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L'ereditiera scozzese M ARGARET M OORE Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Questo volume è stato stampato nel gennaio 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. 1 5 6 7 8

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MARGARET MOORE

L'ereditiera scozzese

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Highland Heiress

Harlequin Historical © 2011 Margaret Wilkins

Traduzione di Laura Lunardi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici febbraio 2012

Questo volume è stato stampato nel gennaio 2012

presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410

Periodico settimanale n. 813 dello 08/02/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Highlands, Scozia, 1817 Era rimasto in città troppo a lungo, si disse Gor-don McHeath mentre galoppava lungo il crinale di un colle, diretto verso il villaggio di Dunbra-chie. Aspirò una profonda boccata d'aria fresca. Dopo tutti quegli anni trascorsi a Edimburgo, a-veva dimenticato quanto fosse pulita e tonifi-cante l'aria delle Highlands. Si era fin troppo a-bituato al fumo e agli odori, al frastuono e all'af-follamento della città. Lì invece il silenzio era spezzato solo dai cinguettii degli uccellini e, di tanto in tanto, dai belati delle pecore o dai mug-giti del bestiame. Il versante settentrionale della collina, alla sua sinistra, era ammantato di ginestre e felci, quello alla sua destra era fitto di betulle, ontani e pini. Gli aghi di pino erano di un verde bril-lante e la brezza ne diffondeva il profumo inten-so, che lo indusse a pensare al Natale e alle buie notti di inverno, anche se in realtà era solo set-tembre. Le foglie degli altri alberi iniziavano già a indorarsi e Gordon intuiva che il terreno in cui

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affondavano le radici era umido e denso di pac-ciame. Attraverso il fogliame, scorse un ruscello zampillante che scorreva rapido tra banchi roc-ciosi e che in primavera doveva essere popolato di salmoni. Purtroppo aveva anche dimenticato quanto potesse essere freddo il vento delle Highlands. Per giunta, il banco di nuvoloni grigi che si ad-densavano all'orizzonte si stava facendo sempre più vicino. Se non voleva essere colto da un ac-quazzone, gli conveniva accelerare l'andatura. Aveva appena spronato il cavallo dal manto nocciola che aveva preso a nolo, quando il silen-zio circostante venne spezzato dai latrati furiosi di un cane. Da come abbaiava, gli parve che non si trattasse di un animale impegnato in una bat-tuta di caccia quanto piuttosto di un cane da guardia, di quelli messi a sorveglianza delle greggi o dei campi, che doveva essere stato messo in allarme da un improvviso pericolo. Gordon si sollevò, puntando i piedi sulle staf-fe, e si guardò attorno. Non vide né greggi né campi coltivati. «Aiuto! Aiutatemi!» Erano le grida disperate di una donna e il ven-to che le trasportava le rendeva flebili. I latrati del cane e lo scroscio del ruscello le coprivano a tratti. Affondando i talloni nei fianchi del cavallo, Gordon tentò di fargli abbandonare la strada e spingerlo verso il punto del bosco dal quale pro-venivano le grida, ma l'animale, il più riottoso che avesse mai cavalcato, si rifiutò di obbedir-gli. Era un cavallo, ma cocciuto quanto un mulo.

