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Siamo nella prima metà del XII secolo quando erano allora due quelli che pretendevano la so- vranità del regno d’Italia: Lotario come Imperatore, Corrado come re incoronato d’Italia. Nello stes- so tempo vi erano a Roma due eletti, ciascuno dei quali preten- deva di essere il vero papa. Uno, Anacleto, che aveva il partito più forte, possedeva la chiesa di San Pietro e l’altro, Innocenzo II, quella di san Giovanni in Latera- no. L’uno e l’altro erano stati con- sacrati lo stesso giorno. I mila- nesi erano per Anacleto e per Corrado, Lotario era per Inno- cenzo II. San Bernardo (Bernar- do di Chiaravalle) fu quello che sedò i partiti e fece riconoscere anche in Milano per vero papa Innocenzo II e per vero re d’Ita- lia Lotario. Il Papa aveva allora inviato Ber- nardo con l’Arcivescovo di Pisa a Milano quale delegato per tratta- re la riconciliazione dei Milanesi con la chiesa e Milano, stanca del- le lotte e delle discordie che fero- cemente ne erano derivate tra i suoi stessi cittadini, decise di rav- vedersi e di riconciliarsi con il le- gittimo pontefice Innocenzo II, in- vocando la benedizione del gran- de abate cistercense di Clairvaux. L’arrivo di Bernardo a Milano, ove risiedette dal novembre 1134 al gennaio 1135, fu salutato dai Mi- lanesi con manifestazioni di giu- bilo e di ravvedimento. Bernardo predicò nelle chiese e sulle piaz- ze. I Milanesi fecero pubblica am- menda e ritornarono all’obbe- dienza al legittimo pontefice In- nocenzo II, sconfessando l’anti- papa e destituendo l’Arcivescovo di Milano, Anselmo della Puster- la, che li aveva trascinati nello sci- sma. Innocenzo II assegnò al pri- mo abate Brunone, che era stato compagno inseparabile di Ber- nardo, il compito di riformare “nel- lo spirituale e nel temporale” il ter- ritorio Milanese [1]. Come prima manifestazione del- la loro contentezza i milanesi pro- posero a Bernardo la Cattedra ar- civescovile: il popolo di Milano ac- corse da Bernardo, che stava al- loggiato a San Lorenzo, e con ac- clamazione lo voleva arcivesco- vo. È accolto come un santo, lo si vuole vedere, ascoltare; gli si toc- IA in copertina 3 IA Ingegneria Ambientale vol. XLI n. 1 gennaio-febbraio 2012 In copertina: Pietro del Massajo: Pianta prospettica di Milano (inchio- stro a colori su pergamena, 1472). Tratta da una edizione manoscritta della “Geogra- phia” di Claudio Tolomeo. La pianta raffigura i principa- li edifici e i corsi d’acqua del- la città racchiusa dalla cer- chia delle mura medievali. (Città del Vaticano; Biblioteca Vaticana, Codice vaticano urbi- nate 277 e Parigi, Bibliothèque nationale de France – BnF). Cesare Cantù, nella “Storia di Milano e sua provincia” (1857), racconta l’evento del monastero di Chiaravalle: “Il monastero di Chiaravalle fu fondato nel 1135 con tenuissime rendite, ma i monaci lavorando, comprando principalmente i zer- bi cioè incolti, e prendendo a li- vello, ebber in breve quattro buo- ne possessioni: indi acquistarono il fondo di Cerreto nel Lodigiano, e Morimondo nel Pavese, e altri. A Chiaravalle, sopra uno spazio di tre pertiche appena, si incro- cicchiano ben sette acquedotti artificiali. Fin del 1138 ci resta un contratto, ove quei monaci com- pravano alquanti zerbi da un Gio- van Villano, col diritto di trarre ac- qua dalla Vettabbia, e di poter al- l’uopo fare fossati traverso ai po- deri d’esso Villano e una chiusa”. Descrive anche le attività agri- cole connesse con l’irrigazione tra le quali le marcite: “La ric- chezza dei paesi fra l’Adda e il Ticino è dovuta all’irrigazione, e all’antico modo d’usufruttar que- sta per ottenere ampie praterie o risaje. Le praterie a marcita, che danno carattere alla nostra bassa pianura, restano conti- nuamente irrigate anche nella stagione jemale, che va dalla ma- donna di settembre alla madon- na di marzo. Il terreno è allivel- lato con gran precisione in vasti trapezj lievemente inclinati, tal- chè un velo d’acqua lo copre ep- pur non vi stagna, lentamente colando sui piani più bassi. L’acqua meglio desiderata è quella di fontanili vicini, che con- serva ancora la temperatura sot- terranea, o quella che proviene dai condotti della città, carica di materie ammoniacali”. I PRIMI INGEGNERI SANITARI: I MONACI CISTERCENSI* E. de Fraja Frangipane * Tratto dal Volume Ingegneria sani- taria – Due secoli di storia, di cul- tura, di scienza, E. de Fraja Fran- gipane, dicembre 2011, CIPA Edi- tore.

