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SAMPLE PREVIEW - "Gli anni della NewTV" di Andrea Materia, pdf, 156 pagine, 999 link e un incalcolabile numero di video embed. Pubblicato dalla neonata e ambiziosa etichetta ebook.it – dietro cui spicca il decano del giornalismo italiano Raffaele Barberio, già fondatore di key4biz – "Gli anni della NewTV" offre una dettagliatissima analisi dei modelli di business e dei trend strategici del nuovo ecosistema mediatico. In vendita su www.ebook.it

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Page 1: Gli Anni della NewTV
Page 2: Gli Anni della NewTV

5 Nota metodologica sui link

7 Introduzione8 Un contenuto per Tre Schermi

16 Parte Prima: I Players17 Hulu contro YouTube, Golia contro Golia26 E se YouTube non fosse un bagno di sangue?29 blip.tv: l’era della Total Potential Audience34 Viva VEVO: si cambia musica sullo stereo di casa YouTube39 Ma la Regina d’Inghilterra ce l’ha un BBC iPlayer in camera da letto?

44 Parte Seconda: Gli Scenari45 Streamitel: La scienza inesatta dei metrics nell’online video52 L’audience C3 multischermo: Il sacro Graal56 Snocciolando CPM62 Internet killed the video stars72 L’anno in cui i quotidiani americani morirono76 Fino a quando Vespa, Costanzo e Fiorello rimarranno su RAI, Mediaset e Sky?80 Sotto il generoso ombrello dei blog84 Pronti, partenza, mouse!93 The Truman Webshow100 XXX, VM18Tube (da leggere dopo le 23…)105 L’economia di Farmville: I modelli di business del social gaming

110 Parte Terza: La Webfiction111 Per i network USA il dado è tratto: fondere business web e TV118 Crackle, una case history di successo?121 Cool e uncool 2.0: Facile da Montare e le telenovelas interattive125 I nipotini di Star Trek132 E una risata li seppellirà di click...140 Addio lonelygirl15

144 Conclusioni145 Sorry, non esiste modo di salvare la vecchia industria televisiva153 Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi

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Introduzione

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Viviamo una fase di transizione verso un ecosistema mediatico multischermo, integrato in una nuvola di piattaforme tendenzialmente comunicanti. Facebook comunica con YouTube che comunica con Twitter, quasi fosse un gigantesco macro embedding reci-proco, e tutti e tre lavorano per superare le attuali barriere alla comunicazione condi-visa dei dati tra smartphone, tablet e TV di nuova generazione; le eccezioni e i giardini chiusi, come Apple, sono minoritari.Nell’era del multischermo la monetizzazione è ancora diretta, subscriptions, o indiretta, pubblicità, ma diventa anche trasversale, App Economy ovvero sviluppo e commercializ-zazione di infinite applicazioni per la gestione personalizzata delle piattaforme stesse.Nel parlare di multischermo, in realtà mi riferisco a un equilibrio triangolare tra moni-tor dei pc, smartphone/tablet e televisione. Tre Schermi, dunque, la cui centralità viene sancita nel corso del 2009 da ampia documentazione ufficiale; vedi la posizione di AT&T’s statement, i Rapporti Sull’Audience dei Tre Schermi di Nielsen, o la presentazione di Mi-crosoft al CTIA 2009. Tre Schermi che si incrociano, si sovrappongono, talora competono l’uno con l’altro e talora invece sinergizzano le risorse. Tre Schermi interattivi e web dri-ven che definiscono l’ambiente entro il quale opera la, o se preferite “le”, NewTV.

Presidiare solo uno dei Tre Schermi per un operatore del settore significa ormai autocon-dannarsi all’estinzione. Un po’ come uno stilista che si ostinasse sulla strategia del single outlet, tenendo aperto sola la vecchia boutique di famiglia fuori mano, dove un tempo tutti venivano in pellegrinaggio obbligato, quando ormai i clienti si sono sparpagliati in una miriade di centri commerciali poli-funzionali. Fuor di metafora, se gli occhi prefe-riscono passeggiare dentro Facebook invece che cercare RAI 1 sul telecomando, RAI 1 è perden-te a ostinarsi nel fortino del single outlet.Applicativi, soluzioni tecnologiche, servizi e in ultima analisi contenuti devono viaggiare attra-verso tutti e tre gli schermi, tutti e tre Internet-connessi. Devono essere declinati per sfruttare al meglio le differenti caratteristiche del veicolo che li diffonde, ma al tempo stesso recepire un minimo comun denominatore di configurazione che massimizzi la compatibilità e la “portabili-tà” dell’esperienza di consumo da uno schermo a un altro, senza discontinuità. Non è un processo ul-timato, né tantomeno privo di stop and go. Pensate ai social network e alla lenta, e tuttavia inarrestabile, evoluzione delle versioni per mobile