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Imprecando tra sé, Gordon smontò, legò le re-dini al ramo di un cespuglio e si avventurò giù per la china scivolosa del bosco, più in fretta che poteva. Passando accanto a un cespuglio di agrifoglio, si lacerò la manica del cappotto a mantella e il fango ricoprì ben presto i suoi stivali da equita-zione, imbrattandogli l'orlo dei calzoni. Un ra-mo basso, di cui si avvide solo quando era trop-po tardi, gli fece cadere il cappello. Quando si chinò a raccoglierlo, cominciò a scivolare sul fango e si arrestò soltanto nel momento in cui riuscì ad afferrarsi a un ceppo. Nel frattempo, il cane continuava ad abbaiare e la donna a gridare aiuto. Era più vicina adesso, grazie al cielo, anche se Gordon non riusciva ancora a vederla. Fu soltanto dopo che si fu rialzato dal fango che scorse il cane più nero, grosso e aggressivo che avesse mai visto in vita sua. Era appostato sotto un'alta betulla dalle foglie dorate, non lon-tano dalla riva del ruscello. Gordon non avrebbe saputo dire di che razza fosse. Era orribile, con il muso largo e mascelle enormi, occhi distan-ziati e orecchie piccole. Piantato sulle zampe tozze, ringhiava in modo spaventoso, mentre un rivolo di saliva gli colava dalla bocca. Malgrado l'aspetto inquietante, Gordon esclu-se che fosse idrofobo. Una volta gli era capitato di vedere un cane rabbioso, con il muso schiu-mante e gli occhi spiritati: aveva notato con or-rore i suoi sussulti e i movimenti inconsulti e non lo avrebbe mai più dimenticato. Cionondi-meno, decise di tenersi a debita distanza.

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«Vi siete fatto male?» La voce della donna proveniva dalla medesima direzione in cui si trovava il cane e il suo accento forbito rivelava che non era né una contadina né una pastora. «No!» le assicurò. Chi era?, si domandò. Ma, soprattutto, dove si trovava? Accanto al cane non c'era nessuno. A meno che... Gordon si avvicinò con cautela di qualche passo e sbirciò tra i rami della betulla. La donna era lassù, abbarbicata al tronco con le braccia, a cavalcioni su un ramo che non sem-brava robusto a sufficienza da sopportare il suo peso, benché apparisse esile. A dispetto delle circostanze, Gordon non poté fare a meno di notare che era straordinariamente bella, con lineamenti fini e delicati, grandi occhi scuri e riccioli neri che sbucavano da sotto un cappellino giallo chiaro. Dello stesso colore era il completo da equitazione in velluto che aveva indosso. Un abbigliamento troppo raffinato per-ché fosse una ladra o una vagabonda. «Io sto bene. Voi, piuttosto, siete ferita?» si informò mentre tentava di stabilire il da farsi, soprattutto per quanto riguardava il famelico e ringhioso cane. In tasca aveva una pistola, perché nessuno si sarebbe mai avventurato da solo in quella parte del paese senza essere armato, ma uccidere l'a-nimale era l'ultima cosa che avesse intenzione di fare. Dopotutto, poteva anche darsi che stesse solo eseguendo il suo compito di guardiano, se la donna appollaiata sull'albero si era avventura-ta in una proprietà privata. Invece di estrarre l'arma, dunque, Gordon si

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chinò a raccogliere una pietra. Ai tempi della scuola era stato un bravo giocatore di cricket e, mentre lanciava il sasso, si augurò di aver con-servato la mira di un tempo. Il proiettile colpì l'animale sui quarti posterio-ri, strappandogli un latrato. Non fu sufficiente, tuttavia, a metterlo in fuga. Gordon si affrettò a cercare un altro corpo contundente che fosse sufficientemente pesante da persuadere il cane ad allontanarsi, ma non troppo da ferirlo in modo grave. Essendo un av-vocato, già immaginava qualche contadino infu-riato sporgere denuncia contro di lui per avergli ammazzato il cane nell'esercizio delle sue fun-zioni di guardiano della proprietà. «Il ramo scricchiola! Sta per spezzarsi!» gridò la donna. Una caduta da quell'altezza poteva avere con-seguenze disastrose, rifletté Gordon. Afferrò un sasso più grosso del precedente. Era ricoperto di fango, ma, prima che gli scivo-lasse di mano, riuscì a scagliarlo con forza con-tro il cane. Dopo aver tagliato l'aria con un sibi-lo, il proiettile atterrò sulla groppa dell'animale. Questa volta la bestia scappò, lanciandosi tra gli alberi e puntando verso il ruscello. Si udì il rumore dell'acqua che si sollevava al suo pas-saggio. «Oh, grazie!» esclamò la donna. «Temevo di dover restare qui tutta la notte!» Gordon raggiunse la base della betulla e guar-dò in su. Adesso poteva vederla meglio. Appol-laiata su un ramo troppo sottile, si teneva stretta al tronco con le braccia. Era giovane, non dove-

