i regimi democratici

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Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Il Mulino, 2009 Capitolo XI. I regimi democratici 1 I regimi democratici • Definizioni e distinzioni • Schumpeter e la democrazia procedurale • Le condizioni politiche della democratizzazione • Dahl e la poliarchia • Le fasi e le ondate della democratizzazione • Le condizioni socio-economiche della democratizzazione • Tipi di democrazia • Lijphart e i modelli di democrazia • La qualità della democrazia • Il futuro della democrazia

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I regimi democratici. Definizioni e distinzioni Schumpeter e la democrazia procedurale Le condizioni politiche della democratizzazione Dahl e la poliarchia Le fasi e le ondate della democratizzazione Le condizioni socio-economiche della democratizzazione Tipi di democrazia - PowerPoint PPT Presentation

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Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Il Mulino, 2009Capitolo XI. I regimi democratici

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I regimi democratici

• Definizioni e distinzioni

• Schumpeter e la democrazia procedurale

• Le condizioni politiche della democratizzazione

• Dahl e la poliarchia

• Le fasi e le ondate della democratizzazione

• Le condizioni socio-economiche della democratizzazione

• Tipi di democrazia

• Lijphart e i modelli di democrazia

• La qualità della democrazia

• Il futuro della democrazia

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Definizioni e distinzioni dei regimi democratici

La democrazia è la forma politica che ha mostrato nel corso del tempo le maggiori capacità di adattamento a condizioni diverse, le maggiori capacità di apprendimento e le maggiori potenzialità di trasformazione.

Appare utile, dunque, la distinzione tra democrazie reali, concrete, e le tante, utili teorizzazioni sulla democrazia

La distanza tra le teorizzazioni e la realtà, tra la teoria e la pratica democratica, misura lo spazio che, di volta in volta, tenendo conto dei tempi e dei sistemi politici, si deve e, eventualmente, si può colmare.

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Alcuni autori sono soliti distinguere tra:

DEMOCRAZIA FORMALE

basata sul rispetto delle regole e delle procedure

DEMOCRAZIA SOSTANZIALE

interessata agli esiti dei procedimenti formali in termini di eguaglianza e di

benessere per i cittadini

Altri autori, invece, tendono a distinguere tra:

le democrazie FORMALI, caratterizzate da:

riconoscimento e tutela dei diritti politici e civili rispetto del “governo della legge” (rule of law) indipendenza della magistratura e di molte autorità amministrative presenza di una società pluralista e assenza di controllo governativo sui mezzi di comunicazione il controllo dei civili sui militari

… e le democrazie ELETTORALI, in cui certamente si vota, ma una o più delle caratteristiche sopraelencate non sono rispettate o vengono frequentemente violate.

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Schumpeter e la concezione procedurale della democrazia

Per Schumpeter (1947), la democrazia è «quell’assetto quell’assetto istituzionale per arrivare a decisioni politiche nel quale istituzionale per arrivare a decisioni politiche nel quale alcune persone acquistano il potere di decidere mediante alcune persone acquistano il potere di decidere mediante una lotta competitiva per il voto popolareuna lotta competitiva per il voto popolare»

Il metodo democratico concepito da Schumpeter va combinato con il principio delle REAZIONI PREVISTE individuato da Friedrich (1963):

poiché i detentori del potere desiderano essere rieletti, la maggior parte dei governanti si sforzerà di interpretare al meglio le

preferenze del maggior numero di elettori, innescando il meccanismo della ACCOUNTABILITY.

I governanti cercheranno di tenere conto costantemente delle preferenze degli elettori e saranno disponibili a rendere conto del loro operato nel momento in cui tenterà di essere

rieletto. Pertanto, in un regime democratico i cittadini-elettori possono far conto sulla responsabilizzazione complessiva dei loro rappresentanti.

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Critiche e alternative alla concezione procedurale della democrazia

Le critiche più frequentemente sollevate contro la definizione di Schumpeter riguardano:

1. la presunta riduzione della democrazia a semplice competizione elettorale;

2. l’assegnazione di una delega a governare affidata a una squadra di persone dotate di enorme potere non controllabile per tutta la durata della loro carica.

I critici hanno, perciò, contrapposto alla democrazia procedurale di Schumpeter una democrazia considerata sostanzialmente

PARTECIPATIVA, nella quale i cittadini partecipano attivamente, intensamente, continuativamente alla produzione delle decisioni

politiche a tutti i livelli.

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Le condizioni politiche della democrazia

L’elenco più accurato dei requisiti per la creazione di un regime democratico è stato formulato da Robert Dahl (1971) ed è costruito sulle garanzie necessarie da conferire ai cittadini e sui diritti da promuovere e proteggere, affinché le loro preferenze incidano effettivamente sull’azione dei governanti.