Un contenuto per Tre Schermi

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Introduzione Un contenuto per Tre Schermi

device, in attesa dell’esordio di quelle per Net-TV. Pensate ai differenti tempi di fruizione di una trasmissione audiovisiva su un monitor da 3 pollici, uno da 15 e uno da 43.Apple è molto avanti su questo piano, le architetture che supportano l’hardware della Mela Morsicata consentono una piena replicabilità di piattaforme e applicazioni sui Tre Schermi, ma solo all’interno del walled garden Apple. Google è in predicato di aggregarsi a breve, con il sistema operativo Chrome e il rafforzamento di Android sui dispositivi 3G, e non dubito che in laboratorio stiano covando codice per un OS televisivo. Microsoft si è aggiunta in extremis, stupendo l’ambiente hi-tech con un sistema operativo per mobile finalmente competitivo (Windows 7 Phone). Di fatto, tutti i colossi del pc, Apple, Micro-soft e Google, sono ora colossi del mobile. Ogni muro tra schermo mobile e schermo pc, 2 schermi su 3, cadrà già nel corso del 2010/2011.Dall’altro lato della barricata, un broadcaster europeo (e per giunta pubblico!) come BBC si è fatto approvare il Progetto Canvas, coinvolgendo l’intera industria dell’audiovisivo britannico nella costosa creazione di uno standard tecnico universale per la fruizione dei contenuti Made in UK sui Tre Schermi. Trattandosi di un broadcaster, la priorità è data ovviamente allo schermo televisivo, o meglio, per rubare le parole al direttore dell’IPTV di BBC Richard Halton, lo schermo delle Hybrid TV allacciate a Internet.

Naturalmente non basta rendersi accessibili su ogni schermo, bisogna anche adattare la library ai criteri delle cross-piattaforme distributive nate con il Web 2.0 e fondate su con-cetti chiave come disponibilità on demand dell’archivio integrale e della più vasta mole possibile di informazioni e funzionalità a supporto (ipertesti e condivisione in primis), visione timeshifted customizzata, interattività, social networking.Non si può ad esempio non fare i conti con la viralità del video, esplosa drammaticamente nell’era di Facebook, MySpace e Twitter. Quel che prima passava da zero a 100.000 views lentamente, di e-mail in e-mail, di chat in chat, ora passa da zero a milioni di views all’istante, spinto in accelerazione solare dai social network, dagli aggregatori di link tipo Digg e Stumbleupon e dai blog, soprattutto i blog, che battono ampiamente i motori di ricerca – da Google e Yahoo in giù – come fonte di indicazione stradale primaria per dirigersi verso nuovi contenuti in streaming. Ce lo racconta TubeMogul dopo aver analizzato il solito ridicolo numero di clip indicizzato dai loro server. Fa eccezione YouTube per via del suo immenso catalogo di clip; il 45% delle views su YouTube sono generate internamente al sito stesso (in realtà è logico, quando vai su YouTube in cerca di video è quasi matematico che cliccherai su altri sette video correlati di cui neppure sospettavi l’esistenza).Ora, intendiamoci, non stiamo per trasformarci tutti in omini verdi, la tecnologia modifi-ca le modalità di fruizione ma non le sconvolge traumaticamente… eccetto per chi ancora venera le signorine buonasera e rischia lo shock culturale. Se volete, ci attende uno zap-ping più caotico, frammentato e nevrotico. Alla fine il succo è lo stesso, si guarda qualcosa su uno schermo, chiamatelo tele o come vi pare. Questo non cambia.Cambia invece – e qui il passaggio è dirompente – la catena del valore. Assume forma cir-colare. Non devo più sottostare alle imposizioni di un broadcaster che mi detta dall’alto cosa vedere sui suoi 10 o 20 o 200 canali. Ora ho accesso a milioni di palinsesti parcelliz-zati su milioni di destinazioni e disponibili in qualsiasi momento, su qualsiasi dispositivo multimediale; inoltre i miei desideri di consumo (di entertainment, infotainment, news, sport, oroscopi e softcore) sono in gran parte mossi dal flusso di embeddaggi e parole nei social network a cui partecipo.