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va avere più di vent'anni. Oltre al raffinato com-pleto da equitazione, portava guanti e stivaletti di capretto. Aveva la pelle liscia e chiara, una bocca rosa a forma di cuore e i grandi occhi del colore del caffè lo guardavano con ammirazione e gratitudine. «Sono felice di esservi stato utile.» «È proprio una fortuna che siate passato di qui» replicò lei iniziando a scendere dall'albero con sorprendente agilità. «E anche che io abbia trascorso tanto tempo ad arrampicarmi sulle pile di casse accatastate nei magazzini di mio padre, quando ero piccola. In caso contrario, sarei an-data incontro a un destino crudele.» Magazzini? Certo, suo padre doveva essere un uomo ricco. Ciò spiegava il completo in velluto giallo chiaro. Gordon si chiese se avesse una madre, dei fratelli, delle sorelle e magari... un fortunato consorte. Si distrasse quando l'orlo della sua gonna re-stò impigliato in un ramo, rivelando dapprima uno stivaletto, poi una caviglia sottile e infine un polpaccio, parimenti affusolato e fasciato da una calza impalpabile e luminescente. Santo cielo, cosa stava facendo?, si rimprove-rò. Anziché aiutarla, stava a sbirciare? «Fate attenzione!» l'ammonì. «Vi si è impi-gliata la sottana in un ramo.» «Eh, già» replicò la sconosciuta. La liberò con un gesto rapido, mentre un delizioso rossore le imporporava le guance. «Non ho avuto pro-blemi ad arrampicarmi sull'albero quando teme-vo che il cane mi aggredisse. Scendere, invece, è una faccenda un po' più complicata.»

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«Consentitemi di aiutarvi» si offrì Gordon, non appena lei ebbe raggiunto il ramo più basso, a circa tre piedi dal suolo. Anche se non aveva ancora un'idea precisa di cosa avrebbe fatto, si sfilò i guanti infangati e se li ficcò in tasca, poi si avvicinò di più al tronco. Sapeva bene che non avrebbe dovuto mettere le mani addosso alla ragazza. Era sconveniente. D'altro canto, simili circostanze dovevano pur consentire un'eccezione alla regola. A risparmiargli ulteriori elucubrazioni sul te-ma fu la giovane stessa che, senza esitazioni, gli mise le mani sulle spalle. A quel punto, Gordon sollevò le braccia e gliele strinse attorno alla vi-ta con cautela. Meno di un istante più tardi, lei saltò giù dal ramo. Lo fece con tale rapidità e sicurezza che Gor-don, impreparato, rischiò di perdere l'equilibrio. Così, per evitare che entrambi cadessero sul suolo fangoso, la strinse a sé. Non sapeva neppure come si chiamasse, ep-pure tenerla tra le braccia gli parve del tutto na-turale. Anzi, più che naturale. Gli sembrò stupendo, come se lei fosse stata creata apposta per stare tra le sue braccia. Era la considerazione più poetica che la sua mente di avvocato, avvezza alla razionalità, a-vesse mai concepito. La cosa peggiore, però, era che stava arros-sendo come uno scolaretto, sebbene avesse ven-totto anni. E quella non era certo la prima volta che teneva una donna tra le braccia! «Eccovi qua, sana e salva» annunciò con un sorriso, lasciandola andare e sforzandosi di as-