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Page 1: I primi ingegneri sanitari  i monaci cistercensi

Siamo nella prima metà del XIIsecolo quando erano allora duequelli che pretendevano la so-vranità del regno d’Italia: Lotariocome Imperatore, Corrado comere incoronato d’Italia. Nello stes-so tempo vi erano a Roma dueeletti, ciascuno dei quali preten-deva di essere il vero papa. Uno,Anacleto, che aveva il partito piùforte, possedeva la chiesa di SanPietro e l’altro, Innocenzo II,quella di san Giovanni in Latera-no. L’uno e l’altro erano stati con-sacrati lo stesso giorno. I mila-nesi erano per Anacleto e perCorrado, Lotario era per Inno-cenzo II. San Bernardo (Bernar-do di Chiaravalle) fu quello chesedò i partiti e fece riconoscereanche in Milano per vero papaInnocenzo II e per vero re d’Ita-lia Lotario.

Il Papa aveva allora inviato Ber-nardo con l’Arcivescovo di Pisa aMilano quale delegato per tratta-re la riconciliazione dei Milanesicon la chiesa e Milano, stanca del-le lotte e delle discordie che fero-cemente ne erano derivate tra isuoi stessi cittadini, decise di rav-vedersi e di riconciliarsi con il le-gittimo pontefice Innocenzo II, in-vocando la benedizione del gran-de abate cistercense di Clairvaux.L’arrivo di Bernardo a Milano, overisiedette dal novembre 1134 algennaio 1135, fu salutato dai Mi-lanesi con manifestazioni di giu-bilo e di ravvedimento. Bernardo

predicò nelle chiese e sulle piaz-ze. I Milanesi fecero pubblica am-menda e ritornarono all’obbe-dienza al legittimo pontefice In-nocenzo II, sconfessando l’anti-papa e destituendo l’Arcivescovodi Milano, Anselmo della Puster-la, che li aveva trascinati nello sci-sma. Innocenzo II assegnò al pri-mo abate Brunone, che era statocompagno inseparabile di Ber-nardo, il compito di riformare “nel-lo spirituale e nel temporale” il ter-ritorio Milanese [1].Come prima manifestazione del-la loro contentezza i milanesi pro-posero a Bernardo la Cattedra ar-civescovile: il popolo di Milano ac-corse da Bernardo, che stava al-loggiato a San Lorenzo, e con ac-clamazione lo voleva arcivesco-vo. È accolto come un santo, lo sivuole vedere, ascoltare; gli si toc- IA

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3IA Ingegneria Ambientale vol. XLI n. 1 gennaio-febbraio 2012

In copertina:

Pietro del Massajo: Piantaprospettica di Milano (inchio-stro a colori su pergamena,1472). Tratta da una edizionemanoscritta della “Geogra-phia” di Claudio Tolomeo.La pianta raffigura i principa-li edifici e i corsi d’acqua del-la città racchiusa dalla cer-

chia delle mura medievali.(Città del Vaticano; BibliotecaVaticana, Codice vaticano urbi-nate 277 e Parigi, Bibliothèquenationale de France – BnF).

Cesare Cantù, nella “Storia diMilano e sua provincia” (1857),racconta l’evento del monasterodi Chiaravalle: “Il monastero di Chiaravalle fufondato nel 1135 con tenuissimerendite, ma i monaci lavorando,comprando principalmente i zer-bi cioè incolti, e prendendo a li-vello, ebber in breve quattro buo-ne possessioni: indi acquistaronoil fondo di Cerreto nel Lodigiano,e Morimondo nel Pavese, e altri. A Chiaravalle, sopra uno spaziodi tre pertiche appena, si incro-cicchiano ben sette acquedottiartificiali. Fin del 1138 ci resta uncontratto, ove quei monaci com-pravano alquanti zerbi da un Gio-van Villano, col diritto di trarre ac-qua dalla Vettabbia, e di poter al-

l’uopo fare fossati traverso ai po-deri d’esso Villano e una chiusa”. Descrive anche le attività agri-cole connesse con l’irrigazionetra le quali le marcite: “La ric-chezza dei paesi fra l’Adda e ilTicino è dovuta all’irrigazione, eall’antico modo d’usufruttar que-sta per ottenere ampie praterieo risaje. Le praterie a marcita,che danno carattere alla nostrabassa pianura, restano conti-nuamente irrigate anche nellastagione jemale, che va dalla ma-donna di settembre alla madon-na di marzo. Il terreno è allivel-lato con gran precisione in vastitrapezj lievemente inclinati, tal-chè un velo d’acqua lo copre ep-pur non vi stagna, lentamentecolando sui piani più bassi. L’acqua meglio desiderata èquella di fontanili vicini, che con-serva ancora la temperatura sot-terranea, o quella che provienedai condotti della città, carica dimaterie ammoniacali”.

I PRIMI INGEGNERI SANITARI: I MONACI CISTERCENSI*

E. de Fraja Frangipane

* Tratto dal Volume Ingegneria sani-taria – Due secoli di storia, di cul-tura, di scienza, E. de Fraja Fran-gipane, dicembre 2011, CIPA Edi-tore.