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Introduzione Un contenuto per Tre Schermi

Per me utente significa libertà di scelta, per te fornitore di contenuti significa ripensare da zero il modello di business, per loro piattaforme di social network significa entrare nella catena del valore. L’end user, il consumatore finale, assume così una doppia veste: mantiene quella standard, ma si trasforma al tempo stesso in (a volte) consapevole distri-butore.In questa prospettiva, le esperienze di community e le relative curve di engagement dei navigatori-spettatori assumono un valore aggiunto che le porta a contare quanto il totale ascolti catodici, e altrettanto contano le views cumulate nell’universo del multischermo. Una mole di dati irrompe e diventa pressante misurarli. Servono, subito, criteri per la misurazione dei comportamenti collettivi online. È un’esigenza vitale degli inserzionisti ed è un’esigenza che ha costretto Nielsen a cambiare dall’estate 2010 i suoi metrici di rilevazione degli ascolti televisivi includendo l’online video.Parliamo in verità di fenomenologie di fruizione dei media in atto da tempo. Sempre Niel-sen dipinge l’online video quale erede naturale dei DVR. L’online video però è amato da chi spende in spot: il messaggio promozionale è integrabile nel contenuto in modi impen-sabili in TV. Puoi sapere con certezza non solo quanti ti hanno assorbito, ma chi, come e perché. Inoltre, gli spot in streaming di solito non sono “saltabili”.

I DVR, ignoti nella Penisola, rappresentano al contrario lo spauracchio Number One di chi spende in spot oltre Atlantico, perché consentono il timeshift e il “salta lo spot”. I DVR stanno assediando i templi dell’audience. Continuiamo a esaminare per coerenza dati ufficiali Nielsen USA. Durante l’autunno 2009 i DVR (presenti nel 35% delle case) hanno costituito solo il 6% delle views televisive americane. Di questo 6%, in 5-6 casi su 10 la pubblicità veniva saltata; quindi in pratica una perdita di occhi pari al 3% del totale, trascurabile. La realtà è diversa. Quel 6% del totale ascolti non si riferisce al prime time, ma alle 24 ore, ed è evidente che nessuno registri in DVR i talk del pomeriggio. Questo sfalsa di brutto la media. In prima serata, nella settimana 15-22 novembre 2009 (periodo di sweeps, un po’ come la nostra fascia di garanzia) il 24% degli adulti 18-49 anni ha visto la programmazione dei canali in chiaro (CBS, ABC, NBC, Fox e CW) registrata su DVR. Ergo: se analizziamo prime time e pubblico giovane, la fruizione via DVR non riguarda il 6% della popolazione, ma il 24%. Se di questo 24% più della metà salta gli spot, se ne

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deduce che il 15% degli americani tra i 18 e i 49 anni aggirano le inserzioni nei seriali di punta trasmessi tra le 20 e le 23. Quando la penetrazione dei DVR supererà il 50% della popolazione (2011?), lo farà un terzo degli americani.

Improvvisamente l’emorragia di GRP non appare più così marginale e Internet diventa l’ancora di salvezza per i bisonti del marketing in cerca di nuove identità…Nel frattempo The Beautiful Life, il teen drama prodotto dalla Katalyst Media del divo – e profeta di Twitter – Ashton Kutcher, dopo aver subito l’onta della cancellazione alla seconda puntata a settembre 2009 sul canale in chiaro di Warner Bros. e CBS The CW, è tornato “in onda” online su YouTube il 17 dicembre 2009 (con le “repliche” delle prime due puntate più tre episodi inediti rimasti nel cassetto). A benedire l’operazione la spon-sorizzazione di Hewlett Packard. E qui è avvenuto, parlo dei giorni tra Natale 2009 e la Befana 2010, qualcosa di epocale: 2,7 milioni di persone hanno seguito repliche e inediti su YouTube, contro i 2,5 milioni di spettatori totali su CW (1,38 la prima puntata + 1,1 la seconda). Poiché YouTube ospiterà la serie per almeno sei mesi, il divario è destinato ad accrescersi, probabilmente a raddoppiare o triplicare.