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Dahl e la poliarchia

Per Dahl, i regimi democratici sono definibili “poliarchie”, poiché in questi regimi nessun gruppo è in grado di egemonizzare il potere politico, che è relativamente diffuso tra i detentori del potere politico.

Il pluralismo democratico è infatti considerato: ILLIMITATO, COMPETITIVO, RESPONSABILE.

Dahl studia i processi di democratizzazione all’interno di uno schema analitico che prevede 2 dimensioni: quella

della contestazione e quella della partecipazione

Il procedimento di allargamento delle opportunità di

contestazione/competizione è definibile come

LIBERALIZZAZIONE

Il procedimento di allargamento delle attività di partecipazione è

definibile come INCLUSIVITÀ

La DEMOCRATIZZAZIONE discende dalla congiunzione di questi 2 processi: liberalizzazione e inclusività.

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Lo schema analitico di Dahl (1971)C

ON

TE

STA

ZIO

NE

Egemoniechiuse

Oligarchie competitive

Egemonie includenti

Poliarchie

PARTECIPAZIONE

INCLUSIVITÀ

LIB

ER

ALI

ZZ

AZ

ION

E

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Le fasi della democratizzazione

Rustow (1970) ha individuato una serie di condizioni politiche e di fasi che conducono concretamente all’emergere dei regimi democratici:

appartenenza a una comunità politica: gli individui che partecipano alla costruzione di un regime democratico devono concordare sulla loro appartenenza a una specifica comunità politica. È’ una fase preliminare e propedeutica alla democratizzazione;

1. PREPARAZIONE: la prima fase prevede una lotta prolungata fra gruppi di élite, che si conclude senza la vittoria di un gruppo sugli altri, ma con un compromesso;

2. DECISIONE: il compromesso raggiunto implica una decisione consapevole di riconoscere non soltanto le diversità, ma anche di creare strutture e procedure che preservino queste diversità;

3. ASSUEFAZIONE (habituation): in questa fase, gli artefici del compromesso democratico convincono i politici di professione, gli attivisti e i cittadini dell’importanza e dell’efficacia di conciliazione e di accomodamento.

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Le ondate di democratizzazione

Huntington (1993) ha individuato 3 ondate di democratizzazione e 2 ondate di riflusso:

Periodo Stati democratici Cause

1° ondata di democratizzazione 1828-1926 29 socio-economiche

1° ondata di riflusso 1922-1942 12

2° ondata di democratizzazione 1943-1962 36 politiche e militari

2° ondata di riflusso 1958-1975 30

3° ondata di democratizzazione 1974 58 apprendimento

Per Huntington, la terza ondata di democratizzazione si fonda su un fattore generale definito “apprendimento”, cioè il fatto che molti paesi giunti alla democrazia dopo il 1974

avevano già avuto in passato esperienze con la democrazia.

Inoltre Huntington indica 5 mutamenti responsabili della terza ondata:

1. la crisi di legittimazione dei regimi autoritari;

2. una crescita economica senza precedenti;

3. il nuovo ruolo della Chiesa cattolica dopo il Concilio vaticano II;

4. l’impatto della Comunità europea e le decisioni di Gorbaciov;

5. l’effetto contagio o “domino” dei processi di democratizzazione.

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Le condizioni socio-economiche delle democratizzazione

La tesi di Lipset (1981) costituisce il punto di riferimento e di partenza di tutte le riflessioni riguardanti il rapporto, esistente o inesistente, tra democratizzazione e sviluppo socio-economico:

i sistemi socio-economici più sviluppati sono quelli che riescono a creare e mantenere un regime democratico.

C’è, però, un elemento di incertezza e ambiguità nella tesi e nella ricerca di Lipset: non è chiaro se egli intendesse unicamente mettere in rilievo delle correlazioni, per quanto significative, fra un determinato livello di modernizzazione socio-economica e

l’esistenza di un regime democratico oppure se intendesse stabilire fra loro una relazione di causa ed effetto.

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Alternative e critiche alla tesi di Lipset

Secondo alcuni studiosi, non sono tanto le caratteristiche aggregate del sistema socio-economico che contano per l’affermazione della

democrazia, come pensava Lipset, quanto piuttosto l’assenza di squilibri e di disuguaglianze di grande portata fra i vari gruppi sociali.

Un regime democratico si afferma quando le disuguaglianze fra i gruppi sociali sono relativamente contenute e gli squilibri ridotti.

Altri studiosi hanno sostenuto che non conta tanto il livello specifico di sviluppo socio-economico, quanto le modalità con le quali è stato

perseguito e conseguito.

