fotografare in africa

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 NA TURA E FOTOGR AFIA Quando nel lontano 1987 misi per la prima volta piede in Africa, eb- bi come l'impressione che l'aereo mi avesse let- teralmente strappato dal nostro rassicurante mon- do occidentale per cata- pultarmi in un luogo strano e vagamente in- quietante, in cui subito avrei dovuto imparare a vivere districandomi tra mille problemi. Dal caldo e la paura delle malattie tropicali, della malaria, alle diffi- coltà di reperire informazioni e permessi per visitare i Parchi Nazionali che intende- vo documentare: le aree protette della Co- sta d'Avorio. Ma soprattutto, mentre per la prima volta mi aggiravo timido e sospettoso nelle gran- di savane circostanti il fiume Komoé e nel- le selve acquitrinose della foresta di Tai - innamorandomi perdutamente e definiti- vamente del "Continente Nero" - non avrei mai e poi mai immaginato che una quindi- cina d'anni dopo mi sarei trovato a condurre un workshop fotografico in Africa, in quel- lo stesso mondo, avendo da provvedere ol- tre al sottoscritto anche a una dozzina di persone tra allievi e assistenti. Invece, man mano che la mia esperienza di divulgatore cresceva e che percepivo il piacere di guidare personalmente work- shop fotografici in diverse parti del mon- do, venne finalmente il momento di pro- vare anche qui. In particolare, dopo una visita di circa un mese ad alcune aree pro- tette del Sudafrica, dove avevo potuto am- piamente verificare la generosità di quel- le savane in termini di opportunità foto- grafiche, nell'autunno dello scorso anno pensai di organizzare un corso di fotogra- fia di 10 giorni proprio nel Parco Nazio- nale Kruger, nel settore nord-orientale del Sudafrica. Scelta la stagione immediatamente succes- siva a quella delle piogge (per avere più co- lori, fioriture, scenari vagamente alla He- mingway e soprattutto temperature miti) mi accollai il gravoso compito di condurre die- ci fotografi non professionisti per quelle stesse savane. Infinite sensazioni Se, da un lato, molti sono gli operatori tu- ristici che offrono nei propri pacchetti una visita a questo splendido parco nazionale, è molto difficile per un fotografo trovare il grup- po giusto; il gruppo che gli permetta di dedicare alla fotografia della fau- na, ma anche del paesag- gio, tutto il tempo che merita. Cosa invece as- solutamente fondamen- tale durante un workshop di fotografia naturalisti- ca. E così, appena feci cor- rere voce di questo corso, rapidamente esaurii i posti che avevo reso disponibili. Già durante il primo breve transito nel- l'area protetta, necessario per arrivare dal- l'ingresso meridionale fino a Berg En Dal, il lodge che ci avrebbe ospitato nei primi giorni, le osservazioni che potemmo fare furono decisamente ragguardevoli: ele- fanti, un branco di impala, un rinoceron- te bianco, la grande aquila pescatrice. Qua e là i primi click; in ognuno tanta mera- viglia. Non sapevamo ancora che, durante la no- stra permanenza, avremmo avvistato e in gran parte fotografato, circa 110 specie di animali selvatici! L'indomani, e così nei giorni successivi, in- cominciammo a cercare i soggetti in modo più sistematico, specialmente nelle prime ore dell'alba quando la luce è più calda, i raggi obliqui e la temperatura dell'aria più sopportabile. FOTOGRAFARE IN AFRICA In Sudafrica, nel Parco Nazionale Kruger , sotto la guida di Eugenio Manghi per approfondire l a tecnica, le conoscenze naturalis tiche, l’estetica del la natura. Queste le foto del workshop. Foto di Luigi Esposito.