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sumere un tono disinvolto, come se simili eve-nienze gli capitassero tutti i giorni. «Grazie per avermi tratta in salvo. Non so co-me sarebbe finita se voi non aveste risposto ai miei richiami d'aiuto, signor...?» «McHeath. Gordon McHeath, di Edimburgo.» «Sono vostra debitrice, Mr. Gordon McHeath di Edimburgo.» Gordon non era mai stato così felice di sentir parlare di debiti. Poi, senza dire una parola, senza un cenno di preavviso, prima ancora che lui avesse modo di rendersi conto di ciò che stava per fare, la bella sconosciuta di cui ignorava ancora il nome si sollevò sulle punte dei piedi e lo baciò. Le sue labbra erano morbide, il corpo flessuo-so e ben proporzionato e il bacio che gli diede scatenò in lui una tempesta di fuoco. Senza riflettere, lasciandosi condurre soltanto dall'istinto, Gordon la cinse di nuovo tra le brac-cia e la strinse a sé. Con il cuore che gli martel-lava in petto, passò le labbra sulle sue finché non le sentì dischiudersi, consentendogli di e-splorare con la lingua l'umido recesso della sua bocca generosa. Nel frattempo le accarezzava la schiena e sentiva contro di sé la pressione dei suoi seni alti e sodi. La sconosciuta ricambiò il suo abbraccio, ab-bandonandosi contro di lui. Che il cielo lo aiutasse, non aveva mai speri-mentato niente di simile! E mai prima di allora aveva desiderato che un bacio durasse in eterno. Poi, però, la sua mente si schiarì di colpo. Non era un seduttore, ma un serio avvocato di

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Edimburgo, e la donna che stava baciando do-veva appartenere a una famiglia altolocata. A-veva un padre, forse dei fratelli, magari anche un marito. In quel preciso istante, lei si ritrasse in modo brusco, come se tra loro fosse calato un muro. Rossa come un tizzone acceso, deglutì più volte, a disagio, mentre Gordon cercava le parole per dissipare l'imbarazzo. Fu lei la prima a parlare. «Mi... mi dispiace, Mr. McHeath» balbettò costernata. «Non so co-sa mi sia preso. Di solito non sono così... In-somma, mi auguro non pensiate che è mia abitu-dine baciare gli sconosciuti.» «Neanch'io sono avvezzo a baciare donne di cui non so neppure il nome» replicò Gordon. Lei indietreggiò e si passò una mano sulla fronte. «Dev'essere stato lo spavento. O il sollie-vo. E la gratitudine, naturalmente.» Erano tutte giustificazioni che valevano per lei. Ma che scuse aveva, Gordon, per aver rispo-sto al suo bacio con tanto trasporto? La solitudine. Una recente delusione d'amore che, se non era arrivata a spezzargli il cuore, lo aveva tuttavia ferito in modo grave. La bellezza della sconosciuta. La gioia di sentirsi abbraccia-to, anche se a farlo non era stata la mite e placi-da Catriona McNare, ma un'audace ragazza che non le assomigliava affatto. «Posso sapere dove alloggiate, Mr. McHeath? Sono certa che mio padre sarà ansioso di cono-scervi. Un invito a cena a casa nostra è il mini-mo che possiamo fare per ringraziarvi del vostro prezioso e tempestivo intervento.»

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Aveva menzionato un padre, non un marito, rifletté lui. Splendida notizia. «Sono diretto a McStuart House.» La sua interlocutrice cambiò espressione di colpo, come se Gordon le avesse appena annun-ciato di essere un galeotto. Si irrigidì e stirò le labbra in una smorfia sdegnata. «Siete un amico di Sir Robert McStuart?» gli domandò, la voce gelida quanto il suo bacio era stato rovente. «Sì. Siamo stati compagni di scuola.» La giovane arrossì, e non di imbarazzo questa volta, ma di rabbia. Che cosa diamine le aveva fatto Robbie, si chiese Gordon, per suscitare in lei un odio così profondo? Conoscendolo, le risposte potevano essere pa-recchie, non escluso un tentativo di seduzione andato a buon fine. E lui, nella sua pratica di av-vocato, aveva imparato che nessuno poteva es-sere più furibondo di una donna ferita nella vir-tù. «Vi ha parlato di me?» gli chiese lei, le brac-cia lungo i fianchi, le mani strette a pugno. «È per questo che vi siete sentito in diritto di ba-ciarmi così?» «Sir Robert non mi ha nominato alcuna giova-ne, quando mi ha invitato qui» rispose lui con assoluta sincerità, sforzandosi di restare calmo. «Vi faccio notare, inoltre, che non so neppure come vi chiamiate e che» aggiunse con un certo sussiego, «siete stata voi a baciarmi.» Come se non lo avesse neppure udito, lei sol-levò il mento e assunse un tono altezzoso, quasi fosse la regina in persona. «Grazie tante per l'a-