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cano gli abiti, gli si portano am-malati da guarire. Ma Bernardoaveva più vasti affari da reggere ese ne partì, ma chiedendo che as-secondassero il suo disegno difondare alle porte di Milano una fi-liazione della sua amata abbaziadi Clairvaux. Le terre furono do-nate dai milanesi e i lavori prese-ro avvio molto presto ma, già nel1135, i monaci di Chiaravalle de-cisero di lasciare il luogo per tor-nare in Borgogna, non avendo icittadini di Milano, partito Bernar-do, mantenuto l’impegno econo-mico promesso [1]. Le minaccedei monaci scossero i Milanesiche risposero con generosità: at-traversando la città raccolsero oro,argento e molte cose, il nobile Ar-chinto offrì il terreno [2] e con que-sti mezzi fondarono i due Mona-steri di Chiaravalle e di Morimon-do, così nominati a imitazione didue già stabiliti in Francia. Furonoacquistate alcune cascine fuoriPorta Romana e vennero offerteai Cistercensi perché vi potesse-

ro far sorgere il nuovo monastero.I monaci provenienti da Citeaux egiunti all’inizio del 1135 a Milano,ospiti dei benedettini di Sant’Am-brogio, diedero subito inizio ai la-vori e il nuovo Monastero fu chia-mato dapprima Santa Maria di No-verano (dalla località) ma poi, inonore di Bernard di Clairvaux, fudetto Chiaravalle [3] (in latino San-ctae Mariae Claraevallis Mediola-nensi).Le prime costruzioni realizzatedai religiosi furono provvisorie esolo verso il 1150 e il 1160 venneiniziata la costruzione della chie-sa attuale, che poi si protrasseper circa 70 anni, fino al 1221; diquella originaria del 1135 non ri-mane oggi più alcuna traccia(Figg. 1-2).Il 2 maggio 1221, il Vescovo di Mi-lano, Enrico I di Settala consacròla Chiesa a Santa Maria; nell’an-golo nord-ovest del chiostro si puòtrovare, scritta in caratteri semi-gotici, la lapide posta in quella oc-casione: “Nell’anno di grazia 1135

addì 22.1, fu costruito questo / mo-nastero dal beato Bernardo ab-bate di Chiaravalle: nel / 1221 fuconsacrata questa Chiesa dal Si-gnor Enrico / Arcivescovo milane-se, il 22 maggio, in onore di S. Ma-ria / di Chiaravalle”.La regola prescriveva che i Ci-stercensi dovevano collocare le lo-ro case nei luoghi malsani e de-serti e avevano il compito di boni-ficarli e popolarli. A Chiaravalle illuogo rispondeva pienamente al-le loro esigenze di lavoro: terra in-colta, invasa dalle acque putridedelle cloache cittadine che si im-paludavano fuori Porta Romana.Nei canneti popolati da cicogne(che poi divenivano le amiche in-separabili dei monaci) in brevel’attività dei Cistercensi creò uber-tosi campi a prati artificiali, le co-sì dette marcite, (Fig. 3) con un si-stema nuovissimo di irrigazionemediante la geniale utilizzazionedelle acque putride e delle acquefluviali. Proprio in quegli anni di ri-nascita agricola della Bassa mila-

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Fig. 1 – L’Abbazia di Chiaravalle in una stampa del Regno Lombardo-Veneto

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nese, attuata soprattutto dai Ci-stercensi, il commercio di Milanosi ingrandiva e si irrobustiva. L’Ab-bazia di Chiaravalle, posta neipressi della strada romana versoil Po tra l’industriosa città ed il por-to di Pavia, era diventata centroagricolo ricchissimo. La palude delvecchio fondo romano di Rova-gnano [4] era stata bonificata eduna nuova fonte di ricchezza si

era aggiunta alle altre che invia-vano i loro prodotti alla borsa mer-ci che si faceva avanti a S. Am-brogio, per la festa dei Santi Ger-vasio e Protasio.Scrivono Ludovico Fiesta e CarloTonioli nel loro libro pubblicato nel2010: Milano e il suo destino [5],che Milano è diventata Milano“grazie ai cistercensi che con le lo-ro abbazie si inventarono un nuo-

vo modo di coltivare (le marcite)arricchendo la già ricca agricoltu-ra lombarda”. Passano i decennie i secoli e c’è una documenta-zione storica che illustra la flori-dezza economica di Chiaravalle.Il Monastero di Chiaravalle entròa far parte della vita della stessaMilano con una partecipazioneche non era solamente di naturacaritativa ed economica ma che, IA

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Fig. 2 – Veduta aerea della Abbazia di Chiaravalle nella sua configurazione attuale. Di quella origi-naria del 1135 non rimane oggi più alcuna traccia; resta una lapide nell’angolo nord-ovestdel chiostro che riporta la scritta: “Nell’anno di grazia 1135 addì 22.1, fu costruito questo /monastero dal beato Bernardo abbate di Chiaravalle: nel / 1221 fu consacrata questa chie-sa dal Signor Enrico / Arcivescovo milanese, il 22 maggio, in onore di S. Maria / di Chiara-valle” [6]

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per lungo tempo, contribuì altresìal progresso e allo svolgimentodella vita culturale milanese. Spet-ta ai cistercensi un ruolo determi-nante per la nuova immagine diMilano, quale centro di una cultu-ra razionale e funzionale che ve-niva tracciata proprio in questo pe-riodo.Ma tutto questo ebbe una fine: il24 fiorile 1798 (14 maggio) quan-do il Monastero fu investito dallaventata distruggitrice giacobina.“In seguito ad una Risoluzione delGran Consiglio della RepubblicaCisalpina il Direttorio decretava lasoppressione di alcuni monasterie conventi tra i quali quello diChiaravalle. Alla immediata notifi-ca del Decreto di soppressioneseguiva un inventario delle pro-prietà monastiche. Successiva-mente il Monastero veniva spo-gliato di ogni suppellettile e alie-nato mediante un’asta pubblicaunitamente alle vaste proprietà

