giovani oggi. indagine iard sulla condizione giovanile in italia

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Page 1: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia
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L'immagine che gli adulti, nel loro complesso, si fanno dei gio­vani è oggi, nel 1984, ancora influenzata da fenomeni e compor­tamenti di quindici o addirittura vent'anni fa. Cose che anche al­lora erano limitate ad una minoranza di giovani ma èhe sono sta­te prese come tipiche della giovinezza in quanto tale. Si sente dire che i giovani sono contestatori, che non hanno più l'etica del lavoro, che sono politicamente radicali, di estrema sinistra, che se ne vanno da casa presto, per vivere in gruppi o comunità. Che sono idealisti, altruisti, gen�erosi, ma anche .9-ggressivi, im­pulsivi e sconsiderati. Che vivono di utopie, di sogni, ma anche solo del presente, senza prospettive. La ricerca chiude definiti­vamente questa immagine e costituisce un nuovo inizio. Essa ci mostra, senza possibile ombra di dubbio che i giovani dai 15 ai 24 anni sono completamente diversi dalle immagini stereotipi­che che continuano a vivere nella società. Attraverso confronti con ricerche precedenti, viene dimostrato che i giovani non so­no, in realtà, come li racconta il mito sociale. Certo, vi sono stati cambiamenti, ma non così drammatici come si potrebbero im­maginare: non vi sono stati, soprattutto, a livello della totalità dei giovani, quei bruschi cambiamenti di valore, quelle svolte im­provvise descritte dai mezzi di comunicazione di massa, dalla stampa, dal cinema. Dalle pagine di questa ricerca, il mondo dei giovani si presenta quindi al di fuori di ogni dimensione mitica, al di fuori di ogni stereotipo e di ogni nostalgia.

Indice del volume: Prefazione, di Francesco Alberoni. - l. Chi so­no i giovani intervistati, di Antonio de Lillo.- Il. Percorsi ed espe­rienze nella scuola, di Vincenzo Cesareo. - 111. li lavoro nei suoi significati, di Guido Romagnoli. - IV. Associazionismo e parteci­pazione politica, di Luca Ricolti.- V. La famiglia e le amicizie, di Alessandro Cavalli.- VI. Tempo libero e consumi giovanili, di An­tonio de Li Ilo.- VII. La devianza e la droga, di Alessandro Cavalli.

Questa ricerca è stata condotta sotto la responsabilità del Co­mitato Scientifico dell'Associazione lard, il quale ne ha affidato la realizzazione ad un'équipe di esperti composta da: Alessan­dro Cavalli, Ordinario di Sociologia nella Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Pavia; Vincenzo Cesareo, Ordina­rio di Sociologia nella Facoltà di Scienze Politiche dell'Universi­tà Cattolica del S. Cuore di Milano; Antonio de Lillo, Straordina­rio di Metodologia delle scienze sociali nella Facoltà di Sociolo­gia dell'Università di Trento; Luca Ricolti, Ricercatore di Socio­logia nell'Università di Torino; Guido Romagnoli, Ordinario di Sociologia del lavoro e Preside della Facoltà di Sociologia del­l'Università di Trento.

ISBN 88-15-01475-6

l 9 788815 014757

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STUDI E RICERCHE

C LXXIX.

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IARD è un Istituto di ricerca che ha avuto origine a Milano nel 1961 e che conduce studi teorici, indagini empiriche e sperimentazioni nel campo dei processi educativi, formativi e di socializzazione con approcci che integrano le prospettive delle diverse scienze sociali (pedagogia, psi­cologia, sociologia, economia).

Le linee principali di attività possono essere, sinteticamente, rias­sunte in quattro capitoli: l. Gli adolescenti e i preadolescenti; 2. I gio­vani; 3. La scuola; 4. Il territorio. In ciascuno di questi ambiti tematici sono stati condotti studi teorici e indagini conoscitive, elaborati modelli di intervento, avviate sperimentazioni per mettere alla prova la validità delle ipotesi, organizzati corsi di formazione e aggiornamento per inse­gnanti e operatori culturali.

L'Associazione IARD ha prestato la propria consulenza e ha con­dotto studi e ricerche sia con Enti pubblici, sia con Fondazioni ed Enti o Associazioni senza fini di lucro, sia con privati.

Come riconoscimento della rilevanza delle proprie attività, l'Associa­zione è stata insignita nel1968 e nel1976 della Medaglia d'Oro per i Be­nemeriti della Scuola, della Cultura e dell'Arte, su segnalazione del Mi­nistero della Pubblica Istruzione.

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GIOVANI OGGI

Indagine lard sulla condizione giovanile in Italia

condotta da A. Cavalli, V. Cesareo, A. de Lilla, L. Ricolfi, G. Romagnoli

Pref�zione di F. Alberoni

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO

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ISBN 88-15-00515-3

Copyright © 198 4 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la ri­produzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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PRESENTAZIONE

A metà strada fra il quarto e il quinto lustro dalla fonda­zione della nostra Associazione, ci è parso di essere all'al­tezza, sotto ogni punto di vista, per affrontare il notevole impegno connesso ad un'operazione della mole di questa in­chiesta, del tutto pertinente con la nostra vocazione e le no­stre esperienze. In primo luogo per il valore, singolo e colle­giale, dei responsabili del questionario e degli autori del libro destinato all' attenzione di tutti coloro che hanno motivo di guardare con attenzione al mondo dei giovani: dagli studiosi agli operatori economici, ai giovani stessi. Pieno merito va contestualmente dato all'Istituto Doxa, che ha eseguito le interviste ed elaborato l'ingente materiale raccolto . Ma oc­corre anche dare risalto al fatto che si tratta di una prima presentazione, provvisoria, nel senso che la sua piena rispon­denza si verificherà solo in funzione della sua ripetitività, prevista ogni tre anni circa, proprio per l'impetuoso divenire che caratterizza il mondo dei giovani. Il che rende ancora piu arduo e stimolante il nostro impegno. Se è vero che una poderosa indagine come questa che qui presentiamo avrebbe scarsa incisività se fosse fine a se stessa, è altrettanto vero che un'accurata analisi dei primi dati che ne risultano, gene­rali e di settore, è la condizione per esaltare le possibilità del confronto, fatto ad intervalli periodici, sempre sulla stessa scala nazionale.

L'Associazione IARD è grata agli Enti che hanno voluto affiancarla nel suo sforzo iniziale, contribuendo in parte alle spese d'avvio: Ministero della Ricerca Scientifica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Associazione Industriale Lom­barda, Società Pirelli, alcuni privati.

Del pari, la nostra speranza per il futuro - quale Asso­ciazione senza fini di lucro e senza sovvenzioni di alcun ge­nere - si fonda su tutti coloro, Enti e persone, che vor-

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ranno collaborare con noi per consentirci di raccogliere pe­riodicamente e sistematicamente (e con tranquillità) una do­cumentazione che nel nostro Paese manca. A simiglianza di quanto avviene nelle piu progredite Nazioni europee con le quali pure sentiamo il bisogno di confrontarci in tema di mentalità e orientamenti giovanili, in aggiunta alle analisi in­crociate fra Regione e Regione in Italia.

FRANCO BRAMBILLA Presidente dell'Associazione IARD

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INDICE

Prefazione, di Francesco Alberoni

I.

II.

Chi sono i giovani intervistati, di Antonio de Lilla

Percorsi ed esperienze nella scuola, di Vin­cenzo Cesareo

l. La fruizione giovanile del sistema scolastico 2. La dispersione scolastica 3. La diversità della fruizione scolastica dei giovani 4. La transizione dalla scuola al lavoro 5. La valutazione dell'esperienza scolastica 6. I rapporti con gli insegnanti 7. Il significato dell'istruzione 8. Istruzione e prospettive occupazionali 9. Qualche riflessione conclusiva

III. Il lavoro e i suoi significati, di Guido Roma-

p. 9

15

21

21 23 26 33 35 37 40 44 45

gnoli 51

l. Premessa: giovani, lavoro, valori 2. Giovani e mercato del lavoro 3. I significati del lavoro 4. La soddisfazione verso il lavoro 5. Conclusioni: le ambivalenze del lavoro

IV. Associazionismo e partecipazione politica, di

51 56 65 74 77

Luca Ricolfi 81

l. Due generazioni a confronto 2. La partecipazione politica: il nocciolo e la polpa 3. Le preferenze elettorali 4. L'eclisse del tradizionalismo femminile 5. Il mondo cattolico

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81 82 86 91 98

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V. La famiglia e le amicizie, di Alessandro Cavalli

l. La famiglia nella gerarchia dei valori 2. Comunicazione, accordo e disaccordo con i genitori 3. Dipendenza ed autonomia 4. l compiti del lavoro domestico 5. L'immagine dei genitori e la percezione del divario

generazionale 6. Le attese per il futuro: il matrimonio e i figli 7. L'amicizia e l'esperienza della vita di gruppo

VI. Tempo libero e consumi giovanili, di Antonio de Lilla

l. Il tempo libero: aspirazioni e livelli di soddisfazione 2. Le disponibilità monetarie: una stima e qualche con-

fronto con i giovani degli anni Settanta 3. Le attività di tempo libero: uno sguardo generale 4. Consumi culturali e mass media

VII. La devianza e la droga, di Alessa11dro Cavalli

l. Gli atteggiamenti verso la devianza 2. Gli atteggiamenti verso l'uso di droga

Appendici

l. La costruzione del campione Il. Il questionario e le distribuzioni di frequenza

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p. 105

1-05 108 112 119

122 128 131

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135

139 144 147

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163 167

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PREFAZIONE

La società, nel suo complesso, prende coscienza dei suoi mutamenti con un incredibile ritardo. Alcuni pensano che questo avvenisse solo nel passato, nei sistemi sociali retti dalla tradizione. Invece avviene anche nel mondo moderno, nonostante l'enorme diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, nonostante il grande numero di studi sociologici, psicologici, economici. Questo ritardo nella presa di co­scienza non dipende soltanto dalla mancanza di informa­zioni ma, piuttosto, da una volontà di non vedere, perché al­cuni fatti assumono un significato mitico, oppure entrano come componenti essenziali dell'ideologia. L'immagine che gli adulti, nel loro complesso, si fanno dei giovani è spesso di questo tipo. Oggi, nel 1984, il modo di pensare corrente è ancora influenzato da fenomeni, comportamenti di quindici o addirittura vent'anni fa . Cose che, anche allora, erano, inoltre, limitate ad una minoranza di giovani ma che sono state prese come tipiche della giovinezza in quanto tale. Si sente dire che i giovani sono contestatori, che non hanno piu l'etica del lavoro, che sono politicamente radicali, di estrema sinistra, che se ne vanno da casa presto, per vivere in gruppi o comunità. Che sono idealisti, altruisti, generosi, ma anche aggressivi, impulsivi e sconsiderati. Che vivono di utopie, di sogni, ma anche solo del presente, senza prospettive.

La ricerca di A. Cavalli, V. Cesareo, A. de Lilla, L. Ri­colfi, G. Romagnoli chiude definitivamente questa imma­gine e costituisce un nuovo inizio. Essa ci mostra, senza pos­sibile ombra di dubbio, che i giovani dai 15 ai 24 anni sono completamente diversi dalle immagini stereotipiche che con­tinuano a vivere nella società. Attraverso confronti con ri­cerche precedenti, di cui una del 1969, essi ci mostrano inol­tre che anche in quegli anni i giovani non erano, in realtà, come li racconta il mito sociale. Per cui vi sono stati cambia-

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menti, ma non cosi drammatici come si potrebbero imma­ginare. Non vi sono stati, soprattutto a livello della totalità dei giovani, quei bruschi cambiamenti di valori, quelle svolte improvvise descritte dai mezzi di comunicazione di massa, dalla stampa, dal cinema.

Perché, possiamo domandarci, queste immagini del pas­sato durano tanto tempo? Perché, in particolare, si è prolun­gato per oltre quindici anni lo stereotipo del. giovane che ri­fiuta il lavoro, che infila collanine e fa le barricate, che con­testa i genitori e si droga? La prima risposta possibile è che una immagine del genere colpisce la fantasia, è pittoresca. Dopo aver visto in giro gli hippy, i punk, dopo aver assistito alle agitazioni studentesche, dopo aver constatato che i ter­roristi erano giovani rimarrebbe, nel ricordo collettivo, una impressione forte che finisce per dominare su tutte le altre. I genitori, è vero, si sono accorti che i loro figli non conte­stano piu da dieci anni almeno. Però immaginano che siano sempre sul punto di farlo, e considerano una situazione or­mai stabilizzata come una pausa provvidenziale, anche se in­sicura. Di hippy ormai non se ne vedono piu, i punk sono po­chissimi, ma resta il timore che il proprio figlio possa fare quella fine e, magari, drogarsi. Si sa che i delinquenti sono sempre stati una minoranza sociale, ma non per questo i ge­nitori hanno smesso di aver paura che il proprio figlio finisca su una cattiva strada. Anche le prostitute sono poche, ma il loro cattivo esempio è sempre stato temuto. Questa ipotesi può essere perfezionata dicendo che i movimenti giovanili degli anni Sessanta hanno creato, nella generazione adulta, un vero e proprio trauma, ed è questo trauma che fa durare lo stereotipo. L'ipotesi è ragionevole, ma lascia non poche perplessità. Per essere vera fino in fondo i movimenti giova­nili degli anni Sessanta avrebbero dovuto apparire come una vera e propria catastrofe culturale. Uno sconvolgimento to­tale dell'ordine sociale e che minaccia alla base il sistema economico-politico. La frattura generazionale avrebbe do­vuto essere una specie di lotta di classe fra le generazioni, lo scontro di due culture totalmente incompatibili. Questo è certamente avvenuto in alcuni casi. Ma non certo nella gene­ralità. In Italia i movimenti giovanili sono arrivati dolce-

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mente, sotto forma di moda e ben accolti dagli adulti. Que­sto tanto che si trattasse di movimenti cattolici di rinnova­mento conciliare o postconciliare. Oppure sotto forma di moda musicale, di minigonna, o di discoteche tipo Piper. I film italiani dell'epoca mostrano lo sconcerto della genera­zione dei padri, ma anche il fascino che la rivolta giovanile aveva per loro. Pensiamo ai film La voglia matta, Togli le gambe dal parabrezza. Si aveva addirittura l'impressione che la generazione adulta fosse profondamente identificata con quella piu giovane ed avesse, per cosi dire, demandato ai suoi figli il compito di spezzare i legami troppo stretti della morale della controriforma.

La causa principale è un'altra. I movimenti giovanili di quegli anni non vennero affatto interpretati per quello che erano, cioè dei movimenti. Non vennero vissuti come degli episodi storici, con un inizio, uno sviluppo, una fine. E que­sto non solo da parte della gente comune, ma degli studiosi p ili accreditati dell'epoca. Prendiamo come esempio le due opere piu celebri: La nascita di una controcultura di T. Ro­szak e The greening of America di C . Reich. Costoro non par­lavano di movimenti. Parlavano di una cultura giovanile che finalmente riusciva a venire alla luce e a manifestarsi in tutto il suo splendore. Secondo questi autori la nuova cultura è ca­ratterizzata da una concezione generosa dell'animo umano. Essa produce spontaneamente solidarietà sociale , amore, co­munismo, altruismo, fede, sincerità, schiettezza, vita auten­tica, ed ogni altra meraviglia. In definitiva questi autori non fanno altro che registrare quella che è l'esperienza soggettiva dei partecipanti alla fase di stato nascente del movimento, una fase di grandissima solidarietà e di grandissimo entusia­smo. Però la descrivono come una proprietà stabile della cul­tura giovanile. In Italia questo modo di pensare ha avuto una elaborazione marxista e le miracolose proprietà dello stato nascente sono state attribuite all'ideologia leninista. Ma l'i­dea che ci si trovasse di fronte non a qualcosa di tempora­neo, un movimento, appunto, ma una struttura culturale ha influenzato perfino le ricerche empiriche. Come, per esem­pio, quella di Carlo Tullio Altan !valori diHicili. Il presuppo­sto implicito di quella ricerca è che ciò che si osservava in

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giro, i valori dichiarati nella fase calda del movimento, fos­sero i nuovi valori dei giovani, ormai acquisiti e stabilizzati in contrapposizione ai vecchi valori degli adulti.

Questa incapacità di capire la natura storica del movi­mento, la sua struttura di processo, tanto negli studiosi ame­ricani come in quelli europei ed italiani, ha contribuito a creare il mito di una «cultura giovanile» contrapposta a quella adulta in modo radicale e per sempre. L'idea, cioè, che ci fosse una nuova specie umana, i giovani, portatori di una men­talità totalmente aliena e che cosi le cose sarebbero rimaste fino alla fine dei secoli. La maggior parte di questi autori, inoltre, riteneva che, poiché i giovani diventano adulti a loro volta, questa nuova meravigliosa cultura avrebbe finito per soppiantare l'antica a mano a mano che i padri morivano ed i figli prendevano il loro posto. I piu pessimisti ritenevano in­vece che, invecchiando, i giovani avrebbero perso almeno parte delle grandi idealità giovanili e quindi si sarebbe ri­creato il conflitto fra generazioni. Il conflitto fra generazioni sarebbe cosi diventato una specie di caratteristica struttu­rale del mondo futuro, una condanna biblica che mette i figli contro i padri.

Io credo che non si possa spiegare la grande inerzia degli stereotipi sui giovani se non si tiene conto di questa elabora­zione culturale, del mito, avallato dalle persone piu autore­voli, di una mutazione permanente, della nascita di un uomo nuovo. Poi questo uomo nuovo ha incominciato a drogarsi, a prendere eroina, a fare gli espropri proletari, ha incominciato a diventare violento, ad alimentare le file del terrorismo.

In altri paesi, come in Cina, è stato sconfessato insieme alla «banda dei quattro» o, in Cambogia, è diventato un mas­sacratore sotto la guida di Pol Pot. Allora tutti sono rimasti ad un tempo sconcertati e terrorizzati. perché, se quella era una mutazione permanente, come si sarebbe potuto evitare simili disastri? Le nuove generazioni che si sono affacciate negli anni successivi sono perciò state osservate con il mas­simo di sospetto. Se negli anni Sessanta «giovane» era una pa­rola positiva ed i giovani erano vezzeggiati, ammirati, imitati, dieci anni piu tardi la stessa parola aveva assunto un signifi­cato negativo.

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In realtà quelli degli anni Sessanta erano stati movi­menti, ed altri movimenti si sono succeduti negli anni Set­tanta. Le caratteristiche descritte come specifiche di una cul­tura giovanile erano solo esperienze tipiche di una certa fase del movimento. Oppure il prodotto di un certo tipo di elabo­razione ideologico-organizzativa di un particolare movi­mento . I movimenti per loro natura hanno una durata limi­tata, ad un certo punto scompaiono, scompare l'entusiasmo, e lasciano un certo tipo di deposito o organizzativo o cultu­rale. Alcuni dei mutamenti registrati dagli autori di questa bella ricerca sono il prodotto dei movimenti, una volta scom­parsa la loro componente utopica ed entusiasta. Per esempio l'aumento di interesse per la politica, unito ad una bassa mi­litanza. Oppure la ripresa dell'associazionismo cattolico. La grande istituzione cattolica, infatti, è stata in condizione di «istituzionalizzare» molte componenti di movimento sorte, a suo tempo, per sfidarla. Per fare solo un esempio Comu­nione e Liberazione è, propriamente parlando, un «ordine» sul tipo di quelli medievali (francescani, domenicani, Umi­liati ecc. ) . Sorto dal crogiuolo incandescente dei movimenti del 1967-69, gli aderenti a Comunione e Liberazione hanno introdotto, nel loro progetto, l'accettazione della chiesa, la lealtà al papa e, perciò, si sono istituzionalizzati nell'ambito del grande ordinatore cattolico. L'aumento della laicità, in­vece, è piuttosto la conseguenza della delusione ideologica. Questa è stata vissuta come catastrofe psichica e culturale da coloro che hanno partecipato ai movimenti del 1968. Invece i loro fratelli minori non sono stati coinvolti direttamente, ma ne hanno fatto l'esperienza attraverso i primi.

Un'ultima osservazione riguarda il numero dei parteci­panti ai movimenti. Coloro che sono coinvolti direttamente ed in profondità, che subiscono quella mutazione interiore, quella metanoia tipica dello stato nascente, sono solo sempre una esigua minoranza. Attorno a questo nucleo di fedeli vi sono poi i militanti del movimento, coinvolti a diverso titolo ed in diverso grado. Vi è poi la grande massa esterna di chi segue per moda, perché tutti fanno cosi, per conformismo. E anche considerando tutti costoro, la percentuale sul totale della popolazione, probabilmente, oscilla fra il 5 ed il 15 per

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cento. Anche i grandi movimenti degli anni Sessanta hanno coinvolto solo minoranze di giovani. Questo non è un fatto nuovo. Lo stesso è avvenuto nei grandi movimenti medioe­vali, nella riforma, nella rivoluzione francese, perfino in quella russa. Il grandissimo peso culturale dei movimenti non deriva dal numero dei partecipanti, ma dal fatto che monopo­lizza la comunicazione culturale dell'epoca, che è l'unica voce capace di farsi sentire. La potenza del movimento deriva inol­tre dal fatto che esso costituisce sempre un campo di solida­rietà, ha dei simboli che consentono il riconoscimento reci­proco, che può mobilitarsi contro un nemico. E questo anche quando le divisioni all' interno sono fortissime. I movimenti si costituiscono sempre per aggregazione molecolare, di piccoli gruppi che confluiscono. Ciascuno di questi gruppi è una <<Unità di movimento» con una propria struttura, una propria leadership. Il movimento è perciò sempre eterogeneo. Altre divisioni scoppiano in seguito, fratture, scismi. Negli anni 1968-70 si parlava di gruppuscoli, nel passato di sètte o di ere­sie. Quando il processo di riconoscimento piu ampio scom­pare e il fronte si spezza, le differenze già presenti acquistano maggior rilievo. Col passare del tempo la gente ricorda anche ciò che li divideva e non solo ciò che li univa. Il mondo giova­nile degli anni Sessanta e Settanta, anche il mondo dei giovani coinvolti direttamente nei movimenti, non era, in realtà, cosi omogeneo come l'esperienza del momento, lo sponta­neo riconoscimento del fronte politico faceva sperimentare. Coloro che descrivevano una cultura giovanile omogenea sba­gliavano anche in questo. Prendevano per permanente una so­miglianza parziale e destinata ad essere di breve durata. Tutte queste cm;e, nell'indagine di Cavalli, Cesareo, de Lillo, Ri­colti e Romagnoli, sono ormai scomparse nel passato e non possono piu essere ricostruite. Il mondo dei giovani ci si pre­senta al di fuori di ogni dimensione mitica, al di fuori di ogni stereotipo e di ogni nostalgia. Per questo si ha la netta impres­sione di qualcosa di diverso, di un nuovo inizio. Io personal­mente ritengo che questa ricerca promossa dall'Associazione IARD sia il piu bel contributo sociologico italiano sull'argo­mento, quello che consente di mettere i piedi per terra e di os­servare con rispetto la realtà giovanile del nostro tempo.

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CAPITOLO PRIMO

CHI SONO I GIOVANI INTERVISTATI

Sono quasi nove milioni, cioè poco piu di un sesto del­l'intera popolaziop.e italiana, i giovani in età compresa fra i 15 ed i 24 anni. E, dunque, a questa fascia di popolazione, nata nell'arco degli undici anni che vanno dal 1958 al 1968, che si è rivolta l'indagine qui presentata, con lo scopo di co­noscerne caratteristiche, comportamenti, opinioni ed atteg­giamenti. La rilevazione, fatta tramite interviste dirette con questionario strutturato, è stata condotta nell'autunno del 1983 su un campione di 4.000 soggetti, estratti in modo da garantire la rappresentatività statistica dell'universo di rife­rimento 1•

I capitoli che seguono sono dedicati a tracciare un qua­dro generale dei risultati emersi dall'indagine, suddivisi se­condo le principali aree esplorate dal questionario. In queste pagine daremo, invece, alcune sommarie indicazioni sulle ca­ratteristiche di fondo degli intervistati e sui criteri con cui è stata condotta l'analisi.

Tra i criteri seguiti nella costruzione del campione è stata data particolare rilevanza a quello geografico-territoriale . La suddivisione degli intervistati secondo la zona geografica e l'ampiezza del comune di residenza, esposta nella tabella 1 . 1 , rispecchia, perciò, l'effettiva distribuzione della popola­zione complessiva. Ci sembra opportuno rilevare, ai fini di una corretta lettura dei dati della ricerca, il fatto che quasi i due terzi dei giovani nel nostro Paese vivano in comuni con meno di 50.000 abitanti e poco piu di un terzo risieda in co­muni decisamente piccoli, vale a dire con popolazione infe­riore ai 10 .000 abitanti. Se si tiene conto, poi, del fatto che

l Le procedure di campionamento e le tecniche di intervista sono descritte in dettaglio nell'appendice prima. L'appendice seconda fornisce, inoltre, le distribu­zioni di frequenza di tutte le domande del questionario.

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solo un terzo degli intervistati risiede in comuni capoluoghi di provincia, se ne deduce come sia solo una minoranza della popolazione giovanile a vivere la realtà dei grandi agglome­rati urbani, con innegabili riflessi su opinioni, comporta­menti, valori e stili di vita.

TAB. 1 .1. Suddivisione degli interoistati secondo la zona geografica e l'ampiezza del comune di residenza

Nord Nord Centro Sud e Totale Ovest Est Isole

Vivono in comuni con: Meno di 10.000 abitanti 39,2 49,1 28,5 33 ,7 36,1 10.000-50.000 abitanti 26,8 18,4 30,5 28,7 27,3 50.001-250.000 abitanti 14,0 19,2 30,7 17,4 18,9 Oltre 250.000 abitanti 20,0 13,3 10,3 20,2 17,7

N = 1 . 0 15 469 650 1.866 4.000

La suddivisione in zone geografiche, esposta nella tabella 1 . 1 e adottata anche per tutte le altre analisi presentate nel corso del volume, ha un certo grado di arbitrarietà, inevita­bile in ogni raggruppamento di regioni che si basi sulla latitu­dine e la longitudine. Abbiamo preferito in questa sede, alla tradizionale suddivisione in grandi ripartizioni geografiche, usata nella maggior parte delle indagini nazionali, un criterio leggermente diverso, che tenesse conto, anche sulla scorta di recenti studi, di una certa omogeneità culturale, socio-eco­nomica e produttiva. Ulteriori elaborazioni potrebbero sug­gerire una diversa e migliore riaggregazione.

Il Nord Ovest, quindi, è costituito dalle regioni del «triangolo industriale» (Piemonte, Liguria e Lombardia); il Nord Est corrisponde al Triveneto (Trentina-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia) ; il Centro raggruppa Emi-

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Ha-Romagna, Toscana, Marche e Umbria; tutte le altre re­gioni, infine, sono state riunite sotto l'etichetta del Sud e Isole.

Un secondo elemento di carattere generale che serve a definire, sia pure a grandi linee, il campione da noi intervi­stato, si riferisce alla condizione professionale (si vedano le tabelle 1.2 e 1 .3 ) . È certo un fenomeno degno di rilievo il fatto che un quarto dell'intero campione non lavori né studi e che questa proporzione sia maggiore al Sud che al Nord, piu elevata tra le ragazze che tra i ragazzi. Troviamo qui il

TAB. 1 .2 . Condizione professionale secondo la zona geografica

Nord Nord Centro Sud e Totale Oves t Es t Isole

Studiano e non lavorano 41,0 32,6 39,7 38·,1 38,4 Lavorano e non studiano 34,8 41 ,8 35,2 26,6 31,9 Studiano e lavorano 5 , 5 3 , 0 3 , 4 4,3 4,3 Non studiano e non lavorano 18,7 22,6 2 1 , 7 3 1 , 0 25,4

N = 1.015 469 650 1 . 866 4.000

TAB. 1 . 3 . Condizione professionale secondo i l sesso e l 'età

15- 1 7 anni 18-20 anni 2 1-24 anni Maschi Femmine in in

M F M F M F totale totale

Studiano e non lavorano 67,9 64,5 36,1 33,4 19,5 14, 7 40,3 36,4 Lavorano e non studiano 19,4 9,8 34,7 27,0 5 7,9 36,9 38,3 25,2 S tudiano e lavorano 2,9 1 ,6 6 ,1 4,4 5,6 5 ,2 4,9 3,8 Non studiano e non lavorano 9,8 24,1 23,1 35,2 17,0 43,2 16,5 34,6

N = 662 632 624 596 754 732 2 .040 1.960

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primo di una serie di elementi di differenziazione, sia tra le aree geografiche sia, soprattutto, tra i sessi, che verranno piu ampiamente trattati nei prossimi capitoli. Vale qui solo la pena di richiamare come questo dato, per cosf dire, strut­turale, sia solo uno dei fattori che rendono estremamente complessa e diversificata la condizione giovanile in Italia ed impediscono di parlare dei «giovani» come di un tutto unico ed indifferenziato.

Le analisi delle risposte date dagli intervistati, oltre che rispetto alle variabili tradizionali, quali il sesso, l 'età o la zona di residenza, sono state condotte anche con riferimento a tre ulteriori indicatori, costruiti ad hoc e tendenti a dare delle informazioni sintetiche sulle caratteristiche della fami­glia di appartenenza dell'intervistato e sui suoi rapporti con essa.

L'indice di status socio-economico, suddiviso in cinque li­velli (si veda la tabella 1 .4) , tende a fornire un'indicazione, sia pure approssimata, della condizione sociale del giovane . Esso nasce dalla combinazione della professione del padre e del suo titolo di studio, considerati come caratteristiche so­ciali ed economiche della famiglia di appartenenza.

TAB. 1.4. Indice di status socio-economico per zona geografica

Nord Nord Centro Sud e Totale Ovest Est Isole

Basso 5,5 3,5 9,4 19,4 12,2 Medio-basso 33,9 39,7 37,6 28,9 33,0 Medio 23,4 24,8 26,3 18,4 21,8 Medio-alto 13,1 14,7 11,3 15,0 13,8 Alto 24, 1 1 7 ,3 15,4 18,3 19,1

N = 883 423 593 1.578 3 . 477

Il secondo indice tende invece a cogliere il livello cultu­rale della famiglia (si veda la tabella 1.5) , nascendo dalla con­siderazione congiunta del titolo di studio del padre e della madre ed è, quindi, in qualche misura, collegata al capitale culturale che il giovane ha ricevuto in famiglia.

1 8

Page 21: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 1 .5 . Livello culturale della famiglia per zona geografica

Nord Nord Centro Sud e Totale Ovest Est Isole

Basso 10,0 8,3 18,5 32,7 21 ,7 Medio-basso 4 1 ,2 .43,9 44,0 29,8 36,7 Medio-alto 28,0 34,1 26,1 22,7 26,0 Alto 20,8 13,7 1 1 ,� 14,8 15,6

N= 992 460 632 1.802 3.886

Infine si è cercato di sintetizzare i rapporti tra l' intervi­stato e la sua famiglia costruendo un indice di autonomia (si veda la tabella 1.6) che si fonda sulle disponibilità monetarie di cui l'intervistato può far uso per le proprie spese personali e sulla libertà che gli è concessa dai genitori in merito alle uscite serali e, in genere, al suo impiego del tempo.

TAB. 1 .6 . Indice di autonomia secondo il sesso e l'età

15-17 anni 18-20 anni 2 1 -24 anni Maschi Femmine in In

M F M F M F totale totale

Bassa 38,9 6 1 ,8 1 7,6 44,7 8,5 30,4 21,8 47,0 Media 38,0 33,3 49,4 47,4 60,8 62,5 49,4 46,5 Alta 23 , 1 4,9 33.0 7,8 30,7 7 , 1 28,8 6,5

N= 661 631 585 561 660 483 1.906 1 .675

1 9

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CAPITOLO SECONDO

PERCORSI ED ESPERIENZE NELLA SCUOLA

l . La fruizione giovanile del sistema scolastico

Un primo dato conoscitivo della fruizione del servizio scolastico da parte dei giovani, d'età compresa tra i 15 e i 24 anni, è quello che consente di stabilire quanti di costoro sono dentro al sistema scolastico-universitario e quanti sono fuori da quest'ultimo.

I risultati della ricerca mostrano che meno della metà frequenta un qualche tipo di scuola o università (42 ,8%), mentre gli altri (57,2%) hanno già lasciato gli studi. Piu pre­cisamente, la condizione dei giovani, sotto il profilo dei per­corsi formativi istituzionali, appare la segyente:

Usciti dal sistema scolastico-universitario (percentuali) - inadempienti - in possesso di licenza media - in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore

o di formazione professionale -laureati Inseriti nel sistema scolastico-universitario (percentuali) - iscritti alla scuola media - iscritti a scuole secondarie superiori o a corsi di forma-

zione professionale - iscritti all'università

57,2 8,7

28,2

20,7 0,6

42,8 0,8

29,1 12,9

C'è comunque ragione di prevedere che coloro i quali riusciranno a portare a termine gli studi (obbligo, post-ob­bligo, università), saranno indubbiamente piu numerosi di quelli per ora individuati, soprattutto per quanto riguarda i diplomati e i laureati. Dalle stime effettuate, considerando stabili gli andamenti, risulta un tasso di abbandono nella scuola superiore dell' 1 1 ,8 % .

Tenendo inoltre conto che il tàsso di iscrizione all'uni­versità è del 40% , la condizione terminale all'uscita defini-

21

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tiva dal sistema scolastico dovrebbe risultare la seguente 1:

inadempienti licenza media diplomati iscritti all'università e laureati

7,9% 32,4% 27,8% 31,9%

Ulteriori elementi conoscitivi, in termini dinamici, emer­gono dal confronto tra le tre fasce d'età considerate (15-17, 18-20, 21 -24) e i livelli di scolarità. In particolare, si rileva che: a) tende a ridursi nettamente, per arrivare quasi ad an­nullarsi, la percentuale di coloro che escono dal sistema sco­lastico privi di titolo di studi; b) tende però a rimanere sta­bile la percentuale di coloro che possiedono solo la licenza elementare anche se, tra i piu giovani, si registra una certa tendenza a riprendere gli studi, iscrivendosi alla scuola me­dia; c) tende a diminuire nel tempo il numero dei giovani che smette di studiare dopo aver conseguito la licenza di scuola media; d) tenàe a ridursi nel tempo anche il numero dei di­plomati che terminano di studiare una volta entrati in pos­sesso di un titolo di scuola secondaria superiore.

L' insieme di queste prime elaborazioni consente quindi di cogliere già alcuni tratti distintivi della fruizione scola­stica, estendibili alla intera popolazione italiana dai 15 ai 24 anm:

a) resta consistente il fenomeno degli inadempienti, di coloro cioè che hanno abbandonato la scuola prima di conse­guire la licenza media, anche se è corretto supporre un suo ridimensionamento dovuto· soprattutto al rientro di alcuni giovani nel sistema scolastico per conseguire almeno il titolo mmtmo;

b) cresce la propensione a continuare negli studi post-ob­bligatori, confermando una tendenza emersa anche da altre indagini. Siamo quindi in presenza di un quadro complessivo alquanto dinamico e ancora lontano dal potersi considerare ormai stabilizzato.

l Non si è cercato di stimare il numero dei presumibili abbandoni universitari del campione perché i dati disponibili sono poco generalizzabili.

22

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Con questa avvertenza si può pertanto leggere la tabella 2.1 che riproduce i tassi di scolarizzazione post-obbligatoria a seconda delle fasce di età. Questi tassi vanno ovviamente riducendosi, passando dal 73,7% dei giovani di 15 anni al 16, l% di quelli di 24 anni.

T AB. 2 .l. Tassi di scolarizzazione per età

Età N = % di iscritti % di iscri tti Tasso di alla scuola all'università scolarizza-secondaria zione % superiore

15 434 73,7 73,7 16 442 68,3 68,3 17 418 62,4 62,4 18 404 43,1 8,9 52,0 19 402 19,9 21,6 41,5 20 414 6,7 21,6 27,8 21 380 4,4 24,5 28,9 22 370 1,3 22,1 23,4 23 368 0,8 20,4 21,2 24 368 0,9 15,2 16, l Totale N = 4.000

2. La dispersione scolastica

Il quadro finora esposto richiede però di essere comple­tato con le dinamiche della dispersione scolastica che consente di precisare:

- attraverso quali percorsi i titoli di studio sono stati conseguiti;

- quali percorsi sono stati interrotti. Dai dati della tabella 2.2 si ricava che circa 2 giovani su

10 (il 18,8%) hanno interrotto un ciclo di studi prima di conseguire il titolo di studio relativo. Le interruzioni scola­stiche colpiscono piu i maschi delle femmine, piu le classi so­ciali svantaggiate e il meridione. Il fenomeno delle ripe­tenze (ancora tabella 2.2) ha la stessa direzione in forma an­cor piu accentuata: si noti, infatti, la forte differenza di re-

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Page 26: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

golarità per i maschi e per le femmine, che aumenta ancora se si entra nel dettaglio del numero di anni perduti. Le pluri­ripetenze sono presenti nel 12,8% del campione maschile e nel5,2% del campione femminile. Elevato è anche lo squili­brio tra le classi sociali: le pluriripetenze sono il 5, 9% nella classe superiore, per passare al 7,2% nella classe media e al 12,6% nella classe inferiore. È confermata anche l' incidenza delle ripetenze nel determinare il fenomeno delle interru­zioni, sebbene quest'ultimo non sempre dipenda dalle prime, come è dimostrato dalla notevole percentuale (47 ,4%) di coloro che hanno abbandonato le elementari senza aver mai ripetuto. L 'incidenza delle bocciature alle elementari è di 2 ,3 per 100 ragazzi, mentre nella scuola me­dia sale a 12 ,3 . L'indice di produttività per la scuola dell'ob­bligo è complessivamente di 1 ,06 (per l'esattezza, per com­pletare gli anni dell'obbligo il campione ha impiegato il

5,6% di tempo in piu del necessario).

TAB. 2.2. Interruzioni e ripeten:z:e · Dati generali

Interruzioni

Maschi Femmine Per età

15-17 18·20 21-24

Per classe social e superiore media inferiore

Per zona geografica Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud-Isole

Per s cuola frequentata secondaria università

24

%

19,6 17,8

12,8 19,2 23,4

13,6 16,2 23,4

14,0 18,4 18,5 21,4

10,9 5,4

Ripetenze

%

41,3 27,6

30,2 36,0 37,2

22,7 31,3 42,4

31,9 32,9 30,6 37,7

33,0 13,6

Page 27: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

Interruzioni e ripetenze si riflettono sugli abbandoni. Definiamo «abbandono» l'uscita definitiva dal sistema for­mativo-istituzionale : per determinare gli abbandoni dob­biamo pertanto sottrarre dalle interruzioni coloro che sono attualmente iscritti ad una scuola o hanno conseguito, suc­cessivamente all'interruzione, un altro diploma. Nella scuola dell'obbligo abbiamo, a fronte di 3 1 8 inadempienti (di cui 20 non hanno neppure il titolo di V elementare), solo 196 inter­ruzioni, di cui 177 durante le medie. Ciò significa che, su tutto il campione, 122 giovani, pari al 3 % 2, non sono pas­sati dalle elementari alle medie, mentre il Censis dà, per il periodo 1974- 1980, la stima media, nettamente inferiore, dell' l ,4% 3• Gli inadempienti sono diffusi sostanzialmente nella classe inferiore, e il loro peso è al Sud quasi tre volte maggiore che nelle altre regioni. La percentuale degli ina­dempienti è superiore nella fascia di età 2 1-24 (10,4%), scende al 6,3 % per poi risalire nella fascia dei piu giovani. Questo parrebbe confermare la teoria del <<nuovo rigore» nella scuola dell'obbligo: il dato delle ripetenze nelle medie ha infatti lo stesso andamento . In sintesi, su 4. 000 giovani intervistati si ha il quadro seguente : 20 (0,5%) hanno ab­bandonato durante le elementari; 122 (3 , 1 %) hanno abban­donato al termine della V elementare; 177 (4,4%) hanno ab­bandonato durante le medie . Il calcolo degli abbandoni nella scuola secondaria superiore risulta piu complesso, sia per una maggiore difficoltà nella determinazione dei passaggi oriz­zontali, sia per l'inserimento nel nostro campione della for­mazione professionale fra gli indirizzi dell'istruzione secon­daria. Si è comunque riusciti a stabilire che i giovani che hanno abbandonato gli studi post-obbligatori sono pari all' 1 1 ,8% di tutti coloro che frequentano e hanno frequen­tato una scuola secondaria 4• Dall'analisi del fenomeno delle

2 Valore medio nell'arco di un decennio approssimativamente tra il 1973 e il 1982.

3 Censis, XIV Rapporto sulla situazione sociale del paese, Roma, 1980, p: 154. 4 Per individuare gli abbandoni si è proceduto nel modo seguente: dalle 494

interruzioni sono stati sottratti i 122 iscritti ad una scuola e i 75 diplomati: in base a tale calcolo risultano 297 abbandoni e 197 passaggi ad altre scuole.

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Page 28: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

interruzioni appare che esse sono piu diffuse tra i maschi che tra le femmine, colpiscono in modo abbastanza analogo le di­verse classi sociali e zone geografiche, con un limitato van­taggio della classe superiore e del Nord-Ovest. Quanto agli abbandoni, che rappresentano circa il 60% delle interru­zioni, possiamo ragionevolmente supporre che ne rispec­chino gli andamenti. La fondatezza della nostra supposi­zione è appoggiata dal fatto che questi esiti concordano con quelli di altre ricerche disponibili, e cioè che:

- il rapporto fra selezione e classe sociale si attenua al limite fino a sparire nella scuola secondaria, perché i ragazzi sono già stati selezionati e quelli che arrivano alla secondaria da classi subalterne sono in genere sufficientemente attrez­zati per poter proseguire;

- lo stesso rilievo vale per le femmine, che hanno mi­nori probabilità dei maschi di proseguire, ma se proseguono hanno un rendimento migliore.

Quanto ai passaggi orizzontali, cioè al reinserimento suc­cessivo ad un'interruzione, il discorso ci porterebbe troppo lontano, ma i dati disponibili mostrano che, fra i diplomati, la maggioranza delle interruzioni ha avuto come seguito il conseguimento di un attestato professionale e di un diploma di ciclo breve (61,6%), rafforzando l'ipotesi del progressivo abbassamento dell'indirizzo scelto . I giovani che hanno in­terrotto l'università sono solo 58, di cui 22 hanno cambiato facoltà: la dispersione reale è quindi di 36 persone, pari al 6, 7% di tutti coloro che hanno frequentato o stanno fre­quentando corsi di laurea. Si tratta però di una percentuale troppo bassa per ritenerla stabile nel tempo e c'è ragione di supporre che essa sia destinata ad aumentare, dal momento che oltre la metà del campione è composta da studenti iscritti al primo o al secondo anno di corso .

3 . La diversità d(dla fruizione scolastica dei giovani

Già si è notato come la fruizione scolastica vari con l'età, nel senso che la prima diminuisce col crescere di quest'ul­tima. Si tratta ora di meglio specificare questa diversità fa-

26

Page 29: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

cendo ricorso a quattro variabili che possono essere ormai considerate «classiche» negli studi sulla scolarizzazione: sesso, classe sociale, zona geografica, titolo di studio dei ge­nitori; per ciascuna di queste variabili è possibile avanzare delle ipotesi di lavoro sulla scorta di indagini precedente­mente condotte, ma spesso riferite a campioni alquanto limi­tati e quindi poco rappresentativi.

- Per quanto riguarda il sesso, si può ipotizzare che i tassi di scolarizzazione dei maschi siano superiori a quelli delle femmine.

- Per quanto riguarda la classe sociale, si può ipotizzare che i giovani appartenenti alle classi medio-superiori presen­tino dei percorsi scolastici piu lunghi e piu prestigiosi ri­spetto ai giovani di classe sociale inferiore.

- Per quanto riguarda le zone geografiche, si può ipotiz­zare che il fenomeno delle inadempienze sia piu rilevante nel Meridione rispetto al Settentrione.

- Per quanto riguarda il livello di scolarizzazione dei ge­nitori, si può ipotizzare una piu elevata scolarizzazione dei figli rispetto a quella dei genitori.

Alcune elaborazioni dei risultati della ricerca, riportate nelle tabelle 2 .3 e 2.4, consentono agevolmente di procedere alla verifica delle prime tre ipotesi elencate.

a) La prima ipotesi, relativa al confronto tra percorsi scolastici dei maschi e delle femmine, risulta solo in parte ve­rificata. Infatti i maschi, rispetto alle femmine, presentano un minor numero di inadempienti e, quindi, un maggior nu­mero di licenziati, nonché un maggior numero di iscrizioni alle scuole secondarie e all 'università. Questo insieme di dati consente pertanto di confermare una piu lunga scolarizza­zione dei maschi rispetto alle femmine (tabella 2 . 3). Se però soffermiamo l'attenzione su coloro che conseguono un di­ploma o una laurea, si nota una prevalenza delle femmine. Esse presentano tuttora· maggiori difficoltà iniziali, testimo­niate dalla piu elevata inadempienza, ma una volta entrate nella formazione post-obbligatoria, procedono in quest'ul­tima con maggior speditezza e regolarità dei maschi, sino a costituire proporzionalmente oltre il doppio dei pochi sog-

27

Page 30: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB.

