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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones Il conflitto nella storia economica dell’umanità Prof. Vera Zamagni Il titolo della mia relazione è “Il conflitto nella storia economica dell’umanità”, ma vi dirò più di preciso l’argomento fra breve. Si è molto parlato finora dei conflitti dal punto di vista delle loro cause, e delle loro potenzialità di superamento, un superamento che si può ottenere cambiando mentalità, utilizzando il dialogo, ponendo in essere strumenti giuridici adeguati. Proverò ora, per aggiungere qualche idea, a prendere un’altra prospettiva, anche perché la mia preparazione storica mi porta a vedere i risultati del conflitto molto più che non le loro cause. In questa relazione cercherò di delineare l’evoluzione nella storia delle implicazioni dei conflitti distruttivi, quando cioè il conflitto è degenerato in violenza, come diceva Savagnone ieri. Ho apprezzato molto la distinzione tra conflitto e violenza, che non sono la stessa cosa, però si implicano: noi sappiamo che esistono conflitti latenti, che quando degenerano, quando usano la violenza, diventano aperti. Occorre distinguere tra due livelli di conflitti aperti nelle società: primo livello, conflitti tra entità politiche diverse e separate, siano esse tribù, città, regioni, stati, è il conflitto che noi normalmente chiamiamo guerra; secondo livello, conflitti all’interno di entità politiche tra Titular de Historia Económica de la Universidad de Bologna Il conflitto nella storia economica dell’umanità, Vera Zamagni, pp.225-258. 225

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones

Il conflitto nella storia economica dell’umanità

Prof. Vera Zamagni∗

Il titolo della mia relazione è “Il conflitto nella storia economica dell’umanità”, ma vi dirò più di preciso l’argomento fra breve. Si è molto parlato finora dei conflitti dal punto di vista delle loro cause, e delle loro potenzialità di superamento, un superamento che si può ottenere cambiando mentalità, utilizzando il dialogo, ponendo in essere strumenti giuridici adeguati. Proverò ora, per aggiungere qualche idea, a prendere un’altra prospettiva, anche perché la mia preparazione storica mi porta a vedere i risultati del conflitto molto più che non le loro cause.

In questa relazione cercherò di delineare l’evoluzione nella storia delle implicazioni dei conflitti distruttivi, quando cioè il conflitto è degenerato in violenza, come diceva Savagnone ieri. Ho apprezzato molto la distinzione tra conflitto e violenza, che non sono la stessa cosa, però si implicano: noi sappiamo che esistono conflitti latenti, che quando degenerano, quando usano la violenza, diventano aperti. Occorre distinguere tra due livelli di conflitti aperti nelle società: primo livello, conflitti tra entità politiche diverse e separate, siano esse tribù, città, regioni, stati, è il conflitto che noi normalmente chiamiamo guerra; secondo livello, conflitti all’interno di entità politiche tra ∗ Titular de Historia Económica de la Universidad de Bologna

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones classi sociali, tra gruppi, tra partiti, che danno luogo, non tanto a guerre, oppure, talora a guerre civili, ma piuttosto a rivolte, rivoluzioni, colpi di stato, atti terroristici. Non sono, dunque, qui interessata alle motivazioni per cui si genera il conflitto: essi possono avere una radice solo economica, essere conflitti di interesse, oppure identitari, oppure ideologici, o un insieme di tutte queste cause, come succede spesso. Molto spesso le guerre, i conflitti, le rivoluzioni, le rivolte, non hanno una sola motivazione, ma ne mettono insieme una serie. Quello che mi propongo in questa esposizione è di vedere com’è cambiato nella storia l’impatto di questi conflitti aperti, limitandomi al primo livello

Ci sono tre epoche nell’evoluzione dell’umanità. Tre epoche che sono state definite così: la civiltà così detta silvo-pastorale, la civiltà agraria e la civiltà industriale. La civiltà silvo-pastorale è durata non si sa quanti anni, migliaia, decine dei migliaia di anni, e ha una caratteristica importante ai nostri scopi per capire come si determinano i conflitti. Spenderò poche parole per questa civiltà così distante dalla nostra, però un paio di osservazioni sono importanti. La civiltà silvo-pastorale è una civiltà non stanziale, la gente non può stare ferma, perché non coltiva la terra e non alleva gli animali e dunque, dovendo raccogliere i frutti della terra come e quando vengono prodotti della terra stessa, deve continuamente spostarsi. E’ la civiltà della tenda, nella Bibbia ce ne sono molti esempi, o delle caverne, e dunque è una civiltà senza accumulazione; non si può accumulare, perché non c’è neanche la ruota per portarsi in giro qualche cosa su di una carriola, non si accumula fisicamente ma poco anche intellettualmente, perché in questa civiltà silvo-pastorale non c’è la scrittura. Un’altra osservazione, c’è poca popolazione; infatti i bassissimi livelli di conoscenza rendevano la mortalità elevatissima, la speranza di vita alla nascita era di venticinque anni in questa società, e dunque c’era una popolazione molto limitata, pochi milioni di persone in tutto il mondo, ma sparsi, per cui si scontravano raramente perché avevano immensi

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones territori sui quali potevano muoversi senza incontrarsi. Se si incontravano, naturalmente c’erano conflitti, perché gli altri erano considerati per definizione nemici non conoscendosi nulla di loro, dato che si era sempre vissuti distante. I conflitti erano però abbastanza rari per il fatto che la popolazione era sparsa.

Niente di più di questo si può dire perché abbiamo conoscenze vaghissime di questo periodo di tempo, che arriva fino al settimo millennio primo di Cristo (a.C.). Attorno al settimo millennio prima di Cristo incomincia la civiltà agricola. Qui devo subito ricordare una cosa importante, ossia che non tutti i precedenti insediamenti umani passarono alla civiltà agricola. E abbiamo qui una prima questione che riemergerà in tempi successivi e cioè che incominciano a coesistere nel mondo livelli di avanzamento intellettuale, economico, sociale diversi, perché alcune società non passano allo stadio di sviluppo successivo. La civiltà agricola dura dal settimo millennio primo di Cristo fino a circa il XII-XIII secolo dopo Cristo, questo nelle zone che passano oltre, perché in alcune zone si rimane alla civiltà agricola e non si passa mai oltre. Avremo quindi in futuro tanti livelli, quelli delle aree che sono rimaste alla civiltà silvo-pastorale, quelli che rimangono alla civiltà agricola e quelli che passano oltre alla civiltà industriale. Questo è già un punto importante sul quale rifletteremo.

Ma adesso torniamo alla civiltà agricola. Già è stato detto che l’epoca pre-moderna, e noi possiamo interpretare il concetto di pre-moderno come civiltà agricola, è un’epoca altamente conflittuale. Cerchiamo di capire come mai è così altamente conflittuale. La civiltà agricola aveva come caratteristica la stanzialità, diversamente da quella silvo-pastorale in cui le persone si muovevano sempre; è la civiltà dove la gente si ferma, perché coltiva e quindi deve stare sui campi, perché alleva e quindi deve ricoverare gli animali e tenerli in una certa zona ben delimitata. Dunque, la stanzialità permise la costruzione delle città, e permise le prime forme

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones d’accumulazione. Questo generò: 1) l’approfondirsi di differenze culturali, perché i diversi ritmi di accumulazione approfondiscono le differenze esistenti; gli alti costi di trasporto, poi, tenevano queste società agricole ancora più ferme in un posto, e dunque, anche dal punto di vista culturale esse continuavano ad approfondire le loro differenze. Tanto è vero che è proprio in questa civiltà che emerge il concetto di sovranità politica, ossia un potere che si definiva, che si determinava in un luogo, diventava sovrano, perché non divideva questo potere con nessuno. La sovranità suggerisce anche un concetto di separazione: devo essere separato, per poter delimitare bene i confini del potere sovrano; 2) la seconda implicazione della stanzialità è la produzione di eserciti e di strumenti di guerra che supportavano un espansionismo. Se uno di questi stati voleva, aveva intenzione - adesso vedremo i motivi - di espandersi fuori del suo territorio d’elezione, lo poteva fare meglio che non nel passato, perché la civiltà agricola permetteva un piccolo sovrappiù, non grande ma sufficiente per mantenere degli eserciti.

E dunque chiediamoci per quale motivo qualcuno di questi stati volesse spingersi fuori dei propri confini, confini definiti, come dicevamo prima, dalla sovranità sul territorio di elezione. Il fatto è che in questo periodo storico che è sì più avanzato rispetto alla civiltà silvo-pastorale, una volta raggiunto un certo livello di produzione non si poteva andare oltre perché non c’era una tecnologia dinamica, la tecnologia evolveva molto lentamente. E dunque, la consistenza fisica, geografica di uno Stato, di una città, di una entità politica ne segnavano i limiti di ricchezza. Per crescere oltre il livello raggiunto, una società agraria non aveva altra alternativa che acquisire altra terra da sfruttare, e altri popoli da fare schiavi. Questo è il punto centrale che spiega perché le società agrarie siano state così conflittuali. Non c’era possibilità di diventare più ricchi stando sul medesimo territorio; per diventare più ricchi occorreva acquisire il territorio di un vicino e/o la popolazione di un vicino che poteva essere utilizzata come schiavi dato che non c’erano le

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones macchine, e quindi, tutto il lavoro manuale veniva fatto dagli schiavi.

Si spiegano così molte delle guerre dell’epoca della civiltà agricola. Ci sono, ovviamente, anche guerre di carattere identitario, guerre di carattere ideologico; nella Bibbia per esempio, è segnalato il contrasto di fondo tra gli egiziani e gli ebrei, su problemi di principio. Ma sicuramente dal punto di vista economico c’era il problema di fondo, che la guerra sì “giustificava” nel momento in cui una entità statuale voleva ingrandirsi, voleva diventare più potente, voleva diventare più ricca. Ora, si può dire che, se il periodo della civiltà agricola è durato così a lungo, ciò è anche dovuto agli effetti di questi conflitti armati, che hanno distrutto intere civiltà, che si sono dovute talora recuperare in seguito con molte fatiche. E quindi era un periodo storico diverso da quello silvo-pastorale che non aveva avanzamento, in cui c’erano sì degli avanzamenti, ma anche dei declini pesantissimi. Conflitti armati distruggevano intere civiltà, arrivavano i barbari e non si interessavano della civiltà che c’era, la toglievano di mezzo perché volevano ingrandirsi, volevano espandersi e si ritornava da capo.

