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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 4/2004 EDITORIALE 3 Duecento anni di storia: qualche passo indietro, ma solo per andare avanti Gustavo Raffi 9 Tempo, mito, storia e fine della storia nell’escatologia zoroastriana Antonio Panaino 31 Che cos’è l’iniziazione Bent Parodi MEDICINA DEL CORPO MEDICINA DELLO SPIRITO 43 Salute del corpo e salute dell’anima nella Medicina di Età classica Gabriella Poma 61 L’Omeopatia secondo Empedocle Michele Bellin 67 Stregoni, guaritori e ciarlatani Filiberto Ponzetti 71 Diritto di morire? Michele C. del Re 83 Considerazioni sulla medicina ufficiale o alternativa e sugli organismi biologici e geneticamente modificati Pietro F. Bayeli SEGNALAZIONI EDITORIALI 91 RECENSIONI 105

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HIRAM

Rivista del Grande Oriente d’Italia

n. 4/2004

• EDITORIALE

3 Duecento anni di storia: qualche passo indietro, ma solo per andare avantiGustavo Raffi

9 Tempo, mito, storia e fine della storia nell’escatologia zoroastrianaAntonio Panaino

31 Che cos’è l’iniziazioneBent Parodi

• MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

43 Salute del corpo e salute dell’anima nella Medicina di Età classicaGabriella Poma

61 L’Omeopatia secondo EmpedocleMichele Bellin

67 Stregoni, guaritori e ciarlatani Filiberto Ponzetti

71 Diritto di morire?Michele C. del Re

83 Considerazioni sulla medicina ufficiale o alternativa e sugli organismibiologici e geneticamente modificati

Pietro F. Bayeli

• SEGNALAZIONI EDITORIALI 91

• RECENSIONI 105

HIRAM, 4/2004Direttore: Gustavo RaffiDirettore Scientifico: Antonio PanainoCondirettori: Antonio Panaino, Vinicio SerinoVicedirettore: Francesco LicchielloDirettore Responsabile: Giovanni LaniComitato Dire t t i v o:Gustavo Raffi, Antonio Panaino, Morris Ghezzi, Giuseppe Schiavone, Vinicio Serino, Claudio Bon-vecchio, Gianfranco De Santis

Comitato Scientifico:Presidente: Orazio Catarsini (Univ. di Messina)Giuseppe Abramo (Saggista) - Corrado Balacco Gabrieli (Univ. di Roma “La Sapienza”) - Pietro Battaglini (Univ. di Napoli) - Euge-nio Boccardo (Univ. Pop. di Torino) - Eugenio Bonvicini (Saggista) - Enrico Bruschini (Accademia Romana) - Giuseppe Cacopardi(Saggista) - Silvio Calzolari (Orientalista) - Giovanni Carli Ballola (Univ. di Lecce) - Paolo Chiozzi (Univ. di Firenze) - Augusto Com-ba (Saggista) - Franco Cuomo (Giornalista) - Massimo Curini (Univ. di Perugia) - Eugenio D’Amico (LUISS di Roma) - DomenicoDevoti (Univ. di Torino) - Ernesto D’Ippolito (Giurista) - Santi Fedele (Univ. di Messina) - Bernardino Fioravanti (Bibliotecario delG.O.I.) - Paolo Gastaldi (Univ. di Pavia) - Santo Giammanco (Univ. di Palermo) - Vittorio Gnocchini (Archi- vio del G.O.I.) - GiovanniGreco (Univ. di Bologna) - Giovanni Guanti (Conservatorio Musicale di Alessandria) - Panaiotis Kantzas (Psicoanalista) - GiuseppeLombardo (Univ. di Messina) - Paolo Lucarelli (Saggista) - Pietro Mander (Univ. di Napoli L’Orientale) - Alessandro Meluzzi (Univ.di Siena) - Claudio Modiano (Univ. di Firenze) - Giovanni Morandi (Giornalista) - Massimo Morigi (Univ. di Bologna) - GianfrancoMorrone (Univ. di Bologna) - Moreno Neri (Saggista) - Maurizio Nicosia (Accademia di Belle Arti, Urbino) - Marco Novarino (Univ.di Torino) - Mario Olivieri (Univ. per stranieri di Perugia) - Massimo Papi (Univ. di Firenze) - Carlo Paredi (Saggista) - Bent Parodi(Giornalista) - Claudio Pietroletti (Medico dello sport) - Italo Piva (Univ. di Siena) - Gianni Puglisi (IULM) - Mauro Reginato (Univ.di Torino) - Giancarlo Rinaldi (Univ. di Napoli L’Orientale) - Carmelo Romeo (Univ. di Messina) - Claudio Saporetti (Univ. di Pisa) -Alfredo Scanzani (Giornalista) - Michele Schiavone (Univ. di Genova) - Giancarlo Seri (Saggista) - Nicola Sgrò (Musicologo) -Giuseppe Spinetti (Psichiatra) - Gianni Tibaldi (Univ. di Padova f.r.) - Vittorio Vanni (Saggista)

Collaboratori esterni:Giuseppe Cognetti (Univ. di Siena) - Domenico A. Conci (Univ. di Siena) - Fulvio Conti (Univ. di Firenze) - Carlo Cresti (Univ. diFirenze) - Michele C. Del Re (Univ. di Camerino) - Rosario Esposito (Saggista) - Giorgio Galli (Univ. di Milano) - Umberto Gori( U n i v. di Firenze) - Giorgio Israel (Giorna- lista) - Ida Li Vigni (Saggista) - Michele Marsonet (Univ. di Genova) - Aldo A. Mola (Univ.di Milano) - Sergio Moravia (Univ. di Firenze) - Paolo A. Rossi (Univ. di Genova) - Marina Maymone Siniscalchi (Univ. di Roma“La Sapienza”) - Enrica Tedeschi (Univ. di Roma “La Sapienza”)

Corrispondenti esteri:John Hamil (Inghilterra) - August C.’T. Hart (Olanda) - Claudiu Ionescu (Romania) - Marco Pasqualetti (Repubblica Ceca) - Rudolph Pohl(Austria) - Orazio Shaub (Svizzera) - Wilem Van Der Heen (Olanda) - Tamas’s Vida (Ungheria) - Friedrich von Botticher (Germania)

Comitato di Redazione: Guglielmo Adilardi, Cristiano Bartolena, Giovanni Bartolini, Giovanni Cecconi, Guido D’Andrea, OttavioGallego, Gonario GuaitiniComitato dei Garanti: Giuseppe Capruzzi, Massimo Della Campa, Angelo Scrimieri, Pier Luigi Te n t i

Art director e impaginazione: Sara CircassiaStampa: E-Print s.r.l. - Via Empolitana, Km. 6.400 - Castel Madama (Roma)Direzione - Redazione: HIRAM - Grande Oriente d’Italia - Via San Pancrazio, 8 - 00152 Roma - Tel. 06-5899344 fax 06-5818096Direzione editoriale: HIRAM - Via San Gaetanino, 18 - 48100 RavennaRegistrazione Tribunale di Roma n. 283 del 27/6/94E d i t o r e: Soc. Erasmo s.r.l. - Amministratore Unico Mauro Lastraioli - Via San Pancrazio, 8 - 00152 Roma - C.P. 5096 - 00153 RomaOstienseP.Iva 01022371007 - C.C.I.A.A. 264667/17.09.62Servizio abbonamenti: Spedizione in Abbonamento Postale 50% - Tasse riscosse

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HIRAM viene diffusa in Internet sul sito del G.O.I.: www.grandeoriente.itE-mail della redazione: [email protected]

EDITORIALE

Duecento anni di storiaqualche passo indietro, ma solo per andare avanti

di Gustavo Raffi

Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia

Few months before the beginning of the official celebrations for the bicentenary ofthe foundation of the Grand Orient of Italy (Milan, March 5th 1805), the most Ve-nerable Grand Master of the G.O.I. (Palazzo Giustiniani), Gustavo Raffi desires torecall all the Brethren that this important moment of right happiness cannot beinterpreted as a simple occasion of remembrance. The Craft has, in fact, the duty toremember its past not in order to cry on its beautiful past, but in order to be proudof the role played by the Freemasonry in the Italian and European societies, assu-ming its duties and behaving as a living body, full of new ideas and projects. Thetantalizing reality of this time, in a period of complex mundialization, with a seri -ous number of social struggles in the World, compels the Craft to have care of thenew kinds of sufference and misery, which cannot be considered out of our consi-deration. The very history of our Craft and its background represent a kind of me-mory we must follow according to the needs of present times, always following theLandmarks, as Freemasons able to be protagonist of the society as well as ourfathers.

l momento della pubblicazionedi questo articolo mancherannosolo pochi mesi da quel 5 di

marzo che ci porterà a celebrare uff i c i a l-mente il bicentenario della nostra Obbe-dienza. Che non si tratti di una semplicericorrenza è da molto tempo evidente a tut-ti; siamo, infatti, usciti dalle muffe dellabolsa laudatio dei tempi passati, dove sem-brava tanto bello (anche se talora patetico)

crogiolarsi tra i cimeli del passato, tra iquadri di grandi protagonisti della storia diieri ma senza aver nulla da dire al presenteed al futuro incombente. Come qualcheFratello un giorno mi ha detto, noi non dob-biamo avere né nostalgia né malinconia peril nostro glorioso passato, solo una fortecoscienza ed un sincero orgoglio per quan-to di fondamentale e di costruttivo è statofatto; se cadessimo, invece, nella nostalgica

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rimembranza del “come eravamo”, sarem-mo come vecchi sconfitti, fuori da un tem-po che non ci appartiene più, privi di idee,fuori posto per le sfide che ci si presentano,solo orientati verso quel che non potrà piùritornare in attesa dell’estinzione. Il passatoche, invece, si erg ealle nostre spalle èsì tale da farci sen-tire come nani sullespalle di giganti, masolo al fine di poteresserne fieri ed alcontempo capaci diinterpretare i nostritempi e le loro esi-genze. Il riscatto,non solo di imma-gine, che abbiamoportato alla nostraComunione, ma alcontempo anche a tutta la Massoneria ita-liana, è un fatto, peraltro, sancito attraversoatti legali, che abbiamo fortemente voluto eche sono andati positivamente in giudicatoin Europa ed in Italia. Non è un caso chemolte Obbedienze europee in diff i c o l t à ,anche e soprattutto tra quelle che non ciriconoscono ancora, siano oggi costrette aprendere ad esempio proprio il modello delGrande Oriente d’Italia. Ad esse, lo si sap-pia con chiarezza, non mancherà mai, serichiesta, la nostra assistenza fraterna, per-ché, dove la Massoneria è ingiustamente ind i fficoltà, il nostro soccorso non verrà maimeno. Il nostro passato ci ha insegnatoanche questo; che la fraternità vera simisura sugli atti e non sulle parole dellequali ci si può facilmente dimenticare.

Duecento anni fanno di noi una Obbe-dienza storicamente imprescindibile nellastoria d’Italia e d’Europa, tanto profanaquanto massonica; per questa ragione noinon mendichiamo riconoscimenti di sortané saremo mai disponibili a forme di qual-

sivoglia prostrazio-ne nei confronti dialtre potenze mas-soniche certamenteanche più antichedella nostra, ma nonper questo capaci diordinarci cosa fareo meno, quasi fossi-mo nati dal nulla ebuoni solo a riceve-re qualche onorefi-cenza di second’or-dine; noi abbiamo

una storia ed una tra-dizione, frutto di sofferenze, di lotte, di di-scriminazioni ed in qualche caso, anche diinsulti e di ingiustizie significative che han-no sensibilmente pesato sino a qualche annoor sono; noi siamo pronti a guardare avanti,se necessario, perdonando gli errori chemolto ci hanno nociuto, anche se allo statopresente non è più così, soprattutto per losforzo di tutti noi.

Chi può dimenticare, quando ci diconoche la nostra Obbedienza è così etica dasconfinare nella “politica”, che Mazzini,Garibaldi, Cavour, e migliaia di altri citta-dini e patrioti italiani legati in forme e modidiversi alla Massoneria italiana hanno sacri-ficato la loro esistenza per creare uno statounitario che fosse all’altezza degli altri eche realizzasse ideali di tolleranza e di

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eguaglianza, tutti valori che, forse, in altriPaesi erano da tempo acquisiti? Celebrarepuò anche essere un’ottima forma perimbalsamare e liquidare ilpassato, ma non così pernoi. Quando ancora ci dico-no che siamo stati polemicicon la Chiesa Cattolica,dovremmo forse dimentica-re che nel nostro Paese, sinoal XX Settembre 1870 (maanche oltre), i contrasti conla Massoneria erano dinatura sostanzialmente poli-tica, ossia legati al fatto chela nostra sociabilità mettevain discussione, come ele-mento di modernità e didemocrazia, i regimi arcai-ci, la loro illiberalità e intol-leranza, mentre al contempoessa favoriva, palesemente anzitempo, ildialogo interreligioso e quello tra i censiattraverso un messaggio di fratellanza uni-versale, mai ateo o irreligioso? Dovremmoforse celebrare il passato irrigiditi dietro inostri grembiuli e tutti gli altri paramenti, inmodo da sfoggiare lustrini e pennacchi, gin-gillandoci come in uno yacht club p s e u d o -esoterico? Noi non lo crediamo affatto!

Questo bicentenario sarà piuttosto unostrumento per insistere sul presente e sulfuturo attraverso la rivisitazione critica eaperta del passato, affinché le scelte intra-prese attraverso il lavoro straordinario com-piuto da tutta l’Obbedienza possano splen-dere di luce propria e non semplicementeper glorie antiche, la cui grandezza dobbia-mo però custodire e saper valorizzare. Cosa

avrebbero voluto i nostri grandi? Delleriservatissime cerimonie di rimembranzaoppure una presenza serena, illuminata, tra-

sparente, aperta e vita-le? Siamo convintiche la risposta la sap-piate già e la condi-vidiate pienamente.

Non è, infatti, uncaso che una inap-propriata autocele-brazione, in qualchecaso un po’ masochi-stica dell’antico,abbia fatto sì che,anche in Italia, i teso-ri di valori etico-morali da noi custo-diti siano per annirimasti di fatto celatialla società civile,

quasi che ci si vantasse di un vano (e finto)potere, che mai abbiamo realmente avuto,ma che faceva vaneggiare coloro che, toltoil grembiule, nulla hanno veramente conta-to, ben poco contano e nulla conterebbero.Abbiamo voltato pagina e questa occasioneci offre l’opportunità di chiamare a raccoltala forza dell’Ordine, la sua capacità di esse-re corpo vitale, pieno di discorsi e di fer-menti, luogo di educazione e formazionedelle giovani generazioni che sempre piùdesiderano affrontare un percorso di matu-razione non attraverso sequele di dogmi e dicertezze, ma che, nel dubbio, siano disponi-bili a cercare (e, speriamo, a trovare) la lorostrada grazie anche al confronto ed all’in-contro con alterità prima ignote. Tra i pregidella Libera Muratoria vi è proprio quello di

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non fare a nessuno il lavaggio del cervello;di aprire i Templi affinché chi partecipi airiti ed alle tavole non creda né obbedisca aquanto possa venire lì presentato, ma possafarsi una sua idea in libertà, portando i pro-pri dubbi, le proprie incertezze, ma anche lapropria voglia dimigliorare e di cre-scere. Questo mododi essere da duesecoli, ma – carissi-mi Fratelli – ancheda prima, già nelXVIII secolo, ha fat-to paura e dato fasti-dio a molti; in tantihanno pagato dura-mente per questo, apartire da semplici ei n n o c e n t ipoeti, comeTommaso Crudeli,per arrivare sino aimartiri caduti durante il Fascismo ed ilNazismo ed a coloro che in forme diverse sisono trovati n o n un comodo posto di lavoro(come tanti credono), ma, a seguito dellecampagne sulla P2 – quando tutto ciò cheera massonico divenne sinonimo di mafia edi criminalità – hanno perso il proprio e conesso dignità e rispetto. Da queste nebbie eda questi pantani siamo da tempo usciti sen-za dover ricorrere ad alcuna forma di respi-razione artificiale per stare in piedi; puòessere che per qualche momento abbiamoanche barcollato, ma oggi i piedi stanno bensaldi a terra e la testa guarda verso il cielo,con gli occhi rivolti verso il futuro.

A livello internazionale abbiamo potutocontare sulla fiducia e l’amicizia di tante

Obbedienze antiche e prestigiose tantoquanto o ben più della nostra, mentre qual-che altra Comunione riteneva opportunogirarci le spalle nella convinzione che quel-lo fosse il momento migliore per fomentarelotte intestine, mettendo in campo un h o b b y

h o r s e al posto di uncavallo vero, per ricono-scerlo come un veropuledro.

Duecento anni al ser-vizio di ideali costruttivi,che hanno determinato ilpassaggio verso unamodernità democraticaed egalitaria, verso unasocietà libera in cui reli-gione e potere secolarefossero ben separati edistinti; che la Massone-ria sia stata una presenzaimbarazzante è solo tito-

lo d’onore per noi, poiché il fastidio recatonasceva dai valori e non dagli interessi, daldesiderio di portare una voce costruttiva enon dal desiderio di costituire un potere“altro”. Se qualche errore è stato compiuto,come inevitabile in una storia secolare, noinon ci sottrarremo al giudizio della storia:non a caso le nostre celebrazioni mirerannoa discutere e sviscerare le dinamiche, imeriti, gli errori, le grandezze ed i limitidella nostra storia con il coinvolgimento distudiosi, massoni e non, come abbiamosempre fatto negli ultimi anni.

Resta però il giudizio inequivocabile sulfatto che quando abbiamo cercato di imita-re altri, di diventare più “liturgici”, gettan-do nel pattume la memoria e l’esempio del

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nostro passato – che non deve affatto essereripetuto stupidamente, ma tenuto ben pre-sente nella nostra memoria –, ci siamo tro-vati con personaggi che godevano di credi-to e di prestigio senzameritarlo affatto. Nes-sun pennacchio vale lavirtù, neppure la codadi qualche eleganteabito da sera.

Duecento anni sonoancora pochi per lacostruzione del Te m-pio e per la realizzazio-ne di tutti quei valoriche vediamo sempremeno riconosciutiattraverso gli alienantiprocessi di un certo tipodi globalizzazione; la Massoneria non devecriticare forse il mercato, l’insorgere di nuo-ve povertà e ingiustizie, l’emarginazione ela riduzione dei cittadini a consumatori?Qualcuno la può pensare così; ma alloraquali oscure prigioni al vizio ed alle tenebrenoi potremmo mai scavare attraverso inostri riti esoterici, quali ideali potremmoe ffettivamente costruire, se non ci interro-gassimo sul presente, se la nostra Comunio-ne non fosse fatta di uomini capaci di riflet-tere sui r e a l i a e di esprimere dubbi sullo s t a -tus quo, soprattutto di fronte ad un mondoprofano che non conosce fratellanza edignora i diritti umani in molte sue parti. Lavolta dei nostri templi è scoperta perché nonabbiamo il possesso della verità; d’altra par-te abbiamo alzato colonne e pavimenti sucui poggiamo ben salde le nostre gambe ecerchiamo di fare il nostro lavoro muratorio

come parte vivace e intelligente della socie-tà e non come corporazione elitista, dimen-tica del mondo.

Lo spazio della Massoneria è fatto inan-zitutto di libertà,di pensare di con-frontarsi, di unirediversità e non diomologazione odi conformismo;è uno spazio chepuò, però, chiu-dersi se il nostromessaggio non èchiaro; per questonei nostri ritualipretendiamo cheil neofita dichiari

di conoscere lastoria e le finalità della Libera Muratoria.Non vogliamo persone capitate lì per sba-glio o per ignoranza, ma soggetti coscientie responsabili, protagonisti di un percorso enon oggetti passivi di una nostra elucubra-zione. Non a caso essere e dichiararsi mas-soni è oggi un gesto che può risultare anco-ra estremamente provocatorio, soprattuttoin una società che sino a poco tempo orsono ci considerava come “cattivi soggetti”o, nei casi migliori, come anticaglie del pas-sato, che avevano concluso la loro funzionestorica. Queste celebrazioni, questo anni-versario così importante e per il quale chie-deremo a tutti i Fratelli contributi straordi-nari, dovranno sottolineare il fatto che ilnostro compito, il senso del nostro stareinsieme, non sono affatto esauriti e che lacapacità di offrire nelle nostre Logge unmomento di ricerca, di educazione civile

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etica e morale, costituisce una ricchezza cheaccresce i valori su cui il Paese marcia enon una palla al piede. Laconferma alla giustezzadi queste considerazioniarriva non solo dai rico-noscimenti pubblici, maanche dall’attenzione checi è prestata dalle altreMassonerie mondiali,talora in crisi, con un’etàmedia molto alta e senzaingressi di giovani; nuo-ve generazioni si aff a c-ciano, invece, ai nostritempli perché dal nostropassato, da una storiagloriosa traiamo gli spun-ti necessari per andareavanti con entusiasmo econ idee forti, che poisono, mutatis mutandis, quelle dei nostrifondatori. Ai nostri padri dobbiamo molto;ma l’Oriente eterno ove tutti dovremo anda-re prima o poi non è un cimitero con tantelapidi su cui piangere le disgrazie presenti,ma un luogo dello Spirito abitato da anime

forti, pieno di esempi, di testimoni, di mar-tiri che non hanno vacillato, ma che hanno

saputo testimoniare i valo-ri di una cultura che oggici permette di essere quelche siamo. Rendere omag-gio a queste anime fortivuol dire vivere il presen-te e affrontare il futuro,come contemporanei dellaposterità. Solo così avre-mo reso il dovuto omag-gio a chi ci ha preceduto.

Senza rimpianti, senzamalinconia, il futuro ciattende gravido di inco-gnite e di sfide, ma noisiamo Liberi Muratori ebravi costruttori; le grandiopere non ci spaventanoanche se ne conosciamo la

difficoltà; anzi, le cose semplici – diciamo-lo con franchezza – non ci piacciono trop-po, altrimenti non ci saremmo trovati dovesiamo, né ci saremmo messi in discussionecome abbiamo fatto.

Fratelli, allora, alla via così.

Tempo, mito, storia e fine della storia nell’escatologia zoroastriana

di Antonio Panaino

Direttore scientifico di Hiram

Università di Bologna

In this article the Author proposes an introduction to the main patterns of theZoroastrian religion, starting from the earliest Avestan sources to the theologicalapproach as attested in the Pahlavi texts. In the framework of a peculiar kind ofMonotheism, the ethical dualism of the Mazdeans strictly involved a special role ofthe concept and function of the historical time and of the Creation as a battle-fieldagainst Ahreman and the darkness.

a�letteratura�scientifica�storico-r�e�l�i�g�i�o�s�a1,� nonostante� le� nonpoche� controversie� relative

all’evoluzione�dell’impianto�teologico�del-la�dottrina�mazdaica�nel�suo�sviluppo�inin-terrotto�dalle�origini�sino�ai�giorni�d’oggi,concorda�quasi�unanimemente�nel�ritenerelo�Zoroastrismo�come�una�delle�poche�cul-ture�religiose�presso�le�quali�la�“creazione”non�risulta�essere�il�frutto�di�un�incidente�–fatta�eccezione�per�la�variante�zurvanita�sul-

la�quale� ritorneremo�–�e�soprattutto�dovel’azione� dell’umanità� trova� una� sua� fun-zione�–�potremmo�dire�usando�una�termi-nologia� hegeliana� –� “cosmico-storica”,legata�alla�lotta�del�principio�“buono”�con-tro�le�forze�della�menzogna�e�dell’oscurità.

Il�male,� infatti,� non� scaturisce�da�unacontraddizione�insita�nel�dio�creatore-orga-nizzatore�dell’universo�–�ed�uso�nella�defi-nizione�di�“creatore-organizzatore”�una�ter-minologia� deliberatamente� “sorvegliata”,

1 Non�sarà�possibile�in�questa�sede�esporre�in�modo�sistematico�tutto�il�necessario�apparato�biblio-grafico;�rimando�pertanto�per�un’introduzione�generale�alla�tradizione�mazdaica�ai�due�contributi�di�Gno-li,�1994:�455-498�e�499-565;�idem,�1991:�105-147;�si�veda�inoltre�la�mia�postfazione�(Panaino,�1990:�235-300)�al�volume�di�F.A.�Cannizzaro,�Vendidad (Messina�1916,�nella�ristampa�anastatica�di�Milano�1990),dal�titolo�La�Religione�zoroastriana.�Guida�critica�e�bibliografica.

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giacché�l’idea�di�una�“creazione”�ex�nihiloè�estranea�alle�più�antiche�tradi-zioni�del�mondo�indo-iranico2

–�ma,�secondo�l’impianto�for-mulato�nella�più�antica�lettera-tura� avestica,� ovvero� nelleG�@�a�ƒ�@�a (attribuite� allo� stessoZaraƒuπtra),� esso� è� frutto� diuna�libera�scelta3 da�parte�di�unente�spirituale,�Aºra�Mainyu,�ilcui� nome� è� approssimativa-mente� traducibile� come� “loSpirito�Antagonista”.�In�princi-pio� due� Mainyu,� uno� dettoS�p�™�n�≥�t�a4,� “benefico”,� l’altroA�º�r�a5,�“ostile,�cattivo”,�“scelgono”�(v�a�r-)rispettivamente,�l’uno�per�a�π�≥�a�-,�il�principiodella�“verità”�e�dell’“ordine�cosmico”,�l’al-tro�per�d�r�u�j�-,�ossia�“la�menzogna”,�“il�di-sordine”.�Come�garante�di�a�π�≥�a�- si�erge�Ahu-ra�Mazd@a,�il�“Saggio�Signore”,�o�forse,�inmodo�molto�più�puntuale,�il�“Signore�chedispiega�(la�creazione)�col”�o�“nel�pensie-ro”.�Se,�infatti,�la�concezione�dualistica�del-

l’antagonismo�primordiale�tra�i�due�princi-pî�impersonali�dell’ordine�e

del�disordine�già�appar-tiene�al�mondo�indo-ira-nico,�ove�ad�a�π�≥�a�- e�d�r�u�j�-d�e�l�l�’Av�e�s�t�a (o� anchea�r�t�a�- e� d�r�a�u�g�a�- d�e�l�l�eiscrizioni� antico-persia-ne)�corrisponde�quella�trar�≥�t�á�- e��d�r�u�h�- dei�Ve�d�a,�laloro� sublimazione� inentità�mentali/spirituali�esoprattutto� l’irresolutanecessità�di�una� separa-zione� tra� tali� polarità

costituisce� la� netta� peculiarità� della� fedemazdaica,�nella�quale�la�dimensione�dellalotta�contro�druj- diviene�essenziale.�AhuraMazd@a�dispiega�pertanto�una�creazione�con-forme�ad�aπ≥a-,�concetto�che�di�fatto�divieneuna� sua� manifestazione,� un� suo� aspetto,sempre�più�personificato�(Aπ≥a),�ovvero�unodei� cosiddetti�Am™π≥a�Sp™n≥ta,� i� “BeneficiImmortali”6.

2 Cfr.�Gnoli,�1962:�95-128,�in�particolare�pp.�117-118,�n.�99;�idem,�1963:�163-193;�Kellens,�1989:217-228.�Secondo�la�letteratura�pahlavi,�Ohrmazd�estrae�la�sua�creazione�come�“forma�infinita”,�a�s�a�r k�i�r -bag,�dalla�sua�propria�essenza,�che�è�“la�luce�senza�principio”,�asar�r@oπn^h,�così�come�dalla�sua�“ipseità”(x�w�a�d�̂�h),�che�si�manifesta�come�luce�allo�stato�“vitale”,�g�@�e�t�̂�g,�egli�dispiegò�la�forma�delle�sue�creature(kirb�^�d@am@an�^�xw@eπ).3 Sulla�questione�e�sulle�controversie�relative�al�concetto�di�“scelta”�nella�tradizione�zoroastrianasi�veda�ora�il�mio�articolo�del�2002:�145-171.�4 Cfr.�ancora�av.�sp™n-,�agg.,�“benefico”�e�scr.�¢uná-;�alla�stessa�radice�appartengono�il�compara-tivo�s�p�@�a�n�i�i�a�h�- e�il�superlativo�s�p�@�™�n�i�π�t�a�-.��Cfr.�Mayrhofer,�1976:�355-356.�Si�veda�anche�Benveniste,�1976:420-423,�440-441.5 In�antico�avestico��an≥gra-,�agg.,�giacché�aºra- è�la�forma�attestata�solo�nell’Avesta recente�(cfr.scr.�asra-),�“cattivo”.6 Per�un�primo�approccio�a�tale�categoria�di�entità�avestiche�si�rimanda�a�Narten�1982.

7 Il�“pensare”�è�indicato�in�avestico�e�sanscrito�attraverso�la�radice�verbale�m�a�n�- (<�indoeuropeom�e�n;�cfr.�scr.�m�á�n�-�y�a�-�t�e “egli�pensa”);�in�avestico,�troviamo�espresso�il�concetto�di�“pensiero”�(su�cui�peròsi�veda�oltre)�come�m�a�n�a�h�-,�neutro�(derivato�di�m�a�n�- +�suffisso�-�a�h�-;�cfr.�ancora�scr.�m�á�n�a�s�-),�categoriache�viene�addirittura�ipostatizzata�nell’Avesta in�una�figura�divina,�Vohu�Manah�“Il�Buon�Pensiero”,�cherappresenta�uno�degli�Am™π≥a�Sp™n≥ta,�ovvero�uno�degli�aspetti�di�Ahura�Mazd@a.�A�sua�volta,�il�nome�ditale�figura�divina�(m�a�z�d�@�a�-,�m.)�contiene�un�derivato�della�stessa�radice�m�a�n�-,�poiché�m�a�z�d�@�a�- si�spiegacome�un�composto�da�*mn≥s-dh@e-,�“che�crea�con�(o�nella)�mente”�(in�cui�maz° come�m@™n≥g è�una�variantecombinatoria�preverbale�di�manah-).8 Gershevitch,�1964:�12-38,�in�particolare�pp.�12-61,�32-33;�Lommel,�1930:�155�ss.;�Gnoli,�1994:481-482.9 Ovverosia�“gli�adoratori�dei�da@eva”�rispetto�ai�fedeli�del�culto�di�Ahura�[email protected] Vedi�una�sintesi�della�questione�in�Panaino,�1992:�199-209;�idem,�2002��p�a�s�s�i�m;�cfr.�inoltreKellens,�1994�passim,�ove�sono�presentate�alcune�nuove�ipotesi�sull’argomento.11 Humbach,�1959:�66-74;�vedi�anche�idem,�1998:�27-41.12 Kellens�-�Pirart,�1988:�3-39;�Kellens,�1991:�41-55.

• 11 •Tempo, mito, storia e fine della storia nell’escatologia zoroastriana, A. Panaino

L’impianto� teologico� dell’Av�e�s�t�a esoprattutto�delle�G�@�a�ƒ�@�a,�si�presenta�pertantocome� una� sorta� di� monotei-smo,�in�quanto�l’unica�veradivinità� suprema,� degna� disacrificio�e�di�venerazione,�èAhura�Mazd@a7;�un�monotei-smo�contrassegnato�però�daun�forte�dualismo�etico�nonsolo�nella�polarità�tra�a�π�≥�a�- ed�r�u�j�-,� ma� soprattutto� nellacontrapposizione� prodottadalla�“scelta”�operata�dai�due“Spiriti”�primordiali,�Sp™n≥taMainyu� e� Aºra� Mainyu.Tale� atto� diviene� quindi� ilpresupposto,�il�“senso”,�della�missione�ditutte�le�creature�chiamate�a�ripeterlo,�e�fon-da�la�dinamica�dello�scontro�nella�creaziones�t�e�s�s�a8.�Mi�sembra�peraltro�innegabile,� insiffatto�contesto,�la�presenza�anche�di�unadimensione�profondamente�arcaica�e�sacri-

ficale,�la�quale�risulta�ben�visibile�nel�lin-guaggio�avestico�e�soprattutto�nella�valenza

rituale�rappresentata�dalla�neces-sità� di� fondare� un� sacrificiogiusto�e�corretto,�contrappostoinvece�ai�riti�di�altre�comunità(quali�quelle�dei�d�a�@�e�v�a�y�a�s�n�a�-contrapposti�ai�m�a�z�d�a�y�a�s�n�a�-)9,le�cui�divinità�sembrano�esserestate� ridotte,� nel� pensiero� diZaraƒuπtra,�allo�s�t�a�t�u�s di�“falsidéi”�(d�a�@�e�v�a�-,�ma�cfr.�il�vedicod�e�v�a�-,� che� indica� la�categoriadivina�per�eccellenza)�e�quindidi� esseri� demoniaci1�0.� Tale

aspetto�è�stato�fortemente�riven-dicato�dalla�scuola�di�Erlangen,�soprattuttoda� H.� Humbach1�1,� e� ripreso� con� estremovigore�da�J.�Kellens1�2.�Il�limite�di�tale�impo-stazione,�per�molti�versi�non�solo�significa-tiva� ma� effettivamente� meritoria� in� talecampo�di�studi,�resta�però,�a�mio�avviso,�in

13 Si�rimanda�alla�discussione�offerta�da�Gnoli,�1986-87:�206-209;�Piras,�1998:�163-185;�vedianche�Kuiper,�1964:�96-129.14 Kellens,�1974:�187-209;�Hintze,�1995:�77-97.15 Mi�sembra�peraltro�opportuno�notare�l’esistenza�nella�letteratura�pahlavi�di�una�“metafisica”�delsacrificio,�il�quale�viene�fondato�da�Ohrmazd�in�forma�m@en@og (vedi�Bd.Ir.,�III,�21):�ohrmazd�ab@ag�amah -raspand@an�pad�rapihwin�g@ah�m@en@og�^�yaziπn�fr@az�s@axt “Ohrmazd�con�gli�Amahraspand�al�tempo�di�Rapih-win�(‘il�pomeriggio’)�predispose�l’idea�del�sacrificio”.16 L’esaltazione�del�valore�eminentemente�rituale�della�letteratura�antico�avestica,�a�detrimento�del-la�componente�speculativa,�ridotta�a�fatto�secondario�o�posteriore,�costituisce�in�verità�un�falso�problema,giacché�nella�mente�del�o�dei�compositori�delle�G�@�a�ƒ�@�a e�dello�Yasna�Haptaºh@aiti,�l’elaborazione�di�un�siste-ma�religioso�non�fu�certamente�slegata�dalla�sfera�del�rito�e�del�sacrificio.�Sarebbe�infatti�come�supporrel’esistenza�di�“pensatori�laici”�contrapposti�ad�un�clero�puramente�“operativo”.�La�tradizione�antico�ave-stica�ci�mostra�invece�un�sistema�religioso,�che,�per�quanto�ci�appaia�sotto�molti�aspetti�problematico,�fusicuramente�innovativo;�l’elaborazione�spirituale�si�è�tradotta�pertanto�in�un�testo�(in�origine�orale)�ambi-valente,�sia�speculativo�sia�operativo.�Peraltro,�dobbiamo�considerare�che�la�stessa�innologia�vedica,�perquanto�rituale�essa�sia�stata,�ha�trasmesso�categorie�di�pensiero�che�rappresentano�una�concezione�del�divi-no�e�della�mediazione�necessaria�agli�uomini�per�avvicinarsi�ad�esso;�il�rituale�è�quindi�il�mezzo�essenzia-le�per�questo�approccio,�ma�all’origine�resta�l’elaborazione�intellettuale�e�poetica�di�coloro�che�hanno�fon-dato�il�rito�e�allo�stesso�tempo�il�suo�valore�simbolico�e�concettuale,�producendo�un�“tutto”�indivisibile.