2.3

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Page 31: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 2.4 . Titoli di studio post-obbligo

Per sesso Per classi Per zone geo-sociali grafiche

M F Supe- Media Infe- Nord Nord Cen- Sud e riore rio re Ovest Est tro Isole

Attestato professionale 10,1 10,0 2,3 8,8 19,3 1 1 ,7 13 ,3 10,5 7,8 Qualifiche professionali 1 1 ,3 12,7 3,5 10,9 2 1 , 1 1 1 ,4 17 ,6 19,4 7,8 Scuola magistrale 0,4 9,8 2 ,3 5,8 6 ,1 4 , 1 6, 1 6,8 5, 1 Maturità professionale 4,0 5 , 1 2 ,7 4,6 5,8 4,8 3,0 5,9 4,2 Istituto magistrale 0,1 12,8 5,0 6,9 7,0 4 , 1 7,3 4,2 9,2 !ti 17,8 1,7 5,0 10,3 1 1,9 10,2 9,7 8,9 9,5 ltc 14,3 17 ,5 8,5 19,3 14,1 19,5 19,4 13J 1 3 ,6 ltg 7,9 0,9 3 , 1 5,4 2,4 4 , 1 1,8 3 ,4 5,7 Altri lti 3,7 1 ,7 0,8 2,7 4,3 2,3 0,6 5,9 2,3 Lingue 0,1 3 ,5 3,5 1,8 0,6 3 , 3 1 ,2 0,4 1,6 Classico 9,9 10, 1 29,0 7,1 1,8 9 , 1 4,8 5,1 14, 1 Scientifico 18,7 10,5 29,0 13,8 4,9 13,2 9,7 13 , 1 17,5 Artistico 0,7 1 ,6 1,9 1 ,2 0,6 1,0 3,0 0,8 1 , 1 Laurea 1,0 2,0 3 ,1 1 ,3 0,9 1,5 1,8 3,4 0,7

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

N = 670 693 259 777 327 394 165 237 566

% 32,8 35,3 19,0 56,0 24,0 30,0 12,0 18,0 40,0 Iscritti alla scuola secondaria superiore 29,9 28,3 39,3 35,0 18,4 3 1 ,8 25,9 32,5 27,3

Totale 62,7 63,6 90,3 75,2 39,3 70,2 61,3 68,8 57,8

Usciti senza titolo di scuola secondaria superiore 37,3 36,4 9,7 24,8 60,7 29,8 38,7 3 1 ,2 42,2

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

N = 2.040 1 .960 507 1 .931 1 .562 1 .015 468 650 1 .866

getti che risultano essersi laureati entro i 24 anni di età. Oc-corre pertanto ridimensionare la tesi di una maggior scolariz-zazione dei maschi: ciò in parte è ancora vero, ma probabil-

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Page 32: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

mente per non molto tempo ancora. Infatti, i dati appena commentati e i flussi di immissione nella scuola post-obbliga­toria e nella stessa università di questi ultimi anni dimostrano l'esistenza di una crescita della componente femminile : a quest'ultima, in effetti, è in larga misura dovuta la tenuta e in parte l 'aumento della popolazione scolastica del post-obbligo, in particolare di quella universitaria. Se questi andamenti do­vessero consolidarsi, nell'arco di un decennio i livelli di scola­rizzazione delle femmine non dovrebbero quindi differire si­gnificativamente da quelli dei maschi.

Le differenze permangono invece ancora rileyanti se si fa riferimento al tipo di scuola post-obbligatoria. E sufficiente esaminare il titolo di studio conseguito da parte di coloro che hanno terminato una scuola post-obbligatoria per cogliere nettamente questa distinzione che, a sua volta, riflette la persistenza di tradizionali divisioni del lavoro tra uomini e donne (tabella 2 .4 ) : i diplomi di scuola e di istituto magi­strale e linguistico sono nella quasi totalità posseduti da fem­mine, mentre i diplomi di istituto tecnico-industriale sono nella quasi totalità dei maschi.

Da una parte, insomma, l'accesso all'istruzione delle femmine cresce in proporzioni tali da tendere in prospettiva a non discostarsi molto da quello dei maschi, mentre per­mane la distinzione tra itinerari formativi tipicamente ma­schili, tipicamente femminili e sostanzialmente indifferen­ziati in base al sesso, come il liceo classico e l'istituto tecnico commerciale.

b) La seconda ipotesi, relativa alla incidenza della classe sociale, trova ancora pienamente conferma con riferimento sia alla fruizione (tabella 2 . 3) , sia al tipo di percorso forma­tivo post-obbligatorio portato a termine (tabella 2 .4) . Si os­serva innanzitutto che il maggior numero degli inadempienti è costituito da giovani di classe inferiore ( 17 ,4% rispetto all ' 1 ,6% delle classi superiori) , mentre quello degli iscritti all'università è formato da appartenenti alla classe superiore (3 5,9% contro il 14,0% di classe media e il 3 ,9% di classe inferiore) . In secondo luogo, peraltro in coerenza con quanto appena rilevato, i giovani di classe inferiore tendono a termi-

30

Page 33: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

nare i propri studi al conseguimento della licenza di terza media, anche se è in aumento il. numero di coloro che prose­guono. Risulta pertanto verificata l' ipotesi di percorsi scola­stici mediamente piu lunghi da parte dei giovani di classe media e soprattutto superiore (tabella 2.3) . E possibile anche precisare, in merito al tipo dei percorsi scolastici post-obbli­gatori, che i giovani di class.e inferiore, sempre rispetto a quelli di classe media e soprattutto superiore, conseguono ­in proporzione decisamente superiore � titoli di studio quali gli attestati professionali (corsi di 2 anni) e le qualifica­zioni professionali (corsi di 3 anni) . A loro volta, i giovani di classe superiore sono tra i piu numerosi a possedere un di­ploma di liceo classico e scientifico . L'analisi complessiva dei titoli di studio post-obbligatori consente pertanto di indivi­duare la seguente tipologia riferita alla classe sociale:

i) scuole prevalentemente frequentate da giovani di classe inferiore: soprattutto centri di formazione professio­nale;

ii) scuole prevalentemente frequentate da giovani di classe superiore: soprattutto i licei;

iii) scuole miste, frequentate cioè da appartenenti a tutte le classi sociali: istituti magistrali, istituti tecnici indu­striali, istituti tecnici commerciali, istituti tecnici per geome­tri.

c) La terza ipotesi, relativa alle zone geografiche, trova anch'essa conferma, ma i risultati ottenuti consentono di mettere in evidenza una situazione alquanto articolata. Nel Sud e nelle Isole le inadempienze toccano il 14,0% contro il 3-4% delle altre zone, e i diplomati sono solo il 15%; per contro gli studenti universitari sono molto numerosi e il pro­seguimento dopo la secondaria è pari al 47,0% contro un va­lore medio del 40% , fenomeno tipico di un'economia sta­gnante. La situazione del Nord-Est è particolare : bassissima l'inadempienza, si ha la percentuale piu forte sia di arresto dopo la III media (34,6%), sia di persone in possesso di atte­stato o qualifica professionale (30,9%). Quest'ultimo dato è ridimensionato nelle iscrizioni attuali, dando l'immagine di un'economia in cui è stato possibile, a lungo, un inserimento

3 1

Page 34: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

nel lavoro con una qualificazione media, che ora risulta meno facile.

·

Siamo pertanto in presenza di una realtà territoriale al­quanto composita, dove gli stessi andamenti della scolarizza­zione non consentono dei confronti netti, ad esempio, tra il Nord e il Sud, come forse poteva avvenire un tempo: anche sotto il particolare profilo della scolarità, insomma, il conte­sto italiano si va articolando per effetto di fattori culturali ed economici differenti, che, spesso cumulandosi fra loro, danno luogo a comportamenti diversi, con l'inclusione di quelli relativi alla stessa istruzione, soprattutto a quella ob­bligatoria.

d) La quarta ed ultima ipotesi considerata in questa sede, relativa al confronto generazionale dei livelli di scolariz­zazione figli-genitori, è puntualmente verificata anche dai ri­sultati di questa ricerca. È sufficiente limitarsi a pochi dati per cogliere la rilevanza del profondo cambiamento tra gene­razioni contigue che si sta attuando nel campo dell'istru­zione . Facendo riferimento all'intero campione considerato, risulta infatti che hanno almeno un figlio diplomato:

- il 15,2% dei padri che non possiedono alcun titolo di studio;

- il 3 1 , 7% dei padri che hanno conseguito la licenza elementare;

- il 39,3% dei padri che hanno conseguito la licenza media o terminato l'avviamento;

- il 45 ,4% dei padri che hanno conseguito un diploma; - il 63,6% dei padri che sono in possesso di una laurea. Questo unico indicatore (figlio diplomato) mostra come

in numerose famiglie 5 si sia verificato un vero e proprio salto tra il livello di istruzione dei genitori e quello dei figli, con tutti i problemi di comunicazione intergenerazionale che tale salto, almeno inizialmente, può comportare.

5 Il confronto tra la scolarizzazione del figlio e quella della madre mette in evidenza una distanza ancora piu rilevante.

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4. La transizione dalla scuola a/ lavoro

Nell'esaminare la fruizione scolastica l'attenzione è stata finora essenzialmente rivolta alla condizione di studente dei giovani, i quali però presentano almeno altre tre condizioni significative: quella di lavoratore, di lavoratore studente (o di studente lavoratore) e di chi non studia e non lavora.

TAB. 2.5. Condizione scolllstica e professionale per età

Età Studia Lavora Non studia Lavora e N. né lavora ·studia

15 72,1 10,4 15,9 1,6 434 16 66,7 15,1 16,2 2,0 443 17 59,6 19,1 18,2 3,1 418 18 48,5 30,2 18,1 3,5 405 19 33,6 24,4 34,6 7,5 402 20 22,7 38,0 34,5 5,0 415 21 22,4 42,1 29,0 6,6 380 22 18,1 46,7 30,0 5,1 370 23 15,5 48,3 30,1 6,0 368 24 12,5 53,5 30,1 3,8 368

Media 38,3 32,0 25,4 4,3

N = 1.536 1 .276 1.016 172 4.000

Procediamo pertanto ad un rapido confronto tra queste diverse condizioni al solo scopo di meglio cogliere la colloca­zione della prima rispetto alle altre tre (tabella 2 .5) . Innanzi­tutto si rileva come, col passare dell'età, diminuisce gradual­mente sino a 18 anni, e piu marcatamente dopo, la condi­zione di studente, mentre cresce la condizione di lavoratore 6 • La condizione di chi, volontariamente o invo­lontariamente, non studia e non lavora, cresce lentamente sino ai 18 anni, presenta un brusco innalzamento tra i gio­vani di 19 e 20 anni, per poi assestarsi sul 30% . Ancora dif-

6 Fanno eccezione i diciannovenni: potremmo s piegare questo fenomeno in termini di tempi di attesa del primo lavoro per i di plomati, la quota elevata di lavoratori-studenti, e, forse per i maschi, con il servizio militare.

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ferente è l'andamento di coloro che lavorano e studiano con­temporaneamente: pochi fino a 18 anni, raggiungono il mas­simo della loro consistenza a 19 anni (7 ,5%) per poi mante­nersi alquanto stabili sino ai 23 anni, mentre dopo tale età si registra una brusca diminuzione. Quattro condizioni diverse quindi, cui corrispondono, in base all'età dei giovani, quat­tro andamenti diversi, in larga misura tra loro interdipen­denti. Ma, a completare questo quadro, occorre aggiungere anche una ulteriore specificazione che riguarda chi studia: circa uno studente su quattro, pur mantenendo il proprio status distintivo e prioritario di studente, fa delle esperienze di lavoro, per lo piu brevi (per circa un terzo da l a 2 mesi) e a volte ripetute.

La condizione di chi lavora e studia contemporanea­mente, come si è fatto notare, non è elevata, prevale tra i maschi (4,9% , mentre è il 3,8% per le femmine) , ma è e ri­mane sociologicamente rilevante proprio per il sovrapporsi di due ruoli che, di volta in volta, dà vita alla figura del lavo­ratore-studente o dello studente-lavoratore a seconda della priorità che il singolo giovane assegna, perché lo desidera o perché è costretto, all'uno o all'altro dei due ruoli. Anche sulla scorta dei risultati di altre ricerche, il sovrapporsi di questi due ruoli avviene per cause molteplici, sempre piu spesso compresenti, riconducibili a ragioni economiche, a esi­genze di emancipazione dalla famiglia di origine, al desiderio di vivere una vita piu ricca e articolata, contrassegnata cioè da una varietà di esperienze differenti e contemporanee.

Quanto al raccordo diretto fra tipo di formazione e occu­pazione, l'analisi dei diplomati e qualificati mostra che essi sono occupati in ragione del 3 7,2% e iscritti all'università per il 34,7 % . Inoltre, se confrontiamo i valori relativi ai di­versi indirizzi, rileviamo che coloro che escono dai centri di formazione professionale, dagli istituti tecnici industriali e commerciali, dai licei artistici, dagli istituti professionali di stato, si collocano sopra la media e quindi dovrebbero tro­vare piu facilmente lavoro rispetto a coloro che escono dalle altre scuole, in particolare dai licei, tradizionalmente finaliz­zati agli studi universitari. In ogni modo il quadro che emerge va considerato con una certa prudenza poiché non

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tiene conto dei tempi di attesa sul mercato del lavoro: appare però evidente che i titoli di studio post-obbligatori marcata­mente piu professionalizzanti danno luogo almeno ad una maggiore probabilità di inserimento occupazionale dei gio­vam.

5. La valutazione dell'esperienza scolastica

Tutti i giovani del nostro campione possiedono un'espe­rienza di vita scolastica: per alcuni è stata breve, per altri è stata lunga; per alcuni si è tradotta nel conseguimento di lu­singhiere certificazioni scolastiche, per altri si è ridotta ad una serie di insuccessi frustranti; per alcuni ha dato luogo alla realizzazione di buoni rapporti interpersonali, per altri è consistita in un progressivo isolamento; per alcuni si è esau-rita, per altri dura tuttora. .

I diversi tempi di permanenza nel sistema formativo isti­tuzionale, i diversi percorsi scolastici seguiti, i diversi esiti raggiunti, i diversi rapporti instaurati, l'essere ancora dentro al sistema (studente) o fuori (nel mercato del lavoro) , oppure in parte dentro e in parte fuori (studente-lavoratore) sono i principali fattori che concorrono ad alimentare, ma anche a differenziare, il vissuto dell'esperienza scolastica dei singoli giovani, e quindi a costruire l'immagine che, di quest'ultima, costoro possiedono. L'esistenza di una presumibile elevata varietà di vissuti scolastici non impedisce, d'altra parte, di cogliere alcune valutazioni dell'esperienza formativa che sono condivise largamente da molti giovani e che, a loro volta, consentono· di venire a conoscenza di alcuni orienta­menti di fondo propri di questa generazione nei confronti della scuola. Ciò premesso, cominciamo col notare che gli studenti costituiscono la categoria mediamente piu soddi­sfatta (8 1 %, di cui 18,8% molto soddisfatti) seguita da quella dei giovani che lavorano (78, 1%) , da chi studia e la­vora (76,2%) e da coloro che non lavorano né studiano (55 ,7%) . È pur vero che questo dato si riferisce ad un giudi­zio sulla vita nel suo complesso, ma il fatto che gli studenti risultino relativamente piu soddisfatti sta comunque a signi-

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ficare che lo status di studente sembra consentire, se non proprio determinare, il prevalere di questa valutazione.

Questo risultato, di per sé rilevante, trova conferma an­cora piu esplicita e diretta da una ricerca promossa dalla Commissione delle Comunità Europee, da cui emerge che 1'81% dei giovani europei ritiene che i propri studi corri­spondono alle proprie aspirazioni 7 • Questa elevata corri­spondenza si registra in tutti i Paesi della Comunità e mette pertanto in risalto l'esistenza di un alto tasso di soddisfa­zione generica che però, come emerge da altre indagini an­ch' esse internazionali, non è disgiunta da puntuali critiche e riserve nei confronti della stessa vita scolastica 8 •

Ritornando alla nostra ricerca, è opportuno allora appro­fondire la natura di questa soddisfazione, o meglio indivi­duare quali sono gli elementi che concorrono a determinarla.

Le risposte ad una precisa domanda formulata a questo scopo consentono di dedurre le seguenti indicazioni:

Studiano Lavorano Non studiano né lavorano*

% % %

Soddisfazione degli studi e delle scuole frequentate, relativamente a:

capaci tà professionali acquisite - 68,4 47,8 43,2

cultura generale acquisita 81,5 62,3 63,4

rapporti con i com pagni 87,1 86,4 85,9

ra pporti con gli insegnanti 71,6 61,8 67,0

altre risposte 2,0 5,9 6,4

* Questo gru ppo non coincide con quello dei non occu pati in quanto il 36,9% di essi non è in cerca di occupazione.

Per tutte e tre le categorie indicate sono decisamente i rapporti intragenerazionali con i compagni a costituire og-

7 Commissione delle Comunità Europee, I giovani europei, 1982 (ciclostilato). 8 Ceri, Les études et le travail vus par les ;eunes, Paris, Ocde, 1983.

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getto di piu elevata soddisfazione, segue la cultura generale acquisita per gli studenti e per i lavoratori, mentre coloro che non studiano né lavorano pongono al secondo posto i rapporti con gli insegnanti. Sempre per tutte e tre le catego­rie è l'acquisizione di capacità professionali l'aspetto che ge­nera minor soddisfazione. I livelli di soddisfazione si man­tengono sostanzialmente simili per i maschi e per le femmine (costoro sono solo un poco meno soddisfatte dei rapporti con i compagni) , mentre decrescono per gli uni e per le altre con l'aumentare dell'età. Si deve comunque convenire che i gio­vani «scolasticamente» soddisfatti risultano essere sempre oltre la metà dell'intero campione, ad eccezione dei lavora­tori e dei non occupati che si mostrano alquanto critici nei confronti di quanto la scuola riesce a dare soprattutto in ter­mini di capacità professionali: l'impatto di costoro col mondo del lavoro ha messo in luce direttamente le carenze formative della scuola soprattutto sotto questo profilo. Sta crescendo tra i giovani, compresi quelli che sono tuttora nel sistema scolastico, l'attenzione, ma anche la preoccupazione, per la dimensione professionalizzante dei processi formativi: . si tratta peraltro di un dato comune alla maggior parte dei Paesi ad alto sviluppo, non solo europei, che emerge con sempre maggior insistenza in molte ricerche condotte anche nel nostro Paese. Ma prima di aggiungere qualche ulteriore considerazione su questo tema, è utile soffermarci ad esami­nare cosa i giovani pensino degli insegnanti, i rapporti con i quali sono stati volutamente considerati tra i fattori di even­tuale soddisfazione per gli allievi stessi.

6. I rapporti con gli insegnanti

Come abbiamo appena notato, la maggior parte dei gio­vani ritiene di avere o di aver avuto dei rapporti soddisfa­centi con i propri insegnanti. La centralità di costoro nei processi formativi scolastici è però tale da richiedere qualche ulteriore approfondimento. Consideriamo pertanto ciò che i giovani ritengono di apprezzare maggiormente dei professori di scuola media (tabella 2 .6) .

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La dote ritenuta piu importante è quella di possedere una preparazione culturale e una competenza specifica nella materia di insegnamento, seguita subito dopo dalla capacità di saper stabilire un rapporto cordiale ed amichevole con gli allievi, e dalla sensibilità nei confronti delle esigenze e degli interessi degli studenti. Soprattutto tra i giovani che ormai lavorano viene dato rilievo al fatto che il docente sia in grado di mantenere una certa disciplina nella classe, mentre l' aper­tura ai problemi politici e sociali è la dote che raccoglie il mi­nor numero di consensi, a riprova di una certa caduta del­l' importanza per questa dimensione che era invece conside­rata rilevante nel decennio passato. Tali giudizi sono comuni a tutti i sottogruppi con piccole variazioni legate all'età e al sesso. Emerge pertanto un abbastanza preciso profilo del­l'insegnante ideale: egli deve disporre di una elevata compe­tenza professionale e di una buona capacità relazionale.

TAli. 2.6. Doti e difetti degli insegnanti

Doti molto im portanti

la ca pacità di mantenere una certa disci plina nella classe la ca pacità di stabilire un ra pporto cordiale e ami· chevole con gli allievi la pre parazione culturale e la competenza specifica nella sua materia di insegnamento l 'apertura ai problemi politici e sociali la sensibilità nei confronti delle esigenze e degli in­teressi degli studenti

Difetti molto diffusi l'incompetenza e l'imprepara zione nella pro pria materia l'influen za politica ed ideologi ca sugli allievi l'eccessiva severità la tendenza a non considerare le esigen ze ed il punto di vista degli studenti l'eccessiva accondiscendenza ed arrendevolezza di fronte alle ri chieste degli studenti non so, altre risposte

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Studenti Lavoratori

67,9

94,4

95,5 60,4

88,3

1.536

38,7 27,0 23,8

59,5

1 7,1 5, 1

726

74,2

91 ,8

93,2 56,7

87,1

1 .275

36,1 32,4 24,2

48,0

19,0 8,6

685

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A fronte di questa immagine ideale del professore di scuola media, i giovani, in base alla propria esperienza scola­stica, avanzano peraltro delle precise critiche nei confronti del corpo docente. In particolare viene rimproverato il persi­stere di un certo grado di autoritarismo, desumibile dal con­vincimento, diffuso soprattutto tra chi studia ancora e tra le femmine, che gli insegnanti non tengono adeguatamente conto delle esigenze e del punto di vista degli allievi. Il se­condo giudizio critico, che si accentua col crescere dell'età degli intervistati, si riferisce direttamente alla incompetenza e alla carente preparazione specifica nelle materie di insegna­mento, mentre il terzo rilievo, in ordine di importanza, è co­stituito dalla «intrusione» ideologica che, piu o meno consa­pevolmente, i professori possono esercitare nei confronti de­gli allievi: questo pericolo è sottolineato soprattutto dai piu anziani e dai maschi. L'eccessiva severità è indicata da circa un quarto del campione, in particolare dai piu giovani, men­tre un quinto degli intervistati rimprovera ai professori di es­sere invece troppo permissivi e arrendevoli alle richieste de­gli studenti.

L'individuazione dei piu diffusi comportamenti negativi attribuiti agli insegnanti dai giovani mette ulteriormente in evidenza quanto è appena emerso nella definizione dell'im­magine ideale del docente : esiste infatti una notevole coe­renza tra i tratti di quest'ultima e il genere di critiche che vengono rivolte al corpo insegnante. Il convincimento da parte di numerosi giovani di non essere tenuti o di non es­sere stati tenuti in sufficiente considerazione dai propri pro­fessori costituisce una ulteriore prova di quel bisogno di <<soggettività», di «autenticità», cioè di «essere se stessi sem­pre e comunque» che si estende agli stessi rapporti interper­sonali scolastici non solo di tipo simmetrico (cioè con gli altri allievi), ma anche di tipo asimmetrico (cioè con gli inse­gnanti) . Questa domanda di soggettività - che costituisce un significativo tratto emergente della cultura giovanile con­temporanea - si traduce, a sua volta, in una pervasiva esi­genza di autonomia e quindi di difesa della propria autono­mia personale anche sotto il profilo ideologico e politico: da qui, dunque, l'affermarsi di una crescente diffidenza e di

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una sorta di difesa nei confronti di quegli insegnanti perce­piti come ideologicamente troppo invadenti.

Potendo inoltre disporre di molteplici possibilità di con­fronto con altri agenti e agenzie di socializzazione, soprat­tutto tramite l'azione dei mass-media, i giovani diventano decisamente piu critici e piu esigenti nei confronti degli stessi comportamenti professionali del docente, che riguar­dano le conoscenze e le capacità di quest'ultimo con riferi­mento a specifici ambiti disciplinari. L'elevata quota di in­tervistati che giudica i professori incompetenti e impreparati nella loro specifica materia di insegnamento, rispecchia, di conseguenza, l'aumentata capacità critica e l'accresciuta pos­sibilità di confronti di cui i giovani dispongono.

7 . Il significato dell'istruzione

Dopo aver ricostruito la valutazione dell'esperienza sco­lastica e dei principali operatori che nella scuola lavorano, cioè gli insegnanti, soffermiamo l'attenzione sul significato che l'istruzione ha per i giovani. Va solo ricordato che l' inte­resse per i problemi del senso delle nostre azioni sta aumen­tando anche perché alcune giustificazioni tradizionali dell'a­gire non sembrano piu convincenti e crescono pertanto gli interrogativi sulla «perdita di senso» che starebbe diffonden­dosi nelle società contemporan�e. In questo contesto del di­battito teorico si inserisce questo specifico settore della ri­cerca, anche se i suoi intendimenti sono decisamente circo­scritti e limitati alla conoscenza della vita formativa dei gio­vani considerati.

Cominciamo pertanto con l'osservare che l'istruzione viene concepita soprattutto quale mezzo per avere soddisfa­zione nella vita: questo significato è condiviso sia da chi stu­dia sia da chi lavora, sia dai maschi, sia dalle femmine e tende a diminuire con il crescere dell'età (tabella 2 .7) . Si tratta peraltro di un significato alquanto generico, forse il piu generico di quelli sottoposti agli intervistati, che con­sente però di definire l'istruzione come una sorta di prere­quisito per poter vivere meglio nelle diverse specificazioni

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TAB. 2. 7. Significato dell'istruzione (% di coloro che dichiarano accordo con vari si-gnificati)

Stu· Lavo· Maschi Femmine denti ratori

15-17 18-20 2 1 -24 15-17 18-20 21-24

Un sacrificio inevita-bile 31 ,8 44,2 46,2 43,6 39,8 36,1 28,9 36,9 Un mezzo per avere soddisfazione nellà vita 84,0 76,4 79,5 76,3 74,3 87,7 8 1 ,2 79,0 Un mezzo per guada-gnarsi da vivere 70,0 63,8 72,8 67,9 64,5 69,3 63,4 6 1 ,2 Un mezzo per trovare un senso alla propria vita 67,2 55,2 58,6 57,4 57,6 67,4 69, 1 56,8 Un mezzo per raggiun-gere il successo perso-naie 72,2 67,7 7 1 ,3 69,9 64,7 73,1 7 1 ,8 69,9 Un mezzo per rendersi utili agli altri 75,2 64,8 70,7 68,3 69,0 72,8 74,5 63,9 Un mezzo per assicu-rarsi la sopravvivenza nella società 57,7 53,3 59,2 54,5 50, 1 62,7 52,3 55,2 Un mezzo per incidere sulla società 68,3 63,4 62,2 64, 1 65,8 67,7 65, 1 65,8

N = 726 685 331 3 12 377 3 16 298 366

esistenziali che si verranno a definire nel futuro. Al secondo posto d'importanza per chi studia, ma al terzo per chi lavora, l' istruzione è intesa come un mezzo per rendersi utili agli al­tri, il cui valore rimane stabile nei maschi e tende a dimi­nuire tra le femmine oltre i 2 1 anni. A questo significato, tendenzialmente altruistico, segue da vicino, al terzo posto, per gli studenti ma al secondo per chi lavora, il convinci­mento che l'istruzione sia un mezzo per raggiungere il suc­cesso personale, convincimento che peraltro si attenua con il passare degli anni. Con valori percentuali piu bassi si situa al quarto posto per tutti l'idea che l'istruzione sia un mezzo per guadagnarsi da vivere: anche in merito a ciò si registra una diminuzione di consensi con il crescere dell'età. Seguono nell'ordine: l'istruzione quale mezzo per poter essere in grado di incidere nella società, quale mezzo per poter tra-

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vare un senso alla propria vita, quale mezzo per assicurarsi la sopravvivenza nella società e, da ultimo, l'istruzione viene vissuta come un sacrificio inevitabile, soprattutto da quasi la metà di coloro che hanno ormai lasciato la scuola.

Il confronto con i risultati di una ricerca condotta su un campione di studenti di tre città italiane con le stesse do­mande mette in evidenza che, nel corso di cinque anni, si sono verificati degli spostamenti significativi: allora infatti l 'istruzione come mezzo per incidere sulla società e per dare un senso alla vita figurava rispettivamente al primo e al terzo posto, mentre l'istruzione quale mezzo per essere utile agli altri e come sacrificio risultava, come ora, rispettivamente al secondo e all'ultimo posto della graduatoria 9 • Si deduce per­tanto che vi sono stati dei cambiamenti nella gerarchia dei significati assegnati dai giovani all'istruzione: in particolare si è ridotto decisamente il convincimento che l'istruzione possa modificare la societ:. e possa aiutare a dare un senso alla vita. Inoltre il significato complessivo che attualmente emerge è alquanto composito, poiché si intrecciano e convi­vono orientamenti anche diversi, in parte solidaristici, al­truistici ed espressivi, e in parte strumentali al successo e alla sodqisfazione personale.

E corretto comunque concludere che i giovani media­mente assegnano all'istruzione un significato elevato per la propria vita, anzi piu elevato di quanto era emerso nella ri­cerca appena ricordata. Ciò si registra in proporzioni molto simili tra i maschi e le femmine, sebbene tenda lentamente a decrescere con il passare degli anni.

Ulteriori precisazioni sul significato che i giovani asse­gnano all'istruzione sono direttamente deducibili dai fini che essi attribuiscono alla scuola secondaria superiore che, come è noto, dalla fine degli anni Sessanta attende, tra al­terne vicende, di essere riformata. Segmento strategica­mente decisivo dell' intero sistema scolastico, poiché posto tra la scuola dell'obbligo e l'università, esso è stato so t topo-

9 AA.VV., Scuola giovani e professionalità, Milano, Vita e Pensiero, 1979, p. 153 .

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sto di volta in volta a spinte deprofessionalizzanti (enfasi sulla formazione generale) e a spinte professionalizzanti (at­tuale enfasi sulla formazione professionale di base) , a esi­genze di unitarietà oppure di diversità per quanto riguarda la sua articolazione interna. Tuttora al centro del dibattito, priva di una sua precisa identità e in attesa di una sua defini­zione normativa, la scuola secondaria superiore possiede tra i giovani una immagine peraltro abbastanza definita. Ad essa infatti si richiede, sia da chi studia ancora, sia da chi ormai lavora, innanzitutto di curare la preparazione professionale degli studenti; nonché di insegnare ai giovani ad inserirsi at­tivamente nel mondo del lavoro. Accanto a questa funzione professionalizzante, che rimane primaria, i giovani si atten­dono dalla scuola secondaria un aiuto a comprendere e a svi­luppare la propria personalità e quindi, in quarto luogo, a po­ter disporre di una vasta gamma di attività espressive che vanno dalla letteratura alla musica e allo sport. Attese meno elevate si registrano, soprattutto da chi è già inserito nel mondo del lavoro, in merito al contributo che la scuola può fornire in termini di preparazione del cittadino democratico e di comprensione della situazione socio-economica e poli­tica del Paese .

Il quadro complessivo che emerge non mette in risalto differenze significative tra maschi e femmine, o tra apparte­nenti alle diverse classi sociali e di età; tale quadro inoltre conferma sostanzialmente quanto emerso nella ricerca già ci­tata condotta nel 1977 . Quest'ultimo confronto consente solo di cogliere un accresciuto interesse per la preparazione professionale, fondata peraltro su una solida e critica cono­scenza della realtà del mondo del lavoro e dei suoi pro­blemi 1 0 •

Pur sussistendo questo interesse primario, indubbia­mente in crescita, l'impressione che si ricava dall'insieme di questi risultati è che i giovani desiderano ottenere dalla scuola quanto piu è possibile, in un logica di formazione glo­bale, nella quale la priorità della preparazione professionale

lO AA.VV., Scuow giovani e professionalità, cit . , pp. 58-6 1 .

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non comprometta quelle esigenze di criticità e di espressività­che sono aspetti distintivi della domanda di soggettività, di autorealizzazione personalè, di cultura del self che sta preva­lendo tra i giovani e trova ulteriore conferma anche da que­sti riscontri empirici.

8. Istruzione e prospettive occupazionali

Si è appena rilevato che le attese dei giovani nei con­fronti della scuola post-obbligatoria sono prevalentemente concentrate sulla preparazione professionale. Una ulteriore e precisa riprova di questi orientamenti è deducibile dal con­vincimento, espresso da oltre 1'80% dell'intero campione, che la scuoia secondaria superiore dovrebbe sempre fornire un titolo di studio utile per un inserimento immediato nel mondo del lavoro (82 , 1% degli studenti, 80,3% dei lavora­tori, 84,2% dei non occupati, senza significative differenze tra maschi e femmine). Da parte dei giovani, quindi, emerge una netta preferenza per una scuola secondaria professiona­lizzante, secondo modalità adeguate a quelle che sono le mu­tevoli esigenze occupazionali del prossimo futuro.

Questa domanda di maggior professionalizzazione della scuola da parte degli studenti era peraltro già stata indivi­duata sin dalla fine degli anni Settanta. Si tratta pertanto di un convincimento che si è rafforzato ed anche esteso con il passare degli anni. A questo preciso orientamento, partico­larmente diffuso tra i giovani, fa riscontro però, da parte di quelli che lavorano, un giudizio non eccessivamente positivo in merito alla concreta utilità dell'esperienza scolastica nei confronti delle professioni svolte . Infatti, sebbene il giudizio di utilità tenda a crescere con l'età, oltre il 60% di coloro che attualmente lavorano non ha trovato professionalmente utile la propria formazione scolastica, sia perché quest'ul­tima si è dimostrata inadeguata alle concrete esigenze poste dalla specifica occupazione svolta, sia perché lo sbocco occu­pazionale è oggettivamente diverso dal percorso formativo seguito. Questa scarsa corrispondenza tra esperienza scola­stica e attività lavorativa appare inoltre inferiore a quella

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emersa nella già citata ricerca europea (52%), a testimo­nianza della situazione relativamente piu problematica che caratterizza il nostro Paese .

Nonostante le attuali difficoltà di inserimento occupa­zionale, di cui i giovani sono molto consapevoli, si registra un qualche ottimismo, anche se non in netti termini di cer­tezza, tra coloro che ancora studiano, di poter trovare la­voro. Piu precisamente si osserva che il 10,4% è convinto di trovare lavoro, il 52,7% ritiene di poterlo trovare, il 20, l % ritiene di no, il 9 , l % è convinto di no e il 7 , 8 % si dichiara incerto. Questo andamento è comunque distante da quello risultato dall' indagine europea, in cui emerge che il 64% è certo che, una volta terminati gli studi, questi ultimi consen­tiranno uno sbocco occupazionale adeguato. Sempre tra co­loro che ancora studiano, o studiano e lavorano, a livello di scuola secondaria superiore, la propensione ad iscriversi al­l'università è elevata (circa il 40%), mentre quasi un terzo è decisamente orientato a terminare la propria esperienza for­mativa istituzionale. C'è però da notare che tra coloro che sono propensi a diventare studenti universitari, oltre un terzo ha intenzione di abbinare lo studio al lavoro, contri­buendo, in tal modo, a mantenere sostenuta la quota di stu­denti lavoratori anche nel prossimo futuro.

9. Qualche riflessione conclusiva

La fruizione del servizio scolastico ed universitario av­viene ancora, come regola generale, secondo le tradizionali modalità per cui prima si studia e poi si va a lavorare: di con­seguenza con il crescere dell'età i giovani, in tempi e percorsi differenziati, passano dal sistema formativo istituzionale al mercato del lavoro, trovando o non trovando in esso colloca­rl"oni piu o meno stabili e ·soddisfacenti.

Accanto al percorso unidirezionale dalla scuola al lavoro, ancora decisamente prevalente, è necessario però non sotto­valutare anche i tipi di percorsi inversi, cioè dal lavoro alla scuola, che cominciano ad assumere una certa consistenza, se non ancora quantitativa, almeno qualitativa in termini di

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fenomeni emergenti: si tratta cioè di giovani e adulti che rientrano per un periodo piu o meno breve nel sistema scola­stico (per esempio l'esperienza delle 150 ore) . Oltre al feno­meno dei rientri, che sembra ormai riguardare quasi il 5% della nostra popolazione scolastica complessiva, costituisce oggetto di particolare attenzione anche quello dei percorsi misti scuola-lavoro, come quelli, ormai in certi casi istituzio­nalizzati, dei progetti in atto di alternanza scuola-lavoro.

Al permanere della modalità «classica» di rapporto scuo­la-lavoro, si stanno aggiungendo altre modalità la cui inci­denza nel futuro non può essere per ora prevista, ma che in­ducono ad ipotizzare una piu varia serie di raccordi tra si­stema formativo istituzionale, da una parte, e mercato del la­varo dall'altra, soprattutto se si introdurranno nell'uno e nell'altro piu numerosi elementi di flessibilità. L'esigenza di una maggiore conoscenza, possibilmente diretta;della realtà del lavoro da parte di chi studia è ormai un dato confermato non solo da questa ricerca, ma anche da molte altre con­dotte in Italia e all'estero : non a caso in sede internazionale si sta affermando il concetto di transizione scuola-lavoro, proprio per sottolineare la molteplicità di forme e di moda­lità di percorsi intrecciati e contrassegnati da esperienze di­verse che possono collegare queste due realtà. In questa tra­sformazione silenziosa vanno collocati anche i frequenti casi di giovani che autonomamente sperimentano una vera e pro­pria «via privata alla transizione», al di fuori e in carenza di iniziative istituzionali appositamente predisposte: basti pen­sare alle molteplici esperienze di lavoro degli studenti, alle forme non istituzionalizzate di alternanza scuola-lavoro e di tirocinio non sempre guidato. Per effetto delle oggettive dif­ficoltà occupazionali, ma anche per un preciso orientamento emergente tra i giovani, è quindi possibile ipotizzare che, ac­canto al passaggio immediato dalla scuola al lavoro, per chi ci riesce e per chi lo desidera, andrà sviluppandosi sempre piu una varietà di modalità di raccordi, non necessariamente in una sola direzione, che costituiscono nel loro variegato com­plesso i processi di transizione.

Un secondo tratto distintivo di questa popolazione di studenti, che trova riscontro in indagini analoghe condotte

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anche all'estero, è costituito dalla crescente e insistente do­manda di professionalizzazione che i giovani rivolgono all'i­stituzione scolastica post-obbligatoria e all'università. Al di là di quello che potrà essere il nuovo assetto istituzionale della scuola secondaria superiore, non vi è dubbio che ad essa si richiede un notevole impegno sotto il profilo della ac­quisizione di una professionalità iniziale di base, consapevoli come sono ormai i giovani della intrinseca obsolescenza di una professionalità specifica in un mondo contrassegnato da profonde modificazioni soprattutto in campo occupazionale.

Precisata la natura della professionalità che gli studenti si attendono di acquisire in ambiti scolastici, c'è da interro­garci sulle ragioni di tale ben definita richiesta. Da una par�e, il possedere una solida professionalità iniziale viene vissuto come un prerequisito per rendere meno rischioso e aleatorio il proprio inserimento nel mercato del lavoro, le cui difficoltà attuali e future sono ben presenti ai giovani: arri­vare a questo appuntamento dotati di una buona prepara­zione professionale sembra quindi costituire uno dei pochi antidoti al fenomeno della disoccupazione. Accanto a questa ragione strutturale, dipendente dagli scarsi accessi occupa­zionali, sembra però sussistere anche un'altra ragione, speci­ficamente culturale, in base alla quale l'acquisizione di una professionalità, seppure iniziale e di base, viene vissuta come un mezzo per contribuire a dare un senso alla vita di stu­dente. Piu in generale, in un'epoca contrassegnata dall'incer­tezza che a sua volta crea ansia, la professionalità viene vis­suta come uno strumento che in qualche misura può aiutare a calmare almeno in parte le ansie e a fornire qualche cer­tezza. Si tratta evidentemente di un aspetto psicologico che spesso, cumulandosi col precedente, consente di rafforzare questa richiesta rivolta alle istituzioni formative scolastiché e universitarie di migliorare la preparazione professionale dei giovani, i quali, inoltre, sono sempre piu consapevoli di doversi presentare su un mercato del lavoro che va estenden­dosi, diventando virtualmente internazionale, dove di con­seguenza c'è da fare i conti con una concorrenza di soggetti dotati di una preparazione che potrebbe risultare piu ele­vata.

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La richiesta di poter disporre di maggiori e migliori op­portunità di raccordo tra mondo della scuola e mondo del la­voro, e la domanda di un sostanziale apporto dell'istituzione scolastica e universitaria nei confronti dell'acquisizione della professionalità iniziale, costituiscono dunque due orienta� menti espliciti ormai molto diffusi. In una certa misura con­nesso ad essi, se ne aggiunge un altro, ancora non altrettanto rilevante, ma che tende a diventare tale e che quindi è op­portuno sottolineare: si tratta della ricerca di percorsi forma­tivi sempre piu personalizzati, che a sua volta provoca una progressiva articolazione di questi ultimi.

L'esistenza di questo sintomo di cambiamento è netta­mente rilevabile proprio dall'atteggiamento che i giovani possiedono nei confronti della stessa istituzione scolastica: nei suoi confronti essi appaiono esigenti e critici e sempre piu decisi ad abbandonarla o a cambiare tipi di corsi se le loro aspettative non vengono almeno in parte soddisfatte. In questa ottica va rivisitato in una qualche misura lo stesso fe­nomeno degli abbandoni scolastici. Le ragioni che portano a lasciare la scuola stanno infatti profondamente mutando ri­spetto ad un passato anche recente: assumono minor peso le tradizionali cause economiche e di insuccesso rispetto ad al­tre, quali la mancanza di interesse, il desiderio di entrare nella vita attiva, la scelta di studi che si dimostra sbagliata.

Quando si accenna ad una maggiore varietà e articola­zione dei percorsi formativi non si fa esclusivo riferimento alle opportunità scolastiche, ma anche a quella rete sempre piu numerosa e complessa di occasioni e canali formativi esterni alla scuola ufficiale e alle stesse iniziative regionali di formazione professionale, che spesso presentano un mag­giore aggancio concreto con il mondo del lavoro; basti pen­sare al moltiplicarsi di corsi di informatica, di neo-artigia­nato, di lingue straniere, di tirocinio, di stages all'estero, e altro ancora. Si raffina, si precisa, si differenzia ed aumenta nel complesso la domanda giovanile di formazione che si orienta verso strutture e occasioni scolastiche, ma anche ex­trascolastiche, ritenute di volta in volta piu adeguate a sod­disfare le proprie esperienze. Nel contempo si moltiplicano le iniziative, anche tramite l'utilizzazione dell'informatica e

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della telematica, di formazione esterna alla scuola, spesso piu flessibili. Cresce quindi e si articola in misura crescente la domanda di formazione dei giovani e crescono e si articolano le opportunità formative, soprattutto extrascolastiche. Da qui il delinearsi di percorsi formativi sempre piu individua­lizzati, che costituiscono un sintomo, anzi una manifesta­zione di quella cultura della soggettività che sta consolidan­dosi tra i giovani e che cerca di riflettersi e di affermarsi an­che nell'esperienza formativa.

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CAPITOLO TERZO

IL LAVORO E I SUOI SIGNIFICATI

l . Premessa: giovani, lavoro, valori

Se è vero che l' attenzione sociale verso i giovani è ele­vata in primo luogo perché frutto di una preoccupazione verso il destino delle forme, dei contenuti e delle modalità dell'integrazione sociale, in sistemi che si ritengono (quanto correttamente non è qui il caso di discutere, anche se si può avanzare qualche dubbio) soggetti a rapidi e consistenti mu­tamenti culturali, è ovvio che il tema del rapporto dei gio­vani con il lavoro sia stato, da sempre, uno dei piu consi­stenti ed esplorati oggetti di indagine .

Poche cose sono altrettanto socialmente rassicuranti quanto sapere, o ritenere di sapere, che l'esistente divisione del lavoro è accettata, se non introiettata, dai giovani e che al lavoro essi attribuiscono un valore positivo o, perlomeno, lo accettano come strumento di autorealizzazione . Centinaia di ricerche, anche solo a partire dagli anni Cinquanta, da quando è sembrato accelerarsi il cambiamento del peso del lavoro nell'economia esistenziale e nel ciclo biologico indivi­duale, sono Il a testimoniare di questa preoccupazione.

Cosi come, a contrariis, lo testimonia l'insistenza quasi ossessi va con cui la critica all'assetto delle società capitalisti­che avanzate ha sempre guardato ad ogni anche minimo se­gnale di novità nei comportamenti giovanili verso il lavoro . Non c'è bisogno di arrivare fino alle recenti tematizzazioni del «rifiuto del lavoro» (in realtà, banali aggiornamenti di analisi ben piu sensate) : basterebbe ricordare, per restare solo al caso italiano, quante e quali attese venivano poste (e quanto dibattito è stato svolto) attorno al ricambio genera­zionale impresso alla composizione della forza lavoro dalle ristrutturazioni produttive degli anni del «miracolo econo­miCO».

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Il problema, naturalmente, è definitivamente esploso ne­gli anni Settanta, a seguito del blocco dei tradizionali mecca­nismi di accumulazione e dell'impressionante dilagare della disoccupazione giovanile in tutte le economie sviluppate . La possibilità che un'intera generazione arrivasse alle soglie della maturità senza dover piegare la schiena sotto i vincoli del lavoro salariato ha fatto spendere piu parole ed inter­venti da parte di uomini politici, moralisti; apologeti del la­varo e del suo «rifiuto», di quante forse non ne siano state usate per indicare terapie e proporre soluzioni concrete.

Ma il dato che colpisce maggiormente è che un tratto omogeneo sembra aver accomunato tutti questi discorsi sul rapporto fra giovani e lavoro: ed è l'idea che si sia rotto un meccanismo di socializzazione e che i giovani, quando al la­varo riescono ad accedere, lo facciano portandovi atteggia­menti e valori «nuovi», irrituali quando non iconoclasti. Una recente rassegna bibliografica della letteratura sociologica italiana in materia, negli anni Settanta, elenca quasi due­cento titoli: e il ritornello è sostanzialmente identicc, anche se, naturalmente, non tutti i prodotti ivi elencati hanno pari dignità 1 •

La diffidenza è legittima verso questo genere di interpre­tazioni. Una diffidenza che non nasce solo dal sospetto che gran parte di queste immagini riflettano in sostanza la valu­tazione stereotipata che ogni generazione dà della succes­siva, e neppure soltanto dalla consapevolezza che la ricerca empirica ha sempre raffreddato la maggior parte delle attese sul dispiegarsi di straordinarie novità in materia: basterebbe ricordare come, non piu di dieci anni fa, un volume di sin­tesi, commentando i dati della piu importante ricerca sui gio­vani svolta alla fine degli anni Sessanta («quelli del '68», per intenderei), titolasse «Un risultato inatteso» il capitolo che descriveva il sostanziale persistere di atteggiamenti e imma­gini «tradizionali» del lavoro nel campione di intervistati 2 •

1 Cfr. S. Gherardi, Bibliografia italiana in materia di giovani e lavoro negli anni settanta, in Giovani e lavoro, a cura di D. De Masi, Milano, F. Angeli, 1983, pp. 365-382.

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2 C. Tullio Altan, I valori diHicili, Milano, Bompiani, 1974.