Gli economisti pensano sempre che questo sia un periodo non progressivo. Non è così; la tendenza al progresso c’era, ma veniva bloccata fondamentalmente da questo continuo ricorso alla violenza che interrompeva la possibilità di accumulazione. I periodi di pace erano ovviamente i più positivi. L’Impero Romano, che riuscì meglio di altri a mantenere la pace per un lungo periodo storico, fiorì più di altri. La Cina, che attraverso la Muraglia Cinese riuscì a mantenere la pace più a lungo, avanzò più di altre aree. Quindi, anche in quel periodo storico, i periodi di pace erano più positivi, però non si riusciva a mantenerli.

Una nota sulla tecnologia bellica. Qualcuno ha suggerito che le guerre siano stati utili per sviluppare tecnologie belliche, le quali poi dopo avrebbero avuto ricadute positive a scopi civili. Alcune influenze civili delle tecnologie belliche ci sono state, ma

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones ormai la letteratura è chiara su questo punto: le più grandi rivoluzioni tecnologiche di questo periodo storico non sono collegate a motivi bellici, nemmeno la polvere da sparo. La polvere da sparo fu inventata per i fuochi artificiali, per fare festa. Possiamo dire che alcune costruzioni navali furono fatte appositamente per motivi bellici, un po’ di lavorazione del metallo, ma si tratta di evoluzioni piuttosto marginali. Nessuna delle invenzioni moderne cruciali fu fatta a scopi bellici, come l’orologio insegna.

Dunque questo periodo storico è durato molto a lungo senza un duraturo avanzamento per i motivi detti. Tuttavia, a partire dal XII-XIII secolo, usciamo fuori da questo periodo e passiamo lentamente a quella che diventerà la civiltà industriale. Ripeto quello che ho già detto prima: non tutte le civiltà agricole sono passate alla civiltà industriale, solamente poche, anzi, diciamo che una sola inizialmente passò. C’è ormai una letteratura vastissima su come mai sia stata la civiltà occidentale, la civiltà Europea, che è passata prima di tutte le altre dalla civiltà agricola a quella industriale. Approfondiremo, un po’ di più quest’epoca, che ci è più vicina e ci risulta più interessante.

In quest’epoca, pian piano per vari motivi legati all’uso della ricchezza -un uso d’investimento, un uso produttivo, un uso legato alla conoscenza, perché c’era stato San Benedetto che aveva detto “Ora, et labora”, e quindi chi pensava doveva anche lavorare e perciò cercava di risolvere i problemi del lavoro, cercava di diminuire la fatica, la pesantezza del lavoro- c’è stata tutta una serie di innovazioni. Le innovazioni sono state in primo luogo istituzionali: pensiamo alla “commenda” che è l’anticipazione della società per azione, cioè, l’idea di conferire capitale ad altri perché lo utilizzino in modo da fare un investimento di grandi proporzioni (Venezia, dodicesimo secolo); pensiamo alla nascita della banca (Firenze, Genova, Venezia, XII-XIII secolo), e pensiamo alla partita doppia, quindi

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones al modo di calcolare il risultato delle attività economiche, ecc., ecc.

Le innovazioni istituzionali e quelle tecniche aumentarono la produttività in maniera sostanziale. Questo cominciò a suggerire alla gente che per diventare ricchi non interessava più la proprietà della terra e nemmeno la proprietà degli schiavi, che vennero, in effetti, aboliti, sostituiti dalle macchine -la famosa caldaia a vapore quando venne inventata nel corso del diciottesimo secolo veniva vista come una meraviglia e molti dicevano, “comprate una caldaia a vapore, avrete duecento schiavi, trecento schiavi in un’unica caldaia a vapore, che lavoreranno per voi”.

Quello che si verifica in quest’epoca di rilevante per il presente discorso sono le seguenti cose. Primo, non interessava più avere la proprietà di grandi estensioni di terra, quanto avere il dominio dei mercati; secondo, non interessava più avere gli schiavi, perché c’erano le macchine, ma anche perché serviva capitale umano. Non si può avere uno schiavo con capitale umano, perché il capitale umano è un investimento nella educazione, creatività dell’individuo che richiede una adesione da parte dell’individuo al progetto educativo, e dunque, non può essere portato avanti in un sistema schiavistico.

Per un lungo periodo di tempo certe risorse sono rimaste ancora strategiche e, infatti, ci sono stati ancora problemi legati all’individuazione e al controllo di risorse strategiche, però tendenzialmente queste risorse strategiche vengono sostituite da produzioni artificiali. Con il progresso tecnico si realizza la tensione a sostituire risorse che in un periodo storico vengono ritenute indispensabili con altre prodotte artificialmente. Oggi siamo rimasti praticamente con un’unica risorsa strategica, il petrolio, ma non so quanto a lungo, perché probabilmente verrà sostituito anche quello; una volta era il carbone, ma è stato largamente sostituito. E dunque la “terra” diventa sempre meno importante come obiettivo per arricchirsi.

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I mercati diventano importanti; ecco dunque il vantaggio delle aree di libero scambio. Cominciano a diventare importanti le aree di libero scambio perché quello che interessa sono i mercati, ma per fare aree di libero scambio, bisogna allargare le aree di pace. Non si fa un’area di libero scambio con qualcuno con cui si è in guerra. E dunque, ecco, il vantaggio per esempio degli Stati Uniti, che per una congiuntura storica fin dall’origine, fin dall’inizio, costituì stati che non si facevano la guerra. Per loro fu un enorme vantaggio, perché riuscirono a costruire un grande mercato con facilità, mentre altrove questo rimase un problema che dovette essere risolto sull’arco di un lungo periodo di tempo. Pensiamo al lungo processo di unificazione tedesca, o all’unificazione italiana. Pensate che la Germania, prima del Congresso di Vienna, era fatta di oltre quattrocento stati. Con il Congresso di Vienna diventarono trentanove e solamente nel 1871 la Germania si unificò. Dunque, pensate quale lungo travaglio per creare questi mercati unificati. Uno dei problemi importanti generato dalla rivoluzione industriale fu quello di eliminare motivi di contrasto, di conflitto, di guerra perché il mercato lo richiede. Il grande vantaggio oggi dell’Asia, specie India e Cina, è che hanno mercati vastissimi, con caratteristiche di pace, perché sono riusciti da tempo ad eliminare condizioni di guerra. E’ questa una forte spinta a moderare i motivi di conflitto tra nazioni sovrane.

Ma riflettiamo sul capitale umano. La principale risorsa del progresso è diventata, come dicevo, il capitale umano. C’è stato un unico caso famoso di acquisizione di capitale umano con la guerra ed è la Russia dopo la Seconda Guerra Mondiale, che acquisì una certa parte di scienziati tedeschi e li portò in Russia. Ma altrimenti, è chiaro che il capitale umano si forma in un clima di pace e si allarga, appunto, con la possibilità di girare in pace da università ad università

Abbiamo, dunque, due motivi -mercati aperti e capitale umano- per cui la guerra non è più considerata utile in una civiltà industriale allo scopo di diventare più ricchi, allo scopo de

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones allargare le proprie possibilità e il proprio potere da parte di entità politiche. Resta un solo motivo di conflitto, quello sulle risorse strategiche: petrolio, acqua, sbocchi al mare, in questo caso la guerra può ancora essere uno strumento, ma la tecnologia si propone sempre più l’obiettivo, come vi dicevo, di trovare dei fattori sostitutivi.

La conclusione che ne emerge è che la civiltà industriale è antitetica al conflitto armato. Si va verso livelli di cooperazione internazionale sempre più estesi. Solo dopo la seconda guerra mondiale viene in esistenza tutta una serie di organizzazioni internazionali, che prima non erano mai esistite, e paesi come quelli europei che avevano mantenuto in maniera rigida la loro sovranità nazionale finalmente decidono di conferire una parte di questa sovranità a qualche forma di coordinamento superiore per diminuire o completamente eliminare la possibilità di guerre fra di loro.

Si va verso livelli di cooperazione internazionale sempre più estesi. Ma allora, qualcuno potrà chiedere, perché due guerre mondiali in epoca industriale? Tutti gli studiosi concordano che si è trattato di un malaugurato effetto di isteresi. L’unificazione della Germania nel 1871 ha portato al potere gli Hohenzollern, una famiglia prussiana che era legata ancora a vecchi schemi -la Prussia era sempre stata molto legata a guerre-, era ancora legata ai vecchi schemi secondo cui la potenza si allargava facendo guerre, e dunque cercò qualsiasi occasione per riproporre questo modello. Dopo di che la Pace di Versailles fu tremenda e generò la sindrome della vendetta e questo si trascinò dietro la seconda guerra mondiale. Ma, già durante la prima guerra mondiale il primo ministro tedesco rilasciò una dichiarazione che diceva, “noi stiamo qui a farci la guerra quando in realtà dovremmo preoccuparci di misurarci sui mercati internazionali con la grande potenza degli Stati Uniti il che ci dovrebbe invece spingere, invece che a farci la guerra, a metterci insieme”. Arrivo ad alcune note finali che propongo come riflessione conclusiva rispetto alla cavalcata molto rapida che vi

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones ho proposto attraverso la storia per capire come mai, più si arriva verso civiltà attuali e meno la guerra è giustificabile, non solo dal punto di vista ideologico, di principio, dei diritti umani, ecc., ma nemmeno dal punto di vista della ricchezza e quindi della potenza, perché con la accumulazione che, ovviamente, durante il periodo industriale diventa sempre maggiore, quel pericolo di declino, che già avevamo visto prodursi nell’epoca agricola con le guerre, diventa ancora più serio.