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iuto che mi avete prestato, Mr. McHeath, ma chiunque sia amico di Robbie McStuart non può essere amico mio!» «Me ne rendo conto» borbottò Gordon, men-tre lei si girava e si allontanava a larghi passi. Dopo aver messo una certa distanza fra sé e il suo soccorritore, Moira MacMurdaugh sollevò con le mani i lembi della gonna e si mise a cor-rere verso casa. Come aveva potuto essere così sciocca, irri-flessiva e audace? Non avrebbe mai dovuto ba-ciare quel tizio. Neppure sfiorarlo. Si sarebbe dovuta limitare a ringraziarlo, per poi lasciare che riprendesse la propria strada. Quando l'aveva stretta a sé, avrebbe dovuto ritrarsi con vigore, anche se il bacio di Gordon McHeath le era sembrato celestiale come quelli che venivano descritti nei romanzi. Dolce, cal-do, appassionato, presago di desideri profondi e promesse avvincenti e misteriose. Purtroppo, non stentava a immaginare i termi-ni con i quali Robbie McStuart avrebbe descritto l'episodio, del quale Gordon McHeath lo avreb-be senza dubbio messo al corrente. A Dunbra-chie l'avrebbero di nuovo sommersa di pettego-lezzi malevoli, ma questa volta avrebbe dovuto incolpare solo se stessa. Come se non bastasse, Moira era ancora più preoccupata al pensiero di come avrebbe reagito suo padre, quando avesse appreso ciò che aveva fatto. Erano quasi sei mesi che aveva smesso di be-re per onorare la solenne promessa che le aveva

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fatto ed era il periodo più lungo di astinenza dall'alcol che si fosse imposto fino a quel mo-mento. L'idea che lo scandalo lo riportasse a u-briacarsi senza ritegno la colmava di angoscia. Forse, però, Mr. McHeath non avrebbe rac-contato niente a Robbie. Dopotutto, anche lui non si era comportato nel migliore dei modi. «Milady, siete tornata!» esclamò Jem, il capo stalliere, un uomo tozzo dai capelli grigi, accor-rendo verso di lei. «Siete caduta? Vi siete fatta male?» Moira attraversò il cortile del maniero, che era circondato da un alto e antico muro di pietra. «Sì, sono caduta, ma non mi sono fatta niente. Dougal è tornato?» domandò a sua volta, rife-rendosi al proprio cavallo. «Sì, quel birbante è qui» confermò Jem. «Sta-vamo per uscire a cercarvi. Vostro padre sarà fe-lice di rivedervi. Era così preoccupato!» Moira si maledisse per aver perso tempo in compagnia di Mr. McHeath, anche se il giova-notto in questione, alto, dai capelli scuri, gli oc-chi castani e le mascelle volitive, le era sembra-to ancor più bello delle stupende statue greche che aveva visto a Londra. Preoccupata per suo padre, si stava augurando di non essere arrivata troppo tardi quando all'improvviso rammentò che tutte le bevande alcoliche di casa erano chiuse in uno stipo del quale era la sola ad avere la chiave. Non era più come quando stavano a Glasgow e a suo padre bastava scendere in stra-da per trovare una taverna in cui ubriacarsi. Cionondimeno entrò a passi svelti nell'ala nuova del maniero, eretta dal conte che ne era