che costituivano il patrimonio chia-ravallese.Invasi i chiostri, demoliti i dormi-tori, abbattuta la sala capitolare,invaso il cimitero, più nulla rimasea testimoniare l’antica presenzadei monaci fra quelle squallidemura. E così nell’abbandono lavetusta abbazia visse per lunghidecenni deperendo gradatamen-te e riducendosi in uno stato taleda rendere aleatorio ogni tentati-vo di restauro” [3].Gli sforzi dei fedeli amici milane-si della vecchia Abbazia riusciro-no dapprima a richiamare la civi-ca attenzione sulle miserrime con-dizioni del Monastero fino a che,poi, sostanziali interventi lo sal-varono da una completa rovinatanto che lo si potè dire sostan-zialmente recuperato e ridonatoall’arte. È solo nel 1894 che l’Ufficio per laConservazione dei Monumenticomprò l’abbazia dai privati che

l’abitavano e iniziò il restauro delcomplesso.Ma l’avvenimento che ridonò nuo-va fiducia nella completa rinasci-ta del monumento e nel ripristinodelle antiche funzioni monastichefu il ritorno, avvenuto nel 1952, deimonaci Cistercensi a Chiaravalledopo il lungo esodo [3], grazie al-l’intervento del Cardinale AlfredoIldefonso Schuster.Il monastero si sviluppò attraver-so una sapiente politica di ac-quisizioni di terreni, di passaggidi proprietà, di acquisizioni di di-ritti sulle acque e finì con avereun ruolo preminente nell’equili-brio economico nel sistema del-la pianura padana. I cistercensiregolarono l’andamento dellerogge, svilupparono le marcite,promossero l’allevamento del be-stiame, bonificarono le terre pa-ludose, costruirono mulini, crea-rono laboratori finalizzati inizial-mente all’autosostentamento,

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Fig. 3 – Appezzamento di terreno sistemato a marcita e alimentato con le acque della roggia Vet-tabia che scorre in prossimità della Abbazia di Chiaravalle e che i monaci cistercensi uti-lizzavano per irrigazione unitamente a gran parte delle acque delle cloache cittadine che siimpaludavano fuori Porta Romana. Da una foto dei primi del ‘900 [7]. La figura mostra unadelle ultime poche marcite che nel 2003 risultavano ancora conservate. Sullo sfondo, benvisibile, il campanile dell’Abbazia di Chiaravalle (Foto Cesare Colombo) [7]

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fornirono servizi e crearono lepremesse per la messa a puntodi metodi tecnici sempre più so-fisticati [1].“Le valli ai tempi di Bernardo nonerano luoghi ideali per vivere permolte ragioni: le rive dei fiumi era-no soggette a frequenti inonda-zioni, i loro letti si spostavano, op-pure la quantità d’acqua potevavariare enormemente a secondadella stagione: per trasformarequeste zone nei possedimenti pro-speri e fertili per i quali divennerofamosi, i cistercensi prosciugaro-no e recuperarono terreni, eres-sero dighe, scavarono canali, de-viarono il letto dei fiumi, arginaro-no le inondazioni e crearono ognialtra soluzione innovativa fossenecessaria per rendere agibile ilposto“ 1.“In generale l’acqua era destinataa tre tipi di uso: domestico, liturgi-co e produttivo. L’uso domesticodell’acqua comprendeva l’acquaper cucinare e per pulire, per me-scolare l’inchiostro, per gli usi igie-nici come lavare il corpo ed i ve-stiti, farsi la barba, radersi i capel-li, sciacquare le latrine e soddi-sfare le esigenze dei malati del-l’infermeria. Gli usi liturgici inclu-devano le abluzioni, l’acqua san-ta ed il mandatum settimanale.Per l’impiego sia domestico che li-turgico l’acqua veniva attinta dal-la fontana del chiostro” [ibidem].Era l’Approvvigionamento idrico dioggi.“L’impiego industriale dell’acquaera volto essenzialmente a far fun-zionare i mulini e le fucine, moti-vo per cui spesso la si incanala-va: la natura agricola di gran par-te dell’economia cistercense ri-chiedeva l’irrigazione e/o la boni-fica, oltre all’acqua necessaria pergli animali. I vivai per i pesci era-no infine una importante fonte dicibo per la dieta dei monaci e l’al-levamento ittico costituiva un ele-mento non trascurabile nella con-duzione dell’abbazia, talvolta ve-nivano creati a tal fine dei sistemi