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La diffidenza nasce ancor prima. Nasce dal non aver mai trovato una convincente dimostrazione della «centralità» del lavoro in chi giovane non è e, conseguentemente, dal dubbio che ogni discorso sulla <(crisi» del lavoro abbia solo (o preva­lentemente) riscontri ideologici. A chi sostiene- che sia possi­bile identificare nella condizione giovanile attuale l' emer­genza di comportamenti e atteggiamenti alternativi, che avrebbero il proprio fulcro in un <(diverso» rapporto con il la­voro, bisogna chiedere : diverso da quale altro possibile rap­porto? Dall'orgoglio di un mestiere che non c'è piu, nei suoi connotati tradizionali di regolamentazione unilaterale della prestazione e di controllo delle carriere? O dallo <(strumenta­lismo» dell'operaio delle società <(opulente» di cui ci hanno parlato le ricerche degli anni Sessanta?

Se questi estremi hanno un senso sociologico e non sono mere trasposizioni di tensioni ideologiche (come è stato nel pensiero rivoluzionario, che in entrambi ha individuato sia il massimo dell'integrazione sociale che il suo contrario) , l'u­nico possibile <(diverso» rapporto con il lavoro dovrebbe pro­babilmente consistere in un suo rifiuto di massa. Come a dire in un rifiuto a sopravvivere nelle condizioni sociali date.

In realtà non abbiamo assistito a nessun movimento di massa contro i/ lavoro. Che sia, o sia stato, contro questo la­voro non costituisce una novità, dalle lotte contro la disci­plina di fabbrica alle origini del capitalismo, su fino a quelle contro la dequalificazione arbitraria degli operai comuni del­l'industria a produzione di serie,. che hanno segnato il ciclo concluso a metà degli anni Settanta.

Eppure sembra aver senso, oggi, parlare di crisi dell'idea di lavoro, o del lavoro come valore, in quanto crisi ideologica e cioè insieme di un sistema di rappresentazione della realtà e di un orientamento all'azione. Ma è una crisi le cui indub­bie basi materiali non sono sufficienti a spiegarne la portata collettiva.

Che cosa può far cadere il consenso (conflittuale) verso il lavoro nelle forme in cui l'abbiamo fin qui conosciuto? L'as­senza stessa di lavoro, per quanto rilevante (e in particolare verso i giovani) non può bastare, almeno fino a quando esso mantiene natura di necessità sociale per milioni di persone.

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E, del resto, sappiamo molto bene che questo è un periodo storico di crescita rilevante dell'offerta di lavoro .

Viene il dubbio che la crisi di consenso al lavoro, di cui tanto si parla, altro non sia se non la diffusione, a livello di massa, di un atteggiamento «razionale» verso il tema, fon­dato sul bisogno di regolarne lo spazio e la pervasività nell'e­sperienza di ognuno, nella logica negoziale che ha presieduto - non bisogna dimenticarlo - a decenni di attività sinda­cale e di conquiste operaie.

In tal caso potremmo ipotizzare che diminuisce il «peso» del lavoro nell'economia esistenziale della gente, che in esso non trova piu il centro della propria esperienza, ma che tut­tavia non può (né vuole?) farne a meno 3• Si tratterebbe al­lora di un processo ben altrimenti diffuso di quanto non sug­geriscano i fautori dell'ipotesi della sua genesi nella cultura giovanile, ma piuttosto imperniato su una profonda modifi­çazione antropologica, ·caratterizzata dall'indebolimento dei modelli culturali centrati sull' autorealizzazione ottenibile mediante la lenta conquista del successo professionale e fon­data, piuttosto, sull'affermazione di modelli che valorizzano l'espressività immediata, la soddisfazione del bisogno e dei desideri.

Ma è sufficiente, come si fa di solito, constatare la scom­parsa delle «isole» operaie e delle relative sottoculture per dire che il lavoro non è piu un interesse esistenziale centrale? Basta ricordare che è venuta meno un'identità di vita e di in­teressi associata al lavoro per dire, in sostanza, che è finita un'epoca? In fondo il lavoro è ancora la principale espe­rienza sociale che colloca gli individui nella stratificazione sociale ed è ancora uno dei piu rilevanti strumenti di socia­lizzazione alla partecipazione politica.

Che cos'è cambiato, dunque, perché si possa dire che si è allentata la capacità integrativa del lavoro? L'ipotesi piu ra­gionevole è che l'estensione dei diritti di cittadinanza nella

3 Per una piu ampia e dettagliata esposizione di questo modello interpreta­rivo, qui solo accennato, si veda Immagini del lavoro. Una ricerca tra i lavoratori manuali, a cura di G. Romagnoli e G. Sarchielli, Bari, De Donato, 1983, in par­ticolare il capitolo primo e la bibliografia ivi citata.

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sfera della produzione abbia creato un insieme di aspettative di natura normativa, e insieme indebolito le inibizioni un tempo imposte dall'ordine di status, in modo tale da incri­nare forse definitivamente la deferenza verso il lavoro come luogo deputato della necessità e dell'eterodirezione.

Come da tempo ha ricordato Goldthorpe 4 , non c'è biso­gno di immaginare che la classe operaia abbia «appreso» uno spirito acquisitivo per spiegarne lo «strumentalismo verso il lavoro»: è sufficiente ipotizzare che sia divenuta abbastanza «matura» per saper sfruttare al meglio le proprie opportunità di mercato.

Ma che cosa vuoi dire che il lavoro è uno «strumento»? In fondo nessuno (o quasi) ha mai sostenuto che il lavoro è un fine in sé. La discriminante fra chi ha parlato di «centra­lità» del lavoro senza eccessivi carichi simbolici attorno al termine e chi vi identifica solo un accadimento fra i tanti possibili (ancorché doverosi) nell'esistenza individuale è pra­ticamente concentrata tutta in questo concetto, la cui ambi­guità semantica è, a dir poco, rilevante. Se non si vogliono correre rischi di riduzionismo bisogna probabilmente defi­nire «strumentale» una costellazione di comportamenti e di atteggiamenti cognitivi verso ogni attività sociale (in questo caso il lavoro) che sia caratterizzata da un basso profilo di ca­pacità normativa sul totale dell'esperienza individuale.

Insomma: quando il lavoro da «professione» diventa «po­sto» e da «dovere» diviene «diritto» non se ne può piu occul­tare la natura intrinseca di necessità sociale. E allora diviene scopertamente moralistica sia la denuncia della «disaffe­zione» (che c'è sempre stata e si è sempre espressa come «al­lergia» allo sfruttamento), quanto l'allarme verso l'emer­genza in esso di bisogni o desideri socialmente non legitti­mati.

La novità, probabilmente, sta tutta qui e interessa i gio­vani non meno di chiunque debba lavorare per vivere (e la società nel suo complesso) . Si sviluppa un atteggiamento «ra-

4 The Politica! Economy of Infkltion, a cura di F. Hirsch e J.H. Goldthorpe, London, Martin Robertson, 1978, ca pitolo settimo.

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zionale» verso il lavoro, come lo è diventato quello verso l'e­sercizio del diritto di voto. L'estensione dei diritti di cittadi­nanza introduce nel corpo stesso del lavoro (della sua presta­zione come della sua immagine) una sorta di istanza di li­bertà, anche normativamente fondata, che può tradursi in comportamenti magari disparati, ma quasi tutti orientati al disincanto.

Di qui il desiderio di introdurre libertà nel lavoro, o -all'opposto - la possibilità di accettarne l'aumento di capa­cità costrittiva in cambio della sua diminuzione come fonte normativa dell'esperienza sociale ed esistenziale. Di qui la possibilità del formarsi di una classe operaia «matura» (nel­l'accezione di Goldthorpe) : un gruppo per cui l'azione sinda­cale è un modo normale per la difesa delle proprie condizioni di lavoro e di vita, poiché non è «rivoluzionaria» né «inte­grata», dato che non considera il mercato il miglior alloca­tore possibile delle risorse e delle ricompense.

Da questo punto di vista «la crisi» del lavoro è insieme il riflesso della liberazione di una pluralità di fonti di identità e l'effetto di decenni di lotte per incorporare il lavoro nel si­stema dei diritti di cittadinanza. Ed è all'interno di questa logica contraddittoria e complessa (come lo è la fase di tran­sizione in cui viviamo) che va probabilmente inquadrata ogni analisi sui comportamenti lavorativi e sui valori e; gli orientamenti verso il lavoro. Quelli dei giovani come quelli degli adulti.

·

2. Giovani e mercato de/ lavoro

È alla luce di queste ipotesi e considerazioni che ver­ranno ora commentati i risultati della ricerca, nel tentativo di descrivere (e in parte di interpretare) un insieme di ele­menti, sul comportamento e sugli atteggiamenti della forza­lavoro giovanile, che non risulti influenzato da altre impli­cite premesse di valore.

Se partiamo dalla posizione sul mercato del lavoro, un primo dato appare di grande rilievo e per alcuni versi sor­prendente . Si tratta del fatto che ben il 60% degli intervi-

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stati ha avuto nel corso della sua esistenza una qualche espe­rienza lavorativa: è una percentuale di quasi 15 punti supe­riore a quella indicata dall'Istat per il 1982, che calcola riel 46% il totale delle forze di lavoro per la classe di età 14-24 anni. Si tratta ovviamente, nel nostro caso, di una percen­tuale sovrastimata dalla stessa formulazione della domanda, rria non di molto se si considera che solo il 44% degli intervi­stati non ha lavorato e non ha cercato un lavoro negli ultimi due anni. Questa immagine, di forte «densità» del lavoro, è ulteriormente confermata dal fatto che il campione è compo­sto da un 37% di attualmente occupati, contro una media nazionale del 32 % : in pratica, sommando gli attualmente occupati a quanti cercano un lavoro, è come se la percentuale delle forze di lavoro del campione fosse del 56%, dunque di dieci punti superiore a quella delle statistiche ufficiali (ta­belle 3 . 1 e 3 .2) .

TAB. 3 .2. La posizione sul mercato del lavoro per status socio-economico della /ami-glia

Status socio-economico

Basso Medio- Medio Medio- Alto basso alto

Occupati 46,5 43,3 37,2 29,3 18,6

In cerca di occupazione 20,9 20,3 22,0 19,3 12,8

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Chiunque si sia mai fermato ad analizzare i metodi di ri­levazione in materia sa che non si può trattare solo o preva­lentemente di una distorsione dovuta al campionamento: senza escludere, naturalmente, una qualche possibile sovra­stima del fenomeno, non si può non supporre che la parteci­pazione di fatto all' attività lavorativa e la di-

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sponibilità ad offrirsi sul mercato sia di gran lunga maggiore di quella ufficialmente registrata. Il che è implicitamente confermato dal fatto che la distribuzione del tasso di attività per sesso mantiene all'incirca la stessa distanza (poco meno di nove punti percentuali) nel campione e nelle stime uffi­ciali dell'Istat 5 •

Il dato strutturale contraddice dunque l'immagine di un mondo giovanile «distaccato» dal lavoro: non solo perché maggiore è l 'occupazione, ma soprattutto perché la ricerca attiva di lavoro interessa una quota di popolazione assai piu vasta di quanto non si sia soliti stimare : una media del 20% sull'intera classe, che sale quasi al 25% per il gruppo dai 18 ai 20 anni. E si noti che il 50% di quanti al momento dell'in­tervista non studiavano e non lavoravano non aveva alcuna esperienza lavorativa precedente: ma che il 90% di essi era in una posizione di ricerca attiva del lavoro.

Questo elemento introduce un'altra considerazione. E cioè il fatto che la disoccupazione giovanile, sebbene sia sempre di piu un fenomeno strettamente connesso con quello della disoccupazione intellettuale, mantiene una con­sistente connotazione di classe. Il fenomeno è evidente se solo si considera che la percentuale di quanti non hanno mai lavorato passa dal 33 ,3% degli intervistati di condizione so­ciale inferiore al 56% dei giovani di status piu elevato e che la quota di disoccupati in senso proprio va rispettivamente dal 12% al 4% risalendo la stessa scala, mentre quella degli occupati passa dal 47 al 19%.

Tale connotazione di classe è ancora piu evidente se si considera la collocazione geografica delle opportunità di la­voro, da cui risulta che piu della metà dei giovani meridio­nali non ha mai svolto un'attività lavorativa (contro una me­dia nazionale del 40%) e, soprattutto, che la percentuale di quanti oggi non studiano e non lavorano è quasi il doppio nel Mezzogiorno rispetto alle aree nord-occidentali del paese e, comunque, di dieci punti percentuali superiore a quella ri­scontrata nel resto dell'Italia.

5 Una distanza non dissimile, peraltro, da quella a suo tempo stimata da L. Frey, Occupazione e disoccupazione giovanile in Italia, Roma, lsvet, 197 1 .

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Il quadro della perdurante connotazione di classe della disoccupazione è completato, infine, dalla considerazione che gli inoccupati non in cerca di lavoro sono il 33% dei gio­vani di condizione sociale inferiore, contro il 69% di quelli di status superiore: un rapporto ampiamente confermato, per altra via, dall'osservazione che solo il 14% dei giovani inseriti in famiglie a piu elevato. livello di istruzione ricerca attivamente un'occupazione, contro il 23% di quelli le cui famiglie posseggono le minori credenziali in materia di for­mazione o di istruzione formale.

In sintesi, per ciò che concerne la posizione sul mercato del lavoro, la situazione che emerge dalla ricerca potrebbe essere riassunta in questi termini: a) il tasso di attività è di molto superiore a quello ufficiale; b) la ricerca di lavoro inte­ressa una popolazione quasi doppia rispetto a quanto le rile­vazioni Istat registrano; c) la disoccupazione interessa mag­giormente i giovani meridionali di quelli del Centro-Nord, oltre a quanti sono inseriti in strutture familiari con un li­vello di istruzione inferiore.

In un contesto maggiormente strutturato, quest'ultima osservazione potrebbe indirettamente far pensare ad una crisi della domanda di lavoro a minor livello di qualificazione e, dunque, ai consueti effetti indotti di rigidità che rendono piu difficilmente collocabile l'offerta dotata di maggiori cre­denziali formative . L'analisi della distribuzione degli attivi per qualifiche ·e mansioni, però, smentisce in parte questa ipotesi.

Come mostra la tabella 3 .3 , infatti, le posizioni lavora­tive di maggior qualificazione sono distribuite, indipenden­temente dalla zona geografica, a netto favore dei giovani ap­partenenti agli strati sociali medio-alti e dotati di un piu alto livello di istruzione, con un indice di correlazione fra livello occupazionale e posizione sociale ascritta pari a O, 78 . Se però incrociamo questo risultato con i tassi di attività dei ri­spettivi gruppi abbiamo un'ulteriore conferma di quanto os­servato in precedenza: i giovani degli strati sociali piu istruiti, appartenenti ai gruppi sociali piu elevati, delle zone settentrionali del paese, hanno una collocazione lavorativa (sul piano qualitativo, oltre che quantitativo) decisamente

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migliore degli altri, in una scala che vede collocati all'ultimo posto i giovani meridionali con un minor livello familiare di istruzione, indipendentemente dalla condizione economica della famiglia di appartenenza.

Ma dove sono collocati questi giovani? Se consideriamo solo quanti lavorano «a tempo pieno» (vedremo in seguito che cosa significhi questa dizione) e quanti «lavorano e an­che studiano» (in tutto, sommando le due quote, il 36,6% del campione) , otteniamo una distribuzione per settore di at­tività non molto discostata da quella delle rilevazioni uffi­ciali; il 7,4% è collocato in agricoltura (8,5% secondo l'I­stat), il 49,5% nell'industria (46,9% per l'Istat) e il 43, 1 % nel terziario (rispettivamente il 44,6%). Ma la distribuzione settoriale non ha grande rilievo, se non per sottolineare che quella riscontrata nel campione rispecchia in larga misura quella dell' universo: ciò che piu conta, ai fini di un'analisi della condizione lavorativa, è la distribuzione per dimen­sioni aziendali.

Qui il dato è abbastanza impressionante e parla, per cosi dire, «da solo», anche se non sono possibili confronti analitici per la stessa classe d'età con le statistiche ufficiali: oltre ad un 10% di giovani che lavorano «in proprio», la ri­cerca fa registrare quasi il 40% degli occupati come operanti in aziende di piccolissime dimensioni (da 2 a 5 addetti), il 37% in aziende medio-piccole (da 6 a 50 addetti) e il 12,4% in aziende con piu di 50 addetti. In sostanza, circa la metà della popolazione attiva del campione è occupata in piccolis­sime imprese artigianali o svolge lavoro autonomo: è un dato da tener presente allorché si analizzeranno le opinioni sul la­varo, ma, per il momento, è soprattutto un dato rilevante per interpretare i risultati ottenuti circa l'orario di lavoro e il livello retributivo.

Se consideriamo quanti hanno dichiarato di essere unica­mente lavoratori, infatti, osserviamo che vi è un 22% di oc­cupati che si potrebbero definire part-timers, avendo lavorato meno di 30 ore nella settimana precedente l'indagine, contro il 78% di occupati «pieni» (il 32% dei quali, si noti, ha di­chiarato di aver lavorato piu di 45 ore) . Quanto alla retribu­zione, il guadagno medio mensile dichiarato dagli intervi-

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stati è di 474.000 lire, pari a una retribuzione oraria di 3 . 300 lire, con una forte sperequazione a svantaggio delle donne, che mediamente guadagnerebbero il 20% in meno dei ma­schi, e un divario ancor maggiore nel mezzogiorno, in cui la retribuzione dichiarata appare del 35% inferiore a quella del resto del paese (dove peraltro non si presentano sensibili dif­ferenze territoriali) .

Come leggere questa combinazione fra una retribuzione media inusitatamente bassa (dando per scontato che gli in­tervistati abbiano probabilmente dichiarato meno di quanto guadagnano in realtà, anche se non può essersi trattato di un' «autoriduzione» particolarmente forte) e una struttura dell'orario di lavoro in cui solo il 53% degli intervistati pre­senta un orario «normale», contro un 22% di «sottoccupati» e un 25 % di «iperoccupati» (a cui si dovrebbe aggiungere un 5 % di «doppiolavoristi» dichiarati)?

La spiegazione va probabilmente cercata, come è stato appena anticipato, proprio nel fatto che la metà degli occu­pati del campione è collocata in strutture produttive piccolis­sime o ha un lavoro autonomo saltuario e scarsamente quali­ficato. Il quadro si completa se ricordiamo che solo un 22% circa di coloro che lavorano svolge mansioni impiegatizie e che meno del 20% dichiara di possedere un'occupazione manuale qualificata. Essere giovani, non specializzati, con una scarsa anzianità di lavoro (non scarsissima, comunque, se non altro dato che il 5 1 % degli intervistati lavora nella stessa azienda da almeno due anni) , collocati presso piccolis­sime aziende, significa lavorare o saltuariamente o moltis­simo, ed insieme essere sostanzialmente sottoremunerati. L'apprendistato, insomma, continua sotto altra forma e il «miracolo» dell'economia diffusa non consiste solo nella fles­sibilità organizzativa e nella genialità imprenditoriale della piccola impresa.

Proviamo, giunti a questo punto, a tracciare un quadro strutturale di sintesi per quanto riguarda la situazione giova­nile sul mercato del lavoro. I dati essenziali sono cinque: a) il tasso di attività registrato è particolarmente, o inaspettata­mente, elevato; b) esso comprende una quota di occupazione marginale o periferica in senso stretto che riguarda il 22%

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degli occupati (e il 29% circa delle donne nella stessa condi­zione) , ma che può essere estesa ad una parte probabilmente non piccola di quel 28% del campione che ha avuto una qualche socializzazione al lavoro e non risulta attualmente occupata; c) gli inoccupati in cerca di lavoro, in percentuale quasi doppia rispetto alle statistiche ufficiali, sono prevalen­temente soggetti in famiglia con un livello di istruzione me­dio-basso; à) le attività di gran lunga prevalenti sono di tipo manuale (il 6 7%) e a scarso livello di qualificazione (quasi il 50%) e sono effettuate anche da soggetti di famiglia con istruzione medio-alta (quasi il 32% del gruppo); e) tali man­sioni sono svolte soprattutto in piccole e piccolissime aziende, con remunerazioni presumibilmente inferiori alle tariffe sindacali minime e con orari di lavoro particolar­mente lunghi per un quarto dei giovani occupati.

Al quadro appena tracciato va aggiunto il fatto che l'an­zianità di lavoro è probabilmente consistente, se si ricorda che il 1 7 % degli intervistati era già occupato a 16 anni e che per il 42% degli occupati attuali questa non è la prima ocçu­pazione, oltre al dato per cui il 40% degli intervistati che la­vorano è occupato nella stessa azienda da almeno 3 anni (e il 18% lo è da piu di 5) .

La ricerca, in sostanza, prefigura una situazione per al­cuni versi piu drammatica di quella descritta dai dati uffi­ciali, almeno nei limiti di rappresentatività di un campione in cui la partecipazione al mercato del lavoro non era previ­sta fra gli elementi della stratificazione . Sul piano degli ag­gregati macroeconomici, infatti, essa ci ricorda non solo che la ricerca attiva di lavoro interessa in pratica piu del 20% della popolazione considerata, ma quasi il 30% dei diplo­mati, con un'incidenza superiore al 40% dei diplomati di condizione socio-economica inferiore.

Non disponendo di una misura dei tempi di attesa sul mercato è probabilmente lecito ridimensionare in parte la portata di queste cifre. Ma la stessa operazione di ridimen­sionamento non è praticabile con riferimento ai dati che im­plicitamente parlano di un modello occupazionale che ha i suoi pilastri nell'appartenenza al mercato del lavoro margi­nale (in senso proprio, o nell'accezione estensiva che com-

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prende larga parte degli occupati nelle piccole e piccolissime imprese) e nel lavoro dequalificato, svolto anche da perso­nale dotato di credenziali formative medio-alte.

Il quadro complessivo, insomma, è quello di una popola­zione giovanile piu disponibile alla prestazione lavorativa di quanto non ritengano i difensori dell'ipotesi di una qualche diffusione del «rifiuto» del lavoro e, insieme, di quanto non temano i sostenitori della (supposta) avvenuta decadenza dell' «etica» del lavoro. Si tratta, presumibilmente, di una di­sponibilità ascrivibile piu alle condizioni materiali del mer­cato che non all'affermarsi collettivo di una diversa modalità di presentazione e di comportamento dell'offerta. Nessuno dei dati strutturali fin qui esaminati, infatti, consente di ipo­tizzare che la collocazione «periferica» sul mercato sia «scelta».

E vedremo presto come essa sia probabilmente vissuta, in tal caso, come provvisoria: dunque condizionata da un an­damento della domanda (e da un corrispettivo atteggiamento delle organizzazioni di rappresentanza del lavoro) che «sco­raggia» ogni anomalia nel comportamento dell'offerta e, al contrario, incoraggia ogni comportamento di dipendenza dalle regole sociali (in primo luogo familiari) che presiedono al funzionamento del mercato.

È in questo senso che la situazione descritta presenta forti elementi di drammaticità. Il rovescio della medaglia sta nel fatto che le occasioni occupazionali sono, in sostanza, maggiori di quelle ufficialmente previste: e dunque che le opportunità di sopravvivenza autonoma della popolazione giovanile sembano essere piu consistenti di quanto comune­mente non si creda. A quale prezzo, e con quale incidenza sul sistema dei valori, vedremo nel prossimo paragrafo .

3 . I significati del lavoro

Che il lavoro occupi una posizione preminente nella scala dei valori di una popolazione come quella appena descritta è dunque apparentemente ovvio. Nessuna meraviglia, per­tanto, se il 68% degli intervistati lo considera come un ele-

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mento molto importante nella propria esistenza, immediata­mente dopo la famiglia e prima delle relazioni affettive, con una impressionante omogeneità di vedute in proposito, dato che il risultato è pressoché omogeneo per sesso, classe sociale e zona geografica e si differenzia in modo parzialmente si­gnificativo solo per il gruppo dei piu giovani (i 15 - 1 7enni, il 5% dei quali dà ad esso una posizione di scala inferiore) .

Naturalmente, il risultato è da considerarsi ovvio unica­mente se si ritiene che un'esperienza conti, nell'economia esistenziale di ognuno, per il solo fatto di essere accaduta. Oppure (ed è sicuramente una spiegazione piu consistente), perché essa possiede una maggiore capacità normativa sull'e­sistenza di un determinato soggetto. È possibile che tale ca­pacità sia in funzione diretta dello spazio occupato dall'atti­vità considerata nel bilancio esistenziale di ognuno: ma non può trattarsi di una trasposizione meccanica. Se cosi fosse, ad esempio, l'attività sessuale dovrebbe solitamente contare meno di quanto non sembri nell'orientare i comportamenti sociali.

Ma allora perché il lavoro pare avere un peso cosi rile­vante nella vita dei nostri intervistati? La mia ipotesi, che ri­chiederà la lunga illustrazione che verrà fatta nelle prossime pagine, è che quel peso è frutto di un calcolo razionale, di un accurato bilancio fra aspettative e opportunità, all'interno di un quadro negoziale delle appartenenze sociali.

Il primo punto della dimostrazione consiste nel far osser­vare che il lavoro conta molto poco come oggetto di riferi­mento trascendente l'esperienza individuale. Quasi il 70% dei giovani intervistati dichiara di avere poca o nessuna fidu­cia nei sindacalisti (i piu anziani meno degli altri, gli occupati piu dei disoccupati), mentre la stessa percentuale ritiene che gli operai dovrebbero «contare» di piu nella società italiana e, nello stesso tempo, il 44% si dichiara d'accordo con l' af­fermazione per cui <<se si vuole la completa uguaglianza si di­strugge l'iniziativa personale».

Sfiducia nelle istituzioni rappresentative del lavoro e dif­fidenza verso l'egualitarismo non sono contraddittorie con un'immagine del riequilibrio fra i gruppi sociali, solo se si ac­cetta l' idea che questi ultimi sono percepiti come piu vicini

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all'esperienza quotidiana degli intervistati. Per quanto para­dossale possa sembrare, questa è probabilmente una società in cui le istituzioni e i valori che esse dichiarano sono piu distanti dal sentire comune dei referenti simbolici a cui esse fanno appello.

Il lavoro non sfugge a questa logica. A fronte di una consistente maggioranza che ritiene sottovalutato il peso so­ciale dei lavoratori come classe, sta un'identica percentuale di sfiduciati verso il sindacato e una discreta maggioranza di dissenzienti nei confronti del principale messaggio ideolo­gico da questi trasmesso, senza peraltro fare alcuna dichia­razione di fede rivoluzionaria .

Insomma: se conta essere lavoratori, ciò non avviene perché siamo o dovremmo essere uguali. E lo dimostra ulte­riormente la scala di preferenze sui criteri della remunera­zione. Alla domanda «chi dovrebbe essere pagato di piu?», infatti, gli items che potremmo raggruppare sotto la voce «indicatori di merito» (chi rende di piu, chi ha piu responsa­bilità, chi ha piu esperienza e preparazione tecnica) raccol­gono il consenso di quasi i sei decimi degli intervistati, men­tre gli indicatori «di bisogno» incontrano l'adesione solo del 38% del campione (il 2 1 ,4% «chi ha una famiglia piu nu­merosa» e il 16,6% «chi fa un lavoro piu faticoso») (tabella 3 .4) .

È interessante osservare che gli indicatori di bisogno sono scelti piu dai soggetti di classe inferiore che dagli altri, piu dalle femmine che dai maschi, piu dagli intervistati di famiglie meno scolarizzate: ma soprattutto che sono scelti solo dal 36,5% degli occupati, mentre vengono fatti propri dal 47% degli attualmente inoccupati.

Siamo ben lontani, dunque, dall'adesione massiccia a valori egualitaristici, anche se un 38% di intervistati che appare condividerli (soprattutto in un campione in cui poco piu del 30% dichiara un'esplicita preferenza per i partiti di sinistra) non è poco. E non lo è tanto piu se si ricorda che non siamo in presenza di un campione particolarmente sin­dacalizzato, dato che non piu del 10% degli intervistati aveva, nel trimestre precedente, preso parte a manifesta­zioni sindacali o comunque inerenti problemi del lavoro e

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visto che neanche l' l % considera il sindacato l'organizza­zion� di appartenenza piu importante.

E probabile, allora, che le opinioni prima ricordate siano da interpretare come parte di una complessiva immagine ne­gozia/e del lavoro, in cui prevalgono gli elementi legati alla prestazione piu che al valore, e quelli strumentali piu di quelli intrinseci. Se ne può avere una conferma dall' analisi delle risposte alla domanda relativa a ciò che «conta» di piu nel lavoro. Gli indicatori che potremmo denominare di stru­mentalismo (il reddito, la sicurezza del posto e, per quanto di piu incerta collocazione, la possibilità di migliorare red­dito e tipo di lavoro) raccolgono il 48% delle adesioni, se­guiti dagli indicatori di autorealizzazione nel lavoro (autono­mia, interesse, possibilità di imparare e di esprimersi) che raggruppano il 33% degli intervistati, mentre solo il 17% di essi considera al primo posto le condizioni di svolgimento del lavoro (orario, rapporti con colleghi e superiori) .

La situazione non muta radicalmente alla richiesta di in­dicare una seconda scelta: il 42% indica elementi strumen­tali, mentre gli indicatori di autorealizzazione e di condi­zione raccolgono entrambi un 28% di consensi. Ritornando alla prima scelta, comunque, può essere interessante osser­vare che gli indicatori di strumentalismo sono piu presenti fra i maschi che fra le femmine e, soprattutto, fra gli inoccu­pati (56,7%) e gli occupati (52,2 %), oltre che fra i soggetti delle famiglie a minor livello di scolarità (60%) .

Dunque, il lavoro conta molto nell'economia esistenziale degli intervistati, ma conta soprattutto come realtà concreta e come strumento: solo per i soggetti in strutture familiari con un maggior livello di istruzione esso appare anche un luogo di autorealizzazione (per il 53% di essi, che sceglie di indicatori relativi, ponendoli al primo posto).

Un'implicita conferma di questo realismo di fondo emerge dalla domanda sull'occupazione preferita. Invitati a dire quale lavoro sceglierebbero per sé, potendolo, gli inter­vistati si disperdono in un rivolo di occupazioni (almeno 56, se raggruppate in categorie relativamente omogenee) che hanno due caratteristiche di fondo: a) indicano posizioni la­vorative specifiche e ben identificate; b) escludono scelte

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fantastiche o evidentemente irrealistiche. Come a dire che il lavoro non è luogo in cui esprimere deliri di onnipotenza: è una necessità, una cosa «da adulti» e a cui pensare con un at­teggiamento analitico e «responsabile».

Per esemplificare : accanto a un 10% di indecisi, equa­mente ripartiti per sesso e classi di età, a testimoniare che si è incerti anche per realismo, oltre che per impreparazione, vi è solo l' 1 1 % circa degli intervistati che sceglie il generico «impiegato» (ed è un'opzione piu femminile che maschile , dei meno giovani rispetto agli altri) . Per il resto, neppure il 10% sceglie occupazioni élitarie o scarsamente definite (lo scrittore come l'artista o l'attore o il pilota o il «manager» e assimilati) : e altrettanti, all'incirca, si sognano generica­mente «operai» o «contadini». Tutti gli altri (e sono il 60%) si raffigurano collocati in una ben definita occupazione di tipo impiegatizio, con una netta preferenza verso lavori au­tonomi, ma - soprattutto - verso «mestieri», definiti con estrema precisione, anche se non sempre con la preveggenza che potrebbe derivare da una migliore conoscenza delle ten­denze del mercato del lavoro .

Quando poi questo popolo di aspiranti commesse, mec­canici, maestre d'asilo, idraulici, elettricisti, baristi, inse­gnanti e via dicendo si interroga sulla probabilità di realiz­zare di fatto l'opzione «ideale», lo fa con un realismo quasi cinico. Il 54% pensa di potercela fare (primi i lavoratori-stu­denti, poi gli occupati e i provenienti dagli strati piu istruiti, in coda gli studenti, i 18-20enni e infine le donne) , mentre il 46% dubita che si tratti di un sogno o ritiene di non potersi pronunciare in materia. I meno giovani, le donne di ogni classe di età, i meno istruiti sono i piu sfiduciati: ma lo sono soprattutto gli inattivi, quasi il 60% dei quali teme di aver dichiarato una preferenza irrealizzabile.

A proposito di realismo: è preferibile lavorare in proprio o alle dipendenze? In un' azienda privata o nel settore pub­blico? In una struttura produttiva di grandi o di piccole di­mensioni? Se la prima opzione lascia spazio alle fantasie (di libertà, di reddito, status) , non è difficile capire perché piu del 50% degli intervistati dichiari la propria preferenza per il lavoro autonomo: piu i maschi delle femmine, i soggetti a

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maggior scolarizzazione e quelli di condizione sociale ptu agiata rispetto ai meno istruiti e a quanti si trovano in posi­zione svantaggiata sotto il profilo dello status socio-econo­mico. E primi assoluti i giovani collocati nelle aree dello svi­luppo dell'economia periferica (tabella 3 . 5) .

Ma se è piacevole pensarsi come imprenditori di se stessi (il che può confortare insieme chi teme una caduta dell'etica del lavoro, cosi come quanti si augurano la nascita di una fase segnata dal desiderio di autogestione del proprio tempo), è pur sempre meglio aver a che fare con elementi di certezza, quando si parla di lavoro. È difficile interpretare diversamente il risultato per cui il 5 1 % degli intervistati pre­ferirebbe lavorare in una grande azienda, laddove il 29% sceglierebbe una struttura di piccole dimensioni e il 19% ne fa una questione di analisi della situazione concreta. Chi ha già un lavoro è piu cauto in proposito, a ricordare - se ve ne fosse ancora bisogno - che l'esperienza di fatto del lavoro sfuma i confini delle opzioni ideali, ma lo svantaggio sociale (culturale e di status) radicalizza la scelta a favore della grande impresa: suggerendo nuovamente che le garanzie oc­cupazionali e normative contano piu di tutto nel determi­nare gli orientamenti verso il lavoro.

E non dissimile è la situazione se si deve scegliere fra set­tore pubblico e privato. Qui non c'è una maggioranza asso­luta, a differenza di quanto rilevato nei due casi precedenti. La scelta per l' impiego pubblico ha ancora la maggioranza re­lativa (il 45% dei suffragi) , a testimonianza del permanere di un'immagine di stabilità che è stata erosa ma non soffocata dall'idea di noia e ripetitività che evoca la burocrazia. Che all'impiego pubblico aspirino le donne piu dei maschi, i meno istruiti e benestanti piu degli altri, i meridionali poco piu dei settentrionali, non rileva molto, anche se può confer­mare piu di uno stereotipo: colpisce maggiormente che piu della metà degli inoccupati esprima tale preferenza. Se non è realismo questo . . .

Le osservazioni accumulate fino a questo momento pos­sono consentire un primo bilancio. Il punto saliente è che il lavoro, diffuso, presente, rilevante nell'economia esisten-

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ziale degli intervistati, sembra contare soprattutto come op­portunità concreta, come strumento per la realizzazione di istanze ad esso estrinseche. Non è un oggetto sociale su cui far convergere attese particolari di autoriconoscimento e nep­pure costituisce un elemento da cui far partire aspettative di profondo rivolgimento dell'ordine sociale. Se dispiace che i lavoratori siano socialmente poco valutati, non si ritiene che lo debbano essere per motivi estrinseci al loro contributo «ef­fettivo» alla costruzione di un determinato ordine.

Non è agevole dire quanto di questa prosaicità di imma­gine sia legata allo strumento di ricerca: e resta il dubbio che altre modalità di rilevazione del problema avrebbero potuto far emergere un quadro, se non piu problematico, almeno piu ricco di sfumature, se non altro con riferimento al rap­porto fra attese ed esperienze di fatto vissute dagli intervi­stati. Certo è, però, che i dati fin qui analizzati sembrano èondurre in modo pressoché univoco alla definizione di un'immagine del lavoro fondata quasi esclusivamente su ele­menti di tipo laico-razionale.

Un'immagine, questa, ulteriormente rafforzata dall'ana­lisi degli atteggiamenti verso il rapporto fra lavoro e tempo libero. Neppure un quarto degli intervistati, infatti, opte­rebbe per una soluzione mirata alla diminuzione del tempo di lavoro: e se di questi 1'80% si dichiara disponibile anche a costo di una diminuzione della retribuzione, non si può di­menticare che lo sono le donne piu dei maschi e gli intervi­stati collocati nelle posizioni intermedie sotto il profilo dello status e delle credenziali formative, piu dei soggetti apparte­nenti alle posizioni estreme per ciò che riguarda tali indica­tori (tabella 3 .6) .

In sostanza, il 60% del campione dichiara di preferire un allungamento dell'orario, in cambio di un maggior guada­gno, mentre il lO% si ritiene soddisfatto della situazione at­tuale. Poiché la domanda era stata rivolta solo agli attual­mente occupati, resta la curiosità di sapere se gli studenti non avrebbero fornito indicazioni divergenti 6: in assenza

6 Indicazioni del tipo fornito, ad esempio, dalla ricerca di L. Ricolfi, L. Sciolla, Senza padri né maestri. Inchiesta sugli orientamenti politici e culturali dei gio­vani, Bari, De Donato, 1980.

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del dato, resta l' osser�azione di fondo, legata alla qualità del lavoro svolto dagli attualmente occupati. Resta, cioè, il dub­bio che la scelta dell'allungamento dell'orario (e del maggior guadagno) , sia in qualche misura influenzata dal fatto di avere un'occupazione in strutture produttive piccole e pro­babilmente poco regolamentate, come quelle di cui si è par­lato nel paragrafo precedente.

A cautelare dalla portata di questo dubbio sta, comun­que, il fatto che il 65 % degli occupati si dichiari soddisfatto della quantità di tempo libero attualmente a disposizione {le donne meno dei maschi, i piu giovani meno degli apparte­nenti alle classi di età superiori) . Del resto neppure l'even­tualità di disporre di maggior tempo libero alimenta partico­lari fantasie: il 42% lo vorrebbe dislocato settimanalmente (a implicita conferma di una distribuzione attuale dell'orario che non consente di fruire di un week-end pieno) , il 25% op­terebbe per una diminuzione dell'orario giornaliero - e qui incidono soprattutto le donne - mentre il 30% preferi­rebbe un allungamento delle ferie .

Che l'immagine del lavoro, a questo punto dell' analisi dei dati, sia profondamente «laica» non vi è piu dubbio. Re­sta il problema di definire a quali variabili imputarla, oltre al contesto di una struttura occupazionale «povera» e incerta come quella descritta nel paragrafo precedente. Vedremo ora se e quanto incida in questo processo la specifica qualità del lavoro attualmente svolto dagli intervistati.

4. La soddisfazione verso il lavoro

Si è già ricordato che il campione degli occupati presenta caratteristiche di evidente dequalificazione e di collocazione in strutture produttive marginali e comunque instabili, come quelle della piccolissima impresa. A quel quadro va aggiunto il fatto che il 25% di quanti hanno abbandonato la scuola per il lavoro lo ha fatto per motivi economici.

Se aggiungiamo a questi dati gli elementi di scarsa retri­buzione già analizzati, non ne emerge certo un contesto fa­vorevole all'espressione di un elevato grado di soddisfazione

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verso il lavoro attualmente svolto. Ma le cose non stanno esattamente in questi termini. Gli insoddisfatti sono poco piu di un quarto dei giovani che lavorano (esattamente il 26,6% ), con una netta prevalenza dei giovani meridionali ed una, piu sfumata, delle donne. Il 28, 7 % si dichiara invece molto sod­disfatto e tali appaiono in particolare gli intervistati di istru­zione e di condizione sociale piu elevata. Una larga maggio­ranza relativa, circa il 45 % , si definisce «abbastanza soddi­sfatto»: i meno giovani piu degli altri gruppi e i soggetti in fa­miglie a maggior scolarizzazione e di classe sociale piu elevata maggiormente di quanti sono collocati nelle rispettive fasce intermedie (tabella 3 . 7) .

Anche in questo caso, insomma, ciò che sembra predomi­nare è un atteggiamento di grande cautela e prudenza nella valutazione della propria condizione. Tant'è vero che il 50% di chi non è pienamente soddisfatto attribuisce tale valuta­zione alle condizioni concrete di svolgimento dell'attività la­vorativa, mentre il 33% accusa l'insufficienza del reddito che ne ricava o l'insicurezza del posto e solo il 6% si ritiene insod­disfatto delle possibilità di autorealizzazione ivi contenute.

Piu insoddisfatte delle condizioni intrinseche di lavoro sono le donne, laddove i maschi e gli intervistati di classe so­ciale e istruzione inferiore manifestano la maggior insoddi­sfazione verso il reddito ricavato dal lavoro. Come a dire, an­cora una volta, che ognuno ricerca nel lavoro solo ciò che esso può dare: non autorealizzazione, altamente improbabile in la­vori prevalentemente manuali e a scarsa qualificazione; un po' di piu il reddito, dato che per quello soprattutto si lavora; molto di piu condizioni accettabili, visto che gli intervistati sembrano collocati in situazioni lavorative non certo appeti­bili.

E se ne può avere subito una conferma se si osserva la va­lutazione data sull'uso delle capacità personali richieste dal lavoro svolto. Per un quarto circa di intervistati che imma­gina di poter esprimere tutte le proprie capacità nel lavoro (e sono soprattutto i soggetti in famiglie meno scolarizzate), vi è un buon 47% che ritiene di svolgere un'attività tale da veder fortemente sottovalutate le proprie potenzialità: in partico­lare, il 57% dei giovani di condizione sociale piu elevata.

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Resta un 29% di intervistati che pensa di vedere le pro­prie abilità in larga misura utilizzate: solo i lavoratori stu­denti (in generale il sottogruppo meno soddisfatto) si di­stacca nettamente da questa media, come è ovvio che sia per chi sta presumibilmente investendo tempo e fatica per rag­giungere un traguardo lavorativo assai diverso da quello pre­sente.

Eppure non si tratta di mera acquiescenza ad una situa­zione percepita come immodificabile. Tant'è vero che del 55% circa di intervistati che non è sicuro di svolgere lo stesso lavoro fra un anno (una percentuale simile a quella re­gistrata dall'Eurobarometro) 7 è solo il. 20% a sostenere che la cosa può accadere per l'insicurezza del posto. Per gli altri sopravvive una speranza (o una volontà) di cambiamento: il 12% per migliorare il reddito; il 28% per cambiare comun­que tipo di lavoro (e ad essi andrebbe forse aggiunto il 2 1 % che non indica motivazioni ma pensa ugualmente di cam­biare) e il restante 19% nell'ipotesi di trovare condizioni di lavoro comunque piu accettabili, o maggiormente in grado di favorire un'espressione delle proprie capacità.

Insomma: speranza o volontà di cambiare non sono figlie immediate dell'insoddisfazione . Evidentemente perché non è la soddisfazione la prima cosa che si cerca nel lavoro e poi perché, se proprio lo si deve valutare, un lavoro vale di piu per ciò che rende che per ciò che (ti) consente di esprimere. In questo senso, probabilmente, il realismo degli intervistati non è mera soggezione, o adattamento passivo, ad una con­dizione «esterna». È probabilmente piu simile all'operazione intellettiva che ognuno fa quando riconosce l'esistenza di una scala di differenze sociali: saperne l'esistenza non signi­fica necessariamente né volerla percorrere, né volerla ribal­tare. Anche se, naturalmente, «prendere atto» di qualcosa è piu simile ad accettarla che a rifiutarla.

7 ].F. Tchernia, I giovani europei. Indagine sui giovani dai 15 ai 24 anni nei pae­si della Comunità, Commissione delle Comunità Europee, Bruxelles, dicembre 1982, policopiato.

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5 . Conclusioni: le ambivalenze del lavoro

Riassumere, a questo punto, che cosa significhi il lavoro per i giovani non è agevole se non si vogliono solo applicare etichette immaginose o slogan evocativi, come troppo spesso si va facendo, ad una realtà che i dati hanno mostrato cosi intricata.

Certo la ricerca consente di enunciare dei punti fermi che, se non sono certezze, sono perlomeno dati da smentire con altrettanta evidenza empirica. Il primo è che non ap­pare alcun «rifiuto» del lavoro: né sotto il profilo del com­portamento (come dichiara un tasso di attività registrato di livello inatteso) , né sotto quello degli atteggiamenti, come ci ricordano tutte le valutazioni circa il peso che esso ha nell'e­conomia esistenziale e nella scala di preferenze degli intervi­stati.

Il secondo è che non si registra alcun particolare attacca­mento al lavoro come valore . Esso è importante piu perché non se ne può fare a meno che perché consenta di espri­mersi. Se ne può essere mediamente soddisfatti anche se non è quello che si desidera e, magari, se ne cerca uno di­verso. E si ricordi che un lavoro «diverso» non è quello dei grandi progetti di trasformazione politica e sindacale.

Il terzo punto è che questo atteggiamento disincantato non conduce alla formazione di tipologie esatte. Non ci sono <(meritocratici realizzati» da opporre a <(populisti ar­rabbiati». Gli assi delle valutazioni si incrociano e sfumano in un panorama alquanto piu variegato di quanto non sa­rebbe auspicabile volendo tracciare confini precisi, parti­zioni nette e in qualche modo definitive.

Certo il campione non comprende né nipotini del '68, né figli del <@ovimento del ' 77»: ma non è detto che non ne raccolga ; in parte, le contrastanti eredità. Che il 40% degli intervistati dica che va pagato di piu chi fa piu fatica o ha una famiglia piu numerosa non è il frutto dell'evoluzione naturale di una società industriale. E che gli stessi soggetti ritengano sufficiente il tempo libero a disposizione non è, per converso, sintomo dell 'avvenuta penetrazione di una cultura eversiva, tanto piu visto che lavorano molto.

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Il lavoro, forse, è solo un «pezzo della vita»: non l' og­getto principale attraverso cui passa la catarsi rivoluzionaria e neppure la via maestra dell'autorealizzazione. Probabil­mente non ha piu uno statuto etico, ma solo caratteristiche negoziali. Qui la ricerca è monca, per i limiti intrinseci ad un'indagine campionaria, che necessariamente deve rifarsi a nozioni individualistiche come quelle di atteggiamento. Ma non impedisce di fare ipotesi circa la natura negoziale del la­varo e di ciò che vi è connesso.