Le mie osservazioni finali sono quattro. Prima osservazione. Gli effetti di “spillover” della tecnologia bellica non sono stati importanti nemmeno nell’epoca industriale. Qui c’è tutta una serie di studiosi che ha approfondito questo punto; si può dire che in qualche particolare caso c’è stato un impatto di tecnologie belliche, vi farò un esempio per spiegarmi. Durante la Seconda guerra mondiale venne molto approfondita la ricerca in campo informatico, ma la IBM (International Business Machines), che era stata fondata nell’anno 1890, in realtà lavorava per i censimenti, e da lì era pronta a sviluppare qualche cosa che potesse servire alla guerra, per la logistica militare e così andò avanti, in effetti, a tal punto che dopo la Seconda Guerra Mondiale nacquero i primi computer, quelle cose enormi che stavano in due o tre stanze. Però l’IBM non era una impresa messa su apposta per la guerra con una idea nuova, era una impresa che era lì da tempo, lavorava per scopi civili e venne utilizzata temporaneamente per la guerra. Nemmeno sapete la bomba atomica fu cercata a scopi bellici; era uno studio che era lì da molto tempo, già sviluppato da Fermi negli anni ‘30, e che si cercò di utilizzare a scopi bellici. Non si va da nessuna parte pensando che la guerra possa essere indispensabile per l’avanzamento della tecnologia, non c’è evidenza storica su questo.

La seconda conclusione è questa. Il paese leader può diventare poliziotto del mondo, cioè diventare quello che è responsabile degli equilibri mondiali, e in questo senso dover investire di più in produzioni belliche, che non gli altri paesi.

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones Questa è la famosa tesi di Paul Kennedy, del “overburdening”, cioè del peso eccessivo che il leader ha sulle spalle a scopo di mantenere l’equilibrio mondiale. Kennedy applica questa categoria in vari casi storici, e particolarmente alla Gran Bretagna del ‘900, e agli Stati Uniti di oggi e dice che questo può essere un fattore addirittura di regresso economico. Si finisce con lo spendere troppo per gli armamenti. Forse l’Unione Sovietica è l’esempio migliore di questo; essendo gli armamenti dal tutto improduttivi, soprattutto se non vengono utilizzati, finiscono con l’esaurire l’economia che li produce. Pensate a tutti i missili atomici che sono stati prodotti dalla Russia e dagli Stati Uniti, e che poi sono stati distrutti, perché sono rimasti superati dal punto di vista tecnologico, ma anche perché non potevano essere utilizzati senza che l’intero mondo fosse distrutto. Pensate, quindi, alla totale inutilità di quella produzione bellica. Dunque chi lavora di più con la guerra ne ha tendenzialmente un effetto negativo, invece di un effetto positivo, in un contesto di economia industriale.

La terza osservazione è la seguente. L’elaborazione di alcuni marxisti come Rosa Luxemburg, in base alla quale il capitalismo maturo doveva per forza essere “guerrafondaio”, cioè, portare guerre dappertutto, e colonialista, si è dimostrata del tutto sbagliata. Il capitalismo preferisce di gran lunga l’arma delle transnazionali, alle guerre. Il Vietnam è una eccezione che conferma la regola, tanto è vero che gli americani si sono ampiamente ritirati dal Vietnam. L’Iraq è un’altra eccezione. Ricordo qui, dato che non mi sono soffermata prima su questo tema, che il colonialismo è tutta una questione dell’epoca pre-moderna, non della civiltà industriale, ma della civiltà precedente, che ha un trascinamento successivo, ma tutto il colonialismo spagnolo, portoghese, inglese, olandese è pre-industriale. Il fatto che la Germania o l’Italia abbiano tentato di seguire questo modello coloniale in tempi recenti è interessante perché sono due casi di totale insuccesso; la Germania e l’Italia non hanno mai ottenuto nessun risultato dal loro colonialismo. E’ strano che certo marxismo invece pensasse che il

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones colonialismo fosse una fase matura del capitalismo. Non ho mai capito bene come mai, forse anche questo è un effetto di isteresi.

La mia ultima osservazione ha a che fare con un concetto che è stato ampiamente spiegato da Sidney Pollard, che si chiama “differenziale della contemporaneità”. Pollard è stato un grande storico economico e ha scritto La conquista pacifica: bello il titolo del suo libro, per lui è proprio l’industrializzazione che porta a un mutamento sostanziale nei confronti dei rapporti internazionali. Che cosa è il differenziale della contemporaneità? Il differenziale della contemporaneità è questo: il mondo è costituito da soggetti statuali, entità politiche a diversi livelli di sviluppo, a diversi gradi di sviluppo. Nel mondo succedono però delle cose che impattano su tutti. Pollard fa l’esempio famoso delle ferrovie: vengono inventate le ferrovie; è la Gran Bretagna che le inventa, un paese era già industrializzato, che applica la caldaia a vapore già inventata per altri scopi, per muovere una locomotiva. Tutto bene, naturalmente, in Gran Bretagna, perché questa aveva già fatto la rivoluzione industriale e dunque aveva cose da trasportare sulla ferrovia, aveva l’industria metallurgica per costruire le rotaie e le locomotive, aveva le conoscenze, tutto bene, non ci sono problemi. Stati Uniti e Germania erano già sulla strada dell’industrializzazione, ma ancora non avevano l’industria metallurgica: le ferrovie diventano l’occasione per andare avanti, per industrializzarsi. Ma paesi ancora più indietro come l’Italia non riescono a mettere in piedi l’industria metallurgica. Allora, cosa fanno? Servendosi del commercio internazionale e della specializzazione internazionale del lavoro, l’Italia produceva seta, vendeva la seta e si comprava le locomotive e le rotaie; così l’Italia ebbe le sue ferrovie, importate. Ma, la Turchia che era ancora più indietro, non aveva niente da vendere all’estero. Allora lo stato cosa fece? Una deuda, un debito, per comprarsi le ferrovie, chiavi in mano dall’estero, e fallì perché non riuscì a trovare una fonte sufficiente di tassazione per coprire le spese delle ferrovie. Le ferrovie poi, non servivano a niente perché non

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones c’era niente da trasportare, la gente era troppo povera, quindi erano un gioco, un gingillo, qualche cosa d’inutile.

Ecco dunque il differenziale della contemporaneità: la ferrovia, che è uguale per tutti, s’impatta su un livello diverso di sviluppo e dunque dà risultati totalmente diversi, compreso un fallimento totale in Turchia. Il differenziale della contemporaneità spiega anche l’esistenza, nella fase industriale, di molti paesi che sono ancora legati a forme di conflitti del tipo di quelli che ho spiegato, cioè, conflitti guerreggiati, che non hanno più senso nel mondo attuale, ma che sono lì perché questi paesi, nonostante il mondo attuale dia suggerimenti contrari, sono ancora legati a forme precedenti di comportamento, di mentalità, di visione delle problematiche.

A questo punto, ed è l’ultimo pensiero che voglio offrirvi, bisognerebbe passare dal differenziale della contemporaneità ai vantaggi dell’arretratezza. E’ un altro studioso famoso che si chiama Gershenkron, che ha voluto suggerire questo paradosso: ma ci sarà mai un vantaggio nella arretratezza? Alexander Gershenkron sosteneva che i paesi che vengono dopo, quelli che hanno condizioni precedenti rispetto alla civiltà industriale, possono avvantaggiarsi dell’esperienza dei paesi più avanzati, saltando dei passaggi. Vedendo il punto di arrivo, si può evitare di fare tutta la strada che è stata fatta, per esempio, dalla civiltà inglese o francese o tedesca, che hanno speso molto tempo in guerre inutili.

Uno dei migliori esempi di paese che è stato capace di cogliere dei vantaggi della arretratezza è quello degli Stati Uniti. Più arretrata della zona americana non c’era niente, perché gli indiani locali erano veramente ancora al livello silvo-pastorale. È vero che gli emigranti venivano dall’Inghilterra e dunque non erano a quel livello, però è anche vero che venivano comunque da una società agricola. Ebbene, gli stati americani sono riusciti a fare un passo in avanti, introducendo subito la democrazia. Uno degli aspetti che sempre colpisce degli Stati Uniti è che sono nati democratici, sono riusciti a saltare la fase assolutista.

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones E così nel rapporto fra gli stati americani c’è stata subito la dichiarazione di federazione. In Europa abbiamo un unico esempio che è la Svizzera, un esempio un po’ particolare, mentre in generale noi europei abbiamo dovuto ricuperare questa idea di federazione dopo immani e sanguinose guerre.

E dunque, i vantaggi dell’arretratezza ci potrebbero suggerire una soluzione di questo genere: guardando l’esperienza dei paesi più avanzati si possono predisporre le condizioni per saltare dei passaggi, eliminando i motivi che possono portare a guerre guerreggiate e trovando il modo giusto di convivere pacificamente. Adesso, abbiamo anche molti sviluppi in campo giuridico come in campo politico, che ci possono aiutare ad andare in questa direzione; oggi ci sono dei modelli, che originariamente si erano dovuti inventare.

Qualcuno potrà obiettare che è difficile realizzare i vantaggi dell’arretratezza, perché se fosse facile non ci sarebbe più una guerra nel mondo e nemmeno ci sarebbe il sottosviluppo. Infatti, c’è tutta una letteratura storica che conferma che questi vantaggi della arretratezza, alcuni sono capaci di ottenerli e altri invece no. Ritorniamo, dunque, alla responsabilità da parti dei singoli e degli stati che fa sì che certe aree avanzino e altre invece rimangano arretrate, anzi, addirittura scompaiano della circolazione. Con questo richiamo all’uso corretto della libertà, ho terminato la mia esposizione. DIÁLOGO - Prof. Brenci: Vorrei fare qualche osservazione. Cominciamo con le datazioni. L’arrivo del Homo Sapiens è databile secondo gli antropologi a circa trentamila anni fa dopo un periodo di coabitazione sulla terra con l’uomo di Neandertal che sparirà per selezione.

Una seconda nota è sulla successione dei periodi. Spesso ragioniamo per grandi blocchi per esempio cacciatori-

raccoglitori, pastori-agricoltori perdendo molti informazioni e rendendo contigui periodi che non lo sono. Esiste una evoluzione della specie umana difficilmente schematizzabile e che presenta posizioni dei periodi

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones non rappresentabili con una successione. Per comodità noi dividiamo i raccoglitori dai coltivatori.. Nella realtà abbiamo avuto lunghi periodi nei quali i cosiddetti raccoglitori avendo scoperto alcune caratteristiche della fertilità de la terra le utilizzarono per coltivare vicino ai punti nei quali si fermavano alcune piante utili come accadeva e accade ai guaranti che pur spostandosi nei luoghi delle diverse raccolte (banane, avocado, ananas, ecc.) coltivando vicino alle capanne tribali piccoli campi di mandioca.