intensivi di laghetti” [8]. Era l’In-gegneria agraria di oggi.“In generale, per provvedere aqueste molteplici necessità i mo-nasteri cistercensi erano dotati didue tipi di sistemi di distribuzio-ne dell’acqua. Quello che chia-meremo “sistema esterno” attin-geva l’acqua direttamente dalcorso d’acqua più vicino. L’acquaveniva imbrigliata per produrrel’energia idrica (Fig. 4) necessa-ria al funzionamento dei mulini edelle fucine, solitamente me-diante sbarramenti e canali; que-sto impianto serviva anche perconvogliare le acque di scolo, ingenere con l’ausilio di canali checorrevano attorno e sotto l’abba-zia. Il secondo sistema era quel-lo “interno” che serviva a fornireacqua pura all’abbazia; l’acquaproveniente da una sorgente piùa monte veniva convogliata perpressione sino all’interno del-l’abbazia passando attraverso unsistema di condutture relativa-mente sofisticato” [ibidem]. Eral’Idraulica sanitaria di oggi.“Quando non era possibile por-tare l’acqua verso l’abbazia eral’abbazia che veniva portata ver-so l’acqua, così come, benchépossa essere auspicabile orien-tare la pianta della chiesa versoest, quando la topografia del luo-go non lo permetteva, era l’orien-tazione ad essere modificata peradattarsi al sito: in definitiva, è ilpragmatismo ad aver l’ultima pa-rola nel mondo cistercense. Inol-tre era necessario disporre diuna fonte diretta di acqua pura,il cui punto di fuoriuscita all’in-terno dell’abbazia “creava” la for-ma del chiostro: la costruzionedella fontana dipendeva, infatti,dalla configurazione del terreno,senza contare che molte deci-sioni in merito comportavano lanecessità di installare delle con-duttore, a volte lunghe diversichilometri con la necessità di nu-merose installazioni idrauliche:pozzi, vasche di raccolta o di se-dimentazione, sfioratori o siste-mi di troppo pieno, rubinetti di re-golazione, valvole per ridurre lapressione e via di seguito” [ibi-

dem]. Era l’Ingegneria idraulicadi oggi.“Per purificare l’acqua destinataall’abbazia di Walkenried venne-ro approntate delle vasche di se-dimentazione in pietra riempite disabbia e ghiaia: l’acqua scende-va nel chiostro attraverso un ca-nale sotterraneo e un sistema dicondutture” [ibidem]. Era l’Inge-gneria sanitaria di oggi.Già Bonvesin da la Riva nel suo“De magnalibus urbis Mediolani”[9, 10], composto tra il mese dimarzo e la fine del 1288, descri-veva, tra le meraviglie di Milanoche “I prati sono irrigati da fertilifiumi e da infiniti ruscelli di fonte;essi forniscono, in abbondanzaquasi infinita, fieno ottimo perbuoi, cavalli, giumenti, pecore eogni altro genere di bestiame. Perrendere evidente la cosa, dichia-ro, anche se apparirà stupefa-cente, che il solo cenobio di Ca-ravelle raccoglie ogni anno daisuoi prati più di tremila carri di fie-no, come mi attestano i monaci diquella casa. Più stupefacente ap-parirà un altro fatto; ma poichédella sua verità garantiscono que-gli stessi monaci, dico con sicu-rezza che nel contado di Milano iprati sono tanti da assicurarci ognianno più di duecentomila carri difieno”.Bonvesin elogia la posizione di Mi-lano, «situata in una bella, ricca efertile pianura [...] tra due mirabilifiumi equidistanti, il Ticino e l’Ad-da» e, dopo aver accostato ai fiu-mi veri e propri, i torrenti, i canalie le rogge ne descrive le ricchez-ze: «I suddetti fiumi non assicura-no solo abbondanza di pesci nésolo abbondanza di fieno, ma coni loro mulini, che sono più di no-vecento, e le loro ruote, che sonopiù di tremila, alimentano non so-lo tanti ambrosiani [...] ma anchepiù di centomila [...]».

Bonvesin descrive Milano dal ve-ro: vive sulla ripa (riva) di Porta Ti-cinese nella Cittadella tra l’Olona,il Nirone, la Vettabbia e il Naviglio(flumen Ticinelius), il canale pro-lungato fino a Milano poco tempoprima del suo arrivo in città e, se- IA

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1 V.T.N. Kinder, “I cistercensi” JacaBook, Milano; 1998, citato in [8].

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condo alcune tracce storiche, giàreso navigabile.Nella sua narrazione Bonvesinnon accenna alla navigazione e aisuoi vantaggi, neppure quando ci-ta le quantità di merci consumatein città e prodotte nel contado, co-me la legna, le farine e il vino no-toriamente trasportabili con piùconvenienza, velocità e sicurezzaper via acqua. Anzi, valuta laquantità di legna da ardere in unanno, con una unità di misura, ilcarro, che non lascia dubbi sulmezzo di trasporto prevalente-mente usato in quei tempi a Mila-no. Probabilmente si trasportava-no via acqua le merci più pesanti,come le armi e le armature d’ognitipo prodotte dai fabbri «che poi imercanti vendono in mirabile ab-bondanza nelle città vicine e an-che in quelle lontane» [11].La coltivazione del prato marcito èsenza dubbio una delle più antichepraticate nel basso Milanese.La tradizione vuole che i frati delcenobio di Chiaravalle, ammae-strati dalla lussureggiante vege-tazione che anche d’inverno, coifreddi più intensi, avevano certe

erbe entro il letto dei fontanili, fos-sero i primi a trarre profitto daglieffetti di quelle acque sorgive sul-la vegetazione, costruendo così leprime marcite fino dal XII secoloche hanno trovato le opportunecondizioni per estendersi [12].La vecchia marcita primitiva con-sisteva in un campo cinto da un ar-ginello, nel quale si faceva sta-gnare, durante l’inverno, l’acqua dialimentazione per provocare la de-composizione della sostanza or-ganica ivi accumulata a favorire losviluppo di alcune graminacee.Con il tempo e con l’esperienzache si andava accumulando, lamarcita si trasformò evolvendosiin un’opera veramente perfetta infatto di sistemazione o livellazio-ne, ove le acque erano nella piùlarga misura utilizzate in guisa ta-le che, servendo esse per irriga-zione durante l’estate e di stratocoibente nell’inverno per evitare ilraffreddamento, consentivano unaperenne e costante produzione inogni stagione dell’anno.La marcita [12] “la si forma dopodue o tre anni di coltivazione perottenere una cotica monda di er-