CONTROTESI

CONTROTESIIl tentativo di ottenere sviluppo socio-economico in maniera accelerata impone di fare leva su metodi autoritari e, di conseguenza, è destinato ad avere effetti tanto destabilizzanti sul sistema politico da non riuscire a condurre a un regime democratico.

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Democrazia e ricchezza

Huntington (1993), collegando lo sviluppo economico (misurato in base al Pil pro capite) con i processi di democratizzazione, ha messo in risalto un’effettiva correlazione, ovvero una spinta positiva delle condizioni socio-economiche a favore dell’instaurazione dei regimi democratici.

«Uno scienziato sociale che a metà degli anni ’70 avesse voluto predire il futuro della democratizzazione avrebbe avuto successo indicando semplicemente i paesi compresi nella fascia di transizione fra i 1.000 e 3.000 dollari».

La tesi di Lipset è stata poi significativamente riformulata anche da Przeworski e Limongi (2000), in particolare per ciò che riguarda la nascita dei regimi democratici: «le democrazie compaiono casualmente rispetto ai livello di sviluppo, ma muoiono nei

paesi più poveri e sopravvivono nei paesi più ricchi».

In sintesi, TUTTI i sistemi politici hanno la possibilità di diventare democratici.Tra i paesi già democratici, invece, quelli che hanno maggiori probabilità di rimanere tali sono quelli più ricchi, a prescindere dalla distribuzione più o meno egualitaria della ricchezza.

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Tipi di democrazie

I regimi democratici esibiscono notevoli diversità:- STRUTTURALI, legate ai loro sistemi istituzionali:

presidenziali, semi-presidenziali, parlamentari, direttoriali;- POLITICHE, che riguardano i loro sistemi partiti: bipartitici o

multipartitici;- FUNZIONALI, che concernono il loro funzionamento e il

loro rendimento.

Per spiegare le differenze di funzionamento e di rendimento dei regimi democratici e la natura dei loro problemi

sono stati utilizzati numerosi criteri.Le spiegazioni più note e diffuse sono

quelle di

Gabriel Almond e di Arend Lijphart.

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Gabriel Almond (1956): stabilità e cultura politica

Considerata la stabilità/instabilità dei regimi democratici come variabile dipendente, la variabile indipendente venne individuata da Almond nella cultura politica.

Sistemi politici Cultura politica Struttura dei ruoli

Anglo-americani Omogenea, secolarizzata.

Differenziata, organizzata burocraticamente, con diffusione di potere.

Europei continentali Eterogenea, frammentata, alienata.

Innestata in contesti ideologici ad alta sostituibilità, esposta a interventi cesaristici.

Pre-industriali Tradizionale, carismatica

Scarsa differenziazione, alta sovrapposizione di ruoli.

Totalitari Sintetica/ideologica,conformità/apatia

Dominio dei ruoli coercitivi, instabilità funzionale.

Questa tipologia non è in grado di rendere conto dei sistemi politici scandinavi: questi sistemi possiedono una cultura politica eterogenea, talvolta persino

frammentata, eppure hanno sempre esibito evidenti caratteristiche di stabilità politica.

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Arend Ljiphart (1968) e i comportamenti delle élite

Senza abbandonare il criterio della cultura politica, il politologo olandese Lijphart vi accostò quello relativo al comportamento delle élite e pervenne a una tipologia dei regimi democratici alquanto più ricca di quella di Almond.

Cultura politica

Comportamento dell’élite

Omogenea Frammentata

Coesivo Democrazia spoliticizzata

Democrazia consociativa

Competitivo

Democrazia centripeta Democrazia centrifuga

Le democrazie consociative presentano culture politiche non frammentate, ma, come ha rilevato Sartori, segmentate, nelle quali le culture politiche sono effettivamente diverse, ma la distanza ideologica è relativamente contenuta.

Nelle democrazie spoliticizzate (es. Svizzera, Spagna 1979-1982) è centrale il ruolo delle élite nel decidere, entro certi limiti, se e quanto politicizzare i loro

comportamenti e quelli dei loro sostenitori.