Ma, prima di farle, ricordiamo che essa consente di sta­bilire altri due punti fermi. Il primo di essi è che il disincanto verso il lavoro, appena ricordato, non discrimina secondo le variabili indipendenti normalmente usate. Età, sesso, condi­zione sociale, livello familiare di istruzione, collocazione geografica, sono elementi che contribuiscono a mettere in evidenza delle differenze, ma non costituiscono quasi mai delle nette spaccature. È difficile dire se questa sia una prova indiretta dell'esistenza di un gruppo situazionale (tanto piu che differenze di status, anche consistenti, ci sono e sono state rilevate, ad esempio sul terreno delle opportu­nità per l' accesso al lavoro) : ma certo è un problema da af­frontare, anche se probabilmente con strumenti diversi da quello qui usato.

L'ultimo punto concerne il messaggio sul lavoro che emerge complessivamente dai dati. Nessuno si aspettava (non è il momento) l'apparizione di furori ideologici e non c'è dunque stupore per l'evidente distacco da ogni richiamo alla lotta o all'integrazione deferente. Certo è però che è dif­ficile restare impassibili di fronte a tanta distanza verso ogni discorso paludato sul lavoro, da qualunque parte provenga. «Riflusso» e «rivolta» sono categorie inapplicabili agli atteg­giamenti degli intervistati: ed è un'osservazione, vorrei sot­tolinearlo, che vale per le donne come (ma era piu scontato) per i maschi 8•

Resta, insomma, un 'idea di lavoro come attività-che-per­mea-la-vita, ma di cui non è chiara la portata normativa . Non è

8 Cosi anche A. Cavalli, La gioventù: condizione o processo?, in <<Rassegna i taliana di sociologia>>, XXI ( 1980), n. 4.

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una grande occasione per formare solidarietà (neppure infor­mali, dato che poco piu del 10% del campione ha costituito fra colleghi il proprio principale gruppo d'amici) , anche se non si rinuncia a pensare che i lavoratori dovrebbero «con­tare di piu». Vale piu degli affetti (e meno della famiglia) , ma forse solo - comunque soprattutto - perché dà un reddito. Va premiato chi lo fa meglio, ma ci si può assentare, come si diceva una volta, anche «per ingiustificato motivo» (e il 25% del campione non ha dubbi nell'affermare che potrebbe sue­cedergli) . Sarebbe bello lavorare in proprio, ma è comunque meglio essere in una grande azienda, anche perché la sicu­rezza conta quasi quanto il reddito.

Potrebbe essere solo un rompicapo (e in parte lo è) , se non sapessimo dove e come lavorano questi giovani. Il che significa in quale contesto culturale, oltre che in quali man­sioni e strutture produttive, ed in quale situazione econo­mica. Sotto questo profilo essi probabilmènte non fanno che riflettere, con accentuazioni proprie ma non particolarmente evidenti, un'incertezza di dimensioni assai piu vaste. L'in­certezza sulla capacità normativa di un'attività che ha se­gnato e contraddistinto un'epoca storica che si sta chiu­dendo, senza che di quella attività si possa ancora fare a meno . Racchiudere nel lavoro il simbolo di un'epoca è stata un'operazione riduttiva: e oggi è facile riconoscerlo. Ma poi­ché non è altrettanto facile dire che cosa possa sostituirlo e se

sia sostituibile, tocca ancora al lavoro il compito di simboliz­zare i travagli di una trasformazione in atto. E dunque quello di mostrare un volto contraddittorio - segnato da una accettazione non deferente - come quello rilevato dalla ricerca, e quotidianamente riconoscibile nella relativa appa­rente indecifrabilità del mondo giovanile.

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CAPITOLO QUARTO

ASSOCIAZIONISMO E PARTECIPAZIONE POLITICA

l . Due generazioni a confronto

I piu «vecchi» fra i giovani del nostro campione avevano, durante la contestazione studentesca, circa 10 anni. I piu giovani o non erano ancora nati o nascevano proprio in que­gli anni. Nel 1977, anno che chiude definitivamente il ciclo di mobilitazioni collettive iniziato alla fine degli anni Ses­santa, i piu vecchi hanno appena compiuto i 18 anni, mentre i piu giovani frequentano ancora le scuole elementari.

La generazione di giovani che è sotto i nostri occhi è quindi la prima ad essere, per cosi dire, completamente «estranea» agli eventi degli anni caldi, la prima cioè i cui membri non possono avervi preso parte direttamente e in prima persona, o ne sono stati appena sfiorati. Chiedendoci che cosa è cambiato da quegli anni non ci chiediamo dunque come sono cambiati i giovani di allora ma ci chiediamo in­nanzitutto come sono cambiati i giovani da allora.

Per cercare di caratterizzare il profilo della generazione che ha preso il posto di quella del '68 ci serviremo, quando sarà possibile, dei risultati di due inchieste nazionali sui gio­vani compiute fra il 1969 e il 1970, ossia 13 -14 anni prima della nostra. La prima, condotta nel 1969 dalla Doxa per conto della Shell, riguardava un campione di oltre 2. 000 gio­vani compresi fra i l 7 e i 25 anni, nati quindi fra il 1944 e il 1952. La seconda, finanziata dall'Isvet e condotta nel 1970, riguardava un campione di circa 7 .500 giovani compresi fra i 14 e i 25 anni, nati quindi fra il 1945 e il 1956.

Come si vede dalla figura 4 . 1 , anche quest'ultima, che arriva un po' piu in là negli anni del dopoguerra (i quattordi­cenni del 1970 sono nati nel 1956), non ha alcuna leva in co­mune con la nostra indagine, che si estende dai nati nel 1958 ai nati nel 1968.

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lf=---- Isvet '70 ------=1 l �ard ,83 ----l � Shell '69-----=j � f--. --1944 1945 1952 1956 1958 1 968

FIG. 4 . 1 . Le leve delle ricerche sui giovani.

2. La partecipazione politica: il nocciolo e la polpa

I giovani che si definiscono politicamente impegnati sono circa 3 su 100, pressappoco quanti dichiarano di far parte di un'organizzazione politica o di un sindacato. Nella generazione precedente i primi (giovani «impegnati») erano circa il doppio (Shell 1969), i secondi (aderenti ad un partito o sindacato) erano almeno il triplo (Isvet 1970) .

TAo. 4 . 1 . L 'impegno politico (1969-70/1 983)

Politicamente impegnati Aderenti a un partito Aderenti a un sindacato

1969-70 1983

6,2 7,3 5,2

3,2 2,2 1 ,0

Si tratta indubbiamente di un calo vistoso, anche se forse il dato piu interessante non è il segno del mutamento quanto l'ordine di grandezza dei fenomeni coinvolti, allora come oggi, anzi allora piu di oggi. I dati delle due indagini del periodo 1969-70 mostrano in modo piuttosto chiaro come anche negli anni in cui la mobilitazione collettiva aveva raggiunto le sue punte massime la militanza politica e sindacale fosse limitata ad una minoranza della popolazione giovanile, una minoranza certo cospicua, attiva ed influente ma pur sempre una minoranza. Anche dilatando al massimo la nozione di impegno, fino ad includervi chiunque parteci­passe a riunioni, manifestazioni, scioperi, commissioni di studio come militante in un sindacato, in un'organizzazione politica o anche come semplice membro del movimento stu-

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dentesco, il tasso di partecipazione degli anni caldi resta re­lativamente contenuto: secondo l'indagine Isvet i giovani «attivi» sono circa 22 su 100, e di questi ben 16 dichiarano di esserlo in modo saltuario.

Una conferma indiretta del carattere minoritario della partecipazione politica dei giovani di quel periodo ci viene, del resto, dai dati dell'indagine Shell sull'atteggiamento dei giovani verso la politica. Su 100 giovani intervistati circa 55 dichiarano disinteresse per la politica («bisogna lasciare la politica a persone che hanno piu competenza di me» oppure «la politica mi disgusta») , mentre dei restanti 45 ben 38 si li­mitano a manifestare attenzione per la politica, escludendo esplicitamente ogni partecipazione diretta («mi tengo al cor­rente della politica ma senza parteciparvi personalmente») .

Tutto ciò fa supporre che l'area dei giovani coinvolti in modo diretto ed attivo in qualche forma di partecipazione politica o sindacale non abbia mai superato, nemmeno negli anni a cavallo del '68, il tetto del lO% della popolazione gio­vanile. Questo nucleo «duro» della partecipazione politica si è certo ridotto molto da allora, scendendo abbondantemente al di sotto del 5% nei primi anni Ottanta, ma esso rappre­senta pur sempre un livello di partecipazione, il gradino piu alto di una scala che ne possiede diversi. Che ne è stato degli altri?

Distinguendo tre livelli di partecipazione politica, e cioè i militanti, gli attivi saltuari e i semplici interessati, il quadro tracciato fin qui cambia in maniera sensibile . Mentre i mili-

TAB. 4.2. L'intensità della partecipazione politica

Militanti Attivi saltuari Interessati Disinteressati

Composizione

1969·70 1983 À

6 3 - 3 16 33 + 17 21 14 - 7 5 7 50 - 7

83

Percentuali cumulative

1969· 70 1983 À

6 3 - 3 22 36 + 14 43 50 + 7

100 100

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tanti sono scesi dal 6% al 3 % , coloro che prendono parte, anche saltuariamente, ad iniziative pubbliche di carattere politico sono saliti dal 22% al 36% , e coloro che provano in­teresse per la politica dal 43 % al 50% .

Se immaginiamo la partecipazione politica come un frutto, in cui i militanti costituiscono il nocciolo, gli attivi saltuari la polpa, e i semplici interessati la buccia, possiamo rappresentare il cambiamento cosi:

1969-70 1983

FrG. 4.2. L'intensità della partecipazione politica (1969-70/1983).

Come si vede, a diminuire non sono solo i militanti ( - 3%), ma anéhe coloro che delegano o rifiutano la politica ( - 7%), nonché quanti si limitano a seguirne gli avveni­menti senza parteciparvi direttamente ( - 7%). L'unica com­ponente che cresce è la «polpa», che guadagna ben 17 punti, erodendo lo spazio occupato da ciascuna delle altre tre. Su 100 giovani ben 36 dichiarano di avere partecipato, negli ul­timi 12 mesi, ad iniziative pubbliche su temi come la pace e il disarmo, la difesa dell'ambiente, i problemi della scuola, dei lavoratori, del quartiere, della donna, nonché alla campa­gna elettorale. Né si tratta esclusivamente o prevalente­mente di attività del tutto saltuarie o episodiche: nella mag­gior parte dei casi (20 su 36) la partecipazione è relativa­mente frequente, pari ad almeno 3 volte all'anno.

Questi dati di comportamento contrastano singolarmente con il dato sul numero di giovani che si dichiarano politica­mente impegnati: mentre nel '68 i giovani politicamente at-

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tivi che si autodefinivano anche «impegnati» erano quasi l su 3 , oggi sembrano essere scesi a meno di l su 10. Ciò può dipendere dal fatto che la forbice fra militanti e semplici «attivi» si è realmente dilatata rispetto a 15 anni fa (3 : 3 3 contro 6 : 16, secondo le nostre stime) , e dalla circostanza che i giovani, oggi come ieri, tendono a definire l'impegno politico esclusivamente in termini di militanza organizzata.

Ma i dati che abbiamo esposto si prestano anche ad una lettura diversa, non necessariamente alternativa alla prima. La politica, anziché come dimensione pervasiva, che in­forma di sé tutte le attività e le relazioni umane, è vissuta oggi come dimensione normale dell'esistenza, come uno fra i modi possibili di allocazione del tempo. Lontanissimi dal­l'idea che il privato, il personale, il quotidiano «siano» poli­tica, i giovani sembrano semmai inclinare all'idea opposta, che sia la politica ad essere soltanto una dimensione della vita quotidiana, una frazione fra le molte tra cui gli indivi­dui possono dividere il loro tempo e i propri pensieri. Una frazione che può essere grande per alcuni e meno grande, o inesistente, per altri, ma che per pochissimi è qualcosa at­traverso cui ci si definisce, o si può trovare, un senso alla propria esistenza.

Visto in questa prospettiva, il bilancio di 10 anni di «glorificazione» della politica non si presenta - per i movi­menti collettivi che ne sono stati gli artefici ..:..._ né con i tratti di una vittoria né con i tratti di una sconfitta, ma piuttosto con quelli di un risultato inatteso. Oggi la politica è probabilmente molto piu diffusa di quanto si ritiene, co­munque lo è di piu di lO o 15 anni fa. Laicizzandosi, essa ha accresciuto, e non diminuito, il proprio seguito. È diventata un aspetto relativamente familiare, accessibile, dell'esi­stenza dei giovani. Nello stesso tempo, proprio perché si è diffusa al di fuori della cerchia relativamente ristretta dei militanti e si è, per cosi dire, emancipata dalla tutela delle grandi organizzazioni e dei movimenti collettivi, essa ha perso progressivamente quell' aura che ne faceva un'attività diversa dalle altre o, meglio, ne faceva il metro di tutte le at­tività.

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3. Le preferenze elettorali

Nel questionario le domande sul voto e le preferenze elettorali erano tre. Nella prima si chiedeva quale avrebbe potuto essere il voto dell'intervistato nel caso di elezioni po­litiche. Nella seconda si chiedeva quale fosse il partito con meno difetti. Nella terza si chiedeva qual era stato il com­portamento di ·voto nelle elezioni politiche di giugno, svol­tesi pochi mesi prima dell'intervista.

Attraverso le risposte alle prime due domande è possibile ricostruire la struttura delle preferenze elettorali di circa due intervistati su tre. Per cercare di coglierne la specificità le abbiamo poste a confronto con il voto degli adulti (risultati del Senato, elezioni politiche del giugno '83) e con le prefe­renze della generazione precedente di giovani (indagine Isvet, 1970) . Ecco i risultati:

TAB. 4.3 . Le scelte politiche (1970-1 983)

Aree politiche Giovani Adulti Giovani '83 '83 '70

Sinistra marxista Pci-Psiup-Pdup 27,5 32, 1 22, 1 Estr. sinistra 2,4 1 , 1 3,5

Sinistra laica P si 14,9 1 1 ,9 12,8 Pr 5,7 1,9

Centro laico Pri 8,2 4,9 1 ,9 Psdi 1 , 7 4,0 4,3 Pii 3,8 2,8 5,2

Centro cattolico Dc 28,3 33,7 38,5

Destra M si + estr. destra 7,5 7,6 1 1 ,7

Rispetto al voto degli adulti il voto giovanile appare leg­germente piu spostato a sinistra, ma soprattutto appare ca­ratterizzato in modo nettamente piu laico, nonostante pro­prio il voto degli adulti del giugno '83 rappresenti a sua volta un consistente passo in avanti dell'insieme dei partiti laici e

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democratici ( + 3 rispetto alle elezioni politiche del '79) . Mentre fra gli adulti la somma dei voti cattolici (Dc) e mar­xisti (Pci + Pdup + Dp) supera ancora i due terzi dell'eletto­rato (67% circa) , fra i giovani la stessa somma non raggiunge il 60% dei voti. Correlativamente l'insieme dei partiti laici di centro e di sinistra sfiora fra i giovani il 35% dei consensi, contro il 25% circa nel caso degli adulti.

Prese singolarmente, e analizzate esclusivamente in ter­mini quantitativi, queste differenze possono anche apparire di poco conto. E tuttavia, se proviamo a leggerle nel loro in­sieme, ponendo l'accento sulle differenze qualitative impli­cite nelle cifre che abbiamo riportato, il quadro che emerge appare quantomeno ricco di suggestioni. L'ordine di impor­tanza delle tre culture politiche che si dividono i consensi «democratici» subisce, nel passaggio dal voto adulto al voto giovanile, un vero e proprio ribaltamento. Fra gli adulti la Dc è al primo posto, i partiti dell'area marxista sono al se­condo, i partiti laici sono nettamente relegati al terzo posto. Fra i giovani la Dc scende nell'ultima posizione, ma il suo posto non è occupato dai partiti di ispirazione marxista bensi dai partiti laici, che costituiscono anche il solo rag­gruppamento che può contare su piu di un voto su tre.

primo posto: secondo posto: terzo posto:

Adulti '83

cattolici marxisti laici

(33 , 7) (33,2) (25,5)

Giovani '83

laici marxisti cattolici

(34,3) (29,9) (2 8,3)

Le preferenze elettorali dei giovani deJl '83, piu che porsi in contrasto con quelle degli adulti, sembrano rispecchiarne ed amplificarne le tendenze recenti. I giovani votano oggi come gli adulti stessi potrebbero votare domani se le ten­denze delle ultime elezioni dovessero essere confermate dalle elezioni successive. Le variazioni 79-83 del voto adulto (laici: + 3 ,7 ; marxisti: - 0,4; cattolici: - 5 ,9) hanno infatti la me-

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desima gerarchia delle preferenze elettorali dei giovani, con i laici al primo posto (netta crescita), i marxisti al secondo po­sto (lieve declino) e i cattolici al terzo posto (sensibile ca­duta) .

Rispetto ai giovani negli anni della contestazione, la ge­nerazione attuale appare nettamente piu spostata a sinistra, e maggiormente orientata in senso laico. Mentre la Dc e l'e­strema destra perdono rispettivamente 10 e 4 punti percen­tuali i partiti di area marxista e di area laica ne guadagnano rispettivamente 4 e 10. Complessivamente la sinistra (marxi­sta e non) cresce di ben 12 punti (dal 38% dei consensi ad oltre il 50%) a spese di tutti i partiti di centro e di destra fatta eccezione per il partito repubblicano, che rispetto a 13 anni prima quadruplica invece i suoi consensi (da 2 a 8 su 100). Tutto ciò non significa necessariamente che i giovani dell'83 siano piu laici e piu progressisti di quanto lo siano oggi i giovani della generazione precedente. La storia delle preferenze elettorali della generazione del '68 è ancora tutta da scrivere, e molti indizi lasciano supporre che la struttura delle preferenze elettorali di allora non sia affatto rimasta inalterata nel tempo.

È difficile, ad esempio, attribuire interamente al ricam­bio naturale e all'estensione del diritto· di voto gli sposta­menti intervenuti fra le elezioni politiche del 1 972 e quelle del 1976 ( + 4,5% circa alla sinistra) .

Per avere un'idea approssimativa delle differenze di orientamento politico fra i giovani di oggi e la generazione che aveva 15-24 anni nel periodo a cavallo del 1970 occorre­rebbe ricostruire la struttura delle preferenze elettorali di chi ha 25-34 anni all'inizio degli anni Ottanta. Con qualche prudenza, dovuta al limitato numero dei casi, una simile ri­costruzione può essere tentata in base alle risultanze dell'in­dagine sui giovani europei effettuata dalla Doxa per conto della Cee nel corso del 1982. Analizzando le preferenze elet� torali degli adulti di 25-34 anni nel 1982 e confrontandole con quelle dei giovani di 1 5-24 anni possiamo provare a valu­tare la distanza che separa gli orientamenti politici attuali delle due generazioni.

Come si vede la generazione attuale e quella del '68 pre-

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TAB. 4.4. Le scelte politiche delle generazioni

Aree Giovani Adulti Adulti oltre politiche 15-24 anni 25-34 anni 34 anni

(Iard 1983) (Cee 1982) (Cee 1982)

Sinistra marxista 29,9 27,8 18,9 Sinistra laica 20,6 23,8 19,5 Centro laico 1 3 , 7 15 ,9 12,8 Centro cattolico 28,3 29,4 42,5 Destra 7,5 3,2 6,4

N= 2.707 126 440

Sinistra 50,5 5 1 ,6 38,4

sentano orientamenti elettorali assai simili. Tenuto conto della ridotta dimensione del sottocampione relativo alla se­conda ( 126 casi), nessuna delle differenze appare apprezza­bile, salvo forse lo scarto a favore della generazione del '68 nel peso dell'area laica ( + 5 ,4%).

Molto piu significative ed interessanti appaiono semmai le differenze attuali fra l'insieme delle due generazioni di giovani e il resto della popolazione adulta, le cui preferenze sono riportate nell'ultima colonna della tabella. I partiti di sinistra (dal Psi a Democrazia proletaria, radicali inclusi) sono al di sotto del 40% fra gli adulti con almeno 35 anni, sono al di sopra del 50% nelle due generazioni di giovani. n rapporto fra cattolici e marxisti è di 9 a 4 fra le leve piu an­ziane, mentre è sostanzialmente equilibrato, se non addirit­tura favorevole · ai secondi, fra le leve piu giovani. L'area laica, infine, per quanto certamente un po' sovrastimata, so­prattutto nell'indagine Cee, appare la sola ad essere solida­mente insediata in tutte le generazioni, nonché in costante espansione da due tornate elettorali ( + 3,5% fra il '76 e il '79, + 3,7% fra il '79 e 1'83).

Negli ultimi quindici anni il cambiamento degli orienta­menti politici sembra dunque, a giudicare dall'insieme di dati che abbiamo visto fin qui, essersi svolto secondo due modalità distinte.

Negli anni della contestazione i giovani sono indubbia­mente piu a sinistra che nei primi anni Sessanta, cosi come

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sono piu a sinistra degli adulti, ma il primo massiccio sposta­mento di preferenze verso sinistra avviene verso la metà de­gli anni Settanta, fra il referendum sul divorzio del '7 4 e le elezioni politiche del '76 . È come se la società italiana, ivi compresa la generazione del '68, avesse avuto bisogno di qual­che anno per assimilare e sintetizzare, traducendole in prefe­renze politiche, quelle idee che nel '68 erano proprie di una minoranza.

Ma questo processo, che culmina nel ' 76 con lo «schiac­ciamento» dei partiti laici riformisti (Pli, Pri, Psdi, Psi rac­colgono insieme appena il 1 7 ,4% dei consensi, il minimo storico dal 1946) fra i due grandi poli democristiano e comu­nista (Dc e Pci raccolgono da soli il 75% dei voti, massimo storico dal 1946) si arresta nella seconda metà degli anni Set­tanta e cede il passo ad un meccanismo diverso, basato sulla depolarizzazione del sistema politico e sull'esaurimento della spinta di sinistra del periodo precedente. Al declino del Pci e della Dc (il primo essenzialmente fra il ' 7 6 e il ' 7 9, la se­conda fra il ' 79 e 1'83) corrisponde il rafforzamento delle ali laiche dei due schieramenti politici. L'ala laica di sinistra (Psi + Pr) si rafforza, non a caso, soprattutto durante il primo sottoperiodo, in corrispondenza del calo del Pci ( + 2,6% contro - 3,4%), l'ala laica di centro, viceversa, si rafforza soprattutto durante il secondo sottoperiodo, in cor­rispondenza del crollo della Dc ( + 3,4% contro - 5 ,3%).

Queste tendenze, che investono l'elettorato nel suo in­sieme, sembrano coinvolgere anche le due generazioni di giovani che abbiamo messo a confronto, soprattutto quella del '68, che sembra particolarmente pronta a cogliere e tra­durre in preferenze elettorali le tendenze politiche preva­lenti nei vari periodi. Rispetto a quest'ultima, la generazione piu giovane appare forse meno «vaccinata» verso l'estrema destra e al tempo stesso, nella sua componente progressista, tutto sommato piu legata ai modelli e agli schemi politici pre­valenti verso la metà degli anni Settanta. I dati della inda­gine Cee già citata ci forniscono, in proposito, l'ultima sor­presa. Su 100 giovani orientati a sinistra coloro che «preferi­scono» i partiti di ispirazione marxista a quelli di ispirazione laica sono 54 nella generazione del '68, ma salgono a 73 nella

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generazione attuale . Anche ammettendo che la stima Cee non sia attendibile nel caso dei giovani attuali e sostituen­dola con la valutazione che si ricava dal nostro cam­pione (60% circa anziché 73%) i risultati restano qualitati­vamente gli stessi: la generazione attuale è (o «rimane») piu marxista della precedente.

Poiché la generazione del '68 ha certamente avuto un ruolo di rilievo nella socializzazione politica delle genera­zioni successive e poiché fra queste ultime non si colgono se­gnali di una ripresa autonoma della cultura marxista sembra inevitabile concludere che la generazione del '68 adotta e ri­converte i propri modelli culturali ad una velocità superiore a quella con cui li trasmette. Gli orientamenti politici della generazione attuale ci appaiono cosi, in certo modo, come sospesi fra due mondi, o fra due tempi differenti del sistema sociale: il mondo degli adulti, che i giovani sembrano antici­pare cogliendone ed amplificandone i processi di laicizza­zione, e la generazione del '68, i cui modelli sembrano so­pravvivere ai loro stessi artefici.

4 . L 'eclisse del tradizionalismo femminile

Fra i risultati-standard delle ricerche sugli atteggiamenti dei giovani, e non solo di essi, uno dei piu «resistenti» e uni­versali è quello che attribuisce alla popolazione femminile un grado di tradizionalismo nettamente superiore a quello della popolazione maschile . Comunque il tradizionalismo venga definito - attraverso domande sulla religione, sulla politica, o sulle preferenze elettorali - il risultato è sempre il mede­simo: il grado di tradizionalismo delle donne, delle ragazze, delle studentesse è sistematicamente e nettamente piu ele­vato di quello dei loro coetanei di sesso maschile.

Anche le due ricerche del 1969-70, cui ci siamo finora ri­feriti, non sfuggono a questa conclusione . Secondo l'inda­gine Shell del 1969, ad esempio, le ragazze che si dichiarano credenti ed interessate alla religione sono quasi 1 '80%, con­tro poco piu del 60% dei ragazzi; per quanto riguarda le pra­tiche religiose, poi, il rapporto fra ragazze e ragazzi risulta

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ancora piu squilibrato a favore delle prime: il numero di ra­gazze che le seguono è quasi doppio rispetto a quello dei ra­gazzi (63 % contro 37%) . Secondo l'indagine Isvet del 1970, il tasso di partecipazione politica delle ragazze è circa la metà del tasso di partecipazione maschile; inoltre, l'insieme dei partiti di sinistra, che raggiunge il 43,6% dei consensi nel caso dei ragazzi, supera appena il 30% nel caso delle ra­gazze.

Fra le ricerche svolte in Italia su campioni rappresentativi di giovani o di studenti la sola che abbia fornito indicazioni diverse dalle precedenti è una inchiesta sugli orientamenti politici e culturali degli studenti delle scuole secondarie su­periori, condotta a Torino nel 1978 1 • Dai risultati di quel­l'indagine emergevano due indicazioni sorprendenti. In primo luogo, contrariamente a quanto suggerivano le teorie del «riflussm>, allora assai in voga, gli studenti di Torino ri­sultavano nettamente piu orientati a sinistra di quanto lo fossero negli anni della contestazione. In secondo luogo, lo scarto tradizionale fra gli orientamenti delle ragazze e quelli dei ragazzi non solo veniva meno, ma appariva addirittura capovolto. Le studentesse di Torino risultavano al tempo stesso piu riflessive, piu conflittuali in famiglia, piu orientate a sinistra, piu radicali, dotate di una vita associativa piu in­tensa rispetto ai loro compagni maschi.

Fra gli interrogativi che quella ricerca lasciava aperti, forse il principale riguardava il grado di generalizzabilità dei risultati, sia in senso spaziale (e nelle altre regioni italiane?), sia in senso temporale (e se il 1978 fosse soltanto una «pro­paggine» del decennio 1968- 1977?), sia rispetto ai soggetti coinvolti (gli studenti fra i 14 e i 18 anni piuttosto che l'in­sieme dei giovani) . Era difficile, in altre parole, valutare in modo preciso quanta parte dei cambiamenti osservati fosse dovuta alla particolare delimitazione · adottata per il cam­pione (giovani studenti, di 14- 18 anni, a Torino) e quanta parte fossa dovuta a tendenze effettivamente presenti fra i giovani.

1 Cfr. L Ricolfi, L Sciolla, Senza padri né maestri, Bari, De Donato, 1980.

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Oggi, a cinque anni di distanza, e con un campione na­zionale relativo ai giovani di tutte le condizioni, una simile valutazione diviene relativamente agevole. Se ci riferiamo ai giovani nel loro insieme l'impressione generale che si ricava dal complesso dei dati di atteggiamento e di comportamento è quella di una riduzione generalizzata delle differenze ma­schi-femmine, e in alcuni casi di una loro scomparsa. Fra le distanze che si riducono drasticamente, ma restano significa­tive, vi sono quelle che riguardano l'interesse per la politica (piu elevato fra i maschi) , la religiosità e le pratiche religiose (piu intense tra le femmine) . Fra quelle che si annullano vi sono la partecipazione attiva ad iniziative pubbliche e, so­prattutto, le preferenze elettorali. Oggi su 100 giovani com­presi fra i 15 e i 24 anni che esprimono una preferenza parti­tica quelli orientati a sinistra sono esattamente la stessa per­centuale (50,5 %) fra i maschi e fra le femmine.

Ma se dai giovani nel loro insieme passiamo agli studenti delle scuole secondarie superiori, o dai giovani di tutta Italia passiamo ai giovani di Torino, le cose cambiano in modo molto significativo. In entrambi i casi il tradizionalismo fem­minile non solo scompare, ma si capovolge nel suo contrario. Le studentesse risultano in media nazionale di 6 punti piu spostate a sinistra dei loro compagni maschi (47 ,8% contro 4 1 ,8%), e le ragazze di Torino di ben 12 punti rispetto ai loro coetanei (6 1 ,9% contro 50, 1 %) . Non solo, ma anche nella indagine Iard, come già in quella sugli studenti di To­rino, la differenza fra maschi e femmine sembra dovuta in misura ragguardevole al maggiore radicalismo delle ragazze (preferenza per i partiti di estrema sinistra) , piuttosto che ad una generica preferenza per i partiti della sinistra nel loro in­sieme.

TAB. 4 . 5 . Le scelte politiche degli studenti delle scuole secondarie superiori

Aree politiche

Estrema sinistra Sinistra storica Altri partiti

M

21 , 1 35,5 43,4

Torino 1978

F

34,4 37,5 28, 1

93

Italia 1983

À M F

+ 13,3 8,9 10,0 + 2,0 32,8 37,7 - 15,3 58,3 52,3

À

+ 1 , 1 + 4,9 - 6,0

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Piu difficile risulta valutare se, in che misura e con quali tempi, i giovani nel loro insieme, studenti e non studenti, maschi e femmine, siano stati «attraversati» da un'onda mo­derata, da un «riflusso» di consensi dai partiti di sinistra verso quelli di centro e di destra. Non si può escludere, in al­tre parole, che lo spostamento a sinistra che appare dai no­stri confronti con le indagini del 1969- 1970 sia in qualche misura un risultato ingannevole, perché dovuto al susseguirsi e al sovrapporsi di due tendenze di segno opposto (una pro­nunciata tendenza a sinistra nella prima metà degli anni Set­tanta, una tendenza di segno contrario negli anni successivi) .

% consensi per la sinistra

1968

l l l -

-l - - 1 ' ,

_ ...,. - l .....

- -

- l l ..... ,.. l ...... ..... _ _ l l l l l l l l l l l l

l 1977

(?) 1983

FIG . 4 .3 . Generazioni e consensi per la sinistra.

• trend apparente

anm

Poiché le indagini nazionali sui giovani di cui dispo­niamo si riferiscono agli anni estremi del quindicennio 1969- 1983 ogni ricostruzione di ciò che è successo negli anni di mezzo non può che essere formulata in termini larga­mente congetturali, cercando di «montare» in un quadro plausibile informazioni sovente incerte ed eterogenee . Con questi limiti una possibile, approssimativa, ricostruzione de­gli «anni di mezzo» ci pare lll. seguente.

Tra la fine degli anni Sessanta e i primissimi anni Set­tanta i giovani sono orientati piu a sinistra che nel decennio

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precedente ma lo sono in misura ancora minoritaria (intorno al 40-42% dei consensi). Prima che le idee della minoranza piu attiva e politicizzata di essi, soprattutto studenti, in­fluenzino in modo apprezzabile il resto dei giovani dovranno passare almeno 5-6 anni. E infatti alle elezioni politiche del 1972 i giovani che votano per i partiti della sinistra sono an­cora in minoranza rispetto all' insieme dei giovani. Non cosi nel 1976 in cui, secondo tutte le stime, i consensi dei giovani alla sinistra hanno superato abbondantemente il 50% del totale, e forse addirittura il 55%. È proprio a par­tire da questo anno, però, che il quadro si fa piu incerto. Molti osservatori, dopo la parentesi del '77 (ripresa delle agi­tazioni studentesche, contestazione di Lama, convegno sulla repressione a Bologna) , cominciano a parlare di riflusso mo­derato, ipotizzando una connessione fra «rientro» della mo­bilitazione collettiva e declino dei consensi alla sinistra. Se­condo questa interpretazione il punto di svolta piu probabile nelle tendenze politiche dei giovani andrebbe collocato in­torno al 1978. Infatti i risultati delle elezioni del 1979 ven­gono interpretati proprio in questo senso («vittoria del cen­tro») nonostante il calo della sinistra sia appena percettibile ( - 1 %). Stranamente nessuno nota che il leggero calo della sinistra è in realtà il saldo netto di un calo piu sensibile del voto degli adulti ( - 1,8%) e di un consistente progresso del voto giovanile ( + 5 ,9%). Senza voler dare troppo valore alle stime assolute che si ricavano dalle differenze Camera-Se­nato, in base alle quali il livello dei consensi giovanili alla si­nistra risulterebbe addirittura superiore al 60% , ci sembra difficile non prendere in considerazione quanto meno l' en­tità e il segno della variazione intervenuta fra il 197 6 e il 1979, variazione che, per inciso, appare perfettamente in li­nea con gli «strani» risultati dell'inchiesta di Torino del 1978. Ma se si tiene conto del risultato elettorale si è anche costretti a postdatare di almeno due anni (dal '78 a non prima dell'SO) l'eventuale punto di svolta negli orientamenti giovanili.

Tuttavia, se anziché guardare ai dati aggregati cerchiamo di sfruttare piu a fondo le informazioni qualitative fornite dalle inchieste è anche possibile avanzare un'ipotesi diversa,

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un po' piu analitica delle precedenti. Forse l'incertezza sul· l'anno di svolta riflette, molto semplicemente, il fatto che i tempi del cambiamento non sono stati i medesimi per i gio· vani dei due sessi. Mentre per i maschi l'onda progressista è arrivata 7-8 anni dopo il '68 ed ha assunto soprattutto i tratti di uno spostamento verso i partiti di ispirazione marxi­sta, per le femmine l'onda progressista è arrivata 7-8 anni dopo il decollo del movimento femminista ( 1972-73) ed ha assunto soprattutto i tratti di uno spostamento verso i partiti di ispirazione laica e libertaria.

Ciò spiegherebbe come mai, fra il 1978 e il 1983, le ra­gazze risultano piu a sinistra dei ragazzi proprio fra gli stu­denti e fra i giovani del Centro-Nord, cosi come spieghe­rebbe il singolare mutamento di composizione del consenso giovanile alla sinistra fra le elezioni del '76 e quelle di ap­pena tre anni dopo: nel 1976 il voto a sinistra è soprattutto indirizzato verso i partiti di ispirazione marxista (84 voti su 100) , nel 1979 è la sinistra laica (Psi + Pr) a ricuperare netta· mente terreno, passando dal 16 al 3 7 per cento dei consensi.

Se questa interpretazione ha qualche fondamento si può forse ipotizzare che le elezioni del 1979 si collochino per cosi dire «a cavallo» di due processi diversi. Probabilmente in quell'anno l'onda progressista avviata nel 1968-69 è già entrata in una fase calante, e con essa il consenso che i gio­vani di sesso maschile attribuiscono alla sinistra. Nello stesso tempo però l'onda laica e radicale avviata nel 1972-73 dal movimento femminista raggiunge proprio in quegli anni il suo apice, e rafforza ulteriormente, attraverso il voto delle ragazze, la posizione elettorale della sinistra fra i giovani. Proprio per questo le differenze fra i consensi maschili e femminili alla sinistra sono massime nell'indagine del '78 su­gli studenti medi di Torino e sopravvivono, sia pure atte­nuate, nell'indagine Iard del 1983. Se, infatti, fra le due «onde» esiste una sfasatura di circa 4 anni dobbiamo atten­derci che le differenze fra maschi e femmine siano «favore­voli» a queste ultime soprattutto in quel brevissimo giro di anni (tra gli ultimi anni Settanta e i primissimi anni Ottanta) in cui l'onda del femminismo raggiunge l 'apice e l'onda del '68 ha già cominciato ad esaunre i propri effetti. Subito

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dopo si può ipotizzare che, con il progressivo esaurirsi di en­trambe le onde, il livello dei consensi alla sinistra vada decli­nando sia per i maschi sia per le femmine, e che i due valori tendano, nel medio periodo, ad un sostanziale riallinea­mento.

Che le cose possano essere andate proprio cosi è confer­mato da due diversi indizi empirici. Il primo è il crollo dei consensi giovanili alla sinistra fra le elezioni del '79 e le ele­zioni dell'83, che risulta in modo molto marcato in base alle differenze Camera-Senato, ed è soltanto meno pronunciato se, per 1'83, ci basiamo sui risultati della nostra indagine. Il secondo indizio è il diverso andamento delle preferenze elet­torali in funzione dell'età nel caso dei maschi e nel caso delle femmine.

TAB. 4.6. Consensi alla sinistra per classi di età e sesso

Età Maschi Femmine

15-18 46,3 46,5 18-21 49,5 5 1,3 22-24 55,0 52,7

N = 2.040 1.960

Mentre per i ragazzi il salto piu marcato nei consensi alla sinistra sembra avvenire tra le prime due classi di età (15-17 e 18-2 1) e la terza (22-24), per le ragazze il «gradino» piu alto divide invece la prima classe d'età (15-17) dalle due classi successive. Questo può significare che nel ciclo di vita dei maschi e in quello delle femmine la «naturale» tendenza alla radicalizzazione politica avviene in momenti diversi, prima per le ragazze e poi per i ragazzi. Ma può anche significare, in sintonia con la nostra interpretazione, che quei tre o quat­tro anni che dividono il femminismo dal '68 hanno fatto si che, nel nostro campione, gli echi delle due grandi onde pro­gressiste degli anni Settanta siano piu forti fra le ragazze che non fra i ragazzi: mentre fra questi ultimi le leve «di sinistra» (oltre la metà dei consensi alla sinistra) sono ormai solo piu 3 , fra le ragazze sono ancora 7.

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La trasmissione «orizzontale» degli orientamenti politici, nella scuola, sul lavoro o all'interno del gruppo dei pari, non si svolge nel vuoto ma richiede che le esperienze della «gene­razione-sorgente» possano propagarsi attraverso le genera­zioni immediatamente successive senza esaurire la propria spinta iniziale . Ciò può avvenire finché esistono «leve-cer­niera», leve cioè collocate abbastanza vicino alle vecchie per poterne raccogliere l'eredità, ma anche abbastanza vicino alle nuove per poterne funzionare da interlocutori. Visti da que­sta angolatura gli «scalini» che osserviamo nel nostro cam­pione riceverebbero un'interpretazione molto semplice. Essi non farebbero altro che segnalare il punto in cui il processo di trasmissione degli orientamenti politici si è interrotto, quel punto, cioè, in cui una data leva di giovani si trova ad essere l'ultima che subisce l 'influenza delle leve precedenti e la prima che non sa esercitarla verso quelle successive.

5 . Il mondo cattolico

L'immagine che i dati fin qui esposti tendono a disegnare è tutto sommato quella di una generazione fortemente secola­rizzata, in cui modelli politici e culturali di un passato recente convivono e si intrecciano con spinte piu generali, che sem­brano in gran parte le stesse del mondo degli adulti (crescita della cultura laica, declino delle culture confessionali) . !dati sulla partecipazione politica, sulle tendenze elettorali, o sul declino del tradizionalismo femminile, lasciano pochi dubbi sulla consistenza e sulla forza del processo di «modernizza­zione» culturale in atto fra i giovani. Nondimeno questa stessa immagine, di una generazione sempre piu laica e seco­larizzata, in cui i grandi modelli «totalizzanti» - la religione, il marxismo - sembrano cedere il passo ad una visione delle cose piu pragmatica e disincantata, perde parte della sua niti­dezza non appena si passa dal quadro d'insieme ai dettagli, dall'analisi delle tendenze piu aggregate allo studio dei parti­colari.

Fra gli elementi che incrinano, o suggeriscono di qualifi­care, la precedente ricostruzione «panoramica» della cultura

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giovanile, il piu importante riguarda il rapporto dei giovaqi con la religione e con le istituzioni della chiesa cattolica. E vero che dalle risposte fornite al questionario - purtroppo solo parzialmente confrontabili con quelle di quindici anni prima (Shell '69) - si ricava l'impressione di un certo de­clino dell'influenza della religione cattolica, sia nelle prati­che sia nel grado di religiosità. E tuttavia proprio i dati sul nesso fra religiosità e partecipazione alle pratiche religiose forniscono un primo indizio interessante: fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta la relazione fra queste due dimensioni è divenuta molto piu stretta.

Montando le informazioni fornite dall' indagine Shell e cercando di renderle il piu possibile confrontabili con le no­stre abbiamo ricostruito, per ciascuna delle due indagini, la tabellina seguente che incrocia la variabile «religiosità» (reli­giosi/altro) con la variabile «partecipazione alle pratiche reli­giose» (praticanti/altro).

Religiosi Altro Religiosi Altro

·g E "' "' 41 9 50 .g 42 4 46 .g "' .. ... ... o. o.

o o ... 30 20 50 t: 23 3 1 54 � :;;::

7 1 29 65 35

Shell 1969 Iard 1983

'1'2 ; 0,059 '1'2 ; 0,259

N ; 2.000 N ; 4.000

FIG. 4.4. Rapporto tra religiosità e pratica religiosa.

In entrambi i casi la relazione fra religiosità e partecipa­zione alle pratiche è, ovviamente, di segno positivo ma men­tre nel 1969 l'associazione fra le due variabili è piuttosto bassa (la varianza spiegata non raggiunge il 6%) nel 1983

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essa diventa decisamente elevata (la varianza spiegata supera 'il 25 %). L'accresciuta «coerenza» fra atteggiamenti e com­portamenti che l'aumento del coefficiente di associazione se­gnala può, naturalmente, essere letta in chiavi diverse : o come spia di un rapporto con la religione meno superficiale di quello di 15 anni prima («vado a messa perché sono reli­giosm> piuttosto che «vado a messa perché mi mandano i ge­nitori») o, viceversa, come indizio di una religiosità meno autonoma dall'autorità e dal controllo della Chiesa. Fra le due interpretazioni la prima ci sembra tutto sommato la piu plausibile, se non altro perché sembra difficile leggere la scarsa correlazione fra le due dimensioni rilevata 15 anni fa come segno di una religiosità individualistica, o di una men­talità di tipo «protestante» diffusa fra i giovani italiani. È probabile, piuttosto, che rispetto a 15 anni fa siano mutati tanto il rapporto dei giovani con la religione tanto il rapporto dei giovani con la Chiesa. I giovani che nella loro vita attri­buiscono molta o moltissima importanza alla religione non sono tantissimi (27 su 100) ma, al loro interno, coloro che se­guono le pratiche religiose con assiduità sono in netta mag­gioranza (piu di due su tre, contro meno della metà per l'in­sieme dei giovani) , assai di piu di quanto lo fossero quindici anni fa.

La sensazione che la Chiesa abbia ripreso o stia riacqui­stando un ruolo non trascurabile nella socializzazione dei giovani viene rafforzata, indirettamente, anche da altri due indizi. Il primo è il posto che le organizzazioni religiose (so­prattutto le parrocchie) occupano nella gerarchia delle asso­ciazioni giovanili. Il prospetto che segue offre un quadro del­l'importanza relativa di nove tipi di associazioni. I livelli ri­portati fra parentesi si riferiscono alla quota di adesioni rac­colta da ogni tipo di organizzazione sul totale di coloro che dichiarano di aver partecipato alle attività delle stesse al­meno tre volte negli ultimi tre mesi.

Se si prescinde dalle organizzazioni sportive e ricreative (primo, terzo e quinto posto) il primato delle organizzazioni religiose appare molto netto. Non solo, ma al secondo e al terzo posto non ritroviamo le organizzazioni ·politico-sinda­cali o di impegno sociale, bensi le organizzazioni culturali.

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%

I posto: organizzazioni sportive (di praticanti) (35 ,7) II posto: organizzazioni religiose (1 7,8) III posto: organizzazioni sportive (di tifosi) ( 14,5) IV posto: organizzazioni culturali (9 ,6) V posto: organizzazioni ricreative (6, 7) VI posto: organizzazioni di impegno sociale e civile (6,4) VII posto: organizzazioni politiche e sindacali (6, l) VIII posto: organizzazioni di base (2,2) IX posto: organizzazioni di categoria (1,0)

Il secondo segno di una ritrovata capacità aggregativa del mondo cattolico ci viene da un'analisi della relazione fra età ed associazionismo religioso. Che l'associazionismo religioso tenda ad essere piu intenso nelle prime fasce d'età, per decli­nare dopo gli anni dell'adolescenza, è un risultato relativa­mente scontato, nel senso che si limita a mettere in evidenza un tratto distintivo di quel tipo di esperienza associativa. Meno ovvio ed acquisito è il fatto che anche l'esperienza in organizzazioni religiose, ossia la partecipazione attuale piu la partecipazione passata, risulti calante con l'età.

TAB. 4 . 7. Partecipazione ed esperienza religiosa

Età Partecipazione attiva Esperienza

15- 17 13,7 28,4 18-20 7,8 23,7 21 -24 7 , 1 19,9

Come è possibile che ragazzi di 15-17 anni abbiano piu esperienza di ragazzi che hanno un'età superiore alla loro? Poiché la riduzione delle esperienze dei soggetti al crescere dell'età non può, per definizione, essere attribuita al ciclo di vita, il «surplus» di associazionismo (presente e passato) dei giovanissimi non può che essere letto come segno di un'ac­cresciuta capacità della Chiesa di intervenire nella socializza­zione delle leve piu giovani. Ciò vale sia per i ragazzi sia per

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le ragazze, ma è soprattutto nei confronti dei primi che sem­bra produrre le conseguenze piu incisive.