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NATURA E FOTOGRAFIA

Quando nel lontano1987 misi per la primavolta piede in Africa, eb-bi come l'impressioneche l'aereo mi avesse let-teralmente strappato dal

nostro rassicurante mon-do occidentale per cata-pultarmi in un luogostrano e vagamente in-quietante, in cui subitoavrei dovuto imparare avivere districandomi tramille problemi. Dal caldo e la paura dellemalattie tropicali, della malaria, alle diffi-coltà di reperire informazioni e permessiper visitare i Parchi Nazionali che intende-vo documentare: le aree protette della Co-sta d'Avorio.Ma soprattutto, mentre per la prima voltami aggiravo timido e sospettoso nelle gran-di savane circostanti il fiume Komoé e nel-le selve acquitrinose della foresta di Tai -innamorandomi perdutamente e definiti-vamente del "Continente Nero" - non avreimai e poi mai immaginato che una quindi-cina d'anni dopo mi sarei trovato a condurreun workshop fotografico in Africa, in quel-lo stesso mondo, avendo da provvedere ol-tre al sottoscritto anche a una dozzina dipersone tra allievi e assistenti.Invece, man mano che la mia esperienzadi divulgatore cresceva e che percepivo il

piacere di guidare personalmente work-shop fotografici in diverse parti del mon-

do, venne finalmente il momento di pro-vare anche qui. In particolare, dopo unavisita di circa un mese ad alcune aree pro-tette del Sudafrica, dove avevo potuto am-piamente verificare la generosità di quel-le savane in termini di opportunità foto-grafiche, nell'autunno dello scorso anno

pensai di organizzare un corso di fotogra-fia di 10 giorni proprio nel Parco Nazio-nale Kruger, nel settore nord-orientale delSudafrica.Scelta la stagione immediatamente succes-siva a quella delle piogge (per avere più co-lori, fioriture, scenari vagamente alla He-mingway e soprattutto temperature miti) miaccollai il gravoso compito di condurre die-ci fotografi non professionisti per quellestesse savane.

Infinite sensazioniSe, da un lato, molti sono gli operatori tu-ristici che offrono nei propri pacchetti unavisita a questo splendido parco nazionale,

è molto difficile per unfotografo trovare il grup-po giusto; il gruppo chegli permetta di dedicarealla fotografia della fau-na, ma anche del paesag-

gio, tutto il tempo chemerita. Cosa invece as-solutamente fondamen-tale durante un workshopdi fotografia naturalisti-ca.E così, appena feci cor-

rere voce di questo corso, rapidamenteesaurii i posti che avevo reso disponibili.Già durante il primo breve transito nel-l'area protetta, necessario per arrivare dal-l'ingresso meridionale fino a Berg En Dal,il lodge che ci avrebbe ospitato nei primigiorni, le osservazioni che potemmo farefurono decisamente ragguardevoli: ele-fanti, un branco di impala, un rinoceron-te bianco, la grande aquila pescatrice. Quae là i primi click; in ognuno tanta mera-viglia.Non sapevamo ancora che, durante la no-stra permanenza, avremmo avvistato e ingran parte fotografato, circa 110 specie dianimali selvatici!L'indomani, e così nei giorni successivi, in-cominciammo a cercare i soggetti in modopiù sistematico, specialmente nelle primeore dell'alba quando la luce è più calda, i

raggi obliqui e la temperatura dell'aria piùsopportabile.

FOTOGRAFARE IN AFRICAIn Sudafrica, nel Parco Nazionale Kruger, sotto la guida di Eugenio Manghi

per approfondire la tecnica, le conoscenze naturalistiche, l’estetica della natura.Queste le foto del workshop.

Foto di Luigi Esposito.

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Foto di Annalisa Losacco.

Foto di Andrea Taglier.

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L’esposizioneIn Sudafrica, il sole "gira da nord" e orien-tarsi con la posizione dell'astro non è cosaimmediata... Ma i problemi, per un foto-grafo, sono certo ben altri. Tanto per inco-

minciare l'intensità della luce. Se in solepieno, infatti, sono solito suggerire per 100ISO una coppia tempo/diaframma intornoa t=1/250 di secondo con f/8 – f/11, la for-za del sole a queste latitudini è tale da con-sigliare di chiudere di almeno 1/2 stop, inparticolare in presenza di primi piani susoggetti chiari.Le regole dell'esposizione per luce inci-dente (quella che molti fotografi profes-sionisti valutano servendosi di un esposi-metro a mano, puntato in direzione del cie-lo e del sole) vogliono infatti che al mo-mento dello scatto la coppia tempo/dia-

framma fornita dallo strumento venga leg-germente modificata dal fotografo in ra-gione dell'angolo di incidenza della luce (incontroluce può valere la pena sovraespor-re leggermente), delle caratteristiche cro-matiche del soggetto e del contrasto com-plessivo della scena (presenza prevalentedi zone di alte o di basse luci: cielo, erba,terreno scuro, sabbia eccetera).Ad esempio un elefante o un cormorano -soggetti prevalentemente scuri - possonorichiedere pure una piccola sovraesposi-zione (circa 1/2 stop) necessaria a una mi-

gliore conservazione del dettaglio; al con-trario, con un airone bianco maggiore ri-

tratto a pieno formato sarà bene sottoesporreun po' rispetto alla coppia standard appenafornita.