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Ljiphart e i modelli democratici

Rivedendo e parzialmente superando la sua precedente tipologia, Lijphart giunge alla elaborazione di due distinti modelli di regimi democratico. Questi 2 modelli si differenziano seguendo 2 dimensioni:

DIMENSIONE ESECUTIVO-PARTITI

1. Concentrazione del potere esecutivo

2. Relazioni tra governi e Parlamento

3. Sistema dei partiti

4. Sistema elettorale

5. Sistema degli interessi

DIMENSIONE UNITARIA-FEDERALE

1. Grado di unitarietà e centralizzazione del governo

2. Concentrazione del potere esecutivo

3. Formato della costituzione

4. Controllo giurisdizionale di costituzionalità

5. Dipendenza delle Banche centrali dal potere esecutivo

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Gli elementi caratteristici dei 2 modelli di democrazia elaborati da Ljiphart sono i seguenti:

MODELLO WESTMINSTER1. Governi monopartitici o risicati2. Predominio dell’esecutivo3. Sistema bipartitico4. Sistema elett. maggioritario5. Pluralismo dei gruppi di interesse6. Sistema di governo accentrato e

unitario7. Bicameralismo asimmetrico8. Flessibilità della costituzione9. Assenza di judicial review10. Banca centrale controllata

MODELLO CONSENSUALE1. Governi di grande coalizione2. Equilibrio tra legislativo/esecutivo3. Sistema multipartitico4. Rappresentanza proporzionale5. Neocorporativismo dei gruppi di

interesse6. Federalismo e governo accentrato7. Bicameralismo forte8. Costituzione rigida9. Judicial review10. Banca centrale indipendente

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Critiche e alternative alla tipologia e ai modelli di Lijphart

Molte delle critiche rivolte allo studio di Lijphart si sono soffermate sulla validità e sulla utilità del concetto di democrazia “consensuale”

Sartori ha giustamente rilevato che la connotazione “consensuale” non può essere contrapposta alla

connotazione “maggioritario”, poiché tutte le democrazie maggioritarie si reggono sul consenso.

Comportamento dell’élite

Strutture comportamentali

Consensuali Conflittuali

Proporzionali Scandinavia, Paesi Bassi, Germania, Austria

Francia IV Rep., Italia 1947-1993

Maggioritarie

Gran Bretagna 1945-1979, India 1947

Gran Bretagna 1979 -, Usa 1992-2008, Italia 1993 -

Appare molto più utile distinguere in linea di principio le democrazie con riferimento a due criteri: il criterio “strutturale” (maggioritarie vs.

proporzionali) e il criterio “comportamentale” (consensuali vs. conflittuali).

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La qualità delle democrazie: l’ipotesi di Lijphart

La selezione dei criteri per valutare le democrazie costituisce di per sé già un processo molto problematico.

Lijphart, ad esempio, non chiarisce quali sono gli indicatori di qualità delle democrazie: il suo obiettivo è quello di

dimostrare che le democrazie consensuali non sono di qualità inferiore alle democrazie maggioritarie.

Anzi Lijphart giunge alla conclusione che le democrazie consensuali siano, nel loro rendimento, superiori rispetto a quelle maggioritarie, perché “più miti e serene”.

Tuttavia è opportuno notare che la qualità di una democrazia merita di essere valutata con riferimento a una pluralità di indicatori che attengono al rapporto fra

cittadini e autorità pubbliche, piuttosto che alla produzione delle politiche pubbliche.

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Bobbio e il futuro della democrazia

Riconoscendo l’inevitabile dialettica fra teoria e pratica democratica, Bobbio (1984) indica 6 PROMESSE NON MANTENUTE della democrazia e che dovrà quantomeno affrontare nel suo futuro:

1. diventare una società di eguali, senza corpi intermedi;

2. eliminare gli interessi organizzati e particolaristici che contrastino la rappresentanza politica generale;

3. porre fine alla persistenza delle oligarchie;

4. diffondersi negli apparati burocratico-amministrativo-militari dello Stato e nelle imprese;

5. distruggere i poteri invisibili;

6. elevare il livello di educazione politica dei cittadini.

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Dahl e il futuro della democrazia

Dahl (1989) delinea 3 possibili cambiamenti nel futuro delle democrazie:

1. un aumento significativo del loro numero;

2. una trasformazione profonda dei limiti e delle potenzialità del processo democratico;

3. una più equa distribuzione delle risorse e delle possibilità tra i cittadini e un allargamento del processo democratico a istituzioni governate in precedenza da un processo non democratico.

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La democrazia deliberativa è il futuro della democrazia?

Alcuni studiosi (Fishkin, Ackerman, Elster, Habermas) sono di recente giunti all’elaborazione di una alternativa democratica alla democrazia rappresentativa, definita democrazia deliberativa.

Principali elementi caratteristici della democrazia deliberativa:

presenza estesa e diffusa di arene di discussione partecipata;

pubblicità della deliberazione;

le informazioni e le preferenze dei partecipanti vengono formate e mutano durante il processo deliberativo;

le decisioni finali sono il prodotto di un processo di discussione aperta, argomentata, informata e condivisa.

LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA INTEGRA O SUPERA LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA?