gestione del paziente anemico“ non emopatico “ e … · gestione del paziente anemico “ non...

55
Presidio Ospedaliero Centrale GESTIONE DEL PAZIENTE ANEMICO “NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI AQ.03 Rev. 01/2003 Pagina 1 di 55 REGIONE LAZIO GESTIONE DEL PAZIENTE ANEMICO“ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI REV. DATA REDATTO VERIFICATO APPROVATO 1 21/07/2003 Giovanni Macchia Egidio Sesti Franco Bifulco Luca Pierelli Marco Montanaro Basilio Radini Giorgio Quadrani Gino Pasquini Luigi Aquilanti Pietro Vecchiarelli Fernando Ricci Valerio Maria Bonavia Maurizio Cosenza Nicola Samà Bruna Dell’Orso Francesco Politi Mario Quintarelli Stefania Gemini Anna Maria Tranquilli Anna Finaroli Silvano Necciari Francesco Poleggi Direttore Sanitario P.O.C. Direttore Sanitario P.O. Tarquinia Direttore U.O. SIT Direttore U.O. Ematologia Dirigente Medico U.O. SIT Direttore D.E.A. Dirigente Medico U.O. Chirurgia Gen.le Dirigente Servizio Farmaceutico Dirigente U.O. Anestesia e Rianimazione Dirigente Medico U.O. Anest. e Rianim. Dirigente Medico Analisi Cliniche Dirigente Medico SIT Dirigente Medico P.O. Acquapendente Dirigente Medico Farmacista Rappresentante Associazione Donatori Collaboratore Amm.vo – Prof.le Esp. Collaboratore Prof.le Sanitario Collaboratore Prof.le Sanitario Collaboratore Amm.vo Assistente Amm.vo Coadiutore Amm.vo Direzione Sanitaria Az.

Upload: ngohuong

Post on 15-Feb-2019

221 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 1 di 55

REGIONE LAZIO

GESTIONE DEL PAZIENTE ANEMICO“ NON EMOPATICO “

E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

REV. DATA REDATTO VERIFICATO APPROVATO

1

21/07/2003

Giovanni Macchia Egidio Sesti Franco Bifulco Luca Pierelli Marco Montanaro Basilio Radini Giorgio Quadrani Gino Pasquini Luigi Aquilanti Pietro Vecchiarelli Fernando Ricci Valerio Maria Bonavia Maurizio Cosenza Nicola Samà Bruna Dell’Orso Francesco Politi Mario Quintarelli Stefania Gemini Anna Maria Tranquilli Anna Finaroli Silvano Necciari Francesco Poleggi

Direttore Sanitario P.O.C. Direttore Sanitario P.O. Tarquinia Direttore U.O. SIT Direttore U.O. Ematologia Dirigente Medico U.O. SIT Direttore D.E.A. Dirigente Medico U.O. Chirurgia Gen.le Dirigente Servizio Farmaceutico Dirigente U.O. Anestesia e Rianimazione Dirigente Medico U.O. Anest. e Rianim. Dirigente Medico Analisi Cliniche Dirigente Medico SIT Dirigente Medico P.O. Acquapendente Dirigente Medico Farmacista Rappresentante Associazione Donatori Collaboratore Amm.vo – Prof.le Esp. Collaboratore Prof.le Sanitario Collaboratore Prof.le Sanitario Collaboratore Amm.vo Assistente Amm.vo Coadiutore Amm.vo

Direzione Sanitaria Az.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 2 di 55

SOMMARIO pagina SCOPO 4 1) INDICAZIONI PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE “ NON 4

EMOPATICO” CON ANEMIZZAZIONE PROGRESSIVA. 1.1 INTRODUZIONE 4 1.2 MECCANISMI DI COMPENSO DELL’ANEMIA 5

1.3 EZIOPATOGENESI DELLE AANRSE/ADNRSE/APPC 8 1.4 ITER DI APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO PRECOCE 11

NELLE AANRSE/ADNRSE 1.5 USO DEGLI INDICI RETICOLOCITARI ED ERITROCITARI NELLO 12 STUDIO DELL’ANEMIA 1.6 TERAPIA DELL’ANEMIA NON-ACUTA INGRAVESCENTE 15 2) Algoritmo per l’approfondimento diagnostico e la terapia 19 delle AANRSE/ADNRSE/APPC 3) INDICAZIONI PER LA GESTIONE DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI 20 3.1 CONSIDERAZIONI GENERALI 20 Tabella 1 – Reazioni trasfusionali 21 3.2 REAZIONI TRASFUSIONALI ACUTE 22 3.2.1 GESTIONE INIZIALE E INDAGINI RELATIVE 22 3.3 Schemi riassuntivi le diverse categorie di RT acute 24 3.3.1 RTs EMOLITICHE ACUTE 28 3.3.2 EMOLISI NON IMMUNOLOGICA 29

3.3.3 CONTAMINAZIONE BATTERICA 29

3.3.4 REAZIONI ALLERGICHE 31

3.3.5 REAZIONI TRASFUSIONALI FEBBRILI NON EMOLITICHE (RTFnE) 32

3.3.6 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA CORRELATA A TRASFUSIONE 33 (Transfusion-Related Acute Lung Injury, TRALI) 3.3.7 SOVRACCARICO CIRCOLATORIO 34

3.3.8 RICONOSCIMENTO DELLE RTs ACUTE 35

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 3 di 55

4) REAZIONI TRASFUSIONALI RITARDATE 36

4.1 REAZIONI TRASFUSIONALI EMOLITICHE RITARDATE 36

4.2 PORPORA POST-TRASFUSIONALE 37

4.3 GRAFT VERSUS HOST DISEASE TRASFUSIONE-ASSOCIATA 38 (GvHD-TA)

5) Tabella 2 – Indicazioni per prodotti ematici irradiati 39

6) SOVRACCARICO MARZIALE 40

7) MALATTIE INFETTIVE TRASMESSE CON LA TRASFUSIONE 41

8) IMMUNOMODULAZIONE 42

8.1 Tabella 3 – Possibili effetti clinici determinati dalla immunomodulazione 42

9) TRASFUSIONE MASSIVA 43

9.1 Tabella 4 – Possibili complicanze della trasfusione massiva 43

10) INDICAZIONI PER L’ ESECUZIONE DI UNA CORRETTA 47

TRASFUSIONE DI EMOCOMPONENTI – RESPONSABILITA’ /DISTRIBUZIONE Allegati:

A) MODULO RACCOLTA DATI PER IL MONITORAGGIO E LA GESTIONE 49 DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

B) CONSENSO INFORMATO ALLA TRASFUSIONE 50

C) ISTITUZIONI DI RIFERIMENTO 51

D) GLOSSARIO 52

E) BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 55 RIFERIMENTI LEGISLATIVI 55

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 4 di 55

SCOPO

Una rapida identificazione del quadro eziopatogenetico alla base dell’anemia ingravescente eventualmente riscontrabile in soggetti “non emopatici” affetti da forem morbose di pertinenza chirurgica, internistica, oncologica, nefrologica o comunque specialistica rappresenta un prerequisito fondamentale per realizzare approcci terapeutici alternativi (ove possibile) alla trasfusione di globuli rossi concentrati (TrGr) in pazienti che abbiano ancora attivi ed efficienti tutti i meccanismi metabolici e cardiocircolatori di compenso di una subentrante anemia. Infine, il rispetto di un tale processo contribuisce a garantire ad ogni paziente una qualità di vita e di cura adeguate. 1) Indicazioni per la gestione del paziente “non emopatico” con

anemizzazione progressiva 1.1 Introduzione L’anemia e’ l’anomalia ematologica di piu’ frequente riscontro in pazienti affetti da forme morbose di pertinenza medica, chirurgica e specialistica. Tra queste, alcune condizioni morbose non-riconducibili ad emopatie primitive (per assenza di emopatia specifica si intende la presenza di condizioni cliniche che comunque ricadono sotto la patologia di pertinenza specialistica ematologica ma che, non essendo riconducibili a emoglobinopatie, a patologia congenita della membrana del globulo rosso o del suo metabolismo, a emopatie neoplastiche o displastiche a aplasie o ipoplasie midollari trilineari sono spesso misconosciute, sottotrattate dal punto di vista terapeutico e assai raramente oggetto di consulenza ematologica) determinano, attraverso momenti patogenetici diversi, un deficit della concentrazione emoglobinica del sangue periferico che causa anemia e la sintomatologia ad essa correlata. Tali condizioni cliniche possono essere schematicamente riassunte nelle seguenti categorie patogenetiche: 1) Anemie Arigenerative Non Riconducibili a Specifica

Emopatia AANRSE

2) Anemie da Distruzione non Riconducibili a Specifica Emopatia

ADNRSE

3) Anemie Persistenti Post-Chirurgiche APPC

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 5 di 55

Le AANRSE si realizzano a causa di un deficit rigenerativo midollare sostenuto o da una insufficiente sintesi emoglobinica (l’esempio paradigmatico e’ rappresentato dalla carenza marziale) o da una inadeguata proliferazione dei precursori degli eritrociti (in particolare proeritroblasti ed eritroblasti basofili che costituiscono il compartimento di amplificazione dell’eritrone) con riduzione numerica della progenie matura circolante (esempi tipici sono la carenza di folati e di vitamina B12). Le ADNRSE, invece, insorgono a causa di una ridotta sopravvivenza dei globuli rossi circolanti e tale processo si attua attraverso meccanismi immunomediati, in concomitanza con l’assunzione di farmaci o attraverso rotture meccaniche del globulo rosso realizzando, in quest’ultima condizione, il momento patogenetico dell’anemia microangiopatica (in alcuni casi lo stress meccanico del globulo rosso puo’ non essere riconducibile alla microangiopatia ma ad altri insulti meccanici come in corso di emolisi in portatore di valvole cardiache artificiali o nell’emoglobinuria da marcia). Un’ultima categoria di pazienti con anemizzazione non correlabile ad emopatia primitiva e’ rappresentata da soggetti reduci da anemie post-chirurgiche di varia entita’ e mancato recupero della normale concentrazione emoglobinica nel sangue e di un adeguato numero di eritrociti circolanti per prolungati intervalli di tempo. In questo caso il determinismo di tale anemizzazione (o meglio del mancato recupero ematologico) puo’ essere rintracciabile in entrambe le fattispecie sopra indicate (AANRSE e/o ADNRSE associate ed esse stesse concausa dell’anemizzazione post-chirurgica). La complessità e/o molteplicità dei momenti patogenetici che possono sottostare a questa categoria di condizioni anemiche suggeriscono di definirle genericamente come anemie persistenti post-chirurgiche (APPC). 1.2 Meccanismi di compenso dell’anemia In condizioni normali ed a riposo il sistema cardiocircolatorio e la capacità ossiforetica del sangue assicurano un apporto di ossigeno di oltre 1200 ml/min, mentre le necessità reali dei tessuti si assestano su una quota che non supera i 350 ml/min. In condizioni di modesta anemia (i.e. in presenza di un livello di emoglobina di circa 10g/dL, normale capacità di saturazione della medesima ed in presenza di un adeguata capacità di adattamento della gittata cardiaca) la quota ceduta in periferia si dimezza, non superando i 600 ml/min. Ancora, in presenza di un anemia grave (i.e. in presenza di un livello di emoglobina di circa 5g/dL, normale capacità di saturazione

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 6 di 55

della medesima ed in presenza di un adeguata capacità di adattamento della gittata cardiaca) la quota disponibile per i tessuti periferici si riduce a circa 300 ml/min, innescando l’attivazione di meccanismi anaerobici di produzione della riserva energetica, dato il raggiungimento a riposo della soglia anaerobica. L’ipossigenazione dei tessuti in corso di anemia progressiva innesca i meccanismi di compenso che sul versante metabolico/ormonale determinano:

1. Uno spostamento a destra della curva di dissociazione dell’Hb per effetto Bohr e per l’aumento della sintesi del 2-3DPG con maggiore cessione di O2 in periferia.

2. Un aumento dell’increzione eritropoietinica e variazioni ormonali tese a

potenziare il compenso cardiocircolatorio ed il recupero eritropoietico

L’immagine mostra la curva di dissociazione dell’emoglobina umana umana

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 7 di 55

e che sul versante cardio-respiratorio determinano:

1. Aumento della ventilazione polmonare 2. Aumento della gittata cardiaca e della contrattilità ’miocardica 3. Riduzione delle resistenze vascolari periferiche 4. Ridistribuzione della gittata cardiaca a favore del distretto vascolare

coronarico e cerebrale 5. Espansione del volume ematico

La figura illustra il feedback negativo tra ossigenazione renale ed increzione eritropoietinica, la quale guida la produzione di nuovi globuli rossi

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 8 di 55

Nelle condizioni in cui l’anemia insorge acutamente (traumi, emorragie acute) e determina un grave deficit della capacità di trasporto d’ossigeno del sangue circolante (anemia grave) i meccanismi di compenso sono per lo piu inefficaci nel tamponare l’emergenza, rendendosi necessario il pronto intervento con mezzi atti a ripristinare il volume ematico e la capacità ossiforetica con ossigenoterapia e TrGr. Ove l’anemia insorga progressivamente, assumendo caratteristiche di cronicità, i meccanismi di compenso autonomi hanno maggiore efficacia, potendo estrinsecarsi in tutte le componenti metaboliche e cardiorespiratorie sopra descritte e consentendo il perdurare nel tempo, in un dato paziente, di livelli di Hb caratteristici dell’anemia lieve o moderata, in assenza di sintomatologia eclatante. Nella fase di pieno compenso e pertanto in presenza di anemia lieve o moderata, la capacità trasporto d’ossigeno del sangue e’ ancora in parte conservata ed il soggetto portatore di tale deficit ematologico conserva buona parte delle sue capacità fisiche e cognitive, in condizioni di esercizio fisico moderato. Se i meccanismi di compenso emopoietico, guidati dalla spinta rigenerativa dell’eritropoietina, sono attivi e non sono la causa stessa dell’anemia mediante un meccanismo patogenetico tipo AANRSE o sono in grado di contrastare validamente una condizione anemica tipo ADNRSE o APPC (laddove queste ultime condizioni siano in una condizione di reversibilità spontanea), inizia il recupero ematologico autonomo con ricostituzione del patrimonio eritrocitario circolante e progressivo ripristino del pieno trasporto d’ossigeno alla periferia. Al contrario, ove sussistano condizioni non spontaneamente reversibili di AANRSE/ADNRSE/APPC ed in assenza di un precoce dispositivo diagnostico e terapeutico, l’anemia si fa ingravescente approdando a livelli di Hb g/dL non piu’ suscettibili di compenso autonomo, necessitando di una correzione con TrGr. 1.3 Eziopatogenesi delle AANRSE/ADNRSE/APPC Le forme piu’ comuni di AANRSE sono costituite da sindromi carenziali in cui un componente fondamentale (ferro, vitamine) per il meccanismo di produzione dell’ Hb o per l’attivta’ replicativa del precursore del globulo rosso e’ deficitario, determinando una riduzione della sintesi dell’Hb (con insufficiente concentrazione della stessa all’interno del globulo rosso) o la produzione di un ridotto numero di globuli rossi a causa di un inefficace processo di amplificazione a livello del compartimento proliferativo della filiera eritropoietica midollare. Le suddette condizioni si realizzano piu’ frequentemente nello stillicidio cronico (eg, sanguinamento cronico del canale

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 9 di 55

alimentare, metrorragie, etc) con perdita progressiva di ferro, nelle avitaminosi per malnutrizione o malassorbimento cusato da patologie varie del canale alimentare (eg, anemia perniciosa in presenza di Ab anti- Fattore Intrinseco (FI), anti mucosa gastrica; gastrite cronica da helicobacter pilory; morbo di Crohn; parassitosi intestinali, etc) o in situazioni di aumentato fabbisogno quali la gravidanza. In altri casi le AANRSE si associano al perdurare di malattie croniche su base flogistica, infettiva o neoplastica, realizzando la comune categoria delle anemie da malattia cronica. Tale forma di anemizzazione e’ riconducibile ad un determinismo multifattoriale dove i mediatori solubili della risposta acuta (Interleuchina-1,IL-1; Tumor Necrosis Factor ? , TNF-? ; Interferon-?; IFN-?) riducono contestualmente l’attività’ dei precursori eritroidi, la sopravvivenza del globulo rosso, l’increzione eritropoietinica (realizzando una condizione di inappropriata produzione dell’ormone ai livelli di Hb del soggetto) e la capacità dei macrofagi midollari di utilizzare il ferro, con congelamento del ferro di riserva (ferritina ), riduzione del ferro circolante disponibile (sideremia , saturazione della transferrina ) e conseguente deficit della sintesi di Hb. Una forma di anemia in cui il deficit rigenerativo e’ ascrivibile prevalentemente ad un deficit di stimolo eritropoietico e’ l’anemia da insufficienza renale cronica dove l’insufficienza d’organo coinvolge anche la specifica funzione renale d’increzione eritropoietinica. Infine, le condizioni di ipotiroidismo determinano un anemia sempre di tipo arigenerativo a causa di inadeguati livelli ematici di ormoni tiroidei i quali hanno un generico effetto trofico sul tessuto ematopoietico ed in particolare sull’eritropoiesi. Nei soggetti portatori di neoplasia trattati con chemioterapia il quadro patogenetico dell’anemia da malattia cronica e’ complicato da un ulteriore deficit rigenerativo causato dalla chemioterapia anti-tumorale, la quale distrugge con meccanismo tossico diretto i progenitori ematopoietici midollari (in questo caso l’insulto arigenerativo colpisce i precursori di tutte le filiere ematopoietiche midollari, associando all’anemia gradi diversi di leucopenia e piastrinopenia) e deprime ancor più il meccanismo compensatorio d’increzione eritropoietinica (il meccanismo compensatorio si realizza mediante un feed-back negativo tra livello di ossigeno pervenuto al rene a livello glomerulare e livello d’increzione eritropoietinica) per tossicità diretta dei farmaci sul rene. Meno frequentemente delle AANRSE, le ADNRSE possono essere responsabili di anemizzazione a causa di quadri immunologici caratterizzati dalla presenza, non associata ad altra patologia, di autoanticorpi anti-eritrocitari attivi a temperatura

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 10 di 55

corporea (37°C), piu’ frequentemente di classe IgG che, legati agli eritrociti, ne determinano una precoce distruzione attraverso il meccanismo patogenetico dell’emolisi extravascolare (raramente intravascolare) con sequestro splenico attuato dai macrofagi residenti. Generalmente, la severità del quadro clinico dipende dalla classe (IgG1 e IgG3 possiedono la maggior capacità di legame con il recettore Fc dei macrofagi, determinando i quadri piu attivi; piu’ raramente IgA ed IgM calde determinano emolisi extravascolare splenica, ancor piu’ raramente intravascolare mediante attivazione diretta della cascata complementare) dell’anticorpo in questione, con quadri di emolisi (per lo piu’ extravascolare) di severità variabile, poco dipendenti dalla specificità dell’autoanticorpo (la specificità e’ estremamente variabile con anticorpi diretti verso determinanti del sistema Rh, Kell, Kidd, Duffy, LW etc). Quadri di malattia emolitica possono realizzarsi, piu’ raramente, in presenza di un profilo autoanticorpale caratterizzato dalla presenza di anticorpi freddi di classe IgM, con optimum di reattività e legame tra 0-5 °C, il cui potere emolitico in vivo e’ correlato all’ampiezza termica dell’anticorpo stesso (cioè la capacità di legare l’antigene a temperature realizzabili nel distretto corporeo dopo raffreddamento, in genere non inferiori a 28°C). L’ampiezza termica dell’anticorpo freddo è in genere funzione del suo titolo, corrispondendo a titolo elevati una rilevante ampiezza termica, talvolta responsabile di emolisi in vivo. La caratteristica di tali crioagglutinine è quella di essere, prevalentemente, pan-agglutinanti a causa della loro specificità verso l’antigene pubblico I (le emazie del sangue di cordone che esprimono per lo più l’antigene pubblico i non sono efficacemente agglutinate dalle crioagglutinine sopra descritte). Le malattie da crioagglutinine si associano, nelle forme non idiopatiche, ad infezioni virali e da micoplasma. Alcune ADNRSE si realizzano con meccanismo immunomediato successivamente all’assunzione di alcuni farmaci. Le cefalosporine e l’alfa-metildopa causano una risposta immune che genera anticorpi cross-reattivi con la membrana eritrocitaria o specificatamente diretti verso componenti di superficie del globulo rosso, rispettivamente. Tali forme realizzano una condizione di autoreattività che può determinare emolisi in vivo. Una forma di emolisi meccanica, non immunologica e non microangiopatica, si realizza in alcuni portatori di protesi valvolari cardiache, dove le superfici dei dispositivi protesici e le alterazioni di flusso talvolta presenti determinano la frammentazione degli eritrociti nelle camere cardiache per stress meccanico. Una complessa categorie di ADNRSE sono quelle riconducibili ad una comune patogenesi microangiopatica, dove la deposizione di fibrina o l’aggregazione

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 11 di 55

piastrinica incontrollate (causate dalla patologica attivazione di fattori pro-coagulanti o pro-aggreganti) nei vasi di piccolo calibro determinano, a seguito del coinvolgimento dei diversi fattori emostatici, grossolane alterazioni delle superfici del lume del piccolo circolo le quali causano quadri severi d’insufficienza d’organo, coagulopatia da consumo ed anemia per stress meccanico con generazione di tipiche emazie frammentate con sopravvivenza limitata (schistociti). L’inquadramento nosologico di queste forme morbose e la definizione del loro complesso quadro eziopatogenetico non sono negli scopi di questo documento e sara’ sufficiente ricordare che temibili forme morbose quali la Coagulazione Intravascolare Disseminata (DIC), la Porpora Trombotica Trombocitopenica/Sindrome Emolitico-Uremica (PTT/SEU), la Hemolysis Elevated Liver Enzymes Low Platelets (HELLP) syndrome e la pre-eclampsia severa (la HELLP e la pre-eclampsia severa sono spesso reversibili con l’espletamento del parto) costituiscono esempi eclatanti di anemizzazioni progressive per ADNRSE di tipo microangiopatico. 1.4 Iter di approfondimento diagnostico precoce nelle

AANRSE/ADNRSE I pazienti che mostrino un anemizzazione progressiva in assenza di un emopatia specifica documentata dovranno, all’approssimarsi dei valori di Hb al valore soglia di 10 g/dL o in assenza di pronto recupero emoglobinico con valori inferiori alla suddetta soglia per coloro che ricadano sotto la categoria APPC, iniziare un approfondimento di primo livello in armonia con le seguenti indicazioni: a) Paziente con volume corpuscolare eritrocitario medio (MCV) < 80 fL all’esame emocromocitometrico

- Studio accurato del bilancio marziale con valutazione della sideremia, ferritina, saturazione della transferrina, quantificazione percentuale dell’emazie ipocromiche, reticolociti ed indici reticolocitari, esame urine e ricerca sangue occulto nelle feci.

Nei casi in cui il quadro ematochimico o la risposta al trattamento iniziale siano incerti dovrà essere attivata la consulenza ematologica. b) Paziente con MCV> 100 fL all’esame emocromocitometrico

- Dosaggio folati sierici, dosaggio Vit B12 sierica, bilirubina diretta/indiretta, latticodeidrogenasi sierica (LDH), reticolociti ed indici reticolocitari, test di Coombs diretto (TCD) ed indiretto (TCI), esame morfologico su striscio di sangue venoso periferico per l’ identificazione dei granulociti plurisegmentati.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 12 di 55

- Nei casi in cui venga documentata una carenza di VitB12 o in cui il quadro ematochimico sia incerto dovrà essere attivata la consulenza ematologica.

c) Paziente con MCV< 100 e > 80 fL all’esame emocromocitometrico

- Effettuare tutti gli esami previsti al punto a) e b) del presente paragrafo - Completare con dosaggio aptoglobina, ricerca agglutinine a frigore, studio della

morfologia eritrocitaria con ricerca schistociti e sferociti, TAP, aPTT, fibrinogeno, D-dimero, dosaggio EPO sierica.

L’approfondimento diagnostico laboratoristico in tali pazienti sarà comunque seguito dalla consulenza ematologica. 1.5 Uso degli indici reticolocitari ed eritrocitari nello studio

dell’anemia

Premessa Nota introduttiva. Gli stessi parametri possono essere determinati tanto sulla popolazione delle emazie

mature, quanto sui reticolociti (in questo caso, sono identificati dalla “r”; p.ex.: CH, CHr). Il reticolocito tipico matura in 4 giorni; di questi, solo l’ultimo è trascorso nel

sangue periferico. Nello studio delle anemie è necessario giungere più precocemente alla diagnosi,

attraverso l’uso degli indici reticolocitari. I classici indici di Wintrobe (Volume Corpuscolare Medio - MCV, Contenuto

Emoglobinico Medio - MCH, Concentrazione Emoglobinica Corpuscolare Media – MCHC) sono indicatori poco sensibili delle modificazioni a breve termine dell’eritropoiesi.

A titolo di esempio, in caso di sopravvenuta carenza di ferro, occorrono circa due mesi perché MCV diminuisca al di sotto degli 80 fL.

E’ possibile invece apprezzare precocemente l’insorgere di modificazioni reticolocitarie, legate alla variazioni delle condizioni dell’eritropoiesi.

Tali variazioni possono riguardare tanto il numero assoluto dei reticolociti quanto il grado della loro emoglobinizzazione e, talora, il loro volume.

Razionale e descrizione di alcuni indici reticolocitari ed eritrocitari

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 13 di 55

1. Indici eritrocitari Percentuale degli eritrociti ipocromici (cioè, poveri di emoglobina): questo

parametro, anche se relativo alla popolazione delle emazia mature, mantiene la sua validità di indicatore della dinamica dell’eritropoiesi (soprattutto se non sono disponibili i parametri reticolocitari): il suo aumento suggerisce l’anemizzazione sideropenica del Paziente.

2. Indici reticolocitari Per quanto riguarda i reticolociti, la valutazione dell’eritropoiesi poggia: a. sulla conta reticolocitaria (che esprime la “quantità” della attività midollare); b. sull’impiego di indici reticolocitari, descrittivi del grado di

emoglobinizzazione del reticolocito (che ne esprimono la “qualità”).

In effetti, con la strumentazione in uso e senza costi e tempi aggiuntivi rispetto a quelli della sola conta eritrocitaria è possibile determinare alcuni indici, fra i quali sono di fondamentale importanza il

- Contenuto Emoglobinico reticolocitario – CHr - % di Reticolociti ipocromici - Rapporto MCVr/MCV

CHr Contemporaneamente all’esame emocromocitometrico, in caso di richiesta di

conta reticolocitaria viene determinato un parametro, il Contenuto Emoglobinico , tanto sulla popolazione dei globuli rossi maturi (CH) che su quella dei reticolociti (CHr), relativo alla emoglobinizzazione della cellula, espresso in picogrammi.

In caso di eritropoiesi stazionaria, il contenuto in emoglobina dei globuli rossi maturi sarà pari a quello dei reticolociti. In caso di variazione delle condizioni dell’eritropoiesi:

a. se il Paziente si sta anemizzando per sideropenia, il CHr diventerà minore di CH;

b. viceversa, sempre nel caso dell’anemia sideropenica, se la terapia intrapresa è efficace (anche come via di somministrazione) si assisterà all’aumento del CHr rispetto al CH

Le modificazioni del CHr (e quelle del % dei reticolociti ipocromici) sono

misurabili, nel sangue periferico, dalle 24 ore successive a quelle di una modificazione

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 14 di 55

(patologica o terapeutica) delle condizioni dell’eritropoiesi e sono pienamente apprezzabili dalle 48 ore successive. In conclusione, si può a buon diritto affermare che il CHr (in confronto naturalmente con il CH) rappresenti “il” parametro ricapitolativo dell’efficacia della sintesi di emoglobina.

ERITROPOIESI STAZIONARIA CH = CHr ANEMIA MICROCITICA SIDEROP. CH > CHr TERAPIA MARZIALE EFFICACE CH < CHr

A titolo di esempio, l’immagine che segue descrive il variare del CHr (in nero)

rispetto al CH (in grigio), dopo due giorni di terapia marziale efficace.

% di Reticolociti ipocromici

Fra i parametri misurabili dai sistemi in uso sottolineiamo l’importanza del valore percentuale dei reticolociti ipocromici. In particolare, nell’eritropoiesi inefficace, il valore percentuale dei reticolociti ipocromici (con CHr < 23 pg): a. tende ad aumentare b. correla inversamente con la ferritina

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 15 di 55

MCVr/MCV Poiché i reticolociti sono normalmente di volume maggiore delle emazia mature, questo rapporto è sempre > 1, nei due sessi. Va tuttavia segnalato che la reticolocitosi dopo trattamento con vit B12 /ac. Folico nell’anemia megaloblastica è invece rappresentata da elementi più piccoli (contrariamente alla norma) dei globuli rossi circolanti, con diminuzione del rapporto MCVr/MCV. Valori di riferimento

Indici (sistemi Advia)

Unità di

misura

Media (adulti)

Intervallo di riferimento

(adulti)

Media (bambini)

Intervallo di riferimento (bambini)

CH Pg 27,7 25,6 – 29,6 27,7 24,4 – 31,6 CHr Pg 28,5 25,9 – 30,6 26,7 21,4 – 30,5 MCV Fl 89,9 83,4 – 97,0 79,3 72,0 – 91,2 MCVr Fl 111,7 103,2 – 126,3 97,6 87,7 – 116,5

1.6 Terapia dell’anemia non-acuta ingravescente Terapia dell’anemia compensata Ove i meccanismi di compenso siano attivi ed efficaci e non coesista una patologia ischemica del miocardio o altre patologie di rilievo dell’apparato cardiocircolatorio che impongano un trattamento trasfusionale urgente il trattamento dell’anemia si dovrà limitare a :

1. Curare l’eventuale malattia sottostante ovvero tentare il trattamento eziologico dell’anemia (infezione, sindrome autoimmune, correzione del disturbo carenziale, risoluzione dello stillicidio etc,etc).