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una�certa�sottovalutazione�della�dimensione“intellettuale”,�“mistica”�ed�“esta-tica”13,�che�una�rifondazione/sov-versione� di� un� rito� sacrificalequale�quello�avestico�ha�necessa-riamente�implicato�rispetto�al�piùantico� modello� indo-iranico� evedico.�Se�il�sacrificio�garantisce,in�un�certo�qual�modo,�la�regola-rità�della�vita,�anzi�serve�ad�assi-curare�la�prosperità�presente�ed�aprefigurare�quella�futura�(ovverol’eternità),�secondo�l’idea�rappre-sentata� dalla� concezione� zoroa-striana� del� s�a�o�π�y�a�n�≥�t�-,� “colui� chefarà�prosperare”14,�ma�che�poi�diverrà�addi-rittura�“il�salvatore”,�esso�rappresenta,�fon-da�e�trasmette�un�pensiero,�una�visione�del-la�realtà1�5.�Ovvero�non�si�dà,�a�mio�avviso,

riforma�del�rituale,�senza�una�profonda�ridi-scussione�delle�fondamentateologiche�stesse�del�“mon-do�spirituale”�di�una�civil-t�à1�6,� e� quindi�continuerò�aconsiderare� la� letteraturag@aƒica�come�uno�dei�massi-mi�momenti�di�espressione“teologico-filosofica”� delmondo�indo-iranico,�fermorestando� il� fatto� che� lemodalità�di�espressione�ditale�cultura�non�sono�(e�nondevono� essere)� ridotte� a

quelle�del�pensiero�occiden-tale� né� di� una� esposizione� “sistematica”,come�se�si�trattasse�di�un�“sistema”�filosofi-co�pensato�secondo�termini�e�canoni�a�noipiù� familiari.�Vi�è� infatti�nell’Av�e�s�t�a u�n�a

• 13 •Tempo, mito, storia e fine della storia nell’escatologia zoroastriana, A. Panaino

palese�atmosfera�“iniziatica”1�7,�che�presup-porrebbe�non�solo�il�dominio�delle�regoledella� filologia�e�della�sintassiindo-iranica�antica,�ma�soprat-tutto�una�conoscenza�ininter-rotta�della�dimensione�seman-tica� e� speculativa� offerta� inorigine�nei�testi�a�noi�traman-dati;� purtroppo� tale� lineasapienziale�appare�interrotta�ocomunque� profondamenteviziata�a�causa�delle�traversiealle� quali� il� mondo� religiosozoroastriano�si�è�trovato�espo-sto�nel�corso�della�sua�storia.�Èperò�altresì�vero�che,� sebbeneuna�tale�dimensione�“esoterica”1�8 ci�sfuggainevitabilmente� –� così� come,� per� fare� unesempio�puntuale,�la�comprensione�effetti-va,�pragmatica,�della�condizione�spiritualeprodotta�dallo�stato�di�m�a�g�a,�secondo�il�ten-tativo�di�spiegazione�proposto�da�GherardoG�n�o�l�i1�9 –,� sarebbe� perlomeno� opportunoprenderne�almeno�in�considerazione�l’esi-stenza�e�con�essa�anche�il�sospetto�che�unaconcezione�“rituale”�non�implichi�necessa-riamente�una�bolsa�ripetitività,�né�alluda�aduna�sorta�di�meccanicismo�sacrificale�privodi�idee�e�di�elaborazioni�profonde.�

Ritornando�quindi�alla�concezione�sopraesposta�del�principio�del�“disordine”�e�del-

la�“menzogna”,�si�danno,�sem-pre�all’interno�della�specula-zione�mazdaica,�alcune�possi-bili�riflessioni.�La�d�r�u�j�-,�che�difatto� diverrà� una� potenzademoniaca� insieme� ad� AºraMainyu,� non� sembra� affattoessere�stata,�in�prima�istanza,una�“persona”,�né�soprattuttouna� entità� seduttrice,� quantopiuttosto�una�polarità�del�pen-sabile.�Il�male�cioè�si�fonda�aldi�fuori�di�Ahura�Mazd@a,�al�di

fuori�della�–�ma�probabilmentenon� contro� la�–� sua�volontà2�0;� esso� è� unapossibilità�libera�del�pensiero,�una�scelta,sebbene�il�male�si�estrinsechi�come�tale�inquanto�non-ragione,�“non-vita”�(a�j�y�@�a�i�t�i�-),�oaltrimenti�come�una�sorta�di�follia�dello�spi-rito-pensiero.�Intendo�asserire�che�il�Main-yu�Aºra,�nel�momento�in�cui�sceglie di�par-teggiare�per�d�r�u�j�-,�non�risulta�essere�statocontrastato� da� Ahura� Mazd@a,� così� comeSp™n≥ta�Mainyu�non�è�favorito�o�indotto�albene,�ma�lo�persegue�liberamente�dopo�averconosciuto� Mazd@a� (vedi� Ya�s�n�a,� 30,� 3-4).Potremmo� allora� dire� che� ci� troviamo

1�7 Vedi�A.�Panaino,�Few�remarks�upon� the�Initiatic�Transmission� in�Later�Av�e�s�t�a,�in�J�a�m�s�h�i�dS�o�roush�Soro�u�s�h�i�a�n Memorial�Vo�l�u�m�e,�ed.�by�C.G.�Cereti�and�F.�Vajifdar,�2003.18 Vedi�anche�Humbach,�1991:�86-88.19 Cfr.�Gnoli,�1965:�105-117.2�0 Nel�senso�che�non�abbiamo�argomenti�testuali�per�asserire�che�Ahura�Mazd@a�abbia�contrastato�ilmanifestarsi�del�pensiero�antagonista;�anzi,�ammessa�la�libertà�della�scelta,�dovremmo�asserire�che�di�fat-to�anche�Ahura�Mazd@a�sia�stato�libero�di�scegliere,�anche�se�tale�opzione�è�forse�più�logica�che�necessaria.

21 Preciso�che�la�terminologia�qui�utilizzata�coincide�solo�in�parte�con�quella�proposta�da�Jean�Kel-lens�ed�Eric�Pirart�(1997:�31-72,�in�particolare�alle�pp.�60-61)�i�quali�suggeriscono�di�tradurre�m�a�i�n�y�u�-come�“stato�di�spirito”�o�“pensiero�pensante”�contrapposto�a�m�a�n�a�h�-,�n.,�“contenuto�di�pensiero”�(La�stro -phe�des�jumeaux�...,�pp.�65-66,�n.�63).�Essi�però�escludono�per�l’avestico�m�a�i�n�y�u�-,�m.,�il�significato�di�“spi-rito”,�nonché�ogni�forma�di�sua�personificazione.�Tale�asserzione�è�stata�giustificata�sulla�base�dell’as-senza�di�sue�attestazioni�al�vocativo,�nonché�per�via�della�mancanza,�segnatamente�in�avestico�antico,�dititoli�divini�e�di�metafore�familiari.�Ho�già�espresso�in�altre�sedi�le�mie�riserve�su�tale�interpretazionerestrittiva,�in�quanto�a�mio�parere�è�da�Y.�45,�2�che�si�può�evincere�con�chiarezza�quali�siano�i�Mainyu�pri-mordiali,�detti�rispettivamente�sp@anyå “più�benefico”�(nom.�sg.�m.�di�sp@aniiah-,�comparativo�di�sp™n≥ta-)e an≥gr™m,�acc.�sg.�m.�dell’agg.�an≥gra- “malvagio”�(av.�rec.�aºra-).�Il�fatto�poi�che�i�due�mainyu abbiano“intelligenze,�scelte,�parole,�azioni,�coscienze”�e�soprattutto�“anime”,�come�attestato�in�Y.�45,�2,�è�una�pro-va�lampante�di�tale�personificazione;�si�può�ovviamente�discutere�(introducendo�anche�diverse�sfumatu-re)�sul�suo�grado�in�antico�avestico,�ma�tale�processo�è�comunque�divenuto�definitivo�nella�letteratura�ave-stica�recente�(cfr.�Y�t.�19,�44).�Inoltre,�così�come�il�m�a�n�a�h�- può�essere�personificato�dualisticamente�(VohuManah�“il�Buon�Pensiero”�v�e�r�s�u�s Aka�Manah�“il�Cattivo�Pensiero”),�non�vi�è�dubbio�che�il�concetto�dim�a�i�n�y�u�- sia�ancor�più�soggetto�ad�una�sorta�di�deificazione�dall’attività�libera�del�pensare�(può�essere�infat-ti�inteso�anche�come�una�“potenza�mentale”�di�Ahura�Mazd@a);�al�di�sopra�della�dimensione�del�m�a�i�n�y�u�-si�pone,�all’interno�del�sistema�g@aƒico,�solo�l’Ahura�Mazd@a,�cioè�l’unico�essere�capace�di�“disporre�la�crea-zione”�(rad.�verb.�d�@�a�-)�attraverso�il�(o�nel)�m�a�n�a�h�- (si�ricordi�che�m�a�z°�è�forma�composizionale�di�m�a�n�a�h)�.Inoltre�la�doppia�dimensione�creativa,�m�a�i�n�y�a�v�a�- e�g�a�@�e�i�ƒ�i�i�a�-,�si�fonda�proprio�sulla�concezione�avesticadi�un�“pensiero”,�che,�nella�sua�libertà,�possa�anche�permettere�la�follia�della�“non-vita”,�mentre�un�tale“accidente”�è�escluso�dalla�dimensione�vitale;�se�il�male�è�pertanto�considerato�solo�come�una�conse-guenza�ontologica�o�come�una�possibilità�di�un�“avviso,�di�un’intenzione”�umana�(vedi�la�teoria�dell’i-pallage�emessa�da�Kellens,�1990:�97-123,�in�particolare�p.�105),�verrebbe�meno�anche�il�senso�della�limi-

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dinanzi� ad� una� sorta� di� “razionalismo”zoroastriano� ante� litteram(anche�se�il�termine�è a�s�s�o -l�u�t�a�m�e�n�t�e improprio),�in�cuiil� “mistero”�della� libertà�edell’origine�del�bene�e�delmale� sia� stato� affrontatomediante� la� collocazionedel� male� al� di� fuori� dellasfera� di� dio,� non� per� suaimpotenza,�ma�come�libera,folle�alternativa,�da�cui�farscaturire� l’inevitabilità� diuno� scontro� senza� quartieretra�le�forze�del�bene�e�quelle�del�male.�Da

questo�punto�di�vista,�la�creazione�di�AhuraMazd@a� si� spiega� probabilmentecome�la�necessità�logica�di�“ordi-nare”�un�informe�stato�preesisten-te,�in�cui�aπ≥a- e druj- esistono�siacome� principî� immanenti,� fattiemergere�attraverso�la�scelta�deidue�primordiali�“spiriti-pensiero”(m�a�i�n�y�u�-),� i� quali� risultano�nonsolo�“pensabili”�da�parte�dell’uo-mo,�ma,�a�loro�volta,�anche�capa-ci�di�pensare�(in�quanto�“pensieroriflettente”� o� “pensiero� pensan-

t�e�”�)2�1 grazie�alla�libertà�della�scelta.L’estrinsecazione�dei�due�Mainyu,�ovvero

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del�principio�di�reciproca�contraddizione,provoca�un�antagonismo�in�re,�che�viene�afondare,�secondo�la�cosmo-logia�zoroastriana,�il�sensodell’esistenza�terrena�e�chenei� testi� pahlavi� giustifi-cherà� la� necessità� dellastoria�umana.�

Noteremo�inoltre�che�ildualismo�zoroastriano�noncontrappone,� ma� articolala�creazione�su�due�livelli,sentiti� come� armoniosa-mente� complementari2�2:� ilprimo�è�quello�del�“mentale”�(e�quindi�solosecondariamente�“celestiale”),�definito� inavestico�m�ain�y�a�v�a�- [dalla�rad.�verbale�m�a�n�-

“pensare,�che�ritroviamo�nell’av.�m�a�n�-�a�h�-“pensiero”�(in�quanto�oggetto�dell’attivitàpensante,�ma�anche�facoltà�mediante�la�qua-le�Mazd@a�dispiega�la�sua�creazione23,�peral-tro� personificata� in� uno� degli� Am™π≥aSp™n≥ta),� ma� anche� in� m�ain�-�y�u�-“pensiero/spirito”�(in�quanto�attività�liberadel�pensiero�riflettente�e�pensante”,�perso-nificata�nei�due�Spiriti�primordiali�antago-n�i�s�t�i�)�]2 4 e�continuato�in�pahlavi�con�il�termi-ne�m�@�e�n�@�o�g;� il�secondo�è�invece�quello�del

“vitale”�(e�non�riduttivamente�del�“corpo-reo”),� costruito� sul� sostantivo� g�a�@�e�ƒ�@�a�-,� f.,

“creatura”,�ma�derivato�in�ulti-ma�istanza�dalla�rad.�verbalej�̂�- “vivere”� (cfr.� anche� av.g�a�y�a�-,�m.,�“vita”,�a�j�y�@�a�i�t�i�-,�f.,“non-vita”,�j�i�y�@�a�t�u�-,�m.,�“sussi-stenza”),� e� reso� in� pahlavicome�g@et^g.

La�dimensione�dello�statoo�esistenza�“mentale”�è�comu-ne�sia�ad�Ahura�Mazd@a�(insie-me� alle� sue� creature)� sia� adAºra� Mainyu� (unitamente� ai

d�a�@�e�v�a�- ed�alle�altre�creature�demoniache),ma�non�quella�del�“vitale”,�la�quale�è�pre-clusa�alle�forze�del�male;�esse�infatti�si�pon-gono� come� “negatività”� assoluta,� come“non-vita”� (a�j�y�@�a�i�t�i�-)� in� contrapposizionealla�vita�(g�a�y�a�-).�Il�demonio,�quindi,�è�asso-lutamente�impotente�sul�piano�della�crea-zione�vitale,�a-spermatico�e�mortifero;�unasorta� di� anti-materia,� il� cui� fine� ultimo� èquello�di�azzerare�l’esistenza�nel�suo�nichi-lismo�totale.�L’origine�del�male�risulta�allo-ra�nello�Zoroastrismo�come�extra-monda-n�a2 5 –�poiché�la�negazione�radicale�della�vitasi�pone�fuori�dal�cosmos,�inteso�come�ratio

tazione�della�contro-creatività�del�male�nel�“mentale”;�da�un’ontologia�malvagia�si�attenderebbe�ancheuna�hyle malvagia�e�non�una�dimensione�eterea�del�contro-pensiero�negativo.�22 Vedi�già�Gnoli,�1962:�180-190;�cfr.�Shaked,�1971:�59-61.23 Cfr.�Gnoli,�1962:�167-169.24 Ma�si�veda�ancora�la�serie�comprendente�m�a�n�a�h�y�a�-,�agg.�(scr.�m�a�n�a�s�y�á�-)�“del�pensiero”;�m�a�i�n�̂�-f.,�“comprensione”,�m�a�n�≥�t�u�-,��m.�(scr.�m�á�n�t�u�-)�“intenzione”,�sub�Kellens�-�Pirart,�T�VA,�II,�1990:�278-281.Si�veda�ancora�la�lunga�discussione�in�nota�riguardo�alla�tematica�del�m�a�i�n�y�u�- e�del�m�a�n�a�h�-.25 Vedi�già�Bianchi,�1958:�24�e�passim.

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dispiegata�secondo�a�π�≥�a�- –,�né�può�derivareda�esso�(e�dalla�sua�vitale�corporeità),�masolo� da� uno� spirito/pensiero“negativo”,�o�altrimenti�da�unasorta�di�allucinazione�dello�spi-rito/pensiero,�che�si�fonda�comeantagonista� primordiale.� Daquesto�punto�di�vista�la�presenzadel� male� nella� realtà� vitale� èfrutto�a�posteriori di�un’aggres-sione,�di�un�pensiero�negativo,di�una�“follia”.�Varrà�allora�lapena� di� puntualizzare� che� inYasna 30,�3,�la�strofe�della�scel-ta,� i� due�Spiriti� primordiali� (t�@�amainy@u� paoury@e)2�6 vengono� percepiti� daZaraƒuπtra,� come� “sogni� gemelli”� (y�@�™�m�@�ax√af™n@a)27,�descrizione�che�–�al�di�là�di�ognipossibile�artifizio�retorico-poetico�connessoad�una�tale�immagine�–�sottolinea�la�dimen-sione�“intellettualistica,�mentale,�e�spiritua-le”�di�tale�evento.�Il�richiamo�al�tema�del“sogno”,�rimanda�infatti�ad�una�dimensionepercettiva�–�pur�tenendo�assolutamente�con-

to�dei�limiti�di�questa�terminologia�moder-na�–,�differente�da�quella�normale,�ad�uno

stato� alterato� e� sublimato� diconoscenza,�ma�non�per�questoopposto� alla� realtà� e� allacoscienza,�ovvero�ad�una�sortadi� “visione”,� di� “perceziones�u�p�e�r�i�o�r�e�”2�8,�per�nulla�priva�diragione� né� opposta� ad� essa,quanto�piuttosto�elevata�al�di�làdei� limiti� imposti� dall’espe-rienza�fisica�del�“mescolamen-to”� (g�u�m�@�e�z�i�π�n)2 9 tra� forze�delbene�e�del�male.

In�tale�contesto�risulta�per-tanto�evidente�come�per�la�tradizione�zoroa-striana�la�“vita”�(g�a�y�a�-)�sia�assolutamentepositiva�e�con�essa�l’operare�nella�realtà.�Sispiega�allora,�al�di�là�degli�influssi�mesopo-tamici�e�delle�tradizioni�indo-iraniche�piùantiche�su�una�tale�tematica3�0,�l’attenzionerivolta�nella�letteratura�mazdaica,�già�ave-stica�ma�soprattutto�pahlavi,�per�la�catego-ria�del�“tempo”,�ove�è�ben�marcata�la�distin-

26 Cfr.�Humbach,�1959:�84-84;�idem,�1991:�123-124;�Insler,�1975:�32-33;�Kellens�e�Pirart,�T�VA,�I,p.�110-111.2�7 In�questo�caso�l’av.�x�√�a�f�™�n�a-,�m.,�“sonno,�sogno”,�andrebbe�comparato�con�il�ved.�s�v�á�p�n�a�- “�s�o�n-no,�sogno”�(cfr.�Bartholomae,�1904:�col.�1863);�forse�l’accezione�di�tale�occorrenza�è�metaforica,�con�ilsenso�quindi�di�“apparizione,�visione�onirica”�(ma�si�veda�Gershevitch,�1964:�12-38,�in�particolare�le�pp.32-33,�che�però�non�esclude�il�significato�di�“sogno”,�inteso�come�visione;�vedi�anche�idem,�A�p�p�ro�a�c�h�e�sto�Zoro�a�s�t�e�r’s�Gathas,�“Iran”,�33,�pp.�1-29,�in�part.�pp.�17b-18b);�differente�la�soluzione�proposta�St.�Ins-ler�(1975:�32-33,�165),�che�interpreta�x�√�a�f�™�n�@�a come�loc.�sg.�di�un�tema��x�√�a�f�n�i�- “rivalità”�(ved.�d�u�s�≥�v�á�p�n -y�a�-);�cfr.�Kellens�-�Pirart,�La�strophe�des�jumeaux:�stagnation,�extravagance�et�méthodes�d’appro�c�h�e�s,pp.�58-60.28 Gnoli,�1965:�105-117.29 Su�questo�concetto�si�veda�oltre�nel�testo.30 Zaehner�1955�(ristampa�New�York�1972);�ulteriore�bibliografia�a�p�u�d Gh.�Gnoli�1991a;�cfr.anche�Panaino,�1999:�127-143.

31 Zaehner,�1955:�106-111.32 Sullo�Yasna�Hapt@aºhaiti si�veda�l’edizione�di�J.�Narten�(1986)�e�quella�di�Kellens�-�Pirart,�TVA,I,�pp.�131-140.33 Gershevitch,�1964:�24-32.�Per�una�traduzione�italiana,�purtroppo�datata,�del�Wi�d�@�e�w�d�@�a�d,�si�riman-da�alla�monografia�del�Cannizzaro,�Vendidad,�Messina�1916�(ristampa�Milano�1990).34 Per�una�disamina�della�tematica�dell’anno�cosmico�in�contesto�zoroastriano�cfr.�Panaino,�1998:163-164.�Vedi�anche�il�mio�Cronologia�e�storia�religiosa�nell’Iran�zoroastriano (1999),�pp.�129-140.

• 17 •Tempo, mito, storia e fine della storia nell’escatologia zoroastriana, A. Panaino

zione� tra� un� “Tempo� senza� origine”,� av.Zrvan� akarana [in� pahlavi� Z�u�r�w�@�a�n (�oz�a�m�@�a�n)� ^� akan@arag]� ed� un“Tempo�dal�lungo�dominio”,av.�Zrvan�dar™©@o.x√a∂@ata [�i�npahl.� Z�u�r�w�@�a�n (o� z�a�m�@�a�n)� ^d�a�g�r�a�n�d�-�x�w�a�d�@�a�y o� ancorazam@an�^�kan@arag@omand “�t�e�m-po�finito”,�zam@an�^�br^n “tem-po�limitato”]3�1.�Ma�se�nell’A -v�e�s�t�a queste� due� forme� deltempo,� già� divinizzate,� nonsono�–�o�almeno�non�risultanosulla� base� della� documenta-zione�trasmessaci�–�al�centro�di�una�elabo-razione�chiara�ed�esplicita,�esse�si�pongonocome�elementi�centrali�della�cultura�religio-sa�e�filosofica�del�mondo�sasanide�(III-VIIsec.�d.C.)�e�post-sasanide.�Dobbiamo�peròpremettere�che,�in�quest’epoca,�il�monotei-smo�religioso�mazdaico�ha�già�conosciutouna� forte� evoluzione;� attraverso� una� faserappresentata�dall’Av�e�s�t�a recente�(durante�laquale�viene�tributata�la�venerazione�anche�adivinità�mai�menzionate�nelle�G@aƒ@a e�nelloYasna�Haptaºh@aiti3�2,�ma�della�cui�eventuale“scomunica”� da� parte� di� Zoroastro� nullasappiamo),�essa�è�ormai�giunta�ad�un�vero�eproprio�dualismo�radicale�(in�parte�antici-pato�nel�Wi�d�@�e�w�d�@�a�d a�v�e�s�t�i�c�o�)3�3.� In�siffatto

contesto�si�fronteggiano�direttamente�Ohr-mazd�(<�Ahura�Mazd@a)�e�Ahreman�(<�Aºra

Mainyu),� divenuti� di� fattodue�esseri�ontologicamenteopposti,�ma�senza�che�vi�siaalcun� riferimento� al� temaavestico� dei� due� “spiriti”primordiali�emergenti�dallalibera�scelta�tra�aπ≥a- e druj-.In�altre�parole,�la�più�com-plessa�articolazione�g@aƒica,in�cui�Ahura�Mazd@@a�troneg-giava�al�di�sopra�della�cop-pia�primordiale�costituita�da

Sp™n≥ta�Mainyu�e�Aºra�Mainyu,�ha�lasciatoposto�ad�una�opposizione�diretta�tra�Ohr-mazd�ed�Ahreman,�ovvero�si�è�determinatadi� fatto� una� promozione� della� figura� del“Maligno”,�che�ora�può�contrapporsi�diret-tamente�al�Saggio�Signore.

All’interno�di�questo�nuovo�sistema,�ela-borato� in� modo� compiuto� (o� forse� soloesplicitato)�nei�testi�pahlavi,�in�particolarenel�I�capitolo�del�B�u�n�d�a�h�i�π�n,�ma�probabil-mente� di� origine� molto� più� antica,� vienecostruita�una�cosmologia�mitica�(e�quindifondatrice)�nella�quale�il�tempo�“limitato”,circoscritto� in� un� ciclo� di� 12.000� anni3�4,appare�come�uno�strumento�divino,�distintodell’eternità�e�dell’infinito.�Infatti�Ohrmazd,

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dotato�com’è�di�“onniscienza�e�bontà”�asso-lute� (harwisp-@ag@as^h� ud� w@eh^h),� nelmomento�in�cui�percepisce�l’esi-stenza� del� principio� opposto,interrompe�“il�tempo�infinito”.Tale� atto� preventivo� impediràche�il�confronto�tra�le�due�forzesi�potesse�dispiegare�sul�pianodell’infinito�spazio-tempo.�

Il�tempo�“finito”�quindi�ini-zia�e�procede�con�la�creazione,come�atto�autonomo,�frutto�del-l’autocoscienza� di� Ohrmazd,nel�momento�in�cui�egli�si�pre-para�ad�affrontare�il�demonio,�dicui� ha� avvertito� l’esistenza.� Sotto� questoprofilo�tale�“tempo”�non�è�ancora�il�“tempostorico”,�ma�certamente�lo�presuppone�e�losussume�come�necessità3�5.�Infatti�il�duellotra�le�due�forze�primigenie�è�già�iniziato�contale�operazione�di� interruzione�del� tempoinfinito�e�con� la�prima� fase�del�dispiega-mento�della�creazione�(che�simbolicamenteoccupa�un�periodo�di�3.000�anni)�nel�suostato�m�@�e�n�@�o�g.�Bisogna�però�attendere�che�siverifichi�un�nuovo�evento�che�possa�sanciredefinitivamente�le�regole�dello�scontro�tra�idue�principî�contrapposti.

Riassumendo�in�breve,�Ahreman,�venu-to�a�colloquio�con�Ohrmazd�si�vedrà�pro-porre�la�pace;�a�causa�della�sua�ignoranza,ovvero� della� sua� conoscenza� a� posteriori(p�a�s�-�d�@�a�n�i�π�n�̂�h,� lett.� “post-scienza”),� egliperò� non� sarà� in� grado� di� concepire� talegesto�come�un�vero�e�proprio�atto�disinte-

ressato.�In�modo�conforme�al�suo�pensaredistorto,�Ahreman�interpreta�tale�offerta�di

pace�come�una�palese�manife-stazione� di� debolezza� e� neapprofitta�per�dichiarare�la�suairresoluta�volontà�distruttrice.A�questo�punto,�Ohrmazd,�chegià�si�aspettava�una�tale�rea-zione� da� parte� dello� Spiritodel�male,�gli�propone�di�com-battere,� come� farebbero� dueguerrieri,� in� un� tempo� ed� inuno�spazio�limitati,�ovvero�inun� tempo� finito� (il� ciclo� di12.000�anni)�e�nella�creazione

terrestre.� Ahreman� stupidamente� accettaquesto�patto�e�si�trova,�sempre�per�via�dellasua�ignoranza,�messo�in�trappola�e�condan-nato�a�combattere�in�uno�spazio-tempo�fini-to�dal�quale�non�potrà�più�uscire,�anzi�dovesarà,� alla� fine� del� ciclo� dei� 12.000� anni,distrutto.�Al�momento�della� sanzione�delpatto,� inoltre,� Ahreman� sarà� messo� fuoricombattimento�per�altri�3.000�anni�graziealla�preghiera�A�h�u�n�w�a�r pronunciata�dallostesso�Ohrmazd.�

In�questo�secondo�periodo�la�creazionedivina�(b�u�n�d�a�h�i�π�n)�verrà�attualizzata�in�for-ma�vitale�(g�@�e�t�̂ �g),�pur�rimanendo�immobile(ossia�in�uno�stato�definibile�di�m�@�e�n�@�o�g n�e�lg�@�@�e�t�̂ �g).�Al�termine�di�questo�seconda�fase�di3.000�anni,�si�chiuderà�la�prima�metà�delciclo�cosmico�mazdaico�dei�12.000�anni�edinizierà�propriamente�quella�g�@�e�t�̂�g (per�altri6.000�anni).

35 Panaino,�1999:�128-129.

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Finalmente�svegliatosi�dal�torpore�in�cuiera�caduto�grazie�all’azione�della�demones-sa�Ôeh3�6,�Ahreman�attaccherà�la�crea-zione,� sfondando� dall’esterno� lavolta�celeste�e�penetrando�nel�mon-do;�la�sua�irruzione�darà�al�contem-po�inizio�anche�all’attualizzazioneg�@�e�t�̂�g del�tempo�limitato,�che�final-mente�diverrà�visibile�(e�numerabi-le)�grazie�al�movimento�delle�stelle,le� quali� inizieranno� a� ruotareostruendo� il� foro� da� cui�Ahremanera� penetrato� nel� mondo� insiemealla�sua�armata�di�demoni.�Da�que-sto� momento� in� poi,� secondo� lacosmologia�zoroastriana,�trascorre-ranno�i�restanti�6.000�anni�del�g�@�e�t�̂�g,fino� a� quando� Ahreman� non� saràannichilito�ed�il�“tempo�infinito”�verrà�nuo-vamente�ripristinato.�

Ci� troviamo� così� dinanzi� ad� un� ciclocosmico�di�12.000�anni�diviso�in�due�gran-di�fasi�di�6.000�ciascuna,�una�m@en@og�ed�unag�@�e�t�̂ �g,�entrambi�scindibili�a�loro�volta�in�duesottoperiodi�di�3.000�anni;� troviamo�peròanche� un’articolazione� triadica� dellacosmologia�zoroastriana,�che�viene�scandi-ta�in�una�prima�fase�precedente�allo�scontro,b�u�n�d�a�h�i�π�n “la�creazione”,�in�una�seconda,detta�g�u�m�@�e�z�i�π�n,�“il�mescolamento”,�ovveroil�momento�dello�scontro�tra�i�due�principîopposti,�seguita�infine�dal�f�r�a�π�(�a�)�g�i�rd [�d�a�l-l’av.�f�r�a�π�@�o�.�k�™�r�™�t�i�-,�f.,�lett.�“l’atto�di�rendere

splendida�(l’esistenza)”],�ossia�“il�rinnova-mento”�finale.

La�storia�dell’umanità�è�quindial�contempo�la�storia�del�“mesco-lamento”,�ovvero�del�dolore�pro-dotto�dall’irruzione�del�male.�Essaè�scandita�dal�moto�del�Sole,�del-la�Luna�e�delle�stelle,�appartenen-ti�alla�buona�creazione,�ma�ancheda�quello�dei�pianeti,�esseri�demo-niaci�per�eccellenza.�Il�tempo�sto-rico�è�però�positivo,�in�quanto�noncostituisce�affatto�una�dimensionedi�caduta,�di�allontanamento�da�un“Eden”�perduto,�ma�rappresentaun�luogo�di�lotta�finalizzato�allasalvezza�ed�al�riscatto�finali.�Pos-

siamo�pertanto�affermare�che�l’esi-stente,�e�soprattutto�“l’esserci�nella�storia”,insomma�il�D�a�s�e�i�n,�fosse�inteso,�all’internodel�sistema�mazdaico,�come�assolutamentepositivo,� in� quanto� strumento� operativoessenziale�per�conseguire�la�vittoria�totalesu�Ahreman.

Tale�concezione,�in�cui�la�percezione�delmale�da�parte�di�dio,�genera�il�tempo�limita-to�–�la�cornice�essenziale�per�la�trappola�–,mi�sembra�centrale�nella�storia�del�pensieroiranico�tardo�antico�e�medievale,�e�per�certiversi�essa�risulta�di�una�modernità�impres-sionante� nonostante� la� sua� costruzionesostanzialmente� mitica� e� cosmogonica.L’alterità�negativa,�l’antagonismo,�produ-

36 Panaino,�A.�(1994)�F�i�g�u�re�femminili�e�demoniache�nell’Iran�antico,�in�Miti�di�origine,�miti�dicaduta�e�presenza�del�femminino�nella�loro�evoluzione�interpretativa.�XXXII�Settimana�Biblica�Naziona -le�(Roma,�14-18�settembre�1992), a�cura�di�G.L.�Prato,�pp.�47-70,�in�particolare�pp.�63-68.

37 Panaino,�1999: 129�(con�ulteriore�letteratura).38 Zaehner,�1956:�131-150�(tr.�it.�1976,�pp.�101-109).39 Gignoux,�1985-88:�67-78;�idem,�1986:�334-346;�idem,�1990:�72-84;�idem,�1999:�213-227.40 Cereti,�1995a:�321-327;�idem�1995b;�idem,�1995c:�33-81;�idem,�1996:�629-639.�Si�rimanda�inol-tre�alla�trattazione�che�Cereti�propone�nell’ambito�di�una�sua�Letteratura�Pahlavi (2002).41 Kellens,�2001:�127-131.42 Vedi�in�generale�sul�ciclo�di�Sirio�nell’Iran�antico�Panaino�1990a�e�1995�(Serie�Orientale�Roma68,�1-2).43 Si�veda�più�nei�dettagli�Panaino,�2002a:�195-200,�in�particolare�le�pp.�197-200.

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cendo�l’interruzione�dell’infinito,�ha�indot-to�il�dio�supremo�al�dispiegamento�di�unacreazione�che�si�struttura�innanzi-tutto�come�“spazio-tempo”�cir-coscritto;� essa� è� la� base� dellastoria�umana,� tutta�g�@�e�t�̂ �g,� nel-l’accezione� positiva� che� giàconosciamo,�e�di�cui�è�ben�chia-ro�il�fine�ultimo:�la�distruzionedel�male�e�di�Ahreman.�Il�finedella�storia�è�quindi�–�si�perdo-ni�il�c�a�l�e�m�b�o�u�r –�la�fine�stessadella� storia,� cioè� la� fine� deldolore,�la�liberazione�dalla�dia-lettica�del�conflitto�tra�bene�e�male,�il�ritor-no�al� tempo�infinito,�ove� l’umanità�vivràfinalmente�il�tan�^�pas@en,�ovvero�il�c�o�r�p�u�sre�s�u�r�re�c�t�i�o�n�i�s,�che�non�abolirà�o�negherà�lostatus�g@et^g,�ma�lo�riporterà�alla�sua�dimen-sione�archetipale37.

Un�argomento�a�parte�sarebbe�poi�quel-lo�della�vicenda�finale�di�Ahreman,�al�qualela�trattatistica�zoroastriana�di�impianto�filo-sofico,�segnatamente�aristotelico,�attribui-sce�la�sospensione�in�uno�stato�di�i�n�-�p�o�t�e�n -z�a dal�quale�il�Maligno�non�tornerà�più�ina�t�t�o3�8.� Altro� ancora� potrebbe� dirsi� sulletematiche�dell’apocalittica�mazdaica�di�epo-

ca� sasanide�e�post-sasanide,� le�quali,� purriposando�su�dottrine�escatologiche�arcai-

che,� conoscono� un� profondoinflusso,�soprattutto�nell’e-laborazione� di� un� g�e�n�e�rel�e�t�t�e�r�a�r�i�o strettamente�apo-calittico,�che�i�recenti�studidi�Philippe�Gignoux3�9 e�Car-lo�Cereti4�0 hanno�ricondottoalla�letteratura�giudaico-cri-stiana� ed� islamica:� argo-menti� certamente� affasci-nanti�e�di�enorme�ampiezzae�complessità,�ma�sui�quali

in�questa�sede�non�mi�sembra�di�poter�entra-re�con�la�dovuta�sistematicità.

Un�altro�fatto�molto�rilevante�per�la�sto-ria�del�rapporto�tra�l’infinità�del�tempo�e�lasua�limitazione�nel�periodo�della�lotta�traOhrmazd� ed� Ahreman� emerge� da� unarecente�riflessione�di�J.�Kellens4�1,�il�quale,ridiscutendo�le�lezioni�di�un�passo�del�Ti�π�t�a�rYa�π�t,4 2 su�cui�egli�ha�proposto�un�piccoloquanto� significativo� emendamento� (checondivido�nella�sostanza)4�3,�ha�notato�chegli�Yazata�avestici,�ovvero�le�divinità�mino-ri�dello�Zoroastrismo�post-g@aƒico�possonoentrare� e�uscire�dal� tempo� infinito� in� cui

44 Cfr.�Gnoli,�1965:�105-117.45 Corbin,�1952:�250-257�(ristampato�in�idem,�Temps�cyclique�et�gnose�ismaélienne,�Paris�1982,pp.�9-69,�in�particolare�p.�12).46 Cfr.�Panaino,�1999:�129.

• 21 •Tempo, mito, storia e fine della storia nell’escatologia zoroastriana, A. Panaino

dimorano�normalmente�per�portare�aiuto,nella� creazione,� all’umanità� direttamentecoinvolta�nella�lotta�quotidianacontro� il� male.� Apparente-mente�Ahura�Mazd@a�restereb-be�invece�al�di�fuori�di�questopossibile�scarto�intra-�o�meta-temporale,�in�un�superiore�sta-to� di� intangibilità� ancorataall’eternità�paradisiaca�che�lodistingue�nettamente�dai�suoicampioni;�in�altre�parole,�eglidimora�in�un�tempo�che�è�a�k�a -r�a�n�a�- “senza� confini”.� Ciò� amio� avviso� sembra� allora� significare� chel’interruzione�del�tempo�infinito,�di�cui�det-tagliatamente� trattano� i� testi� pahlavi,� esoprattutto� l’attuazione� della� dimensioneg�@�e�t�̂�g,�finisce�con�l’imprigionare�Ahremannel�tempo�limitato,�giacché�l’Arcidemoneper�eccellenza,�lo�Spirito�Antagonista,�inva-dendo�la�creazione�di�Ohrmazd�è�rimastointrappolato�in�essa.�Nulla�di�simile�è�inve-ce�detto�nel�caso�di�Ohrmazd,�che�è�piutto-sto�l’inventore�della�trappola�spazio-tempo-rale.�Questa�sostanziale�differenza�di�tipoanche�temporale�tra�Dio�e�demonio�contie-ne�in�nuce,�a�mio�avviso,�una�delle�condi-zioni�essenziali�per�la�distruzione�totale�diAhreman,�che�al�termine�dell’ultimo�mil-lennio� sarà� annientato� definitivamente.D’altra�parte,�come�le�divinità�minori,�ope-

ranti� nell’ambito� della� strategia� di� Ohr-mazd,�possono�agire�nel�tempo�limitato�e

ritornare� in� quello� infinito,� doverisiede�la�divinità�suprema,�lo�stes-so,�in�un�certo�qual�modo,�è�conces-so� anche� all’uomo,� o� meglio� aisacerdoti�che,�durante�il�rito,�posso-no�mentalmente�abolire�la�dimen-sione�limitante�e�imperfetta�creata-si�nel�mondo�g@et^g in�seguito�all’ir-ruzione�di�Ahreman�ed�alla�conse-guente�fase�di�g�u�m�@�e�z�i�π�n.�Essi�entra-no� infatti� in� uno� stato� di� m�a�g�a,ovvero� in� una� sorta� di� esperienza

“mistica”�non�soggetta�però�alla�perdita�dicoscienza,�come�ha�sottolineato�Gnoli4�4,�ma,se�mai,�implicante�la�sua�completa�realizza-zione;�tale�esperienza�apre�loro�le�porte�diuna�visione�sublime,�che,�facendoli�incon-trare�sulla�strada�del�sacrificio�con�le�divini-tà,�li�porta�così�ad�anticipare�l’esperienzadella�perfezione�finale.�Sotto�questo�puntodi�vista�l’idea�di�un�ritorno�al�tempo�eterno,come�sostenuto�dallo�stesso�Corbin4�5,�nono-stante�un�suo�far�riferimento�in�modo�forsefuorviante� al� concetto� di� tempo� ciclico,risulta�più�che�accettabile.�Il�tempo�limitatoè�infatti�lineare4�6,�giacché�esso�deve�estin-guersi�con�la�vittoria�di�Ohrmazd�e�con�l’an-nientamento�di�Ahreman,�già�prigioniero�diuno�spazio-tempo�finito�e�da�cui�non�potràaffatto�sottrarsi.

