio e la partecipazione ad un torneo con oltre trecento iscrit-ti che si teneva in piazza Medaglie d’oro a Milano. Gioacchino ottiene un buon risul-tato, facendosi sconfiggere solo ai quarti. Nel frattempo il giovane pugliese d’origine non esita a rim-boccarsi le maniche, dividendosi fra lavoro e palestra: «Erano anni duri, lavoravo quasi sempre. Da lu-nedì a domenica mezzogiorno ero impegnato a Seregno, poi andavo a vendere gelati e caramelle in un ci-nema di Carate, mentre durante le vacanze estive mi davo da fare in un hotel alle grotte di Realdino». Il nostro pugile tenta quindi di en-trare nel salumificio Vismara di Casatenovo: per fare ciò serve la «raccomandazione» del sacerdote del paese di residenza: «Era un atte-stato che testimoniava che fossi un bravo ragazzo. Andai dal prete di Agliate, ma dato che i miei genitori si erano separati, questo mi cacciò fuori di casa». Niente raccomanda-zione e addio Vismara, la Brianza è anche questa.Il filo che lega il seregnese alla boxe si fa sempre più stretto nel 1957, in occasione del Torneo interregiona-le di seconda serie a Mestre. Sulla sua strada, passato ai pesi piuma, s’intromette in semifinale Sandro Lopopolo, futuro campione italia-no e medaglia d’argento a Roma ’60. Gioacchino perde l’incontro a causa del maggiore tasso tecnico dell’avversario, che, dopo qualche anno, rivelerà: «Satalino aveva un

Sport Personaggi, dallo stadio Ferruccio ai ring nazionali

Gioacchino Satalino in una foto di inizio carriera. Sotto, con la maglia dell’Accademia seregnese

pugno che faceva male». Brevilineo, guardia normale, gio-strava a mezza distanza: il pugi-le nel ’59 passa a leggero, conqui-stando anche la cintura di Milano, seconda serie. Ora Gioacchino è pronto per l’ennesimo salto, in pri-ma serie. È nel ’61 il momento d’oro: si pre-senta al campionato regionale di-lettanti di prima serie, senza essere

SATALINO, PUGNI APPASSIONATI

iscritto nell’elenco dei favoriti. «Mi-si ko Ledda alla prima ripresa, vinsi con Di Pace ai punti, poi mandai al tappeto anche Rivabene». A questo punto un giornalista della Gazzetta dello Sport, Luigi Grassi, indica per ogni categoria il nome di tre favori-ti. Dei leggeri ne segnala solo uno, scrivendo: «Satalino, l’uomo da bat-tere». E vittoria sarà, sconfiggendo in semifinale Dante ai punti e, in fi-

nale, sempre ai punti, Panerini. La partecipazione ai Campionati Italiani di Bologna, dove sono pre-senti i migliori boxeur nostrani, come Arcari e Brandi, è piutto-sto sfortunata: «Al primo incontro Chessa mi diede una capocciata, spaccandomi il sopracciglio. Così persi il match». Arriva anche la prima chiamata in Nazionale: «Mi allenai con Mazzin-

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15Ottobre-Novembre 2010

B Brianzoli protagonisti

Da Lentate a Las VegasUn brianzolo - anche di chia-re origini venete - ai vertici della boxe europea: è Lo-renzo Zanon, classe 1951, di Lentate sul Seveso, arrivato alla corona continentale dei pesi massimi.Un primato conteso vittorio-samente a un altro italiano, il riminese Alfio Righetti, la sera del 11 luglio del 1979.Da quel momento, la car-riera del lentatese decolla, fino ad arrivare ad affronta-re l’impossibile Larry Hol-mes, il gigante dei massimi mondiali, che aveva piegato il vecchio Mohammed Ali e Michael Spinks.L’incontro si svolgerà il 3 febbraio del 1980 a Las Ve-gas, tempio della box, per un knock-out al sesto round ma consolandosi con una borsa di 150 milioni di lire.In precedenza aveva fatto soffrire campioni del cali-bro di Ken Norton e Jerry Quarry.