No al TTLChi preferisce usare l'esposimetro TTLdel-

la propria reflex dovrà attenersi a criteri unpo' diversi. Io sconsiglio questa pratica, so-lo apparentemente più vantaggiosa e co-moda, perché obbliga il fotografo a ricon-siderare l'esposizione ogni volta che scattauna foto.Invece, in teoria, l'esposizione dovrebbe es-sere rivista solo quando si cambia posizio-ne rispetto alla sorgente luminosa o quan-do questa stessa varia (arriva una grossa nu-vola, il sole tramonta eccetera).Esponendo col TTL si legge la luce "ri-flessa" dalla scena e dal soggetto e questadipende dalle caratteristiche stesse della su-

perficie di ciò che stiamo inquadrando! Dif-ficile fare una valutazione esatta se il sog-getto non è assimilabile a un "grigio me-dio" (cosa che solo raramente accade).Qui la regola aurea - che mi sono sforzatodi insegnare ai miei "allievi" - è di sovrae-sporre un po' rispetto alle indicazioni del-la macchina in caso di soggetti chiari (l'e-sposimetro sovrastima la luce) e sottoe-sporre invece un po' se si rileva l'esposi-zione su soggetti scuri (l'esposimetro sot-tostima la luce). In questo modo si evite-ranno immagini rispettivamente troppo scu-

re o troppo chiare, slavate.Ma tutto ciò vale per qualunque genere di

fotografia.

Il contenuto naturalisticoRisolti i problemi tecnici più elementari eben equipaggiati di lunghe focali (in que-sta sede voglio ringraziare Canon per aver

dotato il workshop di teleobiettivi stabiliz-zati superluminosi) e incominciando a gi-rellare con le nostre auto per la savana, nonrestava dunque che cercare di scattare fotobelle, gradevoli e ricche di significato na-turalistico. Troppo spesso infatti il fotoa-matore si accontenta di eseguire il bel ri-trattone dell'animale che vuole riprendere,dimenticandosi di studiarne e documentar-ne gli atteggiamenti o le abitudini di vita.Ed è comprensibile: per realizzare un ri-tratto basta infatti inquadrare e fare click;mentre per fare una foto interessante biso-gna restare concentrati a lungo, aspettando

un evento significativo. Ed è pure impor-tante capire qualcosa di questo o quell'ani-male... saperne leggere lo sguardo, intuir-ne il prossimo movimento e così via.Non a caso, il buon fotografo di natura siprepara bene a casa prima di cimentarsi inun viaggio. Sia attraverso letture specializ-zate relative alla tipologia dell'ambiente cheandrà a visitare, sia arricchendo la propriacultura di base attraverso le migliaia di do-cumentari trasmessi da più o meno tutte letelevisioni.Non dimentichiamo infatti che la qualità di

una foto di natura dipende per oltre il 50%dalle conoscenze naturalistiche del foto-

Foto di James Pedrazzoli.Foto di Alberto Schiavoni.

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grafo. Le sue competenze tecniche conta-no, certo, ma proporzionalmente meno chein altri settori della fotografia.

L'estetica della naturaUn altro elemento su cui il workshop ha pa-recchio insistito è relativo al contenuto este-tico delle fotografie che via via venivanoscattate. Infatti, se in qualunque forma diarte il gusto estetico è in qualche modo unelemento "assoluto", nel caso della foto-grafia naturalistica esso dipende anche dafattori spiccatamente legati al contenutoecologico ed etologico dell'immagine.Esiste un'estetica della natura fatta di ar-chetipi forse un po' speciali: lo sguardo di

un leone; la posizione protesa in avanti diuna cicogna nera intenta a pescare in uno