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stato il precedente proprietario, attraversò le cu-cine e la dispensa, la lavanderia e la sala da pranzo della servitù. Nel sentire i deliziosi profumi del pane appe-na sfornato e della carne arrostita, venne assalita dalla nostalgia dei vecchi tempi, quando a suo padre non capitava mai di bere troppo, prima che ereditasse il titolo di conte e la proprietà di Dunbrachie da un lontano parente. Raggiunse il piano principale della casa e si avviò verso il lungo corridoio sul quale si apri-vano la biblioteca, lo studio e il salotto. Que-st'ultimo faceva parte del settore di recente edi-ficazione, mentre l'atrio, con le pareti a pannelli di legno di quercia, lo studio e la biblioteca co-stituivano la parte più antica della casa. Nel cor-so del tempo l'antico maniero era stato rimoder-nato e ampliato più volte, così adesso la dimora del Conte di Dunbrachie era un amalgama di tutti gli stili architettonici in voga dal Medio Evo all'epoca georgiana. La prima volta in cui Moira era giunta al ma-niero, lo aveva esplorato da cima a fondo, senza trascurare i solai, le cantine e i numerosi riposti-gli. Tra la polvere e le ragnatele aveva rinvenuto una quantità di quadri e di mobili antichi, oltre a qualche topo morto. Soffermandosi qualche istante davanti alla specchiera che avrebbe dovuto rischiarare l'atrio buio, Moira tirò un profondo respiro per calmar-si. Si tolse il cappellino, lo depose sul piano di marmo e si ravviò i capelli. «Moira!» Si voltò e, sulla soglia dello studio, scorse suo

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padre. Era in evidente stato di agitazione e do-veva essersi passato le mani tra i capelli grigi un'infinità di volte, perché erano scompigliati. «Cosa ti è successo? Ti sei fatta male?» le do-mandò, avvicinandosi. Le prese le mani e la scrutò da capo a piedi. Moira decise che meno avesse saputo di ciò che era accaduto e meglio sarebbe stato. «Sto bene, ho solo fatto un capitombolo. Dou-gal è fuggito via e sono stata costretta a tornare a casa a piedi.» «Stavo appunto per uscire a cercarti.» Ecco perché indossava il completo da equita-zione, rifletté Moira. Lo metteva di rado, essen-do poco avvezzo a cavalcare. Aveva passato la vita negli uffici, negli opifici e nei magazzini. Era una fortuna, dunque, che fosse rincasata pri-ma che lui si avventurasse fuori a dorso di ca-vallo, rischiando qualche incidente. «Sto bene, papà, non dovete preoccuparvi» lo rincuorò, poi lo prese sottobraccio e lo condusse verso lo studio, l'unico locale che assomigliava almeno un po' alla loro vecchia casa di Glasgow e che, per questo, era tra i suoi favoriti. Come al solito, la scrivania del conte, in le-gno massiccio di mogano, era ingombra all'inve-rosimile di carte, contratti, libri mastri, penne e flaconi di inchiostro. Anche dopo aver ereditato il titolo nobiliare e la proprietà, non aveva smes-so di occuparsi delle imprese che aveva a Glas-gow. Nessuno aveva il permesso di rimettere in ordine la scrivania perché, sosteneva il conte, poi non sarebbe più riuscito a ritrovare ciò che gli serviva.