Mentre fra le ragazze la ripresa dell' associazionismo reli­gioso non si accompagna ad un ricupero corrispondente di consensi nei confronti del partito cattolico, fra i ragazzi le preferenze elettorali per la Dc subiscono una brusca impen­nata nel passaggio dalla classe di età intermedia ( 18-2 1) alla classe di età piu giovane (15-17) , e ciò nonostante il rafforza­mento delle organizzazioni cattoliche sia, per questi ultimi, assai meno pronunciato che per le ragazze (3 ,5 contro 6, 7).

TAB. 4 .8 . Associazionismo cattolico e consensi alla Dc

Differenze fra le classi di età 15-17 e 18-21

Ragazzi Ragazze

Rafforzamento delle organizzazioni cattoliche

+ 3,5 + 6,7

Aumento di consensi alla Dc

+ 1 1 ,2 + 7,0

Questa diversità di impatto dipende, probabilmente, dal diverso peso che le varie alternative, culturali e organizza­tive, posseggono nei due casi. Mentre i ragazzi hanno comin­ciato da almeno un quinquennio a scontare la crisi dei mo­delli ideologici ed associativi tipici degli anni Settanta, per le ragazze questo processo è iniziato da meno tempo o ha tro­vato sbocchi diversi. Forse non a caso le ragazze piu giovani, pur essendo di fatto altrettanto coinvolte dei loro coetanei maschi nel tessuto associativo del mondo cattolico, se ne dif­ferenziano significativamente nella capacità di percorrere vie alternative: fra le giovanissime, a differenza che fra i ra­gazzi, è in ripresa nettissima anche l'associazionismo cultu­rale, fra le giovanissime i consensi alla sinistra laica sono maggiori che fra i loro coetanei, nell'orizzonte di vita delle giovanissime, infine, lo studio e gli interessi culturali occu­pano un posto decisamente piu elevato che fra i loro compa­gni maschi.

Tutto ciò sembra indicare che la ripresa «in grande stile» del processo di secolarizzazione cui stiamo assistendo da al-

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meno un quinquennio non solo si svolge con lo stesso rino e con la stessa intensità in tutti i settori del mondo gioutile ma in diversi punti incontra (o suscita?) resistenze e rcca­nismi di segno contrario. Il fatto che i giovani nel looin­

sieme ci appaiano sempre piu pragmatici, laici, secolarzati non significa che non vi possano essere minoranze Olsi­stenti che si muovono in direzioni opposte. Se ha qul:he fondamento l'idea di Hirschman 2 che l'impegno pulbico sia anche un fenomeno ciclico, che dipende in modo cncale da chi, quando e in che cosa è stato «delusm>, non pu• tu­pire che l'onda di secolarizzazione raggiunga con memlm­peto le leve piu giovani, per le quali la crisi dei modelliagli anni Sessanta si presenta con i contorni del dato di fatcas­sai piu che con quelli dell'esperienza vissuta in prim: oer­sona. Allo stesso modo non può sorprendere che, in m: si­tuazione in cui il marxismo ha perso molta della sua caJa:ità di catalizzare grandi energie collettive, sia la Chiesa il çnci­pale agente di aggregazione delle leve piu giovani.

Quel che sorprende, piuttosto, è l 'estensione e l'artilla­zione che, fra i giovanissimi, sembra assumere la esi­stenza» ai processi di privatizzazione, o alla decostru:L>ne della sfera pubblica. La ripresa dell' associazionismo c attico è infatti soltanto una delle forme �ttraverso cui trova es�es­sione la maggiore disponibilità delle leve piu giovannlle esperienze associative e all'impegno pubblico . L'altra f1ma principale sembra essere proprio la partecipazione ad aoni pubbliche, dalle manifestazioni sulla pace e sul disarm<alle iniziative di difesa dell'ambiente naturale. Se considermo tutto lo spettro delle azioni pubbliche piu importanti sia­vani che vi risultano coinvolti sono meno di 30 su 100 a le leve piu anziane (2 1 -24) , ma salgono a piu di 45 su 100 a le leve piu giovani ( 15 -17) .

Il mondo che i pochi dati che abbiamo esposto contnui­scono a disegnare ci appare dunque assai piu variego e ricco di articolazioni interne di quanto una visione cin-

2 Cfr. Albert O. Hirschman, Shifting Involvements. Private Interest andPblic Action, Princeton, Princeton University Press, 1982, trad. i t. Felicità privta' fe­licità pubblica, Bologna, Il Mulino, 1983.

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sieme lasciasse supporre . Soprattutto ci appare attraversato da tempi e processi fra loro differenti, che rendono quanto mai difficile identificare una linea di sviluppo unica, o anche soltanto privilegiata. Persino le tendenze macroscopiche -il «riflusso moderato», il processo di secolarizzazione - per­dono gran parte della loro nitidezza non appena si scende nei dettagli, ad esaminare il singolo settore del mondo giovanile, o a distinguere fra loro le diverse leve.

In questa situazione fissare tendenze e punti di svolta è forse meno utile .che porre, semplicemente, qualche do­manda. Abbiamo visto che ieri, negli anni del «riflusso», i giovani _:_ soprattutto le studentesse - stavano probabil­mente ancora spostandosi a sinistra. In questi anni, in cui il processo di secolarizzazione sembra avere ripreso il soprav­vento, .è forse legittimo chiedersi se esso investe davvero tutte le leve, anche le piu giovani, o chiedersi se i tempi e le forme che esso assume non siano sostanzialmente diversi nel caso dei maschi e nel caso delle femmine, nel caso di chi stu­dia e nel caso di chi lavora. Il passato ci ha già riservato la sorpresa di un processo - il cosiddetto riflusso - che è ini­ziato dopo che «osservatori» e studiosi avevano iniziato a parlarne. Il futuro potrebbe riservarci la sorpresa di un pro­cesso - la secolarizzazione - che diventa pienamente visi­bile quando il suo declino è già cominciato.

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CAPITOLO QUINTO

LA FAMIGLIA E LE AMICIZIE

l . La famiglia nella gerarchia dei valori

Nella scala dei valori dei giovani la famiglia occupa con molta evidenza il primo posto. Abbiamo chiesto ai nostri giovani di valutare l'importanza per la loro vita di una serie di «cose» lungo una scala che va da «molto importante» a «non importante». Ne è risultata la seguente graduatoria:

T AB. 5 . l . La gerarchia dei valori

MF M F

Famiglia 3,80 3 ,81 3,80 Lavoro 3 ,64 3,67 3,61 Amore/ amicizia 3,52 3,56 3,48 Svago/tempo libero 3,34 3,33 3,34 Studio/cultura 3,09 3,01 3 , 1 7 Sport 3,00 3 , 18 2 ,81 Impegno sociale 2,89 2,82 2,95 Impegno religioso 2,42 2,32 2,53 Attività politica 2,05 2,07 2,03

N.B. : l punteggi medi sono ottenuti assegnando il valore l alla risposta <<non importante>> e il valore 4 alla risposta <<molto importante».

Per i giovani, la famiglia è quindi al vertice delle cose che contano nella vita e ciò vale senza distinzione di sesso, di condizione sociale, al Nord come al Sud, tra i giovani che la­vorano come tra quelli che studiano. Vi sono, è vero, delle piccole differenze: tra i giovani univenìitari, ad esempio, fa­miglia e lavoro vengono messi sullo stesso piano di impor­tanza e , in genere, il peso dato alla famiglia diminuisce leg­germente tra i 1 8 e i 20 anni quando ci si è ormai resi auto-

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nomi dalla famiglia di origine e non si sono ancora assunte responsabilità con la creazione di una propria famiglia. Inol­tre, sono caso mai i giovani di classe sociale elevata a valu­tare un po' meno l' importanza della famiglia rispetto ai loro coetanei. Ma si tratta di differenze modeste che non intac­cano il significato della famiglia come valore dominante e universalmente condiviso.

Tra i vari aspetti della vita, inoltre, quello dei rapporti con la famiglia è quello di cui i giovani si dimostrano piu consistentemente soddisfatti. Solo in riferimento alla salute il grado di soddisfazione risulta leggermente superiore. Si tratta di un valore, cioè, rispetto al quale si è meno facil­mente delusi e dove la realtà corrisponde assai spesso alle aspettative. Rispetto al lavoro, ad esempio, che pure occupa una posizione elevata nella scala dei valori, le occasioni di in­soddisfazione e di delusione appaiono essere assai piu fre­quenti. La famiglia, invece, risponde alle aspettative elevate che si nutrono nei suoi confronti, è un luogo dove si cercano e si trovano soddisfazioni.

Naturalmente non dobbiamo pensare che il quadro della vita familiare sia del tutto senza ombre. Le ombre ci sono e sono probabilmente piu consistenti di quanto appaia dai dati delle interviste. Le resistenze a confessare anche a se stessi le difficoltà nei rapporti con i genitori, i fratelli o le sorelle, gli ostacoli interni a raggiungere una consapevolezza piena delle tensioni che si accumulano all'interno della famiglia, sono notoriamente molto forti. E tanto piu forti, quindi, devono essere le reticenze a dichiarare tali difficoltà e tensioni ad un anonimo intervistatore. Nonostante questo, vi è una quota modesta ma non trascurabile di giovani che dichiarano aper­tamente la propria insoddisfazione della qualità dei rapporti con la famiglia. Le ragazze, in particolare, manifestano piu dei maschi disagio nei confronti della famiglia; piu di una ra­gazza su dieci afferma di essere poco o per nulla soddisfatta dei rapporti con la famiglia e tale rapporto sale a l a 7 nella fascia d'età tra 1 8 e 20 anni. Inoltre, gli studenti, gli studen­ti-lavoratori e gli studenti universitari avvertono di piu il peso della famiglia dei giovani lavoratori che hanno rag­giunto un piu alto livello di autonomia. E ciò spiega come

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mai l'insoddisfazione sia maggiore tra i giovani di classe so­ciale elevata per i quali la permanenza in famiglia si protrae piu a lungo nel tempo.

Nel complesso, però, la famiglia rimane un saldo punto di riferimento per i giovani. Quando hanno una preoccupa­zione o devono prendere una decisione importante, i giovani usano consigliarsi e confidarsi preferibilmente coi genitori, anche se con il crescere dell'età l'importanza di questo riferi­mento diminuisce con l'emergere di figure extra-familiari con le quali si stabilisce un rapporto d'amore o di amicizia. Sia i ragazzi che le ragazze hanno piu confidenza con la ma­dre che con il padre e, soprattutto per le ragazze, il padre sembra essere una figura distante e poco accessibile. Sotto questo aspetto i giovani maschi sembrano piu legati alla fa­miglia e alla figura dei genitori delle giovani femmine. Anche nella fascia d'età piu elevata (2 1-24 anni) , i maschi ricorrono piu spesso alla famiglia e ai genitori che non le femmine an­che perché queste si sposano prima e quindi trovano nel co­niuge o nel futuro coniuge un referente famigliare esterno alla famiglia d'origine.

E ancora, il divario tra madre e padre come «persone di fiducia» dei giovani si accentua nelle classi sociali inferiori, qui la figura del padre risulta assai meno ricercata per aiuto e consiglio, soprattutto dalle figlie, ma anche la maggior parte dei giovani maschi evita di ricorrere al padre probabilmente per tutelare un'autonomia piu precocemente raggiunta.

Possiamo confrontare i nostri dati con quelli di una ri­cerca condotta nel 1969 per conto della Shell su un cam­pione di 1 .025 giovani italiani per vedere se, nel corso di quasi 15 anni, si è modificato il peso delle figure famigliari come punto di riferimento per i giovani. Di fatto, sia pure in misura modesta, la famiglia risulta oggi meno ricercata di al­lora quando i giovani chiedono consiglio e solidarietà e al suo posto cresce l' importanza delle amicizie . Questo cambia­mento, come risulta dalla tabella 5 .2, è piu accentuato per le femmine che non per i maschi. ·

Anche se per minoranze non trascurabili di giovani il rapporto con la famiglia può essere irto di difficoltà, di ten­sioni e di conflitti, in alcuni casi anche drammatici, il quadro

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TAB. 5.2. Persone di fiducia e di riferimento

Padre Madre Fratello Sorella Amico/a Sacerdote Insegnante Coniuge Altra persona Nessuna persona

Totale*

Shell 1969

Maschi

26,4 ] 36,4 72 2

5 ,8 '

3,5 2 1 ,0

2,3 0,8 2,5 1 ,0

18,5

1 18,2

481

Femmine

9,6 l 4g 67,5

9,2 18,8

2,6 0,4 8,6 2,3

10,7

1 10,9

544

lard 1983

Maschi

26, 1 ] 3t� 65,5

2,5 33,5

0,5 0,1 2,6 0,8

15,7

1 1 8,7

2.040

Femmine

9,2 ] 39,6

1,6 58,6

8,2 32,2

0,6 0, 1

1 1,3 0,5 8,4

1 15 ,7

1 .960

* I totali superano il 100% perché alcuni intervistati hanno indicato piu di una persona.

complessivo che emerge dalla ricérca è caratterizzato dalla presenza di una rete di solidi rapporti famigliari che i giovani percepiscono e valutano positivamente. Si ha l 'impressione, cioè, di esser di fronte ad un processo sostanzialmente fisio­logico nel corso del quale la famiglia, man mano che i figli crescono, cede gradualmente le sue prerogative lasciando il campo aperto alla sperimentazione dell 'autonomia e senza generare profondi sentimenti di ostilità. I giovani di questa generazione non sembrano proprio aver voltato le spalle alla famiglia. Del resto, come vedremo in seguito, la stragrande maggioranza dei giovani ha intenzione di sposarsi e di avere dei figli e quindi implicitamente attribuisce importanza alla famiglia anche in vista della realizzazione del proprio futuro.

2. Comunicazione, accordo e disaccordo con i genitori

La famiglia non è soltanto un valore, un'aspirazione, un luogo dove cercare protezione, aiuto, conforto, ma è anche

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un luogo dove le persone quotidianamente si incontrano, si scambiano le proprie idee ed esperienze, misurano il fatto di trovarsi in accordo o in disaccordo con gli altri e, soprat­tutto, coi genitori. È difficile misurare in assoluto l' intensità di questa comunicazione interfamigliare. È però possibile cogliere alcune differenze significative e per far questo ab­biamo chiesto ai nostri giovani se coi genitori parlano o meno di una serie di argomenti e se si trovano con loro piu spesso in accordo o in disaccordo. Gli argomenti considerati vanno dal modo di vivere in generale alla pratica religiosa, dalle idee politiche all' impegno scolastico, dai rapporti con l'altro sesso alle persone che si frequentano. Non possiamo dire se di questi argomenti in casa si parli molto o poco, però è possibile vedere in quali famiglie se ne parla di meno e in quali di piu.

Un primo risultato è interessante, anche se poco sorpren­dente: le famiglie dove si parla di piu sono quelle di classe so­ciale elevata e in particolare quelle dove i genitori hanno un elevato grado di istruzione. In esse il rapporto genitori-figli è, almeno a livello di comunicazione verbale, piu intenso, i figli sono piu spesso d'accordo coi genitori, ma anche piu spesso in disaccordo. Dove si comunica di piu, vi sono anche piu frequenti occasioni di incontro e di scontro coi genitori. Ciò spiega anche perché nelle famiglie del Sud e delle isole, dove il livello culturale è presumibilmente piu basso, si co­munichi meno che non nelle famiglie del Nord e del Centro e come i giovani studenti universitari abbiano piu intensi rapporti di dialogo coi genitori degli altri studenti e, soprat­tutto, dei giovani che lavorano. I giovani maschi che lavo­rano, che spendono liberamente i loro guadagni e che escono la sera senza controllo da parte dei genitori, tendono ad avere assai meno rapporti con questi ultimi rispetto ai loro coetanei che studiano all'università. Lo stesso non vale in­vece per le femmine che, anche quando lavorano ed hanno raggiunto un elevato livello di autonomia economica e perso­nale dalla famiglia, mantengono ancora intensi rapporti coi genitori.

Vediamo ora i singoli argomenti di cui si discute in fami­glia per cogliere dove c'è maggiore apertura e dove invece c'è

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reticenza e assenza di comunicazione tra genitori e figli. L' ar­gomento di cui si parla di piu è il modo di vivere in generale; piu di 8 giovani su 10 dichiarano di parlarne coi loro genitori (ma la genericità dell'argomento è probabilmente responsabile del­l 'alta frequenza delle risposte). Anche qui le ragazze sono piu aperte coi genitori dei coetanei maschi, ma questa maggiore apertura è causa di assai piu frequenti scontri coi genitori. Una ragazza su tre (ma solo un ragazzo su cinque) dichiara che il modo di vivere è fonte di disaccordo coi genitori e la percen­tuale sale ancora per le ragazze tra i 18 e i 20 anni nella fase in cui stanno evidentemente lottando per la loro autonomia. Il livello massimo di disaccordo coi genitori lo manifestano quelle ra­gazze che hanno raggiunto tale autonomia, sia in termini eco­nomici che personali, ma che, forse proprio per questo, conti­nuano a scontrarsi coi loro genitori. I ragazzi, invece, una volta autonomi, hanno assai meno occasione di scontrarsi coi geni­tori sul loro particolare stile di vita. La loro autonomia significa . uscita dalla tutela famigliare, mentre per le ragazze la tutela dei genitori si estende anche quando ormai lavorano, guadagnano e spendono liberamente il loro reddito. Si potrebbe concludere che per le ragazze l'autonomia è una conquista spesso faticosa, mentre ai ragazzi viene piu facilmente concessa.

Coi genitori i giovani parlano anche molto spesso delle per­sone che frequentano (8 su 10 citano questo argomento) . So­prattutto per ipiu giovani, tra i 15 e i 1 7 anni, il dialogo coi geni­tori sulla gente che si frequenta appare cosa normale . Con il cre­scere dell'età e il venir meno del controllo parentale, la fre­quenza di questi discorsi diminuisce, ma resta sempre elevata. Anche a maggiore età inoltrata (tra i 2 1 e i 24 anni) , ben tre gio­vani su quattro parlano coi genitori delle persone che abitual­mente frequentano. È interessante notare a questo proposito una differenza, lieve ma significativa, tra le classi alte e medio­alte: nelle prime si parla di piu in famiglia della gente frequen­tata dai figli che non nelle seconde, ma in queste i figli dichia­rano piu spesso disaccordo coi genitori. Il fatto di parlarne, quindi, sembra ostacolare la formazione di dissenso e facilitare i rapporti tra genitori e figli.

Gli studenti parlano spesso coi genitori dell'andamento dei loro studi e questo certo non sorprende, ma spesso (in un caso

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su quattro) ciò è fonte di scontro tra genitori e figli. Sembra quasi che per molti studenti il genitore sia visto come una specie di guardiano che interviene con continue sollecita­zioni per stimolare l'impegno nello studio e che ciò sia vis­suto dai figli con una certa insofferenza. I compiti a casa non hanno certo finito di essere una ragione di turbamento nei rapporti tra genitori e figli.

Veniamo ora a quegli argomenti dei quali in casa si parla di meno e incominciamo col problema dei rapporti con le persone dell'altro sesso. In quasi la metà delle famiglie ita­liane questo argomento è ancora tabù. La censura sul sesso è particolarmente forte nelle famiglie dove i genitori hanno un basso livello di istruzione. Qui, nel 60% dei casi, non se ne parla del tutto e, se se ne parla, è molto spesso perché tra ge­nitori e figli c'è disaccordo e conflitto. I genitori piu colti sono molto piu aperti ai discorsi sul sesso e i figli denunciano assai piu raramente questa come un'area di disaccordo all' in­terno della famiglia. In ogni caso, sono soprattutto le ragazze a parlare di questi problemi, l'orecchio della madre è proba­bilmente piu attento, mentre i maschi mostrano maggiore re­ticenza, per loro le questioni del sesso si trattano piu fuori casa. Essendo piu frequente per le ragazze l'occasione di af­frontare coi genitori l'argomento dei rapporti con l'altro sesso, è anche piu frequente che esse si trovino in disac­cordo. Vi è una percentuale doppia di ragazze rispetto ai ma­schi che denuncia dissidio coi genitori su questo argomento. Di nuovo, per le giovani donne il rapporto coi genitori ap­pare nello stesso tempo piu intenso e piu confli�tuale.

Anche di religione si parla abbastanza poco nelle fami­glie italiane e, quando se ne parla, almeno in un caso su tre si manifesta disaccordo tra genitori e figli. Nelle regioni del Nord Est, dove la religione cattolica è piu radicata, è piu fre­quente che genitori e figli ne parlino. Anche su questo argo­mento le ragazze appaiono piu coinvolte nell'interazione fa­migliare e sono esse a trovarsi piu frequentemente in disac­cordo coi genitori, soprattutto se si tratta di studentesse uni­versitarie.

Di politica, infine, si parla assai poco tra genitori e figli. In due famiglie su tre questo non è un argomento che inte-

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ressa. Ciò è vero soprattutto quando i figli sono minorenni (tra i 15 e i 1 7 anni) e quando il livello culturale dei genitori è basso. Ci si potrebbe aspettare che di politica siano soprat­tutto i ragazzi a parlarne, che la politica cioè sia ancora con­siderata un argomento da uomini. Ma non è cosi, le ra­gazze ne parlano altrettanto, se non di piu dei ragazzi, in particolare se si tratta di ragazze che hanno raggiunto una certa autonomia dalla famiglia. Ancora una volta dobbiamo notare la posizione particolare delle giovani donne nella fa­miglia. Il raggiungimento dell'autonomia non vuol dire per loro allentamento dei rapporti coi genitori, diradazione del­l' interazione, quanto piuttosto una partecipazione spesso piu intensa ma su basi piu paritetiche e che perciò comporta piu spesso manifestazione di dissenso coi genitori. Su questo punto ritorneremo tra poco.

3 . Dipendenza ed autonomia

I giovani sono per definizione coloro che sono impegnati nel processo di diventare adulti. Ma essi vivono nella mag­gior parte dei casi in famiglia, cioè nell'istituzione che ha se­gnato la loro dipendenza nella fase infantile e adolescenziale. Diventare adulto vuol dire quindi trasformare un rapporto di dipendenza nei confronti dei genitori in un rapporto di autonomia. Il raggiungimento della maggiore età al compi­mento dei 18 anni non significa per molti di essi il raggiungi­mento dell'autonomia dalla famiglia. Anzi, si può dire che oggi tale autonomia è raggiunta generalmente piu tardi che non un tempo, in ragione soprattutto del protrarsi della sco­larità, e forse anche della difficoltà di trovare casa, e che vi sono stati dunque due movimenti contrari e, forse, contrad­dittori. Da un lato l'abbassamento da 21 a 18 della maggiore età, con gli effetti civili e politici che ciò comporta, dall'altro lato l'innalzamento dell 'età di effettiva acquisizione dell'au­tonomia dalla famiglia. Se ciò comporta qualche problema nei rapporti tra scuola e famiglia (per il fatto, ad esempio, che gli studenti maggiorenni firmano la giustificazione delle loro assenze) , crea anche tensioni in famiglia dove spesso i

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ragazzi maggiorenni rivendicano un'autonomia che è matu­rata sul piano giuridico, ma non si è ancora affermata sul piano sostanziale.

Vediamo di cogliere qesto processo e incominciamo dagli aspetti economici dei rapporti tra genitori e figli. È un aspetto importante perché nella nostra società una persona è ritenuta adulta soprattutto quando è in grado di guadagnarsi i mezzi coi quali soddisfare i propri bisogni.

I genitori continuano assai a lungo a sostenere economi­camente i loro figli: tra i 2 1 e i 24 anni vi sono almeno quat­tro giovani su dieci che ricevono ancora regolarmente o spesso dei soldi dai genitori e sono ancora di piu (sei su dieci) tra i 18 e i 20 anni. I ragazzi sono piu spesso sovvenzionati delle ragazze, si presume probabilmente che queste abbiano meno necessità di spendere finché vivono in famiglia. Evi­dentemente, prima si va a lavorare e prima viene sospeso il sostegno della famiglia. Sono soprattutto i giovani delle classi alte a ricevere a lungo soldi dalla famiglia e da questo punto di vista la loro autonomia economica è assai scarsa. Nella pratica, però, accade piu spesso che nelle classi alte i soldi dati dai genitori ai figli assumano la forma di uno «sti­pendio», di una somma fissa, cioè, erogata a scadenze rego­lari mensili o settimanali. Nelle classi basse, invece, è piu frequente che i genitori sostengano i figli irregolarmente, probabilmente su richiesta dei figli stessi e dietro giustifica­zione della spesa da compiere .

Lo stesso vale per i maschi. Anche loro ricevono piu spesso una somma fissa regolarmente, mentre le femmine sono piu frequentemente costrette a chiedere e a segnalare le loro esigenze di spesa. Queste modalità diverse indicano forme e intensità diverse di controllo. Il fatto di ricevere una somma fissa e regolare garantisce maggiore autonomia in quanto sottrae la decisione di spesa al vaglio dei genitori. I maschi e i giovani di classe alta godono maggiormente di questo particolare tipo di autonomia, anche se, qualora stu­dino, la loro dipendenza economica da1la famiglia risulta protratta per un piu lungo arco del ciclo di vita.

Non vi è, invece, una netta differenza tra le classi sociali per quanto riguarda l'entità delle somme erogate dai geni-

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tori. Certo, le maggiori o minori disponibilità economiche della famiglia si riflettono sulle somme date ai figli, ma in misura modesta. Ciò significa che per le classi basse, la quota di reddito famigliare che viene data ai figli per le loro spese è comparativamente maggiore. Grosso modo, un 20% delle famiglie dà ai figli ogni mese una somma inferiore alle 20.000 lire quale che sia la classe sociale di appartenenza. Tra le 20 e le 50.000 lire troviamo un grosso blocco di fami­glie (circa il 35%), di nuovo senza differenziazione di classe. Sopra le 50. 000 lire troviamo pur sempre un 25% di fami­glie di classe bassa e un 40% di famiglie di classe alta. Il fatto che i genitori meno abbienti diano ai loro figli somme comparabili a quelle dei genitori piu abbienti è senz'altro sorprendente, anche se è probabilmente, come vedremo, compensato dalla pratica frequente di inglobare in tutto o in parte nel reddito famigliare anche quanto guadagnano i figli, salvo poi restituirglielo sotto forma di «mancia».

Un'ultima annotazione in proposito: le ragazze, non solo ricevono meno dei maschi somme fisse e regolari, ma in ge­nere ricevono anche somme minori. Un altro tassello nel mo­saico che stiamo costruendo e che vede le ragazze in una po­sizione svantaggiata nel processo di acquisizione di autono­mia dalla famiglia.

Veniamo ora all'altro versante del problema, al reddito cioè che i giovani acquisiscono col loro lavoro. Guadagnare soldi col proprio lavoro non è un'esperienza comune a tutti i giovani : prima dei 17 anni la metà dei maschi ha potuto spendere dei soldi guadagnati da sé e tra i 2 1 e i 24 anni vi è ancora un buon 1 1 % di ragazzi che non ha mai guadagnato una lira. Per le ragazze, il fenomeno dell' assenza di reddito autonomo da spendere liberamente è ancora piu accentuato: riguarda due ragazze su tre prima dei 17 anni e una su quat­tro tra i 21 e i 24 . Tra gli studenti, la quota di coloro che non hanno mai guadagnato è ancora maggiore (raggiunge quasi il 70%) ed è notevole anche tra gli studenti dell'università (il 45 %). Quella dello studente è ancora una condizione di pro­tratta dipendenza economica della famiglia. .

Naturalmente, nelle classi basse si va a lavorare assai prima e, spesso, anche prima dei 14 anni. Ma non sempre i

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giovani possono spendere ciò che guadagnano. La ristret­tezza del reddito famigliare impone che in tutto o in parte il loro guadagno venga assorbito dalla famiglia per coprire il costo del loro mantenimento. Nelle classi basse, piu del 50% dei giovani che lavorano contribuisce al reddito della fami­glia per una quota che va dal 40 al 100% di quanto guada­gna. Nelle classi in condizioni economiche piu elevate, quello che i giovani guadagnano col loro lavoro lo tengono il piu delle volte per sé (in sei casi su dieci) e se contribuiscono alle spese famigliari, lo fanno per una quota che solo eccezio­nalmente raggiunge l'intero reddito guadagnato.

Al raggiungimento della maggiore età, quindi, grosso modo una metà dei giovani non ha ancora acquisito l'indi­pendenza economica dalla famiglia. Vi è quindi uno squili­brio tra maturità legale e maturità sociale e tale squilibrio è tanto maggiore quanto piu elevata è la classe sociale di ap­partenenza.

Al di là degli aspetti economici, nella dialettica tra auto­nomia e dipendenza dei giovani dalla famiglia giocano anche fattori di ordine culturale che riguardano il grado di sorve­glianza, di controllo o, se vogliamo, di libertà vigilata al quale i giovani sono sottoposti da parte dei genitori. Ab­biamo già toccato questi aspetti di significato normativa quando abbiamo visto di che cosa si parla, o non si parla, tra genitori e figli. Vediamo ora come stanno le cose in riferi­mento a un comportamento tipico che simbolicamente esprime l'autonomia, conquistata o negata, dei giovani dalla famiglia: la possibilità di uscire di sera. È noto a tutti come questo fatto costituisca «problema» nella gran parte delle fa­miglie e sia oggetto di negoziazioni e scontri quotidiani tra genitori e figli . Quando i figli hanno acquisito il diritto di uscire la sera quando vogliono, l'autorità parentale ha in gran parte abdicato di fronte alla loro autonomia.

Il quadro che risulta dalla nostra indagine presenta su­bito un evidente contrasto: i figli maschi sono molto piu li­beri di uscire la sera che;: non le figlie femmine . Anche nella fascia piu bassa di età (tra i 15 e i 1 7 anni) , il 4 1 % dei ra­gazzi, ma solo il 14% delle ragazze, esce almeno quattro o cinque sere la settimana e, per converso, solo il 24% dei ra-

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gazzi, ma ben il 58% delle ragazze, non esce mai o meno di una sera la settimana. Man mano che i giovani crescono i freni naturalmente si allentano, ma ciò succede ancora di piu per i ragazzi che per le ragazze : tra i 2 1 e i 24 anni, c'è ormai soltanto piu un maschio su venti che non esce quasi mai la sera, ma ben una giovane donna su quattro . La restrizione è piu forte nelle città che non nei centri minori dove evidente­mente altre forme di controllo sociale rendono superfluo il controllo da parte dei genitori, ed è piu forte nelle regioni meridionali e nelle isole dove i fattori di ordine culturale gio­cano a favore del mantenimento delle funzioni protettive della famiglia. Inoltre, il divario di comportamento tra ma­schi e femmine cresce ali' abbassarsi della condizione sociale della famiglia. I genitori di classe alta operano meno discri­minazioni tra figli di sesso diverso nel determinare ciò che è concesso e ciò che è vietato, ma la diversità di trattamento non scompare neppure a questo livello.

La stessa differenza appare quando si considerano le ra­gioni che i genitori adducono per giustificare le restrizioni delle uscite serali dei figli. Nei confronti dei maschi piu gio­vani ( 15 -17 anni) i genitori mercanteggiano spesso il per­messo in relazione all'orario di rientro a casa e, in genere, si preoccupano dei pericoli che comporta il rientro da soli ad ora troppo tarda, soprattutto se si vive in città. Qualche ge­nitore, ma sono pochi, si preoccupa anche delle persone, dei luoghi e degli ambienti frequentati quando i giovani sono fuori di casa nelle ore serali. Tutte queste ragioni, però, si ri­ducono drasticamente cùl crescere dell'età. Al di sopra dei 2 1 anni si ritiene che un giovane maschio sia in grado di giu­dicare da solo come evitare i pericoli e non mettersi nei guai .

.Non è cosi, invece, per le ragazze e le giovani donne. Ancora tra i 2 1 e i 24 anni, un buon 40% delle giovani deve fare i conti con le restrizioni dei genitori per quanto riguarda le uscite serali e i genitori continuano a preoccuparsi dell'ora di rientro, del fatto che ci sia qualcuno che le riaccompagni a casa e che le persone frequentate siano conosciute e fidate.

Gli spazi di autonomia esperibili al di fuori della famiglia sono quindi assai piu limitati per le ragazze che non per i ma­schi, la loro esperienza del mondo risulta ancora largamente

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condizionata e filtrata dall'ambiente famigliare. Certo, ciò avviene probabilmente oggi molto meno che alcuni decenni fa, ma la persistenza dei modelli tradizionali di socializza­zione differenziale tra maschi e femmine appare comunque assai elevata. Del resto, anche nell'inchiesta Shell del 1969 emergeva inconfondibilmente lo stesso dato: vi era ad esem­pio un numero quasi doppio di ragazze rispetto ai maschi (34% contro 17 ,7%) che dichiarava che durante la fanciul­lezza e l'adolescenza i genitori avevano lasciato loro poca o nessuna libertà e, ancora, una quota maggiore di ragazze che giudicavano l'educazione ricevuta troppo severa e restrit­tiva.

Un'ulteriore conferma di questo fatto ci viene da un al­tro indicatore significativo di atteggiamento nei confronti dell'autonomia dei giovani: quando si ritiene legittimo che un ragazzo, o una ragazza, possa andare a vivere fuori della casa dei genitori. La stessa domanda posta ad un campione di capifamiglia milanesi nel 1981 aveva rivelato che per la maggior parte dei genitori solo il matrimonio costituisce il momento legittimo di uscita di casa, ma ciò valeva molto di piu per le donne che non per gli uomini e per i genitori di estrazione operaia che non per quelli di estrazione borghese. Vediamo cosa ne pensano i giovani stessi, che idea si sono fatti delle ragioni che giustificano il salto piu evidente verso l'autonomia: la costituzione di una propria unità abitativa.

Distinguiamo le ragioni che giustificano l'uscita dalla casa dei genitori in tre categorie: ragioni tradizionali (il ma­trimonio), ragioni formali (la maggiore età) e ragioni che esprimono il raggiungimento di un'autonomia (la fine degli studi, l'acquisizione di un lavoro e della possibilità di mante­nersi, oppure, semplicemente, la volontà di farlo) . Se i capi­famiglia della ricerca milanese si erano schierati prevalente­mente sul versante delle ragioni tradizionali, i giovani della nostra ricerca sono decisamente dalla parte dell'autonomia. Il 76% dei giovani pensano che un ragazzo possa uscire di casa quando è in grado di mantenersi oppure quando vuole. Sia pure in misura minore (il 65%), anche per le ragazze pre­valgono le ragioni dell'autonomia. Il matrimonio è indicato soltanto dal 13% per i maschi e dal 24% per le femmine,

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mentre il raggiungimento della maggiore età vale come crite­rio solo per il 10% dei giovani. Lo stacco tra genitori e figli appare dunque notevole su questo punto. Si tratta probabil­mente sia di una diversità attribuibile al ruolo, sia di uno scarto generazionale. Può darsi che i nostri giovani, quando diventeranno essi stessi genitori, saranno piti cauti nel soste­nere le ragioni dell'autonomia. Ci sembra, però, che lo scarto generazionale abbia qui un peso notevole e che la comparsa dell'autonomia come valore non sia semplicemente spiegabile con l'età e il ruolo dei soggetti.

Questa interpretazione è avvalorata dal fatto che le ra­gioni dell 'autonomia sono piti frequentemente fatte valere dalla ragazze che dai ragazzi: otto su dieci ritengono che un ragazzo possa andare fuori casa per ragioni che non hanno a che fare col matrimonio o con la maggiore età e sette su dieci pensano che una ragazza possa fare lo stesso per le stesse ra­gioni. I giovani maschi sono in proposito, sia pure non di molto, piti conservatori. Per i maschi, in particolare, ha assai piti peso il fattore formale della maggiore età che invece per le ragazze è del tutto trascurabile (16% dei maschi, con­tro 6% delle femmine) . Potremmo avanzare l'ipotesi che il valore dell'autonomia è p i ti forte per le ragazze perché per loro l'autonomia è p i ti conquistata che concessa. I maschi sono un po' piti tradizionalisti perché la loro autonomia fa già piti parte della tradizione. Ma anche per loro, comunque, lo stacco dalla generazione degli adulti è abbastanza cospi­cuo.

Che sull' autonomia dei giovani abbiano un peso note­vole le culture regionali e di classe appare evidente dalla let­tura dei nostri dati. Il matrimonio, come ragione di uscita di casa soprattutto per le ragazze, è piti frequentemente men­zionato nelle regioni del Sud, delle isole e del Nord-Est ri­spetto alle regioni del Nord-Ovest e del Centro. Ma le diffe­renze non sono marcate, la cultura dei giovani è probabil­mente assai piti omogenea sul piano nazionale di quanto non accada per la generazione dei loro genitori. Le culture di classe, invece, sono decisamente piti forti delle culture regio­nali. Per i giovani che provengono dagli strati inferiori, la ra­gione tradizionale del matrimonio mantiene ancora un forte

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peso quando si tratta di giustificare l'uscita di casa, mentre le ragioni dell'autonomia (soprattutto se a uscire di casa è la ragazza) appaiono ancora minoritarie. Inoltre, il fatto for­male della maggiore età conta assai di piu per le classi basse che non per le classi alte, ma come abbiamo visto il divario tra maturità legale e maturità sociale è in queste classi assai minore .

I giovani di classe elevata; invece, non solo valutano le ragioni dell'autonomia al massimo grado, ma le stesse ragioni valgono quasi indifferentemente sia per i maschi che per le femmine. Nella loro cultura la discriminazione tra i sessi, al­meno sul punto decisivo delle ragioni che giustificano l'u­scita dalla casa dei genitori, è attenuata fino quasi a scompa­rire. Ci si può chiedere come mai i giovani che di fatto go­dono di minore autonomia, perché dal punto di vista econo­mico dipendono ancora largamente dalla famiglia, valutino maggiormente l'autonomia come criterio di giustificazione delle scelte, mentre i giovani che di autonomia ne hanno di piu, perché hanno già in gran parte un lavoro retribuito, at­tribuiscano a questo fattore un peso minore. In realtà, per i giovani di classe inferiore l'autonomia non riesce ad emer­gere come valore proprio perché è una conseguenza della ne­cessità, non è una conquista ma un dovere, lo spazio per at­teggiamenti piu innovativi e moderni resta per loro inevita­bilmente piu circoscritto.

4. I compiti del lavoro domestico

Nell'analisi fin qui condotta dei rapporti dei giovani con la famiglia è emerso un dato che si è andato via via caratte­rizzando: le giovani ragazze sono piu coinvolte nella comuni­cazione coi genitori, hanno piu frequenti occasioni di scon­tro con loro, godono di minore autonomia, eppure manife­stano certo non meno dei giovani maschi la loro volontà di affermare una maggiore autonomia dalla famiglia. La loro posizione all'interno della famiglia sembra dunque piu diffi­cile e piu fonte di tensioni che non nel caso dei coetanei ma­schi.

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Questa situazione risulta confermata e rafforzata quando si considera come nella famiglia vengono distribuiti i compiti quotidiani dell'organizzazione doll;lestica. Abbiamo preso in esame una serie di operazioni molto concrete della gestione quotidiana della casa: rifarsi il letto, preparare i pasti, fare la spesa, lavare i piatti, fare le pulizie, lavare e stirare. Abbiamo inoltre per semplicità raggruppato le risposte a seconda che i giovani dichiarino di compiere queste operazioni sempre o spesso, oppure raramente o mai. Il quadro che ne risulta è il seguente:

TAB. 5 .3 . Divisione del lavoro domestico

Lavare e stirare Lavare i piatti Fare le pulizie Preparare i pasti Rifarsi il letto Fare la spesa

Maschi

Sempre/ Mai/ spesso raramente

3 97 6 94 7 93

12 88 20 80 26 74

N = 885

Femmine

Sempre/ Mai/ spesso raramente

54 46 64 36 67 33 47 53 83 17 59 4 1

N = 84 1

Il dato è assai eloquente: i giovani maschi sono quasi del tutto esentati dal servizio domestico, alle giovani invece è ri­chiesto un contributo consistente alla gestione della casa. La divisione sessuale del lavoro nell'ambito della famiglia carat­terizza quasi tutte le famiglie italiane. Le differenze regio­nali sono nel complesso modeste. Anche il tradizionale diva­rio culturale tra Nord e Sud è su questo punto sensibilmente attenuato: i giovani maschi del Nord sono solo un poco piu direttamente coinvolti nelle faccende domestiche dei loro coetanei meridionali.

La distanza maschi-femmine appare già notevole nella fascia d'età minore (15-17 anni) e tende a crescere col pas­sare degli anni. L'esenzione dei maschi dal servizio dome-

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stico rimane pressoché costante, si attenua solo leggermente tra i 21 e i 24 anni. Le femmine, invece, man mano che cre­scono vengono sempre piu coinvolte nella gestione della casa e nella fascia d'età maggiore (21-24 anni), se non si sono an­cora sposate, tendono a spartirsi su basi paritarie i vari com­piti domestici con la madre.

Ciò però non avviene in modo uniforme in tutte le classi sociali. Per cogliere questo aspetto abbiamo costruito un in­dice di partecipazione ai lavori domestici, assegnando il pun­teggio l quando un'operazione non viene mai svolta, il pun­teggio 4 quando viene svolta sempre e i punteggi 2 e 3 per le modalità «raramente)> e «spesso». Abbiamo poi calcolato le medie per i vari gruppi di status socio-economico, rispettiva­mente per i giovani maschi e le giovani femmine.

TAB. 5.4. Indice di partecipazione ai lavori domestici (giovani maschi)

Status socio-economico

Basso Medio- Medio Medio- Alto basso alto

Rifarsi il letto 1,43 1,68 1,79 1,87 2,12 Preparare i pasti 1,43 1,48 1,55 1,63 1,76 Fare la spesa 1,57 1,94 2,05 1,99 2,06 Lavare i piatti 1,26 1,30 1,36 1,40 1,40 Fare le pulizie 1,19 1,34 1,41 1,41 1,43 Lavare e stirare 1,13 1,10 1,13 1,23 1,18

Media 1,33 1,47 1,55 1,59 1,66

TAB. 5.5. Indice di partecipazione ai lavori domestici (giovani donne)

Status socio-economico

Basso Medio- Medio Medio- Alto basso alto

Rifarsi il letto 3,65 3,42 3,33 3,18 3,17 Preparare i pasti 3,24 2,63 2,58 2,24 2,08 Fare la spesa 3,13 2,80 2,90 2,62 2,37 Lavare i piatti 3,52 3,04 2,94 2,76 2,39 Fare le pulizie 3,52 3,11 2,97 2,83 2,33 Lavare e stirare 3,35 2,85 2,61 2,38 2,01

Media 3,40 2,97 2,89 2,67 2,39

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La disuguaglianza tra le giovani donne per quanto ri­guarda il carico di lavoro domestico è molto marcata: ri­spetto alle giovani «proletarie», le altre ragazze, man mano che si sale nella scala sociale, ottengono esenzioni sempre piu consistenti dal servizio domestico. Le giovani di classe ele­vata riescono a sottrarsi in misura non trascurabile al ruolo tradizionale di custodi della casa. Al crescere del loro, sem­pre comunque parziale, disimpegno nella gestione dome­stica, vi è un aumento della partecipazione dei giovani ma­schi. La rigida divisione sessuale del lavoro domestico sem­bra quindi essere un tipico fenomeno di «classe»: il modello innovativo di una distribuzione piu egualitaria dei compiti domestici incomincia a presentarsi nella classe superiore e si diffonde poi a pioggia, attenuandosi lungo il percorso, nelle classi inferiori.

Non siamo in grado di valutare in che misura nelle classi superiori questo fenomepo sia favorito dalla presenza di aiuti domestici retribuiti. Si tratta certo di un fenomeno non irrilevante anche perché la riduzione della partecipazione femminile al servizio domestico non è compensata dall' au­mento della partecipazione maschile. In ogni caso, però, an­che laddove è attenuata, la disuguaglianza tra i sessi nel la­varo domestico rimane sensibilmente sfavorevole alle gio­vani donne.

5. L'immagine dei genitori e la percezione del divario genera­zionale

In che modo e in che misura la generazione dei giovani d'oggi differisce da quella dei loro padri e delle loro madri? Rispondere a questa domanda è difficile perché non sap­piamo come erano i genitori dei nostri giovani quando ave­vano l'età che hanno ora i loro figli e non sappiamo come sa­ranno i giovani quando avranno raggiunto l'età dei loro geni­tori. Il problema però è troppo importante e significativo perché ci si possa fermare di fronte a questa difficoltà della ricerca empirica. Se non fossimo in grado di esplorarlo, non sapremmo dire come muta la nostra società, non saremmo in

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grado di scorgere nei giovani d'oggi il volto della società di domani.

Abbiamo perciò tentato di cogliere la portata del muta­mento generazionale, chiedendo agli stessi giovani di valu­tare, rispetto ad una serie di caratteristiche, se essi stessi si ritenessero uguali o diversi dal loro padre e dalla loro madre e in quale direzione andasse questa diversità. Le caratteristi­che considerate sono: la tolleranza, il progressismo, l'inte­resse per la politica, la religiosità, l'onestà, l' attaccamento alla famiglia, il rispetto per gli altri, la sicurezza di sé, l' attac­camento al lavoro. Si tratta, come si vede, di caratteristiche ognuna delle quali è caratterizzata da una particolare valenza etica. Rispetto ad esse i nostri giovani si percepiscono in mi­sura diversa uguali o diversi dai loro padri e dalle loro madri ed è interessante cogliere anche l'effetto incrociato della di­stanza dal padre e dalla madre rispettivamente dei figli ma­schi e delle figlie femmine.

TAB. 5.6. L'immagine del padre

Maschi Femmine

Meno Come Piu Meno Come Piu di me me di me di me me di me

Legato al lavoro 3,5 28,1 65,2 4,7 26,6 66,6 Progressista 54,4 28,2 14,2 58,5 26,1 13 ,1 Tollerante 28,8 29,0 39, 1 38,4 28,7 30,5 Interessato alla politica 23,4 30,3 43,0 22,7 25 ,1 50,0 Sicuro di sé 1 1, 5 35,8 49,6 14,4 3 1,9 5 1 , 1 Religioso 2 1,0 49,8 26,1 32,6 42,8 22,1 Legato alla famiglia 3,4 50,8 42,5 6,7 52,9 38,2 Rispettoso degli altri 5 , 5 57,0 34,3 8,9 60,7 28,2 Onesto 1 ,5 63,5 3 1 ,8 2,9 64,6 30,3

N = 1 .020 N = 980

N.B. : I complementi a 100 delle percentuali per riga sono dovuti alle mancate risposte.