In particolare:

In caso di carenza marziale assoluta (ferritina < 15 ng/mL) o funzionale (sideremia < 45 ug/dL+saturazione transferrina < 20% +emazie ipocromiche > 10%) il paziente dovra’ essere sottoposto a correzione della sindrome carenziale con ferro elementare 200 mg/die per os (l’obiettivo di una terapia marziale dovrebbe essere quello di ripristinare delle riserve marziali con almeno 40 ng/mL di ferritina) con attento

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 16 di 55

monitoraggio del Contenuto Emoglobinico Reticolocitario (CHr; vedi capitolo su reticolociti ed indici reticolocitari) a partire dalle 48 ore successive all’istituzione del trattamento. In caso di deficienza di folati il paziente dovra’ essere sottoposto a terapia con acido folico per os al dosaggio di 5mg/die fino a normalizzazione del quadro ematologico (emocromo) e sierico (dosaggio di folati sierici di controllo). Qualora la carenza di folati sia ascrivibile ad un quadro di malassorbimento globale dovrà essere considerata l’ opportunita’ di utilizzare la via di somministrazione intramuscolare. Nei casi in cui venga documentata una carenza di VitB12 dovrà essere attivata la consulenza ematologica.

2. Somministrare eritropoietina umana ricombinante (EPO) se Hb< 10 g/dL in pazienti con insufficienza renale cronica (trattamento d’attacco con 50 UI/kg tre volte a settimana ev se epoetina ? o ev/sc se epoetina ? ; mantenimento se Hb > 10-12 g/dL con una dose cumulativa settimanale di 75-300 UI/kg ev se epoetina ? o ev/sc se epoetina ? ) o in pazienti con neoplasia maligna in trattamento chemioterapico (150 UI/kg di epoetina ? tre volte a settimana sc; contestuale trattamento della carenza marziale assoluta con 200 mg/die di ferro elementare per os se ferritina < 15ng/mL o della carenza funzionale se emazie ipocromiche > 10%, saturazione transferrina < 20% e sideremia < 45 ug/dL). Nel paziente neoplastico sottoposto a chemioterapia il trattamento d’attacco dovrà essere valutato a distanza di 4 settimane e valutato come efficace se il paziente avrà ottenuto un incremento dell’Hb di 1 g/dL. In caso in cui l’incremento sia inferiore a quello associato ad un trattamento efficace, la dose di EPO settimanale dovrà essere raddoppiata e somministrata sempre in tre somministrazioni settimanali (da 300 UI/kg ciascuna di epoetina ? ) sc per ulteriori 4 settimane; se al completamento delle ulteriori 4 settimane di trattamento l’incremento dell’Hb sarà comunque < 1 g/dL nonostante il raddoppio della dose il trattamento sarà sospeso ed il paziente giudicato non responsivo. Nell’insufficienza renale cronica il trattamento con EPO rappresenta una terapia sostitutiva specifica di consolidata efficacia (previa correzione di fatti carenziali o altre concause di anemia) mentre l’uso dell’EPO nel paziente neoplastico sottoposto a chemioterapia con Hb<10 g/dL (previa correzione di fatti carenziali o altre concause di anemia) rappresenta una raccomandazione di tipo B con livello di evidenza II in un contesto di “Evidence-based medicine”.

Monitoraggio della terapia eziologica

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 17 di 55

Il CHr deve essere utilizzato:

1. nella diagnostica delle sideropenie vere e nella valutazione del successo terapeutico (diminuzione del CHr alla diagnosi e suo repentino aumento già dopo due giorni di terapia efficace. In mancanza di risposta del CHr entro le 48 ore è giustificato l’abbandono della terapia orale in favore di quella endovenosa; anche in questo caso, il successo della terapia sarà testimoniato dall’aumento del CHr entro le 48 ore successive);

2. riconoscimento precoce della sideropenia funzionale (condizioni di eritropoiesi ferrocarenziale in corso di terapia con EPO: il CHr diminuisce anche in presenza di riserve marziali e di implementazione orale di ferro; quando all’EPO viene associato ferro endovenoso il CHr non diminuisce).

Terapia dell’anemia scompensata e/o sintomatica

1. Istituzione di ossigenoterapia e sua eventuale ottimizzazione; 2. TrGr con la finalita’ di ottenere incrementi emoglobinici (generalmente 1 unità

di TrGr produce un incremento di Hb di circa 1g/dL) tali da consentire ai meccanismi di compenso metabolici e cardiocircolatori di ripristinare la capacita’ ossiforetica del sangue circolante ed il compenso, con la scomparsa della sintomatologia ingravescente (dispnea, tachicardia, astenia profonda, edemi declivi). In pazienti con cardiopatia ischemica attiva il limite di trasfondibilita’ va valutato con assoluta cautela, considerando che livelli di Hb < 10 g/dL peggiorano l’ischemia e riducono la contrattilita’ miocardica, inficiando pertanto un fondamentale meccanismo di compenso dell’anemia. Al contrario, il trattamento con TrGr di soggetti con anemia grave (Hb < 8 g/dL) anche sintomatici ma in possesso di adeguati meccanismi di compenso (esempio paradigmatico: puerpera con Hb = 7 g/dL, tachicardica e non cardiopatica) va attentamente ponderato e comunque concordato durante una valutazione collegiale con i consulenti di medicina trasfusionale;

3. Approfondimento diagnostico per un eventuale tentativo di trattamento

eziologico dell’anemia Potenziali effetti indesiderati della TrGr Come precedentemente esposto l’anemia scompensata richiede inevitabilmente il ricorso alla TrGr che rappresenta un momento critico nell’assistenza al paziente anemico a causa dei potenziali rischi connessi con l’uso del sangue umano. In sintesi, la

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 18 di 55

trasfusione (nonostante sia l’unico presidio terapeutico che possa rapidamente restituire il compenso al paziente con anemia grave) provoca soppressione dell’eritropoiesi autoctona, fornisce globuli rossi conservati incapaci di pieno compenso metabolico dato il minor contenuto in 2-3DPG, può provocare reazioni trasfusionali immediate o ritardate emolitiche e non emolitiche, immunomodulazione, immunizzazione, sovraccarico marziale e raramente trasmettere malattie virali quali l’epatite B (virus HBV), l’epatite C (virus HCV) e l’AIDS (virus HIV1-2). Attualmente l’incidenza di trasmissione dell’HBV nei paesi occidentali è di 1 caso su 63.000 trasfusioni eseguite, dell’HCV di 1 caso su 100.000 e dell’HIV1-2 di 1 caso su 450.000. Inoltre, la TrGr può essere eseguita solo in regime di ricovero ordinario o day hospital e pertanto rappresenta un costo rilevante per il sistema sanità. Al contrario, approcci terapeutici (non trasfusionali) precoci quali la correzione di uno stato carenziale o, ove possibile, la bonifica di fonti di stillicidio, d’infezioni, la somministrazione di EPO con o senza terapia marziale di associazione rappresentano presidi (attuabili anche a domicilio come autosomministrazione) scevri da effetti indesiderati di rilievo a breve e lungo termine. Infine, l’evitare un TrGR ad un paziente già affetto da patologie di rilievo, fisicamente e psicologicamente invalidanti, contribuisce al mantenimento di uno stato psicologico positivo, attenuando il senso di dipendenza dalla struttura sanitaria e generando riflessi virtuosi sulla qualità di vita sia per il mantenimento dell’autonomia del paziente sia per la risoluzione della fatigue correlata allo stato anemico. Una completa trattazione delle reazioni indesiderate alle TrGr e delle indicazioni per la gestione clinico-laboratoristica delle medesime è consultabile nella seconda parte del presente documento.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 19 di 55

2) Algoritmo per l’approfondimento diagnostico e la terapia delle AANRSE/ADNRSE/APPC

Anemizzazione o mancato recupero post-chirurgico con Hb < 10 g/dL

MCV < 80 fL a) MCV > 100 fL b) (emocromo) (emocromo) Valutazione: Valutazione: Ferritina Dosaggio folati sierici Sideremia Dosaggio Vit B12 Saturazione transferrina Latticodeidrogenasi % emazie ipocromiche Bilirubina dir/indir Reticolociti ed indici Reticolociti ed indici reticolocitari reticolocitari Esame urine Test di Coombs diretto (TCD) Ricerca sangue occulto feci ed indiretto (TCI) Esame dello striscio per granulociti plurisegmentati Terapia orale per Terapia orale/intramuscolo per carenza marziale carenza folati In circostanze diverse In circostanze diverse consulenza ematologica consulenza ematologica

C)

MCV > 80 e < 100 fL Effettuare le valutazioni ematochimiche di cui al punto a) e b) e completare con dosaggio aptoglobina, ricerca crioagglutinine, studio della morfologia eritrocitaria con ricerca schistociti e sferociti, TAP, aPTT, fibrinogeno, D-dimero, dosaggio EPO sierica. L’approfondimento diagnostico laboratoristico in tale paziente sara’ comunque seguito dalla consulenza ematologica. Note: Nei pazienti con anemizzazione e MCV< 100 e > 80 fL affetti da neoplasia maligna e sottoposti a chemioterapia o con insufficienza renale cronica documentata, l’approfondimento diagnostico dovra’ essere seguito da trattamento con EPO umana ricombinante come descritto nel paragrafo relativo alla terapia dell’anemia non scompensata .

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 20 di 55

3) Indicazioni per la gestione delle reazioni trasfusionali 3.1 Considerazioni generali Il trattamento trasfusionale, anche se condotto correttamente, espone il ricevente a rischi diversi e per tale motivo deve essere riservato a quelle condizioni nelle quali esista una razionale indicazione e non sia sostituibile da altra prestazione farmacologica. L’utilizzazione degli emocomponenti in luogo del sangue intero e la scelta di procedure autotrasfusionali, in tutte le condizioni cliniche che lo consentono, permettono solo in parte di ridurre l’esposizione del paziente ai rischi trasfusionali. Il termine “rischio trasfusionale” viene immediatamente associato al concetto di “rischio infettivo” trasfusione-correlato; in realtà, sta assumendo oggi sempre maggior evidenza clinica ed è oggetto di crescente studio da parte della comunità scientifica mondiale il “rischio immunologico” indotto dalla trasfusione omologa. Esiste anche un “rischio fisico e metabolico” associato alla trasfusione di emocomponenti. Viene definito “reazione trasfusionale” qualunque effetto indesiderato correlato in modo causale alla trasfusione. Le reazioni trasfusionali possono essere classificate in immediate (si manifestano nel corso della trasfusione o a distanza di minuti od ore dal termine della stessa, comunque entro 24 ore) e ritardate (compaiono a distanza di giorni, mesi o anni dalla somministrazione del sangue), in funzione della modalità di comparsa, ed in immunologiche e non immunologiche (infettive e fisico-metaboliche), in funzione del meccanismo patogenetico che le sostiene (Tabella 1). E’ difficile determinare un singolo valore per una valutazione complessiva del rischio trasfusionale. Effetti collaterali durante o subito dopo il termine della trasfusione si verificano nell’1-3 % dei casi. L’incidenza di effetti collaterali a lungo termine è più variabile, poiché molti di questi sono secondari alla trasmissione di malattie, la cui probabilità di trasmissione dipende dalla prevalenza di tali malattie nella popolazione donante emocomponenti.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 21 di 55

Tabella 1. Reazioni trasfusionali Immediate o Acute Ritardate

Immunologiche Reazioni emolitiche acute Reazioni emolitiche ritardate Reazioni allergiche Graft versus host reaction Reazioni febbrili non emolitiche Effetto immunomodulatore Edema polmonare non cardiogeno (TRALI) Porpora post-trasfusionale Alloimmunizzazioni

Non immunologiche Reazione da contaminazione batterica Sovraccarico di ferro Sovraccarico di circolo Trasmissione di malattie Emolisi non immunologica Altre - Ogni paziente sottoposto a terapia trasfusionale con emocomponenti può presentare una reazione trasfusionale (RT), anche se viene trasfuso per la prima volta. Il paziente politrasfuso, tuttavia, presenta un rischio maggiore di reazioni trasfusionali, specialmente di tipo immunologico e infettivo. - Le possibili RTs dipendono dal tipo e dalla quantità di emocomponente trasfuso. - Tutte le sospette RTs acute debbono essere immediatamente riferite al Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (SIMT) ; qualora sia possibile, sarebbe opportuno segnalare anche le RTs ritardate. - RTs acute possono intervenire in circa l’ 1 – 2 % dei pazienti trasfusi; un loro rapido riconoscimento e la loro gestione possono salvare la vita del paziente. Una volta che si sono poste in essere immediate azioni correttive, è essenziale intraprendere una accurata e reiterata valutazione clinica, al fine di identificare e trattare i problemi di maggiore impatto per il paziente. - Errori o mancata osservanza delle corrette procedure rappresentano le cause più comuni delle reazioni trasfusionali emolitiche acute, che mettono in pericolo la vita del paziente (cruciali risultano a tale proposito sia la fase di identificazione dei campioni di sangue del paziente che vengono inviati al SIMT per la determinazione del gruppo sanguigno e l’esecuzione delle prove di compatibilità, sia la fase di controllo della giusta corrispondenza tra paziente ed emocomponente a lui assegnato). - La contaminazione batterica dei concentrati eritrocitari (CE) e dei concentrati piastrinici (CP) è la causa, spesso sottostimata, di RTs acute.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 22 di 55

- I pazienti politrasfusi e le donne multipare sono particolarmente esposti al rischio di reazioni acute febbrili. Con l’esperienza queste possono essere gestite in modo da non dover ritardare o sospendere (senza reale necessità) la terapia trasfusionale. - Dato che le RTs ritardate possono comparire dopo giorni, settimane o mesi dalla trasfusione, può essere facilmente trascurato il loro rapporto con essa. E’, perciò, essenziale (oltre che obbligatorio secondo la normativa vigente) che l’evento sia accuratamente registrato nella cartella clinica del paziente, così da essere preso in considerazione nella diagnosi differenziale. - L’infusione endovenosa di grandi quantitativi di emocomponenti e di liquidi (soluzioni cristalloidi e colloidi) può causare deficit emostatici e alterazioni metaboliche. 3.2 Reazioni trasfusionali acute Le RTs acute intervengono durante o subito dopo (comunque, entro 24 ore) dalla trasfusione. 3.2.1 GESTIONE INIZIALE E INDAGINI RELATIVE Quando si verifica una RT acuta, può essere difficile individuarne il tipo e la sua gravità, dato che i sintomi iniziali spesso non sono né specifici né patognomonici. Tuttavia, con l’eccezione delle reazioni orticarioidi o di quelle febbrili non-emolitiche, tutte sono potenzialmente fatali e necessitano di un trattamento urgente. Una RT acuta può manifestarsi in situazioni cliniche complesse, nelle quali è fondamentale la diagnosi differenziale tra una reazione all’emocomponente trasfuso e una complicanza della malattia di base verificatasi durante o immediatamente dopo la trasfusione. In un paziente incosciente o anestetizzato, la caduta rapida della pressione sanguigna, l’emoglobinuria e una emorragia incontrollabile possono essere i soli segni di una trasfusione incompatibile. Se il paziente è cosciente, segni e sintomi di una grave reazione trasfusionale emolitica compaiono entro pochi minuti dall’infusione di soli 5 – 10 Ml di sangue. E’, quindi, essenziale un attento e stretto controllo delle fasi iniziali di una trasfusione. Quando si verifica una RT acuta si dovra’ procedere all’attuazione delle seguenti operazioni di controllo e prevenzione:

1. Controllo delle etichette sull’unità e verifica dell’identità del ricevente. Se vi è qualche discrepanza, interrompere immediatamente la trasfusione e consultare il SIMT.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 23 di 55

2. Interruzione di tutte le trasfusioni nel reparto stesso o in sala operatoria, fino a che l’identita’ del paziente e la corretta attribuzione dell’unita’ non siano state verificate scrupolosamente.