Per la prima volta nella storia, sebbene il dato sia frutto di un aggregato di 5 puntate contro 2 e su un arco temporale di 3 settimane contro 2 serate, una fiction ad alto budget ottiene più audience su web che in TV. A scanso di equivoci, non è una clip comica virale da 30 secondi, signori miei. The Beautiful Life è un telefilm drammatico da 37 minuti a puntata, spot esclusi.La possibilità di tenere up a tempo indefinito la serie in VOD 24 ore su 24, e l’accumulare nel tempo di nuovi fan per via della Lunga Coda non sono peccati mortali di cui vergo-gnarsi. Al contrario sono tra i più preziosi vantaggi competitivi della NewTV, e solo il vele-no o la crassa ignoranza di chi sente i suoi giorni analogici volgere al termine può negarlo.Neanche a dirlo, Kutcher sta ora raggranellando fondi per proseguire The Beautiful Life con una nuova stagione online only, mentre letteralmente dal giorno alla notte è esplosa ovunque la caccia al titolo cult segato in TV da riprendere e rilanciare sui videoportali.

Come si è arrivati a un ribaltamento nei rapporti di forza talmente vistoso in così breve tempo? Il grafico seguente presumo renda l’idea più di qualsiasi statistica, ma volendo entrare nel dettaglio i navigatori USA hanno richiesto a YouTube 12 miliardi di video a novembre 2009, +137% rispetto al 2008. I visitatori unici di YouTube sono aumentati del 32% nello stesso periodo. Questo significa che ogni singolo spettatore di YouTube ha con-sumato molti, molti più video pro capite che nel 2008. Le ricerche dentro YouTube costitu-iscono oggi il 28% di tutte le ricerche effettuate sui siti di proprietà di Google (quindi per

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volgare proprietà transitiva la compo-nente video search engine di YouTube da sola vale un terzo di Google.com motore di ricerca)… Dietro YouTube, la carica dei nanerottoli. Persino com-binati insieme, i 9 inseguitori di You-Tube non fanno ¼ delle sue views e nel 2009 il divario si è allargato (+137% YouTube come detto, +86% tutti gli al-tri nella Top 10 dei videoportali).Nondimeno, YouTube non è il monopo-lista assoluto di settore. Anzitutto per-ché in ambito internazionale il suo primato è assai meno saldo e in ogni caso negli States non supera il 39% del totale segmento online video (12 miliardi di stream appunto su 31 complessivi guardati da 170 milioni di americani, dati Comscore relativi a novembre 2009). Giganteggia perché il restante 61% del mercato è frammentato all’inverosimile, e l’unico altro player dalle spalle larghe è il secondo in classifica, Hulu, con il 3% della torta, 44,2 milioni di aficionados, e oltre 1 miliardo di video succhiati a dicembre 2009. Erano 0,58 miliardi a settembre 2009 e 0,25 miliardi a gennaio 2009. Il tempo speso su Hulu è quadruplicato in meno di un anno e finché le autorità governative USA non allenteranno la presa sulla fusione NBC/Comcast è improbabile che faccia movimenti strani trinceran-dosi dietro un paywall: rimarrà gratis e continuerà a estendere la sua reach.

Morale della favola 1All’ombra del titanico GoogleTube c’è spazio e si sgomita per farsi spazio.

Morale della favola 2L’aumento della domanda di online video è fuori da qualsiasi scala ovunque la penetra-zione della larga banda assume dimensioni di massa e si moltiplica il numero di device, in aggiunta al computer, su cui sono disponibili in syndication i maggiori netcaster. L’aumento è generalizzato e si spalma su ogni tipologia di contenuto in streaming a pagamento – in primis Netflix – ma soprattutto in streaming gratuito supportato dalla pubblicità: dai premium long-form dei servizi catch up di Hulu e BBC ai live dei grandi eventi artistici e politici (Ustream) o sportivi (le webTV delle Major Leagues), dai virali user-generati ai videoclip di VEVO agli how to educativi di ExpertVillage, Howcast (25 milioni di stream al mese) e il debordante 5min (75 milioni di stream al mese, 30 milioni di net-spettatori), dai webserial di Crackle alle telenovelas di Univision all’hardcore di Pornhub, dai TG webcast originali di CBSNews.com (+97% nel 2009) al gossip di TMZ (2 milioni di unique viewers al mese), dalla comicità di FunnyOrDie ai 70 milioni di spettatori l’anno di Revision3 con i suoi talk tematici per appassionati di tecnologia e cinema, via via a scendere nelle infinite nicchie di interesse soddisfatte da infiniti vide-oblog e videoportali e alla nascita delle prime Online TV Guides di utilizzo mainstream. Tutte realtà con tassi di crescita nel 2010 superiori al 50%, spesso 100% e oltre, arrivan-do a record come il +4341% di TV.com dopo il rilancio nella scuderia di CBS Interactive. Tutte realtà che analizzeremo nel dettaglio all’interno delle tre sezioni di questo ebook [Players, Scenari e Webfiction].