bacce e intanto d’inverno fra lesuccedentesi coltivazioni, si inco-mincia a sistemare il terreno sud-dividendo il campo in tanti pianileggermente pendenti, con un di-slivello di 20-30-40 cm fra l’uno el’altro. La loro lunghezza varia da100 a 200 metri a seconda dellapendenza del campo e dellaquantità d’acqua di cui si potrà di-sporre per la marcita”. A mietituraultimata a fine anno si compionoi lavori per la definitiva sistema-zione della marcita che dovrà se-minarsi nella susseguente prima-vera e si continuano per tutto l’in-verno. Tali lavori consistono nel ri-durre la superficie a tanti piani in-clinati, convergenti a due a due,detti ale, larghe intorno a 10 me-tri; la loro pendenza oscilla tra il 2e il 3%.Sono divise alternativamente dairrigatrici e da colatori. Il fondo del-le irrigatrici, che corrono lungo ilcolmo di ogni paio di ali abbinate,è contrappendente in modo che,tolta l’acqua, le irrigatrici medesi-me abbiano da asciugare al piùpresto. I loro cigli superiori, inoltredevono essere perfettamente li-

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Fig. 4 – Mulino sulla roggia Vettabia. Foto fine ‘800 [7]

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vellati, cosicché l’acqua debordicon regolarità. La larghezza è di0,40 a 0,50 m. Le colatrici corronolungo la linea di depressione fra leali della marcita, sufficientementependenti perché possano con sol-lecitudine smaltire le acque.Le acque di colatura si utilizzanocol sistema delle riprese o ripigli,sugli appezzamenti più bassi del-la marcita”.

Nel Manuale Hoepli dell’ing. F. Lac-cetti: Fognatura biologica – De-purazione biologica delle acqueluride [13], del 1915, veniva cosìdescritta la cosiddetta “Irrigazionelurida milanese”:

“Passiamo addirittura a far qual-che cenno della irrigazione luridamilanese, sulla quale per maggioridettagli si può consultare con pro-fitto la relazione del Poggi. Il pro-blema del trattamento dei mate-riali luridi provenienti dalla cana-lizzazione milanese, alla fine delsecolo scorso, era tuttavia in buo-na parte aperta, in vista dei note-voli accrescimenti progettati nel-la rete interna della fognatura. Ma fu risoluto anche qui favore-volmente alla depurazione agri-cola alla quale non solo portavala secolare tradizione locale maaderivano ed aderiscono il pro-gettista della nuova rete ing. Pog-gi, la Commissione municipale al-l’uopo nominata, membri autore-voli della stampa tecnica quale ilManfredini, ed illustrazioni dellescienze igieniche quale il prof. Ar-naldo Maggiora.Il sistema agricolo si riteneva in-fatti il più economico ed il più pro-ficuo per la utilizzazione dellematerie fertilizzanti; mentre ladepurazione chimica si stimavadi minor valore dal lato tecnicoed assai più costosa dal lato eco-nomico.Più proficuo per la utilizzazionedelle materie fertilizzanti poiché leacque del canale Vettabbia ne so-no ricche, se, analizzate fin datempo, davano per ogni litro gr.0.016 di sostanze organiche e0.211 di materie minerali.

Alla fine del secolo scorso si ave-vano così per Milano disponibilialla irrigazione circa 3500 ettari ecioè, ammesso ad 850 mila il nu-mero degli abitanti da contarsi nel-lo sviluppo del piano regolatore diquel tempo, in ragione di 1 ettaroper ogni 325 abitanti, dato questo,che ancorché fosse prudente inragione di quelli effettivamenteadottati altrove, fu pure in segui-to migliorato.Del buon esito della irrigazione lu-rida milanese non si può più dubi-tare poiché da una parte inconve-nienti igienici non si produsseromai, e dall’altra parte nelle marci-te irrigate direttamente dalla Vet-tabbia, si praticano fino a sette fal-ciature di fieno all’anno con un red-dito di lire cinquecento per ettaro.Si osservi che nelle acque di irri-gazione lurida milanese non sipratica ancora nessun trattamen-to preliminare (chiarificazione,sgrossamento, ecc.), e che, quan-do sia dimostrato necessario, untale trattamento si potrà sempreintrodurre, per mantenere la per-meabilità del terreno irriguo”.“[…] per lo smaltimento dellamaggior parte delle acque luridedella città di Milano quel comuneha un contratto col così detto Con-sorzio di Vettabbia in forza delquale quell’associazione di pro-prietari, pose a tutt’oggi a dispo-sizione della città circa tremila et-tari di terreno irriguo e corrispon-de anche un prezzo per l’uso del-le acque luride”.

L’utilizzo della Vettabbia anche co-me ricettore di gran parte delle fo-gnature di Milano e con funzionedi alimentazione delle marcite ri-mase operante per quasi un mil-lennio. Ancora nel 1960 in unapubblicazione del Comune di Mi-lano [14] si ritrova la seguente de-scrizione: “Il canale Vettabbia, uti-lizzato sin dal XII° secolo dai Mo-naci di Chiaravalle per l’irrigazio-ne dei terreni circostanti la Abba-zia omonima, prende origine in cit-tà dalla confluenza delle acquedella Fossa Interna alimentata dalNaviglio Martesana, torrente Se-veso e fontanile San Mamete.