Il discorso è analogo per la nascita dell’artigianato. Gli aglomerati urbani nascono certamente per una stanzialità maggiore e quindi per dimensioni maggiori ma nascono anche per la specializzazione e per la diversificazione dell’attività produttiva. E questo l’inizio dell’accumulo tramite la nascita dello scambio e del mercato. Vorrei aggiungere una ulteriore nota su quanto affermato e cioè che la nascita delle convenzioni e delle strutture internazionali risale non dopo la seconda guerra mondiale. Penso che la società delle nazioni sia una struttura che è nata ed ha operato tra le due guerre mondiali. - Profssa. V. Zamagni: Ringrazio il professor Brenci per tutte queste precisazioni, io ho scritto un libro su questi argomenti, naturalmente in un’ora ho cercato di tagliare gli aspetti fondamentali, comunque benissimi sono state delle aggiunte che mi trovano completamente d’accordo. - Prof. Viola: Il mio intervento è motivato dal desiderio di venire alle mani con Vera. - Profssa. V. Zamagni: Come sempre, già ci capitò due anni fa. - Prof. Viola: Esatto. Si dice “venire alle mani”, ma è un’espressione figurata. Io mi rendo conto che l’ambito del discorso che ha fatto Vera è amplissimo, perché è una galoppata lungo i millenni, e quindi, non possiamo sottilizzare in maniera precisa sulle distinzioni. Ma, la tesi di fondo che è sostenuta è quella per cui la civiltà industriale sarebbe meno guerresca delle altri civiltà. Ed è proprio questa tesi che mi lascia perplesso. Una tesi simile è quella per cui gli stati democratici non entrerebbero mai in guerra fra loro. Ma in realtà le cause delle guerre si trovano nel desiderio umano di espandersi, ovvero anche di lottare per la propria sopravvivenza, in quanto ci si sente minacciati. E queste ragioni si trovano in tutta la storia dell’uomo, dall’inizio fino ai nostri tempi. In questo senso io credo che anche la civiltà industriale ha dato giustificazioni alla guerra, come le altre civiltà, anche se le giustificazioni sono diverse dal punto di vista storico, ma tutte riposano su queste ragioni di fondo che sono quelli dell’espansione e della difesa.

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Cos’è che non funziona allora? Il semplice fatto che ci sono guerre anche all’interno della civiltà industriale; tu le giustifichi o con ricorso all’isteresi, o con il ricorso alle eccezioni o alle deviazioni. Però, insomma, tutto questo serve per far quadrare la tesi di fondo. Le guerre ci sono state e ci sono anche all’interno della civiltà industriale, non so se quantitativamente di più, ma sicuramente sono state le più sanguinarie della storia del mondo. Pensiamo alla Seconda Guerra Mondiale, pensiamo al numero dei morti. Noi abbiamo proprio nella civiltà industriale gli esempi più gravi di guerra e di una guerra che tra l’altro coinvolge i civili, cosa che prima avveniva in misura più limitata. S’è fatto il calcolo che nel ‘900, la morte dei civili è stata più alta che nei secoli precedenti. - Profssa. V. Zamagni: Non ci sono dubbi su questo - Prof. Viola; E quindi, tutto questo non può essere spiegato come un’eccezione che conferma la regola. E poi ci sono altre cose che a mio parere non quadrano in questo discorso. Una di queste, per esempio, è il fatto che nell’epoca industriale proprio quella dimensione territoriale che ha dato luogo alla sovranità, e che giustamente era originariamente collegata alla civiltà agraria, invece ha conosciuto un’enfatizzazione, attraverso l’elaborazione del concetto di Stato territoriale alla fine dell’800, teorizzato tra l’altro anche da Carl Smith, uno Stato che è basato sul territorio fondamentalmente, ma non soltanto per motivi agricoli, ma per motivi industriali, perché l’industria, come tu stessa hai dimostrato facendo degli ottimi esempi, come quello della Turchia, ha bisogno di uno Stato forte. Il concetto di sovranità ha conosciuto proprio nell’epoca industriale il suo apogeo.

E questa è una prima cosa. Un’altra cosa è la seguente. È vero, l’economia di mercato, come in genere i mercanti, non accettano le barriere. Noi abbiamo, per esempio, anche nel campo giuridico, il diritto delle genti, che è tra l’altro la legge mercatoria nel Medioevo. Abbiamo la necessità di superare le barriere doganali da parte del mercato. Però, c’è stata anche l’esigenza di allargare i mercati, e ci sono le guerre per allargare i mercati. Quindi una stessa ragione può servire ora come motivo di pace, in un’altra situazione, può servire come giustificazione di una guerra.

E poi, infine, alcune osservazioni per quanto riguarda lo “spillover” della tecnologia bellica. Tu hai parlato della ricaduta della tecnologia bellica sulla tecnologia civile. Ma c’è al contrario: “la ricaduta della tecnologia civile nel campo della tecnologia bellica” e su questo non c’è dubbio. Cioè il fatto che siano state utilizzati ritrovati tecnologici proprio

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones per fare delle guerre ancora più sanguinose e ancora più violente del passato. Ora, la civiltà industriale come tale, e qui non vorrei dire che è più sanguinaria o più guerresca delle precedenti, lo è almeno quanto le precedenti, io non vedo la possibilità di differenziarla significativamente a questo riguardo. Diverso è il discorso, diverso non nel senso di dire che ci troviamo oggi in una civiltà che potrebbe portare a un superamento della guerra, diverso perché diversi possono essere i motivi di guerra; oggi in una civiltà non più industriale, ma postfordista, oggi in cui la situazione si pone in maniera completamente diversa, e ci siamo svincolati dalla dimensione territoriale, questa volta sì veramente appaiono fattori di differenziazione. Proprio dal punto di vista della guerra la civiltà industriale, mi pare, più omogenea rispetto alla attività agraria, la civiltà post-moderna è sicuramente in una situazione di rottura, per quanto riguarda la territorialità, rispetto a queste epoche del passato. Ma, oggi ci sono guerre giustificate dai diritti umani stessi che pure sono sorti come una ragione di pace. Con questo voglio dire che non abbiamo incontrato finora epoche in cui lo spettro della guerra si sia allontanato almeno in linea di principio, perché anche nella situazione attuale noi abbiamo pericoli di guerra che ci vengono proprio da motivi di pace.

Spero che tu sia abbastanza violenta nella tua risposta. - Profssa. V. Zamagni: Benissimo, molto chiaro. Intanto vorrei cominciare un attimo dall’ultima cosa che hai detto in questa struttura che inevitabilmente doveva essere un po’ rigida e semplificatoria.

Io ho inglobato il post-industriale nell’industriale, cioè, non ho fatto una distinzione su questo, come anche l’artigianale, perché altrimenti bisognava fare troppe distinzioni e non arrivavo più a una conclusione.

Quindi, se volessimo effettivamente distinguere l’industriale dal post-industriale, in effetti, ci sarebbero delle cose anche abbastanza interessanti da dire, ma, io mi accontento qua di suggerire che il post-industriale è derivato dall’industriale, come dire, è un qualche cosa che senza l’industriale non ci saremmo mai arrivati perché è stato attraverso l’industria che la tecnologia ci ha promesso di arrivare a livelli tali da liberarci da certi aspetti fisici importanti territoriali, ecc., ecc., Insomma, senza l’informatica la territorialità ci sarebbe ancora, per esempio. Senza i trasporti così avanzati come abbiamo, ci sarebbe ancora la territorialità, senza la comunicazione che viaggia veloce…, non mi voglio, adesso impantanare su questa discussione qua.

Ora, è evidente che ancora esistono le spinte all’espansione e alla difesa, però ho cercato di dire che dal punto di vista delle giustificazioni economiche una guerra guerreggiata non è più utile per espandersi e per

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones difendersi, lottare per la sopravvivenza oggi, perché ci sono degli altri strumenti per farlo, e che sono superiori, e dunque questa è la mia tesi.

È chiaro che non esistono solo queste motivazioni alle guerre, e tu hai detto, si possono fare delle guerre per i diritti umani o per la democrazia. Sì, vediamo che, in effetti, ci sono state cose, ormai si profilano cose di questo genere.

Non lo so, qui forse qualcuno si potrà esprimere meglio di me a questo proposito, però, io, se mai, la vedo come un caso “once for all”, ossia, supponiamo se io ho successo a portare la democrazia in Irak basta, in Irak non ci sarà più una guerra, da qui “for ever”, per sempre.

Quindi è una configurazione diversa. Non è una situazione di “Welfare”, come invece era precedentemente. Per cui, secondo me, scattano meccanismi diversi, può darsi che ci sia ancora, però nel momento in cui questo passa dall’altra parte diventa democratico e diventa così industriale, cioè post-agrario, non c’è più necessità della guerra, forse si fa una volta sola se ha successo. Se non ha successo è un altro discorso. Per cui è diverso un caso di questo genere, una guerra per i diritti umani, perché questa guerra ci può essere una volta sola, se ha successo.

Tu dici, nel periodo industriale si è rafforzato la concezione di stato territoriale per motivi industriali, la industria ha bisogno di uno stato forte. Chi l’ha detto? Ricardo era contrario a questo. Per esempio, già fin dal 1820, diceva chiaramente che era contrario a uno stato forte, anzi, e progressivamente lì si sta dando ragione in questa direzione. Che poi nella fine del ’800 ancora ci fossero dei pensatori che pensassero così, sapete gli isteresi sono pesanti, io ci credo tanto, essendo una studiosa di storia, so quanto pesano gli isteresi... e così via, quindi non mi meraviglio di questo. Però restiamo chiari su questo fatto, che in realtà quello che interessa una società industriale, post-industriale è un mercato aperto e nessun vincolo ha la diffusione a livello assolutamente mondiale.