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Negli old media c’è chi si adegua, come l’emittente tematica di fantascienza via cavo SyFy. Per il suo cavallo di razza Caprica, prequel della serie di space opera più amata in assoluto dopo Star Trek, SyFy ha messo online il pilot di due ore con largo anticipo rispetto alla premiere televisiva del 22 gennaio 2010. Tra Hulu, Syfy.com, iTunes e il VOD Amazon 1,5 milioni di navigatori hanno visto la puntata inaugurale prima della messa in onda sul cavo, seguita invece da 1,6 milioni di abbonati cablati. Tra schermo pc e schermo TV un sostanziale pareggio. Sommati sono 3,1 milioni di spettatori. Se calcoliamo che l’esordio di Stargate Universe il 2 ottobre 2009, il miglior exploit della saga di Stargate negli ultimi quattro anni, non aveva superato i 2,3 milioni di spettatori, è facile visualizzare la portata dell’azzardo tentato con Caprica.A livelli più alti e planetari, l’alba del multischermo sta per ripetersi mentre scrivo queste righe con il telefilm del secolo: Lost. La prima puntata della sesta e conclusiva stagione è andata online il 2 febbraio 2010 su ABC.com e Hulu a distanza di quattro ore dalla prima visione via etere su ABC (in chiaro). Qualche giorno dopo ABC.com ha aggiunto l’opzione di una traccia audio extra dvd-style con il commento di uno degli attori. Dunque strategia privilegiata: release sui Tre Schermi, gratis ad supported fruibile in qualsiasi momento 24 ore su 24. In Italia è avvenuto l’inverso, bisogna pagare o aspettare. La serie è visibile sull’IPTV del Cubovision Telecom Italia in lingua originale con i sottotitoli a 24 ore dalla messa in onda americana (costo 1,99 euro a puntata, in linea con le tariffe iTunes che Apple spinge per alleggerire). Dieci giorni dopo esce l’edizione doppiata, senza sottotitoli, su Fox, quindi emittente pay e per giunta limitata a chi ha installato una parabola satel-litare. Solo in estate, a sei mesi di distanza dall’evento, gratis in chiaro su RAI 2. Chissà quando, forse mai, la soluzione ideale: free on demand multischermo.

Per la cronaca, negli USA Lost Stagione 6 ha debuttato in TV con 12,6 milioni di spetta-tori, +10% tra gli adulti 18/49 anni. Non dispongo ancora dei dati sulle views in DVR e su Hulu, sul secondario ABC.com 0,6 milioni di stream nelle prime 24 ore. Posso dirvi in compenso che la Fan Page ufficiale su Facebook ha 1.621.000 iscritti (4 febbraio 2010). Sempre per la cronaca e per mettere in prospettiva, Desperate Housewives, ABC, alla stessa data annovera 316.500 fedeli sulla Facebook Fan Page. La sua audience C3 è di 4,2 milioni live + 0,7 milioni in differita su DVR.

Ma le eclatanti anomalie di Lost e Caprica, prodotti scritti e girati da geek per una core audience di geek, non deve far cadere in inganno. Perlopiù la reazione dei broadcaster TV e dei loro fornitori di contenuti alla metamorfosi in atto nell’ecosistema è scomposta e sofferente. Sembra quasi facciano del loro meglio per perdere l’incredibile vantaggio competitivo offerto dalla awareness globale dei propri marchi e dall’imponenza di library costruite nei decenni, per difendere a oltranza il single outlet.Non c’è più bisogno di un single outlet.