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Merita� ancora� un� breve� accenno� ladiversa� soluzione� teologica� rappresentatadalla�tradizione�zurvanita,�secondo�la�qualeOhrmazd� e� Ahreman� sarebberostati�generati�dal�dio�del�tempo,Zurw@an,�sorta�di�deus�otiosus p�r�i-mordiale,�il�quale,�desideroso�diavere�un�figlio,�avrebbe�celebratoun�sacrificio�della�durata�di�1000anni.�Zurw@an,� però,� proprio� sulfinire�di�questo�sacrificio�avrebbeconcepito� un� dubbio� relativoall’efficacia� del� rito� compiuto.Sarebbero�allora�nati,�nel�grembodi� Zurw@an� (essere� che,� pertanto,andrebbe�concepito�come�androgino),�duegemelli:� Ohrmazd,� frutto� del� sacrificio� eAhreman,�come�prodotto�del�dubbio.�Taledottrina,�che�probabilmente�contiene�un�ten-tativo� di� rispondere� al� dualismo� radicaledella�cosmologia�elaborata�nell’ambito�delMazdeismo�post-g@aƒico�e�sasanide�median-te� l’introduzione� di� una� nuova� istanzamonoteistica� e� di� un� principio� unificanteriguardo�la�dinamica�del�conflitto�tra�luce�etenebre,�si�distingue�in�modo�netto�da�quel-la�t�r�a�d�i�z�i�o�n�a�l�m�e�n�t�e “ortodossa”.�Infatti,�inquesto�caso,�l’origine�del�male�risulterebbe

ingenerata�da�un�incidente,�cioè�proprio�daldubbio,�sorto�nella�mente�di�Zurw@an.�Pergiustificare� l’origine� dell’antagonismo

bene/male,� si� parte� quindi� daun’oggettiva�imperfezione�divi-na,�da�un�desiderio�divino�che�haprodotto,�oltre�al�sacrificio�pri-mordiale,�il�dubbio�sulla�sua�rea-le�efficacia.�Toccherà�allora�adOhrmazd,�nato�ontologicamentebuono� (in� quanto� discendentedal�sacrificio),�riscattare�questaimperfezione�divina�e�ripristina-re�un�ordine�nuovo�e�superiore.Non� vorrei� addentrarmi� nelle

sofisticate�problematiche�connesse�con�que-sta�dottrina,�peraltro�attestata�soprattutto�infonti�classiche4�7,�nonché�armene�(Eznik�diKo¬b�e�E¬iπ@e�Vardapet),�e�siriache�(Teodorobar� Kônay� e� Yohannân� bar� Penkayê)� diambito�cristiano48,�né�soffermarmi�sulle�suecontroverse�origini4�9,�né�sul�suo�significati-vo�impatto�in�ambito�manicheo5�0;�mi�sem-bra� invece� più� interessante,� nel� presentecontesto,� sottolineare� che,� nonostante� letendenze�fatalistiche�e�pessimistiche�di�cuifu�venato�l’orientamento�zurvanita,�la�suacosmologia�prevedesse�in�ogni�caso�la�scon-

47 Per�una�raccolta�delle�fonti�greche�(Eudemo�di�Rodi�apud�Damascio;�Plutarco,�Teodoro�di�Mop-suestia,�Ippolito,�San�Basilio,�Psello)�vedi�Zaehner,�1955:�447-450.48 Vedi�Zaehner,�1955:�419-429.49 Certamente�antiche�per�Gnoli�(1991a:�9-16),�ma�recenziori�per�Ph.�Gignoux (1981:�101-115)�eSh.�Shaked�(1979:�XXXIV).�Sulle�possibili�ascendenze�di�origine�indo-iranica,�come�conferma�la�lette-ratura�indiana�dedicata�a�K@ala,�cfr.�Scheftelowitz�1929.�Sono�da�tenere�inoltre�presenti�le�influenze�delletradizioni�astromantiche�di�origine�mesopotamica,�alle�quali�si�sono�aggiunti�elementi�ellenistici�–�in�par-ticolare�le�speculazioni�sul�concetto�di�A�i�j�w�v�n (cfr.�Junker�1923;�Degani�1961)�–�e�gnostici�(cfr.�Gnoli,�1994:544-545).50 Cfr.�Gnoli,�1984:�31-54,�in�particolare�pp.�49-53.

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fitta�finale�di�Ahreman�e�l’attribuzione�almondo�fisico�di�una�valenza�sostanzialmen-te� positiva.� Anche� in� questocaso,�il�tempo�ha�infatti�man-tenuto� la� sua� dimensionel�i�n�e�a�r�e5�1,� in� cui� il�male� è� unostacolo�da�superare�–�attra-verso�la�vita�e�la�creazione�–almeno�per�una�volta.

D’altro� canto� l’atteggia-mento� positivo� dello�Zoroa-strismo�e�di�gran�parte�degliorientamenti�teologici�da�essoscaturiti�è�visibile�nella�sortefinale� dell’umanità.� Infatti,sebbene� la� letteratura� pahlavimenzioni�l’esistenza�di�un�inferno�(d�u�π�o�x)�,di�una�sorta�di�purgatorio�(h�a�m�m�i�s�t�a�g�@�a�n)�edi�un�paradiso�(g�a�r�@�o�d�m�@�a�n)5�2,�con�l’apocata-stasi�del�ferro�e�del�fuoco,�che�sarà�scatena-ta�con�la�venuta�dell’ultimo�figlio�di�Zoroa-stro,�il�Saoπyan≥t�per�eccellenza�(S@oπyans�inpahlavi),�tutti�gli�esseri�umani,�risorti�anchecorporalmente�(dottrina�questa�già�attestatanei�testi�dell’Av�e�s�t�a recente),�saranno�per-donati�e�ammessi�al�godimento�della�beati-tudine�finale5�3.�Infatti,�secondo�la�concezio-

ne�zoroastriana�sarebbe�inammissibile�unacondanna�definitiva�ed�eterna�per�colpe,�per

quanto�gravi,�commesse�nel�tem-po�storico�(e�quindi�in�sé�limita-te),�poiché�vi�sarebbe�una�ogget-tiva�sproporzione�tra�devianza�esanzione.�D’altro�canto�una�taleconcezione� è� coerente� con� ladottrina� della� scelta,� compiutadalle�Fravaπ≥i�(Frawahr�in�pahla-vi)54,�ovvero�una�sorta�di�doppioanimico�femminile,�preesistentead�ogni�uomo�e�donna,�le�qualiancora� nella� fase� m�@�e�n�@�o�g d�e�l�l�acreazione�scelgono�di�rischiare

l’incarnazione,� sapendo� di� poterincorrere�nella�seduzione�del�male,�ma�allostesso� tempo�con� la�garanzia�di�accederealla�salvezza�finale55.

Bisognerà�altresì�ricordare�che,�nei�testipahlavi�i�12�millenni,�suddivisi�in�due�gran-di� fasi,� e� dei� quali� abbiamo� già� trattato,quella� m�@�e�n�@�o�g “mentale”� e� quella� g�@�e�t�̂�g“vitale”�(e�corporea),�a�loro�volta�scanditein�due�sottoperiodi,�saranno�posti�sotto�la“cronocratoria”�zodiacale�dei�dodici�segnidello�Zodiaco,�in�modo�tale�che�proprio�il

51 Sull’accezione�di�tempo�lineare�e�tempo�ciclico�nel�mondo�iranico,�rimando�alla�mia�trattazio-ne�in�Cronologia�e�storia�religiosa�nell’Iran�zoroastriano,�1999,�p.�129.52 Se�ne�veda� la� descrizione�contenuta�nel� testo�pahlavi�noto�come�A�rd@a�W^r@az�N@amag;� cfr.Gignoux�1984;�idem,�1969:�219-245.�Si�veda�anche�Pavry�1929.�Per�quanto�concerne�più�strettamentel’incontro�della�componente�maschile�dell’anima,�l’u�r�v�a�n�-,�con�la�d�a�@�e�n�@�a-,�ovvero�l’anima�visione�fem-minile,�che�si�presenta�bella�o�brutta�a�seconda�dei�meriti�e�delle�colpe�accumulati�in�vita�dal�defunto,�sirimanda�a�Kellens,�1995:�19-56,�Panaino,�1997:�831-843,�nonché�alla�monografia�di�Piras�2000.53 Zaehner,�1956:�131-150�(tr.�it.�1976:�101-109).54 Si�veda�il�Bundahiπn iranico,�cap.�III,�1-22;�cfr.�Zaehner,�1955:�324,�336.55 Zaehner,�1956:�41�(tr.�it.�1976:�29).

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settimo�millennio,�quello�indicante�l’iniziodel�“mescolamento”,�coincida�con�il�mil-lennio� posto� sotto� ildominio� di� Saturno(K@ew@an),�il�pianeta�male-fico� per� eccellenza,� equello� del� segno� dellaB�i�l�a�n�c�i�a5�6.�Si�deve�ancorarammentare�che�la�cultu-ra� sasanide� svilupperàl’impianto�ellenistico�del-la�cosiddetta�“astrologia�continua”,�una�dot-trina�pienamente�rappresentata�da�DoroteoS�i�d�o�n�i�o5 7 secondo�la��quale�–�come�ha�rias-sunto� elegantemente� Pingree5�8 –� il� temanatale�resta�valido�in�generale,�anche�se�unnuovo�diagramma�oroscopico� (a�j�n�tig�e�n�e�v-si�ß)�deve�essere�redatto�ad�ogni�anniversa-rio�e�confrontato�con�quello�natale.�Moltafortuna�avranno�inoltre�le�speculazioni�apo-telesmatiche,�che�troviamo�già�esposte�daVettio�Valente5�9,�concernenti�il�sistema�del-

le�“sorti”�(k�l�h�v�r�o�i)6�0,�l’utilizzo�del�p�ro�ro�g�a -t�o�r,�l’a�j�f�e�v�t�h�ß,�in�pahlavi�h�i�l�@�a�g6 1 (ovvero�di

un�punto�sull’eclittica�deter-minante� la� lunghezza� dellavita�che�avanza�nella�misuradi� un� grado� di� ascensioneobliqua�all’anno�e�che�indicala�morte�quando�raggiunge�ilpunto� sull’orizzonte� almomento� nel� diagrammao�r�o�s�c�o�p�i�c�o�)6�2,� oppure� del

“Signore�dell’anno”�o�e�j�n�i�a�u�t�o�k�r�a�v�t�w�r,�inpahlavi�s�@�a�l�-�x�w�a�d�@�a�y (il�pianeta�più�impor-tante�nel�diagramma�oroscopico�che�proce-de�come�l’a�j�f�e�v�t�h�ß,�ma�determina�gli�eventidi�ogni�anno)6�3.�È inutile�dire�che�le�opereastrologiche�di�Doroteo�Sidonio�e�di�VettioValente� furono� ben� conosciute� nell’Irans�a�s�a�n�i�d�e6�4.� Queste� tecniche� astrologiche,non� senza� significativi� apporti� indiani6�5

(come�nel�caso�dell’astrologia�interrogativa[p�r�a�¢�n�a�j�ñ�@�a�n�a]6�6 e�militare�[y�@�a�t�r�@�a]6�7,�nell’uso

56 Panaino,�1996:�235-250.57 Cfr.�Pingree�1976.58 Pingree,�1973:�118-126,�in�particolare�le�pp.�120-121.�Si�veda�anche�Raffaelli,�2001:�28.59 Cfr.�Pingree�1986.60 Pingree,�1973:�120;�cfr.�Bouché-Leclerq,�1899:�288-296.�Si�veda�inoltre�Bezza,�1995:�963-1012.61 Pingree,�1997:�49�e�passim.62 Bouché-Leclerq,�1899:�413-429;�Bezza,�1995:�1013-1014.63 Pingree,�1997:�74.64 Si�veda:�Pingree,�1987:�858-862�e�868-871;�idem,�1989:�227-239.�Cfr.�Nallino,�1922:�345-363.65 Pingree,�1973a:�118-126.66 Si�tratta�di�una�tecnica�specifica�che,�pur�derivando�dall’astrologia�catarchica�(la�quale�ha�comescopo�la�determinazione�del�miglior�momento�futuro�per�intraprendere�un’attività),�mira�a�predire�al�clien-te�se�un�determinato�evento�accadrà�o�meno�sulla�base�dell’oroscopo�computato�per�il�momento�in�cui�l’in-terrogazione�è�stata�formulata.�L’attribuzione�agli�astrologi�indiani�di�questa�tecnica�è�ampiamente�con-fermata�da�Pingree�(1997a:�133-136).�Vedi�ancora�Pingree,�1981:�110-114.67 Pingree,�1981:�107-108.

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dei�n�a�k�s�≥�a�t�r�a,6 8 oppure�dei�n�a�v�@�a�m�≥�s�a “la�nonaparte�di�un�segno”)6�9,�concorreranno�all’ela-borazione�di�una�complessa�formadi�astrologia�continua�e�storica70,in�cui�avranno�un�peso�notevolele�congiunzioni�di�Giove�e�Satur-n�o7�1.�È ben�noto�che�questi�duepianeti,� secondo� i� loro� motimedi,� entrano� in� congiunzioneogni� 20� anni� circa,� e� che� talecongiunzione�si�ripete�per�12�(otalora�13)�volte�nella�stessa�tri-plicità� astrologica.� Dopo� 240anni� (o� 260� se� le� congiunzionisono�13)�si�verifica�un�cambio�ditriplicità� che� fu� presto� messo� inconnessione�con�un�sommovimento�politi-co,�in�genere�la�caduta�di�una�dinastia,�men-tre�con�la�conclusione�del�ciclo,�ovvero�inoccasione� di� una� grande� congiunzione,dopo�quattro�mutazioni�di�triplicità,�ovveroogni�circa�960�o�980�anni,�sarebbe�apparsauna�nuova�rivelazione�religiosa.�Non�è�uncaso�che�molta�letteratura�astrologica�bizan-tina,�araba�e�medievale�faccia�riferimento�atale� concezione� che� aveva� direttamentemutuato�dalla�tradizione�sasanide.�D.�Pin-gree�ha�sottolineato�come�tale�schema�astro-

logico,�ad�esempio�in�modo�evidente�in�unautore�come�M@aπ@a’all@ah72,�potesse�essere�in

un�certo�qual�modo�sincronizzato�conil�ciclo�zoroastriano�dei�12.000�anni.Altre�tecniche��dell’apotelesmaticasasanide� svilupperanno� inoltre� lapratica�dell’astrologia�continua,�dicui�si�è�già�detto,�applicando�le�pre-visioni� tipiche� della� divinazioneastrale� alla� storia� politica,� praticaquesta,�che,�ad�esempio,�fu�rigoro-samente� vietata� nell’Occidenter�o�m�a�n�o7�3.�Ricorderemo�ancora�chein� contesto� sasanide� furono� cono-sciuti,�oltre�al�più�antico�e�schemati-

co� ciclo� di� 12.000� anni,� che� da� unpunto� di� vista� astrologico� poteva� essereinteso�come�una�rappresentazione�del�fatodel�cosmo�(rappresentato�a�un�punto�avan-zante�sullo�zodiaco�di�30°�[�=�un�segno�del-lo�zodiaco]�ogni�millennio),�ben�altri�e�piùcomplessi�cicli�temporali,�senza�dubbio�diorigine� indiana� e� palesemente� legati� allediverse�scuole�astronomiche�sorte�nel�sub-continente.�Tali�anni�cosmici�di�proporzio-ni� gigantesche,� fondati� sulla� dottrina� deikalpa e�degli�yuga,�fissavano,�anche�se�conparametri�differenti,�l’inizio�del�K�a�l�i�y�u�g�a

68 Pingree,�1997:�40.69 Panaino,�1993:�417-433,�in�particolare�p.�427;�cfr.�Pingree,�1997:�73-74.70 Pingree�1968;�si�vedano�in�particolare�gli�oroscopi�storici�tratti�dal�Kit@ab�al-qir@an@at�wa�tah≥@aw^lsin^al�al-‘@alam di�al-Sijz^�raccolti�da�Pingree�in�questo�volume�(pp.�78-121�e�p�a�s�s�i�m).�Cfr.�Pingree,�1997:43.71 Kennedy,�1964:�30-38.�Cfr.�Pingree,�1963:�229-246;�idem,�1997:�55-62�e�passim.72 Kennedy�-�Pingree,�1971:�72-75.73 Cramer�1954.

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nel�-3101�(ovvero�nel�3102�a.C.)�in�coinci-denza�con�una�Grande�Con-giunzione�di�tutti�i�pianeti�a0°� di�Ariete,� che� avrebbeindicato�un�evento�straordi-nario� corrispondente� o� aldiluvio�universale�o�ad�unagrande� conflagrazione.�Sideve� però� precisare� chel’importanza�di�tali�cicli�nelmondo�sasanide7�4 fu�abbastanza�limitata�e

circoscritta� all’ambiente� degli� astronomiche�ne�fecero�uso�per�via�deiparametri� astronomici� concui�redigere�le�Tavole�astro-nomiche� dei� Sovrani,� ifamosi�Z�̂�g,�che�saranno�poiutilizzati� dagli� Arabi� edinfluenzeranno�sia�l’astrolo-gia�che�l’astronomia�medie-vale,� ma� questo� è� ormai

divenuto�il�tema�di�un’altro�contributo.

74 Su�tutta�la�questione�si�veda�Panaino,�1998:�161-179.

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Che cos’è l’iniziazione

di Bent Parodi

Giornalista

The Author wants to take the notion of “initiation” out of the “culture of suspect”which is deeply permeating our society. He traces the history of the term since thepre-historic period and speaks about its prominent usage: initiation as a rite of pas -sage aiming at entering in another “dimension” of life (marriage, baptism etc.). TheA. quotes also the opinion of the historian of religions M. Eliade who considers ini -tiation as an onthological mutation in our own existence, underlining the corre -spondances between the internal and spiritual character of this rite and its externaland public dimension.

a fragilità dell’odierna societàplanetaria ha creato un fenome-no abnorme. L’uomo post-mo-

derno, desacralizzato, depotenziato èdivenuto una sorta di re Mida alla rovescia,un alchimista al contrario: la nostra specia-lizzazione, in questi anni, è trasformarel’oro in piombo. Esattamente l’opposto diciò che facevano una volta gli alchimistiautentici; quel che tocchiamo quasi semprerischia di insozzarsi nutrendosi e facendonutrire la collettività di pregiudizi, di diff i-denze, di sospetti; d’altra parte è uno s l o g a ngiornalistico parlare di cultura del sospetto,che ormai traligna in tutti gli strati dellasocietà. Non poteva essere diversamenterispetto all’argomento che aff r o n t i a m o

adesso, l’iniziazione, anche perché di solitoquesta parola viene accostata a qualchecosa di oscuro, qualcosa da cui ci si debbanecessariamente guardare; si pensa a trame,a comitati d’affari, a tentazioni golpiste ecose di questo genere. Invece, il termine hauna sua nobilissima storia e ovviamentenelle varie culture può essere interpretato intanti modi; è chiaro che non vi è una sola“iniziazione”, vi sono tante tipologieiniziatiche. Sin dall’età preistorica, sonoattestati i cosiddetti riti di passaggio, ancoroggi presenti nei popoli privi di scrittura(c’erano, soprattutto, in antico). Riti di pas-saggio come quello dall’età puberale all’etàadolescenziale, quando un bambino diven-ta ragazzo, quando un ragazzo diventa

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uomo. Ancora oggi nella liturgia cristiana,alcuni sacramenti hanno conservato, di làdalla lettera, una strut-tura esoterica originaria:cos’altro è, infatti, ilbattesimo se non un ritoiniziatico (a suo modo)di tipo, ovviamente,molto particolare ?

E, ancora, analogosenso rivestiva il matri-monio religioso corret-tamente inteso come ini-ziazione alla vita di cop-pia. E si pensi anche alnoviziato ecclesiastico,gli esempi potrebberofacilmente moltiplicarsi.

Si consideri inoltre la ragazza che diven-ta donna tramite determinate cerimonie; visono poi le iniziazioni cosiddette colte,come quella di Osiride, quella degli Orfici,quella di Eleusi in Grecia, e così via. Eancora ci sono iniziazioni che discendonoda corporazioni di mestiere. Ad esempio –non tutti lo sanno – a livello mitico il nomedi Dedalo è un nome comune, più che dipersona. Daidalos, in antico greco significasemplicemente “architetto”, “costruttore”.C’erano tanti d e d a l i, come c’erano tantiminosse. Minosse pare che significhi, sem-plicemente, “re”, nella lingua dei minoici.Curiosamente il termine riflette radici rap-presentate un po’ ovunque; il Faraone capo-stipite della I Dinastia egiziana, Narmer, èpiuttosto conosciuto come Menes (ca. 3100a.C.). Ricorre curiosamente sempre lo stes-so tema: Menes – Minosse; il legislatoreprimordiale dell’India si chiamava Manu e

verrebbe forte la voglia di pensare alla radi-ce indoeuropea MEN che indica l’uomo in

quanto creatura pensante, e capa-ce di misura (latino m e n - s u r a)laddove, invece, il termine“uomo” proviene dal latinoh u m u s e, quindi, “uomo natodalla terra”, “legato alla terra”,che alla polvere tornerà.

Il vocabolo moderno “inizia-zione” deriva dal latino i n i t i a t i o,da i n i r e : “entrare dentro”. Den-tro dove? Evidentemente nellapropria interiorità. Vi è tutta unaletteratura filosofica che sottoli-nea quanto sia importante questo

viaggio all’interno di sè, che tro-va ancora un riflesso nelle parole del poetaLucio Piccolo, laddove egli intervistato peril Tg1 (Il favoloso quotidiano, 1968) discu-te con il giornalista Vanni Ronsisvalle;richiesto della spiccata propensione che isiciliani, soprattutto quelli colti, hanno ver-so la dimensione onirica, la vita notturna,a ffermava: Ma questa mia predilezione perl’oscurità non è come potrebbe sembrare unatteggiamento esteriore, risponde bensì diun’esigenza interna, comune a noi sicilianiquasi a contrasto della troppa luce che cicirconda, quella del sole, ovviamente. Rifu -giarci nell’oscurità di noi stessi per ritrova -re ciò che abbiamo perduto, per esorcizzareil tempo, la morte.

E in realtà lo scopo dell’iniziazione èproprio questo: sconfiggere il tempo, lamorte, per ritrovare una dimensione altra epiù alta. Essa presuppone uno scarto, unarottura di livello. Un grande storico dellereligioni, che di queste cose era molto com-

• 33 •Che cos’è l’iniziazione, B. Parodi

petente, Mircea Eliade (1907-1986), scrissenel volume La nascita mistica, tradotto initaliano dalla Morcelliana diBrescia, che l ’ i n i z i a z i o n e,pro-priamente parlando, c o n s i s t ein una mutazione ontologicadel regime esistenziale; “muta-zione” è parola ripresa, ovvia-mente, dalla filogenetica; siapplica, di solito, al concettodi evoluzione, e definisce lamodalità per cui ad un certopunto una determinata specieacquisisce caratteristiche total-mente diverse, e non nel corsodi milioni di anni, bensì inmodo quasi del tutto istantaneo. Di solito sidice che natura non facit saltus, ma talvol-ta la natura il saltus lo fa.

L’iniziazione mira ad entrare in unadimensione interna; d’altronde un grandefilosofo come Plotino di Licopoli, il padredel neoplatonismo, ricordava a tutti: p a n t a

é i s o, “tutto è dentro”; gli faceva eco il cri-stiano S. Agostino: in interiore hominehabitat veritas,o p p u r e noli foras ire, sed inte ipsum redi, cioè “nell’interiorità dell’uo-mo si cela la verità, torna in te stesso”; nonoccorre cercare all’esterno, bisogna rivol-gersi, soltanto, all’interno, nella solitudinedel rapporto fra l’Io e il Sé, all’interno delsoggetto stesso.

L’ iniziazione può avere un carattere for-temente individuale; questo attiene, soprat-tutto, a forme iniziatiche proprie della misti-ca di ogni tempo, esattamente a quelle asce-tiche. Pensiamo ai santoni indù, ai guru del-l’India, ma anche a tanti monaci del tardomondo antico, e ancora di età medievale.

Possiamo pensare, anche, a forme cristianepresenti nella Chiesa ortodossa come quel-

la tipica di Gregorio diPalamas, ovvero l’esica-smo, una sorta di yogacristianizzato, ancor oggipraticata nella repubblicadel monte Athos, in cui ledonne non hanno tuttorafacoltà di accesso.

Esistono, poi, formedi iniziazione collegiali,applicabili alla vita quoti-diana, cioè forme iniziati-che che non presuppon-gono, necessariamente, la

fuga dalla realtà quotidiana, ma implicano,semmai, un maggior impegno sociale per lacostruzione di un mondo che si vorrebbeprofondamente rinnovato.

Ma per capire, davvero, l’anima dell’ini-ziazione bisogna rifarsi, necessariamente,alla nostra tradizione greca e non vi parleròdi quella egizia, se non di straforo, o diquella babilonese, o di altre. Conviene par-tire dalla Grecia, perché noi, anche se nonce ne rendiamo conto, siamo ancor oggigreci; perché proprio questo è l’autenticocollante dell’identità europea: il polacco, losvedese, l’olandese, l’irlandese, lo spagno-lo, l’italiano sono greci nella misura in cuihanno ereditato, una volta per sempre, lecategorie del pensiero greco, quelle di A r i-stotele o di Platone che sono i veri padridello spirito europeo. Una forma di pensie-ro, quella discorsiva, razionale, che ovvia-mente non è immune da difetti, ha avutouna sua indubbia utilità, ma costituiva ecostituisce una semplice modalità della

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coscienza. Ci sono tanti modi per compren-dere la realtà, dal latino c u m p re h e n d e re,ovverossia “prendere insieme”.V’è, per esempio, la cono-scenza simbolica che persecoli e secoli si è trasmessagrazie ad un lavorio sotterra-neo degli alchimisti, degliermetisti, di alcuni pensatorie che si è recuperato, a livel-lo anche scientifico e filolo-gico, soltanto da un secolo emezzo a questa parte. Ciò èavvenuto pure con la nascitadi nuove discipline universi-tarie, come l’etnologia, lostudio delle tradizioni deipopoli, cioè del folklore; la sto-ria comparata delle religioni; la simbolicagenerale dello spirito, le forme astratte diarte, soprattutto, la psicanalisi freudiana pri-ma e junghiana dopo. Ci siamo, così, riap-propriati di una preziosa possibilità; laconoscenza simbolica si distingue infatti daquella discorsiva e razionale per il suocarattere fortemente sintetico che tende astabilire una fortissima correlazione, anzi(addirittura) un’identità, fra il soggetto chevuol conoscere una cosa o più cose e latotalità del reale, ciò che si vuol conoscere,dunque il conosciuto, e l’atto stesso delconoscere, la conoscenza in quanto tale.

Tre elementi che diverrebbero uno, conuna sorta di visione simultanea, che potrem-mo definire p a n o s s i a, cioè la “visione deltutto” (un neologismo nuovo di zecca, mache credo lecito sotto il profilo filologico elinguistico). Era questo, per esempio, il tra-guardo conclusivo dei cosiddetti Misteri di

Eleusi, che venivano gestiti dallo stato ate-niese. Non erano misteri privati affidati a

società occulte; erano sì segre-ti nelle loro modalità inter-ne, ma la loro struttura org a-nizzativa aveva caratterepubblico, persino (quasi)obbligatorio; vi erano infat-ti ammessi anche i serviliberati, gli schiavi, i noncittadini, ovvero i meteci.

In greco “iniziazione” sitraduce con m y e s i s. M y s t e s,il “miste” è l’iniziato, chenel processo conoscitivoriservato nel contesto eleu-sino è destinato, alla fine, a

diventare un e p o p t a, cioè“colui che contempla la visione del tutto”,che contempla la luce, poiché la luce è iltraguardo di ogni forma iniziatica. Ma sitratta, evidentemente, di una luce molto par-ticolare. Molti ricorderanno Lucio o dell’a -sino d’oro, il racconto di Apuleio di Madau-ra, a proposito della luce isiaca, in cui è datoa Lucio di vedere il sole a mezzanotte. Ma,ci si potrebbe chiedere, come è possibileuna simile circostanza? Quando, apparente-mente, c’è più scuro? È proprio questo ilparadosso, direi un divino paradosso delprocesso iniziatico.

M y e s i s è normalmente un termine chedai filologi, dai linguisti e dai grecisti, inparticolare, viene accostato ad una radiceMU che si vorrebbe legata all’idea del“chiudere gli occhi” o “chiudere le labbra”,quindi, con evidente riferimento al tantochiacchierato segreto o silenzio iniziatico.Ma si tratta davvero, di un segreto e di un

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silenzio letterale ? La radice MU è la stessadi m y t h o s, che è parola nel senso forte, laparola fondativa come diceva ilfilosofo tedesco Heidegger, d a ssagende Wort, “la parola chedice”, “la parola di potenza”.

A d i fferenza del l o g o s c h epure è “parola”, o di r e s i s, o dip a r r e s ì a (che è la parola che “sidicono addosso” i politici) ovve-ro pan resis, “dire tante cose,dire tutto, parlarsi addosso”. IGreci, in realtà, non prediligeva-no i sinonimi e ogni termine ave-va una sua precisa sfumatura disignificato. Dunque m y t h o s a l l eorigini era qualcosa di diverso. Sitratta, come suggerito da molti indizi, di unaradice collegata ad altre tradizioni culturalidi grandissimo rilievo, in particolare quellababilonese, per esempio nell’E n¨ma elish,“Quando lassù”, il nome del poema dellacreazione degli antichi Sumeri e poi deiBabilonesi. Vi è detto che Marduk, il capodel Pantheon mesopotamico, equivalente alGiove latino: Marduk mu-mu, ovvero“Marduk creò le cose dando ad esse unnome”. Ciò perché creare e nominare nella“terra dei due fiumi” e in altre tradizioniarcaiche hanno lo stesso valore semantico,si scrivono allo stesso modo: mu-mu. Dun-que, ci troviamo di fronte ad un reperto acu-stico di venerabile antichità.

Quando parliamo di iniziazione cerchia-mo di compiere un tentativo di archeologiadello spirito. Il concetto di segreto, di silen-zio iniziatico, nasce storicamente all’inter-no della scuola pitagorica e anche lì, ci sov-viene, il rilievo che ha la lingua greca a pro-

posito di significati; quando un greco vole-va parlare di silenzio nel senso letterale del

termine conosceva unaparola: s i g h é, che significasemplicemente “star zitti”.Il silenzio iniziatico avevainvece un’altra definizio-ne, e c h e m y t h ì a, che lette-ralmente significa “il pos-sesso del mito, il possessodella parola”. Ma di cheparola si tratta ? Evidente-mente della parola in sen-so forte (come si dicevaprima a proposito delm y t h o s nell’accezione piùgenerale): dunque, di una

parola sacra, di una “parola di passo” chenon va sottaciuta ma che va piuttosto prof-ferita con un particolare sibilo sonoro e,dunque, con un processo che in qualchemodo riflette la capacità creativa dell’Asso-luto. Fu anche Pitagora ad inventare il ter-mine assieme a quello notissimo a tutti di“filosofia”, ovvero “amicizia per la sapien-za”, perciò distinta dalla sapienza in quantotale, che in greco si dice s o p h ì a, da s a- ep h o s “molta luce”. Dunque, la conoscenzacome illuminazione, questo il significato disapienza originario. Inventò anche il con-cetto di essoterismo; difatti gli uditori diPitagora erano divisi in due classi: quelladegli esoterici e quella degli essoterici oacroamatici, gli uni che erano ammessiall’interno e che avevano diritto alla parola,ad intervenire nel dibattito; gli altri, vice-versa, che avevano soltanto il diritto-dove-re di ascoltare senza intervenire. Vuole latradizione raccolta dai tardi dossografi

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come Diogene Laerzio, autore di Le vite deif i l o s o f i, Giamblico con La vita pitagorica,etc., che gli apprendisti pitago-rici tacessero per sette anni.

Nasce, dunque, già 2500anni fa il grande equivoco, ilfatale fraintendimento che arri-va fin sulle soglie del mondomoderno per proiettarsi inquello secolarizzato, desacra-lizzato, depotenziato, in cuipropriamente consiste il nostromondo moderno, il “villaggioglobale”, perché i fraintendi-menti sono duri a morire e pos-sono resistere anche a millennidi storia.

Questa parola, il m y t h o s, ci dice che alcentro di ogni struttura iniziatica vi è unracconto sacro attorno agli dei, alla creazio-ne del mondo, o di una parte del mondo. Peril teologo olandese ed egittologo Gerardusvan der Leeuw, il mito propriamente par -lando, non è che la parola stessa; la parolache ripetuta ritualmente possiede la poten -za decisiva. Va inoltre precisato che il mito,il rito ed il simbolo sono in realtà stretta-mente congiunti fra loro: non si può parlaredi rito senza simbolo, non si può parlare disimbolo senza rito e senza un complessomitico. Laddove le leggende sono cosa bendiversa; anche in tal caso si sono creati, tal-volta, dei fraintendimenti e le leggendecome le fiabe che noi raccontiamo ai bam-

bini che hanno di solito il consueto i n c i p i t“C’era una volta”, ci dicono di un tempo

senza tempo: il tempo,cosiddetto astorico, anicro-nico, in cui vennero ad esse-re determinate realtà, o larealtà nel suo complesso,poiché per gli antichi l’estre-mamente piccolo corrispon-de all’estremamente grande,la nascita di una spiga equi-vale ad una cosmogonia nelsuo insieme. Il meccanismonon muta, poiché, rispettoall’uomo moderno, l’uomoarcaico, tradizionale, sentiva

forte la sua solidarietà con ilTutto e con i processi cosmici. Da lì l’ideadella santificazione della natura, la conside-razione che la natura sia sacra nel suo com-plesso, da lì l’idea che in ogni albero possaesserci un dio e un ruscello. Come dicevaTalete, il primo dei filosofi ionici: p a n t aplére theòn, “ Tutto è pieno di dei”; rincal-zando Eraclito affermava: Entrate, anchequi sono dei. Poi sul finire del mondo anti-co, con il crollo della religione greco-roma-na e con l’avvento del primo Cristianesimo,si dovette pagare un prezzo elevato. Poichéi Greci e i Romani avevano divinizzato lanatura, per imporre il culto di un Dio unicoera necessario far sparire tutto, quindidemonizzare la natura, considerarla rea delprincipio della generazione e delle nascite1.

1 Ricordate perfettamente che il massimo desiderio dei primi cristiani era quello di ritirarsi neldeserto, si pensi ai monaci anacoreti: Sant’Antonio Abate, per dirne uno, Sant’Onofrio anacoreta, il cui

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La nascita di un bambino non era vistadi buon occhio dai primi cri-stiani, come non erano vistedi buon occhio nemmeno ledonne. Pensate ad alcuni Va n-geli che sarebbero diventatipoi, successivamente, apocri-fi, processo che si è svoltolungo l’arco dei secoli e nondi pochi anni.

Il Vangelo di S. Tommaso,per esempio, afferma che ladonna non ha anima, la donnavi è di fatto considerata unanimale perché genera figli, egenerare figli significa perpe-tuare il “maledetto flusso dellenascite”, il “mobile flusso dell’imperma-nente”, laddove la più genuina aspirazioneera quella di sfuggire al ciclo delle nasciteper indiarsi e tornare all’Assoluto, nella“casa del Padre”. E ce n’è voluto prima diriabilitare la natura, abbiamo dovuto aspet-tare qualcosa come 1200 anni con S. Fran-cesco d’Assisi, per recuperare una visionenon nevrotica, non distorta, più equilibratadel rapporto dell’uomo con la natura.

Ci si potrebbe domandare: ma erano esono più religiosi gli uomini del monotei-smo o quelli del politeismo tradizionale ?

Considerate che già a partire dalla primaconquista culturale dell’u-manità, quella dell’h o m oe r e c t u s, il primo ominideche riuscì a sollevarsi sul-le gambe, a guardare ilcielo, la volta stellata,ebbe evidente che alcuniprocessi vitalistici dell’u-niverso avevano un parti-colare rilievo. Videro chec’era un astro, per esem-pio, nella volta del cielonotturno la Luna, che cre-sceva e decresceva, persparire all’apparenza per

tre notti. Vi dirò dell’originedella sacralità del numero 32. La luna chesparisce per tre notti la ritroviamo nel sim-bolismo della morte del Cristo, il quale pertre notti giace morto nel sepolcro per rina-scere il quarto giorno.