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Dietro la scrivania c'erano degli scaffali in-gombri di vecchi libri contabili e una poltronci-na tutta sdrucita. Era un bel po' che Moira tenta-va di convincere il padre a farla riparare, ma an-che su quel punto lui continuava a opporle un fermo rifiuto, sostenendo che la trovava como-da. Accanto al camino vi erano un divano e del-le poltrone. L'unico ornamento dello studio era un busto di Shakespeare, collocato su un tavoli-no di marmo. «Non dovresti uscire a cavallo da sola, Moira. Se cadendo ti fossi fratturata una gamba o un braccio?» l'ammonì il conte mentre lei si acco-modava sul divano, anch'esso sdrucito, anche se meno della poltroncina. «Vi prometto che la prossima volta starò più attenta.» «Forse dovresti prendere un cavallo meno ir-requieto, una giumenta docile che non ti sbalzi giù di sella.» Che però non sarebbe in grado di galoppare veloce, pensò Moira. «Forse» replicò, preferen-do non contrariarlo. «In futuro, comunque, ti farai sempre scortare da uno stalliere.» Moira provò un attimo di scoramento. Adora-va uscire da sola, non fosse altro che per sottrar-si alla costante presenza della servitù. I ricchi che erano nati e cresciuti in case popolate da do-mestici forse erano avvezzi a quello stile di vita, lei invece no. «È ora che ti comporti come una lady, Moi-ra.» «Ci proverò» promise lei. «Il problema è che

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ci sono troppe regole da ricordare.» Per non parlare dei divieti. «Il rango nobiliare comporta sia privilegi che doveri» le rammentò suo padre. Moira ne era già consapevole. Per sua fortu-na, alcuni doveri non le risultavano affatto sgra-diti. «La costruzione della scuola procede molto be-ne, papà. Dovreste venire a vederla. E ho già spe-dito l'inserzione per la ricerca di un insegnante» affermò, lieta di cambiare argomento. Non voleva più pensare alla brutta disavventura che le era ca-pitata, ma soprattutto voleva cancellare dalla mente il ricordo di Gordon McHeath. Anzi, giurò solennemente a se stessa che in futuro sarebbe stata alla larga dagli sconosciuti, tanto più se era-no molto attraenti, capaci di baciare come Casa-nova e pronti a trarla in salvo con ardore cavalle-resco. L'espressione pensierosa, il conte girò attorno alla scrivania e scartabellò qualche carta in mo-do distratto, prima di rivolgerle di nuovo la pa-rola. «Non so se te ne rendi conto, Moira» esor-dì senza guardarla, «ma non tutti, qui a Dunbra-chie, sono favorevoli alle tue imprese caritate-voli. Persino i genitori degli eventuali allievi della tua futura scuola temono che tu voglia mettere in testa ai figli idee balzane, tali da illu-derli a credere in un futuro diverso da quello che li attende.» «Questo accade perché sono privi di istruzio-ne» ribatté lei con vigore. «Sapevo fin dall'ini-zio che avrei incontrato delle resistenze. È sem-pre così, quando si propone qualcosa di nuovo.

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Tuttavia, non appena i genitori dei bambini si renderanno conto di quante opportunità in più acquisiranno i loro figli dopo aver imparato a leggere e a scrivere, appoggeranno la mia inizia-tiva.» «Lo spero» mormorò il padre guardandola con occhi colmi di apprensione. «Lo spero pro-prio. Non avrei pace, se ti accadesse qualcosa di brutto.» Moira sapeva quanto le volesse bene, quanto desiderasse saperla felice e al sicuro. Fosse stato più ambizioso ed egoista, non si sarebbe preoc-cupato così per lei, né tantomeno si sarebbe sforzato di smettere di bere, come le aveva pro-messo. E non l'avrebbe sostenuta con amorevole e sofferta partecipazione, quando aveva scoper-to le malefatte dell'uomo che aveva incautamen-te accettato di sposare. Informarla sulla vera na-tura del fidanzato doveva essere stato per lui do-loroso almeno quanto era stato per lei venirne a conoscenza. Assalita da un impeto di affetto, Moira si alzò e lo abbracciò. «Ci prenderemo cura l'uno del-l'altra, papà» gli promise con fervente determi-nazione, «come del resto abbiamo sempre fatto, nella buona e nella cattiva sorte.» Mentre pronunciava quelle parole, tuttavia, in cuor suo si augurò che i tempi della cattiva sorte fossero finalmente giunti al termine.