La televisione si fonda su reach e frequency, quante persone e quante volte guardano un programma (o uno spot). Bene, oggi reach e frequency si ottengono embeddando una stringa di codice dentro un video player e lasciando che questo video player impollini quanti più siti possibile, e non al contrario imprigionandolo in un single outlet. Se il video player RAI venisse embeddato diciamo il 5 maggio 2010 su 48 blog italiani per mezz’ora durante una diretta di una gara ciclistica, gli occhi che guardano quel video sarebbero magari parzialmente distratti da un banner in alto a destra monetizzato dal blog, ma il

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90% della loro attenzione sarebbe catturata dalla trasmissione RAI e dagli spot pre-roll, post-roll e overlay ipertestuale gestiti e monetizzati da RAI stessa in remoto. Sempre e soltanto RAI avrebbe i dati sugli spettatori di quei 48 blog italiani. Solo e soltanto RAI, sacrificando un po’ di traffico sul portale proprietario, beneficerebbe della moltiplicazio-ne di views derivante dal cross-embedding del video player dai 48 blog ai social preferiti, incluso Facebook (al momento preferito da oltre 15 milioni di nostri connazionali).I lucchetti digitali non pagano. CW, l’emittente beffata da YouTube con The Beautiful Life, nel 2008 si rifiutò di caricare online le cinque puntate finali della sua hit #1, il cini-co cult adolescenziale Gossip Girl. Bisognava andarle ad acquistare su iTunes. La paura era di cannibalizzare lo schermo televisivo. Chissenefrega della teoria dei Tre Schermi, avranno detto… Risultato: Gossip Girl (a differenza di Lost e Caprica) ha perso ascolti, così come logicamente The CW.com. In compenso i download illegali aumentarono del 45%. Oggi Gossip Girl viene simulcastato su CW in contemporanea con la trasmissione TV e gli ultimi quattro episodi sono disponibili sempre on demand.Mettere la testa sotto la sabbia sperando che le tempistiche siano meno rapide di quanto profetizzano i blogger visionari è miope. Le barriere di ingresso al mercato per i newco-mer non cadono solo sul versante hardware domestico, anche i costi strutturali vanno sparendo. Le aziende che “consegnano” banda per video in streaming hanno vissuto l’intero 2009 all’insegna di una discesa tariffaria inarrestabile. Nel 1998 streammare 1MB costava 0,15 dollari. Un film, ammesso e non concesso che qualcuno avesse avuto la capacità di banda domestica per guardarlo in una finestra più grande di un francobollo, sarebbe venuto 270

dollari per utente all’ipotetico Hulu dell’epoca, e non ovviamente a pie-no schermo.Fast forward dieci anni. A inizi 2009 negli States consumare 100 Terabyte di banda per video costa-va tra 0,25 e 0,40 dollari a gigabyte. A dicembre 2009 il prezzo è sceso a 0,20/0,28 a Gigabyte. Acquistando 500 Terabyte il costo è addirittu-ra crollato a un minimo di 0,01 e un massimo di 0,08 dollari per Gigabyte – praticamente zero, la banda è di fatto gratis per i vide-oportali ad alto traffico – contro la

forchetta 0,02/0,10 dollari di gennaio 2009.Streammare un lungometraggio sui pc, console PS3/Wii, TV net-connessi o uno qualsiasi dei 100 device abilitati, costa a Netflix, secondo le stime del guru Dan Rayburn, meno di 0,05 dollari in qualità standard definition e meno di 0,08 dollari in qualità HD. È infi-nitamente più conveniente del vecchio modello di business che pure aveva consentito a Netflix di disintegrare Blockbuster, ovvero inviare con pacco postale a casa degli abbonati i dvd in affitto scelti sul sito. Quel pacchetto postale viene a Netflix 0,78 dollari, è un me-todo destinato ad andare in pensione insieme alle videoteche ai quattro angoli del globo (sorry, fatevene una ragione associazioni di categoria) via via che il servizio di larga banda assumerà dimensioni universali e il catalogo di intrattenimento in streaming si espande-

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rà fino a offrire l’intero archivio storico dello show business.Netflix Watch Instantly offre già 17.000 titoli, da febbraio 2010 anche la crema del cine-ma d’autore inclusa la leggendaria Criterion Collection. Se qualcuno riesce a spiegarmi razionalmente per quale motivo i consumatori non dovrebbero augurarsi servizi globali affini ovunque per droppare le soluzioni tradizionali (pay HD esclusa, finché la banda per lo streaming in HD resta merce rara), e far convergere lì le proprie spese per l’intrat-tenimento mediatico, sarò ben lieto di ascoltare argomentazioni contrarie. In fondo, la fantasia umana non ha limiti…

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