L’uomo delle origini, l’homo erectus, pernon parlare dell’uomo culturale della primaetà storica, notò anche un altro astro persi-no più evidente, più abbagliante: il Sole,che apparentemente nasce sempre ad orien-te e tramonta sempre ad occidente, cosicchéad un certo punto si cominciò a pensare cheil regno dei morti fosse “il giardino degli

nome, paradossalmente, riflette un attributo cultuale dell’antico Osiride, ovvero “colui che è sempre feli-ce”, o piuttosto “il risorto”. Oppure si mirava a tornare per sempre nella casa del padre: cioè la nascitaceleste che oggi si riflette nelle date degli onomastici.2 Sapete che i numeri possono avere un carattere esoterico, sacro etc., perché questo è avvenutoin tutte le latitudini, non sono elucubrazioni nate solo nel Mediterraneo; i numeri rappresentano, piuttostodelle costanti nella vita dello spirito che sottolineano il carattere fortemente unitario della storia del pen-siero umano.

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occidentali” perché i defunti sono quelli chevanno ad occidente, come il sole a riposareper rinascere il mattino seguente, giacché adogni giorno, ad ogni alba, ilsole è sempre nuovo.

Si accorse quel nostrolontano progenitore che alcu-ne specie vegetali hanno unaparticolare caratteristica: nonappassiscono mai, ci sono glialberi sempreverdi, e questoè esattamente l’archetipo delcosiddetto “albero dellavita”. Poi spingendosi più inlà, l’uomo culturale, a questopunto non più l’uomo dellapreistoria, immaginò che que-sto albero potesse avere le radici invertite,anziché verso il basso, verso l’alto, espostein tutte le direzioni verso il cielo, per un’al-tra forma di costruzione fortemente simbo-lica. Notò pure che la maggior parte dellespecie vegetali sono destinate a morire eche tuttavia in prossimità dell’equinozio diprimavera, quasi per una sorta di meccani-smo interno della natura, una sorta di orolo-gio svizzero, giorno più, giorno meno, lanatura rinasce con nuovi germogli.

Tutto questo suggerì a quel poverouomo, così lontano dal nostro tempo, cosìtremante di fronte all’ignoto, una intuizionemolto confortante: Ma se tutto muore e tut -to rinasce, perché dovrei morire io? Proba -bilmente, siccome sono inserito nella natu -ra e faccio parte strettamente della natura,anche io, piccolo uomo, avrò una possibilitàdi resurrezione.

Nacquero così, nelle teologie del mondomediterraneo e arcaico, le figure degli dei

dolenti, di solito compagni della grandedea. Nella storia delle religioni si usa un ter-mine tecnico di difficile assimilazione:

“paredro”, che sarebbe l’“assesso-re”, letteralmente “colui che sisiede accanto”, una figuramaschile in posizione secondariarispetto a quella primeggiantedella “Grande Madre”; a questopunto è bene ricordare che primadell’invasione degli indoeuropeila maggior parte delle culturereligiose era strutturata sul prin-cipio materno del matriarcato.Erano le donne che comandava-no, e ancora nei rituali dionisiacinon riformati, alla luce dell’orfi-

smo, c’era di che avere paura: le Menadi oBaccanti riflettono ancora le forme più cru-de di questo predominio dell’elemento fem-minile su quello maschile; i mariti, gliuomini in genere, si dovevano chiudere incasa perché le donne invasate che correva-no vestite solo di una pelle di cerbiatto conla fiaccola accesa, sbranavano il primomaschio che trovavano. C’era il rito dellos p a r a g m ò s e dell’o m o p h a g ì a, il laceramen-to della carne cruda, il divorare la carne cru-da. L’unico modo per salvarsi era chiudersifra le mura domestiche.

Ancora questa cultura del matriarcato civiene in qualche misura ricordata sotto for-ma mitica, per esempio, con le A m a z z o n i ,di cui si diceva che si tagliassero un senoper poter più facilmente tirar frecce conl’arco.

Con l’avvento della cultura indoeuropeavi fu un rimescolamento delle carte e tutta-via, in ambito esoterico, dunque, iniziatico

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con i rituali eleusini, con i rituali dei Cabiriin Samotracia, con l’orfismo, con il pitago-rismo, con i rituali osiriaci,si mantennero determinatecoordinate, proprio perperpetuare il ricordovivente e partecipato di uncerto modo di vedere larealtà, che poi è scomparsocol tracollo del mondoantico. Vi fu la caduta del-la sapienza; si vuole chegià a partire da Pitagora lasophia sia diventata filosofia, ciò che costi-tuiva oggettivamente una frattura, un inde-bolimento: una cosa, infatti, è essere amicidella sapienza, una cosa è essere sapienti.Povera sapienza, che nel mondo latino èdiventato “sapere”. E noi cosa intendiamocomunemente, ogni giorno, con “sapere” ?Un processo di continua acculturazione didati e di nozioni. Badate bene che in latinosàpere significa, sì, “sapere” ma anche “ciòche ha sapore”, perché i Latini attribuivanoalla sapienza (si trattava di un popolo diagricoltori, di pastori, poi divenuti abili giu-risti, ma dotati di un grande spirito pratico)quasi un carattere palatale, di ciò che avevaappunto sapore. Mentre per i Greci lasophia era, come si è detto, sa phos, ovvero“molta luce”, dunque illuminazione; nondiversamente altrove, per esempio in India:una nobilissima radice indoeuropea VID, dacui v i d y a e V e d a, riflette il senso di cono-scenza, sapienza, conoscenza visionariaperché una qualsiasi iniziazione presuppo-ne una visione. Qualcuno dirà: “Vedere checosa ?” Questo dipende dalla sensibilità diciascuno; la sensibilità può essere raff i n a t a ,

o affinata piuttosto nel tempo, gradualmen-te, ma bisogna avere una naturale qualifica-

zione per giungere a tantoperché è possibile vedereal di là dei propri occhi,ma pertanto si richiedeun rivolgimento interno,una e p i s t r o p h é a v r e b b e r odetto i Greci antichi, unritorno, un avviluppa-mento in se stessi; dice-vano i neoplatonici “dal-l’Uno si ritorna all’Uno”.

Il processo della manifestazione si irra-dia nella molteplicità dei fenomeni e daquesta molteplicità bisogna ripartire per tor-nare all’unità primordiale. In certe tradizio-ni iniziatiche è detto che compito dell’ini-ziato è r a d u n a r e ciò che è sparso, riportarloalla condizione di unità; non si tratta diun’opera di poco conto. E certamente non èun impegno pericoloso per le istituzionigovernative, tutt’altro: è un impegno note-vole solo per chi si accolla una responsabi-lità di questo genere. Ma è il caso di andarpiù oltre, perché questo ci sembra il tastopiù importante. Come afferma Aristotele inun celebre frammento, tramandatoci da unerudito del tardo mondo antico, Stobeo (Vsecolo d.C.), l’iniziazione, la m y e s i s g r e c anon è una forma di apprendimento, men chemai libresca. Certo leggere dei libri, soprat-tutto se di qualità, è utile, può rappresentareuna base, un sostegno, com’è detto anche inIndia per le u p a d h i delle U�p�a�n�i�s�≥�a�d. Dunquenon una forma di apprendimento, ma un’e-sperienza, un modo di sentire, un’emozio-ne, ovvero il p a t h o s,la capacità pura e sem-plice di emozionarsi.

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Cos’è in realtà che distingue un iniziatoda un non-iniziato o se preferite un iniziatoda un profano, “colui che sta di fron-te al tempio”, all’esterno (dal lati-no pro fanum): esattamente que-sto, la capacità di provare un’e-mozione di fronte ai processinaturali. E se davvero riuscirà aprovare un’emozione, e se ciòaccadrà, quell’uomo è già, inqualche misura, sulla via giusta;si pensi ad un’alba, quanti di noisarebbero disposti ad alzarsi alle5.30 di mattina solo per il piaceredi vedere sorgere il sole col suosfavillìo di colori. Purtroppo noiandiamo di fretta, corriamo incessantemen-te; caratteristica di questo nostro “villaggioglobale” è la corsa continua verso il nulla,una rappresentazione efficiente dell’insi-gnificante che avanza ed al quale bisognapur opporsi con ogni mezzo perché nelnostro mondo vige l’entropia, come in tuttol’universo, prevista e sistematizzata dalsecondo principio della termodinamica.Ogni cosa tende al disordine, ma poichéfummo fatti non per vivere come bruti maper seguir virtute e conoscenza, come ciricorda Dante Alighieri, noi dobbiamo sfor-zarci di creare delle sacche di neghentropia,ovvero l’opposto dell’entropia. Si tratta pro-priamente di trasformare il caos in ordine,questa è l’opera che va compiuta e questo èil compito tipico di una struttura iniziatica,sia essa di tipo individuale e quindi, a carat-tere soggettivo, sia essa a livello colto, dielaborazione interiore, e dunque, gradualiz-zata nel tempo, sia essa mirata al sociale, siaessa mirata alla vita ascetica.

Come si diceva all’inizio ci sono tantetipologie, ed è evidente che in Occidente

noi non siamo tagliati percomportarci come i guruindiani. Se proprio doves-simo scegliere un modellonell’India antica lo trove-remmo, agevolmente, nelcosiddetto karma yoga, loyoga dell’azione. L’ u o m ooccidentale d’oggi non èadatto alla muta contem-plazione, ha bisogno disentirsi concretamenteimpegnato tutti i giorni.

Il karma yoga, letteral-mente “unione con l’Assoluto tramite l’a-zione”, è efficacemente rappresentato edescritto in una sezione di appena 800 versiche fa parte integrante di un poema assaipiù vasto, il M�a�h�̋ �b�h�̋ �r�a�t�a. Si tratta del“Canto del beato”, laB�h�a�g�h�a�v�a�d�g�̂�t�̋ , illu-minante per l’orientamento iniziatico, chetratteggia in modo esemplare un esoterismodi pretta marca sociale, che indica la priori-tà dell’impegno nella vita di tutti i giorni.

Arjuna, un grande condottiero, dal coc-chio vede sul campo di battaglia schierati,oltre ai suoi naturali alleati, i fratelli, anchei cugini contro i quali dovrà misurarsi incombattimento; viene colto da un sensoprofondo di sgomento: Ma perché devouccidere ? Ha la fortuna di ritrovarsi un’au-riga un pò speciale che gli guida il cocchio,addirittura una diretta emanazione dell’As-soluto. È un a v a t a r come si dice in India,incarnazione o, letteralmente “discesa nelmondo” di V i s ≥n u nella speciale forma diK�r�≥�s�≥�n�≥�a. Questi lo scuote, e gli spiega: Ma tu

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sei nato per fare il guerriero, sei un aristo -cratico. Devi essere te stesso, nonpuoi essere qualcosa di diversoda ciò per cui sei nato, per le tuequalificazioni naturali devi com -b a t t e r e. Qual è l’insegnamentoche se ne ricava ? Ciò cheimporta ai fini della salvezzaindividuale, interiore, non è ciòche si fa, ma piuttosto il modo incui si fanno le cose; noi dobbia-mo uccidere il desiderio, com-piendo l’azione distaccata dall’i-dea dei frutti, il dovere per ildovere, null’altro. D’altronde loa fferma anche il Vangelo: Fate ilvostro lavoro, tutto il resto visarà dato in sovrappiù. Noi non dovremmosvolgere una qualsiasi attività professionalein vista della retribuzione economica, sareb-be come dire che uno decide di fare l’inge-gnere solo perché così è più facile nonrestare disoccupati, è più facile guadagnaresoldi, e così l’avvocato e così l’insegnanteetc. E nessuno, ovviamente, vorrebbe piùinsegnare lettere nelle scuole medie soltan-to perché si guadagna poco, ed è oggi dive-nuta un’attività peculiare delle donne.

Tutto ciò è profondamente sbagliato; giàaveva avvertito questo disastro incombenteun grande commediografo dell’antica Gre-cia del V secolo a.C., Aristofane, laddove ciammonì: Vogliano gli dei che ciascuno fac -cia il suo mestiere. Morale: il mestiere vafatto e bene, poi il resto si vede, viene spon-taneamente. Il karma yoga non mira ad otte-nere dei risultati di carattere immediato,mira semplicemente allo svolgimento di ciòche è il dovere di ciascuno. E questa – va

precisato – è un pò anche l’anima dell’eso-terismo occidentale: il dovere, la glorifica-

zione del lavoro, oggi così maltollerato nella nostra società.

Si sa, come si suol dire nel-la vita di ogni giorno: lo stipen-dio è un diritto acquisito, illavoro si paga a parte. Tr i s t esegno dei tempi, anche ciòriflette in modo evidente l’ano-malia di questa nostra società(usiamo il termine a n o m a l i a n e lsenso proprio che gli fu datodal grande esoterista franceseRenè Guènon). Ciò che impor-ta davvero è lavorare in vista

del perfezionamento individua-le. Ognuno di noi dovrebbe sempre chie-dersi con il cantautore Franco Battiato: C h ene sarà del nostro transito terrestre ?

Dovremmo chiedercelo tutte le mattinealzandoci dal letto: siamo qui per essere vis-suti dalla vita o per vivere la vita ? Siamoqui per essere progettuali, capaci di dise-gnare un progetto e realizzarlo ? O siamoqui per vivere alla giornata ? Ma, per vive-re alla giornata non è necessario essereuomini, è sufficiente anche essere bestie,con tutto il rispetto che va dato alle bestie!E allora noi siamo qui per diventare noistessi, diceva Nietzsche come esortazione:Diventa ciò che sei. Ognuno ha la suapotenzialità, che ha bisogno semplicementedi essere sviluppata nella giusta direzione.Dobbiamo cercare di estrarre dall’interiori-tà gli elementi migliori della nostra perso-nalità, non quelli peggiori. Purtroppo, que-sto mondo, come si diceva, è desacralizza-to, depotenziato, indebolito. Viviamo in una

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società estremamente fragile, che tuttaviaavrebbe la pretesa inaudita diessere davvero una “cittadellaglobale”, e invece è una socie-tà regredita dove nuovamenteci siamo dati ad un infeliceesercizio: quello del tagliare leteste. Va di moda oggi tra lefrange integraliste musulma-ne, un orrore paradossalmentefrutto di una società religiosain realtà per nulla primitiva,giacché l’Islam costituisceuna comunità a livello filosofi-co e religioso di notevole livello. Comemai, dunque, si può giungere a simili formedi crudeltà che si pensavano eclissate unavolta e per sempre, con la scomparsa dinefande istituzioni come quella della SantaInquisizione cattolica, che fece milioni divittime nel corso di 500 anni, età in cui lavita umana sembrava non valer nulla? Esiamo quasi tornati al clima oscuro di queigiorni. Quanto vale oggi una vita? Ognimattina dovremmo chiedercelo, e tuttaviaper nostra egoistica fortuna siamo distratti,ciò perché l’uomo ha una particolare carat-teristica, quella di dimenticare, di scongiu-rare il dolore; egli non vuol pensare al dolo-re, e tuttavia il dolore è un passaggio inelu-dibile nell’esistenza quotidiana.

Il dolore può essere sopportato soltantoritualizzandolo, quindi disciplinandolo,ordinandolo in un contesto progettuale chemiri al suo superamento verso una costru-zione innanzitutto individuale e quindi

anche sempre più collegiale, sempre piùcollettiva. Lo sforzo autentico

sarebbe quello, come dicevanogli antichi, di una r e n o v a t i om u n d i, il “rinnovamento delmondo”. Si tratta, a ben vedere,della simbologia universale delCapodanno che è presente intutte le società anche arcaiche etradizionali come il n a w r o z d e l-l’antica Persia, come la fine deiSaturnali nell’antica Roma. Ilparadossale rovesciamento deivalori consueti, per cui è il servo

che comanda sul padrone. Il re è lo schiavo,ogni licenziosità è ammessa in quanto ritua-lizzata in vista di una nuova nascita delmondo, ossia di ciascuno di noi, che è natoda donna. Questo è l’obiettivo, questo è ilsenso autentico e fondativo di qualsiasi ini-ziazione che voglia essere realizzativa. L’i-niziazione, si badi bene, non è il giochinodelle carte. Gli oroscopi non hanno nulla ache vedere con le iniziazioni, quelle serie.La cartomanzia nemmeno, neppure le for-me di magia elementare. E se la magia haancora un ruolo all’interno della dimensio-ne iniziatica, lo ha solo in quanto magianaturale, quella magia naturale in cui forte-mente credettero grandi pensatori come Pla-tone, come Plotino, e ancora in piena epocarinascimentale, uomini come Enea SilvioPiccolomini, Pico della Mirandola, pensa-tori come Giordano Bruno, uomini che han-no consentito all’umanità di fare un piccoloscatto evolutivo, in avanti.

Salute del corpo e salute dell’anima nella Medicina di Età classica

di Gabriella Poma

Università di Bologna

The Author carefully describes the main cultural patterns of ancient Greek medi -cine starting with Hesiodos till the Hyppocratic and Galenic schools, discussing therelationship between magic and science, with close regard for the development ofthe cultural and social role played by medicine in Classical Antiquity.

ll’inizio, il corpo era sano, nella beata età dell’oro.Prima infatti sopra la terra la stirpe degli uomini vivevalontano e al riparo dal male e al riparo dall’aspra faticada malattie penose che agli uomini portano la morte:Veloci infatti invecchiano i mortali nel male.

Esiodo, Erga, vv. 90-94

Prima una stirpe aurea di uomini mortalifecero gli immortali che hanno le Olimpie dimore.Erano ai tempi di Kronos, quando egli regnava nel cielo;come gli dei vivevano, senza affanni nel cuore,lungi e al riparo da pene e miseria, né tristevecchiaia arrivava, ma sempre egualmente forti di gambe e di braccianei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni; morivano come vinti dal sonno.

Esiodo, Erga, vv. 109-1161

1 Esiodo, 1998.

• 44 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

Così Esiodo, il poeta greco che tra V I I Ie VII secolo a.C. compose gli E rg a, il gran-de poema sull’uomo e il suo destinodove descrive il per sempre perdu-to tempo del vivere senza lavoro esenza affanni.

Poi vennero le pallide malattie.La colpa fu di una donna, anzi

della prima donna, Pandora, pla-smata dal dio Efesto per ordine diZeus, perché divenisse tremendostrumento della sua vendetta con-tro gli inganni di Prometeo.Levando il coperchio dall’orcio,Pandora segnò il destino di soff e-renza per gli uomini:

Altre infinite tristezze vaganotra gli uominiE piena è la terra di mali, pieno n’è ilmareI morbi tra gli uomini, alcuni di gior -no, altri di nottes p o n t a n e a m e n t e2 si aggirano, maliportando ai mortaliIn silenzio, perché della voce li privòil saggio Zeus.

Esiodo, Erga, vv. 100-104

Una visione inquietante, questa esiodea,delle malattie che portano tra gli uomini ilmale in silenzio, perché Zeus tolse loro lavoce.

L’epiteto greco a u t o m a t o i ha un ruolo

fondamentale per comprendere quale fossela concezione esiodea del fenomeno mor-

boso, e tuttavia la suatraduzione rappresen-ta un problema nonsemplice da scioglie-re, tant’è che su diesso continuano amisurarsi filologi es t o r i c i3: si deve inten-dere che i mali vengo-no “da soli”, indipen-dentemente, cioè, dal-la volontà degli dei,quindi non comepunizione inviata agliuomini per qualche

colpa commessa (com’è,invece, radicata concezione della malattiapercepibile fin dall’età omerica), oppure(pur considerando che c’è l’intervento diZeus che giustifica la presenza di questefigure mute) l’epiteto va caricato dello stes-so valore di “fatto prodigioso, magico”, cheassume in Omero, in riferimento ai tripodifabbricati da Efesto che si muovono verso ilconsesso degli dei?4

L’antico scoliaste coglie questo ultimomisterioso aspetto, nel suo commento altesto esiodeo: Ha personificato le malattie,rappresentandole mentre avanzano silen -ziose e intendendo dimostrare che anch’es -se sono in mano ai daimones.

I demoni della malattia.

2 Nel testo esiodeo automatoi, variamente tradotto. L’Arrighetti propone: da soli.3 Cf. il commento ad loc. di G. Arrighetti in Esiodo, 1998: 415.4 Lanata, 1967: 30, nota 54.

• 45 •Salute del corpo e salute dell’anima nella Medicina di Età classica, G. Poma

Naturalmente, noi non abbiamo nessunapossibilità di chiarire se questa concezionedemonologica, che il com-mentatore rende esplici-ta, sia di età tarda, inquanto di età tarda è loscoliaste; resta però ilfatto che l’opera esio-dea – i cui attori sono ipoveri contadini dellaBeozia tormentati dapesti e carestie – è per-corsa da preoccupazio-ni e timori, da riti ei n t e r d i z i o n i5 che chiari-scono la dimensione magico religiosa in cuiè calato l’uomo che cerca di proteggersidalle forze oscure che incombono sulla suavita. Il Dodds, in un suo classico saggio6, haben chiarito come, nel mondo greco, siasempre presente il timore dell’assalto di for-ze ostili e misteriose che minacciano l’inte-grità della salute e come l’ansia diventi poidirompente in situazioni di grande smarri-mento. La peste ad Atene, durante i primianni della guerra del Peloponneso, portò adun forte risorgere del ricorso all’aiuto delleforze sovrannaturali ed oscure, vista, delresto, l’impotenza della medicina. Tu c i d i d e ,con un evidente moto di sconcerto segnalacome nessuno scampasse, sia che avesse lapossibilità di ricorrere alle cure dei medici,

sia che fosse abbandonato a se stesso7;sacrifici agli dei si accompagnarono allora

all’uso di amuleti e acerimonie di purifi-cazione, ma l’amu-leto appeso al collodi Pericle stesso nonlo salvò dalla mor-t e8. È possibile soloavvicinarsi alla con-cezione del d a i m o n,che i Greci non ten-tarono neppure didefinire: a livello

popolare, dove nonera certo avvertita l’esigenza di una rifles-sione teorica, il d a i m o n era la malattia, erail sogno, era il terrore notturno, era quanto,nell’esperienza quotidiana, era portatore dieventi, non necessariamente, ma spesso,maligni, insoliti, terrificanti9.

Questa concezione della malattia, in cuiessa è sottratta ad ogni causalità naturale,poiché la causa è divina o demoniaca, e r agià presente in Omero. Nell’I l i a d e, a menoche la morte non sia conseguenza di un fat-to traumatico e del tutto naturale, come unaferita riportata in combattimento, di norma,la malattia appartiene all’universo religioso:non c’è scampo alle frecce saettanti diApollo che portano la peste nel campo degliAchei, nella scena d’apertura del poema.

5 Erga v. 724 ss.6 Dodds 1959.7 Tuc. II, 47,4.8 Plut. Per. 38,2.9 Detienne, 1963: 52.

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Gli dei portano la malattia e gli dei la pos-sono allontanare. Per il Polifemo ferito chegrida il suo dolore, non c’è altro rimedioche invocare Poseidone,perché il male che vieneda Zeus non si può evita-re, gli suggeriscono iCiclopi accorsi10.

Non mancano, però,momenti in cui aff i o r atraccia anche di una con-cezione demoniaca. Nelquinto libro dell’O d i s -

s e a, la condizione di Ulis-se che finalmente giunge in vista della terradei Feaci dopo una terribile tempesta èparagonata a quella di un malato che infinesi avvicina alla guarigione:

Come sembra cara ai figli la vita delpadre che gli deihanno guarito dal male dopo chegiacque soffrendoorrendi dolori e a lungo languì inpreda di un demoneodioso, così cara ad Odisseo sembròla terra e i suoi boschi 11.

Il Grmek1 2 osserva, quanto ai poemiomerici: La malattia è al di fuori della natu -ra: totalmente estranea all’uomo e dipen -dente solo dai capricci degli dei, sfuggeall’ordine naturale.

Questa visione della malattia, che ha lesue radici nell’età arcaica greca, giungeintatta al V secolo a.C. e con essa si deve

misurare la medici-na ippocratica, lai-ca e razionale, che,per la prima voltanella storia delpensiero greco,afferma la conosci-bilità delle causedella malattia, sot-traendole al mondomagico e religioso.

Quel trattato del Corpus Hippocraticum,intitolato Il Male sacro, di autore ignoto, masenz’altro molto vicino al pensiero ippocra-tico (se la mano non è di Ippocrate stesso),che rappresenta il “manifesto” della nuovamedicina che irrompe sulla scena nel Vsecolo a.C., non a caso è diretto a confutareuna delle credenze più radicate, quella cheil “morbo sacro” – l’epilessia – sia inviato ecausato da una forza sovrannaturale, miste-riosa, incomprensibile all’uomo. Unamalattia, questa, comunemente sentita “aparte”, in quanto in nulla assomiglia – rico-nosce anche il medico – alle altre. Non acaso è chiamata a livello popolare “sacra”,in quanto, nel comune sentire, essa è avver-tita come frutto di un intervento divino e,pertanto, è ritenuta tale da dover esserecurata con metodi diversi da quelli seguiti

10 Od., IX, 410.11 Od. V, 395-397.12 Grmek, 1983: 68 ss.

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dai medici. Questa è la diffusa opinione checombatte l’autore ippocratico: Mi sembrache questa malattia non siaaffatto più divina delle altre,ma che, come le altre malattiehanno ciascuna una causanaturale così anch’essa derivida una causa naturale, e cherisulti divina per lo stessomotivo per cui lo sono anchetutte le altre 13.

U n ’ a ffermazione perento-ria, che richiede però al medicoippocratico un grande impegnoa rgomentativo, poiché si trattadi controbattere una delle piùradicate e diffuse concezioni: diqui, la necessità di sviluppare un’attentaanalisi dei dati anatomici (e della correlatapatologia), connessi al morbo sacro, dei datifisiologici, dei fattori climatici, ambientali,individuali, legati alla dieta, all’età, un’ana-lisi d’ampio respiro, dunque, su cui si puòfondare un’interpretazione razionale dell’e-ziologia del morbo. Si tratta, conclude l’au-tore, di un’affezione del cervello (qui vistocome “l’interprete dell’intelligenza”), dovu-ta al flegma. Il flegma, una materia fluida,fredda e densa, è uno dei quattro canoniciumori che circolano nel corpo: se il suoflusso muta in qualità e in quantità, e si fada scarso abbondante, da freddo caldo, senon c’è depurazione, esso si raccoglie nel

cervello, che ne viene inondato. Il malatosubisce allora un attacco di epilessia. La

prova?

Nel bestiame che vieneattaccato da questa malat -tia e soprattutto nellecapre (che sono quelle col -pite più frequentemente)se apri la testa e la osservi,troverai che il cervello èmolle, pieno di liquido eche ha cattivo odore14.

Altro di più il medico nonpoteva dire. Il corpo umano è

intangibile, in età ippocratica,e, salvo una breve parentesi in età alessan-drina, la dissezione non fu praticata nelmondo antico1 5. Non è che l’idea di sezio-nare cadaveri per condurre determinatericerche non fosse presente tra V e IV s e c o-lo a.C. e tanto meno che non ne fosse avver-tita l’utilità. Ma il tutto si fermava sullasoglia del corpo umano, riguardando, sem-mai, solo il corpo animale, ed anche questoè incerto. Se infatti Calcidio, un filosofo deltardo IV secolo d.C. la cui traduzione delTi m e o di Platone ebbe larga fortuna in etàmedievale, afferma che Alcmeone, giovaneconcittadino e contemporaneo di Pitagora,fu il primo a praticare una dissezione, con-statando che la sezione dei nervi ottici in un

13 Si cita da Ippocrate, 1996: cap. 2.14 Cap. 11, 4.15 Cf. Vegetti, 1993: 86 ss.

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animale provoca la cecità, malgrado l’oc-chio resti intatto (questa osservazione gliavrebbe permesso di conclude-re che la sede delle sensazio-ni è il cervello e non il cuo-re), gli studiosi moderni sonotutt’altro che disposti adaccettare questa paternità,ritenendo, con il Lloyd16, chegran parte delle notizie dateda Calcidio vadano riferitead Erofilo, il grande biologoalessandrino che, di certo,praticò la dissezione, e forseanche la vivisezione, nonsolo su animali ma anche sucorpi umani1 7. Ma il ricercareattraverso un esame condottosu un animale di stabilire lecause di un decesso o di far luce sull’etiolo-gia di una malattia restò un fatto ecceziona-le. Dopo la breve esperienza alessandrina,questo accesso al corpo umano divenne dinuovo impossibile e, in età imperiale roma-na, Galeno fu costretto a consigliare ai suoiallievi di procedere con grande cautelaall’osservazione, quasi furtiva, dei cadave-r i1 8. Con Aristotele, in ogni modo, abbiamo

chiare testimonianze del fatto che la disse-zione su animali era un metodo di indagine

usato per condurre ricerche1 9, anchese un certo freno alla diff u s i o n edella pratica poteva venire daquella repulsione che A r i s t o t e l estesso efficacemente descrive:

Non si può non provare disgu -sto osservando di che cosa sonofatti gli esseri umani, sangue,carne, ossa, vene e così via 20.

Esistevano, però, altri fattori –e dovevano essere i più forti – chesi opponevano alla dissezione delcorpo umano, ed erano di naturareligiosa, quegli stessi che rende-

vano drammatico l’oltraggio dellanon sepoltura ad un corpo morto.

Al medico non restavano, quindi, chealtre poche strade per accedere alla cono-scenza dell’interno del corpo. In primo luo-go, il procedere per analogia tra il mondoanimale e il mondo umano, come nel caso,cui si è accennato, del cervello di un anima-le epilettico, metodo, però, che comportavaben più di un rischio, come ammette con

16 Lloyd 1982.17 La testimonianza ci viene da Celso, De medicina: Erofilo ed Erasistrato avrebbero praticato lavivisezione umana sul corpo di condannati a morte, consegnati a tale scopo dalle autorità; cf. von Staden1989.18 Galeno, Procedimenti anatomici, I, 2. In età romana, durissime furono le polemiche della settadegli Empirici contro lo studio dell’anatomia, e, quindi, delle pratiche di vivisezione e di dissezione; e ciòin nome dell’inutilità della ricerca dell’invisibile. Cf. Gourevitch, 1993: 127 ss.19 Cf. Lloyd, 1982: 109.20 PA 645 a 28 ss.

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onestà l’autore del trattato ippocratico S u l -la natura del bambino, a conclusione delladescrizione di un esperimento divenuto tan-to celebre che da Galeno adUlisse Aldrovandi fu più vol-te ripetuto, quello di seguire lacrescita dell’uccello spezzan-do un uovo di giorno in gior-no per comprendere lo svilup-po dell’embrione umano. Laconclusione a cui si giunge ècorretta nella misura in cui, ilmedico afferma, si può para -gonare la crescita di un uccel -lo a quella dell’uomo21.

Questo passaggio dall’ani-male all’uomo seduceva gliantichi greci, scienziati e pro-fani che fossero, osserva il Grmek2 2, ricor-dando il mito di Pelia ucciso impunementeda Medea che gli aveva fatto vedere comele fosse possibile fare ringiovanire un esse-re animato, gettando un montone a pezzi nelsuo calderone di erbe ed estraendone unagnellino. Non è tuttavia tanto il sogno del-la recuperata giovinezza che attira medici escienziati greci all’indagine sul corpo ani-male, quanto l’aspirazione legittima a quel-la conoscenza del corpo, che permette diriconoscerne le strutture e le condizionipatologiche, al fine di prevenire e curare lemalattie.

Nella pratica dei medici ippocratici, ilsecondo metodo consisteva nel dedurre dafenomeni esterni del corpo i processi inter-

ni ad esso. L’autore del trattatoS u l l ’ a r t e, che cerca prove sullaconsistenza degli umori internial corpo, non dubita che il medi-co debba intervenire forzando lanatura a svelare le sue proprietà:

Ma quando tali cose non sioffrono alla comprensione ela natura stessa non si disve -la spontaneamente, la medi -cina ha scoperto mezzi dicostrizione, con i quali lanatura è forzata, pur senzasuo danno, a rivelarsi [ … ] s i

costringe ad esempio la naturaa diffondere il flegma mediante l’a -credine dei cibi e delle bevande, cosìda avere qualche prova visibile intor -no a ciò che non era dato in nessunmodo di vedere23.

Lo aveva già detto un ignoto medico,autore dell’Antica medicina, il trattato digrande spessore metodologico, in cui sirivendica l’autonomia culturale e professio-nale (e la superiore capacità di intervenirenei processi patologici) della iatriké techne,

l’arte medica, rispetto alla filosofia2 4. In par-ticolare, la polemica viene condotta rispetto

21 Sulla natura del bambino, XX, 4.22 Grmek, 1966: 21.23 Sull’arte, VI , 24.24 Ippocrate 1998.

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alla filosofia della natura (la p h y s i o l o g i a) ,che pretende di spiegare i princìpi costituti-vi del mondo fisico e lanatura dell’uomo, sullabase di h y p o t h e s e i s,cioè postulati, chiu-dendosi in rigidi sche-mi dogmatici che ilmedico decisamenterifiuta, perché non liritiene adeguati a for-nire utili strumenti dicomprensione e diintervento, rispetto allepeculiari caratteristichedi ogni individuo.

Poco sa, però, il medico, nell’A n t i c am e d i c i n a, di che cosa si celi nell’interno delcorpo umano. Gli organi sono descritticome recipienti di varia forma, “cavi oespansi o duri e rotondi, o ampi e sospesi otesi o lunghi o compatti o rilassati e molli ospugnosi e porosi”, il cui funzionamento(sostanzialmente aspirare e attrarre liquidiin misuram a g g i o r e o m i n o r e) non può cheessere compreso a partire dall’esterno, ossiada ciò che è visibile25.

Le conoscenze anatomiche sono destina -te a restare sommarie nella medicina classi -c a2 6, nonostante certi progressi in età elleni -stica, dovuti, come si è già detto, alla breveed effimera possibilità di accedere all’inter -

no del corpo per via di dissezione (la descri-zione del sistema nervoso con Erofilo, la

scoperta delle val-vole cardiache conE r a s i s t r a t o )2 7 e iperfezionamenti dietà romana (Gale-no studia le ossa, imuscoli, i tendini, inervi, i gangli ner-vosi). Se il quadroanatomico manten-ne a lungo il suocarattere lacunoso– a parte una cono-

scenza abbastanzacompleta dell’apparato scheletrico – e percerti aspetti fantasioso (basti pensare all’er-rabondo utero), ancora più fantasiose eranole idee sul funzionamento interno deglio rgani del corpo: si ebbero successivi tenta-tivi di spiegare la funzione dei singoli feno-meni (la respirazione, la digestione, il con-cepimento) e dei singoli organi (il cervello,il cuore, i polmoni e così via), ma non sigiunse mai ad averne una visione org a n i c ae complessiva.

Lo scopo della medicina, scrive A r i s t o-tele, nell’Etica Nicomachea, è la salute2 8 ,

ma, egli osserva:

I l medico sembra non abbia di mira lasalute in sé, bensì quella dell’uomo, o

25 Ippocrate, 1998: cap. 22.26 Cf. Jouanna, 1993: 47 ss.27 Cf. Vegetti, 1993: 73 ss.28 EN 1094 a 8.

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meglio, anzi, quella di un uomo par -ticolare. Egli infatti cura individuiparticolari 29.

Nel pensiero ippocratico, la malattia,infatti, è assentecome fatto autono-mo; dietro la malat-tia, c’è il malato, nel-la sua realtà indivi-duale, che vive in untempo e in uno spa-zio ben determinato,che presenta caratterid i fferenziati e nonriconducibili ad unagenericità valevoleper tutti i casi3 0. Secosì non fosse, non si spiegherebbe “perchéil formaggio non disturba tutti allo stessomodo, ma vi sono alcuni ai quali giova”,osserva l’autore dell’Antica Medicina3 1

cogliendo un indizio divenuto giustamentefamoso, quello del diverso effetto del for-maggio sugli stomachi. Lo Jaeger3 2, checonosceva assai bene la medicina greca,così sintetizza il metodo ippocratico diindagine: un’analisi accurata della naturadell’uomo, l’enumerazione dei vari tipi, ladeterminazione di ciò che ad ogni tipo siconfà, in conclusione: una osservazione

lunga e precisa che dai casi singoli di carat-tere uguale giunge a fissare vari tipi e formedella malattia.

La patologia è umorale, dal momentoche la natura dell’uomo è definita come una

mescolanza equili-brata (k r a s i s)di unapluralità di umori,quattro nello sche-m a noto della N a t u -r a d e l l ’ u o m o s c r i t t aattorno al 400 a.C.da Polibo (sangue,flegma, bile gialla ebile nera); più diquattro umori o altriliquidi fondamenta-

li, in altri testi.Una teoria, questa, destinata ad avere

largo seguito nell’antichità, che Galeno poiriprenderà in un quadro sistematico, giun-gendo a dimostrare come la mescolanzadegli umori abbia un’incidenza sull’aspettofisico di una persona e sul suo carattere33.