Per cui stato forte. È paradossale, questo mi fa venire in mente che già nell’epoca medioevale abbiamo avuto quest’idea della “lex mercatoria”, ne parlava Stefano, che superava i confini, addirittura quasi in maniera anticipatoria li superava questi confini territoriali, si vedeva già d’allora. Poi altri secoli in cui le cose non sono emerse, ma questa è la direzione, in realtà. E dirai che lo stato attuale del mondo lo spiega assolutamente chiaramente. Chi è che si sta sviluppando? La Cina e l’India. Bene. Vedo che ci siamo in questa direzione, e l’Europa batte il passo, nonostante fa dei cosi tentativi. Chi può non dire che l’Europa è stata bloccata dalle due guerre mondiali, di cui tu dicevi, nel suo sviluppo

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones industriale? L’Europa che ha inventato la rivoluzione industriale, poi dopo l’ha ceduta miseramente. Per quali motivi? Adesso si è imparato la lezione, speriamo, ma non ci siamo ancora, perché siamo ancora lì con la sovranità nazionale, la Francia e lì a insistere ancora in questa direzione finché andiamo avanti così non ci siamo, l’Europa non si riprenderà.

Dunque vediamo. Cioè, il fatto che ci siano state delle guerre non è di per se la dimostrazione che una società industriale, proprio per sua natura, meno portata alla guerra guerreggiata di altri che non... Dire il conflitto, i conflitti restano, ma si esprimono con altri strumenti diversi di quelli della guerra guerreggiata.

Guerre per allargare i mercati? Anche qui ritorno all’esempio delle guerre per i diritti umani, può darsi che qualche guerra di questo genere ci sia stata, però dopo quando il mercato è allargato, basta. - Prof. Viola: Però, io non so dopo quante decine di guerre. - Profssa. V. Zamagni: Sì, sì, decine di guerre, ma bisognerebbe guardare e lì sarebbe un bello studio devo dire, qualche volta ho pensato di fare uno studio di questo genere, le dinamiche di queste guerre, e chi sono i soggetti e con quali obbiettivi e con quali risultati anche. Perché le due guerre mondiale in Europa quali risultati positivi hanno portato per l’Europa? Dimmelo. Hanno bloccato proprio la civiltà che l’Europa aveva proposto al mondo. Se non ci fossero stato gli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale, non ci saremo mai ripresi. Proprio con gli Stati Uniti che invece hanno incarnato per primi il “credo”, il punto di vista fondamentale di una civiltà industriale e che è quella di un’espansione pacifica, che non esclude conflitti, potenza, politiche di potenza, ma, fatti con altri strumenti diversi da quelli della guerra.

Infine, un’ultima risposta a quanto tu hai detto. Ricaduta della tecnologia civile su quella bellica. Dubbi non ce ne sono, e diciamo che forse questo può essere portato a un argomento a mio favore, piuttosto che al tuo. In questo senso più la tecnologia della rivoluzione industriale avanza, più le guerre diventano distruttive, e quindi, per altro verso dimostrano che sono insostenibili e quindi non si può ricorrere alle guerre. Cioè, è proprio vero e viceversa, è proprio questo che spiega un’altra delle ragioni, quindi non solamente una ragione legata al mercato. - Prof. Viola: Sì, ma forse sorgono ragioni per fare guerre quanto più lontano possibile da casa propria.

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones - Profssa. V. Zamagni: Sai lontano da casa propria. Cosa vuol dire lontano oggi? Per una trasnazionale che è presente come “Wall Mart” in cinquanta paesi del mondo, cosa è lontano? Non ho capito. - Prof. Zamagni: Lo scambio tra Brenci e Viola da una parte e Vera d’altra è un esempio interessante che ci mostra come la storia, cioè i fatti storici, non sempre sono decisivi per decidere della validità di una tesi piuttosto che l’altra. Cioè, io ancora una volta sono per il primato della teoria, perché questo scambio mostra ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, che sui fatti, Francesco, non riesci mai a trovare un consenso, perché tu li puoi leggere secondo angolature diverse e non ce ne sono mai abbastanza, questa è la lezione dell’epistemologia, uno dei pochi vantaggi dell’epistemologia neopositivista, è che siano sufficienti a confermare. Come già diceva Popper che nella storia dei cigni, basta ci sia un cigno nero per falsificare la teoria.

Allora cosa bisogna fare secondo me in questi casi? Porsi in quest’ottica, la tesi fondamentale che io ho colto dall’esposizione di Vera è non tanto se durante la civiltà industriale ci sono state meno guerre di prima. Non è questo il punto. Il punto è che mentre nella fase pre-industriale l’unica forma d’acquisizione della ricchezza era la guerra, nella civiltà industriale, non è più così. E questo è il gran messaggio, e per cui se c’è la guerra nella società industriale questo aumenta l’irresponsabilità e la colpa dei guerrafondai. In altre parole, se prima uno poteva dire, ragioni di sopravvivenza del mio popolo, dovevo invadere l’altrui popolo, e quindi, se deve morire qualcuno è meglio che muora l’altro, oggi la guerra è ancora più disumana e irrazionale di prima perchè non ha una legittimazione, una giustificazione. La giustificazione non c’è l’ha mai, noi sappiamo che differenza che c’è tra giustificazione e legittimazione, ma non ha neppure una legittimazione economica, questo è il senso del discorso. Il che non vuol dire che non ci sia; si fanno, perché quelli che fanno la guerra oggi andranno ancora più nel profondo dell’inferno di prima, perché non hanno neppure la legittimazione di dire devo sfamare il mio popolo, perché la società industriale, e tanto più, quella post-industriale, sono oggi in grado di capire che il gioco economico, è un gioco a somma positiva e non un gioco a somma nulla.

Questo è ciò che avrebbe dovuto dire la Vera. Se avesse detto questo, allora, tutti gli equivoci sarebbero scomparsi, perché fino all’avvento della società cittadina, che è quella che abbiamo inventato noi italiani, e che abbiamo regalato al mondo, che era la domanda sua, lui ha detto artigianato, ma alludeva alla civiltà cittadina che se sviluppa tra la Toscana, l’Umbria, Assisi, Siena, Firenze nel ‘300, e di cui parla già Dante con dei cenni molto intelligenti nella Divina Commedia.

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Ecco, qui il punto. Il punto è che questi uomini della civiltà cittadina capiscano che ci si può arricchire senza necessariamente uccidere. - Prof. Viola: Scusami, ma ho detto che questo sarebbe giustificabile se si trattasse della civiltà post-industriale e non di quella industriale. - Prof. Zamagni: No, no perché la civiltà industriale non ha bisogno della guerra. Questo è un teorema, quindi non si può discutere perché si dimostra. Si dimostra se tu parti dagli assunti della società industriale e vedi il gioco economico, su questo sono d’accordo tutti, marxisti e non marxisti, neoclassici e austriaci. Cioè dire la novità della società industriale è che per la prima volta il processo produttivo è in grado di generare un sovrappiù, prima non era così. Questo è un fatto oggettivo, non puoi discuterlo.

Allora quando tu hai un sovrappiù, non hai bisogno di portar via la sua parte per averne di più, perché attraverso il processo industriale-commerciale tutti, possiamo guadagnare. Infatti, per me, qual è l’errore che fa Hobbes, il motivo per cui non mi piace. - Prof. Viola: L’espansionismo delle grandi potenze non cominciò certamente nel ‘800. - Prof. Zamagni: Aspetta, aspetta, lascia stare la storia in questi casi. La storia viene sempre dopo per verificare la verifica, ma prima enuncia la tesi. Tu hai detto che la società industriale ha bisogno dello stato forte, sì, ma forte non per far la guerra, ma forte per imporre istituzioni economico-bancario e finanziarie adeguate alle scopo. Questo sì, perché è chiaro che la industria ha bisogno che lo Stato stabilisca delle regole del gioco che la favoriscono. Ma, questa non è la guerra guerreggiata, se vuoi chiamarla conflitto è vero. E a volte, allora, quando lo Stato non riesce a fare questo, allora scatena la guerra. Ma, quella è una conseguenza. Quello che voglio dire è che la società industriale non ha bisogno di fare la guerra. Non ho detto che non la fa e che non sia più cruenta. D’altra parte il discorso tuo, che vogliono di più, questo è tautologico, per forse perché con le bombe... Una volta per ammazzare uno, bisognava infilzarlo con la spada e ci voleva del tempo, adesso con la bomba…, quindi, questo qui è ovvio.

Quindi, non sto negando il fatto storico che ci siano anche più guerre e più morti, sto dicendo che non ce n’era bisogno. Il famoso radiomessaggio di Pio XII del 1940, è chiarificatore che è stato malinterpretato, ecc., lui probabilmente, io non lo so, voleva dire esattamente questo. - Profssa. V. Zamagni: Inutile, inutile, tutto è perso con la guerra

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones - Prof. Zamagni: Inutile. Quando il Papa dice, “è inutile”, non è che lui dice è inutile per così dire… Non, aveva dietro un po’ come dice Hanna Arendt nel suo libro, che “c’è un livello del male che è banale”. Tanto è vero che Hanna Arendt ha avuto dei suoi guai con gli ebrei perché avevano pensato che fosse passata dall’altra parte. E qui è la stessa cosa. Cioè con la società industriale la guerra diventa in-utile, non utile, prima invece era utile. Prima era diabolica, malefica, però almeno utile, con il industrialismo diventa inutile, il che vuol dire che se la si fa è ancora più irrazionale, quindi non ha neppure questa legittimazione, e quindi i politici o le società che promuovono la guerra sono ancora doppiamente colpevoli, e questo è il punto fondamentale, perché se noi non capiamo questo anche come cristiani, in somma non andiamo molto avanti perché allora vuol dire che livelliamo tutto. Invece no, la teologia della Storia ci ha insegnato che c’è una freccia che va verso l’alto nonostante gli alti e i bassi. - Prof. Viola: Ma ho detto che la società industriale mette in mano degli strumenti di morte più pericolosi - Prof. Zamagni: È chiaro. - Profssa. V. Zamagni: Ma, sì, scusa, non capisci che questo porta l’acqua al nostro mulino invece che al tuo. - Prof. Zamagni: Vuol dire che è lasciata alla libertà dell’uomo di usare gli strumenti per il bene o per il male. - Profssa. V. Zamagni: Appunto, apposta perché questi strumenti sono un altro motivo per non fare la guerra - Prof. Viola: Ma c’è la cultura morale dell’uomo. - Prof. Zamagni: No, no, la cultura morale dell’uomo non è rimasta perché c’è un progresso, perché senza un progresso morale, allora, non ci siamo più - Profssa. V. Zamagni: Ma ci mancherebbe questo, allora proprio non ci siamo. - Prof. Zamagni: Quando Hobbes dice “Mors tua vita mia”, dice una cosa diabolica, e molti filosofi sono andati dietro perché ci sono cascati, e ti tira fuori il contrattualismo. Il contrattualismo è inerentemente, ontologicamente, sbagliato perché parte dall’assunto per cui nel mondo non ci possono stare tutti, se ci stai tu, non ci sto io, e se hai più vuol dire che ho meno io, e su questo Hobbes ha creato il contrattuale e tutto quello che ne è derivato, con la schiera dei filosofi, che come degli imitatori ingenui, li sono andati dietro e l’hanno razionalizzato, anzi che