Naturalmente, nulla ci garantisce che le distanze perce­pite siano effettivamente indicatori di un cambiamento ge-

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nerazionale. Soltanto se potessimo tra una ventina d'anni reintervistare gli stessi soggetti potremmo dire con certezza se le distanze generazionali rilevate oggi si sono mantenute nel tempo, oppure se il tempo le ha cancellate. Però, il fatto di disporre di un campione di giovani di età diversa, distri­buita lungo l'arco di un decennio, ci permette di avanzare un'ipotesi circa le differenze che sono attribuibili allo scarto generazionale e quelle invece che sono attribuibili alla di­versa collocazione d�i soggetti rispetto ai genitori nell'arco· del ciclo di vita. Infatti, le differenze che tendono ad atte­nuarsi e a diventare minime col crescere dell'età dei giovani sono probabilmente da ascrivere alla naturale evoluzione nel ciclo di vita. Le differenze, invece, che si mantengono con l'età, oppure tendono a crescere o che comunque restano consistenti anche nella fascia d'età piu elevata (2 1-24 anni) sono probabilmente reali indicatori di distanza generazio­nale.

TAB. 5 . 7 . L 'immagine della madre

Maschi Femmine

Meno Come Piu Meno Come Piu di me me di me di me me di me

Lega t a al lavoro 6,4 32,3 60,2 8 , 1 38,4 52,8 Progressista 5 1 ,0 3 1 ,8 16,3 53,0 35,2 1 1 ,3 Tollerante 22,0 22,7 54,3 30,9 30,1 38,5 Interessata alla politica 67,7 20,4 1 1 , 1 60, 1 29,8 9,7 Sicura di sé 18,8 4 1 ,6 38,6 20,5 40,6 38,2 Religiosa 7,8 27,5 63,7 9,9 40,2 49,4 Legata alla famiglia 1 ,0 36,0 62,3 1 ,3 44,3 53,9 Rispettosa degli altri 2,8 52, 1 44,3 3,5 62,4 33,7 Onesta 1 , 1 58,5 39,5 2,0 66,6 30,8

N = 1 . 020 N = 980

Ai giovani maschi il padre appare molto legato al lavoro, assai poco progressista, abbastanza tollerante, piuttosto inte­ressato alla politica, molto sicuro di sé, abbastanza religioso, molto legato alla famiglia, rispettoso degli altri e onesto . La

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stessa immagine è riflessa dalle ragazze: per loro però il pa­dre è molto piu politicizzato di loro e un po' meno legato alla religione.

La figura della madre non ha caratteristiche molto dissi­mili da quelle del padre. È anch'essa, come il padre, molto legata al lavoro e assai poco progressista, un po' p ili tolle­rante, ma molto poco interessata di politica, è sicura di sé, molto religiosa, attaccata alla famiglia, onesta e rispettosa degli altri.

L'immagine dei genitori è nel complesso molto positiva. Agli occhi dei figli sono assai pochi i padri e le madri che ap­paiono lazzaroni, disonesti, che trascurano la famiglia e che hanno poco rispetto degli altri. Appaiono a volte un po' insi­curi (soprattutto le madri) , un po' intolleranti (soprattutto i padri agli occhi delle ragazze), molto tradizionalisti. Comun­que, ed è questo l'aspetto che maggiormente ci interessa, ap­paiono abbastanza diversi da come i giovani credono di es­sere. La percezione di questa diversità da parte dei giovani può dipendere, come abbiamo accennato, sia da un loro senso di immaturità e inferiorità, dal non sentirsi ancora al­l' altezza dei genitori, sia dalla percezione di un effettivo di­vario generazionale, dal fatto di avvertire che il mondo è cambiato da quando i genitori avevano la loro età. Vediamo ora l 'andamento della percezione della distanza dai genitori per ogni singola caratteristica al mutare dell'età dei giovani.

La percezione del padre come piu legato al lavoro si atte­nua con gli anni man mano che i giovani fanno il loro in­gresso nel mercato del lavoro e accumulano in proprio espe­rienze lavorative. La distanza, però, sia in riferimento al pa­dre che alla madre resta assai elevata anche tra i 2 1-24 anni da parte dei figli di entrambi i sessi.

Padri e madri agli occhi di figli e figlie appaiono assai poco progressisti e lo sono tanto meno quanto piu i figli di­ventano grandi. Per i figli, i genitori sono irrimediabilmente impigliati nella rete della tradizione,. non sono in grado di te­nere il ritmo dei tempi e piu i figli crescono piu si accorgono che le cose stanno cosi. Rispetto ai genitori, i giovani ap­paiono appartenenti ad una generazione che massimizza l'a­dattamento al mutamento.

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L' immagine di un padre tollerante e buono si attenua col tempo sia per i maschi che per le femmine. In realtà le gio­vani piu mature che vedono il padre meno tollerante e piu severo prevalgono su quelle che pensano il contrario . Le ma­dri appaiono, invece, sempre tolleranti e buone per i maschi, mentre per le femmine l'immagine della madre tollerante si attenua col tempo. Non vi è, però, una percezione netta della direzione in cui si muove la distanza generazionale per quanto riguarda la tolleranza e, del resto, il termine è non poco ambiguo.

La percezione del padre come piu politicizzato resta per i figli maschi fino ai 20 anni e prosegue per le ragazze anche nell'età successiva. Questo dato resta comunque sorpren­dente. Si può presumere che se avessimo rivolto la stessa do­manda a chi aveva vent'anni all'inizio degli anni Settanta e anche prima avremmo ricavato l'immagine di una genera­zione di giovani piu politicizzata dei loro genitori. Oggi, in­vece, per la maggior parte dei giovani, e soprattutto dei gio­vanissimi, l 'impegno politico crea una distanza rispetto al padr�, la percezione di un proprio maggiore disimpegno: il 61 ,7% dei giovani tra 15 e 1 7 anni ritiene il padre piu inte­ressato alla politica di quanto non ritenga se stesso. Il quadro muta, per i maschi, dopo i ventuno anni e forse questo lascia presumere, piu che un risveglio tardivo dell'interesse per la politica, che i ragazzi tra i ventuno e i ventiquattro anni ap­partengano ad una generazione politica precedente, piu poli­ticizzata degli attuali giovanissimi, come del resto risulta da altri dati di questa ricerca.

La madre, invece, viene collocata dai figli maschi, ma an­cor piu dalle figlie femmine, in una dimensione in cui la poli­tica è assente. Qui è interessante notare il forte scarto che le giovani donne percepiscono in relazione alla generazione delle loro madri: tra i 2 1 e i 24 anni, quasi il 70% delle ra­gazze si considera piu politicizzato della madre.

Agli occhi dei figli sia il padre che la madre appaiono es­sere delle persone piu sicure di sé di quanto essi stessi non credano di esserlo . Siamo di fronte ad una generazione di giovani piu insicuri, con minori salde certezze, dei loro geni­tori? Con qualche cautela si può rispondere positivamente a

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questa domanda. Con l'età la percezione della propria insi­curezza rispetto ai genitori diminuisce, ma tra i giovani piu «adulti» (2 1-24 anni) rimane ancora assai elevata, soprat­tutto tra i maschi. Le giovani donne «adulte», invece, nei confronti della madre, sembrano ormai aver superato la per­cezione della propria insicurezza.

Per quanto riguarda la religiosità, i maschi col passare degli anni si ritrovano ad essere meno religiosi dei loro padri, anche se vi è una forte minoranza (circa il 20%) che conti­nua a pensare il contrario, le femmine si percepiscono sem­pre piu religiose del padre, ma la misura del divario diminui­sce con gli anni. La madre, invece, resta sempre sia per i ma­schi che per le femmine una figura piu devota e, man mano che si cresce, cresce anche il distacco da lei in questa dimen­sione. Il padre e la madre appaiono consistentemente piu le­gati alla famiglia dei loro figli, indipendentemente dal sesso e dall'età degli stessi. Con l'età, però, cresce il numero di co­loro che non avvertono distanza rispetto ai genitori per quanto riguarda l' attaccamento alla famiglia. La generazione attuale non volta comunque le spalle ai vincoli famigliari. Come vedremo nel paragrafo successivo, la maggior parte dei giovani prevede di sposarsi e di avere dei figli. Rispetto ai genitori, però, è probabilmente intenta a ridefinire i con­tenuti dei legami famigliari ed avverte quindi una certa di­stanza dai genitori nel modo di interpretare la vita di fami­glia.

Anche per quanto riguarda il rispetto degli altri, la perce­zione della distanza tra genitori e figli si riduce fortemente quando i figli crescono e lo stesso vale per l'attributo dell'o­nestà. Questi · attributi sono assai fortemente caratterizzati in senso etic.o. Diventando adulti, il senso della superiorità morale dei genitori si affievolisce e il padre e la madre ap­paiono sempre piu su un piano di parità etica proprio perché nei giovani si rafforza la consapevolezza di disporre di una autonoma capacità di giudizio morale . In queste dimensioni non ci sembra che i giovani percepisç:ano l'esistenza di uno stacco generazionale.

Riassumendo e generalizzando, possiamo dire che i gio­vani, nel valutare la distanza che li separa dai loro genitori,

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hanno implicitamente definito i contorni della generazione attuale. Essa risulta caratterizzata-da un minor attaccamento al lavoro e alla famiglia, senza che ciò voglia dire assenza di voglia di lavorare e di volontà di avere una famiglia. Essa è meno interessata alla politica e alla religione, ma forse cerca forme di attività politica e di religiosità nuove e non tradi­zionali. Soprattutto, vuole essere moderna e non lasciarsi sfuggire il ritmo del progresso. I giovani si dichiarano «pro­gressisti», non sappiamo però che significato attribuiscano a questa parola.

6 . Le attese per il futuro: il matrimonio e i figli

Abbiamo visto che per i giovani la famiglia mantiene una posizione di rilievo molto importante nella gerarchia dei va­lori e che apprezzano la vita di famiglia come sostanzial­mente soddisfacente. Non stupisce quindi che la quota di giovani che non manifesta intenzione di sposarsi, o che mo­stra incertezza di fronte a questa prospettiva, sia molto ri­dotta. Solo un 5 % non vuole sposarsi e un altro 10% non sa se si sposerà, con una leggera prevalenza dei maschi rispetto alle femmine. Gli incerti e i contrari al matrimonio sono for­temente concentrati nella classe sociale piu alta e ciò dimo­stra che, se vi è un luogo nella società dove la famiglia ha perso presa sui giovani, questo è il vertice della gerarchia so­ciale. Qui un giovane su quattro (per esattezza, il 26,9%) mostra rifiuto o incertezza di fronte alla prospettiva del ma­trimonio.

Nelle classi medie e inferiori, come è noto, ci si sposa prima e le donne si sposano prima dei maschi: un terzo delle giovani tra i 2 1 e i 24 anni sono già sposate e un quinto ha già dei figli.

Di fronte alla prospettiva di avere dei figli le esitazioni e i rifiuti sono addirittura minori che rispetto al matrimonio e i giovani maschi sono un po' piu incerti di fronte alla pater­nità di quanto le giovani donne non lo siano di fronte alla maternità. Anche questo fenomeno si riferisce di piu ai gio­vani di classe sociale elevata. Tra le donne, il non volere figli

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e l'incertezza di fronte alla maternità crescono tra i 18 e i 20 anni (raggiungendo, in questa fascia d'età, il 16,4%), ma il fenomeno si ridimensiona notevolmente nelle classi di età immediatamente successive .

Gli atteggiamenti nei confronti della maternità sono im­prontati ad una concezione che valorizza la maternità come esperienza centrale nella vita della donna (49% delle ra­gazze) e come esperienza importante che tuttavia non do­vrebbe assorbire completamente la sua esistenza (33%). Ri­sultano, invece, minoritarie le posizioni estreme che subor­dinano la maternità alla realizzazione professionale o comun­que extra-famigliare (5 %), oppure che vedono la maternità come compito assolutamente · esclusivo (14%). È interes­sante notare che i giovani maschi non hanno nei confronti della maternità atteggiamenti che si scostino significativa­mente da quelli delle loro coetanee.

Il numero di figli ideale per una famiglia è raramente piu di due. Le donne mostrano una preferenza per famiglie leg­germente piu ampie : la media del numero ideale di figli è per le donne 2 , 138 e per i maschi 2,07. Per il resto le preferenze dei giovani seguono l'andamento noto del comportamento demografico delle famiglie italiane : il numero di figli deside­rato è un po' piu alto per le famiglie di classe bassa e alta ri­spetto alle famiglie di classe media ed è piu alto nelle regioni del Nord-Est e, soprltttutto, del Sud e delle isole, rispetto al Nord-Ovest e al Centro.

Dai tempi dell'inchiesta Shell del 1969, il numero medio di figli desiderato dai giovani sembra essersi ulteriormente ridotto (da 2,249 a 2, 1 17) a conferma della tendenza verso famiglie di dimensioni sempre piu piccole .

L'età ideale per avere dei figli segue anch'essa il modello del comportamento demografico della popolazione : risulta, approssimativamente di 26 anni per gli uomini e di 24 anni per le donne, con un'anticipazione di circa un anno e mezzo delle classi basse rispetto alle classi alte.

Nel complesso, nove giovani su dieci si prospettano un futuro di madri e di padri in una famiglia di piccole dimen­sioni, dove lo stacco d'età tra genitori e figli non sia né troppo piccolo né troppo grande. Tutto ciò vale peraltro a

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livello di aspirazioni e di intenzioni. Vediamo ora come si comportano le stesse attese quando sono sottoposte ad un vincolo temporale. Abbiamo chiesto ai giovani, infatti, se si aspettano di finire gli studi, di trovare un lavoro stabile, di andare a vivere per conto loro , di sposarsi e di avere dei figli nell'arco dei prossimi cinque anni, un tempo ragionevole per vedere se le generiche intenzioni si traducono in progetti concreti. Consideriamo, inoltre, questi progetti soltanto per i giovani tra i 21 e i 24 anni, un'età cioè dove è realistico pensare che questi progetti vengano fatti.

E qui incominciano le sorprese. Tra i 21-24enni vi è an­cora un 30% di giovani (sia ragazzi che ragazze) che esclude,, oppure non sa, se nel prossimo quinquennio finirà gli studi, mentre quasi la metà dei coetanei, alla stessa età, gli studi li ha già finiti. Non si tratta soltanto di ragazzi di classe ele­vata che prevedono un lungo corso di studi universitario ed eventualmente post-universitario, ma di molti giovani che pur essendo ancora formalmente iscritti a qualche scuola o all'università sanno per certo, o sospettano, di non riuscire mai a finire gli studi, ma esitano ad abbandonare la qualifica di studenti. Si è addensata, cioè, nella fascia tra i 21 e i 24 anni una massa non indifferente di giovani che, pur in parte lavorando, cercano di mantenersi in qualche modo ancorati alla condizione giovanile di studenti. Molti di essi hanno, o prevedono di avere nei prossimi anni, un lavoro stabile, ma ritardano, per cosi dire, la scelta che li porterebbe definiti­vamente nell'età adulta.

Questa condizione di gioventu protratta comporta anche altri aspetti. Vi è, sempre nella stes!ia fascia d'età, il 42,6% di maschi e il 45,7% di femmine che non credono o non pre­vedono nel prossimo quinquennio di andare a vivere per conto proprio. La casa dei genitori, l ungi dall'essere un luogo che si vuole abbandonare per affermare la propria indipen­denza, resta ancora un comodo rifugio che si esita ad abban­donare. Per la stessa ragione, vi è una quota consistente di 2 1-24enni (il 40,3% dei maschi e il 25,7% delle femmine) che, pur dichiarando la volontà di sposarsi in un imprecisato futuro, esclude o non è in grado di prevedere che ciò possa verificarsi nei prossimi cinque anni. Anche la possibilità di

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avere dei figli, che come abbiamo visto è desiderata dalla grande maggioranza dei giovani, è esclusa o non prevedibile per i prossimi cinque anni da ben il 52% dei maschi e il 38% delle femmine che oggi hanno un'età tra i 21 e i 24 anni.

Appare molto chiaro dai nostri dati che esiste una quota consistente di giovani che intendono rimandare il piu possi­bile le scelte che li costringerebbero ad abbandonare il terri­torio della gioventu.

7. L 'amicizia e l'esperienza della vita di gruppo

Consideriamo ora un altro aspetto che sembra caratteriz­zare in modo specifico l'attuale generazione di giovani: l'a­micizia come fenomeno di gruppo. L'amicizia, non solo per i giovani, apre l'individuo ai rapporti sociali interpersonali ca­ratterizzati da una prevalente componente di simpatia e af­fettività al di fuori dell'orizzonte della famiglia. Chi non ha amici è, e il piu delle volte si ritiene, solo e questa condizione è vissuta come negativa nella società oggi forse ancora di piu che in passato. Il saper stare con gli altri è infatti general­mente considerata una caratteristica positiva della persona­lità individuale.

L'esperienza della solitudine, intesa come carenza d( rap­porti amicali, non è assente tra i giovani, ma è limitata. E as­sai piu frequente per le ragazze (24,2% contro 1' 8,3% dei maschi) dove però è spiegabile con il piu precoce instaurarsi di rapporti di coppia che tendono ad escludere o a limitare i rapporti amicali. Sono invece molto .ddotti tra i giovani, sia maschi che femmine, i rapporti di amicizia che si risolvono in una dimensione diadica: solo il 3,4% parla di amici coi quali ci si vede in un rapporto a due e questa percentuale cre­sce solo leggermente (7 ,4%) per i giovani appartenenti alla classe sociale piu alta.

Guardando i dati dell'inchiesta Shell del 1969 sembra che in questi quindici anni i comportamenti amicali dei gio­vani siano cambiati in misura assai consistente. Allora, l 'a­micizia a due era preferita da una buona parte sia dei maschi (32,4%) sia delle femmine (4 1 ,4%) e i gruppi di amici ten-

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devano ad essere di piccole dimensioni, attualmente, invece, il tipo di amicizia che prevale (in nove casi su dieci per i ma­schi e in sette su dieci per le femmine) è quella che si manife­sta come fenomeno di gruppo. E non si tratta in genere di gruppi di dimensioni troppo piccole: i gruppi fino a cinque persone coprono grosso modo il 40% di tutti i gruppi, men­tre il restante 60% è composto da gruppi di piu di sei per­sone e non sono infrequenti i gruppi di piu di 10 giovani, so­prattutto tra gli studenti.

Questi gruppi usano incontrarsi spesso. Una buona metà dei gruppi amicali giovanili ha l'abitudine di incontrarsi con una cadenza quasi quotidiana e un'altro 30% si incontra al­meno due volte la settimana. L' intensità della vita di gruppo, misurata con la frequenza di incontro, è piu alta per i maschi che non per le femmine, piu alta per i giovanissimi tra i 15 e i 17 anni che non per i piu grandi (e questo anda­mento segue in proporzione inversa quello dell'instaurarsi di rapporti di coppia) , piu alta al Sud che non al Nord, piu alta tra le classi inferiori che non tra quelle superiori, piu alta tra i giovani che studiano rispetto a quelli che lavorano che pre­sumibilmente hanno meno tempo di stare con gli amici. Ma le differenze, pur significative, non sono molto marcate: per la maggioranza dei giovani italiani stare col gruppo di amici è un'esperienza del tutto abituale.

I gruppi di amici, forse oggi assai piu che in passato, sono gruppi misti di maschi e di ragazze. I gruppi mano-sessuali di soli ragazzi e di sole ragazze sono piu frequenti tra i 15 e i 1 7

anni, piu frequenti tra i maschi che non tra le femmine, piu frequenti nelle classi basse che f!.On nelle classi alte, piu fre­quenti al Sud che non al Nord. E piu facile che una ragazza faccia parte di un gruppo composto prevalentemente da ra­gazzi maschi che non il caso contrario di un ragazzo che fac­cia parte di un gruppo composto prevalentemente da ra­gazze. In ogni caso però le differenze non sono forti: per i giovani italiani la separazione dei sessi nei rapporti di gruppo amicali è un fenomeno che appartiene prevalentemente al passato.

Su quale base si formano i gruppi di amici? È importante distinguere se le cose in comune che facilitano l' incontro tra

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i giovani derivano da fattori di appartenenza (i compagni di scuola, i colleghi di lavoro, i vicini di casa), oppure a fattori legati al tipo di attività intenzionalmente perseguite (gruppi religiosi, gruppi sportivi, gruppi politici) , oppure ancora a fattori piu casuali, come la frequenza dello stesso bar o della stessa discoteca, oppure, infine, se i gruppi amicali nascono sulla base della parentela.

Diciamo subito che i fattori di appartenenza prevalgono nettamente sui fattori di partecipazione e sui fattori di ca­sualità, mentre la parentela è un fattore del tutto trascura­bile.

TAB. 5 . 8 . Fattori di formazione dei gruppi amicali

Fattori di appartenenza scuola attuale scuola frequentata in passato lavoro vicinato

Fattori di partecipazione parrocchia, gruppi religiosi gruppi sportivi gruppi politici

Fattori casuali (bar; discoteca, ecc.)

Fattori di parentela

16 24

5 20

7 8 2

65

1 7

16

2

100

La scuola è il luogo privilegiato dove si formano i gruppi amicali giovanili e si tratta assai spesso di gruppi che durano nel tempo anche oltre l'esperienza scolastica. A scuola, in al­tre parole, ci si va non solo per imparare, ma anche perché è il luogo dove si incontrano gli amici, si sta insieme con i coe­tanei e, forse, di questa funzione della scuola anche gli inse­gnanti dovrebbero essere piu consapevoli per poterla valoriz­zare a fini educativi. Il lavoro, invece, non è un luogo adatto alla formazione di gruppi amicali. Anche i giovani che lavo­rano preferiscono incontrarsi con i vecchi compagni di scuola con i quàli la solidarietà resta piu forte che con i nuovi

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compagni di lavoro o, forse, per i giovani l'esperienza di la­voro è ancora troppo recente per incidere fortemente sulla formazione delle reti amicali.

I rapporti di vicinato mantengono una certa importanza soprattutto tra i giovanissimi, per i quali la strada è il luogo di incontro extra-famigliare piu accessibile, per le giovani donne già sposate e, in genere, per i giovani delle classi infe­riori che godono probabilmente di minore mobilità sul terri-

. torio. . Il ruolo della parrocchia e delle organizzazioni cattoliche

mantiene una certa importanza come fattore di formazione di reti amicali soprattutto per i giovanissimi di classe elevata, ma tale ruolo tende a ridursi con l'età. I gruppi sportivi sono importanti quasi esclusivamente per i giovani maschi e piu per coloro che appartengono alle classi elevate che non alle classi basse della scala sociale. L'attività politica, infine, è

solo in casi sporadici fonte c,li formazione di solidarietà ami­cali.

Il fatto di frequentare gli stessi locali pubblici (bar, di­scoteche, ecc. ) , senza che vi siano altre cose in comune, crea con una certa frequenza rapporti di amicizia, però assai piu tra i maschi che tra le ragazze e piu nelle classi basse che non nelle classi alte. Il peso di questo fattore cresce con l'età dei giovani e ciò testimonia la persistenza del modello tradizio­nale del .gruppo maschile che si forma tra i clienti abituali di uno stesso locale che la sera giocano a carte o a biliardo. A

questo aspetto tradizionale si aggiunge però oggi il fenomeno relativamente nuovo delle discoteche che si sono in parte so­stituite alle sale da ballo e che diventano sempre piu luoghi di frequentazione abituale dov.e si incontra sempre qualcuno che si conosce.

In generale, i gruppi amicali giovanili sono nella maggior parte dei casi caratterizzati piu dal fatto di «stare insieme» che di «fare delle cose in comune», la loro funzione princi­pale sembra essere il consumo di tempo.

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CAPITOLO SESTO

TEMPO LIBERO E CONSUMI GIOVANILI

l . Il tempo libero: aspirazioni e livelli di soddisfazione

La gerarchia delle cose rilevanti nella vita, costruita dai giovani del nostro campione, vede ai primi posti lo svago ed il tempo libero. Nove intervistati su dieci ritengono, infatti, che questa dimensione sia «molto» o «abbastanza» impor­tante, collocandola subito dopo la famiglia, il lavoro ed i rap­porti amicali e affettivi. Non vi sono variazioni degne di ri­lievo tra i vari sottogruppi, nel senso che la proporzione ora vista rimane quasi costante, sia che si consideri il sesso o l'età degli intervistati, sia che si guardi ad altre caratteristi­che quali, ad esempio, la zona di residenza, lo status socio­economico della famiglia o la condizione professionale del singolo.

L'espressione «tempo libero» ha, però, un notevole grado di indeterminatezza, cosi da impedire interpreta­zioni immediate ed univoche del dato ora visto. Vengono so­litamente associati a questa etichetta significati diversi tra loro ed attività assai varie, che vanno da quelle a carattere culturale al puro divertimento, dallo svolgimento di attività richiedenti un impegno fisico o intellettuale alla passiva frui­zione dei mass media, dalla pratica di hobbies piu o meno complessi al semplice far niente. Nel corso di questo capitolo cercheremo, quindi, di analizzare i differenti modi in cui i nostri intervistati impiegano ed interpretano il loro tempo li­bero e di identificare le aree di omogeneità e di differenzia­zione nei comportamenti giovanili in questo settore.

Punto di partenza è, dunque, la generale e diffusa esi­genza, espressa dalla quasi totalità del campione, di organiz­zare in modo autonomo il tempo che resta disponibile dopo l'assolvimento degli impegni di studio e di lavoro. Viene quindi spontaneo chiedersi se ed in quale misura questa esi-

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genza venga soddisfatta, se, in altre parole, le opportunità di tempo libero disponibili e praticabili dai giovani rispondano alle loro aspettative. A fronte di un 90% di intervistati che ri­tengono importante la dimensione svago/tempo libero, vi è poco piu del 70% che si dichiara soddisfatto del modo in cui riesce concretamente a realizzarla. Questo significa, in ter­mini di graduatorie, che dal quarto posto tra le «cose impor­tanti per la propria vita», il modo di passare il tempo libero scende al decimo quando si considerano gli aspetti di cui ci si dichiara contenti, seguito solo dai rapporti con gli insegnanti (che però riguardano solo coloro che studiano) e, significati­vamente, dal «modo in cui si vive in Italia oggi». I «molto» contenti sono, poi, un'esigua minoranza, rappresentando meno di un quinto del campione.

Esiste dunque, sulla dimensione che qui interessa, una di­scordanza tra aspettative e realtà. Discordanza che, però, non appare uniformemente distribuita tra tutti gli intervistati, ma differenzia in modo abbastanza preciso alcuni gruppi rispetto ad altri, a dimostrazione del fatto che fattori culturali e carat­teristiche sociali ed economiche influiscono sulle effettive possibilità di svolgere attività rispondenti alle esigenze indivi­duali di svago, di cultura o, piu in generale, di realizzazione di quelle aspirazioni personali che si manifestano al di fuori degli obblighi verso il lavoro, lo studio o la famiglia.

Il primo e piu netto fattore che influisce sul grado di sod­disfazione è il sesso. Le ragazze sono sistematicamente meno soddisfatte del modo in cui trascorrono il loro tempo libero, rispetto ai loro coetanei maschi e ciò si osserva costantemente in tutti i sottogruppi considerati. L'interpretazione di questo risultato è abbastanza evidente: esistono ancora forti pregiu­dizi e stereotipi, interni ed esterni alla famiglia, che impedi­scono di considerare sullo stesso piano ragazzi e ragazze. Ba­sterà qui solo ricordare la notevole differenza tra i due sessi per quanto riguarda le uscite serali e le maggiori resistenze che, a questo proposito, i genitori oppongono alle figlie ri­spetto ai maschi, la minor quantità di denaro messa a disposi­zione delle une rispetto agli altri, le minori opportunità che hanno le ragazze di guadagnare del denaro da poter poi spen­dere liberamente per sé.

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Il senso di insoddisfazione diffusa va, peraltro, cre­scendo con il crescere dell'età, vale a dire man mano che le aspettative si precisano e si definiscono meglio. La figura 6. 1 mostra, distintamente per i due sessi, il decrescere del grado di soddisfazione con l'aumentare dell'età.

3,90 1

3,40 1

'

15·17 anni

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18·20 anm

20-24 anni

FIG. 6 . 1 . Grado di soddisfazione sul modo di passare il tempo libero per età e ses­so.

Anche se la differenza tra maschi e femmine rimane, ap­pare evidente come, alla fine, i piu frustrati siano i primi, presumibilmente perché le ragazze, col passare degli anni, abbassano progressivamente il tiro, ammaestrate dalla pas­sata esperienza ed «educate» a non chiedere troppo . Illumi­nante, a questo proposito, ci pare sia la figura 6.2, in cui, sempre separatamente per i due sessi, è indicato l'anda­mento del grado di soddisfazione al crescere dell'autono­mia.

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BASSA Autonomia

MEDIA Autonomia

ALTA Autonomia

FIG. 6 .2. Grado di soddisfazione sul modo di passare il tempo libero per livello di autonomia e sesso.

Il guadagnare e poter spendere per sé, nonché le mag­giori libertà conquistate in famiglia, costituiscono per le ra­gazze una opportunità effettiva, che le rende in buona mi­sura diverse dalle coetanee che di questa autonomia non go­dono. Altro è l 'atteggiamento dei maschi, per i quali l'af­francamento dalla famiglia è un fatto atteso e considerato naturale. Vi sono, però, anche altri condizionamenti e vin­coli alla realizzazione dei propri desideri di tempo libero, piu direttamente legati alle condizioni socio-economiche e cultu­rali di partenza. Esiste, infatti, una netta correlazione posi­tiva del grado di soddisfazione che qui stiamo esaminando tanto con lo status socio-economico famigliare, quanto con il livello culturale dei genitori. Maggiori potenzialità materiali e culturali ricevute dalla famiglia mettono in grado di pro­gettare e organizzare il tempo libero in modo piu aderente alle proprie esigenze ed ai propri bisogni. Anche se poi - ed

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è un elemento da non trascurare - aspirazioni, desideri e progetti si scontrano con l'offerta reale esistente nell' am­biente in cui si vive e con le opportunità concretamente frui­bili. Appaiono, quindi, chiari i motivi per cui i maggiori li­velli di insoddisfazione li troviamo al Sud rispetto al Nord o nei piccoli centri rispetto ai capoluoghi di provincia, cioè là dove minori sono le possibilità di trovare strutture e propo­ste diversificate.

2. Le disponibilità monetarie: una stima e qualche confronto con i giovani degli anni Settanta

Avere del denaro a disposizione per se stessi significa, naturalmente, anche avere maggiori possibilità ed autono­mia tanto sul piano del tempo libero, quanto su quello dei consumi. Non è possibile, in indagini a carattere demosco­pico, ricostruire in modo dettagliato i bilanci dei giovani in­tervistati; tuttavia le risposte ad alcune domande sul denaro ricevuto dalla famiglia e su quello guadagnato, ci forniscono degli elementi con i quali poter costruire almeno un quadro complessivo delle entrate. Per poter meglio valutare tali en­trate abbiamo operato, nei limiti del possibile, alcuni con­fronti con l' indagine sulla condizione giovanile promossa dall'Isvet agli inizi degli anni Settanta 1 •

L a ricerca in questione aveva accertato che un giovane, all'epoca, riceveva in media dalla propria famiglia 13 . 165 lire al mese. Trasformando le lire 1970 (anno della rileva­zione Isvet) in lire 1983 è possibile dire che tredici anni fa i giovani, mediamente, ricevevano ogni mese l'equivalente di 77 .7 10 lire attuali 2 • Risultato, questo, abbastanza diverso da quanto emerso dalla nostra indagine, che ha messo in ri-

l R. Scarpati, La condizione giovanile in Italia, Milano, Angeli, 1973. 2 La trasformazione delle lire 1970 in lire 1983 è stata operata applicando i

coefficienti lstat del costo della vita. Nel nostro caso i valori del 1970 sono stati moltiplicati per 5 , 1 326 x 1 , 1 5 = 5,9025, dove il primo fattore trasforma le lire 1970 in lire 1982 ed il secondo tiene conto dell'aumento del 15% del costo della vita, avvenuto nel 1983 rispetto all'anno precedente.

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lievo come la cifra media mensile che gli intervistati rice­vono dalle famiglie sia pari a 60.560 lire. In termini reali, dunque, le disponibilità monetarie dei giovani, per la quota derivante dai trasferimenti dalle famiglie, si sono ridotte di oltre il 20% rispetto al 1970.

I dati del 1970 portarono i ricercatori Isvet a concludere che il trasferimento monetario dalle famiglie ai giovani in età compresa tra i 14 ed i 25 anni di età poteva essere stimata tra gli 820 ed i 955 miliardi annui ovvero, esprimendoci in lire 1983, tra i 4.840 e i 5 .640 miliardi all'anno. Il valore men­sile rilevato dalla nostra indagine, estrapolato all'intera quota di popolazione che riceve una somma di denaro dalla famiglia, ci porta ad una stima, sia pure di larga massima, di 4 . 700 miliardi annui trasferiti nel 1983 dalle famiglie ai gio­vam.

Le conclusioni a cui perveniva Scarpati, dopo aver con­frontato i dati del 1970 con un'indagine Doxa di quattro anni prima, erano cosi sintetizzati: « . . . dal 1966 . . . vi è stato, per il mondo giovanile, un aumento rilevante della di­sponibilità di denaro, da destinare al risparmio o al con­sumo, e quindi un aumento oggettivo del peso economico della domanda giovanile nell'ambito della domanda glo­bale» 3• Le conclusioni che possiamo trarre per i giovani og­getto della rilevazione 1983 sono esattamente opposte. Un'analisi piu dettagliata, per sesso e per gruppi di età, mo­stra come la riduzione complessiva, riscontrata a livello del­l'intero campione, si rifletta in misura maggiore sulle ragazze e sulle età piu adulte, con effetti di tipo moltiplicativo per le combinazioni dei due caratteri. Se per il complesso degli in­tervistati la diminuzione delle capacità reàli di consumo è pari al 22 % , per il sottogruppo delle ragazze tra i 21 e i 24 anni è quasi del 60% , mentre, all'opposto, i maschi tra i 15 ed i 17 anni hanno visto ridurre la propria disponibilità solo dell' l % .

Un raffronto delle disponibilità monetarie, in lire attuali, dei giovani del 1970 con quelli del 1983 è esposto nella ta-

3 R. Scarpati, La condizione giovanile in Italia, cit. , pp. 203·204.

1 40

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bella 6 . 1 , che peraltro va letta con qualche cautela, data la non perfetta coincidenza delle classi di età considerate dalle due indagini. Dall'analisi della tabella 6. 1 emerge, ad esem­pio, che se il gruppo dei maschi nel 1970 riceveva 100 lire, oggi lo stesso gruppo ne riceve 98, mentre le ragazze, per ogni 100 lire del 1970 ne ricevono oggi solo 58.

TAB. 6. 1 . Raffronto tra le disponibilità monetarie dei giovani nel 1 983 rispetto al 1 970 ( = 1 00), in lire 1 983

Età Totale Maschi Femmine

15-17 anni 95 97 91 18-20 anni 72 84 59 2 1 -24 anni 6 1 86 43 Totale 78 98 58

Questa sperequazione tra i sessi che vede le donne rice­vere dalla famiglia meno soldi dei coetanei maschi, tanto in termini assoluti quanto in termini relativi, è ancora piu mar­cata se si tiene conto del fatto che, stando ai dati Isvet, nel 1970 le ragazze ricevevano una somma mediamente supe­riore di 1/4 rispetto ai ragazzi. Per cercare di comprendere meglio questa modificazione complessiva del modello di rap­porto economico tra il giovane e la sua famiglia è necessario analizzare piu in dettaglio non tanto gli aspetti quantitativi del fenomeno, quanto la sua composizione qualitativa. È in­fatti abbastanza agevole spiegare la minore disponibilità mo­netaria dei giovani d'oggi rispetto a quelli dei primi anni Set­tanta con le mutate condizioni economiche del paese e con la situazione di recessione di questi ultimi anni. Apparente­mente piu oscuro è il motivo per cui la crisi economica si è ri­percossa maggiormente sui piu adulti e sulle ragazze, soprat­tutto se si tiene conto del fatto che la percentuale di coloro che ricevono denaro dalla famiglia è, sia pure di poco, au­mentata rispetto a 13 anni fa (74% nel 1983 contro il 70% rilevato nell'indagine Isvet) .

·

Un primo elemento di riflessione è fortlito dal confronto tra le modalità di elargizione del contributo famigliare (si

141

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veda la tabella 6.2). Osservando i dati relativi al 1983 pos­siamo notare che coloro che ricevono denaro dai genitori non solo con una cadenza regolare (settimanale o mensile), ma anche in quantità fissa, coloro cioè che ricevono una vera e propria paga, si sono proporzionalmente più che dimezzati rispetto al 1970.

TAB. 6 .2 . Tipo di contributo ricevuto dalla famiglia; confronto tra il 1 970 e il 1 983

Regolare e fisso Irregolare o variabile Nessun contributo

Isvet 1970

23,5 45,3 3 1 ,2

N = 7 .530

lard 1983

1 1 ,2 62,5 26,3

N = 2.000

Se, quindi, consideriamo solo coloro che ricevono de­naro dalla famiglia, possiamo notare una profonda modifica­zione nelle modalità di elargizione avvenuta in poco piu di un decennio. Nel 1970, circa 1/3 dei contributi famigliari aveva carattere fisso e costante; nel 1983 questa proporzione è scesa a meno di 1/6. La maggioranza di coloro che oggi ri­cevono denaro dalla famiglia, anche se con regolare cadenza settimanale o mensile, in realtà non possono contare su una somma fissa. I privilegiati, in questo senso, appaiono essere i maschi ed i piu giovani, cioè coloro per i quali il decremento rispetto al 1970 è stato meno forte.

TAB. 6.3. Denaro dato in famiglia e ricevuto dai genitori. (Sottogruppo di coloro che lavorano e vivono in famiglia)

Non danno e non ricevono denaro dai genitori Non danno ma ricevono denaro dai genitori Danno tutto il loro guadagno e ricevono denaro dai genitori Danno parte del loro guadagno e non ricevono denaro dai genitori Altre situazioni

1 42

23,4 25,5 22,4

18,5 10,2

N = 1 . 2 7 1

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Un secondo ordine di considerazioni si può desumere dal­l'analisi dei rapporti economici intrafamigliari, cosi come emergono dalla combinazione delle risposte sui soldi dati in famiglia e su quelli ricevuti dai genitori.

La tabella 6 .3 si riferisce solo al sottogruppo composto da coloro che vivono in famiglia e lavorano (e che, d'altronde, rappresentano 1'88% di coloro che lavorano) . Osserviamo che solo per circa 1/4 di essi si può dire che non esiste alcuna forma di interscambio monetario, nel senso che non danno nulla in famiglia, ma non ricevono alcuna somma dai genitori. All'opposto vi è piu di 1/5 di giovani che versa tutto il proprio guadagno in casa, per poi riceverne una somma piu o meno variabile per le proprie spese personali. Tra questi due estremi esiste una vasta gamma di situazioni intermedie che ci permettono di concludere che i 3/4 dei giovani che lavo­rano e vivono in famiglia in realtà entrano, con il loro red­dito, in modo integrato a comporre quello famigliare.

L'insieme dei due ordini di considerazioni ora fatte cOn­tribuisce a mettere in luce i motivi delle modificazioni osser­vate nel confronto tra la situazione del 1970 e quella attuale. La assai ridotta percentuale di coloro che ricevono una somma fissa e regolare dai famigliari può dunque spiegarsi con una minore disponibilità monetaria da parte delle fami­glie e con la conseguente spinta dei giovani verso la ricerca di lavori, sia pure a carattere saltuario ed occasionale, in sostitu­zione di quanto i genitori non possono dare. La ricerca di un lavoro per procurarsi il denaro per le proprie spese è correlato positivamente con l'età e ciò spiega la netta riduzione dei contributi famigliari osservata tra i piu anziani. Molto piu che nel passato le donne vanno alla ricerca di un lavoro, che consenta loro un'autonomia economica. In questa situazione riemerge il vecchio modello culturale che vede nella donna una persona che ha meno bisogno di soldi rispetto all'uomo e, di conseguenza, ha minori necessità di integrazioni moneta­rie da parte della famiglia. Che questo modello di privilegia­mento delle esigenze maschili sia uniformemente diffuso è di­mostrato dal fatto che lo scarto tra somme a disposizione dei maschi e delle femmine è indipendente dallo status socio-eco­nomico della famiglia e dal livello culturale dei genitori.

1 43

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In conclusione può dunque dirsi che la somma messa a disposizione dalle famiglie si è notevolmente ridotta, con conseguente ricerca di fonti di reddito integrative da parte dei giovani. Tutto ciò non può non avere conseguenze sia sul livello, sia soprattutto sul tipo di consumi, che sono scelti in modo piu mirato e finalizzato, nel momento in cui non è piu possibile contare su una cifra fissa assegnata dai genitori. La decisione di spesa è probabilmente piu attenta e meditata, proprio perché presuppone una correlativa decisione di repe­rimento dei soldi attraverso attività lavorative, sia pure a ca­rattere occasionale.

Il guadagnare dei soldi in proprio è, del resto, un' espe­rienza assai diffusa, tanto tra i maschi che tra le femmine. Se, infatti, consideriamo la classe di età tra i 2 1 e i 24 anni (l'unica per la quale questi calcoli hanno senso) , osserviamo che l'età media in cui le ragazze hanno cominciato a guada­gnare dei soldi per se stesse è molto vicina ai 18 anni ( 17 ,8 7), ma non molto lontana dalla corrispondente età media dei maschi (che è pari a 1 7 ,38); e, comunque, meno di 1/5 dei giovani in questa fascia di età non ha mai guadagnato soldi in vita sua.

3 . Le attività di tempo libero: uno sguardo generale

Nel corso dell'intervista veniva proposto ai giovani del campione un elenco di ventidue attività collegate all'impiego del tempo libero, sia in casa sia fuori casa. Per ciascuna ve­niva chiesto se e con quale frequenza essa era stata svolta du­rante gli ultimi tre mesi. Uno sguardo complessivo alla gra­duatoria delle frequenze di tali attività consente di fare al­cune riflessioni di carattere generale sui modi in cui i giovani intervistati orientano le proprie scelte. Nella tabella 6.4 ven­gono riportate le percentuali di coloro che hanno compiuto le diverse attività almeno una volta nei tre mesi precedenti l'intervista.

Il primo gruppo di attività, che possiamo chiamare ad alta diffusione perché praticate da piu del 60% del cam­pione, mostra come i locali pubblici piu frequentati dai gio-

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vani, oltre ai bar ed ai ristoranti, siano le sale cinematografi­che. Molto elevato è anche l'ascolto di musica registrata, che coinvolge quasi il 90% del campione.

TAB. 6.4. Graduatoria delle attività di tempo libero. (Percentuale di coloro che hanno compiuto l'attività almeno una volta in 3 mesi)

l . Sono entrati in un bar o caffè (da soli o con amici) 93,7 2. Hanno ascoltato dischi o cassette di musica 88,4 3. Hanno usato un registratore o un giradischi 81,2 4. Hanno mangiato in un ristorante o trattoria 74,5 5. Hanno guidato un'automobile 71,5* 6. Sono andati al cinema 65, l 7. Hanno fatto un viaggio (con almeno un pernottamento fuori casa) 58,5 8. Hanno ballato in un locale pubblico 52,8 9. Hanno fatto piccole riparazioni in casa 51,3

10. Hanno assistito ad una manifestazione sportiva 49,3 11. Hanno comperato dischi o cassette di musica leggera 46,9 12. Hanno ballato in casa, propria o di amici 46,6 13. Hanno usato il treno 42,5 14. Hanno praticato uno sport 36,6 15. Hanno visitato mostre o manifestazioni culturali 34,7 16. Hanno acquistato libri non di studio 33,5 17. Hanno lavorato nell'orto o in giardino 25,0 18. Sono entrati in una biblioteca pubblica 23,6 19. Sono andati ad un concerto di musica leggera 22,8 20. Hanno suonato uno strumento musicale 18;3 21. Sono andati a teatro 9,6 22. Hanno comperato dischi o cassette di musica classica 9,0

N = 2.000

* Percentuale riferita solo a coloro che hanno superato i 18 anni (N = 1.353).

Nel secondo gruppo, che possiamo definire a diffusione media, perché interessa una proporzione variabile tra il 40% ed il 60% dei nostri intervistati, ricadono in gran parte atti­vità che hanno a che fare con la sfera della socialità, dello stare insieme, delle manifestazioni collettive. Troviamo in­fatti qui il ballo, sia in locali pubblici sia in casa, il viaggiare, l 'assistere a manifestazioni sportive. Rilevante è anche la proporzione (quasi metà del campione) di coloro che si dedi­cano a piccole riparazioni casalinghe, classificabili nelle pra­tiche del «fai da te».

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Il terzo gruppo, infine, comprende attività poco diffuse, che interessano meno del 40% degli intervistati e che possono essere classificate, per la gran parte, come attività «culturali» nel senso tradizionale del termine: visitare mostre, acquistare libri e dischi o cassette di musica classica, entrare in una bi­blioteca, andare a teatro. Troviamo in questo gruppo ancbe attività volte ad acquisire e sviluppare particolari capacità fisi­che o intellettuali, come praticare uno sport o suonare uno strumento musicale . La scarsa frequenza di altre attività, quali l'assistere a concerti di musica leggera o il fare lavori di giardi­naggio è piu legata, a nostro avviso, alla offerta effettivamente disponibile o alla reale praticabilità, che non a precisi orienta­menti di scelta.