stagno, che si sta disseccando sotto la ca-lura del sole africano; un martin pescatoreche batte le ali tenendo corpo e testa im-mobili, per tuffarsi poi a capofitto sulla pre-da (il cosiddetto hovering, o "spirito san-to"). Ma anche la meraviglia di una testa digazzella che spunta appena dalle verdi, al-te erbe della savana o la lotta di due faco-ceri nel fango, come nello scatto di Ornel-la.Un capitolo a parte sono poi le fotografienotturne. Chi non ricorda quel servizio fir-mato "National Geographics" sugli occhidella savana nella notte? Leoni, iene, ele-fanti e rinoceronti venivano fotografati conla luce lampo mentre erano intenti alle pro-

prie faccende più segrete, tipicamente not-turne: puntare o sbranare una preda, abbe-

verarsi, proteggere un piccolo dai predato-ri.Ebbene, con i flash e l'autofocus assistitodai raggi infrarossi, questo genere di im-magini è oggi più accessibile. Lo dimo-strano la bella foto di gufo realizzata da Al-berto Schiavone e il "leopardo con luna pie-na" di Annalisa Losacco (attenzione, nonsi tratta di una doppia immagine, ma di unautentico scatto in luce bilanciata).La legge sudafricana prevede che per po-ter avventurarsi in un parco nazionale dinotte si debba essere accompagnati da al-meno un ranger. È una questione di sicu-rezza, esattamente come la regola che im-pedisce a chiunque di scendere dal veico-

lo se non per cause di forza maggiore (pan-nes, forature eccetera). Poi, quando vede-

Foto di Mario Toccacelli.

Foto di Andrea Giordano.

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te sparire tra le erbe alte un enorme leonemaschio a tre metri dal bordo della pista e,pur non vedendolo più, sapete bene che èlì, invisibile... allora riuscite a capire il per-ché di certe limitazioni, studiate più per pro-teggere gli umani nella loro fragilità, chegli animali africani nella loro possanza.Ma prima di concludere voglio riportarebrevemente due aneddoti che possono da-re l'idea di cosa siano stati dieci giorni tra-

scorsi insieme nel Kruger. Il primo è rela-tivo ad una intera giornata passata tutti in-

sieme su un fiume che, col passare delleore, andava progressivamente disseccan-dosi lasciando all'asciutto quintali di pesce,eccezionalmente disponibili per tutti gli ani-mali della savana: oltre a uccelli martello,becchi a sella, aironi, cormorani, cicognenere, martin pescatori , garzette e nitticore,verso sera si avvicinò perfino una iena af-famata...!Il secondo invece è un po' più ricco di su-

spence e meno interessante sotto il profilofotografico. Si tratta dell'incontro (per for-

tuna non dello scontro) con i più grandi ele-fanti che popolano le savane africane.Nel settore centro-settentrionale del Kru-ger vive infatti un tipo di elefante denomi-nato "bush elephant" (letteralmente: ele-fante della foresta). Oltre ad essere parec-chio più alti dei loro cugini della savana(responsabile sembra esserne l'albero delmopane che caratterizza queste foreste eche rappresenta la principale fonte di ali-

mentazione di questi elefanti), il caratteredi questi elefanti non è propriamente bo-

L'autorL'autore ringraziae ringraziai corsisti:i corsisti:James Pedrazzoli, Andrea Gior-dano, Mauro Toccaceli, Ornel-

la Quarta, Annalisa Losacco,Walter Meloni, Alberto Schia-mone, Andrea Taglier, EmilioPatella, e Loredana Scarian perle foto gentilmente concesse eLuigi Esposito e Teresa Galiziaper l'assistenza fornita duranteil workshop.

Foto di Ornella Quarta.

Foto di Walter Meloni.

Foto di Teresa Galizia.

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nario.Incontrarne un branco su una pista angusta,persa tra gli alberi del fitto bush e vederse-li venire incontro con la stessa flemma diuno schiacciasassi senza guidatore, ben con-sci di non avere altro tempo a disposizioneche quello per ingranare la retromarcia, puògenerare emozioni al limite del paranor-male...!Al nostro gruppo questo fatto occorse in

prossimità di un lodge chiamato Shimuwi-ni: un nome che non mancherà di rimanereben impresso nella memoria di tutti noi.Un ricordo che, passato il pericolo, vale unviaggio in questo stupendo parco naziona-le.Un ricordo che - possiamo ben dirlo - valeuna vita!

 Eugenio Manghi

Foto di Loredana Scarian.

Foto di Luigi Esposito.