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones dire dal subito, come dirà Adam Smith. Perché Adam Smith a me piace? Perché Adam Smith è stato il primo ad avere il coraggio di dire: “tu Hobbes non hai capito niente”, e glielo ha detto, e ha ragione Smith. E poi c’è gente che oggi mi mette Hobbes sopra Smith, ma vogliamo scherzare. Allora, così non ci sarà mai progresso, né culturale, né scientifico e né ovviamente morale. Perché se noi non capiamo che lo scopo nostro è quello di capire quali sono le forze endogene che portano, non a impedire il male, perché questo ci sarà sempre, ma a capire che oggi l’uomo ha una possibilità di fare il bene che ieri aveva di meno.

Io questo lo chiamo progresso morale. - Prof. Viola: È un fatto che ha più possibilità di fare il male. - Profssa. V. Zamagni: C’è l’ha però in un contesto diverso. - Mons. Serrano: Quiero intervenir ligeramente. Creo que la guerra es una recuperación retrasada de un instrumento que no sirve, es decir, el hombre que antes se ha impuesto por su fuerza bruta o el animal que se impone por su fuerza bruta, ahora encuentra su fuerza tecnológica, y quiere utilizarlas para dominar. Entonces, me parece que el trabajo nuestro y de todos, es la mentalidad y en ese caso la Iglesia tiene mucho que decir. Decir esto que la guerra sea inútil es poco, la guerra es mala, la guerra es injusta, la guerra es como la pena de muerte, yo creo que en ningún código penal hoy está el canibalismo. No se pena el delito del canibalismo porque la cultura del hombre ha llegado a un estadio, a un nivel en el cual es inconcebible que un hombre se coma a otro y no es necesario penarlo, no es necesario que nadie diga que el canibalismo es malo o que el canibalismo merece la pena de muerte, etc.. Pues así también como anteayer decía el profesor Viola, que lo que lleva el hombre dentro luego lo manifiesta fuera, la guerra es absolutamente obscena, es inconcebible, es algo que tiene que ser superado a un nivel cultural, y lo que yo no sé si los medios materiales, la tecnología, ayudan a esta mentalización del hombre. - Dra. Archideo: Es que hoy hay un elemento totalmente distinto y es el terrorismo, la guerra del terrorismo, que se da en todo el mundo, para todo el mundo y en cada lugar. Lo que estoy totalmente de acuerdo es que sólo la educación lo cambia, pero es una situación que supera todas las guerras y frente a la cual no tenemos casi instrumentos del mismo orden sino la educación. - Profssa. V. Zamagni: Posso fare un piccolo commento sul terrorismo. Allora, io non mi sono occupata dell’altro livello, perché il tempo non

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones c’era. Ho detto guerre fra stati, poi ci sono invece le guerre guerreggiate all’interno degli stati, le guerre civili, e il terrorismo si configura a mezzo fra le due, perché in realtà spesso i terroristi non sono dello stesso stato, però qualche volta sì, noi abbiamo avuto le brigate rosse che per esempio è stato un terrorismo, un terrorismo, pero, nostro, quindi non un terrorismo di fuori.

Allora, evidentemente, io concordo totalmente con Monsignore e con Lila quando dice che c’è questo aspetto di fondo, di principio; l’atteggiamento bellicoso deve essere superato mediante sicuramente l’educazione, ecc., ecc., dico, pero, una cosa dal punto di vista invece economico di cui mi sono sempre occupata nella mia attività professionale. Ed è questo: tutti i paesi che hanno portato agli estremi limiti, le guerre civili, il terrorismo ecc., sono tutti paesi che sono tagliati fuori completamente oggi da qualunque speranza di progresso e di vita adeguata alla tecnologia moderna. Cioè, oggi una situazione di quel genere lì è una situazione che impedisce completamente il progresso. E penso che questo non è chiarito. Tutti i paesi, per esempio, africani che sono continuamente in guerra civile, non hanno futuro, anche il tentativo da parte nostra di aiutarli con aiuti alimentari, con aiuti d’emergenza, ecc., bisognerebbe cercare di intervenire, o comunque lavorare per sradicare le motivazioni di queste guerre civili, perché, altrimenti, non succede niente in questi paesi, non andranno mai a nessuna parte. Quindi, attenzione a comprendere il messaggio che c’è sotto a questo argomento. Cioè, il terrorismo è sicuramente pessimo dal punto di vista di principio, ma anche si trascina dietro, guardiamo i palestinesi come sono messi, si trascina dietro anche, una situazione insostenibile, poi dal punto di vista meramente umano. - Dra. Archideo: Dico che è rischioso oggi per ogni uomo. - Dr. Moreno: Creo que el tema propuesto por Vera generó una polémica muy rica, porque analizar el conflicto desde la economía significa abrir una de las ventanas que posiblemente amplía el campo de la visión. Pero considero de interés precisar algunas cuestiones.

Usted relacionó el tema con las eras, siguiendo en alguna medida el devenir sintetizado con la secuencia: agraria, industrial y post-industrial. Ese planteo tiene su correlato en la estrategia. En el nacimiento de su elaboración sistemático por Clausewitz la guerra era la exclusiva forma por la cual se expresaban los conflictos. Luego con el dato atómico se produce una revisión profunda de esa visión por los niveles de destrucción disponibles por algunos hombres, generando el principio de la “mutua destrucción asegurada”, en cual el costo dejó de

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones ser medido en términos económicos sino en los del existir y, en consecuencia, la inviabilidad de la guerra –al menos entre las superpotencias-, sin que por ello desapareciera el conflicto en el escenario humano, sino que se recreó multiplicando sus formas de ejecución, en las cuales la violencia militar deja la exclusividad por incorporarse a los medios económicos, políticos, psicológicos, etc., En ese aspecto Beaufre fue el iniciador de su sistematización teórica. También una nueva categorización es elaborada para evaluar los conflictos con expresiones militares, para ello es empleado como unidad de análisis a sus intensidades, calificándolas con los epítetos: altas, medias y bajas.

Hoy, esas visiones se siguen ampliando con la denominación de “nuevos desafíos”. En sus despliegues comprenden una vasta gama que –entre otros- abarca: dilemas hídricos, migraciones masivas, terrorismo internacional, diseminación de armas de destrucción masivas, crimen organizado, biodiversidad y catástrofes ecológicas, que requieren un urgente tratamiento político, jurídico y ético. Siguiendo la palabras de Vera, en varias de esas amenazas con intensidades diferentes las cuestiones económicas inciden y, en algunas, de manera decisoria, pero para sus tratamientos en los temas en los que el conflicto conforma sus objetos los datos de ese tipo que sean elaborados deben ser considerados como interdependientes, condicionados y con relevancias distintas según el caso en estudio y sus evoluciones dentro de las dimensiones de tiempo y lugar.

Otro dato que me permito remarcar se concreta en las naturalezas de los actores con capacidades para provocar y sostener conflictos, porque hoy la estatal no es la exclusiva. Los corporizados por el terrorismo y el crimen organizado sirven como ejemplos nítidos en ese sentido. Como dijo Lila Archideo: el terrorismo internacional está planteando un desafío a escala planetaria con la particularidad de que no es un actor estatal y sin perjuicio de ello los riegos que presentan se incrementan día a día por la posibilidad que acceda a armas de destrucción masivas. - Prof. Viola: Ma la pirateria ha avuto anche attori statali. - Profssa. V. Zamagni: C’è ancora la piratería. - Dr. Moreno: Sí, la piratería sirve de antecedente en esta materia. Pero hoy el crimen organizado cuenta con las herramientas de la globalización para potenciar sus capacidades, por ejemplo la red de interconexión financiera que les permite movilizar y blanquear sus

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones ingentes recursos –calculados en 200 mil millones de dólares anuales- a escala mundial en tiempo real. - Dr. Regúnaga: Creo que el aporte de Vera es importante como un elemento para demostrar la irracionalidad de la guerra y, por lo tanto, agregar un elemento más a una posición que un cristiano debe sostener de todas maneras.

Pero yo me siento bastante cerca de las posiciones de Francesco y de Julio, en el sentido de recordar que, aún en este contexto de la irracionalidad de la guerra, debemos recordar, primero, que muchas veces los actores no conocen sus verdaderos intereses y actúan irracionalmente; en segundo lugar, que existen no solamente estos actores especiales, que mencionaba Julio, en el sentido de criminales, terroristas, sino también intereses especiales, intereses que comprenden que, si bien la guerra no conviene al conjunto de la comunidad, a ellos sí les conviene.