Lungo il suo percorso in città rice-ve le acque di una vasta rete di fo-gnatura urbana. All’uscita dalla cit-tà le sue acque vengono dispersesul terreno a sud di Milano e van-no ad irrigare le marcite che co-stituiscono per la città il maggioree più efficace sistema di depura-zione naturale”.Anche nella pubblicazione dell’In-gegnere capo del Comune di Mi-lano, ing. Antonio Columbo, sulprogetto della nuova fognatura diMilano [15] del medesimo anno(1960), ritroviamo la Vettabbia co-me ricettore del collettore di No-sedo, uno dei tre recapiti finali co-stituiti dal cavo Redefossi, dal co-latore Lambro Meridionale e dal-la roggia Vettabbia di cui sopra,senza che vi fosse stato previsto(ancora) alcun impianto di depu-razione, quindi ancora con la so-luzione dello smaltimento per irri-gazione, soluzione che ha persi-stito per Milano più a lungo di quel-le di Parigi e di Berlino che ave-vano gli stessi sistemi di smalti-mento con depurazione naturaleper irrigazione ma che già eranostati sostituiti con impianti di de-purazione artificiali.Oggi la fognatura di Milano nonspande più sui terreni agricoli diChiaravalle e lo smaltimento del-le acque di fogna non avviene piùtramite le marcite che pure fino al1960 ancora venivano considera-te un sistema largamente utilizza-to di filtrazione naturale o artificia-le sul terreno con impiego delleacque cloacali per le irrigazionidelle campagne, così come lo era-no stati i campi di spandimentoper la città di Berlino in Germania,quelli di Achères per la città di Pa-rigi in Francia e quelli di molte al-tre città in molti altri paesi. Veni-vano considerate e classificate, fi-no all’inizio del secolo scorso, co-me opere d’Ingegneria sanitaria ecome tali inserite nei relativi trat-tati [12].Oggi 1.332.000 abitanti di Milanoscaricano le proprie acque di ri-fiuto con una portata media di432.000 m3/giorno nel depuratoredi Nosedo, un impianto di moder-na progettazione e recente co- IA

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uscita che scarica nella Vettabiadella quale un antico cronista, inun manoscritto conservato allaBraidense di Milano, scriveva che“passa per mezzo di questo Mo-nastero [di Chiaravalle] un’acquaviva, chiara e buona, che si chia-ma la Vittabbia, qual non è puocameraviglia che nasce appresso alMonastero un miglio nel luogo det-to di Vagliano, et in Monastero famacinare un mulino con tre ruotee con tre mole, et serve per il Mo-nastero nelle officine, cucina, bar-beria, giardino, horto, peschiere ecavalli secondo i bisogni”.

Da questa storia delle Marcite delMilanese, e per quelli che sono gli

aspetti che più riguardano l’Inge-gneria sanitaria, si riscontra in-nanzitutto come i Cistercensi diBernard, grandi protagonisti dellaripresa del Basso Medioevo, fu-rono degli antesignani Ingegnerisanitari esperti, in particolare, delgoverno delle acque.“Essi, insediatisi a Chiaravalle, co-minciarono a costruire i primi ele-menti dell’attuale reticolo dellerogge, procedendo parallelamen-te alla fondazione di grange di-stribuite «a regola». Le grange co-stituivano le unità produttive prin-cipali del sistema insediativo ci-stercense, in quanto ospitavanoil personale dedito alle attivitàagricole; attorno ad esse si svi-luppò l’articolato sistema delle

molte cascine, distribuite sul ter-ritorio in modo da governare davicino il buon funzionamento delsistema di scolo e di distribuzio-ne delle acque, fortemente inte-grato con l’altrettanto ricco siste-ma di mulini”. Autori di “[…] un processo di svi-luppo autenticamente sostenibile,fondato […] sulla valorizzazionedelle risorse idriche abbondantis-sime di questo territorio in cui lamescolanza di acque sorgive, ac-que sotterranee ed acque super-ficiali, ben governata, ha assicu-rato per secoli abbondanza di vi-ta, in senso lato, ad innumerevoligenerazioni” [8].Furono antesignani non solo nel-l’Ingegneria sanitaria, ma lo furo-

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Fig. 5 – Le aree una volta destinate a marcite sono state oggi utilizzate per la realizzazione del-l’impianto di depurazione di Nosedo, uno dei tre impianti che oggi servono la città di Mi-lano. Sullo sfondo, in lontananza, si scorge il campanile dell’Abbazia di Chiaravalle