3. Il SIMT interrompera’ ogni distribuzione di sangue o emocomponenti fino a che la causa della reazione non sia stata pienamente indagata e/o non sia stata esclusa la possibilità di coinvolgimento di altri pazienti in errori di identificazione di campioni di sangue e di assegnazione di emocomponenti.

Le indicazioni per il riconoscimento e la gestione clinica delle RT acute prevedono una loro distinzione orientativa in 3 categorie (categoria 1 o reazioni lievi; categoria 2 o reazioni moderatamente severe; categoria 3 o reazioni gravissime, potenzialmente fatali) sulla base di segni e sintomi, possibili cause e loro gestione immediata . In ogni caso è inderogabile la necessità di attivare immediatamente le consulenze con il SIMT e l’U.O. di Anestesia e Rianimazione per le relative competenze. I seguenti schemi riassumono le diverse categorie di RT acute, il loro eventuale trattamento e le indagini necessarie alla loro definizione:

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 24 di 55

3.3 Categorie RT acute CATEGORIA 1 – REAZIONI LIEVI Segni obiettivi Sintomi soggettivi Possibili cause Orticaria, rush Prurito Ipersensibilità lieve TRATTAMENTO IMMEDIATO

1) Rallentare il ritmo di infusione o interrompere la trasfusione (valutazione medica) mantenendo pervia la via venosa con l’ infusione di cristalloidi (Ringer) o soluzione fisiologica.

2) Somministrare anti-istaminici (clorfenamina EV [Trimeton]). 3) Se vi è miglioramento clinico (scomparsa dell’orticaria e/o del rush) continuare o riprendere la

terapia trasfusionale. 4) Se non vi sono miglioramenti entro 30 minuti o i segni obiettivi e soggettivi peggiorano, trattare come le reazioni della categoria 2.

CATEGORIA 2 – REAZIONI MODERATAMENTE SEVERE Segni obiettivi Sintomi soggettivi Possibili cause Vampate di calore Senso d’ansia Ipersensibilità Orticaria Prurito moderata/grave Brividi Palpitazioni Reazione febbrile non- Febbre Lieve dispnea emolitica per anticorpi Agitazione Cefalea anti-leucocitari e anti- Tachicardia piastrinici o anti- proteine (compresi Ab anti-IgA) Possibile contaminazione da pirogeni o batteri

TRATTAMENTO IMMEDIATO 1) Sospendere la trasfusione. Cambiare il set da infusione e mantenere pervia la via venosa

infondendo soluzione fisiologica o cristalloidi (Ringer lattato). 2) Notificare immediatamente la reazione al SIMT. 3) Inviare al SIMT, per le opportune indagini di laboratorio, l’unità con il set ancora conesso e due

nuovi campioni di sangue (uno coagulato e uno in EDTA) prelevati da una vena diversa da quella utilizzata per la trasfusione, accompagnandoli con una accurata relazione clinica e una pertinente richiesta.

4) Somministrare anti-istaminici (clorfenamina EV) e antipiretici (paracetamolo [Tachipirina] 10 mg/Kg per via orale o rettale). Non usare aspirina in pazienti trombocitopenici.

5) Somministrare corticosteroidi (idrocortisone [Flebocortid] o betametasone [Bentelan] EV) e broncodilatatori (salbutamolo per aerosol [Ventolin], aminofillina EV [Aminomal] 5 mg/Kg seguiti da 0,2 - 0,9 mg/Kg/ora), qualora vi siano segni di reazione anafilattoide (broncospasmo, dispnea).

6) Raccogliere e inviare al SIMT l’urina delle prime 24 ore successive alla reazione, per evidenziare eventuale emoglobinuria.

7) Se vi è miglioramento clinico, riprendere la terapia trasfusionale con una nuova unità (qualora le condizioni cliniche lo impongano) e tenere il paziente sotto stretta osservazione.

8) Se non vi è miglioramento clinico entro 15 minuti o i sintomi obiettivi e soggettivi peggiorano, trattare come le reazioni della categoria 3.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 25 di 55

CATEGORIA 3 – REAZIONI GRAVISSIME, POTENZIALMENTE FATALI Segni obiettivi Sintomi soggettivi Possibili cause Febbre, brividi Stato d’ansia Emolisi intravascolare Agitazione Dolore toracico e/o lombare acuta Ipotensione (- 20 %) Dolore nel punto di infusione Contaminazione batterica Tachicardia (+ 20%) Fame d’aria e/o dispnea e shock settico Emoglobinuria Cefalea Sovraccarico circolatorio Sanguinamento a nappo (CID) Anafilassi Oliguria/anuria TRALI

NOTE 1) Quando interviene una reazione acuta, per prima cosa controllare la corrispondenza tra l’unità da

trasfondere e il paziente. In caso di discrepanze, sospendere immediatamente la trasfusione e consultare il SIMT.

2) Se il paziente è incosciente o anestetizzato, ipotensione, sanguinamento incontrollato e emoglobinuria possono essere gli unici segni di una trasfusione incompatibile.

3) Se il paziente è cosciente, la sintomatologia può apparire entro 5 – 10 minuti dall’inizio dell’infusione. E’, quindi, essenziale un attento controllo nelle fasi iniziali di ogni trasfusione.

TRATTAMENTO IMMEDIATO

Sospendere immediatamente la trasfusione. Cambiare il set da infusione e conservare pervia la via venosa, infondendo soluzione fisiologica (inizialmente 20 – 30 mL/Kg) o Ringer lattato. REAZIONE EMOLITICA ACUTA

1) Infondere cristalloidi (Ringer lattato) o soluzione fisiologica allo scopo di mantenere una diuresi di 1 - 2 mL/Kg/ora e per sostenere la pressione arteriosa.

2) Eventualmente alcalinizzare le urine (pH urinario ? 7,5) per favorire l’ escrezione di Hb libera, aggiungendo bicarbonato di sodio ai liquidi di infusione (30 - 40 mEq di Bicarbonato di Sodio, pari a 200 - 250 mL di una soluzione 1/6 M fornita dalla farmacia in confezione da 500 mL).

3) In caso di oligo-anuria, dopo adeguato riempimento volemico, somministrare furosemide [Lasix] alla dose di 1 mg/Kg. Se permane oligo-anuria o si evidenziano segni di insufficienza renale acuta (aumento del K+, dell’ urea e della creatinina) somministrare ulteriormente furosemide e consultare prontamente lo specialista nefrologo (il paziente può necessitare di dialisi renale).

4) Non somministrare dopamina alle cosiddette “dosi renali”, perché oltre ad essere inefficace potrebbe essere dannosa. In caso di reazioni gravissime potenzialmente mortali e in attesa dell’ intervento dell’ anestesista/rianimatore può essere impiegata la noradrenalina EV (Noradrec) alla diluizione di 16 ? g/mL (8 mg in 500 mL di soluzione fisiologica) alla dose di 5 – 15 ? g/minuto.

5) In caso di sanguinamento e di fronte a test di laboratorio suggestivi di CID (conta piastrinica, dimero-D, aPTT, PT, fibrinogeno) infondere CP (1 unità/10 Kg) e PFC ( 10 mL/Kg).

6) Monitorare la pressione arteriosa, gli elettroliti ematici (in particolare il K+), l’ emocromo, i test della coagulazione, la diuresi.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 26 di 55

REAZIONI ALLERGICHE GENERALIZZATE 1) Mantenere pervie le vie respiratorie, somministrare ossigeno, eventualmente ventilazione

artificiale. 2) Somministrare cristalloidi, perché nell’ anafilassi la perdita di volume dallo spazio intravascolare

è rapida (ad es., Ringer lattato 500 – 1.000 mL rapidamente). 3) Somministrare adrenalina [Adrenalina] per via sottocutanea alla dose di 0,3 – 0,5 mL di una fiala

da 1 mg/mL in caso di angioedema; essa rappresenta il farmaco di scelta in questo contesto per la sua capacità di bloccare il rilascio dei mediatori dell’ infiammazione dalle cellule sensibilizzate e di contrastare la vasodilatazione.

4) In caso di shock grave, somministrare adrenalina EV (1 mg in 50 – 100 mL di soluzione glucosata al 5 % in 5 – 20 minuti), noradrenalina (5 – 15 ? g/minuto), idrocortisone EV (100 – 200 mg ogni 4 ore).

5) Se il polso arterioso è irregolare o la frequenza cardiaca è ? 120 /minuto, l’ adrenalina può essere controindicata.

6) Può essere associato un antistaminico EV. 7) Se è presente broncospasmo somministrare salbutamolo per aerosol e aminofillina EV (5 mg/Kg

seguiti da 0,2 – 0,9 mg/Kg/ora)

SHOCK SETTICO 1) Se vi sono segni di possibile sepsi (brividi, febbre, collasso in assenza di una reazione emolitica)

iniziare una terapia endovena con antibiotici a largo spettro e con farmaci vasopressori (noradrenalina alla dose di 5 – 15 ? g/minuto).

2) Trattare le eventuali complicanze (CID).

TRALI 1) Non esiste terapia specifica. 2) Instaurare prontamente un adeguato supporto respiratorio (spesso con intubazione, ventilazione

e ossigenoterapia). 3) Supporto sintomatico delle eventuali complicanze associate.

SOVRACCARICO CIRCOLATORIO 1) Porre il paziente in posizione rialzata o seduta 2) Iniziare la somministrazione di ossigeno e diuretici (furosemide) 3) Possono essere necessari l’ intubazione, la ventilazione e il supporto cardiocircolatorio

(vasodilatatori e inotropi). 4) Se la sintomatologia non migliora, può essere necessario il salasso.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 27 di 55

INDAGINI DA ESEGUIRSI IN CASO DI RTs ACUTE DI CATEGORIA 2 e 3

1) Notificare immediatamente tutte le RTs acute, con la sola eccezione di quelle di ipersensibilità

lieve (Categoria 1), al SIMT. Se vi è il sospetto che si tratti di una reazione molto grave, potenzialmente fatale (Categoria 3), ricercare immediatamente la collaborazione dell’anestesista/rianimatore.

2) Registrare sulla cartella del paziente : - tipo della reazione trasfusionale; - intervallo di tempo intercorso fra l’inizio della trasfusione e la comparsa della reazione;

- quantità, tipo e numero dell’emocomponente trasfuso 3) Prelevare 2 campioni di sangue (1 coagulato e uno in EDTA) da inviare al SIMT prelevati da una

vena diversa da quella usata per la trasfusione per eseguire : gruppo ABO ed Rh; ricerca anticorpi irregolari; prova di compatibilità; test diretto all’antiglobulina; confronto con i campioni di sangue del paziente prelevati prima della trasfusione, per quanto riguarda il colore del siero o del plasma (una colorazione rosa o rossa, presente solo nel campione prelevato dopo la reazione, è indice di presenza di emoglobina libera e, quindi, di distruzione eritrocitaria; l’emolisi intravasale anche di soli 5 mL di eritrociti può produrre un’emoglobinemia visibile; un’emolisi meccanica deve essere esclusa). I campioni di sangue devono essere accompagnati da una accurata relazione clinica e da una pertinente richiesta.

4) Misurare la lattico-deidrogenasi sierica (LDH) e la bilirubina non coniugata, preferibilmente su un campione raccolto 5 –7 ore dopo la trasfusione. I valori rientrano nell’ambito della norma nel giro di 24 ore, se l’escrezione della bilirubina è normale. Una bilirubina elevata si riscontra in circa l’80 % dei casi di RT emolitica acuta.

5) Ricercare l’emoglobinuria, che è presente nell’87 % circa dei casi di RT emolitica acuta. 6) Misurare i livelli di aptoglobina ed emopessina nel siero, nei campioni pre- e post-reazione.

L’aptoglobina è stabile nel siero e l’emolisi “in vitro” non interferisce con la sua determinazione. Un decremento dell’aptoglobina, che si verifica nell’87 % circa dei casi di RT emolitica acuta, ha un significativo valore diagnostico.

7) Valutare un esame emocromocitometrico. 8) Escludere la possibilità di una contaminazione batterica dell’unità di sangue, attraverso la

valutazione di eventuali alterazioni organolettiche dell’emocomponente in causa, di una colorazione di Gram su uno striscio di sangue della sacca e l’allestimento di colture a 4 °C, 20 – 24 °C e 35 – 37 °C con campioni di sangue della sacca.

9) Escludere un’emolisi non immunologica. 10) Registrare i risultati delle indagini sulla cartella clinica del paziente anche ai fini di un futuro

follow-up, se necessario.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 28 di 55

3.3.1 RTs EMOLITICHE ACUTE Sono causate dalla trasfusione di emazie incompatibili a cui consegue la loro emolisi intravascolare complemento-mediata attivata dagli anticorpi (in genere IgM, ma anche IgG, ad esempio IgG3) presenti nel plasma del ricevente. L’insufficienza renale acuta e la CID sono potenziali complicazioni per i pazienti che presentano tali reazioni. Ricordiamo che oltre ad una incompatibilità di tipo “maggiore”, cioè causata da anticorpi presenti nel ricevente e diretti contro le emazie del donatore, si può determinare anche un’incompatibilità di tipo “minore”, che si verifica quando anticorpi presenti nel pasma del donatore reagiscono con antigeni eritrocitari del ricevente (ad esempio, con la trasfusione di sangue intero, oggi praticamente abbandonata, e con la somministrazione di grandi quantità di PFC o di plasma ABO-incompatibile con i concentrati piastrinici). La frequenza delle RTs emolitiche acute fatali è di 1 su 300.000 – 700.000 trasfusioni eritrocitarie, ma l’incidenza dei casi totali è di 1 su 33.000. Anche un piccolo quantitativo (10 – 50 mL) di emazie incompatibili possono provocare una reazione grave, potenzialmente mortale, e, ovviamente, quantità maggiori aumentano i rischi. La causa più comune di tali reazioni è l’incompatibilità ABO. Questa prende origine quasi sempre da : a) Errori nella compilazione del modulo di richiesta sangue; b) Raccolta del sangue del paziente sbagliato in una provetta pre-etichettata; c) Etichettatura errata del campione di sangue inviato al SIMT; d) Mancato o inadeguato controllo dell’unità di sangue e dell’identità del paziente prima di iniziare la trasfusione. Anche anticorpi diretti contro antigeni eritrocitari apparteneti ad altri sistemi, come il Kell, il Kidd o il Duffy, possono causare un’emolisi intravascolare acuta. Nel malato cosciente, i sintomi obiettivi e soggettivi compaiono, usualmente, entro pochi minuti dall’inizio della trasfusione. Se il paziente è incosciente o anestetizzato, ipotensione, emoglobinuria e sanguinamento incontrollato (CID), possono essere gli unici segni di una trasfusione incompatibile. E’, quindi, essenziale monitorare il paziente nelle fasi iniziali della trasfusione per ogni unità di emocomponente trasfusa. L’errore nell’identificazione dei campioni, delle sacche o del ricevente, rappresentano le cause più frequenti. Questo tipo di errore è difficile da prevenire, tuttavia la possibilità che si verifichi può essere significativamente ridotta dotando il Servizio Trasfusionale e le UU.OO. di un manuale delle procedure, di un sistema informatizzato di riconoscimento/assegnazione dei campioni di sangue e dei pazienti ed effettuando sistematicamente la doppia determinazione di gruppo AB0/D.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 29 di 55

3.3.2 EMOLISI NON IMMUNOLOGICA Le RTs emolitiche non immunologiche si verificano quando gli eritrociti dell’unità da trasfondere subiscono un danno: ciò determina emoglobinemia ed emoglobinuria senza significativi sintomi e segni clinici. Le condizioni associate a lisi degli eritrociti di un’unità di sangue sono :

a) trasfusione eseguita (spesso ad alta velocità di infusione) con aghi di piccolo calibro (non utilizzare aghi di Gauge > 18);

b) insulto termico: riscaldamento oltre i 42 – 45 °C o raffreddamento al di sotto di –3 °C;

c) uso di apparecchi per la circolazione extracorporea: dispositivi per by-pass, ossigenatori “a bolle”;

d) contaminazione batterica dell’emocomponente; e) somministrazione contemporanea di farmaci o soluzioni ipotoniche o ipertoniche,

come il destrosio al 5 % o al 50 %, rispettivamente, attraverso un comune set da infusione, oppure loro inserimento direttamente nella sacca di sangue;

f) inadeguata deglicerolizzazione degli eritrociti scongelati; g) trasfusione di eritrociti vecchi.