Se l’equilibrio interno degli umori, siturba e si spezza, nella qualità e nella quan-tità, (e non sono irrilevanti a determinarequesto anche le condizioni esterne, l’am-biente naturale, le abitudini di vita, il regi-me dietetico, le condizioni del clima, accan-to alle predisposizioni naturali), è tutto il

29 EN 1097 a 13-15.30 Sulla nozione di malattia, cf. Di Benedetto, 1986: 11 ss.; Giurovich 2004.31 Ippocrate, 1998: cap. 20.32 Jaeger, 1967: 38 ss.33 Cf. Sassi, 1988: 160 ss.

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corpo che viene colpito. Al medico spetta ilcompito di riportarlo alla salu-te, ristabilendo lak r a s i s c o m-plessiva, pur con la piena con-sapevolezza dei limiti dellasua arte: la novità della medi-cina ippocratica sta proprio inquesto intendere la malattiacome squilibrio di un insiemearmonico di elementi, le cuicause, esterne ed interne, sonoidentificabili e, quindi, nonattribuibili ad un interventodivino. Le malattie, sebbenespezzino l’armonia originariadell’uomo, fanno in ogni modo parte dellanatura e, come nota acutamente H. Ey3 4, nonsono più un effetto di “impurità” indotte daforze malevoli o che comunque sfuggono al“circuito naturale”. Grazie alla physis35 (“lanatura”), escludendo ogni forza esterna, ilcomportamento di ogni organismo diventacoerente, intelleggibile, prevedibile, perchése esso fosse determinato o influenzato da

forze esterne, magiche o spirituali, i proces-si vitali avrebbero aspetti didisordine e di irregolarità e lapratica medica sarebbe impos-sibile o altrettanto caotica.Ogni uomo ha una physis,frutto di un processo continuodi k r a s i s tra gli elementi che locompongono e i flussi che loattraversano in entrata e inu s c i t a, ma le regole di taleinterazioni sono comuni a tut -ti gli uomini ed è proprio que -sto che permette di definire la

nozione di a n t h ropine physis3 6,di “natura umana”. E il medico sa che il suosapere deriva dalla complessiva considera-zione dell’universale (l’uomo) e del parti-colare (il singolo uomo)37.

Non che il divino sia assente dall’oriz-zonte ippocratico38.

L’autore del Male sacro, il più impegna-to, come si è detto, a polemicamente dimo-

34 Ey, 1981: 225.35 L’idea di natura presenta, quale appare attorno al VI secolo a.C nel pensiero filosofico greco, dueaspetti complementari: si tratta della natura universale, da un lato, e, dall’altro, della natura di ogni spe-cie, di ogni individuo e di ogni singola parte di ogni organismo. Per il medico ippocratico, la natura del-l’uomo si declina al plurale, in una diversità di tipi e di categorie: ciò è esplicitamente affermato in Regi -me III, 67. 36 Giambalvo, 2002: 75.37 Epidemie I, 23.38 Cf. Jouanna, 1988: 91-113. In una serie di trattati, ritorna il terminet h e i o n, tradotto, non senzaincertezze, con divino. In particolare, continua ad essere oggetto di discussione il consiglio dato ai medi-ci che si incontra nel Prognostico, di ricercare “se c’è qualcosa di divino” nelle malattie di cui si occupa-no. Come si deve intendere questa affermazione? Ci sono malattie che sfuggono alla terapia del medico?Lo Jouanna (1994: 185 ss.) ritiene che coesistano, nel medico greco, un’attitudine razionale e il rispettoper la religione tradizionale.

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strare che le malattie sono un evento natu-rale, e che, come ogni altro fatto naturale,hanno cause determinate econoscibili, si esprime atal proposito con grandechiarezza: tutte le malat-tie sono divine, ma nelsenso che tutta la natu -ra è d i v i n a e, quindi, lemalattie, che apparten-gono al mondo naturale,sono anch’esse nellastessa misura e naturalie divine: nulla accade,infatti, che non siariconducibile alla natura39.

Questo medico, che vigorosamentea fferma la superiorità della sua arte nel dia-gnosticare e curare, rispetto agli interventidei magi e dei purificatori, degli accattoni edei ciarlatani, che si ammantano della divi -n i t à4 0 e pretendono di curare il male permezzo di purificazioni, incantamenti, cheimpongono divieti ed interdetti (da determi-nati cibi o da comportamenti), sa che il divi-no esiste, ma rifiuta di credere che il corpodell’uomo possa essere contaminato dalladivinità, cioè che l’elemento più corruttibi -le possa essere contaminato da quello piùpuro41. Gli dei vanno resi propizi, perché lasalute è un bene prezioso, con la preghiera

e con i sacrifici, non vanno piegati con laviolenza42.

Il medico ippocrati-co, tuttavia, non igno-ra la forza dell’inter-vento magico-religio-so. La storia dell’artemedica, come scien-za della salute, conti-nua per tutta l’etàclassica ad intrecciar-si con la storia dellamedicina magica edella medicina deltempio e mai la medi-

cina razionale riuscì ad imporsi come unicastrada che si offriva all’uomo antico (comedel resto altre strade continuano ad off r i r s ia quello moderno) per tentare di superare lamalattia43.

Curiosamente, ma non tanto, i diversipercorsi talora si incontrano4 4. Medico emago, ad esempio, possono usare a scopoterapeutico le stesse erbe, il primo perchéad esse attribuisce qualità purgative oastringenti, il secondo, perché in esse rico-nosce i benefici che derivano dalle leggi disimpatia e di antipatia, proprie della magia;i farmaci sono gli stessi, diverso è il quadrodi riferimento. E così anche per le prescri-zioni alimentari: il mago vieta all’epilettico

39 Cf. anche Arie acque luoghi, cap. 22.40 Il male sacro, cap. 11.41 Il male sacro, cap. 44.42 Il male sacro, cap. 39-43.43 Edelstein, 1967: 205-246.44 Cf. Lanata, 1967: 55 ss.

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di mangiare alcuni pesci, ad esempio la tri-glia o l’anguilla, o alcune carni, tracui quelle di capra o di maiale, oalcune verdure, la menta, l’aglioe la cipolla, in nome della cau-salità magica, e il medico con-sente su tali divieti, ma in nomedelle proprietà dei cibi, troppo“forti” o “pungenti”, controindi-cati per il malato.

E il dio Asclepio, che appareai malati che accorrono ai suoitempli nel sogno portatore dis a l v e z z a4 5, con la sua valigetta,gli strumenti, le prescrizioni,sembra che abbia “studiato” damedico: opera con grande destrezza(la sua mano non può non essere realmentemiracolosa), consiglia rimedi, intervienecon la stessa sapienza di un medico4 6. Undio, Asclepio, il “più mite, più capace dilenire le sofferenze, più miracoloso, piùfilantropico di tutti”4 7, un dio che proprioper queste sue caratteristiche avrebbe tena-cemente a lungo resistito alla crisi del paga-nesimo. E, d’altra parte, Asclepio è il “fon-datore dell’arte medica”, così si esprime nelS i m p o s i o4 8 il medico ateniese Erissimaco edIppocrate è un appartenente alla famiglia

degli Asclepiadi di Cos, nel cui interno sitrasmetteva la conoscenza medica

per via orale, di generazionein generazione.

Medicina magica e medi-cina incubatoria rappresenta-no, nel mondo antico, tuttavia,qualcosa di più di una medici-na da casi disperati, di un’ulti-ma spiaggia cui si poteva farericorso quando la medicinalaica falliva4 9 (il che ovvia-mente quasi sempre avveniva,anche per la limitatezza deimezzi diagnostici e terapeuti-ci): lo provano la tenace fortu-

na e, in definitiva, anche la conti-nuità di queste concezioni e di questi atteg-giamenti tra mondo classico e mondomedievale e moderno.

Può la malattia del corpo diventaremalattia dell’anima o, viceversa, la sanitàdel corpo essere anche sanità dell’anima?50

Per il medico ippocratico, l’anima è del-la stessa sostanza del corpo, in cui è rac-chiusa, solamente è di composizione piùsottile, come un pneuma o un soffio, chepuò essere aria per l’autore dei Venti o ele-

45 Guidorizzi, 1985: 71-81.46 Così nel P l u t o di Aristofane e negli I a m a t a, i racconti di guarigioni miracolose incisi nelle steledel santuario di Epidauro.47 Cf. Lanata, 1967: 74.48 Platone, Simposio 186 e.49 Sul medico gravava naturalmente la responsabilità dell’insuccesso, fatto che spesso induce acautela nelle prognosi e, talora, a non intervenire su casi giudicati incurabili, cf. von Staden, 1990: 75-11 2 .50 Su questi problemi, il testo di riferimento resta Pigeaud 1981.

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mento caldo nelle C a r n i o una miscela diacqua e di fuoco per il R e g i -m e5 1. Se una stessa materia-lità accomuna corpo e ani-ma, è comprensibile chemalattie del corpo possanoestendersi all’anima o,viceversa, malattie dell’ani-ma trasferirsi al corpo, alpunto che di certe malattie,scrive qualche autore ippo-cratico, è difficile stabilirese esse abbiano avuto origi-ne dal corpo o dall’anima,mentre, in altri casi, il rap-porto è evidente.

Generalmente – leggiamo nelleEpidemie – i melanconici sono solitidiventare epilettici e gli epiletticimelanconici. Ciascuno di questi duestati cresce in rapporto con la dire -zione presa dalla malattia, se verso ilcorpo epilessia, se verso la mentemelanconia52.

Di conseguenza, il medico deve tener

conto, nel prescrivere una terapia, sia dellostato del corpo, sia dello stato del-l ’ a n i m a5 3 e, considerata la strettaconnessione tra corpo e anima, puòperfino tentare di ingenerare unareazione psichica per cercare digiovare alla parte fisica del malato:un attacco di collera fa riacquistareil colorito e diffonde gli umori5 4, facontrarre su se stessi cuore e pol-moni e attira in testa il caldo e l’u-mido55; ed analoghi effetti hanno lagioia, la paura, il buon animo etc.

Il presupposto teorico della con-vinzione che tra anima e corpo esi-

sta una profonda corrispondenza è enuncia-to da Aristotele negli Analitici primi5 6 o v eappunto si coglie l’affermazione di una“relazione di interdipendenza tra anima ecorpo, per cui il corpo diventa un sistema disegni da decodificare”5 7 al fine di poter infe-rire dal segno sensibile la relativa aff e z i o n einterna. Da tale tronco germoglia una t e c h -n e, che medica non è, ma che si colloca alconfine dell’area medicale: la scienza fisio-gnomica58.

51 Cf. Hankinson, 1991: 166-193.52 Epidemie, VI, 8, 31.53 Cf. Kudlien, 1968: 1-20.54 Epidemie, II, 4, 4.55 Epidemie, VI, 5, 5.56 Arist. Analyt. Prior., II 70b ss.57 A questa scienza gli antichi hanno dedicato molti sforzi, a giudicare dai tanti testi e dalla lar-ghissima fama che per tutta l’antichità accompagnò uno di essi, la F i s i o g n o m i c a attribuito ad A r i s t o t e l e ,testo che, in realtà, è databile solo al III a.C. Cf. Raina, 1993: 20.58 In quel V secolo a.C. che vide sorgere e svilupparsi la t e c h n e medica, una tale concezione nonpoteva non svilupparsi in contiguità con la scienza medica, trovando conferma nella formazione materia-listica della medicina ippocratica e di gran parte del sapere presocratico. Che questa corrispondenza tra

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Non a caso il termine p h y s i o g n o m i acompare per la prima volta in un testomedicale, le E p i d e m i e5 9, testodatabile alla fine del V s e c o l oa.C., ed Ippocrate, per Gale-no, viene considerato l’in-ventore, il p r o t o s e u r e t é sanche di questa t e c h n e ( d e lresto il metodo che sta allabase della fisiognomica èquello semiotico, che caratte-rizza le t e c h n a i del V s e c o l oa.C., dalla medicina allaricerca storica). Per Galeno,anzi, la fisiognomica diventaun indispensabile supportoalla medicina, in quanto per-mette di cogliere nella realtà delcorpo i segni che gli consentono di dedurreciò che non vede, in forza del nesso che sistabilisce tra aspetto fisico, lo stato di salu-te, presente e futuro, e il carattere della per-sona. Ma già l’autore delle Epidemie avevaosservato: gli individui rossi, con il nasoappuntito, gli occhi piccoli, sono malvagi[ … ] gli individui con gli occhi bruni, icapelli rossi, il naso appuntito, diventeran -no idropici, a meno che non siano calvi60.

L’anima, tuttavia, può essere colpita damali propri a lei sola e, per il medico antico,

alcuni sintomi riguardano solola parte psichica: l’intempe-ranza nel bere e nel mangiare,nel dormire o nello stare sve-gli, ad esempio, è intesa dal-l’autore di U m o r i6 1 come unsegnale fisico di un malesserepsichico; c’è una priorità psi-chica di alcuni sintomi, quin-di, rispetto alla loro visibilemanifestazione fisica, cosìcome esistono relazioni psico-somatiche: alla paura, allav e rgogna, al dolore, all’ira, atutti i sentimenti c o r r i s p o n d e

attraverso l’azione la parteappropriata del corpo, ad esempio, sudori,palpitazioni cardiache e così via.

Non c’è, tuttavia, nel pensiero ippocrati-co l’idea di un’anima costretta nel corpo6 2

(come si trova in Platone l’idea del corpo“tomba” dell’anima, fonte di passioni, distoltezze, di paure che impediscono all’ani-ma di protendersi verso l’essere e di eserci-tare le sue funzioni63). Anzi: vi è un rappor-to mutuo e scambievole tra queste due enti-

corpo e anima crei una relazione di interdipendenza tra il carattere della persona e il suo aspetto esterio-re, è antica persuasione che giunge al mondo greco dal mondo babilonese, in cui la fisiognomica è scien-za codificata, che dall’osservazione dei tratti caratteristici del fisico trae indicazioni sul suo futuro. Cf.Raina, 1993: 9 ss.59 Epidemie, II, 5, 1.60 Epidemie, loc. cit.61 Umori, 9.62 Cf. Wright - Potter, 2000: 13-35.63 Questa concezione è presente in più dialoghi, dal Fedone al Gorgia al Cratilo al Fedro; cf. Rea-le, 1999: 209 ss.

64 Problematica è la definizione della sede dell’anima: in tutto il corpo (R e g i m e), nel sangue (V e n -ti) e nel cuore (Cuore).65 Così in Regime, I, 25; II 60, 62.66 Cf. Jouanna, 1966: 15-18.67 Regime, IV, 80, 89.68 Jaeger, 1967: 76. 69 Platone, Repubblica, III 403 d.

• 57 •Salute del corpo e salute dell’anima nella Medicina di Età classica, G. Poma

tà, al punto che, se l’anima muovendosientro i confini del corpo6 4 per varimotivi rallenta la sua corsa, ilcorpo si indebolisce; se il corposi raffredda, anche l’anima sirarefà fino a scomparire6 5. E seuna gerarchia tra le due parti vatrovata, questa vede l’animaprevalere sul corpo; il corpoinfatti ha bisogno dell’anima perprovare sensazioni e pensieri,l’anima non ha invece bisognodel corpo, dal momento che pos-siede, di per sé, una sorta di senso internodel tutto autonomo6 6: l’anima vede senza gliocchi del corpo67.

L’uomo è, dunque, un equilibrio di strut-ture parallele: anima e corpo posseggono lastessa materialità e sono necessari l’unoall’altra. Non c’è salute del corpo senzasalute dell’anima, né guarigione del corposenza guarigione dell’anima, e viceversa.Se si spezza l’accordo, c’è malattia.

Se equilibrio e armonia costituisconol’essenza della perfezione fisica, come,parimenti, rappresentano l’essenza dellasalute, ecco, scrive lo Jaeger6 8, che il con-cetto di salute si dilata ad un significato uni-versale di valore: in ogni campo, e q u i l i b r i oe armonia sono le forze di fondo capaci diprodurre il buono e il giusto, mentre lo

squilibrio turba e distrugge, il corpo comel’anima, le città come i popoli.

Platone, nella sua ampiariflessione sulla salute dell’ani-ma e del corpo, giunge ad unaconclusione di grande nettezza.Non si può avere un corpo sanosenza un’anima sana; la salutedell’anima è condizione neces-saria per la salute del corpo:

Non mi risulta che un cor -po in buona forma possa

rendere buona l’anima in gra -zia della propria virtù; viceversa,un’anima buona, per sua stessa vir -tù, può perfezionare il corpo in misu -ra straordinaria69.

La bellezza del corpo è anche bellezzadell’anima?

La bellezza del corpo è dono divino, tan-to raro e apprezzato che, di fronte ad Elena,perfino le tragedie di una guerra trovanogiustificazione.

Non ci si può lamentare che dei popolicombattanoper una tale donna.

Così sospirano i vecchi di Troia.Se la bellezza è data dagli dei, l’uomo

• 58 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

può solo riprodurla. In tal senso, il necessa-rio chiarimento teorico avvennecon Policleto, lo scultore d’Ar-go, che, nella seconda metà delV secolo a.C., per primo fissò leregole del suo lavoro attraversolo studio minuzioso del corpoumano e raccolse le sue notazio-ni in un’opera (per noi perduta,salvo qualche frammento) chepiù tardi ricevette il nome diC a n o n e, la squadra. Da buongreco, osserva a ragione il Pohlenz7 0, Poli-cleto cercò il bello nel giusto mezzo, in uncorpo dalle misure equilibrate; l’essenzadella perfezione venne trovata nella perfet-ta proporzione e nell’esatto rapporto tra lesingole membra tra loro e con l’intero org a-nismo. Giustamente Plinio7 1 riconosce aPolicleto il fatto d’essere stato “l’unico adavere teorizzato l’arte con un’opera d’arte”,il Doriforo, offrendo una traduzione inbronzo dei princìpi da lui affermati (e delDoriforo, in effetti, si coglie la modularitàdella figura, i cui elementi presentano tuttiuna misura riconducibile ad una unità dibase, il modulo).

Uno studio così minuzioso del corpopresuppone un procedimento che ricordaquello del medico, unito al rigore propriodel matematico; infatti, ciò che attua Poli-cleto è il passaggio dall’accumulo dei dati

tratti dall’esperienza alla definizione deiprincìpi d’ordine gene-rale, come il medicoippocratico insegnavafin dal V secolo a.C.:non si tratta di solateoresi né di puraricerca di procedureempiriche, ma diun’unione paritaria eobbligata delle due7 2.Policleto che con una

serie di precise misurazioni determinò i rap -porti matematici che nella figura idealedevono intercorrere tra dito e dito e tra ledita e la mano, tra la mano e il braccio73 noninnova, dunque, ma applica, con una note-vole sensibilità per l’armonia e la propor-zione, un procedimento che era già familia-re al medico greco, quello dell’osservare,del calcolare, del rapportare.

Del resto, la medicina della secondametà del V secolo a.C. aveva acquisito unaconoscenza della struttura ossea del corpoumano sufficientemente corretta7 4: mancavaancora il lessico dettagliato al medico perindicare le varie parti di un braccio o dellagamba, i termini non erano tecnici, ma pre-si dall’uso comune o costituiti da perifrasi(la tibia è l’osso di dentro, il perone è l’os-so di fuori) perché lo sviluppo della scienzamedica è stato più rapido dello sviluppo del

70 Pohlenz 1976.71 Plin. Nat. hist., XXXV, 55.72 Pohlenz, 1976: 469 ss.73 Pohlenz, 1976: 470.74 Un trattato ippocratico come Fratture ed Articolazioni lo testimonia con chiarezza.

• 59 •Salute del corpo e salute dell’anima nella Medicina di Età classica, G. Poma

linguaggio in senso tecnico-s p e c i a l i s t i c o7 5, ma le descri-zioni delle ossa, quanto allaloro lunghezza e ai rapportireciproci tra di esse (adesempio, tra braccio eavambraccio), alle articola-zioni e alla loro diversità(tra gomito e ginocchio), alla natura com-plessa delle singole parti (la mano o il piededescritti nelle singole ossa), alla forma del-le vertebre e ai loro legamenti “viscosi enervosi”, alla spina dorsale e alle sue defor-mazioni, erano dettagliate, frutto di un’at-tenta ripetuta osservazione e misurazione.

Per Aristotele, qual-che decennio più tardi,la bellezza non può nonincarnarsi che in ungrande corpo, giacchè ipiccoli saranno graziosie proporzionati, ma nonb e l l i, così come la

magnanimità è indisgiungibile dalla gran-d e z z a7 6. Il lodatore della medietà qui rinne-ga se stesso, in nome della grandezza del-l’anima che non può non albergare in ungrande corpo (dimentico forse che Socratealbergava un’anima bella77 in un corpo sen-za grazia?).

75 Di Benedetto, 1986: 226.76 Arist., Etica Nicomachea, 1123 b 8-9. 77 Platone, Carmide , 154 e.

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How the Sicilian philosopher Empedocles (Akagras 490-430 B.C.), transported intothe XVIIIt h century and introduced to Christian S. F. Hahnemann, could have inter -preted Homeopathy? Using his four elements model (fire, earth, water and air),Empedocles would have developed an interesting point of view on Homeopathy: thescience of Nature’s messages.

L’omeopatia

’omeopatia inizia con Chris-tian Samuel Friedrich Hah-nemann, medico tedesco

nato a Meissen nel 1755. Nel 1779, unavolta laureatosi, egli si trova ad esercitarela medicina nel periodo in cui i barbieric h i r u rghi, reduci dalle guerre napoleoniche,strappano denti, tagliano, amputano esalassano in un delirio terapeutico e stermi-natore. Nella sola Germania si vendono, inquest’epoca, milioni di sanguisughe. Lamedicina è il bersaglio preferito di comme-diografi, libellisti e librettisti che rappre-sentano il medico al livello di un pagliaccioda circo.

Hahnemann inizia così la sua carrieramedica arrivando a una discreta fama che loporta a far parte della Accademia Econo-mica di Lipsia e della Accademia delleScienze di Magonza. Ma la fama non lo

stordisce. Dopo una decina d’anni di pro-fessione medica, un bel giorno, colto da unaforte crisi di coscienza, caccia tutti i suoiclienti e chiude bottega, totalmente c o n v i n -to della sua incapacità di guarire la gente.

Per vivere inizia allora a tradurre libri dimedicina, continuando a meditare sull’in-capacità curativa della stessa finché, tra-ducendo un famoso trattato di farmacolo-gia, alla voce “Chinchona”, cioè l’estrattodella corteccia della china, viene colpitodalla similitudine dei sintomi della malariae quelli degli operai addetti alla lavorazionedella corteccia.

Questo momento segna per Hahnemannuna tappa fondamentale della sua vita. Egli,colpito dalle diverse ipotesi con le quali sicercava di spiegare il fenomeno, decide disperimentare su se stesso gli effetti delchinino assumendo per cinque giorni duegrammi di china due volte al giorno. Quale

L’Omeopatia secondo Empedocle

di Michele Bellin

Ingegnere

• 62 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

la sorpresa nel constatare che, ogni giorno,alla stessa ora, era preso da febbri intermit-tenti: la China, usata per curare le febbriintermittenti, era quindi in grado di produrrele febbri che guariva. Hahne-mann comincia da quelmomento a sperimentare varifarmaci su se stesso, sui suoifigli e sui suoi allievi.

Nell’arco di quarant’anniegli sperimentò una sessantinadi farmaci tra i quali oppio,mercurio, arsenico, oro, petro-lio etc., annotando ogni volta isintomi provati. Ne risultò unaPatogenesia del rimedio dallaquale concluse che i farmaci,qualora provocassero dei sintomi, questicoincidevano con gli stessi sintomi chepotevano curare.

Tali sostanze, in grado di procurare sin-tomi coincidenti con quelli curati, vennerochiamate “medicine omeopatiche” (dal gre-co ó m o i o s,simile e p á t h o s, malattia).

Vi è da notare che tra i sintomi registrativi erano anche indicazioni sulle alterazionipsichiche ed emotive a cui il soggetto sanoandava incontro a causa dell’assunzionedella sostanza omeopatica. Tale fatto com-porterà lo spostamento dell’attenzione dal-la malattia, con i suoi sintomi, al malato nelsuo complesso.

Rimaneva comunque un problema: lequantità di farmaco che venivano sommi-nistrate dai medici dell’epoca erano tali daessere vicine ai livelli di intossicazione.Hahnemann, provò allora a diluire sempredi più le sostanze, scuotendo i flaconi per-ché vi fosse una dispersione omogenea del

farmaco. A questo punto fece la sua s e c o n -da scoperta: egli notò che invece didiminuire la loro potenza curativa, lesostanze così diluite, ampliavano il loro

e ffetto terapeutico e, quandovenivano sperimentate nell’uo-mo sano, spesso provocavanodei sintomi contrari a quelliprovocati allo stato puro.

Dalla seconda scoperta nontardò a venirne fuori una terza:se i farmaci non venivano agi-tati vigorosamente tra unadiluizione e la successivaquesti perdevano i loro poteriterapeutici.

L’ultima cosa da notareriguarda il livello di diluizione delle medi-cine omeopatiche: ogni diluizione successi-va utilizza un rapporto di uno a cento (unaparte di sostanza e cento parti di diluente).Già nella seconda diluizione, la sostanzaoriginale è diluita di un fattore 100*100 =10.000. La presenza della sostanzaomeopatica originale si può ancorariconoscere con un contatore Geiger finoalla nona diluizione: 100*100*100* etc. pernove volte. Dopodiché, dopo la nonadiluizione, non vi sono strumenti in gradodi rivelare traccia della sostanza originale.Ebbene, nella preparazione della medicinaomeopatica si usano normalmente t renta o

p i ù diluizioni. Dov’è andata a finire lamateria originale? Dopo trenta diluizioni ilrapporto tra solvente e soluto è di 10/60:dieci seguito da sessanta zeri!

Riassumendo, un medicinale omeopati-co si basa su:

a) L’impiego di una sostanza, la cui

• 63 •L’omeopatia secondo Empedocle, M. Bellin

omeopaticità è stata verificata sperimental -mente su individui sani.

b) La diluizione progressiva ditale sostanza a livelli di concen -trazione non più misurabili stru -mentalmente.

c) La dinamizzazione delpreparato dopo ciascuna diluizione.

Introduzione al modello filosofico

Il progetto dei primi filosofi, ofilosofi della natura, era quello dicapire il funzionamento della natu-ra e dei suoi processi. L’uomo, per loro, erauna parte integrante della natura e ladomanda fondamentale non riguardavacome il tutto fosse stato creato. Secondoloro, infatti, era scontato che qualcosa fossesempre esistito. I filosofi greci si chiede-vano invece come l’acqua potesse trasfor-marsi in un pesce, la terra in un albero e unbambino nascere e crescere nel ventre dellamadre. Queste erano le domande che siponevano i presocratici. Essi volevanocomprendere ciò che avveniva in naturasenza far ricorso ai miti tradizionali e cer-carono di interpretare i processi naturali stu-diandoli direttamente.

Per fare ciò essi dovettero creare deimodelli astratti rappresentativi della Natu-ra e dei suoi Processi. Ciò non costituisceun approccio esclusivo dei filosofi di allo-ra, ma è bensì caratteristico di tutte lescienze quali la nostra fisica e matematicache definiscono e utilizzano sistemi sim-bolici sia per fornire spiegazioni teoriche difatti riscontrati sul piano reale, sia perdefinire teorie che verranno eventualmente

smentite o confermate da altre teorie e/ofuture esperienze.

Tornando ai nostri preso-cratici, il primo a fornire un’in-terpretazione della Natura edelle sue leggi in termini diquattro elementi fu Empedocle(Agrigento 490-430 a.C.).

Secondo Empedocle lanatura è costituita da quattroradici identificate con: terra,aria, acqua e fuoco. Tutti imutamenti in natura sonodovuti al mescolarsi e al sepa-

rarsi di tali radici. Ciascuna cosa esistente ècostituita da una mescolanza di queste radi-ci, o elementi, che sono sempre contempo-raneamente presenti in ogni cosa. Ciò checaratterizza una cosa dall’altra è la diversaproporzione secondo la quale gli elementivengono a mescolarsi in essa: un uomo euna pietra sono costituiti dagli stessi ele-menti, ciò che cambiano sono solo le quan-tità e le proporzioni.

Vediamo di fare un esempio cercando diragionare secondo il modo degli antichi:poiché ogni cosa è costituita dai quattro ele-menti anche un semplice pezzo di legnodeve essere costituito da terra, acqua, aria efuoco e lo si vede quando il legno brucia:dentro il legno vi è fuoco perché quando illegno brucia il fuoco viene da lì dentro efugge verso l’esterno. Dentro il legno vi èacqua che produce il crepitio e lo scoppi-ettare. Dentro il legno vi è aria la quale salesotto forma di fumo. Dentro il legno vi èterra che è la cenere che rimane dopo lacombustione.

Ogni cosa, pur contenendo ciascuno

• 64 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

degli elementi, lo contiene però in pro-porzioni diverse cosicché, ad esempio, unadata materia quale l’aria che respiriamo, sidice impropriamente che èaria in quanto si dovrebbedire che essa è p r e v a l e n t e -m e n t e aria. Il fumo è aria inquanto p r e v a l e n t e m e n t e a r i apur contenendo anche glialtri elementi (calore, umi-dità, materia grossolana).

Secondo Empedocle cidovevano essere due forzeagenti sugli elementi: A m o r eo Amicizia e Odio o Discor-dia dove, la prima, favoriscel’unione degli elementi,mentre, la seconda, nefavorisce la separazione.Empedocle giunge quindi aduna distinzione fondamentale: la distinzionetra elementi primari e forze della natura.

Al modello filosofico è stata associatanel seguito una simbologia che abbinava adogni elemento un simbolo grafico:

Un triangolo con il vertice verso l’altoper il fuoco;

Un triangolo con il vertice verso il bassoper l’acqua;

Un triangolo con il vertice verso l’alto euna barra orizzontale per l’aria;

Un triangolo con il vertice verso il bassoe una barra orizzontale per la terra.

Un particolare non trascurabile è che lasovrapposizione dei due triangoli del fuocoe dell’acqua origina una figura simile allaStella di Davide o Sigillo di Salomone(Salomone è noto per la sua leggendaria

equità). Tale simbolo rappresenta così lapacificazione degli opposti: Acqua e fuocoriuniti assieme. Si noti che, grazie alla

sovrapposizione dei sim-boli contrari, si vengono aformare anche i simbolidell’aria e della terra.Come a dire che, graziealla pacificazione deglielementi opposti, si ha lamanifestazione completadella Natura.

Ciascuno dei quattroelementi viene caratterizza-to da una coppia di qualitàcome nello schemaseguente:

Il fuoco è caldo e secco;La terra è fredda e secca;

L’acqua è fredda e umida;L’aria è calda e umida.

Riportando i simboli all’interno di uncerchio quadripartito, e riportando le quali-tà relative otteniamo la rappresentazioneriportata più avanti.

Ricordando che, in natura, ogni cosa ècostituita da una combinazione dei quattroelementi dove, per ciascun corpo conside-rato, uno degli elementi prevale sugli altri esi ha che un corpo caldo e secco potràessere considerato prevalentemente forma-to da fuoco.

Ogni cosa, in natura, può essere quindirappresentata da una figura geometricachiusa, inscritta nel cerchio, e compren-dente, al suo interno, il centro del cerchio.L’area occupata in ciascuna delle quattroparti del cerchio sarà rappresentativa della

• 65 •L’omeopatia secondo Empedocle, M. Bellin

quantità di un dato elemento presente nellacosa in questione. Poiché infinite sono leforme geometriche inscrivibilinel cerchio, infinite sono lecose così rappresentabili.

Pertanto, con tale meto-do, si possono rappresentaretutte le cose appartenenti allanatura manifesta.

È utile, a questo punto,riflettere sul fatto che, anco-ra agli inizi del nostro secolola scienza ragionava in termi-ni di soli tre elementi: elet-troni, protoni e neutroni e diforze quali i campi elettro-magnetici e i campi gravita-zionali. Nel seguito si sonounite altre forze e gli dei fisi-ci teorici sono tutti concentrati nel tentativodi ricavare la legge unica che riunisca levarie forze all’interno di un solo modello:quello della forza forte di ogni forza per dir-la alla Ermete Trismegisto.

Torniamo al nostro modello e vediamocosa dice Empedocle, nascosto sotto ilnome di Pandolfo, nella Turba dei Filosofi:

Dichiaro ai nostri successori, chel’aria è più sottile dell’acqua, e chenon si separa da quella. Se non fossecosì, la terra non resterebbe sopral’acqua umida. […] È l’aria, nasco-sta sotto la terra, che sostiene la ter -ra, in modo che non si sommerga nel -l’acqua che le sta sotto, ed èquest’aria che fa sì che la terra nonsia inumidita dall’acqua. L’ariadunque è tale da colmare e separarecose diverse, cioè acqua da terra e da

accordare cose avverse, come acqua efuoco, e da separarle perché non si

distruggano vicendevolmente.

Quindi, secondo l’opinione diEmpedocle, l’aria è il m e d i a t o r eper eccellenza e, come con-seguenza, ogni mediatore èun’aria come vediamo dallaseguente descrizione del sem-plice uovo:

Il guscio, che appare, è la ter -ra, e l’albume l’acqua. Alguscio però è unito un sot -tilissimo involucro che sepa -ra la terra dall’acqua, che èaria che divide la terra dal -l’acqua [...]

Pertanto, concludendo la nostra lungadisquisizione sugli elementi, possiamoaffermare che non sono solo le qualità (cal-do, freddo, umido e secco) di una data cosaa determinarne l’elemento principale, maanche il ruolo che la cosa ha in rapporto allealtre con cui interagisce direttamente!

L’ultimo discorso, relativo al modellofilosofico, riguarda, in breve, il metodoattraverso il quale avviene la trasfor-mazione di un elemento in un altro: latrasformazione di un elemento in un altroavviene tramite l’applicazione al primo ele-mento della qualità caratteristica del secon-do che è opposta a quella del primo.

Ovvero, ad esempio, un fuoco, che è cal-do e secco, può essere trasformato in unaterra applicando ad esso la qualità freddatale per cui da caldo e secco divenga freddoe secco.

• 66 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

Omeopatia e filosofia

Veniamo ora alla conclusione con l’in-terpretazione dell’Omeopa-tia secondo la chiavefilosofica appena descritta.

Nella preparazione di unmedicinale omeopatico,come abbiamo visto, siparte da una sostanza madreche è una terra, data la suafissità e le qualità relative:freddo e secco. Tale terrasubisce una prima trasformazione attraver-so la diluizione: essa viene dunque trasfor-mata in un’acqua fredda e umida. Successi-vamente, la sostanza così ottenuta, vienesottoposta a una serie di energiche succus-sioni o dinamizzazioni che la sottopongonoall’azione di un calore energetico (non fos-se altro che quello ottenuto dall’agitazionemolecolare). Si ha così la trasformazione diun’acqua in un’aria (che pur rimane ancoraun’acqua dal punto di vista dell’apparenza).

Ora, nessuno impedisce di considerarequest’aria come se fosse ancora una terra,

ovvero ancora una sostanza inerte. Eccopertanto che l’omeopata effettua una nuovaapplicazione delle operazioni di diluizione

e dinamizzazione. E così,reiterando tale processo inuna sorta di c o o b a z i o n ee n e r g e t i c a, per un grannumero di volte.

Al termine della serie dio p e r a z i o n i ,c i ò che si ottieneè ,dal punto di vista filosofi-co, un aria che, per quantodetto precedentemente, co-

stituisce il mediatore per eccellenza. Empedocle avrebbe pertanto concluso

che il medicinale omeopatico può esserevisto come un mediatore. In particolarecome un mediatore tra le proprietà posse-dute della sostanza madre e l’individuoa ffetto da una data patologia. Ed è propriograzie a questa funzione di mediazione chela medicina omeopatica trasmette all’indi-viduo non la sostanza contenente il princi-pio curativo, ma il solo principio curativocontenuto in origine nella sostanza. Il mes-saggio della lettera e non la lettera.

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Stregoni, guaritori e ciarlatani

di Filiberto Ponzetti

Specialista in Terapia fisica e riabilitazione

In the present article the Author tries to warn the reader of medicinal charlatans,who take advantage of the vulnerable people. He traces the history of the beginningsof the Art of Medicine underlining the fact that patients had to follow an initiato -ry rite, being first stripped and purified before treatment.

nterpretare i segni ed i sintomi inmedicina è condizione fondamen-tale per una corretta ed adeguata

terapia da intraprendere.

Chi per primo dovrebbe dare le indica-zioni necessarie, se in condizione di poterlofare, sarebbe proprio il soggetto affetto dapatologia; in tal modo faciliterebbe il com-pito del medico nell’affrontare il momentodiagnostico e quello terapeutico. Ecco chemi torna alla mente uno scritto, anzi un’in-dagine, che molti anni fa portò a termine ilProf. Caldana, medico fisiatra, espertoanche di “avventure” mediche. Ora sto scri-vendo per la nostra rivista massonica ed ilmio compito è di coniugare alcuni elementicome: simbolismo, segno, esoterismo,malanno. Il contenuto di quest’articolo avràuno scopo pratico: mettere in guardia damaghi, stregoni, guaritori e affini.