Por ejemplo, Julio nos ha explicado que podemos estar cerca de una guerra civil o internacional, según las medidas que se tomen con respecto al petróleo y el gas de Bolivia. Y, si bien desde el punto de vista de Bolivia, e incluso de toda Sudamérica, seguramente las consecuencias van a ser muy malas, puede haber intereses especiales que se beneficien. Las consecuencias generales serán muy malas hasta para sectores de la sociedad que no tengan nada que ver con el petróleo ni con ese conflicto. El sólo hecho de que inversores internacionales digan “en Sudamérica hay guerra”, seguramente hará que una cantidad de inversiones se dirijan a otros mercados. Pero esas consecuencias nocivas para la sociedad en general no impiden que quizá las compañías petroleras y de gas que producen en otros continentes se beneficien con el aumento de precios que la guerra seguramente provocaría, Y, obviamente, para los fabricantes y comerciantes en armas el conflicto es racional y conveniente.

Pero mi objeción fundamental es otra. No es a lo mejor una objeción porque no creo que Vera sostenga lo que voy a objetar. Simplemente me preocupa que quede la impresión de una conclusión errónea.

Lo que me preocupa de la exposición de Vera es que, como ella es una historiadora de la economía, explica todo desde el punto de vista económico. Desde ya, yo no puedo aceptar una explicación puramente económica de la historia. Así como el materialismo dialéctico marxista era una explicación equivocada de la historia, cualquier otra explicación exclusivamente económica de la historia también lo va a ser. Creo que el conflicto existe porque el hombre tiene determinadas características

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones que lo impulsan al conflicto y, si no hay causas económicas, se inventan otras causas; desgraciadamente, eso es lo que ocurre.

Yo creo que las explicaciones más amplias de la historia son más fructíferas. A mi juicio, me inclino a pensar en que hay civilizaciones cíclicas que nacen y crecen y después entran en decadencia por factores que no son exclusivamente económicos, quizás, probablemente ni siquiera principalmente económicos. El historiador inglés Arnold Toynbee es, en este campo, el que considero más convincente. Toynbee muestra como motor de la historia la marcha de civilizaciones cíclicas. La caída de cada civilización se produce por la imposibilidad de responder a desafíos que normalmente no son económicos. Los desafíos económicos, que son los primeros que enfrenta una cultura cuando empieza a desarrollarse, generalmente se resuelven bastante bien. Son los conflictos de otra naturaleza los que llevan a la decadencia. Toynbee ve, en cambio, una línea continua, no cíclica, en el crecimiento de la conciencia religiosa. Es decir, por un lado tenemos los ciclos de nacimiento, crecimiento, colapso y desintegración de las civilizaciones y, por otro lado, una marcha lineal de la humanidad que hacia estadios de mayor conciencia religiosa. Cada caída de civilización crea un clima, una disposición psicológica del hombre, ante la desilusión que generan precisamente los fracasos temporales, que permite dar un salto en la conciencia espiritual. Abraham deja la civilización sumeria cuando empieza su decadencia; el siguiente paso fundamental es Moisés que abandona la civilización egipcíaca cuando esa civilización entra en decadencia; Jesucristo nace cuando la civilización greco-romana entra en la etapa imperial, que es la última etapa de su decadencia, de la decadencia de todas las civilizaciones. Cada uno de ellos representó un salto en la conciencia religiosa. Quién sabe si no estamos ahora, si nuestra civilización occidental no está ya en la etapa imperial. Quizá el imperio de los Estados Unidos constituye el marco para esta nueva etapa de nuestra la historia. Quizá, como consecuencia de la decadencia de occidente, lo que nos espera es quizás con dolor un nuevo salto en la conciencia religiosa.

Entonces, creer que porque el conflicto sea irracional no va a existir es un concepto demasiado peligroso. Y, desde el punto de vista conceptual, creer que la historia se puede explicar por factores puramente racionales desde el punto de vista económico me parece un error. - Profssa. V. Zamagni: Ci sono stati due aspetti nella tua esposizione. Prima dici che può darsi che un conflitto non convenga in generale, ma ad alcuni attori conviene. E bene questo è vero, non ci sono dubbi che

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones questo sia vero, e, infatti, il lavoro della società civile è di fare in modo che questi gruppi che sono legati alla guerra diventino limitati, marginali, marginalizzati, non siano quelli che conducono un paese. Quando facevo l’esempio precedentemente della Germania, la Germania ha avuto una tragedia enorme perché un paese che aveva un area molto sviluppata, che era l’area dell’Ovest, che nella congiuntura storica si è trovata ad essere governata, invece, purtroppo da prussiani che erano i più arretrati, erano legati ancora, alla concezione territoriale, e così via, e si sono purtroppo infilati in quella avventura bellica che poi ha rovinato l’intero mondo. Quindi, è importante questo discorso, perché da una responsabilità ovviamente alla società civile di emarginare, limitare, non mettere al potere i gruppi che sono legati alla guerra. Questo è un punto molto importante, fondamentale da ricordare. Quindi, ringrazio molto per quest’osservazione perché ci fa ritornare su questo argomento.

Per esempio, è ben noto nel caso dell’Europa (la ripresa dopo la Seconda Guerra mondiale ha progressivamente marginalizzato), la CECA, la comunità europea del carbone e dell’acciaio, è stata uno strumento fondamentale per impedire, magari ai tedeschi, di ritornare, perché messi in un contesto internazionale legati da accordi reciproci, non poteva più scattare quel meccanismo.

Sono stati i cattolici a farlo, per questo è molto importante questo punto.

Sull’altro ho semplicemente da dire che, assolutamente, e chiaramente non ho una interpretazione economica della società, della civiltà, ecc., ecc., per questo che ho detto che mi limitavo a vedere gli effetti, e non discutevo sulle cause, perché le cause sono legate, mentre che gli effetti che sono effetti sulla gente, sulla popolazione, perché gli effetti sono materiali delle guerre, ammazzano le persone, distruggono gli edifici, sono materiali, oltre che morali, perché naturalmente rovinano anche il tessuto relazionale della società, e io mi limitavo a guardare questo, avevo un’ora di esposizione, non potevo fare più di questo, ma concordo totalmente.

Per quanto l’idea dei cicli della civiltà, ecco, mi lascia un momentino perplessa. Io sono “vichiana” non “toynbeeana”. Vico pensava ai cicli, ma non pensava da una ripetizione sempre della stessa cosa, ma, cioè, qualche cosa che comunque progrediva, sono Teilhard de Chardiniana, se volete, ecco che se rifà in effetti a Vico, quindi, non penso che si ripeta sempre la medesima cosa. - Prof. Brenci: l’unica cosa che contesto è l’affermazione che la guerra non abbia avuto ricadute positive sulla società civile. Vorrei sapere qual è secondo lei il nome che darebbe al periodo che stiamo vivendo. Non è

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones e per caso “periodo informatico” il nome più appropriato. Ebbene l’informatica che noi usiamo nasce con il cosiddetto teorema di Shanon che è stato messo a punto dall’autore durante la guerra per risolvere il problema della ottimizzazione delle rotte di attacco alle batterie contraeree tedesche.

La scienza ha fatto molti passi, ma la formula de Shanon è sempre li all’inizio dei testi d’informatica. - Profssa. V. Zamagni: Con i miei studenti abbiamo lavorato anche un po’ nel campo informatico, bisogna andare indietro a Pascal, per cominciare la storia, poi indietro al telaio Jackard. Era un uso delle “punch card”, che non era una robba bellica, era una cosa civile; il primo che ha utilizzato il concetto di 0,1 che è il concetto base dell’informatica. - Dr. Videla: Vera, yo quiero volver al concepto teórico y contrastarlo con una visión teórica que yo creo que es generalizada en la Argentina y que de alguna manera se opone a la visión de la civilización industrial que vos planteás. Es decir, la idea es -si yo no entendí mal-, el sistema o la etapa de producción y comercio en la cual estamos, la guerra es inútil porque a través del mercado nosotros logramos un juego que tiene suma positiva, mejora a los dos sectores o áreas y por lo tanto se vuelve inútil la guerra.

La visión local, que yo no comparto, pero voy a tratar de expresar lo que está flotando en el pensamiento político argentino, que en estos momentos está representado por tres mujeres: la política argentina está dominada por las mujeres. - Dra. Archideo: Discúlpame, pero yo niego que haya política en la Argentina. - Dr. Videla: Nuestras cabezas, nuestras tres figuras dominantes del pensamiento son Cristina Fernández, Hilda González y Lilita Carrió.

El enfoque de estas personas es el siguiente. Es cierto que la forma de juego económico va a un resultado positivo, pero es positivo para el que domina, o sea, no está garantizado en ambas partes el resultado positivo, porque la relación capitalista de mercado es una relación de dominio y sometimiento. Es decir, el centro dominante impone condiciones y busca aprovecharse fundamentalmente de los recursos naturales que tienen los países más pobres, ente ellos Argentina, que es un país muy dotado en recursos naturales y que primero, como dijo Lilita Carrió, “primero fue expoliado, a través de la deuda externa, de sus recursos naturales, se le quitó el dominio sobre el petróleo, etc., etc., y ahora vienen por el agua”. Es decir, aparentemente

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones el recurso natural escaso es el agua, y entonces, va a ser objeto de la codicia del capitalismo de mercado.

El punto teórico acá es éste. En el enfoque de esta gente el conflicto no aparece si hay una relación de dominación con juego positivo para el dominante. Si esa relación no se puede dar en esos términos, aparece la violencia y la guerra para forzar un cambio de situación en esa línea.

Quisiera saber cuál es tu opinión frente a esta interpretación de nuestra realidad de esas tres cabezas pensantes a las cuales hacía referencia. - Profssa. V. Zamagni: Allora, io devo dire che su una questione di questo genere, ho avuto uno scambio molto pesante pubblico con degli studiosi italiani i quali hanno sostenuto la stessa tesi nei confronti Nord e Sud in Italia. Il Nord si è sviluppato e avanzato perché ha sottosviluppato il Sud. Questa è l’idea di fondo. - Prof. Viola: Esatto. Questa è la verità. - Profssa. V. Zamagni: Io ho scritto contro questa tesi perché è una tesi storicamente insostenibile, teoricamente insensata e, soprattutto, è una tesi che giustifica la mancanza d’impegno da parte dei paesi sottosviluppati delle regioni sottosviluppate a fare qualche cosa di diverso che protestare, con le armi o senza le armi, dipende. In Italia, generalmente, non con le armi, altrove invece con le armi, perché si danno una giustificazione per non impegnarsi direttamente a cercare di mettere in piedi le condizioni per togliersi della situazione, ma in tanto non c’è niente da fare, l’unica cosa che possiamo fare è protestare o se mai, fare un po’ di guerra, che chissà le cose cambino.