Abbazia di Chiaravalle

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no anche come urbanisti, archi-tetti, idraulici, agronomi.Il sistema delle marcite di Chiara-valle restò in funzione, come re-capito terminale della maggiorparte delle acque di fogna dellacittà di Milano, fin oltre la fine del-la seconda guerra mondiale. Mi-lano fu quindi una delle ultime (senon l’ultima) grande città europeache abolì la depurazione naturalecon smaltimento sul terreno (irri-gazione + concimazione) per so-stituirla con una depurazione arti-ficiale con gli impianti di tratta-mento. Parigi lo fece molto primae Achères, una delle principali lo-calità per lo spandimento sul ter-reno delle acque di fogna della cit-tà, divenne invece sede del nuo-vo grande impianto di depurazio-ne noto appunto con il nome diquesta località. Con l’incrementodemografico, per l’aumento deiconsumi idrici ed, anche, per ilprogressivo allacciamento alla fo-gnatura di Parigi di molti centri abi-tati del circondario diventava pra-ticamente impossibile accrescerein corrispondente misura la su-perficie dei terreni destinati all’ir-rigazione.A partire dal 1930 venne quindi af-frontato il problema della depura-zione artificiale dei liquami con unimponente programma di opereche previde l’adduzione in un uni-co impianto centralizzato ad Achè-res delle acque di scarico della cit-tà di Parigi, dell’ex dipartimentodella Senna (oggi smembrato), edi alcune regioni dell’ex diparti-mento della Senna e di Oise edanche della Senna e Marna. Se-condo il programma originario,successivamente abbandonato,l’impianto di depurazione avrebbedovuto essere costruito in dodicilotti successivi identici, ognuno deiquali dimensionato per una porta-ta di tempo asciutto di 200.000m3/giorno a cui avrebbe quindicorrisposto una portata finale glo-bale di 2.400.000 m3/giorno. Il pri-mo di tali lotti, Achères I, venneappunto costruito tra il 1937 ed il1940. In seguito la guerra mon-diale e il dopoguerra provocaro-no un arresto dei lavori e solo tra

il 1962 ed il 1965 venne costruitoil secondo lotto, Achères II, e, suc-cessivamente, gli altri fino ad arri-vare a trattare 2.700.000 m3/gior-no di liquami in tempo asciutto, inun unico complesso divenuto tra imaggiori del mondo.Lo stesso fu per Berlino e per tut-te le altre numerose città, preva-lentemente francesi e tedesche,che avevano adottato la soluzio-ne del trattamento naturale sul ter-reno.Milano resistette più a lungo: lemarcite di Chiaravalle erano co-sì comode ed economiche! E poierano benedette nel nome di SanBernardo di Chiaravalle. Dovet-te intervenire l’ingiunzione dellaUnione Europea con la minacciadi una penale miliardaria per con-vincere a cambiare idea (Fig. 5).

BIBLIOGRAFIA[1] Skira Guide: L’abbazia di

Chiaravalle (testi di Maria Te-resa Donati e Thea Tibiletti);Skira editore; Milano, aprile2005.

[2] Giunti Tommaso – frate – (acura di): L’abbazia di Chiara-valle Milanese; Arti GraficheC.G. S.r.l., Milano.

[3] Bagnoli Raffaele: L’Abbaziadi Chiaravalle nella storia diMilano, Maestri Arti Grafiche,Milano, ottobre 1957.

[4] Visconti Alessandro: Storiadi Milano, Casa Editrice Ce-schina – Milano, II Edizione1945.

[5] Festa Lodovico, Tognoli Car-lo: Milano e il suo destino –Dalla città romana all’Expo2015; Boroli Editore, 2010.

[6] Verri Pietro: Storia di Milano,in due volumi, il primo dei qua-li fu stampato nel 1738 e il se-condo, postumo, nel 1796.

[7] Gentile Antonio, BrownMaurizio, Spadoni Giam-piero: Viaggio nel sottosuolodi Milano tra acque e canali

segreti; Edizione Comune diMilano, marzo 2003.

[8] Borasio Mariella: Le valli deimonaci e Bernard de Clair-vaux; in AA.VV. Studi per laprogettazione di nuove unitàecosistemiche polivalenti nelbasso milanese: Chiaravalle;Regione Lombardia, 1999.

[9] da la Riva Bonvesin: Demagnalibus Mediolani – Lemeraviglie di Milano; (Com-posto tra il mese di marzo ela fine del 1288), dal testo la-tino del codice madrileno sco-perto nel 1824 e pubblicatonel 1898; 1a edizione Bom-piani 1974. Traduzione diGiuseppe Pontiggia.

[10] da la Riva Bonvesin: Demagnalibus Mediolani – Me-raviglie di Milano, Testo criti-co, traduzioni e note a cura diPaolo Chiesa; Libri Scheiwil-ler, Milano, 1997.

[11] Malara Empio: Il porto di Mi-lano tra immaginazione e re-altà; in: Leonardo e le vied’acqua; Giunti Barbera Edi-tore, 1983.

[12] Spataro Donato: IngegneriaSanitaria – Provvista dell’ac-qua e risanamento dell’abita-to; 30 giugno 1909; Casa edi-trice Dott. Francesco Vallar-di, Milano, pag. 408.

[13] Laccetti Filippo: Fognaturabiologica – Depurazione bio-logica delle acque di rifiuto;(Manuale Hoepli); Ulrico Hoe-pli Editore – Libraio della Re-al Casa, Milano 1915.

[14] Gaito G., Nespoli F., ScottiC.: Le acque superficiali a Mi-lano – Contributo allo studiodelle condizioni igieniche del-le acque scorrenti in superfi-cie; Quaderni della Città di Mi-lano, n. 9; Industrie GraficheItaliane Stucchi, Milano, 1960.

[15] Columbo Antonio: La fo-gnatura di Milano; Quadernidella Città di Milano; IndustrieGrafiche Italiane Stucchi, Mi-lano, 1960. IA

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