La Medicina è nata obbligatoriamentecon l’uomo e l’uomo ha così ideato le prime

teorie e la successiva loro applicazione pra-tica. Ma il mondo che lo circondava eraindubbiamente ostile e difficile da interpre-tare e poi i mezzi a disposizione del nostroantenato erano certamente ben pochi; egliovviamente doveva crescere nell’esperien-za e nella pratica, ma non si è mai arresoagli eventi. Aveva contro la natura e tuttogli sembrava ostico e pericoloso, ma il suodestino era segnato e doveva aff r o n t a r ecomunque la vita.

Cerco di immaginare il terrore che loattanagliava sotto l’imperversare degli ele-menti; e poi c’erano i malanni, i traumi, ledisgrazie del tempo. Cosa avrei fatto se mifossi trovato in prima persona al suo fiancocome medico e mi avesse chiesto di aiutar-lo per quanto aveva, senza peraltro poterusufruire degli strumenti che oggi sono amia disposizione?

Avrei fatto esattamente ciò che facevanoi miei colleghi di allora: lo stregone, il gua-

• 68 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

ritore, l’aggiustaossi, il misterioso etc. ilsacerdote.

Ecco che possiamo ritenerci un po’ p i ùfortunati vivendo in un’epocadove, grazie alle scoperte dellamedicina e della tecnica siamoin grado di affrontare scientifi-camente in o s t r imalanni. Eppu-re tutto ciò non è sempre vero,basti ricordare i guaritori filip-pini cheasportano masse tumo-rali con le loro nude mani, glistregoni che popolano un po’tutti gli angoli del pianeta, ivenditori di salute racchiusa inmagiche pozioni prodotte daerbe miracolose etc.

Web, umts, gprs, sms, eco-tac, rmn, scintigrafia, pet e altreingegnose invenzioni popolano la nostraquotidianità, eppure l’essere umano ricorrespesso, non tanto alle medicine alternative,bensì a quei cialtroni che, approfittando diuno stato di grande vulnerabilità, si propon-gono a chi soffre e a chi purtroppo a voltenon ha ottenuto soddisfazione dalla medici-na tradizionale.

Carissimi Fratelli e Gentili Lettori qualepuò essere il mio modesto consiglio? Datefiducia a chi si dimostra, in qualità di medi-co, dalla vostra parte, e non fatevi tentaredalle illusioni di cure miracolose, moltospesso anche costose.

Certo che il mistero della vita e dellas o fferenza è a volte difficile da aff r o n t a r econ lucidità, ed è anche vero che l’aspettodi falsa sapienza preconfezionato con arteed abilità può essere una tentazione irrefre-

nabile, ma se si usa per un attimo quel mini-mo di saggezza che alberga in ogni essereumano si giungerà sicuramente ad un’unica

conclusione.

Eppure il fascino diquanto a noi sfugge è unaSirena dal canto melodio-so e accattivante e spessoanche l’orecchio più atten-to ne resta affascinato.

Ma Mozart, Dante,L e o n a r d o , Einstein, Keple-ro, Galilei non erano stre-goni e ci hanno ammaliatocon i loro capolavori e cosìgli antibiotici, il cortisone,l’insulina sono i capolavo-ri della scienza umana e lamano e l’occhio e l’orec-

chio del mio vecchio medico di famigliasono stati per me, da bambino, quelle cer-tezze che mi hanno spinto a cercare diesplorare e di capire il misterioso pianetauomo.

Sono andato a rileggere il culto di A s c l e-pio (Esculapio per i Romani): veneratocome un dio nell’antica Grecia; un bell’uo-mo dalla lunga barba, il capo cinto di allo-ro, il corpo coperto di un manto, con inmano il caduceo cui era avviticchiato unserpente simbolo del suo potere guaritore.

In realtà Asclepio non sarebbe stato soloun personaggio mitico, bensì un principedella Tessaglia, che visse durante la guerradi Troia. Aveva quattro figli e i due figlimaschi ne furono i successori e, alla suamorte, gli eressero un’ara votiva e ne diven-nero i sacerdoti e così via di discendenza in

• 69 •Stregoni, guaritori e ciarlatani, F. Ponzetti

discendenza ne nacque una casta alla qualeera devoluto tra l’altro l’esercizio e l’inse-gnamento della medicina.

Ippocrate è considerato ildiciottesimo discendentediretto di Asclepio.

I templi eretti in suo ono-re possono essere considera-ti tranquillamente le primeespressioni di case di curaprivate.

Il paziente, prima di esserecurato, sottostava ad unapurificazione preparatoriaconsistente in dieta particolare ed inpulizia del corpo; quindi veniva introdot -to nella zona di cura vera e propria e dor -miva sotto i portici del tempio e, forsedrogato, credeva di vedere il dio che glielargiva i suoi consigli terapeutici. Nellarealtà i sacerdoti ricorrevano a trucchigrossolani, camuffandosi da divinità eaggirandosi nottetempo tra i degentiaddormentati e praticando veri e propriatti terapeutici, e talora piccoli interven -ti chirurgici.

Questa breve cronistoria della nascitadell’Arte medica, che poi, se si va a cercar-ne le origini, è certamente ancor più retro-datata, l’ho tratta da un bellissimo volumescritto dall’illustre collega Luciano Sterpel-lone, edito da Antonio Delfino, intitolatoDagli dei al dna.

E questo è solo l’inizio di un aff a s c i n a n-te percorso che ha poi portato l’uomo a

prendere coscienza di essere soggetto pen-sante in grado di interpretare e giudicare gli

eventi. Come dice loSterpellone: l’uomonon vuol più subirepassivamente i dogmidella conoscenza impo-sti dalla tradizione edalla religione, ecomincia a chiedersi ilperché delle cose e deifenomeni naturali. Maanche noi, CarissimiFratelli, siamo uomini

del dubbio e della ragio-ne, nemici di dogmatismi e di verità usa egetta, e con il metodo che ci viene dall’ap-partenenza alla nostra Istituzione possiamocercare di approfondire, di analizzare, dicondividere le scelte che ci vengono propo-ste per la nostra salute, dono irrinunciabilee straordinario che il G A D U ci haelargito assieme alla vita.

E se andiamo a leggere gli A n t i c h iDoveri, troviamo che vi si recita così: Vo i

dovete anche tutelare la vostra salute […]

Eccoci ora giunti alla fine di questa bre-ve riflessione, ma la storia della medicina èancora lunga per potere giungere sino a noi,eppure quante analogie si possono trovarenell’antichità.

A Voi Carissimi Lettori lascio il deside-rio di approfondimento e di ricerca e anchele dovute considerazioni conclusive.

Fornitore del Grande Oriente d’Italia

Via dei Tessitori n° 2159100 Prato (PO)

tel. 0574 815468 fax 0574 661631Part. IVA 01598450979

sensibilità all’esterno. Il numero dei malatiterminali (quelli cioè che, senza accani-mento terapeutico, non potrebbero soprav-vivere e che, anche con l’applicazione dimezzi straordinari, non potranno mai piùessere riportati a condizioni di normalità)aumenta sempre più, via via che la tecnicaprogredisce; in proposito, sussiste una con-sonanza di opinioni – che tra l’altro vedeaffiancati moralisti (anche legati ad un cre-do religioso) e sociologi di ogni scuola –nella rinunzia al tabù “comunque, vivere”.Di conseguenza, la tradizionale concezionedella terapia (lotta, a qualunque costo, con-tro la morte) è profondamente mutata per ilcambiamento obiettivo della tecnologiamedica, che fa sopravvivere gli org a n ia l l ’ o rganismo e prospetta come realistica lasconvolgente e paradossale visione fanta-

1. Il rifiuto di terapia

l rifiuto di terapia ha assunto nelmondo moderno una dimensionedrammatica in connessione con il

miglioramento delle tecnologie mediche,ormai in grado di mantenere indefinita-mente, se non la vita nella sua pienezza,almeno alcune funzioni proprie della vita inun soggetto che, peraltro, per le gravissimemenomazioni, non potrà più in alcun modoriprendere le funzioni normali o quasi nor-mali del vivere. Il rifiuto della terapia, infat-ti, si verifica spesso quando la prospettataoperazione o cura promette, sì, al malato unprolungamento (breve o brevissimo) dellavita, ma anche dolori e sofferenze, oppurequando la terapia proposta dovrà ridurrefatalmente ai minimi termini la soglia di

In this contribution the Author deals with the right to die through eight chapters:the therapy’s refusal; the legal prospects; the extreme sides: the due to die or theright to die? From a survival’s therapy to a therapy for a better health; the capabi-lity to a self-determination; the refusal because of ideologies and in particular reli -gions; the intervention of the authority; the persistence of the tragedy.

Diritto di morire?

di Michele C. del Re

Università di Camerino

• 72 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

scientifica di una persona che sopravvivesoltanto con la propria testa e che non soff r edella spaventosa limi-tazione soltanto quando lafleboclisi di farmaci anti-ansia sconfigge l’umanareazione di voler rinuncia-re al mostruoso permaneredi individualità.

Molti casi di obiezionealla terapia sono legati allaimpostazione etico-reli-giosa del paziente. I testi-moni di Geova, ad esem-pio, rifiutano la trasfusionedi sangue; i movimenti di Cristo guaritorerifiutano ogni terapia, ricorrendo per ognimalattia a Cristo Soter, Cristo Salvatore,Cristo terapeuta.

Motivo ideologico è anche quello di chiinsiste fino alla denutrizione nello scioperodella fame, per combattere una sua battagliapolitica.

Vi sono, ancora, casi di rifiuto di terapiadeterminati semplicemente dal t e d i u mvitae, dal desiderio di annichilirsi, che oggitrova paradossali manifestazioni nei clubsdei suicidi e nei “manuali pratici per il sui-cidio”. Così chi è scampato ad un tentativodi suicidio in molti casi si opporrà strenua-mente alle cure, che tendono a riportarloalla condizione esistenziale da lui rifiutata.

I casi sono profondamente diversi dalpunto di vista sociopsicologico, ma sonoriconducibili al problema giuridico se vi sia– e, in caso di risposta affermativa, in qualilimiti – un diritto dell’individuo al rifiutodella terapia.

2. Le prospettive giuridiche

Per tale proble-ma si debbonorichiamare innanzi-tutto due normedella Costituzione:l’art. 13 e l’art. 32.Ad esse si aggiun-gono gli artt. 8, 9 e21 Cost. per il rifiu-to determinato damotivi religiosi oper scelta persona-

le; l’art. 4 e l’art. 52Cost., rispettivamente per i doveri di solida-rietà sociale e per il dovere di difendere laPatria.

Tra le norme di legge ordinaria, rilevanogli artt. 5 preleggi cod. civ. (sugli atti di dis-posizione del corpo), 580 (che punisce l’i-stigazione e l’aiuto al suicidio), 579 (omici-dio del consenziente) e 593 (omissione disoccorso) cod. pen.

L’art. 13 Cost., nell’affermare la pienez-za della libertà personale, prevede la dispo-nibilità del proprio corpo come diritto fon-damentale del cittadino.

Tale norma, per molto tempo intesa insenso restrittivo come difesa dei diritti edelle facoltà che possono subire compres-sioni dal potere pubblico, oggi viene intesapositivamente, come garanzia avverso ogniintromissione nella sfera delle scelte indivi-duali, svolgendosi da essa tutte le possibiliimplicazioni.

D’altra parte, già con la sentenza12/970, la Corte Costituzionale enunciòquesta interpretazione, poi ribadita in nume-

• 73 •Diritto di morire?, M.C. del Re

rose sentenze: l’art. 13, riguardante il prin -cipio di inviolabilità della libertà personale,non riguarda genericamente le limitazionicui in vario modo il cittadinopuò essere sottoposto nellosvolgimento della sua atti -vità, ma specificamente siriferisce alla libertà perso -nale intesa come autono -mia e disponibilità dellapropria persona.

Sotto questo profilo,limitazioni possono essereimposte dall’esterno sol-tanto per tutelare i diritti dialtri; il legislatore non puòinterferire con la liberagestione dei diritti, anchequando la comunità ritengache non sia la migliore scelta, cioè quellapiù conveniente per il soggetto, se nonquando questa scelta privata provochi unalesione ad altri.

L’art. 13 deve leggersi assieme all’art. 2Cost., che, nella più ragionevole interpreta-zione, comprende tra i diritti inviolabili nonnominati garantiti dalla Repubblica Italianail diritto a scegliere tra la morte e la vita,visto che tale scelta è espressione della per-sonalità umana nel suo aspetto sociale.

Per quanto riguarda l’art. 4 Cost., chesancisce il dovere del lavoro, taluni nededucono l’obbligo di mantenersi in buonasalute. Non ci sembra di poter condividerequesta opinione, poiché il dovere di svolge-re un compito che vada anche a beneficiodella società non può intendersi come obbli-go giuridico, bensì piuttosto come onere,perché la partecipazione ai benefici della

società è, nel nostro Stato, in parte condi-zionato dallo svolgimento di una attivitàsocialmente utile.

L’art. 4 Cost. contiene molto di più d’u-na affermazione sul pianocostituzionale dell’impor-tanza sociale del lavoro,ma non crea rapporti giu-ridici perfetti (Corte cost.,sent. 3/1957),sicché anchel’obbligo di mantenersi inbuona salute può essereconsiderato una manife-stazione della l o y a l t y,fedeltà-lealtà nei confron-ti dell’ordinamento, manon costituisce nulla piùche un impegno a caratte-re etico-sociale, anche per

l’impossibilità di valutare in concreto l’uti-lità di certe attività (anche nobilissime,come quella di poeta o di monaco di clau-sura, etc.), ben lecite e tutelate.

Diverso discorso si può fare intornoall’art. 52 della Costituzione. Certamente ildovere di difesa della patria e l’obbligo spe-cifico di prestare servizio militare non costi-tuiscono né meri doveri morali, né meridoveri civici, bensì instaurano vere e pro-prie situazioni giuridiche alle quali corri-sponde una concreta pretesa legittima daparte dello Stato, ma la legge ordinaria che,nell’esecuzione del precetto dell’art. 52,prevede i limiti alla libertà: in particolarel’art. 157 c.p.m.p., per garantire la salute delcittadino che dovrà svolgere il servizio mili-tare, punisce l’automutilazione al fine disottrarsi all’obbligo; non v’è limite alla di-sponibilità del bene.

• 74 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

L’ampia tutela della libertà individualeattraverso l’art. 13 viene interpretata, inmateria di trattamentisanitari, e viene integra-ta dall’art. 32, che sanci-sce esplicitamente laqualificazione giuridicadella salute come inte-resse per la collettività,dando ad essa il valoredi pieno diritto soggetti-vo per l’individuo: nes-sun trattamento medicopuò essere imposto senon per legge e nelrispetto della personaumana. Si aggiunga che,nel nostro sistema, l’au-tomutilazione non vieneconsiderata reato se non quando concorre adeterminati fini (frode in assicurazione, sot-trazione al servizio militare).

A veder poi i fatti dalla parte del medico,s o rge il problema dell’omissione di soccor-so, ai sensi dell’art. 593 cod. pen., quando ilpaziente che rifiuta le cure si trovi in peri-colo di vita e il medico si trovi in condizio-ni di intervenire; inoltre, v’è da chiedersi seil medico possa – nonostante il rifiuto –intervenire sul paziente in pericolo di vita,invocando la discriminante dell’art. 54 cod.pen.

3. Le posizioni limite: dovere di vivere odiritto di morire?

La problematica corre tra due posizioniestreme.

C’è chi considera l’obiezione alle cure

mediche in qualunque caso come un vero eproprio suicidio per omissione, da biasi-

marsi e punirsi. A l l ’ a l t r oestremo v’è chi aff e r m aun diritto di morireaccanto a quello di vive-re, essendo limitato –secondo costoro – il dirit-to di disporre del propriocorpo soltanto quando gliatti dispositivi portinodanno alla comunità.

Richiamiamo unesempio: in seguito aduna scena violenta consuo marito, la signora G.gli comunica di avereingoiato dei barbiturici.

L’uomo conduce la mogliein ospedale, dove la donna rifiuta di svelarese aveva o meno preso la medicina e, se sì,in quale dose.

La donna rifiuta energicamente il lavag-gio dello stomaco proposto dal medico, cosìcome rifiuta la ospitalizzazione; e poichénon presenta alcun segno clinico di intossi-cazione da barbiturici la donna può lasciarel’ospedale. Durante la notte la donna muo-re nel proprio letto e l’esame tossicologicorivela la presenza di barbiturici alla dose di40 milligrammi per litro di sangue.

Il vedovo denunciò per omicidio colpo-so il medico di guardia, ma il giudice istrut-tore chiuse la pratica con una ordinanza dinon luogo a procedere. Su appello del vedo-vo, la sezione istruttoria confermò che leindagini non avevano accertato alcun ele-mento di colpa professionale a carico del-l’incolpato e che la terapia non era stata pra-

• 75 •Diritto di morire?, M.C. del Re

ticata soltanto per il rifiuto ostinato, addirit-tura aggressivo, della donna.

Il caso e ladecisione del giu-dice lascianodubbi; il rifiutodella donna, perle stesse modalitàcon cui si è mani-festato, sembrarivelare un atteg-giamento patolo-gico nei confrontidella realtà: l’in-tenzione di puni-re con la propriamorte il marito col-pevole nei suoi confronti di colpe reali oimmaginarie sembra guidare le azioni diquesta donna; probabilmente il medico, inquesto caso (che abbiamo riferito per l’e-semplarità), avrebbe dovuto superare l’o-stacolo posto dal rifiuto.

To r n a n d o alle formulazioni normative, ildiritto di “morire in dignità” (ma qual è ilcontenuto dell’affermazione?) è anche nel-la risoluzione dei diritti del malato, adottatadal Parlamento europeo; così la Chiesa cat-tolica, che pure assume il dolore a strumen-to di elevazione dell’uomo, considera l e c i t o

accontentarsi dei mezzi normali che la

medicina può offrire. Non si può imporre a

nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di

cura che, per quanto già in uso, non è esen -

te da pericoli o è troppo oneroso; il suo

rifiuto non equivale a suicidio.I T.S.O. (trattamenti sanitari obbligatori)

sono ben determinati nelle leggi e vanno daspeciali terapie e cautele in materia di pre-

venzione del contagio, a interventi in riferi-mento ad altre forme di pericolosità sociale

(ad es. nella L.180/1978 sono pre-visti accertamentiper l’infermo dimente; nella L.685/1975 sono pre-visti ricoveri per ilconsumatore di stu-pefacenti); questosembra escludere undovere di curarsi neicasi non previsti.

Quanto poi aicosiddetti “obblighi

a curarsi”, che deriva-no dalle leggi relative all’assistenza sanita-ria pubblica, tali situazioni soggettive han-no valore di oneri sotto il profilo giuridico,cioè di comportamenti liberi, anche senecessitati al fine previsto dalla norma, sic-ché la loro esistenza non scalfisce affatto lalibertà di curarsi.

4. Dalla terapia di sopravvivenza a quellaper una salute migliore

È necessario distinguere diverse ipotesi,riferendosi alle diverse conseguenze preve-dibili in caso di mancata terapia.

1) La mancanza del trattamento compor-ta un peggioramento delle condizioni disalute, ma non comporta la morte;

2) non v’è situazione di emergenza, mala prognosi è infausta qualora non si prati-chi il trattamento;

3) la prognosi è infausta con o senza

• 76 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

trattamento, che può peraltro prolungare lavita, magari infliggendo particolari soff e-renze o disagi al soggetto;

4) il soggettoe s p l i c i t a m e n t erichiede la morte,non per evitareulteriori sofferen-ze o una vita gra-vemente meno-mata, ma permotivi “etici”,cioè di scelta per-sonale di vita: sitrova nella situa-zione, che perso-nalmente ritienefavorevole, di ottenere la morte che auspicasenza attivarsi al suicidio, attraverso il rifiu-to di terapia e sceglie questa via.

Per quanto riguarda il rifiuto che com-porti soltanto un peggioramento delle con-dizioni di salute, non la morte, non credia-mo che alcun ordinamento possa imporre,in tale ipotesi, con l’assolutismo del Levia-tano hobbesiano, il trattamento medico.

La società umana non può ridurre amere cellule gli individui, altrimenti essaavrebbe generato una autentica “anima del-la formica bianca”, un super-essere, che uti-lizza i singoli individui soltanto come ingra-naggi e tali li considera fino al punto dagarantirne l’efficienza anche contro il lorodesiderio.

Il problema, in altri termini, per questocaso si converte in quello della imposizionedi trattamenti per garantire la salute pubbli-ca; tale imposizione non è ammissibile se

non nei casi eccezionali nei quali il manca-to trattamento medico comporti grave peri-colo per la collettività (oggi si dubita anche

della legittimità dellaimposizione di vaccina-zioni indiscriminate, senon v’è prova del peri-colo incombente sullacollettività).

Il diritto di autodeter-minazione in questa ipo-tesi (ad es. se Sempronionon si cura i denti e daciò subisce un dannoalla masticazione) sem-bra non necessitare diulteriore discussione.

Già più problematico il caso in cui purnon essendo in una situazione di emerg e n-za, il malato, se non curato, ha prognosiinfausta.

Tenendo conto dell’art. 32 e dell’art. 13della Costituzione per risolvere il problema,resterà sempre influente sulla decisione lavisione del mondo di chi giudica e si dovràricorrere al criterio storico della ragionevo-lezza per arrivare a conclusioni compatibilicon l’ordinamento giuridico di quel tempoe di quelle coordinate geografiche.

In alcune società, la rinunzia alla vita perevitare sofferenza sembra un evidente sin-tomo di follia; per certi credi religiosi, vive-re è un dovere, il soffrire una prova, non unmale gratuito e cieco. E anch’io credo nellavita, ma l’ordine sociale non può compierela scelta che spetta all’individuo. È impro-prio a tal proposito invocare un obbligo disolidarietà, poiché la libera determinazionedell’individuo non può essere compressa da

• 77 •Diritto di morire?, M.C. del Re

una visione strumentale dell’individuo aquell’ente super-individuale, esaltato dalleelucubrazioni filosofi-che dell’idealismotedesco ottocentesco,che è lo Stato etico,forma di subiettiva-zione superiore all’in-dividuo umano.

Finalmente, nelcaso in cui la progno-si sia infausta (per cuicon o senza il tratta-mento la spes vitae è

breve o brevissima), èragionevole accettarel’idea della piena licei-tà del rifiuto della terapia. In effetti, la tera-pia offre soltanto una sofferenza ingiustifi-cata, senza concrete speranze.

5. Il requisito soggettivo del rifiuto: la capa -cità di autodeterminarsi

In ogni caso di rifiuto sorge il problemadella capacità di intendere e di volere dicolui che decide di non curarsi. Il problemaparticolarmente grave quando il rifiuto èmanifestato da un malato in preda alla sof-ferenza. Ben pochi, infatti, si premunisconoquando sono in perfetto stato di salute,dichiarando, magari per iscritto che, qualo-ra vengano a trovarsi in una situazione didolorosa malattia, intendono, ora per allora,non sottoporsi alle terapie di mero manteni-mento degli organi in attività; in genere, cisi dovrà riferire al comune concetto di nor-malità psichica che non esige una luciditàmentale totale, ma una ragionevole capaci-

tà di scelta rapportata alle circostanze. Cer-to il dolore fisico, l’ottundimento derivante

dalla defatiga-zione, lo stordi-mento da anal-gesici, possonolimitare la capa-cità, ma non èlecito solo perquesto presume-re nel malato laforza cieca diu n voloir vivres c h o p e n a u e r i a-no, incurante diogni tortura; la

r a g i o n e v o l e z z adel rifiuto di cura può risultare anche dalcarico di sofferenza che il malato subiscecon la prosecuzione della terapia. Beninte-so, il medico o chi altri non potrà mai pre-sumere – nel silenzio del paziente – unavolontà di rifiuto che non sia stata espressainequivocabilmente (il medico che infligge,sua sponte, all’inguaribile la dieta nulli-calorica è un omicida).

6. Il rifiuto per motivi ideologici e in parti -colare religiosi

Quando il rifiuto ha fondamento nelleconvinzioni religiose del soggetto, il pro-blema si sposta sul tema del conflitto didoveri, tenendo conto che la presenza con-temporanea in tutti i gruppi umani dicomandamenti religiosi, morali e giridicipone il problema del rapporto fra tali siste-mi normativi. Ora, per definizione, ogniordinamento è, di per sé, esclusivo, cioè

• 78 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

costituisce un sistema “chiuso”, che consi-dera irrilevante qualsiasi norma posta daun’autorità che non sia di quelle che l’ordi-ne stesso rende idoneealla funzione legislativa.Per questo, la coordina-zione tra ordinamentipuò aversi solo assumen-doli come parti di unsistema superiore, ovve-ro considerandone unocome sovrano, gli altricome subordinati; soltan-to mediante una correla-zione di questo tipo èpossibile infatti risolvereil problema del conflittotra norme appartenenti adordini diversi e contenen-ti precetti tra loro inopposizione.

Ciascun ordinamento, per il fatto stessoche esiste, mira ad essere sovrano e presu-me di dare validità agli altri mediante dele-ga; in altre parole, ciascuno dei tre ordina-menti contiene la G r u n d n o r m degli altridue; il rapporto insomma è una relazionetriangolare.

Se ci si determina all’azione fondandosisu considerazioni di utile materiale, si obbe-disce al comando giuridico (o meglio alcomando reso coattivo da sanzioni social-mente immanenti).

Se si giudica con un criterio di utilitàspirituale o finale, si sceglie il lecito reli-gioso; infine, chi segue un valore che nonha carattere utilitario, compie l’atto cuiattribuisce valore etico. V’è, dunque, unanorma pregiudiziale per la scelta.

È chiaro che per l’homo religiosus l ’ o r-dine religioso precede logicamente e delegail diritto oggettivo, che resta valido entro i

limiti predispostiglidal complesso di nor-me religiose, cioè incaso di coincidenza diprecetti (s e c u n d u mlegem religiosam) o incaso di irrilevanza diun precetto giuridiconei confronti deicomandamenti reli-giosi (praeter legemreligiosam).

Concludere cheogni uomo ha unanorma-guida eticainterna comporta unospostamento del pro-

blema delle collisioni sul terreno dei con-flitti propri. Infatti il valore coscienziale,l’adesione al proprio credo, la soggettivagerarchia delle fonti normative non è piùsoltanto un fatto soggettivo irrilevante, cuil’ordinamento non dà peso, riguardandosoltanto beni e doveri da esso tutelati, mariporta, a nostro avviso, sul piano del dirit-to la collisione.

È difficile – anche ammettendo che l’i-deologia sia rispettabile anche quando ivalori non sono quelli incorporati n e l l ’ o r d i-namento – prendere conclusioni sui casi discelta per la morte determinati da motivireligiosi; la decisione è rimessa al senso delragionevole (di qui – oggi) dell’Italia buon-sensaia e scettica, dove, a differenza di altriStati, il senso dell’individuo non è esaspe-rato da un’etica puritana, dove il potere

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costituito è più un parens patriae, è più unpapà-e-mamma in termini poveri.

Certo il criterio delragionevole è eminente-mente storicistico, poi-ché varia col tempo econ lo spazio, ma esso èpresupposto dagli artt. 3,19, 21 Cost., che si occu-pano ex professo d e l l areligione e delle perso-nali convinzioni.

Il primo dei tre arti-coli stabilisce (per laparte che qui ci interes-sa) l’eguaglianza delladignità sociale e deidiritti dei cittadini “senzadistinzione di religione”. L’art. 19, poi, pre-vede come unico limite per la libertà reli-giosa la non contrarietà dei riti al buoncostume, mentre l’art. 21 afferma la libertàdi pensiero.

Le norme parlano di religione e di pen-siero senza porre, a tali manifestazioni uma-ne, limiti espressi: non ci sembra possanointendersi i termini nel significato neutro,scientifico che assume nella storia dellereligioni e del pensiero umano, ma debbanoessere precisate con riferimento alla ragio-nevolezza. In effetti questo è l’unico mezzoper escludere il fanatismo, la superstizione,gli accessi sadici o qualunque altra aberra-zione della sfera di liceità.

Questa ragionevolezza – questa r a t i ointrinseca dell’ordinamento giuridico – nonè altro, in definitiva, che la coscienza socia-le obiettivata; facile sarà perciò intenderequali siano i limiti che vengono ad un con-

cetto dal definirlo “ragionevole”; infatti laragionevolezza come principio informatore

dell’ordinamento simanifesta in vari modidi essere: ordine pub-blico, buon costume,correttezza, probità,diligenza, lealtà,“umanità” ...

Se il concetto direligione o di ideolo-gia adottato dall’ordi-namento è precisatodalla ragionevolezza(con limiti cioè cheprecedono la discipli-na e quindi non si pos-sono considerare arbi-

trari), è lecito perché ragionevole sceglierela morte, rifiutare la terapia, per motivi reli-giosi della vita. Non è ragionevole quandoprevalgono spunti ossessivi (o, meglio,reputati ossessivi oggi, qui) nella condottadi vita del soggetto. È inutile dire quanteincertezze restino, poi, sulla bordeline ...

Q u a n t o allo sciopero della fame chegiunga a creare uno stato di malattia delsoggetto, si deve rispondere al quesito dellasua liceità riaffermando il diritto a lasciarsimorire di fame, per quanto ciò possa distur-bare il nostro senso di socialità. In eff e t t i ,questo mezzo è spesso usato per portareavanti pretese – non importa, qui, se giusteo sbagliate – nei confronti dell’autorità;sono facilmente intuibili i pericoli per lalibertà quando si riconosca allo Stato undominio così totale sui corpi – ad es., didetenuti che protestano – considerando leci-ta la nutrizione forzata. Certo, anche in que-

• 80 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

sti casi potrà, talvolta, tracciarsi con diff i-coltà la linea di demarcazione tra normalitàe patologia del rifiuto: si pensi all’anoressi-ca che digiuna senzaragionevole motivo e, apretesto, porta avantiuna “causa” ...

In nessun caso,comunque, la sceltapuò riguardare altrisoggetti, anche se aff i-dati per tradizione o perlegge. I casi italianiconosciuti – purtroppomolti casi possono veri-ficarsi nel segreto dellafamiglia – di omicidiodi bambini da parte digenitori che neghinol’emotrasfusione alfiglio sofferente meritano, certo, diversotrattamento dall’omicidio a scopo di rapina,ma sono fatti antigiuridici non giustificatidall’esercizio della potestà familiare e chenessun credo può rendere legittimi.

Naturalmente, il medico potrà superareil dissenso del rappresentante legale delminore o dell’infermo di mente richiedendoal giudice tutelare un provvedimento auto-rizzativo urgente o la nomina di un curatorespeciale. Comunque il medico – ma si trat-ta di materia opinabile – può ben invocarel’art. 54 cod. pen. per intervenire sul pazien-te in immediato pericolo di vita, qualora ildissenso provenga dal rappresentante lega-le e non direttamente dal soggetto interessa-to o (a fortiori) in caso di contrasto divolontà tra rappresentante e rappresentato.

7 . Il medico di fronte al rifiuto di terapia.L’intervento del magistrato

Concludiamo: anostro avviso, il medi-co non può superare ilrifiuto alle cure oppo-sto al suo intervento diun paziente c o m p o ss u i; nel dubbio sullacapacità del ricusantedi esprimere una nor-male, ben informatavolontà, e in tutti queicasi in cui il rifiuto dicure possa incidere suinteressi di terzi (figliminori del paziente, ades.), bene farà il medi-co – o qualsiasi altro

interessato (ad es., uno stretto parente) – arivolgersi al magistrato istituzionalmentedelegato ad assumere certe difficili decisio-ni, qual è certo quella di imporre un tratta-mento medico.

E il magistrato potrà interferire nellalibera scelta per la morte (o meglio per l’ab-bandono alle forze della natura) soltantoquando la scelta urti contro un interesse pre-minente della società (vaccinazioni, purchénecessarie; ad es., il trattamento fluoricodell’acqua potabile non rientra nel caso) odi altri soggetti che sarebbero danneggiatifortemente dall’aggravamento della malat-tia o dalla morte del soggetto (figli piccoliche non abbiano l’altro genitore: è uno deicasi in cui una Corte americana denegò ildiritto di morire ad una giovane mammache rifiutava le trasfusioni): Lo Stato, in

• 81 •Diritto di morire?, M.C. del Re

quantop a rens patriae, non può ammette -re l’abbandono di un bambino; legittimare ilrifiuto di cure sarebbe appro -vare il più radicale degliabbandoni volontari. Ilpaziente ha la responsabilitàverso la comunità di provve -dere al bambino, perciò lacomunità ha interesse di con -servare in vita questa madre.

Le componenti di questointeresse sono due: 1) pre-venzione del danno psichicoal bambino per la perdita diun genitore; 2) prevenzionedel danno economico alloStato, derivante dall’onere diprovvedere al bambino. Que-sto interesse pubblico è atte-nuato quando il bambinoabbia due genitori e il genito-re che sopravvive sia d’accordo con le obie-zioni del malato e sia pronto ad addossarsianche da solo la cura del figlio.

Il medico potrà rispondere di omissionedi soccorso ai sensi dell’art. 593 cod. pen.soltanto se “trovi” la persona in pericolo.Ora, il termine “trovare” non può essereinteso in senso ampio (ricevere una telefo-nata non è t r o v a r e), ma nel senso di “imbat-tersi”, “essere compresente a”; e inoltre se,nelle circostanze concrete, avrebbe dovutoconstatare che il rifiuto di cure era determi-nato da infermità psichica.

Se il dissenso del malato in normali con-dizioni psichiche non può essere ignoratodal medico, la discriminante dello stato dinecessità potrà poi essere invocata soltantoquando il medico possa presumere il con-

senso. È evidente che il dissenso alle cureespresso prima di cadere in coma si presu-

me sussistere fino arevoca, che potrà aver-si solo quando il mala-to esca dal coma.

Problema praticograve si porrà al medi-co che – iniziata colconsenso del pazienteuna terapia – veda, ametà strada, revocato ilconsenso, se l’interru-zione della cura potràportare grave danno alpaziente. In questocaso, ci sembra ilmedico potrà conside-rarsi e x art. 54 cod.pen. legittimato a pro-seguire la terapia, fin-

ché non sarà certo che il paziente possa sce-gliere altro medico.

È tenuto, invece, a nostro avviso, ilmedico a non portare collaborazione concure parziali al suicidio del paziente, il qua-le potrebbe pretendere di aver somministra-ta la dieta nulli-calorica dal medico, ma nonla cura. L’accettazione, da parte del medico,di compiere questa mortale prestazione pro-fessionale lo farebbe incorrere nel divietodell’art. 590 cod. pen.

8. Ma la tragedia resta

La società moderna è necessariamentedisarmata (se vogliamo usare questo termi-ne) di fronte all’individuo che proclama lalibertà di non curarsi: le molte riserve sul

• 82 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

precetto primum vivere (fondamento permillenni del giura-mento ippocratico)prendono semprepiù corpo di frontealle possibilità del-la tecnica, che diper sé può assume-re aspetti feroce-mente inumani (sipensi ai “predatoridi organi”, che ten-gono in vita unrelitto umano alsolo scopo di poterdisporre di org a n ifreschi per i trapian-ti); di fronte al senso etico odierno cherivendica l’individuale sovranità delle scel-te in questa changing society, ispirata aldiritto ad esser diversi; di fronte all’insussi-stenza di un orientamento comune nel giu-

dizio sulla morte, determinata dalla varietàdi modi di vedere ilmondo, caratteri-stica della societàpluralistica.

Tutti questi fat-tori determinanouna nuova bioeti-ca, più attenta alleesigenze del sin-golo, tra le qualivi può essere, tra-gicamente mar a g i o n e v o l m e n t e ,la morte. E nellanuova bioetica

deve aver parte for-te la solidarietà, la solidarietà fraterna chepuò far scomparire o attenuare la tragicavoglia di morte di chi si sente nell’angolo,con le spalle al muro e sceglie la via del-l’autodistruzione.

Riferimenti bibliografici:

del Re, M.C. (1992) Diritto di vivere, diritto di morire: il rifiuto del trattamento medico

negli U.S.A, in Scritti in memoria di Ugo Pioletti, Milano.del Re, M.C. (1995) Conflitto improprio di doveri: diritto alla diversità e ragionevolezza,

in Rivista di Polizia.del Re, M.C. (2001) Bene della vita e controllo della morte: riflessioni giuridiche, in Rivi-

sta di Polizia.

del Re, M.C. (2001) Eutanasia e diritto alla vita, in Atti di psiconcologia, Lecce.

Considerazioni sulla medicina ufficiale o alternativae sugli organismi biologici e geneticamente modificati

di Pietro F. Bayeli

Università di Siena

In two short articles the Author discusses (1) a few arguments against the scien -tific value of the so-called alternative medicines and therapies, (2) the aprioristicnegative evaluation of the byologically and genetically modified organisms, sug -gesting a more rational approach to the problem.

n cenno storico può aiutare achiarire questa contrappo-sizione e indirizzare ad una

scelta o formulare pacate considerazioninell’un campo e nell’altro.