Per dare un quadro generale di sintesi, pur nella consape­volezza che ciò comporta qualche rischio di genericità, ci pare di poter riassumere quanto detto osservando come la gran parte del tempo libero dei QOstri intervistati sia rivolto ad atti­vità di fruizione passiva. E soprattutto la musica, in questo senso, a fare la parte del leone, come è dimostrato dall'alto tasso di ascolto di cassette e dischi, ma frequenze elevate si ri­scontrano anche per il cinema e, come vedremo in dettaglio piu avanti, per la radio e la televisione. Al secondo posto, con una diffusione intorno al 50%, troviamo attività definibili come «rivolte verso l'esterno», sia nel senso del conoscere altri ambienti ed altre realtà, come è appunto il viaggiare, sia nel senso di frequentare luoghi o praticare attività in cui è preva­lente l'elemento dello «stare insieme». Assai meno diffuso, in­fine, è quel complesso di occupazioni che possono riferirsi alla «cura del sé», nel senso dell'affinamento delle proprie cono­scenze e capacità: leggere, fare musica, praticare sport e simili.

Una considerazione a parte meritano, invece, gli alti tassi registrati dalla frequenza ai bar e caffè, da un lato, e dal man­giare in ristorante o trattoria dall'altro. Occorre tener conto, infatti, che l' arco di tempo considerato (tre mesi) e il periodo dell'anno in cui sono state effettuate le interviste (settembre) , hanno reso assai scarso il numero di coloro che non sono mai entrati in uno di questi locali.

Questo modello complessivo non appare fondamental­mente intaccato quando si considerino le suddivisioni per

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sesso, per età o per zona geografica. Qualche differenza si può, semmai, osservare quando si tenga conto delle condi­zioni socio-economiche della famiglia o del livello culturale di questa, ma si tratta di spostamenti all'interno di un qua­dro generale che rimane, nei suoi tratti essenziali, immutato. Se modifiche consistenti e ribaltamenti della gerarchia ora il­

lustrata vi sono, questi riguardano piu i singoli individui o gruppi ristretti, che solo indirettamente possono collegarsi ai grandi aggregati identificati dalle variabili ora viste.

All'interno di questa generale tripartizione, comunque, differenze ve ne sono ed emergono anche dalla sola analisi condotta per sesso ed età degli intervistati (si vedano le ta­belle 6.5 e 6.6) . L'analisi per sesso mostra, ad esempio, come nell'elenco delle attività proposte ai nostri intervistati non ve ne sia alcuna che possa dirsi svolta in una proporzione si­gnificativamente piu elevata dalle ragazze rispetto ai ragazzi: è anzi vero l'opposto. Vi sono, infatti, molte attività, soprat­tutto fra quelle che si compiono fuori casa, che appaiono es­sere piu appannaggio dei maschi che delle femmine. Guidare l'auto, andare al cinema, frequentare sale da ballo, assistere a manifestazioni sportive o a concerti di musica leggera, sono tutti modi di impiego del tempo libero che vedono una maggior percentuale di ragazzi rispetto alle ragazze. Una pa­rità si raggiunge, invece, per il viaggiare e per l'area piu tra­dizionalmente culturale (lettura, frequenze a teatro, a mo­stre e cosi via) che, peraltro, è anche la meno diffusa, oltre che per la frequenza al bar o al ristorante o per l'ascolto di musica registrata. Quest'ultimo modo di impiego del tempo, insieme all'andare al cinema, appare indipendente anche ri­spetto all'età, a conferma dell'alta e indifferenziata diffu­sione del modello che abbiamo chiamato di fruizione pas­siva.

4. Consumi culturali e mass media

L'ascolto di musica registrata è, come si è visto, un feno­meno assai diffuso tra i giovani del nostro campione: il 90% degli intervistati ha dichiarato di averla ascoltata almeno

1 4 7

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TAB. 6.5. Classificazione delle attività di tempo libero secondo il sesso e la di !fu· sione

Attività molto diffuse ( > 60%)

Attività a media diffusione (40%-60%)

Attività a bassa diffusione ( < 40%)

Attività svolte in prevalenza dai ma·schi

- Guidare l'auto - Andare al cinema

- Ballare in locali pubblici - Fare piccole riparazioni in

casa - Assistere a manifestazioni

sportive - Comperare dischi o cassette

di musica leggera - Praticare uno sport - Assistere ad un concerto di

musica leggera

Attività svolte in pari misura da maschi e femmine

- Frequentare bar o caffè - Ascoltare dischi o cassette

di musica - Usare il registratore o il gi·

radischi - Mangiare al ristorante o in

trattoria - Fare viaggi - Ballare in casa - Usare il treno

- Visitare mostre o manifesta-zioni culturali

- Acquistare libri - Lavorare in orto o giardino - Frequentare una biblioteca

pubblica - Suonare uno strumento mu­

sicale - Andare a teatro - Comperare dischi o cassette

di musica classica

una volta in tre mesi, ma il 70% l'ha ascoltata anche una o piu volte la settimana. Sembra, questo, uno degli elementi di maggior continuità con i giovani dei primi anni Settanta, dal momento che domande analoghe nelle inchieste Doxa-Shell e Isvet avevano raccolto pressappoco le stesse percentuali di risposta.

·

In mancanza di informazioni intorno al tipo di musica preferita non è possibile qualificare questo ascolto, che si mostra cosi diffuso ed indifferenziato . Resta, comunque, il fatto che, pur con le ovvie differenze dovute alla classe so­ciale ed alle disponibilità economiche, il consumo di musica è uno degli elementi caratterizzanti il campione che qui stiamo esaminando. Anche l'acquisto di cassette e dischi di

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TAB. 6.6. Classificazione delle attività di tempo libero secondo l 'età e la diffusione

Attività molto diffuse ( > 60%)

Attività a media diffusione (40%-60%)

Attività a bassa diffusione ( < 40%)

Attività con fre- Attività con fre- Attività con fre­quenza crescente al quenza decrescente quenza indipendente crescere dell'età al crescere dell'età dall'età

- Mangiare al ris to­ra n te o in trattoria

- Guidare I' auto

- Ballare in locali pubblici

- Fare piccole ripa­razioni in casa

- Visitare mostre o manifestazioni culturali

- Lavorare I' orto o il giardino

- Assistere a con­certi di musica leggera

- Andare a teatro - Acquistare dischi

o cassette di mu­sica classica

- Frequentare bar o caffè

- Ascoltare dischi o cassette di musica

- Usare il registra­tore o il giradischi

- Andare al cinema

- Assistere a ma- - Fare viaggi nifestazioni - Usare il treno sportive

- Comprare di-schi o cassette di musica leg­gera

- Ballare in casa

uno - Praticare sport

- Suonare uno strumento musi­cale

- Acquistare libri - Frequentare una

biblioteca pub-blica

musica leggera appare un fenomeno di rilievo, interessando quasi il 50% dei giovani intervistati. Un'indagine condotta dall'Ispi nel 1982 aveva rilevato, nella fascia di età tra i 15 ed i 24 anni, una percentuale di acquirenti di tali prodotti as­sai vicina a quella da noi osservata e comunque doppia ri­spetto alla media nazionale . La stessa indagine Ispi aveva ac­certato che circa il 40% degli acquirenti di dischi era costi­tuito dai giovani in questa fascia di età. Un mercato, quello della musica, che risulta fortemente condizionato dall'u­tenza giovanile, sia in termini di ascolto, sia in termini di ac­quisto vero e proprio.

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Ma vi è anche un altro tipo di consumo culturale che vede i giovani in una posizione di rilievo ed è quello cinema­tografico . Secondo i nostri dati, un intervistato su otto va al cinema con frequenza settimanale, uno su tre ci va con fre­quenza mensile ed uno su cinque con cadenza trimestrale. In questo caso le percentuali (seppure non perfettamente com­parabili) appaiono inferiori a quelle risultanti dall'inchiesta Doxa-Shell del 1 969, da cui appariva che oltre un terzo del campione aveva visto almeno un film nell'ultima settimana. Questo calo, d'altronde, si ricollega alla diminuzione gene­rale del numero di spettatori cinematografici avvenuta in questi ultimi anni . È evidente che la frequenza al cinema di­pende dall'età (i maggiori frequentatori sono coloro che hanno tra i 18 ed i 20 anni) , dal sesso (piu i maschi delle fem­mine) , dalle condizioni socio-economiche, dalla offerta esi­stente nella zona in cui si abita e cosi via. Ci sembra però importante osservare che, secondo una rilevazione Ispi del 1980, i maggiori consumatori di cinema sono proprio coloro che hanno un'età compresa tra i 15 ed i 24 anni. I giovani in questa fascia, infatti, pur rappresentando circa un quinto dell'intera popolazione italiana che ha piu di 15 anni, costi­tuiscono quasi la metà dei frequentatori di sale cinematogra­fiche . Accanto alla musica, dunque, anche il cinema è un set­tore che si regge in larga misura sul pubblico giovanile . D'al­tronde in entrambi i settori la produzione sempre piu si ri­volge a questo tipo di pubblico, confezionando offerte che, assai piu che per il passato, sono rivolte in modo specifico ai giovani.

Per completare il quadro occorre a questo punto esami­nare quali siano i livelli di fruizione giovanile nel campo dei mass media. La tabella 6. 7 pone a confronto le percentuali di ascolto della radio e della televisione e la lettura dei giornali.

Esaminando l'andamento di questi tassi di ascolto per le diverse suddivisioni del campione, ci si accorge che tra i di­versi mass media quello che piu uniformemente si distribui­sce rispetto al sesso, all'età, allo status socio-economico, alla zona di residenza è la televisione. Non si osservano, infatti, differenze degne di rilievo secondo nessuna di queste varia­bili, a conferma del fatto che la televisione è un mezzo che

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TAB. 6.7. Ascolto di radio e televisione e frequenza di lettura dei quotidiani

Televisioni Televisioni Radio Radio Quoti-nazionali private nazionali private diani

Tutti i giorni o quasi 49,2 62,6 16,3 45,3 28, 1 4-5 volte la settimana 15,4 16,0 5,2 1 1 ,4 9,3 1-3 volte la settimana 2 1 ,5 13,7 12,9 15,2 23,3 Meno di l volta la settimana 5,0 2,6 10,6 7,2 10,8 Mai o quasi mai 8,9 5,2 55,2 20,8 28,5

N = 4.000 4 .000 4 .000 4 .000 4.000

tocca indistintamente tutti gli strati della popolazione. An­che in questo caso è presumibile che un esame dei tipi di pro­grammi ascoltati farebbe emergere delle differenze anche notevoli. Ma in questa· sede, in cui occorre dare un quadro generale dei diversi fenomeni, ci basterà osservare questa funzione omogeneizzante del mezzo televisivo. Il confronto con le altre classi di età, disponibile grazie alla già ricordata indagine lspi del 1980, mostra come la percentuale di ascolto della televisione nella fascia di età che qui stiamo esaminando non differisce dall'ascolto medio nazionale: semmai i giovani mostrano una maggiore propensione verso le emittenti private. Diverso è, invece, il fenomeno dell'a­scolto radiofonico per il quale si può osservare, a parte la forte preferenza mostrata per le radio private, una differen­ziazione netta rispetto all'età ed al sesso. Sono generalmente i piu giovani e le ragazze ad ascoltare di piu la radio ed a ri­volgersi principalmente a quelle private . Ma anche il livello culturale familiare piu alto ed il piu elevato status socio-eco­nomico sembrano influire positivamente sulla fruizione di programmi radiofonici. Se l' ascolto radiofonico appare stret­tamente correlato a variabili che possiamo definire di tipo socio-culturale, ancora di piu lo è la lettura dei quotidiani . . Fenomeno, questo, che riflette in buona misura il problema piu generale della lettura dei giornali in Italia. Va detto, tut-

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tavia, che i tassi di lettura da parte della popolazione giova­nile appaiono decisamente migliori rispetto a quelli delle al­tre classi di età. Rispetto alla popolazione femminile in età superiore ai 25 anni, ad esempio, le ragazze tra i 15 ed i 24 anni leggono i quotidiani assai piu frequentemente, cosi come i maschi sono superati solo da coloro che hanno un'età compresa tra i 25 ed i 34 anni (lspi 1980) . Complessiva­mente, quindi, possiamo concludere quest'analisi osser­vando come i giovani da noi intervistati, pur rispecchiando le caratteristiche generali dei comportamenti dell'intera po­polazione italiana nei confronti dei mass media, dimostrino akune loro peculiarità, suscettibili di evolversi nel tempo.

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CAPITOLO SETTIMO

LA DEVIANZA E LA DROGA

l . Gli attegg,iamenti verso la devianza

Nel costruire l'identikit della generazione dei giovani d'oggi, gli atteggiamenti verso la devianza sono un tratto es­senziale. Vi è, innanzitutto, una diffusa preoccupazione so­ciale, che talvolta assume toni allarmistici alimentati dalle cronache, sulla presunta tendenza dei giovani ad infrangere il codice morale e penale della società. Ma vi è anche il fatto che i giovani si fanno anche molto spesso interpreti delle esi­genze di cambiamento dei criteri normativi in base ai quali i comportamenti vengono valutati o meno come devianti.

Per esplorare quest'area abbiamo chiesto ai giovani, in riferimento ad una lista di sedici comportamenti, se essi rite­nessero che tali comportamenti vengano socialmente criti­cati, se nella loro valutazione debbano considerarsi ammissi­bili e se possa capitare loro di compierli . Le risposte alla prima domanda esprimono la valutazione dei giovani del giu­dizio dato dalla società; quelle alla seconda domanda espri­mono la valutazione di ammissibilità dei giovani stessi e quelle alla terza, infine, esprimono, sia pure in modo indi­retto, la tendenza dei giovani a compiere certi comporta­menti considerati potenzialmente devianti.

I dati raccolti sono riportati s1nteticamente nella tabella 7 . l . La colonna A indica la percentuale di giovani che riten­gono che il comportamento in oggetto non sia criticato dalla socie"tà, un giudizio quindi di ammissibilità sociale . La co­lonna B indica la percentuale di giovani che ritengono am­missibile il comportamento in oggetto indipendentemente dal fatto che sia o meno socialmente criticato . La colonna B-A riporta le differenze tra i due dati precedenti. Tale dif­ferenza misura il grado con cui i giovani si ritengono piu (o meno) tolleranti della società nel giudicare l'ammissibilità

1 53

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T A

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dei comportamenti considerati. La colonna C indica la per­centuale di giovani che dichiarano che potrebbe capitare loro di compiere i comportamenti indicati. La colonna C-A esprime la tendenza dei giovani a varcare il confine che essi credono che la società ponga tra lecito e illecito e la colonna C-B esprime la tendenza dei giovani ad infrangere il codice morale che essi stessi hanno interiorizzato.

Nasce il sospetto che i giovani diano un giudizio restrit­tivo dell'ammissibilità sociale di certi comportamenti. Nel caso del divorzio e dell'aborto, ad esempio, sappiamo per certo che la popolazione italiana ammette in maggioranza la liceità di tali comportamenti, mentre secondo la maggio­ranza dei giovani sia il divorzio che l'aborto vengono criti­cati dalla società. Probabilmente questa incongruenza deriva dal diverso valore semantico dei verbi «criticare» ed «am­mettere», si può infatti çriticare un comportamento pur giu­dicandolo ammissibile. E nece_ssario segnalare questa diffi­coltà per interpretare con cautela i dati della colonna B-A: non si tratta infatti di confrontare per differenza due ele­menti omogenei (lo sarebbero se il confronto avvenisse tra la valutazione dell'ammissibilità sociale e il giudizio personale di ammissibilità) .

Nonostante questa difficoltà, si può dire che nel com­plesso i giovani danno un giudizio di maggiore tolleranza ri­spetto a quella che essi ritengono essere la norma sociale. Solo per quanto riguarda l'evasione fiscale la differenza di­venta negativa (ma è comunque molto piccola) . Per tutti gli altri comportamenti la quota di giovani che li considerano ammissibili supera la quota di giovani che li ritengono social­mente sanzionati. La maggiore tolleranza dei giovani assume proporzioni assai consistenti in riferimento ai comporta­menti che rientrano nell'area della morale sessuale e fami­liare (convivere al di fuori del matrimonio, divorziare, avere una relazione con una persona sposata, avere rapporti ses­suali senza essere sposati, abortire) . Emerge anche un giudi­zio di maggiore tolleranza in riferimento all'uso di alcolici (ubriacarsi) e di droghe leggere (fumare occasiona1mente marjuana) , nonché nei confronti dell'omosessualità. Per tutti gli altri comportamenti, invece, la norma dei giovani non si

155

Page 158: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

allontana sensibilmente da quella che essi considerano la norma sociale. In particolare, l'uso di droghe pesanti viene anche dai giovani considerato non ammissibile.

La tendenza dei giovani ad infrangere la norma sociale (colonna C-A) appare nel complesso assai limitata. Il fatto che i giovani ritengano di essere piu tolleranti della società non vuoi dire che vogliano infrangere piu frequentemente la norma sociale, salvo che per una serie di comportamenti che non sono comunque considerati violazioni «gravi» del codice morale e penale: viaggiare sui trasporti pubblici senza pa­gare, avere rapporti sessuali senza essere sposati, ubriacarsi, avere una relazione con una persona sposata, assentarsi dal lavoro senza essere malati.

L'unico comportamento rispetto al quale la percentuale di giovani che pensano di poterlo compiere è maggiore della percentuale di giovani che lo ritengono ammissibile è il fatto di v!aggiare sui trasporti pubblici senza biglietto.

E interessante rilevare come per molti dei comporta­menti segnalati sia il giudizio di ammissibilità sia la tendenza alla trasgressione siano legati all'origine sociale dei giovani nel senso di una maggior tolleranza, ma anche di una mag­giore propensione alla trasgressione, dei giovani di classe so­ciale elevata. Ciò vale in particolare per i seguenti comporta­menti: viaggiare senza biglietto, fumare marjuana, divor­ziare, ubriacarsi, assentarsi dal lavoro, rubare in un negozio, avere rapporti sessuali senza essere sposati, avere esperienze omosessuali, convivere fuori dal matrimonio, suicidarsi, pra­ticare l'eutanasia, avere relazioni con persone sposate . L 'u­nico comportamento rispetto al quale i giovani di classe bassa sono piu tolleranti e piu propensi alla trasgressione è il fare a botte. Nel complesso, dunque, a meno di non ipotiz­zare una maggiore sincerità nelle risposte correlata alla classe sociale di appartenenza, sembra che tra i giovani la tendenza alla devianza, sia in termini di minore rigidità dei codici nor­mativi che di propensione alla trasgressione, sia maggiore ai vertici della scala sociale che non alla base: l'esatto opposto di quanto risulta dai dati statistici della giustizia minorile.

Le differenze tra maschi e femmine sono abbastanza marcate, soprattutto per i comportamenti che rientrano

156

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nella sfera sessuale, dove le ragazze assumono e si confor­mano a modelli normativi piu rigidi che non i loro coetanei. Naturalmente le ragazze sono meno propense a fare a botte, ad ubriac:;trsi ed anche a viaggiare senza biglietto. Nel com­plesso le ragazze mostrano una maggiore conformità alle re­gole sociali, ma le differenze non sono tali (con l'eccezione della sfera sessuale) da poter parlare di differenti codici nor­mativi. Nella sfera sessuale, invece, vige ancora in larga mi­sura una «doppia morale», maschile e femminile, legata alle diverse culture regionali e di classe, in base alla quale ciò che è lecito o ammissibile per i maschi non lo è altrettanto per le femmine. La divaricazione tra morale per i maschi e morale per le ragazze si accentua soprattutto nelle regioni meridio-nali e nelle classi piu basse.

·

Una fonte di variazione particolarmente significativa per spiegare gli atteggiamenti verso la devianza risulta essere la dimensione urbana. L'analisi condotta non ha potuto appro­fondire questo aspetto, ma da quanto risulta da alcune elabo­razioni preliminari appare evidente che i giovani che vivono nelle città capoluoghi di provincia sono piu tolleranti, ma an­che assai piu propensi alla trasgressione, dei giovani che vi­vono in centri minori, dove evidentemente i meccanismi del controllo sociale operano con maggiore efficacia.

2. Gli atteggiamenti verso l'uso di droga

I giovani, lo abbiamo appena visto, operano una distin­zione abbastanza netta tra droghe leggere e droghe pesanti. Nei confronti delle prime (tra le quali è legittimo conside­rare, oltre alla marjuana, anche I' alcool) adottano un atteg­giamento piuttosto permissivo, mentre nei confronti delle seconde il loro codice non sembra consentire deroghe. L'ar­gomento merita di essere approfondito vista l'ovvia rile­vanza che assume nelle discussioni sulla questione giovanile.

Emerge in primo piano un dato inequivocabile: la mag­gior parte dei giovani è esposta al problema della droga in modo diretto attraverso la propria personale esperienza e non soltanto in modo mediato attraverso i mass media. Il

157

Page 160: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

55% dei giovani dichiara di aver avuto occasione di parlare con persone che hanno fatto uso di droga almeno una volta e ben il 40% dichiara di conoscere persone che fanno uso di droga abitualmente. 11 20% ha visto o ha preso in mano ma­terialmente qualche tipo di droga e una percentuale di poco superiore (il 21%) ha ricevuto proposte di provare o compe­rare della droga. Quasi 1'8 % ha avvertito il desiderio o la cu­riosità di provare l'effetto della droga. Ciò vuoi dire che nel nostro paese vi sono quasi 700.000 giovani che sono poten­zialmente consumatori di droga, una cifra non irrealistica se si pensa che, in base al recente rapporto del Censis, sono 85 .448 i giovani che hanno fatto ricorso ai servizi pubblici e privati per le tossicodipendenze e che lo stesso Censis stima tra 180.000 e 240.000 il numero dei tossicodipendenti in Italia. Del resto, anche dalla nostra ricerca, risulta che l' 1 ,4% dei giovani dichiara che potrebbe loro capitare di as­sumere droga pesante (che equivale quasi ad ammettere di averla già usata) e che questa percentuale, proiettata sull'in­tera popolazione giovanile, dà un numero di 1 1 3 .000 gio­vani.

I maschi risultano piu esposti delle ragazze al di sopra dei vent'anni, i giovani del Nord lo sono di piu dei giovani del Sud e i giovani di classe elevata piu di quelli di classe bassa. Il gruppo piu esposto sembra essere quello degli studenti la­voratori, probabilmente per effetto della frequenza alle scuole serali e per la maggiore autonomia di cui godono e che aumenta le occasioni di incontro con i consumatori di droga.

La droga circola, è una presenza concreta nello spazio oc­cupato dai giovani, la prevenzione (anche da parte dei geni­tori) non può cercare di minimizzare le possibilità di con­tatto col fenomeno elevando il grado di controllo. L 'unica prevenzione possibile è il rafforzamento delle difese interio­rizzate. I giovani non possono tenersi lontano dalla droga, possono soltanto tenerla lontano.

I giovani sembrano essere acutamente consapevoli del fatto che, per combattere il fenomeno droga, le misure re­pressive sui consumatori hanno scarsa efficacia. Alla do­manda sulle misure ritenute piu valide per risolvere il pro­blema della droga piu di otto giovani su dieci si esprimono

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per una piu decisa repressione del traffico («inasprire le pene per chi spaccia la droga», 44%) e per l'intensificazione del­l'opera di prevenzione (38%) . Meno del 5 % chiede pene piu severe per chi fa uso di droga e una quota ancora minore (4,4%) è favorevole alla completa liberalizzazione del con­sumo.

Risultati molto simili si ottengono quando si chiede ai giovani di descrivere l' immagine che essi hanno della per­sona tossicodipendente. Per la maggior parte dei giovani, il drogato è una persona malata e debole, incapace di dominare i propri impulsi autodistruttivi, bisognosa quindi di assi­stenza e cura da parte della società. A questa immagine ade­risce il 72% dei giovani. Solo una minoranza (il 17 ,3%) vede il drogato come una persona viziosa che ha deliberata­mente scelto la strada della perversione e che quindi deve es­sere punita dalla società. Una minoranza ancora piu piccola, infine, 1 '8%, ritiene che il drogato sia una persona normale che non deve essere né curata né punita.

A sottolineare l'aspetto di reato e a richiedere misure pu­nitive sono assai piu i maschi delle femmine (20,5 contro 13,4%), i giovani di classe inferiore rispetto a quelli di classe elevata, assai piu i giovani che lavorano rispetto agli stu­denti. Ma anche quando queste tre caratteristiche si som­mano (maschi di bassa estrazione sociale che lavorano) , l'at­teggiamento di tipo curativo prevale di gran lunga sull' atteg­giamento di tipo repressivo.

I giovani quindi sanno bene che cosa è la droga, hanno in gran parte un'esperienza diretta del fenomeno attraverso il contatto con coetanei che hanno fatto o fanno uso di droga, e ritengono che si tratti di una manifestazione patologica che deve essere fronteggiata con misure preventive, assistenziali e curative. Essi rifuggono dalle posizioni estremistiche, sono fondamentalmente contrari sia alla criminalizzazione del drogato, sia alla liberalizzazione del consumo di stupefa­centi. Il loro atteggiamento appare quindi assai consapevole c maturo, forse assai piu di quanto non ci si possa aspettare da altri gruppi sociali e da altre fasce d'età della popolazione.

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APPENDICI

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Page 165: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

APPENDICE PRIMA

LA COSTRUZIONE DEL CAMPIONE

La collettività considerata nell'indagine è costltmta da 8 . 77 3 .000 giovani di 15-24 anni, residenti e presenti in Italia alla fine del 1983 (dato stimato, tenendo conto dei risultati dell 'ul­timo censimento della popolazione, dell'ottobre 198 1 , e della mortalità negli ultimi anni).

I dati sulle caratteristiche, i comportamenti, le opinioni e gli atteggiamenti dei giovani sono stati rilevati per mezzo di intervi­ste dirette, fatte ad un campione casuale di 4.000 giovani (maschi e femmine, di età compresa fra 15 e 24 anni) .

Le interviste sono state distribuite secondo regioni e classi di popolazione dei comuni in modo proporzionale all' <<Universo» di 8 . 773 .000 giovani. Nei 90 strati considerati ( 18 regioni o gruppi di regioni x 5 classi di popolazione) sono stati selezionati 206 co­muni, costituenti un campione rappresentativo di tutti i comuni italiani.

Nei comuni di rilevazione i nomi e gli indirizzi dei giovani di 18-24 anni sono stati estratti direttamente dalle liste elettorali. Per selezionare i giovani di 1 5 - 1 7 anni, che non sono iscritti nelle liste elettorali, è stato adottato il metodo seguente:

a) è stato selezionato dalle liste elettorali un numero di indi­rizzi di elettori corrispondente al numero di giovani di 15-17 anni da intervistare, e sono state visitate le famiglie estratte;

b) nelle famiglie estratte in cui sono stati trovati giovani di 15-17 anni è stato intervistato il solo giovane presente, oppure un giovane selezionato casualmente (nei pochi casi di famiglie con 2 o piu giovani di 15- 1 7 anni);

c) nelle famiglie in cui non sono stati trovati giovani di 15- 1 7 anni l 'indirizzo estratto è stato utilizzato come punto di partenza per la ricerca di una famiglia con giovani nella classe di età consi­derata (cioè la famiglia, con l o piu giovani di 15 -17 anni, piu vi­cina a quella estratta dalle liste elettorali).

Sia per i giovani di 18-24 anni (direttamente estratti dalle li­ste), che per i giovani di 15-17 anni, sono stati forniti ai rilevatori anche alcuni indirizzi di riserva, che sono stati utilizzati per sosti­luire i giovani trasferiti o sconosciuti all'indirizzo fornito, e quelli

1 63

Page 166: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

assenti nelle prime tre visite (fatte in giorni e periodi della giornata diversi).

L' indagine presso il campione di 4 .000 giovani è stata prece­duta da due rilevazioni sperimentali, dirette a verificare la possibi­lità di ottenere determinati tipi di informazioni e ad individuare i tipi di domande e di test piu adatti.

La prima rilevazione sperimentale è stata fatta nel mese di no­vembre del 1982. Sono stati intervistati 1 1 3 giovani da 18 intervi­statori, che hanno operato in 16 comuni di tutte le zone geografi­che. Tenendo conto dei risultati della prima serie di 1 1 3 interviste (che hanno avuto una durata media di oltre un'ora), il testo di molte domande è stato modificato, alcune domande sono state eli­minate, ma nuove domande sono state inserite, per poter ottenere informazioni piu complete su alcuni argomenti ed anche dati di confronto con i risultati di altre ricerche, fatte in Italia ed all'e­stero, presso campioni di giovani e presso campioni di adulti.

Poiché il questionario redatto dopo la prima rilevazione speri­mentale è risultato troppo lungo, il gruppo di lavoro ha deciso di ri­volgere le domande fondamentali (80 domande) a tutti i 4.000 in­tervistati ed altre domande, per cui poteva essere accettato un er­rore di campionamento maggiore, solo al 50% degli intervistati, cioè solo ad un sub-campione di 2 . 000 giovani intervistati con l'e­dizione A del questionario (45 domande), oppure ad un altro sub­campione di 2.000 giovani intervistati con l'edizione B (40 do­mande). Le due edizioni del questionario sono state utilizzate nel mese di maggio del 1983 per fare 30 interviste sperimentali che hanno avuto una ·durata media di quasi un'ora (58 minuti) e che hanno fornito utili indicazioni per migliorare sia il testo delle do­mande che le istruzioni per i rilevatori.

La rilevazione principale ha avuto luogo nel mese di ottobre del 1983 (la raccolta dei dati, inizialmente prevista per il mese di giu­gno, è stata poi rinviata alla fine dell'estate, per ridurre i costi di impedimento ed assenza nel periodo degli esami, per gli studenti universitari e della scuola media secondaria, e, nel periodo delle va­canze estive, sia per i giovani lavoratori che per gli studenti).

Le reazioni dei giovani sono state nel complesso positive ed i casi di rifiuto ad essere intervistati sono stati molto rari. Molto piu frequenti sono stati invece i casi di giovani ripetutamente assenti da casa.

Dopo la rilevazione, 10% delle interviste sono state control­late con nuove visite fatte ai giovani inclusi nel campione. Nelle vi­site di controllo sono state ripetute alcune domande del questiona­rio (soprattutto domande sulle caratteristiche degli intervistati).

1 64

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Dopo essere stati sottoposti ad alcuni controlli logici anche nella fase di «codifica» delle risposte, i dati rilevati sono stati tra­sferiti su nastri magnetici e sono stati elaborati presso il centro di calcolo dell'Istituto Doxa, utilizzando un elaboratore Ibm 433 1 .

Poiché alla conclusione della rilevazione la distribuzione se­condo sesso, età e classe di popolazione dei comuni è risultata leg­germente diversa da quella dell' «universo», soprattutto a causa delle cadute, dovute ad assenze da casa (piu frequenti fra i ma­schi, in alcune classi di età, fra i giovani occupati a tempo pieno e nei grandi centri urbani) i dati sono stati «ponderati», attribuendo a tutti gli strati (cioè, ad esempio, ai maschi di 1 5 - 1 7 anni, alle donne di 2 1 -24 anni del sub-campione A, ecc.) un peso corrispon­dente a quello previsto nel piano di campionamento e proporzio­nale al peso effettivo dei giovani con le caratteristiche indicate a livello nazionale.

1 65

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APPENDICE SECONDA

IL QUESTIONARIO E LE DISTRIBUZIONI DI FREQUENZA

L'indagine lard sulla condizione giovanile si è svolta utilizzan­do lo strumento tecnico del questionario. Il questionario è stato sottoposto a due diversi campioni di 2 .000 giovani ciascuno in due edizioni aventi una base comune ed alcune domande differenti.

Ora presentiamo qui di seguito la serie pressoché completa delle tabelle che riportano in percentuale la frequenza delle rispo­ste, allo scopo di offrire al lettore uno strumento valido per il con­fronto generale con altre indagini o per la verifica diretta dei risul­tati principali.

Per fornire una corretta lettura delle tabelle facciamo due precisazioni:

- abbiamo indicato con «R» le domande che sono previste so­lo nella seconda edizione del questionario;

- abbiamo chiamato «Base» il numero assoluto dei giovani coinvolti in ciascuna domanda.

Distribuzioni di frequenza

l . Sesso:

2A.

Maschi Femmine

Base

Età:

15 anni 16 anni 1 7 anni 18 anni 19 anni 20 anni 2 1 anni 22 anni 23 anni 24 anni

Base

1 67

5 1 % 49%

4.000

10,9% 1 1 , 1 % 10,5% 10,1% 10, 1% 10,4%

9,5% 9,3% 9,2% 9,2%

4.000

Page 170: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

2B. Anno di nascita:

1968 1967 1966 1965 1964 1963 1962 1961 1960 1959 1958

Base

3 . Stato civile:

Celibe/Nubile Coniugato/a Separato/a Divorziato/a Vedovo/a

Base

4 . Numero di figli:

Nessuno l figlio/a 2 figli/e 3 o piu figli/e

Base

5A. Posizione di fronte al servizio militare (solo per i maschi):

Ha già fatto il servizio m ili t are Sta facendo il servizio militare Non ha fatto il servizio militare

Base

Non ha fatto il servizio militare e:

È sicuro di doverlo fare Crede di doverlo fare Crede di non doverlo fare È sicuro di non doverlo fare Non sase lo farà

Base

1 68

8,9% 1 1 ,3% 10, 1 %

9,5% 10,6% 10,6%

9,5% 9,5% 9,1% 9,1% 1 ,9%

4.000

9 1 , 1 % 8,8%

0,1%

4.000

93,7% 4 ,8% 1 ,3 % 0,2%

4.000

24,8% 2 , 1 %

73,1%

2.040

40,9% 26,5%

4,5% 23,8%

4,3%

1 .492

Page 171: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

5B. Prevede di fare (solo per i maschi):

Il servizio militare Il servizio civile Non sa se farà il servizio militare o quello civile Pensa di non fare il servizio militare

Base

6. Titolo di studio:

Nessuna scuola Scuola elementare Scuola media inferiore Scuola media superiore (2-5 anni) compreso attestato formaz. profess. Università (4-6 anni) Diploma para-universitario (2-3 anni) Diploma pose-universitario (2-3 anni)

Base

7 A. Tipologia del titolo di studio:

66,3% 4,4% 4,5%

24,8%

2.040

0,5% 8,2%

57,2%

33,6% 0,4% 0,2%

4.000

(solo per gli intervistati che hanno completato una scuola media superiore o l'uruversità o altri tipi di scuole, dopo la scuola media inferiore)

Attestato di formazione professionale Diploma di Istituto professionale Diploma di scuola magistrale Maturità di Istituto professionale Maturità di Istituto magistrale Maturità di Istituto tecnico industriale (perito) Maturità di Istituto tecnico commerciale (ragioniere) Maturità di Istituto tecnico per geometri . Maturità di altri Istituti tecnici

' (nautico, ecc.)

Maturità linguistica Maturità classica Maturità scientifica Liceo artistico Laurea o diploma para-pose-universitario

Base

1 69

10, 1 % 12,0%

5,2% 4,5% 6,6%

9,6%

15,3%

4,3% 2,7% 1,8%

10,0% 14,5%

1 ,2%

1,5%

1 .363

Page 172: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

7B. Età in cui è stato conseguito il titolo di studio post obbligo:

16 anni 1 7 anni 1 8 anni 19 anni 20 anni 2 1 anni 22 anni 23 anni 24 anni

Base

9A. Interruzione della frequenza in una scuola (o corso di laurea):·

Non ho interrotto la frequenza Ho interrotto la frequenza

Base

Ho interrotto la frequenza

Scuola elementare Scuola media inferiore Scuola media superiore Università

Base

9B. Motivo dell'interruzione: (solo a chi ha interrotto la frequenza)

Non mi piaceva studiare Per lavorare Per motivi economici Per motivi familiari o personali Per ragioni di salute Sono stato bocciato Non mi piaceva l'ambiente scolastico Mancanza di interesse per il tipo di scuola frequentata Per svolgere il servizio militare Altre risposte Non so, nessuna risposta

Base

1 70

4,2% 12,6% 35 ,7%. 36, 1 %

6,9% 2,3% 1,0% 0,6% 0,5%

1 .363

8 1 ,3% 18,7%

4.000

2,5% 23,7% 66,0%

7,8%

748

30,6% 12,3%

2,5% 1 1 , 1 %

3,3% 10,2%

8,4%

18,4% 1 ,9% 1 ,2% 4,9%

748

Page 173: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

lOA.

lO B.

Numero delle ripetenze:

Nessuna

Base

Ha ripetuto un anno Ha ripetuto due anni Ha ripetuto tre anni Ha ripetuto piu di tre anni

Base

Numero delle ripetenze per tipo di scuola: (solo a chi ha ripetuto)

Nella scuola elementare

Nessuna l anno 2 anni 3 o piu anni

Base

Nella scuola media

Nessuna l anno 2 anni 3 o piu anni

Base

1 1 . Iscrizione alla scuola o all'università:

No Si

Base

Sf e cioè:

Scuola media dell'obbligo Scuola media superiore/corsi formazione profess. Università/corsi para-post -universitari

Base

1 71

65,4%

4.000

73,7% 22,5%

3,3% 0,5%

1 .383

73 ,1% 22,0%

4,2% 0,7%

1 . 383

16,8% 6 1 ,6% 15,3%

1,9%

1 .383

57,3% 42,7%

4.000

1 ,8% 68,2% 30,0%

1 .709

Page 174: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

12. Iscrixione e tipo di scuola:

Scuola media inferiore Scuola di formazione professionale Istituto professionale Istituto o scuola magistrale Istituto tecnico industriale Istituto tecnico commerciale Istituto tecnico per geometri Altro istituto tecnico Liceo linguistico Liceo scientifico Liceo classico o ginnasio Liceo artistico Conservatorio Altra scuola media superiore Facoltà di scienze matematiche, fisiche o naturali, scienze dell'alimentazione Facoltà di farmacia, chimica Facoltà di medicina e chirurgia Facoltà di agraria o medicina veterinaria Facoltà di ingegneria o scienze dell'informazione Facoltà di architettura Facoltà di economia e commercio ·

Facoltà di giurisprudenza Facoltà di scienze politiche Facoltà di lettere e filosofia Facoltà di magistero Altre facoltà/corsi para-post-universitari Non indica

Base

14. Coloro che credono o sono sicuri di iscriversi all'università: (solo agli iscritti ad una scuola media superiore)

Si, sono sicuro Credo di si Credo di no No, è escluso Non so

Base

14A. Lei pensa che: (a chi crede o è sicuro di iscriversi all'università)

Studierà all'università senza lavorare? Soprattutto studierà, ma anche lavorerà? Soprattutto lavorerà, ma anche studierà? Non so, non posso prevedere

Base

1 72

1,8% 10,2%

7,3% 5 , 1 % 6,3%

14,7% 5 , 1 % 2,6% 1 ,8% 8,5% 4,6% 1 ,0% 0,5% 0,2%

2,3% 1,0% 2,9% 0,9%

3,6% 1 , 1 % 4,9% 4,6% 1 , 1 % 2,2% 2,8% 2,5% 0,6%

1 . 709

18,9% 19,0% 14,0% 32,3% 15,8%

1 . 164

41 ,3% 36, 1%

5,9% 16,7%

441

Page 175: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

15 . Media dei voti conseguiti (negli esami fatti finora):

Ha conseguito voti 92,1 % Non ha fatto alcun esame 1 ,3% Non indica la media dei voti 6,6%

Base 1 .678

Per la scuola media secondaria:

Meno di 6 6,8% Circa 6 40,3% Circa 7 42,5% Circa 8 8,0% Circa 9 o piu 2,4%

Base 1 .2 1 1

Per l'università:

18-20 3,3% 2 1 -23 12,3% 24-26 33,0% 27-29 37,6% 30 13,8%

Base 333

16. Numero medio di ore dedicate allo studio a casa (in una settimana normale dell'anno scolastico 1982-1 983):

Nessuna (o quasi) Meno di 3 ore 4-8 ore 9-14 ore 15-20 ore 2 1 -26 ore 27-32 ore 33-38 ore 39-44 ore 45-50 ore 50 ore o piu Non so

Base

1 73

1 ,9% 2,0%

1 1 ,2% 23,0%

24,8% 16, 1%

6,8% 5,9% 2,0% 1,8% 0,4% 3,9%

1 . 709

Page 176: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 7 A. Numero di coloro che hanno svolto un'attività retribuita (anche per pochi giorni e per poche ore al giorno):

Si No

Base

17B. Periodo di lavoro retribuito (svolto negli ultimi 2 anni):

No mai Si

Base

SI e cioè:

Meno di 15 giorni Da 15 a 30 giorni 1-2 mesi 3-6 mesi 7-9 mesi 10-12 mesi 13-18 mesi 19-24 mesi

Base

18A. Condizione attuale degli intervistati:

Lavora ed anche studia Lavora (e non studia) Studia (e non lavora) Non lavora e non studia

Base

18B. Condi:àone dei lavoratori-studenti: (solo agli intervistati che lavorano e studiano)

Soprattutto lavora (ma anche studia) Soprattutto studia (ma anche lavora) Non indica

Base

20. Tipo di lavoro:

Lavoro autonomo Lavoro dipendente Lavoro in cooperativa Lavoro fatto come coadiuvante in un'azienda della famiglia .

Base

174

60,5% 39,5%

4 .000

43,7% 56,3%

4.000

4,3% 6,0%

10,4% 15 ,6%

4,8% 10,4%

7,9% 40,6%

2.251

4,3% 3 1 ,9% 38,4% 25,4%

4.000

40, 1 % 55,2%

4,7%

172

1 1 ,7% 78,1%

0,6% 9,6%

1 .447

Page 177: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

2 1 . Tempo di lavoro nell'attuale azienda:

Meno di 3 mesi 1 1 ,7% 3-5 mesi 6,4% 6-1 1 mesi 10,2% 1-2 anni 30,8% 3-4 anni 23,4% 5 anni o piu 17,7%

Base 1.447

22. Ore dedicate a/ lavoro negli ultimi 7 giorni:

Nessuna 3,7% Meno di 10 ore 3,6% 10-19 ore 3,9% 20-29 ore 5,6% 30-34 ore 4,5% 35-39 ore 9,0% 40-44 ore 44,2% 45-49 ore 10,6% 50-54 ore 5,3% 55-59 ore 2,6% 60 ore o piu 6,4% Non so 0,9%

Base 1 .447

23. Media guadagno mensile L. 473.700

Media ore di lavoro mensili 124 Media guadagno orario L. 3 .320

24. Settore di attività:

Agricoltura 7,4% Industria estrattiva 1,0% Industria manifatturiera 23, 1 % Edilizia 10,4% Energia 1,0% Trasporti 1,9% Credito, assicurazioni, finanza 1 ,5% Commercio e turismo 19,4% Altri servizi privati 12,0% Scuola 3,9% Sanità 2,9% Pubblica amministrazione 3,3% Artigiano senza specificazione 12,1% Non indica 0,2%

Base 1 .447

1 75

Page 178: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

25. Numero addetti delle aziende:

l addetto (da solo) i addetti Da 3 a 5 addetti Da 6 a l O addetti Da 1 1 a 50 addetti Da 5 1 a 100 addetti Da 1 0 1 a 500 addetti Da 501 a 1 .000 addetti Piu di 1 .000 addetti Non so

Base

26. Sicurezza di avere lo stesso datore di lavoro anche fra un anno:

Sf sono sicuro Credo di sf Credo di no No, è escluso Non so, non posso prevedere

Base

27. Motivi che determinano l'insicurezza:

Il reddito, lo stipendio Le condizioni di lavoro I rapporti con i compagni di lavoro I rapporti con i superiori, coi capi La sicurezza e stabilità del lavoro, del posto L'autonomia, la possibilità di decidere Il tipo di lavoro L'impossibilità di migliorare L'impossibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità Altro Non indica

Base (risposte multiple)

28. Numero di eventuali altri lavori svolti e retribuiti (lavori non brevi):

No, nessuno Si, e cioè l altro lavoro 2 altri lavori 3 altri lavori 4 o piu

Base

1 76

9,5% 12,9% 26,3% 15,5% 20,7%

4,4% 5,4% 2,0% 2,0% 1 ,4%

1.447

45,2% 19,6% 17,8%

8,8% 8,6%

1 . 447

1 1 , 1 % 4,0% 0, 1% 1,3%

19,5%

3,1% 27,5%

6,2%

1,6% 8,6%

2 1 ,2%

794

58,2%

25,6% 9,3% 3,4% 3,5%

1 .447

Page 179: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

29. Altre attività retribuite oltre a/ lavoro (attività anche saltuarie):

No, nessuna Si, e cioè Lezioni private Lavori impiegatizi o simili Lavori manuali Lavori agricoli Altro

Base

30. Livello di soddisfazione nei confronti dell'attuale lavoro:

Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Poco soddisfatto Del tutto insoddisfatto Non so

Base

3 1 . Motivi di insoddisfazione nei confronti del lavoro:

Lo stipendio, il reddito Le condizioni di lavoro I rapporti coi compagni di lavoro I rapporti coi superiori, coi capi La sicurezza e stabilità del lavoro La mancanza di autonomia, l'impossibilità di decidere Il tipo di lavoro L'impossibilità di migliorare L'impossibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità L'orario di lavoro Altro

Base (risposte multiple)

32. Utilizzo delle capacità individuali nell'attuale lavoro:

Utilizzate totalmente Utilizzate in larga misura Utilizzate solo in parte In larga misura inutilizzate Totalmente inutilizzate Non indica

Base

177

95,2%

0,5% 0,8% 2,3% 0,9% 0,4%

1 .447

28,7% 44,9% 17,4% 8,2% 1 ,0%

1 . 447

24,4% 9,6% 2,8% 3,0% 6,4%

1 ,5% 25,3%

2,4%

4 , 1 % 9,3% 0,2%

1 .018

24,3% 29,0% 34,7%

6,2% 5,7% 0,3%

1 .447

Page 180: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

3 3. Utilità del tipo di scuola frequentata per fare l 'attuale lavoro:

È indispensabile È molto utile È abbastanza utile È poco utile È inutile Non indica

Base

34. Valutazioni di preferenza del rapporto orario di lavoro e guadagno:

Orario di lavoro piu corto, guadagnando di meno Orario di lavoro piu lungo, guadagnando di piu Orario piu corto, guadagnando di piu Orario piu corto, guadagnando uguale Uguale orario, guadagnando di piu Va bene cosi Altra risposta Non so

Base

7 , 1 % 9,6%

22,0% 23,8% 37,2%

0,2%

1 .447

16,2% 58,5%

2,7% 0,7% 2 , 1 % 9,2% 0 , 1 %

10,6%

1 .447

35 . Valutazione dell 'adeguatezza del tempo libero (dopo l 'impegno di lavoro):

Si, mi basta No, non mi basta Non indica

Base

65,0% 34, 1 %

0,9%

1 .447

36. Ipotesi di scelta del tempo libero (nel caso di-una diminuzione delle ore di lavoro):

Piu ore libere nei giorni in cui lavora Un giorno libero in piu ogni settimana Piu giorni di vacanza ogni anno Altra risposta Non indica

Base

3 7 . Modalità intraprese per la ricerca del lavoro:

Non sto cercando lavoro Sto cercando lavoro

Base

1 78

25 , 1 % 4 1 ,6% 29,9%

0,6% 2,9%

1 . 447

68,8% 3 1 ,2%

2.552

Page 181: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

Sto cercando lavoro e:

Ho messo annunci sui giornali ·

Mi sono iscritto all'ufficio di collocamento Ho interessato amici e parenti Ho fatto domanda ad aziende Mi sono presentato ad aziende, ecc. Ho partecipato (o sto partecipando) a concorsi pubblici Leggo e/o rispondo ad inserzioni sui giornali Altre cose

Base (risposte multiple)

38. Motivi per cui l 'intervistato non lavora e non cerca lavoro: (agli intervistati che non lavorano e non cercano lavoro)

Motivi di famiglia Motivi di studio Servizio militare (attuale o prossimo) Motivi di salute o invalidità Mancanza di bisogno Vana ricerca di un lavoro in passato Convinzione di non poter trovare un lavoro adatto alle proprie possibilità Altre risposte Non indica

Base (risposte multiple)

39. Stato di convivenza degli intervistati:

Con uno o entrambi i genitori Con altri parenti Con il coniuge (e figli se ci sono) Con il coniuge, ma nella stessa casa dei miei/suoi genitori Con il/la mio/a ragazzo/a Con amici/amiche In collegio, caserma, pensionato universitario Da solo/a

Base (risposte multiple)

179

2,4%

25,8% 20,3% 14,2%

8,3% 16,3% 12,5% 0,2%

797

10,2% 77,4%

4,2% 0,4% 7,0% 1,6%

1,9% 1,0% 0,2%

1.755

88,8% 7,7% 7 , 1 % 1 ,4% 0,2% 0,2% 1 ,2% 0,5%

4 .000

Page 182: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

40. Percentuale del guadagno che l'interoistato dà in famiglia: (agli intervistati che lavorano e vivono coi genitori)

Nulla Meno del 20% 20-39% 40-59% 60-79% 80-99% Tutto (100%) Non indica

Base

36,5% 7,7%

1 1 ,9% 9,4% 5,2% 3,6%

22,9% 2,8%

1 .271

4 1 . Età, occasione di guadagno e possibilità di spendere liberamente i soldi guadagnati:

Non mi è mai capitato di guadagnare soldi Mi è capitato di guadagnare soldi, ma non ho mai potuto spendere liberamente per me

La prima volta che ho guadagnato ed ho potuto spendere liberamente dei soldi, avevo:

Meno di 12 anni Da 12 a 14 anni Da 15 a l 7 anni Da 18 a 20 anni 2 1 anni o piu Non indica

Base

1 80

36,9%

6,7%

1 ,2% 8,0%

26,9% 16,8%

3,3% 0,3%

4.000

Page 183: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

42

. 4

3.