Un’accurata storia clinica, l’esame obiettivo e un attenta valutazione di laboratorio sono necessari per escludere un’emolisi immuno-mediata. In particolare, l’emolisi imputabile a cause non immunologiche può dare emoglobinemia in assenza di un TCD positivo e va presa in considerazione ogni qualvolta si verifica un’emoglobinemia senza una chiara eziologia immunologica. 3.3.3 CONTAMINAZIONE BATTERICA La contaminazione batterica degli emocomponenti è verosimilmente sottostimata e presenta un’incidenza che, a seconda delle varie casistiche, va dallo 0,002 % all’1 % per i CE e dallo 0,04 % all’1 – 2 % per i CP, a seconda che derivino da aferesi o da donazione random. Va comunque tenuto presente che l’isolamento in coltura di un germe non presuppone necessariamente che l’emocomponente trasfuso sia in grado di causare una sintomatologia clinica nel paziente. La morbilità legata a queste contaminazioni è sicuramente sottostimata, mentre la mortalità è in rapporto allo stato clinico del paziente e alla virulenza e carica dei microrganismi presenti nei prodotti ematici trasfusi. I microrganismi più frequentemente responsabili delle contaminazioni dei prodotti ematici sono batteri Gram-positivi (Stafilococchi, Streptococchi, Difteroidi) e, nel 15

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 30 di 55

– 20 % dei casi, Gram-negativi (Pseudomonas sp., Enterobacteriacee, Yersinia enterocolitica, Serratia sp.). Sebbene al momento della contaminazione degli emocomponenti la carica microbica sia il più delle volte molto bassa (? 10 Colony Forming Unit, CFU, /mL), con la conservazione (fino a 42 giorni a 1 – 6 °C per gli Eritrociti fino a 5 giorni a temperatura ambiente per le piastrine) alcune specie microbiche possono proliferare fino a raggiungere livelli pari a 109 CFU/mL. Le manifestazioni cliniche osservate dopo una trasfusione di prodotti ematici contaminati variano in rapporto al tipo di microrganismo. RTs meno severe sono osservate se i microrganismi contaminanti sono Gram-positivi, mentre, in presenza di Gram-negativi, le reazioni cliniche sono certamente severe (endotossiemia ? brividi, febbre alta, ipotensione, shock, CID). Tali complicanze sono frequentemente indistinguibili da quelle dovute ad una reazione emolitica trasfusionale di grave entità. La sintomatologia appare, di norma, assai rapidamente dopo l’inizio della trasfusione, ma può ritardare di alcune ore. Quando si sospetta una contaminazione batterica, la trasfusione deve essere interrotta immediatamente e l’unità sottoposta ad esame colturale per i microrganismi aerobi e anaerobi, a 4 °C, a temperatura ambiente e a temperatura corporea. E’ importante escludere una reazione trasfusionale emolitica (assenza di emoglobinuria e di emoglobinemia, ripetizione delle prove crociate di compatibilità). La terapia deve essere iniziata il prima possibile, prima ancora dell’identificazione del germe responsabile con sospensione dell’emoterapia (se è ancora in corso), plasma-expander, steroidi, farmaci vasopressori (noradrenalina), antibiotici ad ampio spettro. Spesso si rende necessario il trasferimento del paziente in un reparto di Terapia Intensiva. Gli interventi di prevenzione presuppongono la conoscenza che i prodotti ematici possono venire contaminati da :

- batteri presenti sulla pelle del donatore al momento del prelievo (di solito Stafilococchi cutanei);

- una batteriemia presenta nel sangue del donatore al momento del prelievo (per

esempio, Yersinia enterocolitica);

- trattamento improprio nella preparazione degli emocomponenti;

- difetti o danneggiamenti nelle sacche di plastica; - scongelamento del PFC e del crioprecipitato in bagno-maria, spesso contaminati.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 31 di 55

3.3.4 REAZIONI ALLERGICHE Le reazioni allergiche ai prodotti ematici, usualmente in forma di rush cutaneo, prurito e/o orticaria (reazioni orticarioidi), costituiscono probabilmente il tipo di RT più comune, manifestandosi nell’1 –3 % delle trasfusioni. Reazioni allergiche generalizzate con broncospasmo grave ed edema delle vie respiratorie si presentano con una frequenza di 1 – 2 casi su 1.000, e lo shock anafilattico in 1 – 2 casi su 50.000 trasfusioni.

Le reazioni allergiche sono determinate dalla liberazione di anafilotossine dalle mastcellule e dai basofili mediata da IgE e sono la conseguenza della esposizione del ricevente a sostanze estranee presenti nel prodotto ematico verso le quali è sensibilizzato. Generalmente, non è identificato uno specifico allergene. Studi pubblicati nella letteratura medica suggeriscono che le cause di reazioni allergiche includono proteine polimorfiche presenti nel plasma del donatore, cibo (ad esempio, noci, pomodori, ecc.), o farmaci (ad esempio, penicillina) che il donatore potrebbe aver assunto subito prima della raccolta del prodotto ematico implicato. Alcune reazioni generalizzate sono definite anafilattoidi, perché mimano le reazioni di tipo anafilattico, ma non sono mediate da IgE; sono indicate anche come “reazioni generalizzate immediate” (IGR). Reazioni orticarioidi - Se l’unica manifestazione è l’orticaria localizzata, di solito non è necessario interrompere la trasfusione. L’infusione può essere rallentata o interrotta mentre si somministra un antistaminico per os o per via parenterale. Dopo la scomparsa dei sintomi, si può riprendere la trasfusione lentamente. I pazienti che presentano una storia di reazioni orticarioidi dovrebbero essere premedicati con antistaminici prima del trattamento. La trasfusione di emazie lavate o scongelate, e di piastrine lavate, serve a prevenire la comparsa di reazioni orticarioidi, ma ciò è raramente necessario, a meno che il paziente non abbia gravi e/o ripetute reazioni. Le reazioni orticarioidi che si accompagnano ad instabilità cardiovascolare devono essere trattate come precedentemente descritto per le reazioni anafilattiche, e non come semplici reazioni di ipersensibilità cutanea. Reazioni generalizzate (anafilassi, IGR) – Si tratta di complicazioni rare della trasfusione di emocomponenti e di plasmaderivati. Il rischio di una sua comparsa è aumentato da una infusione rapida, classicamente quando PFC viene utilizzato come liquido di scambio nei plasma-exchanges. La presenza di citochine nel plasma potrebbe essere una delle cause di broncospasmo e di vasocostrizione in alcuni pazienti. La deficienza congenita di IgA nel ricevente è una rara causa di reazione anafilattica grave. Questa può essere causata da qualsiasi emocomponente, in quanto la maggior parte di essi contiene tracce di IgA.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 32 di 55

Queste reazioni intervengono entro pochi minuti dall’inizio della trasfusione e sono caratterizzate da : collasso cardiocircolatorio; dispnea acuta; assenza di febbre. 3.3.5 REAZIONI TRASFUSIONALI FEBBRILI NON EMOLITICHE

(RTFnE) Le RTFnE sono definite come un aumento della temperatura corporea ? 1 °C accompagnato da brividi, sensazione di freddo e malessere, che compare in associazione con una trasfusione di emocomponenti ed apparentemente non attribuibile ad altra causa; è la più comune RT ed ha una frequenza stimata dell’1 % delle trasfusioni di CE, fino ad arrivare al 20 – 30 % delle trasfusioni di CP. I pazienti politrasfusi e le donne multipare sono particolarmente esposti al rischio di tali reazioni. Le RTFnE generalmente si sviluppano quando la maggior parte o tutto l’emocomponente è stato trasfuso. A volte , l’aumento della temperatura può essere marcato (avvicinandosi ai 40 °C) e si possono associare brividi scuotenti, “flushing”, nausea, vomito, ipotensione. Le RTFnE sono reazioni immunologicamente mediate che coinvolgono anticorpi anti-leucocitari presenti nel plasma del ricevente (stimolati da precedenti trasfusioni o gravidanze) e antigeni leucocitari del donatore, con conseguente liberazione di pirogeni endogeni da parte dei leucociti del ricevente. Anche le citochine rilasciate durante la conservazione degli emocomponenti (CP) sono implicate in queste reazioni. La febbre è associata a molti tipi di reazioni trasfusionali e può costituire il primo indizio di una RT emolitica acuta o della somministrazione di un emocomponente contaminato da batteri. Per quanto detto, la trasfusione dovrebbe essere immediatamente interrotta e la causa della reazione indagata quando si presenta un aumento della temperatura ? 1 °C non giustificato da eventi morbosi concomitanti del paziente. La diagnosi di RTFnE è generalmente una diagnosi di esclusione. Pur non ponendo il paziente in pericolo di vita, una RTFnE può essere causa di disagio e malessere del paziente. Esistono pareri discordi sull’opportunità di riprendere la trasfusione allorquando non si manifesti nessun altro segno di reazione e non ci siano indicazioni di RT emolitiche acute o di contaminazione batterica. La febbre tipicamente risponde agli antipiretici, quali l’aspirina o il paracetamolo (10 mg/Kg per via orale o rettale). L’aspirina, comunque, interferisce con la funzione piastrinica e non deve essere somministrata a pazienti trombocitopenici o con un disordine della funzionalità piastrinica. In assenza di segni riferibili ad una reazione allergica, gli antistaminici sono controindicati per il loro effetto sedativo. La meperidina sottocute o endovena controlla rapidamente i brividi squassanti che talvolta accompagnano le RTFnE.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 33 di 55

La premedicazione usuale per prevenire le RTFnE consiste nella somministrazione di antipiretici o di emocomponenti leucodepleti. Dato che solo 1 paziente su 8 che abbia manifestato una tale reazione va incontro alla medesima con le trasfusioni successive, le misure preventive devono essere riservate ai pazienti che abbiano avuto 2 o più reazioni di questo tipo. In caso di trasfusioni piastriniche o granulocitarie può essere utile associare agli antipiretici 4 mg di betametasone in corso di premedicazione. 3.3.6 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA CORRELATA A

TRASFUSIONE (Transfusion-Related Acute Lung Injury, TRALI) Questa reazione potenzialmente letale è caratterizzata da un grave edema polmonare bilaterale non cardiogeno (infiltrati alveolari bilaterali alla radiografia del torace), ipossiemia ( pO2 40 – 50 ), tachicardia, febbre e ipotensione che si sviluppano entro 1 – 6 ore dall’inizio della trasfusione di qualunque prodotto ematico contenente plasma (sangue intero, CE, CP, PFC, crioprecipitato), anche se la maggior parte delle reazioni è associata alla somministrazione di CE o PFC. L’incidenza riportata di TRALI è pari allo 0,02 %, con una percentuale di mortalità valutata approssimativamente intorno al 5 % dei casi. E’ causata, generalmente, da anticorpi presenti nel plasma del donatore e diretti contro antigeni leucocitari (HLA o granulocito-specifici) del ricevente. L’attivazione complementare che ne consegue e l’aggregazione leucocitaria da essa indotta (C5a) determinano leucostasi polmonare con conseguente occlusione microvascolare e infiltrazione capillare. Pur essendo determinata nella maggior parte dei casi dall’infusione passiva di anticorpi anti-leucocitari con gli emocomponenti contenenti plasma, è possibile che siano coinvolti anche anticorpi anti-leucocitari preformati del ricevente ad alto titolo, i quali reagirebbero con i leucociti presenti negli emocomponenti trasfusi (principalmente concentrati granulocitari, ma anche CE e CP). Non esiste terapia specifica. Il trattamento include un pronto supporto respiratorio (spesso con intubazione, ventilazione e ossigenoterapia), l’uso di diuretici (furosemide) e corticosteroidi, e un supporto cardiocircolatorio con farmaci inotropi. Il trattamento appropriato risolve la sintomatologia in 2-4 giorni. Se si sospetta un TRALI, deve essere indagata la storia del donatore. Molti studi confermano la presenza di anticorpi HLA- o neutrofilo-specifici nel siero del 90 % dei donatori implicati in tali reazioni; molti di questi donatori sono donne multipare. Sebbene tale reazione sia rara, bisogna immediatamente avvertire il Servizio Trasfusionale, in modo da bloccare l’utilizzazione di emocomponenti provenienti dallo stesso donatore. I donatori con leucoagglutinine nel siero devono essere utilizzati solo per la preparazione di unità di emazie lavate o congelate. Nessuna precauzione è richiesta per future trasfusioni allo stesso ricevente.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 34 di 55

Il ruolo svolto dal trasferimento passivo di citochine infiammatorie, accumulatesi durante la conservazione degli emocomponenti, nella patogenesi del TRALI non è ancora chiarito definitivamente. Tuttavia, poiché la causa primaria di TRALI sembra essere l’infusione di anticorpi anti-leucocitari del donatore, la leucoriduzione non è indicata nella prevenzione di tale reazione trasfusionale. 3.3.7 SOVRACCARICO CIRCOLATORIO Il sovraccarico circolatorio (ipervolemia) può verificarsi in seguito alla trasfusione di grandi quantità di sangue o alla somministrazione troppo rapida di emocomponenti per le capacità di adattamento circolatorio di un particolare paziente. I sintomi precoci (che si presentano durante o subito dopo il completamento della trasfusione) includono agitazione, tachipnea, tosse e tachicardia con successivo sviluppo di scompenso cardiaco ed edema polmonare acuto (dispnea, cianosi). I pazienti con preesistente compromissione cardiaca, polmonare o renale, e/o con anemia cronica grave, i neonati e gli anziani, sono a maggior rischio per questa complicanza trasfusionale. Se si presentano i sintomi e i segni del sovraccarico circolatorio, la trasfusione deve essere immediatamente interrotta, il paziente posto in posizione rialzata o seduta e iniziata la somministrazione di ossigeno e diuretici. Possono essere necessari l’intubazione, la ventilazione e il supporto cardiocircolatorio (vasodilatatori e inotropi). Se la sintomatologia non migliora, può essere necessario il salasso. Per prevenire questa complicanza trasfusionale nei pazienti a rischio, la velocità di infusione deve essere molto ridotta (come linea generale, la velocità dell’infusione non dovrebbe superare i 2-4 mL/Kg/ora e dovrebbe essere limitata a circa 1 mL/Kg/ora nei pazienti maggiormente a rischio). Non dovrebbe mai essere trasfuso sangue intero, bensì CE e in piccoli volumi (potrebbe essere necessario suddividere l’unità in aliquote, in modo che una parte può essere conservata a 1-6 °C e la parte rimanente viene somministrata lentamente). Se è richiesta l’infusione di CP, questi devono essere concentrati prima dell’utilizzo rimuovendo così il plasma sopranatante.

