i prescelti in attesa dellapocalisse

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I prescelti in attesa dell’apocalisse - Guido Caldiron, 20.11.2015 Intervista. Parla lo studioso delle religioni Frédéric Lenoir, autore del volume «L’anima del mondo» pubblicato da Bompiani. La scelta jihadista di molti giovani ricorda l’adesione alle sette religiose in società secolarizzate. Portare la morte è ritenuta una tappa in un processo di «purificazione» dai simboli dell’Occidente Tra i più noti filosofi francesi, ricercatore presso l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi e a lungo direttore di Le Monde des religions, una delle riviste europee che meglio hanno cercato di affrontare negli ultimi anni sia gli aspetti sociali che quelli spirituali della fede, Frédéric Lenoir è l’autore de L’anima del mondo, Bompiani, (pp. 238, Euro 14) un testo che arriva oggi in libreria e che racconta di come sette persone, appartenenti a sette «mondi religiosi» diversi possano incontrarsi di fronte al caos e alla guerra che regnano sul pianeta per cercare quella che i filosofi dell’antichità chiamavano l’«anima del mondo»: la forza per cercare insieme pace e armonia. All’indomani della strage di venerdi scorso, Alain Touraine ha spiegato come l’atteggiamento degli jihadisti sia profondamente religioso, ma in senso fanatico, apocalittico. Qualcosa che nelle società secolarizzate si fatica perfino a comprendere. È così? Daech come già Al Qaeda rappresentano gruppi musulmani estremisti che pensano di poter provocare con le loro azioni il caos e, per questa via, la fine del mondo. I loro sforzi sono tutti concentrati su questo: sul tentativo di avvicinare nel tempo l’avvento dell’Apocalisse. Non si tratta di un fenomeno che riguarda solo gli ambienti islamici, basti pensare al peso che hanno avuto i fondamentalisti evangelici statunitensi nel sostenere o favorire le guerre condotte dall’amministrazione Bush o simili tendenze emerse in seno alla destra israeliana. Il problema è che presso gli integralisti musulmani queste spinte contribuiscono ad alimentare forme di terrorismo sempre più feroce, come si è visto a Parigi, nella prospettiva di suscitare una guerra globale tra tutte le nazioni del mondo che porti alla fine dei tempi. I giovani jihadisti cresciuti in Europa sembrano cercare una sorta di «purificazione»

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I prescelti in attesa dell’apocalisse- Guido Caldiron, 20.11.2015

Intervista. Parla lo studioso delle religioni Frédéric Lenoir, autore del volume «L’anima del mondo»pubblicato da Bompiani. La scelta jihadista di molti giovani ricorda l’adesione alle sette religiose insocietà secolarizzate. Portare la morte è ritenuta una tappa in un processo di «purificazione» daisimboli dell’Occidente

Tra i più noti filosofi francesi, ricercatore presso l’École des hautes études en sciences sociales diParigi e a lungo direttore di Le Monde des religions, una delle riviste europee che meglio hannocercato di affrontare negli ultimi anni sia gli aspetti sociali che quelli spirituali della fede, FrédéricLenoir è l’autore de L’anima del mondo, Bompiani, (pp. 238, Euro 14) un testo che arriva oggi inlibreria e che racconta di come sette persone, appartenenti a sette «mondi religiosi» diversi possanoincontrarsi di fronte al caos e alla guerra che regnano sul pianeta per cercare quella che i filosofidell’antichità chiamavano l’«anima del mondo»: la forza per cercare insieme pace e armonia.

All’indomani della strage di venerdi scorso, Alain Touraine ha spiegato comel’atteggiamento degli jihadisti sia profondamente religioso, ma in senso fanatico,apocalittico. Qualcosa che nelle società secolarizzate si fatica perfino a comprendere.È così?

Daech come già Al Qaeda rappresentano gruppi musulmani estremisti che pensano di poterprovocare con le loro azioni il caos e, per questa via, la fine del mondo. I loro sforzi sono tutticoncentrati su questo: sul tentativo di avvicinare nel tempo l’avvento dell’Apocalisse. Non si tratta diun fenomeno che riguarda solo gli ambienti islamici, basti pensare al peso che hanno avutoi fondamentalisti evangelici statunitensi nel sostenere o favorire le guerre condottedall’amministrazione Bush o simili tendenze emerse in seno alla destra israeliana. Il problema è chepresso gli integralisti musulmani queste spinte contribuiscono ad alimentare forme di terrorismosempre più feroce, come si è visto a Parigi, nella prospettiva di suscitare una guerra globale tra tuttele nazioni del mondo che porti alla fine dei tempi.