Gli inizi

La storia di Gioacchino Satalino apre una pagina sull’epica del pugilato: nel 1948 Ernesto For-menti conquistò l’oro alle Olimpiadi di Londra, nella categoria pesi piuma. Successo che dette una forte spinta alla diffusione della boxe in Italia: in particolare la Brianza si sentì chiamata in causa, in quanto il neo campione era nato e cresciuto a Cassina Savina, ora frazione di Cesano Maderno e si allenava a Seregno. Il risultato fu che la boxe esplose letteralmente: «A Seregno le palestre erano sempre strapiene, tant’è che capitava di doversi allenare al di fuori di esse», come ricorda Gioacchino. Olre alla Pugilistica seregnese erano attive l’Ap Monzese, la Modoetia Monza, quindi aprirono anche la Ap Lissonese e tante altre a Milano, tra cui la Us Lombarda. «Ho disputato parecchi incontri al cinema Impero ed era sempre strapieno di gente», continua Gioacchino, «la boxe aveva davvero un grande seguito». Parola di chi ne era protagonista. Il pugilato aveva colmato il gap che lo separava da gli altri sport predominanti nella cultura italia-na: ora se la giocava alla pari con il calcio e il ciclismo.

GRAZIE AL TRIONFO DI FORMENTI, LA BRIANZA SCOPRÌ LA NOBILE ARTE

Giovani pugili in un interno. Fra gli anni ’50 e ’60, la boxe infiamma i paesi della Brianza

ghi, Piazza, Canea, Penna, Massa, Ricci, Vacca; fra di loro c’era chi sa-rebbe diventato campione Italiano, d’Europa e del Mondo».Il 1962 è l’anno che vede il passag-gio di Gioacchino Satalino al pro-fessionismo, con la scuderia Bara-vecchia Pejo di Brescia. L’esordio è proprio a Bari e vince contro Sedi-cino. Quindi «avrei dovuto sfidare Paone al Palalido di Milano», conti-nua l’ex pugile, «ma a pochi giorni dal match mi arrivò un telegramma in cui la scuderia mi informava che la riunione era rimandata». Gioacchino si rilassa e trova un’altra data per l’incontro ma non riesce a presentarsi nelle giuste condizioni di forma: «Non riuscivo a battermi secondo le mie possibilità, finché persi per squalifica». È l’ultima vol-ta che sale sul ring, le decisione è presa: addio alla boxe. I motivi? «Mi guardai intorno, c’era molta gente davvero brava a boxare, molto più brava di me». Determinante è anche l’incontro con Lino Mastellaro (campione italiano dilettanti, pesi piuma pro-fessionisti, si battè anche per il ti-tolo europeo) in un bar di Meda: «Fui sorpreso di trovarlo lì», rivela Gioacchino, «mi disse che faceva il tappezziere in quella zona». Brusco ritorno sulla terra: «Feci due con-ti e capiì che di boxe non si pteva campare». Nel marzo del 1964 apre in corso del Popolo a Seregno quella che di-venterà la storica Pescheria Satalino. Nonostante gli impegni Gioacchi-no non ha smesso di frequentare il mondo del pugilato: «Fui aiu-to insegnante alla Lombarda, co-me assistente all’angolo di Zanon (europeo nei massimi, vedi box, ndr), quindi fondatore e presidente dell’Accademia pugilistica Cesano Maderno». A quasi 70 anni, vanta un fisico dav-vero invidiabile. Nella sua palestra privata, molto simile a un grande affresco degli anni ’60 - pieno di coppe e pagine di giornale, ci rive-la il suo segreto: «Mi alleno ancora tre, quattro volte a settimana», dice, «spaziando dalla ginnastica, soprat-tutto quella addominale, al footing, passando per corda e sacchi». Quando si nasce atleti, si resta atle-ti. Sempre

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