Con

diz

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15

16

17

18

19

20

2

1 2

2

23

24

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7

1,3

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45

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15

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,3

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2

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2

8,2

Bas

e 4

.00

0

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66

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.12

4

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06

2

.30

2

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1.

48

6

1.10

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73

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368

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1.

48

6

1.10

6

736

36

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Page 184: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

44. Ipotesi di eventuale cambiamento nei prossimi cinque anni (negli studi, nel lavoro, nella convivenza ecc.):

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Trovare un lavoro stabile 18,0 10,1 44,1 13,5 7,3 7 , 1 4 .000

Andare a vivere per conto proprio 5,6 9,5 24,5 24,5 22,8 1 3 , 1 4.000

Sposarsi 8,4 10,9 28,7 20,4 15 ,2 16,5 4.000

A vere dei figli 5 , 1 8,2 25,2 22,2 19,6 19,7 4.000

Finire gli studi 34,0 27,0 13 ,7 5,8 14,9 4,6 4.000

45 . La consuetudine di svolgere le faccende domestiche (secondo il sesso):

Rifarsi il letto Preparare i pasti Fare la spesa Lavare i piatti Pulire la casa Lavare e/o stirare Occuparsi di bambini piccoli

Basi

Sempre o spesso Raramente o mai

Maschi Femmine Maschi Femmine

20,4 83,1 79,5 16,9 12,0 46,4 88,1 53,6 25,8 59,4 74,3 40,6

5,6 64,3 94,5 35,6 7,2 66,3 92,9 33,6 2,9 53,6 97,2 46,5

7,3 23,9 92,9 76, 1

Maschi = 1 .020; Femmine = 980

1 82

Page 185: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

46.R La regolarità nel ricevere dei soldi dai genitori:

Regolarmente (una volta al mese o alla settimana) Spesso, ma non regolarmente Qualche volta Mai

Base

4 7 . R Entità della somma erogata mensilmente dai genitori:

Fino a 5 .000 lire Da 6.000 a 10.000 Da 1 1 .000 a 1 5 . 000 Da 16.000 a 20.000 Da 2 1 . 000 a 30.000 Da 3 1 .000 a 50 .000 Da 5 1 .000 a 100.000 Da 101 .000 a 150.000 Da 1 5 1 . 000 a 200.000 Da 201 .000 a 300.000 Piu di 300.000 lire Non indica

Base

Media

48.R La modalità di ricevere i soldi dai genitori: (agli intervistati che ricevono regolarmente soldi)

Somma fissa Somma variabile

Base

49. La regolarità nell'uscire la sera per conto proprio: (agli intervistati che vivono con genitori o parenti)

Tutte le sere o quasi 4-5 volte la settimana 2-3 volte la settimana Circa una volta la settimana Meno di una volta la settimana Mai

Base

1 83

3 1 ,0% 25,7% 1 7 , 1 % 26,3%

2.000

1 , 1 % 5,9% 4,2% 8,7%

1 1 , 1 % 22,7% 19,5%

4,8% 4 ,1% 3,0% 0,6%

14,3%

1 .475

60.560

36, 1 % 63,9%

620

29,8% 9,6%

26, 1 % 10,6%

7,0% 16,9%

3. 592

Page 186: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

50.R I motivi indicati dai genitori che fanno diHicoltà ai figli per uscire la sera:

Sono d'accordo che esca Fanno delle difficoltà

Base

Fanno delle difficoltà soprattutto per ciò che riguarda:

La frequenza con cui esco Gli orari (di uscita o rientro) Le persone frequentate I luoghi e gli ambienti Gli altri impegni (lavoro, studio) I pericoli (di tornare sola, ecc .) Altra risposta Non indica

Base

63,7% 36,3%

1 .801

1 1 ,7% 39,3%

7,5% 7,2% 7,0%

32,6% 0, 1 %

19,6%

654

5 l .R - 52.R La diHusione tra i giovani dei gruppi di amici e la loro dimensione:

No, nessun gruppo Sf, ho un gruppo di amici

Base

Il gruppo di amici è composto da

2-3 persone 4-5 persone 6-1 O persone 1 1 -20 persone Piu di 20 persone Ho vari amici che vedo separatamente

Base

53.R La frequenza di incontro del gruppo di amici: (a coloro che hanno un gruppo di amici)

Tutti i giorni o quasi 4-5 volte la settimana ·2-3 volte la settimana Una volta la settimana Meno di una volta la settimana

Base

1 84

16,0% 84,0%

2.000

13,2% 25,7% 34,3% 15,6%

7,0% 4,2%

1 .679

4 1,0% 12,0% 28,8% 14,0%

4,2%

1 .679

Page 187: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

54.R Tipologia del gruppo di amici:

Attuali compagni/e di scuola o di università Attuali compagni/e e colleghi di lavoro Vicini/e di casa Giovani che ho conosciuto in passato a scuola e con cui poi sono rimasto amico Giovani con cui frequento attualmente, oppure ho frequentato in passato, la parrocchia o organizzazioni cattoliche Giovani con cui pratico uno sport o con cui frequento la stessa organizzazione sportiva Giovani che incontro negli stessi locali pubblici (bar, discoteche, ecc.) senza altre cose in comune Giovani dello stesso partito o con le stesse idee e la stessa attività politica Parenti Giovani conosciuti casualmente (occasionalmente, amici di amici) Altro Non indica

Base (risposte multiple)

55 . Composizione del gruppo di amici in base al sesso:

Solo maschi Prevalentemente maschi Maschi e femmine Prevalentemente femmine Solo femmine Non indica

Base

1 85

28, 1%

7,6% 32,2%

39,3%

1 1 ,5%

14,1%

23,7%

2,9% 3,9%

3,4% 0,2% 0,9%

1 . 679

10,2% 18,3% 59,8%

7,4% 3,6% 0,7%

1 .679

Page 188: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

56. 57. 58. La partecipazione non occasiona/e all'attività di associazioni o gruppi (almeno una volta o a{meno tre volte negli ultimi tre mesi)

Almeno Almeno l volta 3 volte

in 3 mesi

Hanno partecipato 59, 1 % 36,2% Non hanno partecipato 40,9% 63,8%

Base 4 . 000 4.000

Hanno partecipato a Almeno Almeno La piu (e ritengono piu importante) l volta 3 volte impor-

in 3 mesi tante Organizzazione politica (partito ecc.) 9,0% 6,2% 3,2% Organizzazione sindacale 3,5% 2,8% 1,3% Organizzazione religiosa (parrocchia ecc.) 40,2% 26,0% 18,4% Organizzazione di categoria (artigiani ecc .) 1 ,7% 1 ,5% 0,7% Organizzazione sportiva (di praticanti) 60,7% 52,3% 42,6% Organizzazione sportiva (di tifosi) 20,6% 2 1 ,2% 9,1% Organizzazione culturale (teatrale ecc .) 17,8% 14,0% 10,2% Organizzazione ricreativa turistica 1 1 ,5% 9,8% 3,7% Organizzazione per la difesa della natura 5,6% . 3,3% 3,2% Organizzazione di impegno sociale ed assistenziale 7,3% 6,0% 4,9% Collettivo, gruppo di base 4,3% 2,7% 1 ,0% Organizzazioni che si occupano dei problemi della donna 2,5% 0,6% 1 ,0%

Base (risposte multiple) 2 .365 1 . 449 1 .528

59. Il tipo di comportamento che adotterebbero (secondo l'intervistato) i membri dell'organiuazione nel caso di una sua uscita dalla organizzazione stessa:

Non darebbero molta importanza ali' uscita Se ne dispia_cerebbero ma non chiederebbero spiegazioni Chiederebbero delle spiegazioni Molti lo considererebbero un tradimento Altra risposta Non indica

Base

1 86

1 4 ,0% 17,6% 57,3%

3 , 1 % 0, 1 % 7,8%

1 .528

Page 189: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

60. Livello di partecipazione (negli ultimi dodici mesi) ad attività come manifesta-zioni, raccolte di firme, assemblee, dibattiti sui diritti civili ecc. :

Hanno partecipato 36,3% 23,0% Non hanno partecipato 63,7% 77,0%

Base 4.000 4.000

Temi della partecipazione Ha Solo 1-2 partecipato volte

La pace ed il disarmo 37,2% 38,6%

l problemi della scuola e degli studenti 60,8% 41 ,7% I problemi dei lavoratori (di una azienda ecc.) 22,0% 16,2% La difesa dell'ambiente e del territorio 1 3 ,6% 14,0% I problemi della donna 1 1 ,0% 10,2% I problemi del quartiere di zona 8,9% 7,9% L'organizzazione delle campagne elettorali 9,7% 9,3%

Base 1 .453 920

6 1 . Coloro che devono essere pagati di piu (secondo l'intervistato):

Chi rende di piu Chi ha piu bisogno (una famiglia piu numerosa) Chi ha piu esperienza e preparazione tecnica Chi ha piu responsabilità Chi fa un lavoro piu faticoso Chi ha studiato di piu Chi ha piu anzianità Non so

Base

62. Il lavoro che piacerebbe fare:

Occupazioni a contenuto prevalentemente manuale ed a bassa qualificazione Occupazioni a contenuto prevalentemente manuale ed a medio·alta qualificazione Occupazioni di tipo impiegatizio Occupazioni di tipo imprenditoriale o dirigenziale e libere professioni Occupazioni di tipo artistico o sportivo o legate al mondo dello spettacolo Indecisi

Base

1 87

19,5% 80,5%

4.000

Almeno 3 volte

23,3%

63,3%

2 1 ,6%

8,4% 7,6%

6,6%

6,5 %

780

22,2% 2 1 ,4% 18,2% 15,4% 15,4% 2,7%

" 1 ,2% 3,5%

2.000

9 , 1%

19,0% 37,3%

18,6%

5,3% 10,7%

1 . 887

Page 190: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

63. Le probabilità di potere svolgere il lavoro preferito:

Molto probabile Abbastanza probabile Abbastanza improbabile Molto improbabile Non so, non posso prevedere

Base

64. Dove preferiscono lavorare ed in quale posizione gli intervistati:

Per un'azienda privata Per un'azienda pubblica Non so, dipende In una grande azienda In una piccola azienda Non so, dipende

Con un lavoro in proprio Con un lavoro dipendente Non so, dipende

Base

24,5% 29,3% 1 5 ,0% 22,0%

9,2%

1 . 799

39,3% 44,4% 16,3% 5 1 , 1 % 29,6% 19,3% 59 ,1% 32,4%

8 ,5%

2 .000

65.R - 66. R L'occasione piti idonea che un ragazzo o una ragazza può scegliere per andare a vivere fuori dalla casa dei genitori (secondo il parere degli inter· vistati):

Quando è maggiorenne ( 1 8 anni) Quando ha finito gli studi Quando ha un lavoro e può mantenersi Quando si sposa Quando vuole Non indica

Base

188

Ragazza

1 1 , 1 % 1 ,0 %

47,4% 24,4% 15 ,7% 0,3%

2.000

Ragazzo

10,0% 1,2%

57,3% 13,2% 1 7,6%

0,7%

2 .000

Page 191: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

67. -68. Aspetti maggiormente apprezzati in un insegnante (delle scuole medie) :

Molto Poco La piu importante impor- impor-

tante tante

Capacità di mantenere una certa disciplina in classe 7 1 ,0% 27,2% 7,9% Capacità di stabilire un rapporto amichevole e cordiale con gli allie-vi 93,0% 5 ,8% 3 1 ,6% Preparazione culturale e compe-tenza specifica nella sua materia 93,9% 4,7% 29,4% Apertura a problemi politici e so-ci ali 58,4% 39,5% 3,3% Sensibilità nei confronti delle esi-genze e degli interessi degli stu-denti 87,6% 10,3% 18,8% Non so 0,7% 0,7% 9,1% Nessuno 40, 1 %

Base (risposte multiple) 4.000 4.000 4 .000

69.-70. I modi di comportamento piu diffusi fra gli insegnanti di oggi (secondo l'espe­rienza degli intervistati):

Modi Il piu diffusi diffuso

Incompetenza ed impreparazione 36,9% 20,4% Influenza politica ed ideologica sugli allievi 29,8% 14,3% Eccessiva severità 25,0% 12,3% Tendenza a non considerare esigenze e punto di vista degli allievi 53,9% 37,5% Eccessiva accondiscendenza ed arrendevolezza di fronte alle richieste degli allievi 17,9% 7,9% Non so, nessuno 6,9% 7,6%

Base 2.000 2.000

7 1 . Il significato dell'istruzione:

L'istruzione è principalmente D'accordo In disac-cardo

Un sacrificio inevitabile 38,7% 57,0% Un mezzo per avere soddisfazione nella vita 79,5% 17 ,7% Un mezzo per trovare un senso alla propria vi-t a 60,9% 34,0% Un mezzo per guadagnarsi da vivere 66,4% 30,6% Un mezzo per raggiungere il successo persona-le 70,0% 26,0% Un mezzo per rendersi utile agli altri 69,7% 25 ,6% Un mezzo per assicurarsi la sopravvivenza nel-la società 5 5 ,6% 40,2% Un mezzo per incidere sulla società 65,2% 27,5%

Base (risposte multiple) 2.000 2.000

1 89

Page 192: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

72. Le finalità da attribuire alla scuola media superiore:

La scuola media superiore dovrebbe D'accordo In disac-principalmente

Fare capire allo studente la situazione politica, economica e sociale 66, 1 % Curare la preparazione professionale dei gio-va m 94,3% Aiutare il giovane a capire la propria persona-lità ed a svilupparla 87,1 % Favorire la formazione del cittadino per ren-derlo capace di partecipare attivamente alla gestione democratica della società 79,2% Dare la possibilità di imparare a godere di un vasto arco di attività espressive come la lette-ratura, la musica, lo sport 82,7% Insegnare ai giovani ad inserirsi attivamente nel mondo del lavoro 92,5%

Base (risposte multiple) 2.000

7 3 . Opinione sulla finalità professionale della scuola media superiore:

La scuola media superiore dovrebbe sempre dare un titolo di studio utile ad un inserimento immediato nel mondo del lavoro (SO No Non so

Base

74. Soddisfazione degli studi compiuti per ciò che riguarda:

Capacità professionali acquisite Cultura generale acquisita Rapporti con i compagni Rapporti con gli insegnanti

Base (risposte multiple)

1 90

Si

54,3% 70,0% 86,3% 67, 1 %

2 .000

cordo

27,4%

3,4%

9,4%

1 5 ,2%

12,8%

5,5%

2 .000

82, 1 % 13,0%

4,9%

2.000

No

44,7% 29, 1 % 12,8% 3 1 , 5 %

2.000

Page 193: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

75 . La stima dell'importanza di alcuni valori:

Molto Ab b. Poco Non Non Media impor- impor- impor- impor- so tante tante tante tante

Famiglia 8 1 ,9% 16,8% 0,9% 0,2% 0 ,1% 3 ,81 Lavoro 67,7% 28,2% 2,7% 0,8% 0,6% 3,64 Ragazzo/a amici/che 58 ,4% 3 5 , 1 % 5 ,6% 0,7% 0,3% 3,52 Svago/tempo libero 43,6% 46,8% 8,7% 0,7% 0,3% 3,34 Studio ed interessi culturali 34,1% 45,7% 14,2% 5,6% 0,5% 3,05 Attività sportive 32,1% 41 ,8% 19,2% 6,6% 0,3% 3,00 Impegno sociale 2 1 ,9% 50,4% 19,8% 6,7% 1 ,2% 2,89 Impegno religioso 12,2% 36, 1 % 32,7% 18,4% 0,6% 2,42 Attività politica o sindac. 4,0% 23,7% 45,2% 26,3% 0,9% 2,05

Base 4.000

76. L 'aspetto piu importante nel lavoro:

l o posto 2° posto

Lo stipendio, il reddito 2 1 , 5 % 16,6% La sicurezza e stabilità del posto 16,9% 13,3% La possibilità di imparare cose nuo-ve e di esprimere le proprie capacità 14 ,1% 12,8% L'interesse del tipo di lavoro 1 1 ,4% 7,8% La possibilità di migliorare (reddito e ti-po di lavoro) 9,7% 1 1 ,7% Le condizioni di lavoro 7,2% 9,3% L'autonomia, la possibilità di decidere 7,0% 7,0% Buoni rapporti con i compagni di lavoro 6,0% 1 1 ,5% Buoni rapporti con i superiori, con i capi 2,8% 5 ,2% L'orario di lavoro 0,6% 1 ,8% Non indica, nessuno 2,8% 3 ,0% .

Base 4 .000 4.000

77 . La persona con cui il giovane si confida e consiglia di consuetudine:

Madre Amico/a, ragazzo/a Padre Coniuge Sorella Fratello Sacerdote Altro Insegnante

Base (risposte multiple)

191

35,9% 34,8% 17,9% 6,9% 5,4% 3,2% 0,6% 0,6% 0 , 1 %

4.000

Page 194: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

78. Posizione di fronte al matrimonio:

Sono già sposato/a Ho intenzione di sposarmi Non ho intenzione di sposarmi Non so, non posso rispondere

Base

79.R Posizione di fronte alla possibilità di avere figli:

Ho già figli Sono sicuro di volere figli Credo di volere figli Credo di non volere figli Sono sicuro di non volere figli Non ci ho ancora pensato

Base

80.R L 'età piu idonea per avere figli:

Prima di 18 anni 18-20 anni 21-22 anni 23-24 anni 25-29 anni 30-34 anni 35 anni e piu Non so

Base

8 1 . R Il numero di figli ideale per una coppia:

Nessuno l figlio 2 figli 3 figli 4 o piu figli Non so

Base

82. R Opinione sull'esperienza della maternità:

La maternità è la cosa principale per la donna, �he dovrebbe dedicarsi solo a questo compito E molto importante per la donna ma non dovrebbe assorbirla completamente La donna dovrebbe essere liberata il piu possibile dai compiti �ella maternità per potersi dedicare al lavoro e ad altri interessi E un'esperienza che consente alla donna di sentirsi piu completa e di arricchirsi come persona Non so

·

Base

1 92

8,8% 75,8%

5,0% 10,4%

4.000

5,9% 60,0% 20,4%

3,3% 2,7% 7,7%

2.000

0, 1 % 3,2% 9,0%

19,0% 5 1 , 1 % 1 1 ,5%

0,7% 5,4%

2.000

0,3% 6,2%

69, 1 % 19,5%

1 ,9% 3,0%

2.000

12,0%

32, 1 %

5 , 1 %

45,8% 5,0%

2.000

Page 195: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

83.R 84.R Giudizio su alcuni aspetti della personalità del padre e della madre messe a confronto con la personalità del figlio/a (intervistato/a):

Il padre è Piu di Come Meno di Non in-me % me % me % dica %

Tollerante 35,0 28,8 3 3 , 5 2 , 7 Progressista 13,7 27,2 56,4 2,7 Interessato alla politica 46,5 27,8 2 3 , 1 2,6 Religioso 24,2 46,4 26,7 2,7 Onesto 3 1 , 1 64,0 2,2 2,7 Legato alla famiglia 40,5 5 1 , 8 5,0 2,7 Rispettoso degli altri 3 1 , 3 5 8 , 7 7,2 2,8 Sicuro di sé 50,4 33,9 12,9 2,8 Legato al lavoro 65,9 27,4 4 , 1 2,6

La madre è Piu di Come Meno di Non in-me % me % me % dica %

Tollera.nte 46,5 26,4 26,3 0,8 Progressista 13,8 33,5 52,0 0,7 Interessata alla politica 10,4 25,0 64,0 0,6 Religiosa 56,7 33,8 8,9 0,6 Onesta 35,3 62,5 1 ,6 0,6 Lega t a alla famiglia 58,2 40,0 1,2 0,6 Rispettosa degli altri 39,0 57,2 3,2 0,6 Sicura di sé 38,5 4 1 ,2 19,6 0,7 Legata al lavoro 56,7 35,3 7 ,2 1 ,0

Base 2 .000

85.R Alcuni argomenti di cui si parla in famiglia e su cui i genitori si trovano in ac-cardo o in disaccordo con i loro figli:

Si D'ac- In parla cardo Disac-

% % cardo %

Le persone che frequenta 79,6 64,6 13 ,8 I rapporti con le persone dell'altro sesso 54,4 41 ,8 12,0 L'impegno nello studio e nella scuola 60,7 42,9 1 7 , 1 Le idee politiche 35,7 21 ,2 1 4 , 1 L a religione e la frequenza in chiesa 46,4 3 1 ,0 14,8 Il modo di vivere in generale 83 , 1 55,0 26,9

Base (risposte multiple) 2.000 2.000 2.000

1 93

Page 196: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

86. Un 'opinione su chi deve contare di piu o di meno nella società italiana:

Deve contare di di come non piu % meno % ora % so %

Gli industriali 17 ,8 35,8 39,2 7,2 Gli operai 69,8 5.7 2 1 ,5 3,0 Gli intellettuali 3 1 ,4 22,6 38,0 8,0 I contadini 76,0 4,4 16,4 3,2 I tecnici, gli scienziati 60,9 7,6 27,0 4,5 Gli esercenti, i negozianti 17,7 27,3 49,5 5,5 Gli artigiani 58,2 7,8 29,8 4,2

Base 2 .000

87. Alcune opinioni su come vanno le cose in Italia:

D'accordo In disac· % cardo %

Ognuno può esprimere liberamente le sue cri· tic h e quando non è d'accordo 85,7 1 1 ,3 C'è troppa libertà di fare quel che si vuole; a lungo andare rischia di portare alla dittatura 4 1 ,7 49,6 Basta avere soldi e tutto si può sistemare 42,5 54,7 Le minoranze che hanno idee ed abitudini di-verse dagli altri sono viste veramente male 52,4 37,2 Ognuno è libero di fare quello che vuole se è l?ermesso dalla legge 73,6 23,3 E troppo ingiusto che alcuni abbiano molto ed altri non abbiano quasi niente 8 1 ,4 15,7 Se si vuole la completa uguaglianza si distrug-gc l' iniziativa personale 43,7 43,4 Il sistema di assistenza sociale permette di ri-durre le disuguaglianze 40,7 43,3 Il sistema di assistenza sociale non porta van-raggi a chi ne avrebbe piu bisogno 53,7 30,2 Tutti sono veramente uguali di fronte alla leg-ge 33,0 62,3

Base 2.000

1 94

Page 197: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

88. Alcuni giudizi sul servizio militare:

D'accordo In disac-% cardo %

È un dovere al quale nessun cittadino dovreb-be sottrarsi 57,3 39,2 Il servizio militare, com'è oggi in Italia, è sol-tanto una perdita di tempo per i giovani 58,2 35,4 La difesa dell'Italia sarebbe assicurata meglio da un esercito composto da militari di profes-sione 63,0 27,6 A tutti i giovani che non si sentono di fare il servizio militare dovrebbe essere offerta la pos-sibilità di fare il servizio civile 84,0 1 1 ,8 Sarebbe giusto che anche le donne facessero il servizio militare 43,7 48,3

Base 2 .000

89. Grado di fiducia nei confronti di alcune istituzioni o gruppi:

Ho fiducia Molto Abba- Poco Per Non % stanza % % nien- so %

te %

Funzionari dello Stato 2,7 23,6 48,5 2 1 ,9 3 ,3 Insegnanti 10,0 59,6 25 ,1 4 ,1 1,2 Banche 10,3 53 ,3 25,0 6,7 4,7 Polizia 18,4 5 1 , 1 2 1 ,6 6,9 2,0 Sindacalisti 3,7 27,0 42,7 21 ,6 5 ,0 Sacerdoti 8,5 35,0 34,7 19,6 2,2 Governo 3,2 22,6 47,2 24,3 2,7 Militari di carriera 6,9 34,0 33,3 19,0 6,8 Uomini politici i ,6 15,8 49,3 30,5 2,8 Magistrati 9,2 43,5 30,9 12,3 4,1 Carabinieri 14,2 49,5 23,6 10,9 2,0

Base 4.000

Valori medi

Polizia 2,83 Insegnanti 2,76 Banche 2,71 Carabinieri 2,68 Magistrati 2,52 Sacerdoti 2,33 Militari di carriera 2,31 Sindacalisti 2 ,13 Funzionari dello Stato 2,07 Governo 2,05 Uomini politici 1 ,88

1 95

Page 198: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

90. L 'importanza della religione nella vita dei giovani:

Moltissimo 7,3% Molto 19,6% Abbastanza 3 7 , 1 % Poco 24,0% Per niente 1 1 ,5% Non so 0,5%

Base 4.000

9 1 . La frequenza alla messa:

Tutte le settimane o quasi 24,4% 2-3 volte la settimana 12,0% Circa l volta al mese 10,4% 1-2 volte in 3 mesi 16,3% Mai in 3 mesi 36,3%

Base 4.000

92. L 'atteggiamento nei confronti della politica:

Io mi considero politicamente impegnato 3,2% Io mi tengo al corrente della politica ma senza parteciparvi personalmente 44,2% Io penso che si debba lasciare la politica a persone che hanno piu competenza di me 40,0% La politica mi disgusta 12,0% Non indica 0,6%

Base 4.000

93. Il partito che voterebbe in questo momento:

Voterei . . . (vedi tabella) 58,8% Scheda bianca o nulla 6,7% Non andrei a votare 5 , 1 % Non so, non voglio rispondere 29,4%

Base 4.000

94. Il partito nel quale ha piti fiducia:

Voterei . . . (vedi tabella) 67,4% Scheda bianca o nulla 5,0% Non andrei a votare 3,9% Non so, non voglio rispondere 23,7%

Base 4.000

1 96

Page 199: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

95 . Il voto del mese d i giugno 1 983:

Ho votato . . . (vedi tabella) Scheda bianca o nulla Non ho votato Non so, non voglio rispondere

Base

Le preferenze politiche

93 Il partito

che voterei ora %

Democrazia cristiana 29,2 Partito comunista 26,3 Pariito socialista 14,9 Partito repubblicano 7,8 Partito socialdemocratico 1 ,7 Partito liberale 3,7 Partito radicale 4,9 Partito d! unità proletaria 1 ,3 Nuova sinistra (Dp, Le) 2,4 Movimento sociale 7,8 Altri partiti

Base 2.350

94 Il partito in cui ho fiducia %

28,3 25,7 15 ,0

8,2 1 ,8 3,8 5,6 1 ,4 2,3 7,4 0,6

2.695

43,8% 4,7%

35,6% 15,9%

4.000

95 Nel giugno

1983 ho votato %

26,9 28,4 1 3,6

7,3 2,2 4,0 6,7 0,2 2,3 7,6 0,8

1.755

96. 97. Luogo di nascita dell'intervistato e dei suoi genitori:

In questo comune In questa regione In altra regione o all'estero Non indica dove. è nato

Base

197

lnter- Padre Madre vistato

66,0% 25,2%

8,7% 0 , 1 %

4.000

52,4% 29,6% 17,8%

0,2%

4.000

47,5% 34,1% 18,4%

0,1%

4.000

Page 200: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

100. Titolo di studio dei genitori:

Padre

Nessun titolo 14,3% Licenza elementare 46,1 % Licenza media o avviamento professionale 20,5% Diploma 1 1,4% Laurea 5,5% Non so 2,2%

Base 4.000

101. La professione dei genitori:

Padre

Imprenditoré (datore di lavoro); libero profes-sionista (indipendente} 6, 1 % Dirigente, alto funzionario (dipendente) 3,3% Insegnante (maestro, professore) 1 ,4% Impiegato 16,0% Commerciante, artigiano (indipendente) 16,6% Lavoratore manuale non agricolo 3 1,3% Agricoltore conduttore 7,8% Agricoltore dipendente 5,0% Casalinga (occupata solo in casa) Pensionato/a 9 ,7% Disoccupato/a 1 , 1 % Altro 0, 1 % Non indica 1 ,6%

Base 4.000

102. Livello di soddisfaxione nei confronti della vita nel suo complesso:

Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Non molto soddisfatto Per niente soddisfatto Non so

Base

1 98

Madre

19,3% 51,8% 15,8%

9 , 1 % 2,3% 1,7%

4.000

Madre

0,4% 0,1% 3,8% 4,2% 7 , 1 % 9,2% 3,0% 2,7%

64,9% 3,5% 0,3% 0,2% 0,6% .

4.000

15,6% 57,8% 20, 1 %

5,5% 1 ,0%

4.000

Page 201: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

104. Giudizio sul grado di cambiamento della vita degli italiani negli ultimi 25-30 anni:

La vita è cambiata Molto Abbastanza Poco Per niente Non so

Base

105. Come è cambiata la vita degli italiani:

La vita è cambiata molto o abbastanza ed è cambiata In bene In male Altra risposta

Base

106. Il ruolo della scienza nei cambiamenti degli ultimi 25-30 anni:

Molto importante Abbastanza importante Poco importante Per niente importante Non so

Base

107. L 'attenzione rispetto alle scoperte scientifiche:

Presto particolare attenzione Non presto particolare attenzione Non risponde

Base

108. Un 'opinione sulla scienza: Serve solo a soddisfare la curiosità dei ricercatori È uno dei fattori piu importanti per il miglioramento della vita porta piu inconvenienti che vantaggi � pericolosa E stimolante Non so

Base

199

55,0% 36,0%

5 , 1 % 1 ,4% 2,5%

2.000

55,7% 26,5% 17,8%

1 .82 1

60,8% 32,0%

3,5% 0,7% 3,0%

2.000

70,3% 27,6%

2 , 1 %

2.000

4,3% 79,7%

3 , 1 % 2,6% 5 , 1 % 5,2%

2.000

Page 202: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

109. I settori della ricerca scientifica prioritari a cui destinare i finanziamenti ed i settori che, invece, potrebbero avere stanziamenti ridotti:

1 10 .

Ricerche per sfruttare risorse agricole in mo­do da soddisfare i bisogni alimentari dell'umanità Sicurezza della circolazione stradale Meteorologia e controllo del clima Riduzione e controllo degli inquinamenti Esplorazione dello spazio Sicurezza delle installazioni nucleari Ricerche mediche e farmaceutiche Metodi di insegnamento e di educazione Nuove fonti di energia Armamento e difesa nazionale Maggiore rapidità dei trasporti pubblici Prevenzione e trattamento delle intossicazioni da droga

Base (risposte multiple)

Darei la precedenza

%

57,4 9,6 2,8

44,0 7 , 1

15,3 59,3 1 1 ,8 26,5

3,6 5,4

44,5

2.000

La frequenza di ascolto (o lettura) dei mass media:

Limiterei o ridurrei

%

1 , 7 1 1 ,9 27,2

2,3 35,2 1 7 , 7

1,0 6 , 1 5,2

54,1 19,5

4,7

2.000

Programmi Programmi Programmi Programmi Giornali Tv naziq- Tv priva- radio radio quoti-

n ali te o este- nazio- locali o diani % re % nali % estere % %

Tutti i giorni o quasi 49,2 62,6 16,3 45,3 28, 1 4-5 volte la settimana 15,4 16,0 5,2 1 1 ,4 9,3 1-3 volte la settimana 2 1,5 13 ,7 12,9 15,3 23,3 Meno di una volta la settimana 5,0 2,6 10,6 7,2 10,8 Mai o quasi ma1 9 5 , 1 55,0 20,8 28,5

Base 4.000 4.000 4 .000 4.000 4 .000

200

Page 203: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 1 1 . Livello di soddisfazione nei confronti di alcuni aspetti o situazioni della vita:

1 12A.

Sono soddisfatto

La salute in questo momento Il suo tenore di vita Il luogo in cui vive Le amicizie che ha Come si vive in Italia oggi Il modo di passare il tempo libero L'istruzione che ha ricevuto (o riceve) I rapporti con gli altri giovani I rapporti nella famiglia I rapporti con gli insegnanti (per chi studia) Il lavoro che fa (per chi lavora) La casa che ha

Base 4.000

I contatti con il mondo della droga

Ho avuto contatti Sì Molte

Molto abbastan­

za %

90,9 82,4 78,7 89,8 40,9 73 ,6 82,9 88,2 91 ,3 69,5 75,3 85,8

Qualche del tipo % volte % volta %

Parlare con qualche perso-na che ha fatto uso di dro-ga almeno una volta 54,8 15 ,2 24,2 Conoscere persone che fanno abitualmente uso di droga 39,3 10,8 1 7,0 Vedere qualcuno che aveva usato da poco della droga 44,7 8,0 20,4 Vedere o prendere in ma-no qualche tipo di droga 20,4 3,2 9,5 Sentirsi proporre di prova-re (o comprare la droga) 2 1 , 1 2,8 10,0 Sentire il desiderio (o la curiosità) di provare una droga 7,8 0,8 3,8 No, nessuna risposta 32, 1 79,3 55,5

Base (risposte multiple) 2 .000 2 . 000 2.000

201

Poco per niente

%

8,9 1 7,0 2 1 ,2

9,5 57,6 25,9 16,9 1 1 ,3

7,9 27,5 2 1 ,5 13,9

1-2 volte %

15 ,2

10,6

15,9

7,5

8, 1

3 , 3 62,0

2 .000

Page 204: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

l l2B. Giudizio sulla p=ona che si droga:

La persona che si droga è un malato, incapace di dominare i propri impulsi, e quindi la società deve aiutarlo e curarlo La persona che si droga è un vizioso che ha scelto deliberata­mente di seguire i propri impulsi e quindi la società deve punir, lo Chi si droga è una persona normale e la società non dovrebbe preoccuparsi né di curarla né di punirla Non so

Base

72,3%

1 7,0%

8,2% 2,5%

2 .000

l l2C. La soluzione piti valida per risolvere il problema della droga nella nostra società:

Lasciare libero il consumo della droga a chi lo desidera Consentire il consumo controllato (come per i medicinali) Intensificare l'opera di prevenzione Inasprire le pene per chi spaccia la droga Inasprire le pene per chi fa uso di droga Non so

Base (risposte multiple)

1 1 3.A, B R Attività turistiche svolte negli ultimi dodici mesi:

Ha passato 4 giorni di vacanza fuori dal comune tJa fatto un viaggio in aereo E andato all'estero Ha dormito in albergo o pensione Ha dormito in tenda Ha dormito in una roulotte o in un camper Ha fatto un viaggio in comitiva con un gruppo organizzato Ha trascorso qualche fine settimana fuori casa (con pernottamenti) No, nessuna risposta

Base (risposte multiple)

202

Ha fatto %

69, 1 5,8

17 ,6 4 1 , 3 22,8

6,3

34,0

44,2 20,0

2 .000

l volta %

29,7 3,9

12,4 16,7 9,2

2 ,8

18 ,8

13,0 43,4

2.000

4,4% 1 1 ,9% 38,7% 44,2%

4,6% 2,2%

2.000

Piu di una volta

%

38,7 1,7 5,0

24,2 13 ,5

3 ,4

14,9

30,7 43,2

2 .000

Page 205: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 14 .R La frequenza di una serie di attività che si svolgono nel tempo libero (stima degli ultimi tre mesi)

Ho fatto piccole riparazioni in casa Ho lavorato nell'orto o nel giardino Ho suonato uno strumento musicale Ho ballato in casa nostra o in casa di amici Ho ballato in un locale pub­blico (discoteca, ecc .) Sono andato al cinema Sono andato ad un concerto di musica leggera Sono andato a teatro Sono andato a vedere una ma­nifestazione sportiva Sono entrato in un bar, caffè Ho mangiato fuori casa in un ristorante, trattoria, ecc. Ho guidato un'automobile Ho usa t o il treno anche fuori dal mio comune Ho comperato dischi o casset­te di musica leggera Ho comperato dischi o casset­te di musica classica Ho usato un registratore o un giradischi Sono andato in viaggio dor­mendo almeno una volta fuori dal comune di residenza Ho visitato mostre o manife­stazioni culturali Sono entrato in una biblioteca pubblica Ho praticato attivamente uno sport Ho ascoltato dischi o cassette di musica Sono entrato in una libreria per comperare libri (non di studio)

Base (risposte multiple)

Una o piu volte la setti­mana %

10,0

8,4

10,2

8 , 1

14,0 12,6

1 , 1 0,8

1 1 , 7 68,3

19,5 42,1

10,0

6,0

1 ,2

58,5

6,9

2,0

3 ,7

23,0

68,2

4,9

2 .000

203

Una o piu volte al

mese %

17,9

9,3

4,2

19,4

22,5 32,2

6,4 2,6

20,0 17 ,9

33,8 5,9

13 ,7

2 1 ,2

3,6

16,6

17 ,8

1 1 ,9

9,0

8 , 1

1 5 , l

15,4

2 .000

Una o due volte in 3 mesi

%

23,4

7,3

4,0

19,2

16,3 20,4

15 ,3 6,4

17 ,7 7 ,6

2 1 ,3 3,9

18,8

19,8

4,2

6,2

33,9

20,9

1 1 ,0

5 ,6

5 ,3

1 3 ,3

2 .000

Mai in 3 mesi

%

48,7

75 ,0

8 1 , 7

53,4

47,2 34,9

77,2 90,4

50,7 6,3

25,5 48,3

57,5

5 3 , 1

9 1 ,0

1 8 ,8

4 1 ,5

65,3

76,4

63,4

1 1 ,6

66,5

2.000

Page 206: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 1 5 .R 1 16 .R Coloro che usano un 'autovettura o un motoveicolo:

Uso Non uso mai, o quasi mai

Base

Frequenza dell'uso

Tutti i giorni o quasi 3-4 volte la settimana 1-2 volte la settimana Meno di una volta la settimana

Base

1 17 .R Tipo del motoveicolo:

Fino a 5 0 cc. senza targa Oltre 50 cc. con targa

Base

Oltre 50 cc. con targa e cioè tipo scooter Tipo motoleggera (o cross)

Base

Classe di cilindrata (oltre 50 cc. con targa)

5 1/200 cc. 201/350 cc. Oltre 350 cc.

Base

204

Auto-vettura

45,2% 54,8%

2 .000

Auto-vettura

65,5% 15,2% 1 1 ,8%

7,5%

904

Moto-veicolo

4 1 ,8% 58,2%

2 .000

Moto-veicolo

5 5 ,6% 14,6% 16,6% 13,2%

837

78,2% 2 1 ,8%

837

73,0% 27,0%

182

84,0% 7,3% 8,7%

182

Page 207: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

118

. 1

19.

120

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Page 208: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

Distribuzione territoriale delle interoiste.

Regioni

Piemonte Liguria Lombardia Trentina-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Marche Umbria Lazio Abruzzo Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

Base

Grandezza comuni

Fino a 2.000 abitanti 2.001-3 .000 abitanti 3.001-5 .000 abitanti 5.001-10.000 abitanti 10.001 -20.000 abitanti 20.001-30.000 abitanti 30.001-50.000 abitanti 50.001-100. 000 abitanti 100.001-250.000 abitanti Oltre 250.000 abitanti

Base

Capoluoghi/non capoluoghi

Capoluogo Non capoluogo

Base

206

7,0% 2,3%

16,0% 1,5% 8,0% 2,3% 6,5% 5,9% 2,2% 1,7% 7,8% 2,6%

10,8% 8,7% 3,2% 2,8% 7,6% 3,0%

4.000

3,6% 7,0%

10,5% 15,0% 12,2%

7,5% 7,7%

10,7% 8,2%

17,6%

4.000

33,4% 66,6%

4.000

Page 209: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia
Page 210: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

Finito di stampare nel mese di aprile 1989

dalle Grafiche Galeati di Imola

Page 211: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

STUDI E RICERCHE

ultimi volumi pubblicati:

227. Andrea de Guttry, Verso un mercato finanziario europeo? La disciplina giuridica della circolazione dei capitali nella CEE

228. Fabio Merusi - Pier Carlo Padoan - Fabio Colasanti - Gian Carlo Vilella, L 'integrazione monetaria dell'Europa. Aspetti economici e politico-istituzionali

229. Rainer S . Masera, L 'unificazione monetaria e lo SME. L ' espe­rienza dei primi otto anni

230. Efficienza, stabilità ed equità. Una strategia per l'evoluzione del sistema economico della Comunità Europea, a cura di Tommaso Padoa-Schioppa

23 1 . Fausto Vicarelli, La questione economica nella società ita­liana. Analisi e proposte

232. Lamberto Trezzini - Angelo Curtolo, L 'Europa della musica. I teatri d'opera nei paesi della CEE

233. Le libere professioni in Italia, a cura di Willem Tousijn

234. Richard Rose, L 'espansione della sfera pubblica

235. Politiche monetarie e politiche di bilancio nella Comunità Eu­ropea, a cura di Pier Carlo Padoan

236. Il mercato interno europeo, a cura di Mario Mariani e Pippo Ranci

23 7. Le politiche industriali della CEE, a cura di Roberto Mala­man e Pippo Ranci

238. Ristrutturazione e produttività nei paesi industrializzati, a cura di Carlo Milana

239. Marco Fortis, Prodotti di base e cicli economici

240. Arnaldo Bagnasco, La costruzione sociale del mercato

24 1 . Franca Olivetti Manoukian, Stato dei servizi. Un 'analisi psi­cosociologica dei servizi sociosanitari

242. Giulio Tremonti, La fiscalità industriale. Strategie fiscali e gruppi di società in Italia

Page 212: Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia

243 . Sergio Fabbrini, Politica e mutamenti sociali. Alternative a confronto sullo stato sociale

244. Marzio Barbagli - Vittorio Capecchi - Antonio Cobalti, La mobilità sociale in Emilia Romagna

245 . Banca e mercato. Riflessioni su evoluzioni e prospettive dell'in­dustria bancaria in Italia, a cura di Francesco Cesarini, Mi­chele Grillo, Mario Monti e Marco Onado

246. Maria Chiara Levorato, Racconti, storie e narrazioni. I pro­cessi di comprensione dei testi

24 7 . Mario Diani, Isole nell'arcipelago . Il movimento ecologista in Italia

248. A. Allan Schmid, Tra economia e diritti. Proprietà, potere e scelte pubbliche

249. Albert Breton - Ronald Wintrobe, La logica del comporta­mento burocratico. Un'analisi economica della concorrenza, dello scambio e dell'efficienza nelle organizzazioni private e pubbliche

250. L 'economia politica dell'integrazione europea. Stati, mercati e istituzioni, a cura di Paolo Guerrieri e Pier Carlo Padoan

25 1 . Francesco Denozza, Antitrust. Leggi antimonopolistiche e tu­tela dei consumatori nella Cee e negli Usa

252. Piergiorgio Corbetta - Arturo Parisi - Hans M.A. Schadee, Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni poli­tiche

253. Renata Tniele Rolando, Psiconcologia. Nuove tendenze nel­l'assistenza al malato di cancro

254. Vincenzo Nastasi, Crisi bancarie e tutela dei depositanti

255. Fabrizio Barca - Marco Magnani, L 'industria fra capitale e la­voro. Piccole e grandi imprese dall'autunno caldo alla ristruttu­razione

256. Ordine e conflitto nel capitalismo moderno. Studi su economia e politica delle nazioni dell'Europa Occidentale, a cura di John H. Goldthorpe

25 7. Strategie di riaggiustamento industriale, a cura di Marino Re­gini e Charles F. Sabel

258. Alexis Jacquemin, La nuova economia industriale. Meccani­smi di mercato e comportamenti strategici