I giovani jihadisti cresciuti in Europa sembrano cercare una sorta di «purificazione»

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rispondendo all’evocazione da parte dei propagandisti dell’Isis di nozioni come quella delritorno alle radici della fede o dell’abbandono della vita mondana. Di cosa si tratta?

Oltre che a decriptrare l’interpretazione fanatica della fede che viene utilizzata alla stregua diun’ideologia in questi gruppi, credo che per capire le dinamiche seguite da chi vi si avvicina ci sidebba volgere al funzionamento delle sette. Parallelamente al processo di progressivasecolarizzazione delle nostre società, penso perlomeno all’altimo mezzo secolo, abbiamo vistoemergere il fenomeno delle sette e delle figure che sentono il bisogno di seguire quello checonsiderano come un percorso di «purificazione», in nome del quale arrivano molto presto ad unaradicalizzazione delle proprie idee come del proprio stile di vita. Persone simili le troviamo anchepresso le frange integraliste di tutti i gruppi religiosi, basti pensare ai tradizionalisti cattolici, ma,ripeto, il percorso seguito dagli apprendisti jihadisti si avvicina soprattutto a quello degliappartenenti al mondo delle sette: pensano che possono purificarsi o avvicinarsi a Dio allontanandosidal resto della società e isolandosi anche rispetto ai loro affetti e alle loro famiglie. Per taluni, tuttociò assume la forma di un rigetto della società materialistica in cui vivono, a cui oppongono unmondo segnato dal sacrificio e dal fanatismo, fino all’estremo di preferire la morte alla vita.

In questi anni lei ha analizzato a più riprese il rapporto tra psicologia e religione. A qualibisogni interiori ritiene risponda questo tipo di percorso?

In passato ho studiato a lungo le traiettorie seguite dagli adepti di alcune sette radicali e mi sonoreso conto che l’elemento comune a tutti costoro era rappresentato dal fatto di soffrire di veree proprie ossessioni, di essere molto inquieti e angosciati quanto alla percezione di sé. Questepersone sentivano fortemente il bisogno di una sorta di «sovrastruttura» che contribuisse a definirnel’orizzonte esistenziale, avevano bisogno che gli si dicese che appartenevano ai «buoni», ai «sani»e che era il resto mondo ad essere nell’errore. Mi sembra che il profilo di molti giovani jihadisti cidica qualcosa di simile, nel senso che si tratta di persone che hanno avuto spesso percorsi familiario educativi difficili e che vivono una condizione di emarginazione. A costoro, i gruppi fondamentalistispiegano che in realtà sono invece proprio loro «i migliori», «i prescelti», quelli che sono statiselezionati per una missione fondamentale per le sorti della fede. E questo tocca il narcisismo ditaluni individui, fortifica il loro ego, sembra indicargli che così possono dare finalmente un senso alleloro vite, dopo anni in cui si sono percepiti come dei paria che vivevano ai margini della societào negli ambienti criminali. Dei giovani senza storia finiscono così per sentirsi proiettati nel ruolo dieroi della fede. Questa dimensione psicologica è determinante nella campagna di reclutamento deiterroristi.

Anche se l’Islam in quanto tale non può essere assolutamente confuso con questi gruppi,è chiaro che quello che lei ha definito come «la paura della modernità dei capi religiosimusulmani» e la diffusione nel mondo di un’interpretazione letterale del testo del Coranonon facilitano certo le cose…

Questo è il problema più grave con cui dobbiamo misurarci. Perché possiamo lavorare finchévogliamo per evitare la radicalizzazione dei giovani musulmani nelle periferie urbane, come nelleprigioni, ma se non si affronta alla radice il modo in cui una parte considerevole della culturaislamica si rapporta con la modernità, certe spinte rischiano di poter trovare anche in futuro unqualche alibi. Mi spiego, ancora oggi la grande maggioranza degli imam e dei chierici musulmani,sia sciiti che sunniti, non si discostano troppo da una lettura letterale del Corano, quando pressoaltri monoteismi, penso in particolare al cristianesimo, siamo ormai abituati da più di un secolo adun vivace dibattito teologico, alla critica esegetica dei testi, delle fonti, delle interpretazioniprecedenti. Ciò non significa che in questi ambienti si legittimi il terrorismo, al contrario, ma questoritardo nel lavoro di elaborazione critica della fede, di riflessione e di esame dei testi sacri e, inultima analisi, questo timore nel confrontarsi con la modernità, non aiuta ad isolare coloro che

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cercano di indottrinare all’odio e al terrore i giovani in nome di una presunta purezza religiosa.

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