Nei pazienti a rischio si possono somministrare diuretici in via profilattica. Nei neonati è stata utilizzata anche una procedura di scambio per reintegrare i componenti ematici senza modificare il volume circolatorio.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 35 di 55

3.3.8 RICONOSCIMENTO DELLE RTs ACUTE Quando si verifica una RT acuta, può essere difficile individuarne prontamente il tipo e la gravità, dato che, come già riferito, i segni e i sintomi iniziali spesso non sono né specifici né patognomonici ed i test di laboratorio non sempre rapidamente eseguibili e disponibili. Le reazioni allergiche orticarioidi sono facilmente riconoscibili, dato che l’unico sintomo è l’orticaria. Il riconoscimento di altre reazioni trasfusionali acute è più difficoltoso; tuttavia, può essere d’ausilio il seguente schema:

1) non appena compare la reazione, deve essere eseguito un immediato controllo dei dati del paziente e del prodotto utilizzato in modo da evidenziare eventuali errori responsabili di una emolisi immunomediata;

2) valutare in quale fase dell’infusione è comparsa la reazione. Le reazioni

anafilattiche e quelle causate da contaminazione batterica si verificano, in genere, dopo l’infusione di 10–15 mL di prodotto. Sebbene anche le reazioni emolitiche si verifichino spesso precocemente durante l’infusione, generalmente sono necessari 50-100 mL di sangue per causare una reazione sintomatica. Al contrario, i sintomi dovuti a reazione trasfusionale febbrile compaiono generalmente al termine della trasfusione o, comunque, più tardivamente rispetto ai precedenti casi;

3) l’emolisi può essere confermata o esclusa eseguendo i seguenti test di

laboratorio su un campione prelevato al termine della trasfusione: test di Coombs diretto, visualizzazione della presenza di emoglobina libera nel plasma, controllo di eventuali errori relativi alle procedure di preparazione. Se questi tre test sono negativi, la diagnosi di reazione emolitica è improbabile.

Non vi sono sistemi rapidi per differenziare una sepsi batterica da una reazione emolitica; in ogni modo, i sintomi associati a sepsi batterica sono usualmente più precoci e più gravi di quelli osservabili durante l’emolisi o durante la semplice reazione febbrile trasfusionale. La presenza o l’assenza di febbre può essere utile nel differenziare la causa della reazione trasfusionale. Ad esempio, la reazione anafilattica si caratterizza per l’assenza di febbre. Nello schema seguente è riportato il modello decisionale per riconoscere rapidamente la possibile causa della reazione trasfusionale basandosi sulla presenza o assenza di febbre e sul volume di sangue trasfuso.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 36 di 55

FEBBRE ? ?

Si No Qual è il volume di Insufficienza respiratoria acuta TRALI Sangue trasfuso ? Reazione emolitica acuta (25 %) Emolisi non immune ? 15 mL ? 50 mL Reazioni allergiche Sovraccarico circolatorio Contaminazione batterica Reazione emolitica acuta (75 %) Reazione febbrile non emolitica Insufficienza respiratoria acuta (reazione da leucoagglutinine; TRALI) 4) REAZIONI TRASFUSIONALE RITARDATE 4.1 REAZIONI TRASFUSIONALI EMOLITICHE RITARDATE Le RTs emolitiche ritardate sono causate da anticorpi rivolti verso antigeni eritrocitari appartenenti ai sistemi Rh (E), Kidd (Jka), Kell, Duffy, MNSs, che non attivano completamente la sequenza complementare ma provocano un’emolisi extravascolare delle emazie sensibilizzate a livello del sistema reticolo-endoteliale senza liberazione di sostanze vasoattive. Gli eritrociti trasfusi possono sopravvivere inizialmente, ma dopo alcuni giorni o settimane vanno incontro ad emolisi. Queste reazioni costituiscono una risposta anamnestica (secondaria) di un anticorpo non rilevabile dai test di compatibilità pre-trasfusionali (ad esempio, anticorpi anti-Jka). In questi casi di emolisi extravascolare si ottiene un TCD positivo ed un aumento di LDH e bilirubina indiretta nel siero, ma differentemente da quanto avviene nelle reazioni emolitiche acute intravascolari questi pazienti sono di norma pauci- o asintomatici a causa della mancata attivazione completa del sistema complementare. I segni clinici più frequenti sono la febbre, la caduta inspiegabile dei valori di emoglobina del paziente ( o la non efficacia terapeutica attesa dalla trasfusione di un CE) ed un ittero lieve (con aumento della bilirubina indiretta), in assenza di sintomatologia clinica di rilievo. Occasionalmente si può avere emoglobinuria. L’insufficienza renale acuta è una complicanza rara, mentre la CID è del tutto eccezionale.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 37 di 55

Di norma, non è richiesto alcun trattamento, sebbene il paziente possa richiedere in seguito ulteriori trasfusioni di CE; in tali casi va comunque monitorata la diuresi e la funzione renale del paziente. Se compaiono ipotensione e insufficienza renale si deve intervenire come nelle forme di emolisi intravascolare acuta. Il TCD si negativizza,quando le emazie incompatibili vengono eliminate dalla circolazione. Spesso è il SIMT che pone la diagnosi di RT emolitica ritardata, grazie ai risultati sierologici di pazienti che peraltro non presentano alcuna sintomatologia. Infatti, in occasione di ulteriori richieste di trasfusioni, il nuovo campione di sangue inviato può presentare una positività al TCD; inoltre, la ricerca di anticorpi irregolari nel siero può dare esito positivo, come pure le prove di compatibilità. In relazione a cio’ che e’stato sopra descritto va sottolineato che il campione di sangue venoso raccolto ed usato per le prove di compatibilità non dovra’ essere antecedente a 72 ore alla successiva esecuzione della trasfusione, allo scopo di rilevare la formazione di eventuali anticorpi, i quali potrebbero causare emolisi in vivo. La prevenzione si basa su un accurato screening degli anticorpi anti-eritrocitari nel plasma del paziente (non sempre rilevabili, vedi anti-Jka) e sulla selezione di CE compatibili con tali anticorpi. 4.2 PORPORA POST-TRASFUSIONALE (PPT) La porpora post-trasfusionale è caratterizzata dalla comparsa improvvisa di una grave piastrinopenia (potenzialmente fatale) in pazienti sensibilizzati da precedenti trasfusioni o gravidanze alcuni giorni dopo una trasfusione di emocomponenti (in genere CE). E’ causata da anticorpi diretti verso antigeni piastrino-specifici (nell’85 % dei casi l’HPA-1°) del donatore che coinvolgono anche le piastrine del ricevente. Non si conoscono ancora i precisi meccanismi patogenetici di questa singolare RT. La sintomatologia è caratterizzata da : segni di sanguinamento, piastrinopenia grave acuta che compare 5 – 10 giorni dopo la trasfusione con conte piastrinche inferiori a 100.000/? L (spesso ? 10.000/? L). Il paziente in genere recupera spontaneamente; il trattamento e’ necessario quando la conta piastrinica è inferiore a 50.000/? L, ricordando il pericolo di sanguinamento occulto con conte di 20.000/? L. L’impiego delle Ig per via endovenosa (IVIG) ad alte dosi (0,4 – 2 g/Kg/die per 5 giorni) ed il plasma-exchange sono i presidi terapeutici che hanno consentito di ridurre al 10 % dei casi l’alta mortalità osservata in passato in questi pazienti. Può essere utile anche la somministrazione di steroidi ad alte dosi. Inoltre, si consiglia di monitorare la conta piastrinica e di infondere CP (ove possibile e necessario) privi dell’antigene piastrino-specifico verso il quale sono diretti gli anticorpi presenti nel ricevente. La trasfusione di piastrine non compatibili è di solito inefficace. La conta piastrinica si normalizza, usualmente, entro 2 – 4 settimane.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 38 di 55

4.3 GRAFT VERSUS HOST DISEASE TRASFUSIONE-ASSOCIATA (GvHD-TA)

Si tratta di una rara complicanza associata alla trasfusione, il più delle volte (>90%) fatale. Si sviluppa quando i linfociti di un donatore immunocompetente sono trasfusi ad un ricevente HLA-incompatibile che è immunologicamente incapace di eliminare le cellule del donatore. Tra i pazienti immunocompromessi a rischio di GvHD-TA sono inclusi individui con immunodeficienze congenite dell’immunità cellulo-mediata, malattia di Hodgkin e/o sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche. Anche pazienti immunocompetenti ma trasfusi con prodotti ematici provenienti da donatori HLA-compatibili o parenti biologici di I° o II° grado (consanguinei) possono sviluppare una GvHD-TA. Le complesse interazioni cellulari che determinano l’attivazione e le lesioni immunopatologiche della GvHD sono state ricostruite secondo un processo che prevede una fase afferente ed una efferente. La fase afferente comprende le presentazione dell’antigene, secondo la regola della restrizione HLA, ai linfociti CD4+ o CD8+ del donatore che si attivano contro gli antigeni HLA e contro antigeni minori di istocompatibilità dell’ospite. Nella fase efferente, avviene l’attacco da parte dei linfociti T citotossici (LTC) del donatore ai tessuti dell’ospite ma, secondo recenti studi, alle lesioni immunopatologiche contribuiscono in modo determinante alcune citochine secrete dalle cellule attivate. Tali eventi possono essere condizionati da processi infiammatori che, mediante la produzione di citochine e l’aumento dell’ espressione degli antigeni HLA o minori dell’ istocompatibilità, potenziano l’immunogenicita’ dei tessuti del ricevente (radiazioni, chemioterapia, infezioni, ecc.). Come accennato, le citochine hanno un ruolo importante nella patogenesi della GvHD-TA, sia per la capacità di attivare le cellule linfocitarie e monocito-macrofagiche, sia per il loro effetto citopatico diretto su diversi tessuti. La sintomatologia è caratterizzata da febbre, rush cutaneo con desquamazione e/o maculopapulare, diarrea, epatite, pancitopenia e si manifesta generalmente entro 8 – 10 giorni dopo la trasfusione; la morte sopraggiunge usualmente dopo 3 – 4 settimane nell’80 – 90 % dei casi. La terapia della GvHD-TA risulta ad oggi molto problematica. I trattamenti con steroidi e/o ciclosporina sembrano essere inefficaci. Negli ultimi anni, numerosi casi di GvHD-TA sono stati trattati, soprattutto da ricercatori giapponesi, con l’inibitore delle serin-proteasi (Nafamostat mesilato), con buoni risultati immediati: regressione della febbre, del rash cutaneo, della pancitopenia e delle lesioni epatiche. La sostanza è in grado di inibire la citolisi da parte dei LTC mediante l’azione dei granzimi. Sono stati osservati, d’altra parte, effetti collaterali seri (eg; iperpotassiemia) che in qualche caso impongono la sospensione del farmaco con conseguente ricomparsa della malattia. I prodotti implicati in casi di GvHD-TA

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 39 di 55

includono il sangue intero, le emazie concentrate, le piastrine, i granulociti ed il plasma fresco non congelato. Le emazie congelate/deglicerolizzate, il plasma fresco congelato e il crioprecipitato non sono mai stati implicati in casi di GvHD-TA . Dato che la dose assoluta di linfociti sufficiente a scatenare una GvHD-TA in un ricevente suscettibile non è nota e che la complicanza è stata descritta anche con l’uso di emocomponenti leucodepleti, l’irradiazione dei prodotti ematici con raggi ? è, a tutt’oggi, l’unico metodo diffusamente accettato per prevenire tale complicanza (la leucodeplezione non si è rivelata efficace). L’irradiazione delle unità di prodotti ematici da trasfondere è finalizzata all’inattivazione dei linfociti T, senza compromettere la funzionalità dei globuli rossi e delle piastrine. La rarità della GvHD-TA e la scarsità di esperienze pubblicate rendono difficile la definizione dei gruppi a rischio per questa complicanza. Tuttavia, la crescente consapevolezza di tale temibile complicanza ed il crescente numero di pazienti in stato d’immunosoppressione per radioterapia e/o chemioterapia, impongono di rivedere le condizioni cliniche in cui l’irradiazione dei prodotti ematici dovrebbe essere presa in considerazione per prevenire la GvHD-TA(tabella 2). 5) Tabella 2 . Indicazioni per prodotti ematici irradiati. INDICAZIONI GENERALMENTE ACCETTATE 1. Riceventi di trapianto di cellule staminali emopoietiche ? trapianto allogenico: da 2 settimane prima e per un periodo di tempo indefinito ? trapianto autologo: da 2 settimane prima e fino a 6 mesi dopo 2. Pazienti con sindrome di immunodeficienza cellulare congenita (sindrome di Wiskott-Aldrich,

immunodeficienza combinata severa, ipoplasia timica) 3. Riceventi di trasfusioni intrauterine 4. Neonati prematuri (peso alla nascita inferiore a 1.200 g) 5. Riceventi di exsanguino-trasfusioni neonatali 6. Riceventi di trasfusioni granulocitarie 7. Pazienti con malattia di Hodgkin e linfomi non-Hodgkin (specie se ricevono chemioterapia da sola o

associata a radioterapia) 8. Pazienti con tumori solidi quali: neuroblastoma, glioblastoma, rabdomiosarcoma 9.Pazienti che ricevono componenti ematici HLA-compatibili o da parenti biologici di I° e II° grado INDICAZIONI IN FASE DI RIVALUTAZIONE 1) Pazienti con leucemie acute 2) Neonati a termine che necessitano di ossigenatori a membrana extracorporea 3) Riceventi di trapianti d’organo 4) Pazienti che ricevono piastrine compatibili al “crossmatch” INDICAZIONI NON STABILITE a) Pazienti con AIDS o infezione da HIV b) Pazienti sottoposti a chemioterapia c) Pazienti con anemia aplastica non sottoposti ad immunosoppressione farmacologica d) Neonati a termine senza altri fattori di rischio

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 40 di 55

6) SOVRACCARICO MARZIALE Ciascuna unità di eritrociti contiene approssimativamente 250 mg di ferro. Non esistendo meccanismi fisiologici atti ad eliminare l’eccesso di ferro, i pazienti che sono trasfusione dipendenti possono, a lungo termine, accumulare il ferro e presentare emosiderosi. I segni clinici di tossicità, spesso, diventano evidenti quando il ferro corporeo totale raggiunge i 400 - 1.000 mg/Kg di peso corporeo, e livelli superiori sono potenzialmente letali. Una volta saturati i siti di deposito di ferro del sistema reticoloendoteliale, aumenta l’accumulo di ferro nei parenchimi e si instaura il danno tessutale. I bersagli primari dell’emosiderosi sono il fegato, il pancreas ed altri organi endocrini, e il cuore. L’epatotossicità, inizialmente rappresentata da una fibrosi e in seguito da una cirrosi, è la manifestazione precoce più comune dell’emosiderosi trasfusionale.