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MARGUERITE KAYE Il principe del deserto

MARGARET MOORE L'ereditiera scozzese

ARABIA - INGHILTERRA, 1818 - Rimasta sola tra le sabbie infuocate del deserto, Lady Celia viene salvata dal seducen-te Sceicco Ramiz. E nel suo harem scopre l'amore.

SCOZIA, 1817 - Lady Moira viene citata in giudizio dall'ex fidanzato, difeso dall'attraente Gordon McHeath. Ma l'av-vocato decide di mettere la legge del cuore prima di tutto.

La figlia del nemico TERRI BRISBIN

INGHILTERRA, 1067 - Costretta a sposare il rude Soren, Sybilla intuisce che il feroce guerriero bretone nasconde in sé un uomo vulnerabile ancora capace di amare.

Timida duchessa AMANDA MCCABE

INGHILTERRA, 1819 - Quando Emily capisce che il marito non è solo il dandy affascinante che credeva, decide di di-ventare la duchessa e l'amante che lui ha sempre desiderato.

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CHRISTINE MERRILL Un conte da sedurre

MIRANDA JARRETT Il cuore e la ragione

LONDRA, 1815 - Lady Emily decide di sedurre il marito di-venuto cieco senza rivelargli la propria identità. E lo strata-gemma porterà finalmente l'amore nelle loro vite.

VENEZIA, 1775 - Complice la magia di Venezia, Jane deci-de di seguire il cuore e non la ragione. E una notte si lascia tentare dalla passione per il bellissimo Duca di Aston...

Tra le braccia di un barbaro CAROL TOWNEND

TURCHIA, 1081 - Vestendo i panni della Principessa Theo-dora, Katerina fa breccia nel cuore di Ashfirth il Sassone. Come potrà rivelare la verità al guerriero che ormai ama?

Una proposta inattesa ANNIE BURROWS

INGHILTERRA, 1815 - Imogen sa di non essere una bellezza, e quando l'affascinante Visconte di Mildenhall chiede la sua mano, sospetta che lui abbia un secondo fine. Ma quale?

Dall'1 marzo

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Dal 26 gennaioLeggi le trame su www.eHarmony.it

NON C’E GIORNO SENZA SOLE,NON C’È NOTTE SENZA UNA PICCOLA VOGLIA DA SODDISFARE

A grande richiesta, una nuova piccante antologia di racconti maliziosi e seducenti, fi rmati dalle più amate autrici Passion, come MEGAN HART e AMANDA McINTYRE.

E quando chiuderete il libro, forse avrete trovato la fantasia che fa per voi…

Sullo sfondo della magnifi cenzadel palazzo di Versailles,

si snoda la storia di una delle donne piùammirate e più odiate di Francia:

Madame de Pompadour. Una vicenda carica di seduzione e di piaceri segreti, il racconto di ciòche accade quando il potere si lega

inestricabilmente al vizio,quando le sorti di un regno

si giocano nella penombra dell’alcova.

Travolgente, irresistibile, sensuale.È il ROSSO di Passion, il lato più piccante dell’amore.

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Dall’11 febbraioLeggi le trame su www.eHarmony.it

Quando ci sentiamo tradite dalla vita,l’istinto ci riporta a casa. Ed è lì che torna Jenna. Per scoprire che amore, amicizia ed entusiasmo sono gli ingredienti fondamentali per arrivare a una svolta decisiva. Ed ogni fi ne, non è altro che un nuovo, incredibile inizio.

Dopo il grande successo della saga delle sorelle Titan, SUSAN MALLERY torna a farvi sognare.

Ai vertici delle classifi che con la saga rosa più amata degli ultimi anni,

ROBYN CARR fi rma una nuova vicenda ambientata a Virgin River,

il luogo ideale per trovare rifugio e rigenerarsi.

E trovare l’amore.

Intenso, romantico, indimenticabile.È il ROSA di Romance, l’emozione che cerchi.

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