Naturalmente, dal punto di vista del paese in via di sviluppo fare la guerra contro la potenza dominante -lasciatemelo dire- perché cioè, si capisce che comunque non arriverà da nessuna parte in ogni caso.

Allora, perché ho detto che storicamente è infondato e teoricamente inaccettabile, insensato. Storicamente infondato, perché quello che ha mosso lo sviluppo economico dei paesi sviluppati è stato il progresso tecnologico che non è stato prodotto dai paesi sottosviluppati bensì dai paesi sviluppati stessi. Poi che questo progresso tecnologico abbia utilizzato delle risorse, questo è vero. Ma, per esempio nella prima rivoluzione industriale, la risorsa chiave, strategica, era il carbone, ma il carbone esisteva nei paesi sviluppati, quindi hanno usate il loro carbone.

Voi me dirette importavano il te, importavano il cacao, mi direte quale rilevanza dal punto di vista dello sviluppo può avere il te, il cacao, il cafè, benissimo, avremo tenuto la gente allegra, ma, di sicuro non

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones serviva, il pomodoro, la zucca, il mais, le arance, tutte cose bellissime, però non era quello che... - Prof. Brenci: E la marina più grande che esisteva dopo l’inglesa. - Profssa. V.Zamagni: La marina più grande chi l’aveva, secondo lei? - Prof. Brenci: Napoli! Sicuramente. - Profssa. V. Zamagni: Napoli, giusto, giusto sí, sí, non ho dubbio, certamente.

Questo dal punto di vista storico, ma dal punto di vista anche teorico, dico, è impossibile che qualche cosa che non c’è, produca qualche cosa che c’è. Cioè, è impossibile da un sottosviluppo produrre uno sviluppo, proprio non segue razionalmente la cosa. Per cui il problema è questo, bisogna prendere atto che tutta quella produzione, soprattutto marxista, non di Marx, dei suoi epigoni, che lo sviluppo dei paesi sviluppati è generato dal sottosviluppo dei paesi sottosviluppati perché li portano via le rissorse è qualche cosa che bisognerebbe proprio abbandonare al passato.

È certo che poi è evidente che il paese cha ha più mezzi tende a sfruttare tutto quello che esiste al mondo, compreso anche qualche rissorsa che esiste nei paesi sottosviluppati a proprio avantaggi... Però dire che è stato questo a generare lo sviluppo proprio è veramente privo di qualunque significato.

Sulla questione del rapporto Nord-Sud non c’esprimiamo qua, facciamo una discussione privata. - Dra. Rava: Tal vez ya ahora muchas cosas se dijeron, lo que quería señalar es que el conflicto en realidad está en el corazón del hombre. Entonces, más allá de las justificaciones y de la necesidad o de la racionalidad, mientras el hombre sea hombre y lleve en el interior suyo ese conflicto que en definitiva, es el conflicto de sus propias potencias, el conflicto de su inteligencia que no se pone de acuerdo con el corazón, el conflicto del poder y de la voluntad de poder, que no respeta los justos límites de la propia naturaleza, el conflicto seguirá presente. A veces, hablamos, en un sentido, del hombre como debería ser, pero que de hecho, no es así. Todos somos violentos, todos buscamos poder, todos queremos afirmar nuestra personalidad, todos queremos ocupar, no solamente nuestro espacio sino el espacio que le corresponde al otro. Por lo tanto, me parece, que mientras el hombre sea hombre, va a buscar la guerra de un modo u otro porque es el modo como -pareciera a sus ojos- afirma su propia persona.

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Entonces, yo acá simplemente abro la puerta a una mirada que va más allá de lo racional y que se abre a la realidad del pecado, de la libertad y de la gracia. - Profssa. V. Zamagni: Ero partita dicendo che mi occupavo di quei conflitti che usano violenza. Con il che non è che la violenza esaurisca, ovviamente, l’espressione del conflitto, per amore del Cielo, il conflitto c’è primo, perchè è dentro, e continua ad esserci anche quando non fosse usata la violenza, quindi su questo concordiamo totalmente.

Però c’è un’osservazione che mi piace di fare ed è la seguente: Non credo che qui nessuno discuta della differenza tra l’uomo primitivo e l’uomo d’oggi. Voglio dire, c’è un’evoluzione nell’uomo, quindi noi possiamo immaginare che con l’andare del tempo i conflitti tendono ad usare sempre meno lo strumento della violenza, possono usare della violenza fisica, voglio dire, possono usare altri strumenti, la violenza psicologica o la guerra, come si diceva, economica, che però è improprio chiamare guerra perché non usa le armi materiali.

Allora, voi mi direte Perché questa sottilizza? in fondo i conflitti psicologici sono duri anche quelli, le guerre economiche sono dure, indubbiamente non ho dubbi su questo. Però è importante capire che quando l’uomo è distrutto fisicamente non c’è più speranza, invece se non è distrutto fisicamente può darsi che qualche cosa ci si possa fare. Quindi, io sono a favore della diminuzione delle guerre guerreggiate, della violenza fisica perché permette le possibilità di risolvere i conflitti in maniera più positiva perché da più tempo all’uomo, da più spazio, da più possibilità, se lo ammazzate, è finito.

Allora, certe guerre economiche, attenzione, possono produrre questo risultato e in quanto producono questo risultato, sono altrettanto preoccupanti come le altre guerre, ma, solo in questo senso possono essere viste altrettanto negativamente; perché, ripeto, dare una chance all’uomo di vivere, qualche cosa può succedere; se tu lo ammazzi non c’è più niente che si possa fare. - Dra. Rava: Quisiera agregar una cosa simplemente, ¿cómo ves la relación en el orden político en la relación entre los estados, a propósito de lo que se dijo de la relación Norte-Sur? ¿Cuál es el papel del fuerte y del débil?, pensando que así como en el orden humano hay personas muy dotadas y con muchos instrumentos y personas poco dotadas, también en el orden de los pueblos es así. - Profssa. V. Zamagni: Allora, qui ho solo da rinviare a quello che ha detto Stefano precedentemente, perché la economia capitalistica, purtroppo tende a andare in favore dei forti, non c’è dubbio su questo;

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones l’economia di mercato invece, dovrebbe contenere anche quel altro aspetto che è la reciprocità che permetterebbe, attraverso una divisione del lavoro, utilizzata in maniera corretta, anche di dare uno spazio a quelli che non sono forti. Quindi, qui è tutta una riflessione, che, però non poteva essere fatta, ovviamente, in questo contesto, che dovrebbe andare in quella direzione, come mantenere una economia di mercato che non produca risultati di questo genere attraverso la reciprocità. - Dra. Corcuera: Simplemente quería cerrar con una cosa, todavía no había terminado porque las conversaciones entre mujeres se suelen ampliar.

Simplemente respondía un poco a la preocupación de Carlota, cómo en el fondo los estados débiles frente a la situación mundial se pueden hacer sentir.

Los estados débiles, según mi modesta opinión, se pueden hacer sentir si tienen recursos y creatividad.

Recursos, veamos. Un ejemplo: en el 2005, el surgimiento del Emirato de Dubai. Dubai, que tiene petróleo, recursos, está haciendo un esfuerzo absolutamente inusitado para imponerse desde la arquitectura, desde los servicios, etc., como una sociedad del siglo XXI, como sucedió antes con el Extremo Oriente. El petróleo permitió ese desarrollo.

La otra punta de una sociedad sumamente débil que apunta –lástima que no esté Brenci- a la creatividad solamente, lo tenemos en una población del centro de África, tal es el caso de Burkina Faso, allí el producto bruto anual sería desesperante para Stefano, creo que casi nada; la mayor parte de la población de Burkina es analfabeta. ¿Qué hizo Burkina Faso? Tuvo dos o tres excelentes narradores visuales, es decir, gente que podía expresarse con la imagen, y pasaron de la narración oral a ser grandes cineastas, y hoy existe un festival importantísimo a donde van todos los cineastas del mundo. Nadie sabía ni dónde quedaba Burkina Fasso y la gente cuando va a su festival de cine tiene que buscar en el mapa, queda abajo de Mali, zona que a su pobreza material, la compensa su creatividad musical.

Ahora, en el caso de la Argentina. Tendríamos que hacer un análisis y acá hay gente mucho más capacitada que yo para hacer un análisis de qué se entiende por desarrollo.

Para nosotros una tecnología maravillosa en manos de gente espiritualmente subdesarrollada no tiene ninguna posibilidad desde el punto de vista cristiano, porque toda esa tecnología tiene que estar al servicio del crecimiento del hombre, para que todo lo que sea para aniquilación, sea por el hambre o sea por la guerra, no se radique en el

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Epistemología de las Ciencias Sociales. El Conflicto (2006) CIAFIC Ediciones corazón de un cristiano. O sea tengamos la esperanza, si bien hay sombríos escenarios de guerra, de estar dotados de fuerza para lograr cierto equilibrio. Nada más. - Profssa. V. Zamagni: Solo una battuta per dire che questo è un problema veramente tragico, perché la rivoluzione industriale ha provocato questa grandissima divaricazione che prima non esisteva. Il paese più avanzato, diciamo, nell’epoca agricola era due volte, forse tre volte più avanti di quello meno avanzato. Oggi, sono quaranta volte, cinquanta volte più, e quindi è oggi un problema veramente tragico. In ogni caso i paesi che hanno una speranza di andare avanti sono i paesi che danno istruzione a tutti quanti e soprattutto alle donne. Questo era un punto che volevo ribadire, alle donne. Gli altri, l’unica è avere della carità cristiana nei loro confronti, ma non c’è speranza. - Dra. Archideo: Agradezco a la Profssa. Zamagni por su interesante exposición. Gracias también a todos los que participaron en el diálogo. © 2006 CIAFIC Ediciones Centro de Investigaciones en Antropología Filosófica y Cultural Federico Lacroze 2100 - (1426) Buenos Aires e-mail: [email protected] Dirección: Lila Blanca Archideo ISBN 950-9010-48-0

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