La tossicità cardiaca, che causa cardiomiopatia e aritmie, risulta essere la causa più frequente di morte nei pazienti in trattamento trasfusionale cronico. Per quanto riguarda il trattamento e la prevenzione, agenti ferro-chelanti quali la desferrioxamina (DFO) vengono largamente usati per minimizzare l’accumulo di ferro nei pazienti che necessitano di supporto trasfusionale a lungo termine. La DFO viene di regola somministrata per via sottocutanea in infusione lenta (nell’arco di 8-10 ore), solitamente durante le ore della notte, mediante una piccola pompa elettronica. La posologia quotidiana di DFO oscilla tra i 20 e i 60 mg/Kg, tenendo conto della sideruria, dell’entità dei depositi di ferro e della quantità di sangue che il paziente riceve con le trasfusioni. Recentemente è stata proposta la somministrazione della DFO per via sottocutanea alla dose di 30 mg/Kg suddivisa in due somministrazioni giornaliere; i risultati sembrano promettenti, ma necessitano di ulteriore valutazione. Nei casi di emosiderosi particolarmente severa, è consigliabile somministrare dosaggi più elevati (fino a 125 mg/Kg/die) utilizzando l’infusione lenta (almeno 6 ore) per via endovenosa. La somministrazione di vitamina C incrementa l’efficacia della DFO anche se vi è il sospetto che aumenti la tossicità parenchimale del ferro. Per tale motivo è opportuno somministrarne una piccola dose (5 mg/Kg/die, durante l’infusione di DFO, senza superare i 200 mg/die) ed iniziare tale terapia solo dopo l’esecuzione di un consistente periodo di terapia chelante. I fattori condizionanti il successo del trattamento ferrochelante sono l’impiego precoce della DFO in una quantità proporzionale al carico di ferro trasfusionale ed il mantenimento della concentrazione sierica di ferritina a livelli inferiori a 2.500 ? g/L (meglio ancora se inferiori a 1.000 ? g/L). Recentemente, è stato autorizzato l’impiego di un ferro-chelante orale, il deferiprone o L1, per il trattamento dell’accumulo di ferro nei pazienti affetti da

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 41 di 55

talassemia per i quali la terapia con DFO è controindicata o induce tossicità inaccettabile. L’efficacia e la sicurezza di questo farmaco sono state valutate da protocolli clinici condotti in quattro diversi centri.

Nei pazienti con talassemia sono state osservate riduzioni delle concentrazioni sieriche di ferritina e, più recentemente, dei depositi epatici e cardiaci di ferro, dopo trattamento prolungato con L1 alla dose di 75 mg/Kg/die. Il trattamento con L1 è meno tossico rispetto alle somministrazioni sottocutanee di DFO. Le complicanze più gravi associate all’assunzione di questo farmaco sono state episodi acuti di neutropenia reversibile o di agranulocitosi; il riscontro di tali complicanze impone un controllo settimanale del numero dei granulociti neutrofili dei pazienti trattati.

In relazione a cio’ che e’ stato detto, la terapia con L1 non deve essere iniziata nei pazienti HIV positivi o in altri pazienti immunocompromessi, ma fanno eccezione i casi in cui vantaggi potenziali superino i rischi potenziali. Nel caso di aumento persistente della alanina aminotransferasi sierica (ALT), è necessario considerare l’eventuale sospensione della terapia con L1, specie nei soggetti affetti da epatite C. Infine, l’interruzione della terapia dovrà essere valutata se i valori della ferritina sierica scendono al di sotto di 500 ? g/L. 7) MALATTIE INFETTIVE TRASMESSE CON LA TRASFUSIONE Sebbene nei paesi più sviluppati siano operativi programmi di screening infettivologico del sangue donato, il problema della trasmissione di infezioni tramite emocomponenti o altri tessuti e organi rimane importante. Alcuni agenti virali, batterici, protozoari e gli stessi prioni possono essere trasmessi mediante trasfusione; la trasmissione di infezioni fungine non è stata riportata, e la frequenza di tale trasmissione non è quantificabile. La prevenzione delle infezioni dipende da: utilizzo di donatori a basso rischio (volontari, periodici, associati; evitare le cosiddette donazioni “dedicate” e di “reintegro” ); adeguata sensibilizzazione e informazione del candidato donatore; raccolta accurata della storia clinica del donatore; possibilità per il donatore di richiedere al personale medico della struttura trasfusionale o di raccolta di non utilizzare la propria donazione, tramite una procedura riservata di autoesclusione; attendibilità della ricerca di marcatori sierologici di infezione nel donatore; uso razionale e giudizioso del sangue ed emocomponenti per ridurre l’esposizione al sangue omologo; procedure autotrasfusionali e misure farmacologiche per ridurre il sanguinamento; emovigilanza del paziente trasfuso, sia per finalità epidemiologiche che per identificare i donatori pericolosi (immunosilenti, ma infettanti); procedure di prelievo, stoccaggio e conservazione che devono minimizzare il rischio di contaminazioni esterne; tecniche di inattivazione virale (per plasma, plasmaderivati ed emocomponenti corpuscolati).

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 42 di 55

Con la trasfusione di sangue ed emocomponenti si possono trasmettere le seguenti malattie infettive:

1) infezione da HIV - 1/2 (circa 1/450.000 – 1/660.000 unità trasfuse; nel 1997 sono state ottenute in Europa stime ancora più basse ? 1/2.323.778) ;

2) infezione da HTLV - I/II ; 3) epatite B (1/ 63.000 unità trasfuse), C (1/100.000 unità trasfuse), D, G ; 4) sifilide ; 5) malattia di Chagas (da Tripanosoma cruzi) ; 6) malaria ; 7) infezione da citomegalovirus (CMV) ; 8) altre rare malattie trasmissibili, quali le infezioni da Parvovirus B19, da virus di

Epstein-Barr, brucellosi, toxoplasmosi, mononucleosi e malattia di Lyme ; 9) prioni.

Poiché questo tipo di complicazione trasfusionale può comparire dopo giorni, settimane o anche mesi dalla trasfusione, la sua relazione con l’emoterapia può facilmente essere misconosciuta. Risulta, quindi, essenziale registrare accuratamente tutte le trasfusioni nella cartella clinica del paziente, perché vengano prese in considerazione nella diagnosi differenziale. 8) IMMUNOMODULAZIONE Negli ultimi due decenni si sono accumulate numerose evidenze che indicano come la trasfusione di sangue allogenico possa associarsi a fenomeni di immunomodulazione nel ricevente. In rapporto alle diverse categorie di pazienti, l’effetto immunomodulante può essere benefico o dannoso ( tabella 3). 8.1 Tabella 3 . Possibili effetti clinici determinati dalla immunomodulazione ____________________________________________________________ 1 – Effetti sfavorevoli Aumento di ricadute di neoplasie maligne Aumento dell’incidenza di infezioni batteriche postoperatorie 2 – Effetti benefici Aumentata sopravvivenza del rene trapiantato Minor incidenza di aborti spontanei ricorrenti Minori ricadute in corso di malattia di Crohn Effetto immunoterapico nella leucemia mieloide cronica che riduce l’incidenza di ricadute dopo trapianto di midollo ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ?

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 43 di 55

Si è ipotizzato che l’immunomodulazione associata alla trasfusione possa interferire negativamente sull’intero decorso e sui risultati clinici finali, tramite una depressione dell’immunocompetenza di pazienti sottoposti a trattamento chirurgico per neoplasie maligne, la quale sarebbe responsabile del mancato controllo o eradicazione della neoplasia residua. Inoltre, numerose osservazioni hanno correlato l’ effetto immunomodulante ad un aumento delle infezioni batteriche postoperatorie dopo interventi di chirurgia addominale, ortopedica o cardiaca (a cuore aperto). Tuttavia, non ci sono prove assolute che tali effetti sfavorevoli siano realmente associati alla trasfusione. Al contrario, è stato chiaramente evidenziato che l’immunomodulazione può avere conseguenze benefiche in alcune, selezionate, categorie di pazienti: più lunga sopravvivenza dell’innesto in trapiantati renali; minor incidenza del fenomeno in donne affette da aborti spontanei ricorrenti e, forse, ridotta possibilità di ricadute in pazienti colpiti da morbo di Crohn. Benché l’intimo meccanismo dell’effetto immunomodulante della trasfusione di emocomponenti allogenici resti ancora oscuro, si ammette, generalmente, che tale fenomeno biologico sia mediato dai leucociti presenti nell’emocomponente cellulare trasfuso. 9) Trasfusione massiva Si parla di trasfusione massiva (TM) quando vengono trasfuse, in un intervallo di 24 ore, quantità di sangue pari o superiori alla volemia totale del paziente (la volemia è pari a 70 mL/Kg negli adulti e a 80 - 90 mL/Kg nei bambini e negli infanti). Nei pazienti che necessitano di TM, sia la morbilità che la mortalità sono alte, non tanto in relazione al largo uso di sangue o emocomponenti, quanto per i traumi iniziali o i danni provocati in organi e tessuti dalle emorragie e dall’ipovolemia. Spesso, è la malattia di base o sono le conseguenze di una grave emorragia, piuttosto che la trasfusione in sé, a provocare complicazioni. Tuttavia, il somministrare grandi quantitativi di sangue, emocomponenti o liquidi per via endovenosa può dar luogo a una serie di complicazioni elencate nella tabella 4. Queste sono innanzitutto di ordine metabolico e comunque in rapporto alle modificazioni ematiche indotte dalla somministrazione di diverse unità di sangue, ma possono anche avere genesi immunologica. 9.1 Tabella 4 . Possibili complicanze della trasfusione massiva ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? Coagulopatia (diluizione e diminuzione di piastrine, fibrinogeno e fattori della coagulazione) Alterazioni della funzione emoglobinica Sbilancio elettrolitico (tossicità da citrato) Alterazione dell’equilibrio acido-base

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 44 di 55

Ipotermia Microembolizzazione Tossicità da materiali plastici infusi Infusione di sostanze vasoattive Infusione di proteine denaturate Alterata elasticità degli eritrociti Incompatibilità interdonatore GvHD Trasmissione di agenti patogeni ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? In ogni caso, la somministrazione di notevoli quantità di sangue in breve tempo pone notevoli problemi al SIMT, sia dal punto di vista organizzativo (per la non facile reperibilità di tante unità compatibili) sia per la prevenzione delle complicanze. Coagulopatia ? I CE e i CP non possiedono fattori della coagulazione attivi, a causa del loro basso contenuto di plasma e della loro modalità di conservazione. Inoltre, la funzionalità piastrinica viene persa rapidamente durante la conservazione del sangue “in toto” e dei CE e si può affermare che è completamente scomparsa dopo 24 ore. Trasfusioni massive o, comunque, di grandi quantità di emocomponenti (e anche di colloidi e cristalloidi) possono, perciò, determinare alterazioni della coagulazione per diluizione, diminuzione delle piastrine e delle proteine coagulative, gia’ fortemente deplete in tali pazienti dal meccanismo emostatico in atto. Come confermato da numerosi studi clinici, la piastrinopenia è la più comune alterazione della coagulazione nei pazienti che ricevono TM. La conta piastrinica è usualmente inversamente proporzionale al numero di unità di sangue trasfuse. Chiari disordini della coagulazione possono essere identificati nel 50 – 75 % dei pazienti, e questi disordini sono usualmente causati da piastrinopenia da diluizione. La coagulopatia associata alla TM si manifesta con sanguinamento microvascolare o stillicidio dalle mucose, dalle ferite e dai siti di venipuntura. L’ acidosi, la CID (probabilmente dovuta alle cause che hanno richiesto la terapia trasfusionale, quali shock ipovolemico, traumi, complicazioni ostetriche, ecc., piuttosto che alla trasfusione stessa), l’ ipotermia e raramente una reazione trasfusionale emolitica possono svilupparsi durante la TM e complicare la diagnosi di coagulopatia. Per quanto nei pazienti massivamente trasfusi si possa sviluppare una piastrinopenia, la somministrazione di CP dovrebbe essere riservata a quei pazienti che presentano un sanguinamento microvascolare e una conta piastrinica inferiore a 50.000/? L. La trasfusione di CP potrebbe essere necessaria per pazienti con conte piastriniche intermedie (50.000 – 100.000/? L), qualora esistesse il rischio di sanguinamento maggiore. La trasfusione di piastrine deve essere tenuta in

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 45 di 55

considerazione in assenza di sanguinamento se il conteggio scende sotto 20.000/? L. L’uso profilattico di CP in pazienti che abbiano ricevuto grandi quantitativi di sangue non è raccomandato. Il PFC non deve essere somministrato in via profilattica nella TM. Nel paziente massivamente trasfuso, è improbabile che un sanguinamento sia associato ad un deficit dei fattori della coagulazione, finchè i loro livelli non si siano ridotti al di sotto del 20 % del valore normale. In ambito clinico, questa evenienza si verifica quando è stato rimpiazzato un “volume” superiore alla volemia del paziente ed i valori del PT e del PTT si assestano su livelli 1,5 volte inferiori i valori di controllo. Il trattamento si basa sull’uso di PFC alle dosi di 10 - 15 mL/Kg, in presenza di allungamento del PT isolato; se anche il PTT e’ allungato, si raccomanda l’uso di concentrati di fattore VIII e fibrinogeno in aggiunta al PFC. Qualora tali concentrati non fossero disponibili, si possono impiegare crioprecipitati (1 unità/6 Kg di peso). Nell’evenienza che il PT e il PTT non possano essere eseguiti in tempo utile, il PFC può essere somministrato per correggere un sanguinamento microvascolare in pazienti trasfusi con più di un volume ematico. Alterazioni della funzione emoglobinica ? Durante la conservazione, la concentrazione eritrocitaria di 2,3-difosfoglicerato (2,3-DPG) si riduce costantemente, fino ad arrivare quasi a zero dopo 3 settimane. Ciò comporta uno spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell’ossi-emoglobina con conseguente aumento dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno e ridotta capacità di rilasciare l’ossigeno ai tessuti. Pertanto dopo TM con sangue conservato a lungo si può riscontrare una notevole caduta della funzione emoglobinica. Tuttavia, in un periodo di 8 – 24 ore dopo la trasfusione, il 2,3-DPG ritorna ai suoi valori normali. Studi eseguiti in soggetti sani sottoposti a TM non rivelano nessuna evidenza di ridotto apporto di ossigeno ai tessuti. Tuttavia, in pazienti con ridotto flusso ematico nel distretto cardiaco e cerebrale, una riduzione dell’apporto di ossigeno dovuta a riduzione di 2,3-DPG eritrocitario potrebbe determinare ipossia. L’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno dipende, comunque, anche da altri fattori, quali il pH, la concentrazione di CO2 e la temperatura. Le modalità di conservazione incidono anch’esse sui livelli eritrocitari di 2,3-DPG: il sangue congelato, ad esempio, contiene eritrociti con lo stesso grado funzionale del momento in cui è avvenuto il congelamento. Sbilancio elettrolitico (tossicità da citrato) ? L’aumento dei livelli di potassio nel plasma del sangue conservato è correlato alla perdita di potassio dagli eritrociti vitali per l’alterazione della pompa Na+/K+, secondaria alla deplezione di ATP e alla temperatura di conservazione. Dopo 21 giorni di conservazione, la concentrazione plasmatica di potassio si avvicina ai 25 – 30 mEq/L. Tuttavia, l’iperkaliemia costituisce