Nel 1996 a Francoforte è stato celebratoil bicentenario della pubblicazione delmedico tedesco Samuel Hahnemann dovefurono stabiliti i fondamenti dell’omeopa-tia: “il simile cura il simile” (similia cumsimilibus) e l’estrema diluizione dei princi-pi attivi, nell’ottica complessiva del “menosi dà meglio è”.

Due secoli fa la medicina non era fonda-ta su basi scientifiche, ma procedeva perempiria, per tentativi, esperienze, specula-zioni filosofiche, ipotesi più o meno fanta-

siose. Purghe, salassi e intrugli vari costi-tuivano la base del bagaglio terapeutico. Iltutto, inoltre, veniva applicato su indicazio-ni diagnostiche spesso incerte, talora erratecome più volte evidenziato nelle investiga-zioni storiche di grandi malattie e di grandimalati, col risultato ultimo di terapie inuti-li, addirittura dannose. Si può comprenderecome, nell’atmosfera del periodo, si cercas-se una medicina alternativa almeno innocuase non efficace, sicuramente meno invasiva,certamente più accettabile. Se poi l’omeo-patia sortiva anche ad un effetto positivo ea migliorare la qualità della vita, si com-prende come le medicine non convenziona-li si facessero sempre più strada nel pensie-ro di molti, sia di coloro che ne subivano gli

• 84 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

e ffetti benefici, sia dei sostenitori che nericavavano soldi e soddisfazioni, sia dicoloro che in buonafede facevano e fan-no proprie le indimo-strate ipotesi di far-macodinamica.

È sempre statotipico dell’istintoumano la chimericaricerca di una pana-cea miracolosa, sem-plice, piacevole daassumere, priva die ffetti indesiderati: lamedicina alternativaè un tentativo di risposta a questi desideri.La filosofia dell’uomo si articola grossomodo su due grandi piani: quello del con-scio e quello dell’inconscio. Il primo è ciòche l’uomo riesce con fatica e nel tempo aspiegare, compenetrare, capire secondologica e razionalità; il secondo, ed è la mag-gior parte, è l’inconscio, il mistero, l’in-spiegabile, l’esoterico che ci circonda e cisovrasta. In questa sfera, in questo ambitodell’ignoto, che solo con lunghi, tortuosi efaticosi percorsi, lentamente si riesce o siriuscirà a dipanare, le medicine non con-venzionali troveranno sempre il loro ali-mento, la loro giustificazione, soprattuttodove la medicina ufficiale ha fallito.

Nella progressione e nella maturazionedel pensiero umano si è costituita una scaladi valori che dai primordiali riti magicievolve nel tempo, attraverso l’empiria, ver-so il razionale, la conoscenza, la scienza e latecnica. È un percorso che va dalla magiaalla scienza, dalla emotività alla logica, dal-

l’irrazionale perché occulto al razionaleperché noto. La magia è un atteggiamento

spirituale, mentale, che siestrinseca in comporta-menti rituali carichi diocculto significato matendenti al possesso, alcontrollo di quelle forze,di quegli eventi che sfug-gono alla conoscenza,alla comprensione equindi al dominio del-l’uomo.

Emozioni e sentimen-ti, non raziocinio e logi-ca, sono all’origine della

magia che rappresenta il primitivo, primor-diale tentativo dell’uomo di proporsi neiconfronti di un avvenimento eccezionale, diuna forza della natura, di una inspiegabilepotenza, giudicata buona o cattiva e pertan-to avvertita con desiderio di possesso ovve-ro di paura.

La magia rappresenta lo stadio più bassodelle attività intellettuali e precede nel tem-po la scienza e la tecnica.

La storia della salute dell’uomo si dipa-na dallo sciamano, allo stregone, al mago,al guaritore, al cerusico, al taumaturgo, pergiungere infine al medico ed al chirurg o .Figure nate tutte da una stessa esigenza disalute, di salvezza fisica e psichica, che dalungo tempo convivono, giungendo infine adifferenziarsi per i diversi gradi di cultura.

Ecco che, se la medicina alternativa sipone, filosoficamente, tra magia e scienza,la medicina ufficiale è allo stesso temposolo scienza e tecnologia.

La medicina ufficiale ha basi biologiche,

• 85 •Medicina, Ufficiale o Alternativa?, P.F. Bayeli

biochimiche, molecolari, genetiche incostante fluttuazione, in un divenire infini-to che modifica, col progre-dire delle conoscenze, leapplicazioni terapeutiche.Il riconoscimento dei pro-pri errori, la modifica,l’aggiustamento, la corre-zione rappresentano la for-za della scienza medica.

L’immobilismo, la sta-ticità di rimedi alternativi,ormai antichi, la loro pre-parazione mediante dilui-zioni successive di unasoluzione madre con ilrisultato pratico di avereuna molecola di principioattivo in tanta acqua quantane contiene il Mediterraneo, non riesce atrovare giustificazione scientifica nella ipo-tetica memoria dell’acqua, memoria ched i fficilmente si correla col famoso e reali-stico buco nell’acqua, cioè, col nulla. L’ a c-qua sarebbe capace di immagazzinare l’e-n e rgia elettromagnetica di una molecola inessa disciolta e di mantenerla in memoriaanche in assenza del soluto per poi trasmet-terla a liquidi, cellule e tessuti dell’org a n i-smo in un effetto terapeutico da campimagnetici di mesmeriana memoria( M e s m e r, 1734-1815). Questa serie di ipo-tesi fantasiose non ha trovato conferma spe-rimentale alcuna. Di più: non risultanolavori, pubblicazioni, dimostrazioni, valuta-zioni statistico-epidemiologiche, meta-ana-litiche, sperimentali biologiche, di prove econfronti terapeutici che attestino in qual-che modo l’efficacia dei farmaci alternativi.

Non abbiamo difficoltà ad ammettereche molti dei farmaci ufficiali sono defici-

tari o comportano feno-meni indesiderati: è perquesto che andiamoper tentativi, per com-parazioni, pronti adaccettare, modificare orifiutare la sostanza inesame. Ma non basta,siamo consci, ammet-tiamo e studiamo l’ef-fetto placebo, regolar-mente presente nei far-maci ufficiali in per-centuale varia a secon-da della sostanza, dellamalattia e del malato.

La medicina alternativanon ha questi aspetti scientifici, ma rimaneinalterata nel tempo, anche per secoli, inat-taccabile ai progressi della conoscenza.

Ma allora, duecento e passa anni disopravvivenza della medicina omeopaticaed una accettazione, diffusa e numerosacome l’attuale, come si giustificano? Si giu-stificano con le psico-somatosi, con le neu-ro-endocrinopatie, con le malattie auto-limitanti, con le malattie funzionali, conl ’ e ffetto placebo, con le mode del momen-to, con i momenti di sfiducia per le normaliterapie e per la loro dichiarata impotenza afronte di certe gravi patologie org a n i c h e ,non certo autolimitanti. Ancora ci si amma-la e si muore nel 2004 e, fortunatamente,l’ultima a morire rimane la speranza, anchese la delusione per il farmaco alternativo èpronta a venire quando la malattia è vera,grave, organica.

• 86 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

Certo è che, funzionale o placebica, l’a-zione terapeutica dell’omeopatia, dell’ago-puntura e di tutto il compartonon convenzionale, se rag-giunge lo scopo di far recu-perare al malato il suo statodi salute, di benessere, diequilibrio, sicuramente vie-ne a capitalizzare un datopositivo. Questo soprattuttosi verifica quando questealternative terapeutiche ven-gono impiegate e usate nelcontesto di un atteggiamentoculturale di chi non pretendesupporti razionali e scientifi-ci, ma, volontariamente eliberamente, ha fatto questascelta e si auto-convince, coscientemente ono, della possibilità di un ritorno alla fun-zionalità, alla normalità, all’equilibrio, allasoddisfazione, al beneficio. Quello che con-ta è sentirsi guarito.

Attenzione: la stessa medicina uff i c i a l enon è scevra di questi equivoci. Non è infre-quente nella terminologia medica, nel lessi-co professionale, nei certificati medici, neicomunicati sanitari, trovare la risoluzione“paziente clinicamente guarito”.

Ma, cosa vuol dire? Vuol dire che, almomento, non ha più i sintomi, i disturbi, idolori di cui si lamentava, ma, vuol direanche che non siamo certi che la malattia, lacausa, le cause siano state debellate, sianodefinitivamente scomparse. Non è possibi-le, quindi, escludere una ripetizione, unacronicizzazione delle manifestazioni clini-che, dei sintomi, della malattia. Ma se tuttoquesto è frutto della nostra incompetenza,

della nostra ignoranza, della mancanza diconoscenze ampie ed approfondite, non

manca il risvolto positivo diuna onesta aff e r m a z i o n edelle proprie attuali inca-pacità, di una lealtà medi-co-professionale, di unacaparbia e incontenibilevolontà di ricerca e di stu-dio. Questo lento e inco-stante progresso rendefluttuante, incerto, insicu-ro, anche errato, il cammi-no della medicina tradi-zionale, ma adattare,rimuovere, correggeresono i sicuri canoni della

scienza medica.In attesa di attestazioni scientifiche, di

verifiche biologiche, nel contesto di ipotesi,anche logiche ma non dimostrate, la incon-tenibile diffusione delle medicine non con-venzionali è bene che sia gestita e regola-mentata dai medici, i soli che per professio-nalità e cultura siano in grado di diff e r e n-ziare le opportunità terapeutiche più confa-centi al singolo, specifico paziente. I soliche, consapevoli delle caratteristiche razio-nali ma anche idiopatiche, specifiche e indi-viduali della medicina ufficiale, possanocon saggezza e conoscenza trasmigrareall’esoterico mistero delle medicine alter-native, qualora ritengano in coscienza chequeste possano costituire un mezzo nondeleterio per centrare il bersaglio di un nuo-vo equilibrio interiore.

Non pochi propugnano una regolamen-tazione legislativa nel campo delle medici-ne non convenzionali allo scopo di consen-

• 87 •Medicina, Ufficiale o Alternativa?, P.F. Bayeli

tire questa libera scelta, di salvaguardarel’interesse e la salute di potenziali pazienti,di tutelarli da ciarlatani edimbonitori. Tuttavia non èfacile impostare un disegnodi legge chiaro e logico supratiche terapeutiche alterna-tive che molto hanno ancoradi esoterico, assai poco discientifico e razionale.

Recentemente al Comita-to Nazionale di Bioetica èpervenuto dal Parlamento unprogetto di legge che, basatosul principio del pluralismoscientifico, propone l’introduzione dellemedicine alternative nei programmi di inse-gnamento universitari. Il solo fatto, che l’in-segnamento universitario possa codificarecome branca della medicina ufficiale unapratica medica non convenzionale, non staa ffatto bene. La sola ufficialità non è sino-nimo di garanzia e l’Università non può far-si garante di una mistificazione.

Tale mistificazione potrà essere dissipa-ta e le pratiche non convenzionali potranno

essere ufficializzate solo dopo ricerche,esperienze e confronti programmatici: cose

quotidianamente vissute dalla medi-cina ufficiale. Solo così potràessere dissipato il tanto di imma-ginario e valorizzato il quanto direalistico vi possa essere in que-ste pratiche alternative. E, ilmiglior luogo di tale sperimenta-zione, di tali confronti non pos-sono che essere gli istituti clinicie scientifici universitari.

Non esiste pluralismo scienti-fico: di scientifico c’è solo unmetodo, quello della ricerca epi-

demiologica, della sperimentazione biolo-gica estesa ed approfondita sino al microco-smo genetico e molecolare e quella infinedel confronto clinico-terapeutico. Soloquando le medicine non convenzionaliavranno superato almeno alcuni di questiesami, potranno assumere quel tanto dirazionalità che gli permetta l’ufficialità diun insegnamento universitario. Riscontririgorosi in sedi adeguate: nulla può essereconvalidato a scatola chiusa.

Riferimenti bibliografici:

Battaglia, F. Cure alternative. I farmaci che non piacciono allo scienziato. Il Giornale,12/12/03.

Camilleri, R. Cure alternative. Farmaci naturali a prova di scetticismo. Il Giornale,13/12/2003.

Devereux, G. (1970) Saggi di etnopsichiatria generale. Armando, Roma.Malinowskj, B.K. (1963 ) Sesso, cultura e mito. Newton Compton, Roma.Malinowskj, B.K. (1926) Il mito e il padre nella psicologia primitiva. Newton Compton,

Roma.Mathieu, V. Cure alternative. La medicina in cerca di ufficialità. Il Giornale, 28/06/2004.Pecchioli, E. La “forza” dell’omeopatia. Toscana Medica, Aprile 2004.

• 88 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

veramente difficile mantenereposizioni psicologiche equili-brate, emotiva-

mente distaccate, fredda-mente e rigorosamente sci-entifiche, cioè, unicamentebasate su conoscenze, acqui-sizioni, certezze controllate,confermate, concretizzate,programmate.

Un esempio di questad i fficoltà la si riscontra nel-la accanita diatriba tra isostenitori dei Prodotti Bio-logici (PB) e i fautori degliO rganismi GeneticamenteModificati (OGM).

Recentemente abbiamo assistito, in Pie-monte, prima alla coltivazione di maisgeneticamente modificato, poi alla suadistruzione in ordine ad una politica di rigi-do rifiuto, di divieto di sperimentazione “incampo aperto”, di limitazione sperimentaleal chiuso, nei laboratori, con soddisfazionedei sostenitori della tolleranza zero, dellaintolleranza senza se e senza ma agli OGM.La regione Emilia–Romagna sta imponen-do per legge l’uso esclusivo di prodotti bio-logici per le mense scolastiche. Come tuttele posizioni ideologiche, preconcette, estre-miste, massimaliste, fondamentaliste, anchequesta avversione alle biotecnologie, que-st’amore sviscerato per i prodotti “naturali”biologici, finisce per esprimersi con stolto,inutile fanatismo contro qualsiasi forma dievoluzione, di progresso, di cambiamento.Fanatismo inutile perché, come la storiainsegna, serve solo a ritardare e rendere sof-ferto l’inevitabile, inesorabile, inarrestabile

progredire delle novità, delle scoperte, deibisogni. Quanta strada è stata intrapresa fin

dall’età della pietra! D’altronde, fanatismo

“utile”, visto che ogni con-quista umana per acquisirevalore, maturità, interesse,stabilità, deve procedere ine-vitabilmente per contrasti econtrapposizioni, essere ine-sorabilmente, obbligatoria-mente confutata, contrastatae sofferta.

Dall’altra non ci sentia-mo di appoggiare indiscri-minatamente qualsiasi sco-perta scientifica o meglio

qualsiasi teorica o pratica applicazione. Finquando le conoscenze scientifiche risultanodeboli, lo studio, la sperimentazione dimutazioni genetiche, ottenute con l’inseri-mento di un nuovo gene o con la modificastrutturale del patrimonio genetico eredita-rio, deve essere cauto, attento e straordina-riamente testato. Spesso si fanno esperienzedi cui conosciamo la base di partenza, manon sempre sappiamo prevedere le meted’arrivo.

I sostenitori dei prodotti biologici, con-trari non solo agli OGM ma anche agli anti-parassitari ed ai fertilizzanti, oggi regolar-mente impiegati in agricoltura, dimenticanoalcuni fatti che qui è bene ricordare.

Non è più in commercio tra le solanaceela patata biologica che, senza antiparassita-ri, produceva spontaneamente e in eccessola solanina a sua difesa contro i parassiti,ma tossica per i bambini nelle mense scola-stiche (memento Emilia–Romagna!). Iden-

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tica vicenda per il sedano biologico cheinduceva eczemi sulla pelle degli agricolto-ri e dei commercianti che lomaneggiavano in gran quanti-tà e frequenza. Il sedano, perdifendersi da insetti e parassi-ti, aveva decuplicato la produ-zione di psolareni, compostiirritanti e forse anche cance-rogeni, dato il loro indissolu-bile legame col DNA c e l l u l a-re. Infine, il mais biologico,naturale, si protegge dalleinfestazioni da piralide svi-luppando micotossine, notacausa di tumori al fegato.Le specie naturali, biologiche,vincono la lotta per la sopravvivenza secon-do la legge naturale del più forte. Le specieche hanno i caratteri più vantaggiosi sapran-no meglio resistere all’attacco di batteri,funghi, larve o roditori e lo faranno accu-mulando sostanze tossiche contro questiagenti aggressivi, uomo compreso. Questedifese, queste tossine naturali, utili nellaselezione naturale delle specie, risultano pernoi tossiche e quindi indesiderabili. Le duefinalità di sopravvivenza necessariamentenon sempre combaciano. Le piante coltivate, risultano più deboli ebisognose di cure. I pesticidi sintetici di cuihanno bisogno risultano tossici per tutti ipossibili agenti aggressori, uomo escluso, eriducono o addirittura sopprimono la spon-tanea, eccedente produzione dei pesticidinaturali, dannosi per tutti gli aggressori,uomo compreso.L’ingegneria genetica permette di ottenerepiante che resistono all’attacco degli inset-

ti. Ad esempio esiste un gene di origine bat-terica che, inserito nel patrimonio genetico

delle piante, esprime unaproteina, o meglio una pre-tossina, innocua per l’uo-mo ma, se ingerita dagliinsetti, mortale: la proteinaviene infatti trasformata inuna letale tossina da unenzima esclusivo degliinsetti.Il riso è un alimento privodi beta-carotene, precurso-re della vitamina A, cioèdel retinolo, la cui carenzacondanna alla amaurosi.

L’inserimento di tre geni nelpatrimonio genetico del riso, effettuato dalprofessor Ingo Potrykus dell’Istituto diBotanica di Zurigo, ha sviluppato un riso dicolore dorato (golden rice), ricco di beta-carotene, che ha già superato tutti i possibi-li test di sicurezza sia per la salute che perl’ambiente. Intuibile il vantaggio per lepopolazioni più povere dell’Est Asiatico ali-mentate quasi unicamente a riso e condan-nate a carenze visive fino alla cecità.Le biotecnologie sono un passo obbligatodella rivoluzione tecnologica e creano gran-di opportunità (parole di Romano Prodi,Presidente della Commissione Europea). Lericerche scientifiche sugli alimenti geneti-camente modificati hanno accertato la loroinnocuità sia per l’uomo che per l’ambien-te, riducendo i costi di produzione e l’inqui-namento ambientale. Le prove scientifichesugli organismi geneticamente miglioraticonfermano la loro sicurezza, pari o supe-riore agli alimenti convenzionali, tanto è

• 90 •MEDICINA DEL CORPO – MEDICINA DELLO SPIRITO

vero che tra il 1996 e il 2002 le superficicoltivate con piante transgeniche sono pas-sate nel mondo da 2 a 60 milioni di ettari.Al primo posto gli USAcon circa il 70% del tota-le, seguiti da A rg e n t i n a ,Canada e Cina. Sudafricaed India si stanno alli-neando. La Spagna con32.000 ettari di maisgeneticamente modifica-to ne sta concretamentesperimentando la coesi-stenza con le coltivazionitradizionali. In Inghilter-ra ha prevalso il ragiona-mento sull’ideologia, per cui con pragmati-smo anglosassone, selezionando di volta involta e caso per caso, è stato consentito l’u-so del granturco transgenico, riservando peril momento ad ulteriori studi sia le barba-bietole che la colza.Inverosimile la rigida posizione dell’Italiache applica ottusamente il principio di pre-cauzione, sbandierato in modo distorto estrumentale dai soliti ecologisti ed ambien-talisti, fanaticamente negati al progresso,

ma sazi di parmigiano reggiano e di pro-sciutto di Parma, ottenuti con latte e carnedi bestie nutrite con foraggio geneticamen-

te modificato, impor-tato dall’estero per inostri allevamenti.F o r t u n a t a m e n t equalcosa si sta muo-vendo anche inEuropa come dimo-strano le direttivedella commissioneCodex Alimentariussull’utilizzo deglialimenti biotecnolo-gici come mais, soia

e patate. L’Unione Europea (UE) ha auto-rizzato infatti l’importazione, la trasforma-zione e la vendita in tutta Europa, quindiItalia compresa, di un tipo di mais dolce inscatola sulla cui etichettatura, la rigorosalegislazione della UE, impone l’obbligato-ria evidenza e tracciabilità dei prodottiOGM. Finalmente Distinguo, Cautela,Attenzione, Intuito, Etica prevarranno suPreconcetto, Massimalismo, ImmobilitàIntellettuale, Ottusità.

Riferimenti bibliografici:

Battaglia, F. Se con i cibi “bio” aumentano i rischi per la salute. Il Giornale, 08/04/2004.Battaglia, F. Che cosa insegna la scelta di Londra sugli OGM. Il Giornale, 15/03/2004.Materi, N. Granturco OGM. Il Giornale, 20/06/2004.Poli, G. et alii (2004) Biotecnologie: i vantaggi per la salute e per l’ambiente. 21° Secolo

Editore.Riccardi, R. Biotecnologie: la fame avanza nel mondo, gli OGM attendono. Il Giornale,

06/12/2003.

Con questo libro l’Autore si propone di percorrere insieme al let-tore un cammino iniziatico che, attraverso l’esoterismo e il sim-bolismo massonico, porti alla vera L u c e, alla sorgente della nostrastessa conoscenza umana.Nel suo aspetto iniziatico infatti, ci dice l’Autore, la L u c e, “sopradi noi”, è espressa attraverso l’Arte Muratoria che, nella sua

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Segnalazioni editoriali

4/2004

H I R A M

[...] È suggestivo e estremamente interessante analizzare, sia purin maniera succinta, il rapporto tra fascismo e Massoneria. Infat-ti molto è stato scritto su questo tema, ma a noi premeva rimar-care il fatto che, nonostante un primo periodo di benevola o addi-rittura, in qualche caso, entusiastica adesione alla nascita del fascismo, in seguito nonpotevano non affiorare e poi consolidarsi motivi di profondo dissenso e di decisa ripro-vazione del fascismo da parte dei vertici del Grande Oriente. [...]

dalla Presentazione al testo

MARCO FRANCINI, GIAN PAOLO BALLI

Il “Gran Maestro” Domizio Torrigiani (1876-1932)Editrice C.R.T., Collana Studi e ricerche 11; Istituto storico del-la Resistenza e della società contemporanea nella Pro v i n c i adi PistoiaPistoia, 2003. pp. 137, 15,00

VINCENZO TARTAGLIA

Il cammino iniziatico. Massoneria e Luce.Bastogi Editrice ItalianaFoggia, 1995. pp. 128, 10,00

SEGNALAZIONI EDITORIALI• 92 •

4/2004

H I R A M

essenza, va oltre la filosofia, oltre la scienza e oltre la stessa religione. Per cui il Te m p i omassonico, che riproduce le armonie dell’Universo, contiene i segreti della costituzionestessa dell’uomo. Lo scopo della Massoneria iniziatica consiste quindi nel ricondurre ilMassone, attraverso la conoscenza dei simboli, ma anche il ragionamento e l’intuizione,non già al “suo” stato terrestre, ma alla condizione spirituale originaria della L u c e che lo haemanato.

Ricevere la luce massonica significa essere iniziato ai misteri del-l’universo. L’iniziazione stessa è un simbolico avanzare dall’Oc-cidente all’Oriente del Tempio: è un cammino che procede dallaprofanità, dalle tenebre dell’ignoranza e dell’imperfezione, ver-so la luce della conoscenza e della perfezione.[...] Per il Massone che frequenta il Tempio e collabora nei Lavo-

ri, l’esperienza muratoria rappresenta nondimeno un’ottima scuola di vita. Se poi qual-che Fratello, dotato di un’intuizione particolarmente brillante, è disposto anche a sacri-ficarsi nel difficile e lungo studio del simbolismo, allora vedrà schiudersi le meravi-gliose porte della vera, reale iniziazione: egli intraprenderà con profitto il cammino inte-riore, silenzioso, quasi invisibile, che lo condurrà all’Oriente di luce: e ciò anche sedovesse restare Apprendista per tutto il tempo della vita massonica!

dalla Prefazione dell’Autore

VINCENZO TARTAGLIA

Verso l’Oriente. La via massonica del perfezionamento.Bastogi Editrice ItalianaFoggia, 2001. pp. 80, 7,75

Il simbolismo massonico, che sgorga dallo spirito degli iniziati,per affinità attrae l’io del Fratello spirituale; costui, grazie al sim-bolismo, può espandere la sua coscienza al di là della nostra sfe-ra fenomenica che fin troppo influenza l’esistenza delle persona-lità poco illuminate.

VINCENZO TARTAGLIA

Simbolismo massonico. Le sue fondamentali espressioni secondo laconoscenza esotericaBastogi Editrice ItalianaFoggia, 2003. pp. 112, 10,00

• 93 •SEGNALAZIONI EDITORIALI

4/2004

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The Canonbury Papers è il primo volume di una serie di pub-blicazioni previste e prodotte dal Canonbury Masonic ResearchCentre, CMRC, contenenti le relazioni offerte all’annuale Con-ferenza Internazionale presso la Canonbury To w e r, Islington,Londra.

Interiorizzando i simboli, leggendoli cioè con l’occhio animico-spirituale (il “terzoocchio”), il Massone percepisce via via la loro universalità ed arriva alla conclusione chesoltanto esseri superumani possono averli creati, non già uomini comuni. Tale consapevo-lezza accende e rafforza sempre più nel Fratello la credenza negli iniziati; quindi la tradi-zione, a questi legata, diventa per il suo io qualcosa di concreto, vivente, che pulsa lungo lastoria dell’umanità così come il sangue pulsa all’interno di un individuo. [...]

dalla Prefazione dell’Autore

Il vero Massone sa che le conoscenza acquisite a nulla valgono,se non riescono a migliorare la sua disposizione verso gli altri. Èattraverso i comportamenti altruistici che noi mostriamo infatti laluce interiore, altrimenti invisibile.

La conoscenza dev’essere desiderata al di sopra di tutte le cose, e senza egoismo. ildesiderio puro e sincero della saggezza può quindi soltanto accendersi nello spirituali-sta, poiché è appunto lo spirito dell’uomo che s’innamora spassionatamente dello spi-rito universale, vera e sola saggezza intramontabile.

VINCENZO TARTAGLIA

Scintille massoniche. La sapienza muratoria in pensieri, poesie,argomentazioniBastogi Editrice ItalianaFoggia, 2003. pp. 97, 8,00

THE CANONBURY PAPERS, VOL. 1The Social Impact of Freemasonry on the Modern Western WorldAtti della Seconda Conferenza Internazionale tenutasi alCanonbury Masonic Research Centre, Londra, 4-5 Novem-bre 2000. A cura di M.D.J. Scanlan.www.canonbury.ac.uk

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Ho iniziato tracciando una forte distinzione tra ciò che si inten-de per Massoneria come organizzazione sociale e Massoneriacome corpo di insegnamenti quasi-moralistico/scientifici. Que-sto contributo esamina le possibili origini, temi e sviluppi di talecorpo omogeneo di dottrine del XVIII secolo che si possono dire“idee” che vanno oggi sotto il nome di Massoneria.

Si sono spesi molti anni di sforzo intellettuale per cercare le origini dell’Arte. […]La tesi principale alla base di questo testo è che la Massoneria fosse il prodotto del pen-siero illuministico inglese, e gli insegnamenti che gli iniziati del XVII secolo esposeronelle loro riunioni non sarebbero riconosciuti come massonici dalla maggior parte deimassoni del nostro tempo. Le loro dottrine, così come possiamo desumere dalle pove-re evidenze documentarie, erano relativamente primitive, mentre quella che i membridella Istituzione inglese chiamano oggi “Massoneria” è una realtà permeata di schemimolto più elaborati – come leL e c t u r e s di William Preston – dove il simbolismo e glia rgomenti semi-storici sono profondamente completati in un sistema di pensiero forte-mente integrato e altamente strutturato. […]

tradotto dalla Introduzione dell’Autore

TREVOR STEWART

English Speculative Freemasonry: Some Possible Origins,Themes and DevelopmentsUnited Grand Lodge of England, Prestonian Lecture

Questo volume contiene nove contributi presentati in occasione della Seconda ConferenzaInternazionale che ha avuto luogo a Londra il 4-5 Novembre del 2000 sul tema dell’impat-to sociale della Massoneria sul mondo occidentale moderno. Inoltre, il volume si apre conuno scritto del Dr. Jan Snoek, “I primi sviluppi dei gradi e dei rituali massonici: Hamill vsStevenson”, esposto durante la prima Conferenza Internazionale (6-7 Novembre 1999).Gli articoli di questo volume abbracciano temi significativi inerenti la politica, la società ela cultura inglese ed europea e ne rivelano il contributo e il coinvolgimento della Massone-ria, la quale è stata finora omessa dai moderni insegnamenti. Gli articoli offrono un note-vole contributo a numerosi dibattiti storici di più ampia portata.

Si può oggi affermare che il tema della Massoneria, dopo un cer-to periodo di oscurantismo, stia uscendo dall’ignoranza che pertanto tempo l’aveva caratterizzata. La Massoneria e le sue mol-te implicazioni con la storia, la politica, la religione, la letteratu-ra, la musica, il teatro, etc., sta interessando oggigiorno non solo eruditi e uomini inte-

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Con questo X Simposio Internazionale sulla Storia della Masso-neria Spagnola che oggi inauguriamo presso l’Università CarloIII, vogliamo commemorare i 275 anni dalla fondazione aMadrid, il 15 febbraio del 1728, della prima Loggia spagnolariconosciuta e accettata dalla Gran Loggia d’Inghilterra. In par-ticolare, il libro degli Atti di tale Gran Loggia evidenzia come laSpagna sia stata la prima nazione del continente a sollecitare lafondazione di una Loggia regolare. Questa tesi è sostenuta, tragli altri, da storici come Begemann, Jones, Lennhoff, Posner,Waite, Ward, Clegg, Gould e Azzuri. E anche Lane, nel supple-mento al suo testo Masonic Records 1717-1886, è tanto concor-de nel dirlo da far figurare la Loggia di Madrid con il numero 50nella lista delle Logge (Pine’s engraved List of Lodges) del 1729.Il nome assegnato a questa Loggia era F rench A r m s e la sua sedeera St. Bernard Street in Madrid.

tradotto dalla Presentazione del Coordinatore del Volume

A CURA DI J.A. FERRER BENIMELI

La Masonería en Madrid y en España del siglo XVIII al XXIVol. I, II.Atti del X Simposio Internazionale di Storia della Massone-ria, Leganés (Madrid), 2-6 sett. 2003Ed. Centro de estudios históricos de la Masonería españolaZaragoza, 2004. pp. 730

JOSÉ A. FERRER BENIMELI, SUSANA CUARTERO ESCOBÉS

Bibliografía de la MasoneríaTomo I, Tomo II (Vol. I, II)Fundación Universitaria Española, Investigaciones Bibliográficas sobre Autores EspañolesMadrid, 2004

ressati, sempre aperti a ciò che tra le società segrete si nasconde,ma anche i ricercatori e i docenti universitari che cercano di stu-diare affermazioni e tradizioni in molti casi difficili da risolvereattraverso un’analisi critica sommaria.Lo scopo di questa B i b l i o g r a f i a, nella seconda edizione, è dio ffrire un aiuto al non sempre facile compito di critica storica.Come si diceva nel 1974 per la prima edizione del testo, questaB i b l i o g r a f i a non pretende di essere esaustiva, ma di fornire unorientamento storico e critico nel settore tanto attraente dellastoria della Massoneria. Come tutte le bibliografie è un’operache si aggiorna nel tempo. [...] Di fronte a questa grande quantità di opere – parte delle qualituttavia molto incomplete – e soprattutto per la confusione esi-stente in materia, che a sua volta deriva in molti casi dal tonopolemico con cui viene abitualmente trattato l’argomento, siimpone la produzione di un’informazione bibliografica il piùpossibile asettica nella quale trovano spazio le varie tendenze econvinzioni possibili.Per questa ragione l’introduzione critica che apre questo lavoronon ha altro fine se non di facilitare la comprensione e il valoredelle opere e degli studi dedicati a un tema del quale normal-mente si conosce poco nonostante la gran quantità di letteraturaspecializzata. [...]

Le persone interessate a proseguire la ricerca possono orientarsi facilmente, non solonelle Biblioteche specializzate sull’argomento, come possono essere quella della Uni -ted Grand Lodge of England (Londra), del Grand Orient de France (Parigi), del Groo -toosten der Nederlanden (La Haya), della Gran Lodge of Scotland ( E d i m b u rgo), oppu-re del Deutsches Freimaurer Museum (Beyruth) – per citare alcune delle più cono-sciute – ma anche nei principali Archivi e Biblioteche Nazionali europei i cui fondisono a disposizione pubblica dei lettori.Infine, per rendere più maneggevole la consultazione del volume, è presente un indicegenerale per orientarsi a grandi linee nella bibliografia, oltreché un indice onomastico,anche geografico e tematico, che raccoglie alcuni degli aspetti più importanti che, perla estensione cronologica dellaB i b l i o g r a f i a, invece, si incontrano altrimenti situati incapitoli diversi o isolati.Il mio ringraziamento alla Università Cattolica Andrés Bello di Caracas che ha resopossibile la prima edizione di questa opera, e alla Fondazione Universitaria Spagnoladi Madrid che ha contribuito alla presente edizione.

tradotto dalla Avvertenza per i Lettori

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Il volume raccoglie tre testi di Georges Canguilhem pubblicatiin occasioni e luoghi disparati. Essi tuttavia testimoniano dellospessore teoretico di una ricerca che, volutamente discreta e tal-volta “minimalista”, non può però per questo essere confinata nel campo del-l’erudizione. I problemi relativi allo statuto del soggetto, alla specificità del discorsoscientifico, alla natura della verità, della conoscenza e del pensiero, sono affrontati da

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Un’introduzione al pensiero di Hans Jonas che è anche un con-fronto serrato con le sue proposte: i saggi presenti in questo vo-lume intendono fornire un primo orientamento alla complessa earticolata riflessione filosofica del pensatore tedesco, senzaesimersi dall’entrare nel merito delle questioni da lui sollevate.Il contributo di Becchi ne presenta le direzioni di fondo, recependo e sviluppando irisultati più recenti della critica jonasiana, i due scritti di Apel e Ricoeur, punti di rife-rimento essenziali nella letteratura su Jonas, mettono in luce con grande lucidità – qualeè da attendersi da due personalità così eminenti nel panorama filosofico contempora-neo – questioni problematiche fondamentali su cui oggi è viva la discussione.Etica e metafisica, responsabilità e utopia, fondamento ontologico e filosofia dellabiologia, sono solo alcuni dei temi trattati che evidenziano – sottolinea Nynfa Bosconella Prefazione – “quali siano la ricchezza e il livello della discussione messa in sce-na in questo libro, dove il pensiero di Jonas è affrontato senza dogmatismi né preven-zioni né banalizzazioni frettolose e ingiustificate”.

KARL-OTTO APEL, PAOLO BECCHI, PAUL RICOEUR

Hans Jonas. Il filosofo e la responsabilità.A cura di Claudio Bonaldi; prefazione di Nynfa BoscoAlbo Versorio,S t u d i 2, collana diretta da Claudio Bonaldied Erasmo Silvio Storace.Milano, 2004. pp. 156 12,50

GEORGES CANGUILHEM

Scritti filosoficiA cura di Andrea CavazziniMimesis, E p i s t e m o l o g i a a cura della Associazione Culturale“Louis Althusser”, collana diretta da Maria Tu rchetto eEnrico Castelli Gattinara.Milano, 2004. pp. 69 11,00

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Canguilhem in costante e puntuale riferimento ai problemi suscitati dalle scienze con-temporanee, ma anche attraverso un dialogo spesso implicito con Nietzsche, Wittgen-stein, Husserl ed altri ancora. Tipico di Canguilhem, e della massima importanza, è l’at-tenzione accordata alle pratiche di dominio e razionalizzazione implicate nell’appa-rente oggettività dei discorsi scientifici.Il Saggio introduttivo cerca di interpretare il pensiero di Canguilhem alla luce dialcune tematiche althusseriane (segnatamente, quelle relative al materialismo aleato-rio ed all’effetto di decentramento prodotto dalle svolte copernicane del pensiero mo-derno), e di inquadrarne il ruolo nel dibattito sulle strutture di pensiero tipiche dell’etàmoderna, con particolare riferimento ai lavori di Hans Blumenberg. Questo intrecciotra storia e sapere, tra filosofia, scienza e critica sociale, tra strutture della razionalitàe forme storiche di vita, è tipico di quella tradizione francese di storia filosofica dellescienze di cui Canguilhem è un riconosciuto maestro.

Rispetto alle precedenti pubblicazioni di questo lavoro giovaniledi Antonio Labriola, quella crociana del 1906 e del Dal Pane del1959, la presente edizione dell’Origine e natura delle passionisecondo l’“Etica” di Spinoza si distingue soprattutto per due

aspetti. Innanzitutto il metodo. Di fronte all’eccessivo filologismo dell’edizione DalPane, si è ritenuto di condividere l’invito che già molti anni fa più di uno studioso espri-meva: il diritto del lettore di “richiedere dei testi grammaticalmente puliti, corretti nel-la punteggiatura, sgombri di varianti inutili, di inutile pedanteria, insomma un’edizio-ne critica”. La seconda novità riguarda la datazione. Se Benedetto Croce datava il testodi Labriola nel 1865 e già Luigi Dal Pane lo correggeva al 1866, ulteriori e più attenteipotesi, ampiamente documentate nellaI n t r o d u z i o n e al testo, spingono il Curatore adatare nel 1867 la versione finale del saggio labriolano. Infine, oltre al testo sull’O r i -gine e natura delle passioni, ci è sembrato utile, in questa nuova edizione, mettere a di-sposizione del lettore alcune minute labriolane particolarmente significative: a) la C o n -clusione; b) la Prefazione (prima stesura); c) lo Schema del lavoro; d) il Metodo.