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 46 di 55

raramente un problema nei soggetti adulti per due motivi: 1) nelle unità di CE la quantità di plasma presente è molto scarsa, e 2) dopo essere state trasfuse le emazie si comportano come spugne nei confronti del potassio, espellendo sodio ed assumendo potassio in modo da riequilibrare quanto accaduto durante la conservazione. La tossicità da citrato costituisce ancora oggi uno degli effetti indesiderati piu’ frequenti delle TM. In ogni unità di sangue intero il citrato, che lega il calcio ionizzato, è presente in eccesso. Pertanto, il paziente sottoposto a TM riceve sangue con un eccesso di citrato libero, ma privo di calcio ionizzato. Il fegato metabolizza rapidamente il citrato e i depositi endogeni (paratormone ? ossa) rilasciano il calcio per compensare la caduta dei livelli di calcio ionizzato. Tuttavia, negli stati di shock, questi meccanismi possono essere compromessi. Bassi livelli di calcio ionizzato, soprattutto combinati con ipotermia e acidosi, possono causare ipotensione, riduzione della gettata cardiaca, con aumento della pressione di riempimento cardiaca, e bradicardia; inoltre, determinano tremori muscolari ed alterazioni elettrocardiografiche (prolungamento dell’intervallo Q-T). La tossicità è aumentata in caso di ridotta funzionalità epatica che determina un rallentamento del metabolismo del citrato in eccesso. La somministrazione di calcio durante la TM è indicata quando si riscontra un basso livello ematico di calcio ionizzato e c’è evidenza di compromissione cardiovascolare (emodinamica o all’ECG) non attribuibile ad altre cause. Il citrato presenta una affinità anche per gli ioni magnesio ed è stata riportata, infatti, l’insorgenza di ipomagnesiemia in corso di TM. Ricordiamo che il bicarbonato metabolizza rapidamente il citrato. Alterazione dell’equilibrio acido base ? Il sangue conservato tende ad accumulare acidi (pH compreso tra 6,6 e 6,9) a causa dell’acido citrico contenuto nella soluzione anticoagulante/conservante e dell’accumulo progressivo di anidride carbonica e acido lattico derivati dal metabolismo eritrocitario. Un tale carico acido assunto con la trasfusione è rapidamente metabolizzato in presenza di una normale perfusione tessutale; anzi, pazienti con perfusione tessutale adeguata tendono a sviluppare uno stato di alcalosi, dato che il lattato e il citrato vengono metabolizzati in bicarbonato. D’altra parte, i soggetti che vengono sottoposti a TM spesso presentano uno stato di acidosi metabolica che si aggiunge al carico acido derivato dalla terapia trasfusionale; in questi casi, l’acidosi è correlata all’incapacità di controllare l’emorragia e lo shock e, quindi, di garantire una adeguata perfusione tessutale. E’ necessario, pertanto, monitorare il pH ematico del paziente (emogasanalisi) per garantire un normale pH arterioso, dato che la risposta acido-base è variabile durante la TM. La somministrazione profilattica di agenti alcalinizzanti, come il bicarbonato di sodio, non è necessaria e può causare una grave alcalosi (che può influire negativamente sulla funzione emoglobinica) e ipernatremia. Ipotermia ? L’ipotermia contribuisce frequentemente al determinismo del quadro clinico associato alla TM. La bassa temperatura ambientale, le grandi ferite aperte (compreso il campo operatorio), l’infusione di liquidi conservati a temperatura

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 47 di 55

ambiente e di sangue conservato a 4 °C, sono tutti fattori che contribuiscono alla riduzione della temperatura corporea del paziente. I potenziali effetti dell’ipotermia includono le aritmie ventricolari, i tremori, l’incremento del consumo di ossigeno, l’aumentato rischio di ipocalcemia e di acidosi metabolica (per diminuzione della metabolizzazione del citrato e del lattato), il rilascio di potassio dal compartimento intracellulare, il rallentamento del catabolismo dei farmaci (compresi gli anestetici), la compromissione del sistema emostatico e l’arresto cardiaco. Il riscaldamento del sangue e di tutti gli altri liquidi infusi durante la TM è essenziale per cercare di prevenire l’ipotermia sistemica. Il riscaldamento del sangue, inoltre, favorisce il trasferimento intracellulare del potassio. Dispositivi altamente efficienti per il riscaldamento dei liquidi infusi per via endovenosa sono richiesti durante il rapido reintegro di grandi volumi di sangue. 10) Indicazioni per l’esecuzione di una corretta trasfusione di

emocomponenti La terapia trasfusionale non è esente da rischi per il ricevente (necessità del consenso informato, come previsto dalla normativa vigente ? vedi modulo allegato) e, quindi, un corretto uso del sangue e degli emocomponenti prevede che essa debba essere istituita esclusivamente per trattare situazioni cliniche gravi o mortali, non altrimenti prevenibili o curabili. In conclusione, vengono indicati alcuni principi che aiutano a garantire una buona pratica trasfusionale clinica :

1) la idonea compilazione delle richieste di emocomponenti e la scrupolosa ed univoca identificazione dei campioni di sangue del paziente inviati al SIMT sono cruciali per evitare reazioni potenzialmente mortali ( non possono essere accettate richieste per prove di compatibilità quando i campioni di sangue del paziente e il modulo della richiesta stessa non siano in grado di identificare perfettamente il ricevente o quando i dati siano in contrasto fra loro) ;

2) i campioni di sangue del paziente per le prove di compatibilità non devono essere prelevati da oltre 72 ore dal momento della trasfusione e valgono per un unico evento trasfusionale ;

3) la necessità di una trasfusione può essere evitata o contenuta dalla prevenzione o da una diagnosi precoce, con relativo trattamento dell’ anemia, dei disordini piastrinici e coagulativi, e delle condizioni che ne determinano l’ insorgenza ;

4) la necessità di una trasfusione può spesso essere evitata dalla correzione dell’ anemia e dalla ricostituzione dei depositi marziali prima di programmare un intervento chirurgico, dall’ uso di alternative semplici, quali l’ impiego

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 48 di 55

endovenoso di liquidi, e da una gestione ottimale dell’ anestesia e dell’ intervento chirurgico ;

5) i rischi trasfusionali possono essere quasi azzerati da un esteso ed adeguato utilizzo di tutte le varie tecniche autotrasfusionali (importanza della consulenza di medicina trasfusionale in tempo utile) ;

6) la decisione di trasfondere sangue o emocomponenti deve basarsi, sempre, su una valutazione accurata delle indicazioni cliniche e di laboratorio ;

7) le unità di emocomponenti non devono essere conservate in reparto (rischio aumentato di reazioni trasfusionali, anche gravi) per piu’ di 48 ore poiche’ dopo tale intervallo decade totalmente l’efficacia e la predittivita’ delle prove di compatibilita’ pretrasfusionali ;

8) la trasfusione degli emocomponenti deve essere eseguita con una tecnica idonea ponendo attenzione : alla grandezza dell’ ago da infusione, al set da infusione (con filtro), alla velocità di infusione, all’ eventuale riscaldamento delle unità ; non infondere con lo stesso set emocomponenti e farmaci o soluzioni EV (solo, eventualmente, soluzione fisiologica) ;

9) la trasfusione rappresenta soltanto uno degli elementi utili alla gestione del paziente ;

10) se il sangue e gli emocomponenti vengono somministrati senza reali necessità, il paziente non ne riceve alcun beneficio e viene, anzi, esposto a rischi inutili;

11) il sangue rappresenta una risorsa rara (quindi limitata) e costosa : trasfusioni inutili possono causare carenze di prodotti ematici per pazienti che ne hanno una reale necessità.

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 49 di 55

Polo Ospedaliero Centrale U.O.:Servizio di Immunoematologia e Trasfusione Ospedale Belcolle – Viterbo, Ospedale Civile Montefiascone, Ospedale S.Anna – Ronciglione

Viale Raniero Capocci 13 – 01100 Viterbo- tel.0761/339686 ; fax .0761/309723 __________________________________________________

_____________________________________________________________________________ Partita IVA e Cod . Fisc.: 01455570562

A) MODULO RACCOLTA DATI PER IL MONITORAGGIO E LA GESTIONE DELLE

REAZIONI TRASFUSIONALI (da inviare al SIT debitamente compilato in caso di reazione trasfusionale di categoria 2 e 3)

Paziente: Nome………………………………………………………… Cognome……………………………………………………………………

Data di nascita ………………………………….. Reparto di degenza………………………………………………

Patologia di base ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Precedenti reazioni trasfusionali Si Data……………………………………………………. No

Hb g/dL pre-trasfusione……………………………………..Piastrine/uL pre-trasfusione………………………………………

INR pre-trasfusione…………………………………………….

Eventuale premedicazione pre-trasfusione Si No

Farmaci………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... Emocomponenti trasfusi immediatamente prima della reazione trasfusionale:

Concentrato eritrocitario n° unita’ ………….. Concentrato piastrinico n° unita’……….

Plasma fresco congelato n° unita’…………. Numero legale degli emocomponenti trasfusi indicati in sequenza cronologica (dal primo all’ultimo trasfuso nella sessione trasfusionale implicata nella reazione):

Reazione trasfusionale: Segni obiettivi…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... Sintomi soggettivi………………………………………………………………………………………………………………………..………………………... ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... Eventuale terapia………………………………………………………………………………………………………………………………………………….… ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………... ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….… Effettuazione e richiesta esami di rito Si No Tipologia……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… Allegato A Firma del Medico competente………………………………………………………………………………….

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 50 di 55

Polo Ospedaliero Centrale U.O.:Servizio di Immunoematologia e Trasfusione

________________________________________________________________________________ Partita IVA e Cod . Fisc.: 01455570562

“ La trasfusione di sangue, di emocomponenti e di emoderivati costituisce una pratica terapeutica non esente da rischi; necessita pertanto del consenso

informativo del ricevente”. (L’articolo 19 del D.M.15 gennaio 1991)

CONSENSO INFORMATO ALLA TRASFUSIONE

Io sottoscritto/a................................................................................................… … … . Nato/a a… ...............................................................................il............................… … … . Sono stato informato/a dal Dott … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … che per le mie condizioni cliniche potrebbe essere necessario ricevere una o più trasfusioni di sangue, di emocomponenti, di emoderivati, che tale pratica terapeutica non è esente da rischi ( inclusa la trasmissione di virus dell’immunodeficenza, dell’epatite) e non ha alternative terapeutiche e che nel mio caso l’autotrasfusione non è attuabile . Ho ben compreso quanto mi è stato spiegato sia in ordine alle mie condizioni cliniche che ai rischi connessi alla trasfusione. Quindi acconsento ad essere sottoposto presso codesto Presidio Ospedaliero al trattamento trasfusionale necessario per tutto il decorso della mia malattia. Viterbo, lì… … … … … … … … … … … … … Firma del Paziente

Firma del Medico Allegato B

Ospedale Belcolle – Viterbo, Ospedale Civile Montefiascone, Ospedale S.Anna – Ronciglione Viale Raniero Capocci 13 – 01100 Viterbo- tel.0761/339686 ; fax .0761/309723

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 51 di 55

Istituzioni di riferimento UO Servizio d’Immunoematologia e Trasfusione (SIT) Direttore Dott. Luca Pierelli Dirigenti medici consulenti di medicina trasfusionale: Dott. Maurizio Cosenza Dott. Gabriele Mandarello Dott. Basilio Radini Dott. Maurizio Trenta Dirigenti biologi consulenti d’immunoematologia: Dott. Gianfranco Bugiotti Dott. Roberto Gasbarri UO Ematologia Direttore Dott. Marco Montanaro Dirigenti medici consulenti di ematologia: Dott. Cristina Andrizzi Dott. Velia Bongarzoni Dott.Cinzia De Gregoris Dott. Pasquale Niscola Dott. Laura Scaramucci Dott. Vincenzo Tini UO Laboratorio Analisi Direttore Dott.Renato Carrozza Dirigente medico consulente di ematologia di laboratorio Dott. Valerio Maria Bonavia UO Anestesia e Rianimazione Direttore Dott. Giorgio Quadrani Dirigenti medici consulenti di rianimazione Dott. Fernando Ricci Dott. Piero Vecchierelli Comitato “Buon Uso del sangue” Prof. Giovanni Macchia, Dott. Egidio Sesti, Dott. Franco Bifulco, Dott. Luca Pierelli, Dott. Gino Pasquini, Dott. Giorgio Quadrani, Dott. Marco Montanaro, Dott. Luigi Aquilanti, Coll. Amm.vo P.E. Mario Quintarelli, Sig. Francesco Politi Allegato C

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 52 di 55

Glossario AANRSE: Anemie Arigenerative Non Riconducibili a Specifica Empatia ADNRSE: Anemie da Distruzione non Riconducibili a Specifica Empatia APPC: Anemie Persistenti Post.Chirurgiche aPTT/PTT: Tempo di Tromboplastina Attivata CE: Concentrato Eitrocitario CH: Contenuto Emoglobinico Eritrocitario CHr: Contenuto Emoglobinico Reticolocitario CID/DIC: Coagulazione Intravascolare Disseminata CP: Concentrato Piastrinico DFO: Desferrioxamina 2-3DPG: 2-3 Difosfoglicerato EPO: eritropoietina fl: Fentolitri GvHD-TA: Graft Versus Host Disease Trasfusione-Associata Hb: Emoglobina HBV: Virus dell’Epatite B

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 53 di 55

HCV: Virus dell’ Epatite C HIV1-2: Virus dell’Immunodeficienza Acquisita Umana (AIDS) HLA: Antigeni Leucocitari dell’Istocompatibilita’ Ig: Immunoglobuline IGR: Reazioni Generalizzate Immediate L1: Deferiprone LDH: Latticodeidrogenasi MCH: Contenuto Emoglobinico Medio MCHC: Concentrazione Emoglobinica corpuscolare Media MCV: Volume Corpuscolare Eritrocitario Medio MCVr: Volume Corpuscolare Reticolocitario Medio mL: Millilitri ng: nanogrammi O2: ossigeno PFC: Plasma Fresco Congelato pg: Picogrammi RT: Reazione Trasfusionale

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 54 di 55

RTFnE: Reazioni Trasfusionali Febbrili non Emolitiche SIMT: Servizio d’Immunoematologia e Medicina Trasfusionale TAP: Attivita’ Protrombinica TCD: Test di Coombs Diretto TCI: Test di Coombs Indiretto TM: Trasfusione Massiva TRALI: Insufficienza Respiratoria Acuta Correlata a Trasfusione TrGr: Trasfusione di Globuli Rossi Concentrati UI: Unita’ Internazionali Allegato D

Presidio Ospedaliero Centrale

GESTIONE DEL PAZIENTE

ANEMICO “ NON EMOPATICO “ E DELLE REAZIONI TRASFUSIONALI

AQ.03

Rev. 01/2003 Pagina 55 di 55

Bibliografia essenziale Rossi’s Principles of Transfusion Medicine, Third Edition 2002, Lippincot Williams & Wilkins. Hematology, Basic Principles and Practice, Second Edition 1995, Churchill Livingstone Use of Epoetin in Patients with Cancer: Evidence-Based Clinical Practice Guidelines of the American Society of Clinical Oncology and the American Society of Haematology, Blood 100:2303, 2002. Riferimenti legislativi D.P.R. 7/04/1994: “ Piano Sangue Nazionale “;

DM 1 settembre 1995: “Costituzione e compiti dei Comitati per il Buon uso del Sangue presso i Presidi ospedalieri “ – G. U. n° 240 .

Legge 04/05/1990 n° 107: “ Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione dei plasmaderivati “.

DM 26/01/2001 – G.U. gen. n° 78 del 06/04/2001: “ Protocolli per l’accertamento dell’idoneità del donatore di sangue ed emocomponenti “.

Allegato E