ANTONIO LABRIOLA

Origine e natura delle passioni secondo l’Etica di Spinoza (1867)A cura di Marzio ZanantoniEdizioni Ghibli, Spinoziana 9.Milano, 2004, pp. 128, 12,00

Un’antica profezia prometteva il dominio dell’Asia a chi avessereciso il nodo di Gordio. Sempre ricorrente nel teatro della sto-ria, il fronteggiarsi di Europa ed Asia è il tema del dialogo cheErnst Jünger e Carl Schmitt intessono in questo volume, con stilidiversi quanto a scrittura ma con p a t h o s ugualmente vibrante.Trascorrendo dal mito alla storia, Ernst Jünger vede nell’incontro-scontro tra Oriente e

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Nel corso dei secoli i Balcani e l’Europa Orientale sono stati lospazio dello scontro politico-militare, ma anche dell’incontro edella contaminazione tra le civiltà del Mediterraneo. I processidi transizione seguiti alla fine del comunismo hanno proposto modelli di evoluzioneche rappresentano l’esito di complesse tradizioni e, insieme, il risultato degli odierniprocessi di internazionalizzazione e globalizzazione. Al centro dei saggi raccolti nelvolume vi sono i processi di transizione alla democrazia nei Paesi ex-comunisti del-l’Europa Orientale, considerati principalmente attraverso l’analisi dei rapporti con-flittuali tra gruppi di maggioranza e minoranza e lo scontro tra opposti nazionalismi.I saggi affrontano la realtà postcomunista nell’area balcanica e centro-europea(Bosnia-Erzegovina, Grecia, Serbia, Ungheria) e nei Paesi dell’ex-Unione Sovietica.Ne scaturisce la consapevolezza delle profonde differenze esistenti tra le democraziecostituzionali occidentali e la realtà dei Paesi centro-orientali, segnati dalla diff i c o l t àdi realizzare aspetti democratici in contesti lacerati da nazionalismi esasperati, traumipsichici transgenerazionali e collettività che limitano profondamente l’aff e r m a z i o n edei diritti soggettivi.

A CURA DI GUSTAVO GOZZI E FABIO MARTELLI

Guerre e minoranze. Diritti delle minoranze, conflitti interetnicie giustizia internazionale nella transizione alla democrazia del -l’Europa Centro-orientale.Società Editrice il Mulino, Democrazie, Diritti, Costituzionicollana diretta da G. Gozzi. Bologna, 2004, pp. 424, 32,00

ERNST JÜNGER, CARL SCHMITT

Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente e Occidente nella storiadel mondo.A cura di Carlo GalliIl Mulino, Intersezioni 262.Bologna, 2004. pp. 163 12,00

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Occidente la contrapposizione tra due atteggiamenti umani fondamentali: da un latol’ermetismo, l’arcano, la magia, la sacralità del sapere e del potere; dall’altro lo spiritolibero, la circolazione delle idee, la mobilità, un potere temperato dalla ragione e daldiritto.A questa visione “polare” Schmitt oppone una concezione dialettica centrata sulle ca-tegorie di terra e mare come chiave di comprensione dei rapporti tra l’Oriente, compattamassa di terraferma, e l’Occidente, emisfero coperto di oceani. Sullo sfondo egli cogliel’unità del mondo quale viene realizzata dalla potenza unificante della tecnica. Nellanuova introduzione al libro Carlo Galli rilegge il dialogo attraverso il prisma della poli-tica globale.

... Attendevamo da molto tempo che si facesse giorno, eravamosfiancati dall’attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo

reso muto da una malattia terribile ci ha restituito una nuova forza. Grazie, per questo.

José Saramago (Premio Nobel per la Letteratura 1998)

Certe volte mi domando cosa mi tenga in vita. È l’averla corsa che non mi fa maichinare il capo. Sono nel fango, cado, mi rialzo e cado. Ma ogni volta che mi rimetto inpiedi, per poi subito dopo ricadere, mi accorgo che il fango non mi si è attaccato addos-so. Sono pulito, devo esserlo. Con la clonazione terapeutica sarà forse possibile curarenei prossimi anni 10 milioni di persone nel nostro paese. È questa la portata dellabattaglia radicale per la libertà di Scienza.Nel darle corpo e voce, pensavo che il maratoneta che non può più correre la corsa dimaratona a causa della sclerosi laterale amiotrofica mi avesse abbandonato, invece èancora in me, è me.

LUCA COSCIONI

Il Maratoneta. Storia di una battaglia di libertà.All’interno articoli di Umberto Veronesi e Gilberto CorbelliniEdizioni Stampa Alternativa.Roma, 2002. pp. 170 10,00www.lucacoscioni.it

MARK SOLMS, OLIVER TURNBULL

Il cervello e il mondo interno. Introduzione alle neuroscienzedell’esperienza soggettiva.Prefazione di Oliver Sacks, traduzione di Andrea Clarici.Raffaello Cortina Editore, Scienza e Idee collana diretta daGiulio Giorello.Milano, 2002, pp. 383, 29,80.

ALFRED A. TOMATIS

L’orecchio e il linguaggioPrefazione di Flavia RavazzoliEdizioni Ibis, 2002, pp. 152, 14,46

Il linguaggio, come elemento fondante l’umanità dell’uomo, nonpuò essere analizzato e studiato se non si tiene presente il ruolodeterminante svolto dall’udito: è infatti grazie all’udito che è sta-to possibile all’uomo costruire il linguaggio. A partire da questaconvinzione, frutto di lunghi anni di studio e di sperimentazione,Alfred A. Tomatis propone un’interpretazione complessiva del-l’uomo, sottolineando l’importanza che nella fonazione assumeil corpo nella sua integralità. L’orecchio e il linguaggio risulta così uno dei saggi piùcompleti per comprendere la teoria dell’ascolto di Tomatis, una teoria che ha trovatoimportanti riconoscimenti in tutto il mondo e che si è ormai diffusa anche in Italia.

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Mente e cervello sono complementari, quasi come lo y i n e loy a n g. Da una parte la psicologia, dall’altra le neuroscienze sisforzano di fornire spiegazioni più adeguate alla luce degli stru-menti specifici di cui dispongono. È ora il momento che gli spe-cialisti dei vari campi collaborino in modo che possa emergere una comprensione glo-bale del “mondo interno”. Quest’ultimo costituisce l’ambito tradizionale della psi-coanalisi fin dalla “età eroica” di Freud – il quale aveva suggerito di tralasciare “lestrutture anatomiche soggiacenti” (ma solo perché il livello della loro analisi “oggetti-va” era ancora troppo basso). Viceversa, i cultori di neuroscienze si sono ben guardatidal prendere in considerazione “stati mentali soggettivi” come la coscienza, leemozioni e i sogni. Invece, nella coraggiosa proposta di Solms e Turnbull non solo ven-gono abbattute le barriere disciplinari che i vari esperti hanno costruito sul terreno del-la reciproca diffidenza ma viene delineato un nuovo sapere – quello della neuropsi-canalisi – che non solo mira a sviscerare gli aspetti più profondi della realtà dell’Io, maanche a cambiare le modalità della cura.

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Filosofie per un terremoto di Giuliano TesseraLa musica alla corte degli Sforza al tempo di Leonardo di GiulioCesare MaggiIl ponte: uno sguardo all’intorno di Daniele GarneroneLa rinascita islamica di Emanuela ScarpelliniGli Indiani d’America: cittadini riluttanti, guerrieri scalpitantidi Mark DavenportEOS…contro il Mal di mare, RedazionaleIl “padre della Medicina”

EOSRivista di storia delle scienze mediche, naturali e umane,cultura e costumeNelle edicole e in abbonamento. Anno III n. 6, 5,00

Il dolore e la coscienza di Mario TiengoLa libera repubblica di Cospaia di Giuliano TesseraNiklas Kepperlingk di Giulio Cesare MaggiLa soppressione del monastero de “La cavaria” di VittorioMacchiLe cisterne: sistemi idraulici dell’Italia romana di Daniele Gar-neroneIl mito di Dioniso: nato due volte con lo stesso cuore di AlvaroVaccarellaGli Etruschi e l’arte sanitaria di Francesco Piscitello

EOSRivista di storia delle scienze mediche, naturali e umane,cultura e costumeNelle edicole e in abbonamento. Anno III n. 7, 5,00

Editoriali e commenti

Un lavoro che continua di R. BalzaniRitorno al futuro di P. CarusoDiscorso del Presidente della Repubblica per la cerimonia delVentaglio di C.A. CiampiQuale riforma per l’Onu di G. MontaniL’Europa che non c’è di G. RaffiAmi nel Secolo XXI di R. Brunetti

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IL PENSIERO MAZZINIANO

Democrazia in azioneAnno 59° - Nuova serie, Maggio - Agosto 2004,Quadrimestrale n° 2.Periodico dell’Associazione Mazziniana Italiana - o.n.l.u.s.www.associazionemazziniana.it

Da queste pagine scaturisce il vero volto del Risorg i m e n t oitaliano: liberale, cristiano, europeista, fautore del rispettodell’Uomo. Scintilla dell’Universo.Contro l’intolleranza, la repressione e la tortura si erge lafigura di Silvio Pellico (Saluzzo, 1789 - Torino, 1854), qui indagato in tutti i suoi aspet-ti: il letterato, il carbonaro – sapientemente ritratto da Gioacchino Serangeli –, il profe-ta dell’Europa delle nazioni, fondata sui “doveri degli uomini”.Siamo orgogliosi di proporre, per la prima volta nella veste originaria, l’opera italianapiù tradotta all’estero. Auspichiamo concorra a formare le generazioni venture diun’Europa sempre più grande.

Giovanni Rabbia

SILVIO PELLICO

Le mie prigioni. Memorie di Silvio Pellico da Saluzzo.Manoscritto originale e nuova trascrizione. A cura diAldo A. MolaEd. Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo – Bastogi Editrice ItalianaFoggia, 2004. pp. 255

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Primo Risorgimento - Saggi e interventi

Federico Campanella nel Risorgimento Italiano di E. CostaLettere di F. Campanella a cura di L. BertuzziI patrioti italiani per l’indipendenza di Cuba di E. SantarelliMazzini in esilio di M. FinelliNostro nell’anima, Guglielmo Gajani di M. ProliGiuseppe Garibaldi e il socialismo di L. Bruni

Secondo Risorgimento - Saggi e interventi

La settimana rossa di C. DesideriIl testimone dell’Aventino di C. MacrelliL’eredità di Gobetti di P. PermoliIl rivoluzionario liberale di F. Galluccio

Terzo Risorgimento - Saggi e interventi

L’idea di Europa di Giovanni Spadolini di C. CeccutiUna proposta per salvare l’idea della cultura di G. RippaIl progetto di pace perpetua di L. LeviResistenza, Costituzione e diritti sociali, dialogo con Ermanno Gorrieri a cura di M.GoldoniCinema italiano e Risorgimento di A. SfientiCircoli storici e Gl di G. FubiniProcreazione e referendum a cura della redazione PmIl sogno esperantista di U. BroccatelliVersus il mercato delle illusioni di F. Milandri

Studi Repubblicani - Saggi e interventi

Nicolas Antoine Boulanger: dispotismo e libertà di E. GabbaLa tradizione repubblicana in Franco Venturi e Quentin Skinner di E. Fasano Guarini

Libri, cultura e società - Recensioni e rassegne

Scelta ragionata, Dentro al monumento a cura della redazione PmFra gli scaffali a cura della redazione PmL’opzione, Tra radicalismo e estremismo di P. CarusoRiletture, A fuoco il manichino di G. ContiEx-Libris, Il re travicello di R. Maroni

L’Autore definisce appropriatamente nel sottotitolo “racconto di vita iniziatica” questolibro, in quanto nelle prime pagine leggiamo l’esatta procedura di una iniziazione comeavviene ancor oggi nelle Logge italiane, riportandone per intero brani che i Dignitari di Log-gia ed il neofita recitano per l’occasione. Intervallati a tale antica ritualità vi sono i com-menti, le sensazioni dell’ iniziando. In effetti, in forma di romanzo, ma potremmo parago-narlo ad uno dei dialoghi platonici, ritroviamo nel testo trasfusa la concezione di vita mas-sonica dell’Autore. Potrei dire anche la concezione massonica tout court avendo Delfo DelBino ricoperto alte cariche istituzionali nella Massoneria di Palazzo Giustiniani, ma mifreno, sia per quel sottotitolo che indica che la realtà s’incontra con la fantasia, sia perché èl’Autore stesso che nelle corpose pagine conduce spesso verso un altrove utopico. Potrebbe,il testo, essere considerato un saggio filosofico imperniato com’è a trovare soluzioni esisten-ziali e al contempo pragmatiche di vita, attraverso la scelta fatta dal personaggio principale,J . F., di far parte di questa scuola iniziatica massonica. Bella la soluzione trovata dallo scrit-tore col confronto fra l’iniziato ed un sacerdote, suo amico, missionario in Africa. Ne vienefuori tutta la secolare problematica dei rapporti fra Chiesa cattolica e Massoneria, arricchi-ta nel contempo dalla difficoltà personale dell’iniziato di far comprendere e giustificare alprete la doppia appartenenza di cattolico e di massone. In effetti lo stratagemma del sacer-dote non è altro che il “doppio” dell’Autore, cioè la sua coscienza di cattolico che fa da con-traltare al laico credente che è in lui. Un romanzo scritto di testa, quasi una tesi filosoficaromanzata, in definitiva più un saggio filosofico che un romanzo, del quale conserva solo ilsottotitolo: Racconto di vita iniziatica quando la realtà s’incontra con la fantasia.

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Recens ion i

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DELFO DEL BINO

Gli iniziati di Kronos. Racconto di vita iniziatica quando la realtà s’incontra con la fantasia. Ed. Angelo Pontecorboli. Firenze, 2003.

di Guglielmo Adilardi

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Il poderoso volume sulla biografia di Giovanni Giolitti contiene molteplici spaccati del-la storia della Massoneria. Da subito (pag. 43 ss) l’Autore pone il quesito sul perché il reVittorio Emanuele III non firmasse lo stadio d’assedio per fermare la marcia su Roma diMussolini. C’è ancora chi reputa che l’intervento della Massoneria fu decisivo. In effetti idue spezzoni della Massoneria, quella spuria del 1908 e il Grande Oriente d’Italia all’epocaavevano due “cornute” visioni di come rapportarsi con il potere. Il Grande Oriente d’Italia,per la propria tradizione mazziniana e post-Risorgimentale, ambiva ad affiancarsi al potereper condizionarlo con recondite mire repubblicane. La Gran Loggia mirava ad attestarvisial potere per mutuare sostegno e benefici. Questa, tra le persone di riguardo enumerava gene-rali, ammiragli, alti funzionari e, al numero uno del piedilista, lo stesso Vittorio EmanueleIII, che per la verità mai aveva avanzato l’idea di divenire massone. Ma d’altronde, dicel’Autore, il re non aveva alcun interesse a rifiutare tale onore, essendo la maggior parte delleteste coronate europee ai vertici delle Massonerie nei loro Stati.

Questo desiderio di avere all’interno della Massoneria personaggi autorevoli viene con-fermata il 25 ottobre quando viene fatto omaggio a Mussolini, transitante per la stazione Te r-mini, di un brevetto massonico e di un’attestazione di sostegno alla marcia su Roma, di cuierano nell’aria da tempo le voci, da parte di Raul Palermi.

Anche il Grande Oriente d’Italia aveva al suo interno uomini di prestigio indiscussocome Luigi Capello, Cesare Pettorelli Lalatta, Gustavo Fara, Sante Ceccherini, UmbertoZamboni e Ugo Cavallero. Alla celebre Loggia P r o p a g a n d a era affiliato anche Angelo Gat-ti, che per anni era stato a fianco del comandante supremo Luigi Cadorna.

Dubbioso peraltro resta l’Autore nel ritenere l’influenza diretta della Massoneria a favoredella marcia su Roma. Certo è che nel 1922 la Loggia P r o p a g a n d a reclutò molti alti uff i c i a l idelle diverse armi e delle regie guardie (Carabinieri n.d.a.), nonché funzionari di pubblicasicurezza e a capo di quella Massoneria vi era Domizio Torrigiani, transitato dal giovanileradicalismo al sostegno della corona in età più matura.

Quindi le due Massonerie, conclude Mola, erano pronte ad avallare la presidenza Mus-solini pur di evitare la guerra civile ed un perdurante logoramento politico che nessuna delledue obbedienze aveva interesse a coltivare. Oppure, altra ipotesi suggestiva avanzata edaltrettanto attendibile, le Massonerie intuivano i tempi nefasti, la prossima alleanza con laChiesa cattolica e volevano avere al proprio interno, per difesa propria e dello Stato laico,uomini di comprovata fede democratica.

Nel contempo, non pochi erano i massoni che circondavano lo stesso Mussolini , adiniziare da Cesare Rossi, suo addetto stampa e segretario particolare.

ALDO A. MOLA

Giolitti. Lo statista della nuova Italia. Collana “Le Scie”, editore Mondadori, Milano, 2003, n. pag. 547.

di Guglielmo Adilardi

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Il 9 marzo 1889 Crispi varò il suo secondo ministero dove il quarantasettenne Giolitti funominato ministro del Tesoro.

Crispi e Giolitti erano uomini con vissuti diversi, ma avevano al fondo della loro per-sonalità la capacità di intuire e decidere. Crispi affannato dall’idea di un’Italia imperiale egloriosa, Giolitti da un’Italia più uguale e meno povera.

Ambedue possedevano una fortissima personalità. Crispi fu lottatore appassionato siaquando fu all’opposizione sia quando fu a capo del Governo, fautore di profonde riformecome Giolitti, ebbe però a suo carico una spina nel fianco: Adriano Lemmi, Gran Maestrodel Grande Oriente d’Italia e Fratello oltre che di Loggia anche di congiure repubblicanegiovanili.

Lemmi fece intendere più volte al Primo Ministro che solo lui, dal soglio massonico, erain grado di tenere a bada la sinistra estrema ed i repubblicani – Giovanni Bovio, NapoleoneColajanni, Ettore Ferrari, lo stesso Andrea Costa –, giacché (e Crispi lo sapeva bene) eranotutti massoni. Lemmi fece anche filtrare notizie (ed il governo ne raccolse per suo conto)sulla neonata Carboneria, su circoli intitolati a Giuditta Tavani Arquati e, decisamente anti-monarchici e antimilitaristi, a Pietro Barsanti. Qualcosa forse trapelò persino sul temutissi-mo circolo “i diritti dell’uomo”, focolaio di rivoluzionari formato in parte da deputati che(sper)giuravano fedeltà allo Statuto, in parte da “petrolieri” pronti ad incendiare Roma alprimo segno di riavvicinamento fra Stato e Chiesa.

Comunque la crisi fra i due uomini non poteva non avverarsi. Crispi costretto dallamacchina dello Stato che ingurgitava ricchezze più di quante la nazione potesse rac-coglierne ed un Giolitti fermo a non far fallire lo Stato per spese della Marina senza adegua-ta copertura. Le dimissioni annunziate di Giolitti furono però ritardate dallo stesso poiché,oltre ad annunciarsi la crisi bancaria vi fu un’altra crisi da fronteggiare con urgenza cherichiedeva compattezza del Consiglio dei Ministri. Nel 1889 lo scoprimento della statua aGiordano Bruno in Campo dei Fiori aveva portato la Chiesa cattolica ad affilare i coltelli.La statua voluta da Lemmi e Fratelli era il crinale invalicabile dello stato laico da cui laChiesa cattolica non sarebbe più transitata. E d’altronde, le riforme di quegli anni stavanoad indicare che lo stato aveva scelto il progresso, il modernismo contro unS y l l a b u s f u o r itempo massimo. E le riforme moderniste erano per tanti versi frutto di massoni, fuori e den-tro il Parlamento. Tra i molti bastino i nomi del ministro della Giustizia, Giuseppe Zanardel-li, affiliato alla loggia P r o p a g a n d a massonica e componente del consiglio supremo del RitoScozzese Antico ed Accettato, il cui Sovrano Gran Commendatore era Adriano Lemmi, daLeone XIII valutato quale nemico tenace, costante, fattivo; dall’artefice della legge sani-taria, Luigi Pagliani, affiliato alla R i e n z i di Roma, di Alessandro Fortis, a sua volta dellaP r o p a g a n d a, in cui Lemmi aveva chiamato a raccolta Aurelio Saffi, Giuseppe Ceneri,Oreste Regnoli e Giosué Carducci. Fra i componenti del governo in tempi diversi collegatia Lemmi vi erano Abele Damiani, Paolo Boselli, Luigi Miceli, Pietro Lacava e lo stessoFederico Seismit-Doda, il cui irredentismo fecondava il terreno d’incontro fra corona eMassoneria.

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E ancora tante vicende massoniche descritte all’interno del corposo saggio.La storiografia italiana è sempre stata povera di biografi degni di questo nome, spesso

ha dovuto cercare autori di altra nazionalità per porre in rilievo personaggi di spicco italia-ni. Oppure, caso ancora più triste, le biografie sono appannaggio di divulgatori che hannopiù dimestichezza con le cronache rosa che con la storiografia biografica.

Mola rappresenta, con questa opera, quindi, un capostipite, insieme a Renzo De Felicee pochi altri, della grande storiografia biografica italiana.

Giolitti è rivisitato, attraverso documenti inediti, mettendo a nudo non solo la figura del-l’alto burocrate e facendo giustizia di vieti luoghi comuni, quale quello ripetuto da catte-dratici raccomandati, di “Ministro della malavita” (Gaetano Salvemini), ma mettendo inchiaro l’uomo e la sua rettitudine senza ombre. E nel descrivere le azioni del grande statista,lo storico Aldo Mola, ha rievocato la figura di padre e marito esemplare, le vicende politichee l’ambiente liberaldemocratico nel quale Giolitti lavorò. Ecco l’altra grande virtù messa inluce: il lavoro, l’impegno politico visto attraverso la fatica quotidiana e le difficoltà spessoenormi incontrate dal politico.

Che si trattò di una grande e nuova figura lo dimostra il fatto che diede il nome ad un’etàdella storia d’Italia da alcuni considerata “felice”, di sicuro la più prospera e positiva per losviluppo dell’Italia agricola ed arcaica quale egli la trovò. Fu il primo capo di Governo, enon l’ultimo, che dovette rifugiarsi all’estero per sottrarsi all’uso politico della magistratu-ra nel 1895. Sempre fedele al Re in quanto istituzione, ma critico nei confronti dell’erroreumano e lottatore acerrimo contro chi dimostrava malafede. Contrario alla guerra fu coluiche consolidò la conquista coloniale italiana (Libia e Dodecaneso), per necessità, più cheper scelta, ma sempre abile e fortunato manovratore politico. Fu anticipatore di quella for-ma di politica del Mezzogiorno che recava sollievo a popolazioni arretrate e povere, inau-gurò la via politica della tutela del patrimonio archeologico e artistico (1909). Suo il meri-to del suffragio universale maschile.

Operoso creatore e rianimatore della piccola e media borghesia impiegatizia, valorizza-tore degli insegnanti, segretari comunali, medici condotti, in una parola la costruzione e xn o v o della spina dorsale del giovane Regno. Non più quindi una politica di repressione, madi costruzione di uno Stato moderno ancora tutto da inventare. Giova ricordare, e Mola lomette in luce con le vicende famigliari degli avi, che Giolitti si era ben formato sotto un’ar-chitettura di stampo napoleonico, che la diceva lunga sulla disciplina e sulla funzionalitàburocratica dell’apparato statale. Fautore dello Stato “senza chiasso” – ad iniziare dalle mani-festazioni anticlericali e di libero pensiero – che non giovavano al fragile Regno nel pensierodello statista, al siluramento di prefetti incapaci di recepire il nuovo orientamento liberale.

Fu anche fortemente moralizzatore dell’etica di Stato, a tutti i livelli, fino al processoNasi, Ministro della Pubblica Istruzione; un processo che si trascinerà fino al 1908 davan-ti al Senato, per la prima volta costituito in Alta Corte di Giustizia.

Ma la cultura italiana capì Giolitti? Si chiedeva Giovanni Spadolini nell’acuta prefazioneal suo testo Il parlamento Italiano: È un interrogativo che attende una definitiva risposta.

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Certa maggioranza dei movimenti di opinione che si formarono nel primo decennio del seco-lo (scorso) si posero tutti in una linea di contestazione della “prosa” giolittiana, di criticadel metodo giolittiano. Soprattutto il suo economicismo fu contestato. Ma rimane dadomandarsi se esperienze come La Vo c e di Prezzolini o L’Unità di Salvemini sarebberostate possibili senza il ritorno ai temi concreti che caratterizzò complessivamente la svoltaeconomica dell’epoca giolittiana, quel respiro dell’Italia a paese moderno. In realtà Giolittiassicurò le basi di sviluppo di una società che si consentì tutte le libertà o tutte le audacitàculturali al riparo della sicurezza che il grande statista le garantiva.

Non a caso Mola ci racconta come la lira faceva aggio sull’oro.Egli, narra il Mola, seppe accattivarsi il voto dei socialisti e dei cattolici, non la simpatia

di Don Sturzo, da questi definito “prete intrigante”. Ostilità che aveva la motivazione recon-dita nel tentativo di Giolitti di rendere nominativi i titoli mobiliari e nella contrarietà dellaChiesa cattolica che non voleva far emergere l’immane ricchezza posseduta.

Giolitti compì anche errori politici, e gravi. In questa opera se ne dà conto. Ma qualeabisso fra lui e chi giunse al governo con le mani lorde di sangue e ci rimase tra delitti innu -merevoli e altri che servirono dittature spietate e dall’esilio rientrarono lasciando alle spalleuna scia di sangue. La grandezza della democrazia liberale giolittiana è anche nella distan -za incolmabile tra l’errore politico e il crimine.

Ministro del Tesoro dal 1889, viene nominato per ben cinque volte Presidente del Con-siglio tra il 1892 e il 1921. È uno dei pochi parlamentari a contrastare Mussolini. Nell’auladel Parlamento difende la libertà di stampa e si oppone a delegare al Gran Consiglio del fa-scismo la formazione della camera dei Deputati.

L’unico pronto a fare un governo senza Mussolini fu l’ottantenne Giolitti, ma Fatta fecein modo che non arrivasse a Roma. La sua assenza da Roma – forzata o meno che fosse – futra i motivi della decisione ultima del Re: prima a vantaggio di Salandra poi di Mussolini.

In queste pagine vengono ricostruiti la vita, i pensieri, l’azione di Giolitti sulla scorta dicentinai di inediti; ne viene fuori un personaggio nuovo e diverso rispetto a quello usualede “l’uomo di Dronero”, ministro della malavita e il mieloso ministro della buona vita dialtri autori. Ne viene fuori un personaggio serio, amante della quiete domestica, semplicenei modi. Giolitti, ricorda Mola, fu anche il primo statista a circondarsi di uomini di tutte leregioni d’Italia. Italia che egli ben conosceva a differenza di Cavour e altri, Zanardelli com-preso, per averla visitata in missioni di lavoro.

In conclusione ci sono nuovi testi, che non sono testi nuovi. La pubblicazione di nuovilibri è un normale accadimento editoriale, mentre un libro nuovo può diventare un eventoculturale. Nel caso dei libri di storia, il libro nuovo è un libro che infrange pregiudizi,accresce le conoscenze, apre prospettive, provoca dibattiti, stimola ricerche. Come accadràper questo testo.

Un lavoro ed un’opera monumentale da cui non si potrà prescindere nel rievocare l’e-poca giolittiana.

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Quest’ultimo lavoro di Luigi Polo Friz, scritto a quattro mani con Domenico Mammo-ne, prende in esame la figura di un personaggio poco frequentato dalla storiografia delnostro Paese, sebbene essa si collochi in anni cruciali della storia politica dell’Italia del-l’Ottocento: quelli compresi tra la Restaurazione e il quindicennio postunitario. Si tratta delcalabrese Francesco De Luca che visse dapprima il suo impegno politico come rivoluzio-nario e in seguito come deputato al Parlamento italiano nelle file della Sinistra.

Come si può facilmente intuire dal titolo, questo studio è strutturato intorno a tre aspet-ti del personaggio in questione: il rivoluzionario, il deputato e il Gran Maestro della Mas-soneria. Infatti ai primi due aspetti della sua attività pubblica, va inoltre aggiunto l’impegnonella Massoneria Italiana, all’interno della quale assunse un ruolo determinante.

Dopo aver tracciato il profilo del giovane De Luca, rivoluzionario del maggio 1848 aNapoli e autore della breve opera, purtroppo incompiuta, dal titolo Della educazione politi -ca de’ popoli del Regno di Napoli. Cenni (riprodotta in appendice al presente volume), i dueAutori passano all’analisi del deputato De Luca. Fu dopo l’ingresso di Garibaldi a Napoli,nel 1860, che il calabrese iniziò la propria attività politica a livello nazionale. Sin dalla pri-ma legislatura prese parte al Parlamento nazionale dove venne rieletto in tutte le successiveconsultazioni fino all’anno della sua morte (1875). Scelse, come si può agevolmente imma-ginare, di sedere sempre fra i banchi della Sinistra poiché, come egli stesso osservò, l’indi -rizzo governativo, iniziato dalle prime Luogotenenze e proseguito dal Gabinetto, era tut -t’altro che soddisfacente.

I due Autori tracciano un profilo piuttosto chiaro del progetto politico di De Luca attra-verso una sistematica analisi degli scritti del medesimo. Si tratta in prevalenza di opuscoliche egli scrisse per rendere conto ai propri elettori dell’attività svolta e dei progetti per ilfuturo. Sfruttando la sua enorme competenza in materia finanziaria e di diritto civile, eglisottopose ad una critica serrata ma puntuale e ben documentata la politica economica delgoverno, battendosi per un principio in cui credeva fermamente: la giustizia impositiva.

La terza sezione del volume traccia il profilo del Francesco De Luca massone. Luigi PoloFriz, specialista di storia del Risorgimento e della Massoneria dalle origini fino al XIX seco-lo, con questo studio aggiunge un interessante tassello al già ampio e interessante quadrodelineato in studi precedenti, in particolare quelli riguardanti la figura dell’italo-svizzeroLodovico Frapolli.

Vengono illustrate le vicende della prima Massoneria Italiana nel suo primo decennio divita. Ai fini di una più corretta ed equilibrata valutazione della figura e dell’opera di De

LUIGI POLO FRIZ – DOMENICO MAMMONE

Francesco De Luca. Rivoluzionario, Deputato, Gran Maestro della Massoneria.Editore Brenner, Cosenza, 2003.

di Antonio D’Alessandri (Università di Roma Tre)

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Luca, i due Autori svolgono una puntuale panoramica delle principali iniziative prese inambito massonico nelle diverse aree del Paese. Inoltre viene tracciato il quadro della Mas-soneria meridionale, in particolare quella napoletana dominata dalla figura di DomenicoAngherà, che nel 1861 fondò la Loggia Sebezia, nella quale, il 16 febbraio 1862 FrancescoDe Luca fece il suo ingresso, ma dalla quale fu espulso dopo le elezioni del dicembre 1863,a causa dei dissapori con l’Angherà.

Nel frattempo, trasferitosi a Torino, in quanto eletto deputato al Parlamento, il calabre-se entrò in contatto con i membri della Dante Alighieri, costituitasi nel febbraio del 1862.Quando nel gennaio dell’anno seguente Lodovico Frapolli fu eletto Venerabile della Dan -t e, De Luca, osservano i due Autori, fece subito coppia con il nuovo arrivato. Dopo l’espul-sione dalla Sebezia, egli decise di legarsi definitivamente alla nuova Obbedienza che stavanascendo a Torino su iniziativa della Dante.

Un documento del 1871 scritto da Frapolli, testimonia, secondo Polo Friz e Mammoneil ruolo determinante svolto da De Luca nelle vicende della Massoneria nel decennio postu-nitario. In questo testo si parla del progetto elaborato da Frapolli in cui si proponevano lebasi per un’organizzazione massonica in Italia, le quali erano state determinate nelle lun -ghe serate d’inverno, con discussioni amichevoli con i Fratelli Aducci, De Boni, De CrouyChanel, Macchi, Montecchi e, soprattutto, De Luca. Ebbene, gli Autori si soffermano inparticolar modo sull’avverbio “soprattutto”, che costituisce, secondo il loro giudizio, lachiave di lettura per interpretare la storia della Massoneria Italiana di quel decennio.

Nell’assemblea del 21 maggio 1864 venne sancita la nascita del Grande Oriente d’Ita-lia durante la quale Giuseppe Garibaldi fu eletto Gran Maestro e Francesco De Luca presi-dente del Grande Oriente (Gran Maestro effettivo). In questa assemblea venne per la primavolta messo in atto un tentativo di giungere all’unità delle varie Logge, nel rispetto di tuttii riti, dei quali fu confermata la completa libertà. Garante di questo progetto doveva essereGiuseppe Garibaldi. Tuttavia le divisioni molto nette fra le varie Obbedienze fecero nau-fragare il tentativo.

Il 28 maggio 1865 si tenne a Genova una nuova Assemblea. Francesco De Luca fu elet-to Gran Maestro e Garibaldi venne acclamato primo massone d’Italia e Gran Maestro Ono -r a r i o. Negli anni successivi De Luca tenne l’alto Ufficio della Massoneria con prudenza econ affetto, come ricordò Francesco De Sanctis dopo la sua morte, e dalle vicende narratein questa sezione del volume di Polo Friz e Mammone, determinanti per lo sviluppo dellaprima Massoneria Italiana, emerge il fondamentale apporto di De Luca a questi avveni-menti. Egli fu rispettoso dell’ortodossia massonica, e quindi dell’esclusione di politica e reli -gione dalle Logge, osservano gli Autori, confermando anche sotto questo punto di vista l’al-to profilo morale e il profondo senso delle istituzioni che già aveva dimostrato di possede-re svolgendo la sua attività parlamentare.

Molto interessanti inoltre, risultano i documenti dell’Assemblea del 1867, nella quale DeLuca, dopo aver pronunciato brevi parole sulle condizioni della Massoneria in Italia, tratta

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Un romanzo iniziatico avvincente e serrato. Narra la storia di un uomo, un avvocatoa ffermato, che attraversato da un dolore indicibile rifugge la società di oggi per inoltrarsi inesperienze mistiche-iniziatiche. I percorsi che compie lo lasciano comunque libero di attin-gere soltanto quello che a lui serve per far chiarezza nella sua tormentata esistenza. In talmodo crea un percorso iniziatico personale che confinerà con la ricerca del sacro, del bene,cui ogni uomo può attingere nel suo profondo.

In questa visione, il ripiegarsi su di sé appare come un gatto acciambellato, allude ad unviaggio della vita ad andamento circolare. Si parte dall’io, ancora opaco e inconsapevole, siviaggia nella conoscenza, si torna colmi di ricchezze interiori sulle quali ci si può affaccia-re felicemente.

MANLIO MARADEI

Nove Lune altrove. Un cammino iniziatico. Bastogi Editrice Italiana. Foggia, 2004.

di Guglielmo Adilardi

un tema molto attuale: quello dei rapporti tra donna e Massoneria, dimostrando sensibilitàe attenzione al riguardo, anche se la sua posizione non si risolveva provvisoriamente infavore dell’uguaglianza. Infatti esortava i “buoni padri di famiglia” a educare le donne allavirtù poiché ammettendole ora a parte dei nostri lavori – osservava De Luca – v e r r e b b e r ofacilmente a screditare colla loro leggerezza la più pura delle istituzioni. Però non si perdadi vista la questione, e la si studi onde arrivare allo scopo. Lo scopo di cui parlava De Lucaera l’ammissione delle donne nella Massoneria.

Complessivamente dunque, in coppia con Lodovico Frapolli, il calabrese Francesco DeLuca si impegnò al massimo affinché il filone Grande Oriente Italiano/Grande Oriente d’I-talia potesse costruire un robusto nucleo massonico, che resistette assai più degli altri alleturbolenze provenienti da antichi oneri culturali, sociali e politici che permeavano la vitadegli antichi Stati in cui era suddiviso il nostro Paese, concludono Luigi Polo Friz e Dome-nico Mammone.

Un’ultima annotazione è opportuna riguardo alla preziosa e ampia appendice al volume.In essa sono riprodotti numerosi e importanti documenti. Oltre alla già citata operaD e l l aeducazione politica de’ popoli del Regno di Napoli, sono stati raccolti scritti elettorali, attiparlamentari, corrispondenza (in particolare uno scambio epistolare tra De Luca e Frapol-li) e numerosi documenti riguardanti la Massoneria.